IL RIUSO DEGLI SPAZI ABBANDONATI:
IL CASO DEL “MERCATO SONATO”
Simone Ciavatta
IL RIUSO DEGLI SPAZI ABBANDONATI:
IL CASO DEL “MERCATO SONATO”
Alma Mater Studiorum - UniversitĂ di Bologna Scuola di Ingegneria e Architettura Corso di laurea magistrale a ciclo unico in Ingegneria Edile - Architettura Tesi di laurea in Architettura e Composizione Architettonica II Relatore: Prof. Arch. Matteo Agnoletto Correlatori: Ciclostile Architettura Srl Arch. Giacomo Beccari, Arch. Gaia Calamosca, Arch. Alessandro Miti A.A. 2015 - 2016 - Sessione III
Alla mia famiglia, costante stimolo e supporto in questo percorso ed esempio nella vita.
INDICE Introduzione p. 11
Parte 1 - GLI SPAZI URBANI ABBANDONATI 1 - Il contesto socio-economico del processo di abbandono
p. 16
2 - L’offerta di parti di città abbandonate e le aspettative di riutilizzo p. 18 2.1 - Le macrocategorie degli spazi abbandonati p. 18 2.2 - Analisi del panorama dell’abbandono in Italia p. 20 3 - Il perchè dell’abbandono p. 24 3.1 - Differenziazione e diffusione p. 24 3.2 - Una possibile catalogazione delle cause p. 27 4 - Il 1° metodo di approccio: catalogazione e mappatura dell’abbandono 4.1 - Il necessario riconoscimento del problema 4.2 - Mappatura come presa di coscienza e punto di partenza per l’azione 4.3 - L’abbandono a Bologna
p. 29 p. 29 p. 30 p. 32
Parte 2 - IL RIUSO DEGLI SPAZI IN STATO DI ABBANDONO 1 - La questione del consumo di suolo 1.1 - Sprawl urbano e consumo di suolo 1.2 - La necessità di un cambio di rotta
p. 38 p. 38 p. 40
2 - Le prime iniziative di riqualificazione del patrimonio abbandonato
p. 41
3 - Il tema dei nuovi cicli di vita 3.1 - Il concetto di ciclo di vita 3.2 - Gli scenari possibili
p. 43 p. 43 p. 45
4 - Riuso e riciclo nell’ottica di un futuro della città 4.1 - Precursori e contesto attuale del riuso 4.2 - Il riuso come nuova opportunità 4.3 - Alcuni esempi di riuso
p. 47 p. 47 p. 51 p. 52
5 - Il riuso temporaneo ed il “tempo di mezzo” 5.1 - Il riuso in una fase di transizione 5.2 - Differenti livelli di riuso temporaneo 5.3 - Alcuni esempi di riuso temporaneo
p. 57 p. 57 p. 60 p. 62
6 - Attivazione e regolamentazione del riuso 6.1 - Il ruolo della comunità 6.2 - La gestione dinamica dello spazio urbano e del patrimonio abbandonato: idee ed esperienze 6.3 - Il contesto normativo e la “procedura” nel riuso
p. 66 p. 66 p. 67 p. 69
7 - “Enablers” e dinamiche partecipative nel riuso 7.1 - La rete degli “enablers” 7.2 - Gli “enablers” italiani
p. 71 p. 71 p. 74
8 - Le esperienze di riuso a Bologna
p. 76
Parte 3 - IL CASO DEL “MERCATO SONATO”: PROGETTO DI RIUSO IN DUE FASI 1 - Il mercato e la città 1.1 - Inquadramento e analisi del sito 1.2 - Cenni storici sul contesto
p. 84 p. 84 p. 90
2 - Analisi tipologica del “mercato coperto” 2.1 - L’evoluzione della tipolgia 2.2 - I caratteri del “mercato coperto” 3 - Il “Mercato Sonato”: “il tempo di mezzo” e la nuova identità 3.1 - L’Orchestra Senzaspine nella riattivazione già avviata 3.2 - Il progetto di riuso come sala concerti 4 - Il progetto architettonico 4.1 - L’impianto del mercato 4.2 - Ordine e regolarità per un primo approccio all’esistente 4.3 - Un ulteriore livello di progetto 4.4 - Gli interventi di seconda fase 4.5 - Il processo progettuale e le soluzioni analizzate 5 - Prima fase di riuso temporaneo: un intervento “leggero” nel rispetto dell’esistente 6 - Seconda fase di riuso: una nuova spazialità per un ritrovato punto di riferimento 6.1 - Nuova immagine e rapporto con il contesto 6.2 - La nuova spazialità interna 6.3 - Gli elementi caratterizzanti 6.4 - Soluzioni tecnologiche e strutturali Realizzazione del modello
p. 96 p. 96 p. 100 p. 106 p. 106 p. 109 p. 112 p. 112 p. 126 p. 127 p. 131 p. 135
p. 138 p. 150 p. 150 p. 177 p. 190 p. 200 p. 206
Conclusioni p. 208 Ringraziamenti p. 209 Bibliografia p. 210 Sitografia essenziale p. 212
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INTRODUZIONE
Gli spazi urbani sono oggi caratterizzati da realtà interne che costituiscono una vera e propria “città nella città” e che sono costituite dagli spazi abbandonati. Questi sono il risultato di un processo legato al boom della produzione edilizia, alla conseguente crisi finanziaria ed al mutamento delle dinamiche socio-economiche all’interno delle città degli ultimi anni. Nonostante il panorama dell’abbandono sia diffuso e pervasivo, l’attenzione ad esso riservata e ad una sua possibile valorizzazione risulta attualmente scarsa. Il passaggio necessario, in parte in atto, è il riconoscimento del problema che esso rappresenta con la conseguente creazione di un piano d’intervento orientato a ridare nuova vita agli edifici abbandonati. Il riuso, nelle sue diverse accezioni, si presenta come una possibile soluzione al problema, oltre che essere un’opportunità per dar luogo ad episodi di riqualificazione urbana. La mia tesi si compone di tre parti che riguardano l’analisi degli spazi urbani abbandonati, il riuso degli stessi nelle sue differenti declinazioni ed il progetto architettonico per la riqualificazione del Mercato San Donato di Bologna, ex mercato rionale di quartiere attualmente in disuso. Si propone quindi di analizzare la tematica degli edifici e degli spazi abbandonati all’interno delle città proponendo per prima cosa una chiave di lettura e catalogazione degli stessi. Viene esposta una classificazione delle cause del processo di abbandono, così come degli elementi che ne costituiscono il risultato. In seguito viene proposta una prima modalità di approccio all’insieme dei luoghi abbandonati, identificata nella loro mappatura, di cui si riporta il caso di Bologna. Il tema del riuso viene quindi presentato come soluzione all’eccesso di consumo di suolo e al mancato utilizzo di numerosi spazi costituenti le realtà urbane. Partendo dal concetto di ciclo di vita, per cui l’esistenza di un manufatto è legata al susseguirsi temporale di stati di utilizzo, si analizzano le diverse strade e i diversi ambiti di applicazione che può riguardare un’azione di riuso. Tra queste, il riuso temporaneo legato al “tempo di mezzo” tra vecchia e nuova destinazione d’uso, assume un ruolo significativo, potendosi
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espletare in differenti livelli di intervento e quindi essendo adattabile alle particolarità dei diversi casi. Particolare attenzione è rivolta inoltre alle pratiche di attivazione del processo che possono essere messe in atto, nelle quali svolge un ruolo preminente la comunità degli “enablers”. Infine, viene esposto il caso studio del riuso del Mercato San Donato, redatto ed esposto a supporto delle tematiche trattate e che costituisce la parte più corposa dell’intero lavoro. Il progetto prevede un approccio all’edificio esistente sviluppato in due fasi, quella di riuso temporaneo e quella di riuso a lungo termine, per la creazione di una nuova identità del mercato. Nell’ottica della trasformazione in sala concerti dell’edificio, si propone un intervento su due livelli che si sviluppa con l’intento di rispettare e valorizzare l’esistente ma allo stesso tempo di reinterpretarne lo spazio, sulla base dei suoi caratteri peculiari originari.
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Parte 1 GLI SPAZI URBANI ABBANDONATI
1 - IL CONTESTO SOCIOECONOMICO DEL PROCESSO DI ABBANDONO
Esiste una forma significativa di abbandono che sta condizionando la vita e le economie delle città. Si tratta di una processo che non è tanto dovuto al calo demografico urbano, ma piuttosto agli spostamenti interni, alle migrazioni dei centri produttivi, all’eccesso di edificazione, alla marginalità dell’attività agricola ed al blocco del mercato edilizio. Tutti fattori che incidono in maniera significativa sui comportamenti e sui desideri degli abitanti stessi. Si tratta, in definitiva, di una forma di abbandono del nuovo. Si configura come l’abbandono di un’idea di sviluppo e di Esiste una forma significativa di abbandono città, prima che dei suoi spazi fisici, poiché che sta condizionando la vita e le economie emerge come risposta ad una strategia delle città. Si tratta di una forma di abbandono di sopravvivenza alla crisi economica del nuovo. degli ultimi anni ed alla consapevolezza delle problematiche ambientali. I suoi effetti sono evidenti, poiché imprimono sul territorio la figura della città in crisi. Sta avvenendo una trasformazione radicale che parte dal basso, poiché in pochissimi anni la crisi ha portato le persone a dare un senso diverso ai valori sociali ed economici. I principali attori di questa impresa culturale siamo infatti proprio noi, i cittadini, i consumatori, i risparmiatori, i quali, con azioni semplici ma razionalmente orientate e pragmatiche, stiamo facendo collassare un sistema economico globale, in nome dei nuovi stili di vita. I nuovi desideri dei cittadini sono identificabili nel mangiare prodotti derivanti dall’agricoltura biologica o nel fare la raccolta differenziata, nell’utilizzare mezzi pubblici o mezzi non inquinanti, nel voler abitare in città sempre più verdi e prive di traffico, dotate di case ecocompatibili ed opere pubbliche sostenibili e sensibili nei confronti del paesaggio. Il modo di pensare al futuro sta quindi cambiando e coinvolge direttamente la vita dei cittadini, definendo obiettivi di qualità di tipo diverso ma anche nuovi paradigmi riguardanti i progetti di architettura e la città stessa. Si tratta di una condizione urbana nuova, che l’urbanistica tradizionale non è in grado di affrontare; una condizione che fa emergere quanto sia inadeguato ed impotente l’apparato disciplinare
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attuale, che continua ad essere l’espressione di un complesso di posizioni teoriche e sperimentazioni, non in grado di comprendere a pieno le dinamiche trasformative e, tantomeno, di risolvere questa condizione urbana che versa in condizioni precarie. In Italia, questa è la conseguenza inevitabile del più straordinario boom del settore edilizio della storia. Negli In Italia, negli ultimi anni le città sono ultimi anni, infatti, le città sono letteralmente letteralmente esplose e la condizione non è esplose e la condizione non è diversa nel resto diversa nel resto del mondo. del mondo. Anzi, è stato stimato che entro il 2030 le città si espanderanno di circa 1,5 milioni di chilometri quadrati per dare accoglienza a 1,47 miliardi di nuovi abitanti che vivranno nelle aree urbane; questo coinvolgerà anche luoghi sensibili e vulnerabili, concentrando lo sviluppo soprattutto nei paesi asiatici ed africani. Probabilmente però, le stime saranno anche superate. Risulta chiaro che i rischi ambientali di questo processo di sviluppo sono elevatissimi, coinvolgendo il riscaldamento globale, lo smaltimento dei rifiuti e l’inquinamento atmosferico ed ambientale. L’espansione urbana è quindi un fenomeno che sta rivelando e rivelerà sempre di più la sua insostenibilità. Eppure in qualche modo la crisi energetica e la nuova consapevolezza delle persone stanno frenando in occidente il processo di crescita delle città, che deve anche far fronte ai crolli dei mercati azionari e delle borse immobiliari degli ultimi anni. C’è chi sostiene, che per i paesi occidentali la crisi potrebbe essere un “blessing in disguise”. Una benedizione mascherata quindi, che potrebbe costringere le popolazioni dei paesi ricchi ad imparare a consumare meno energia e a conservarla, e quelle dei paesi poveri a diventare più efficienti sul piano energetico. Certo è che mai come ora, la non-crescita “felice” può rappresentare un’ipotesi concreta per le comunità urbane, insieme a riduzione, riuso e riciclo; queste sembrano invece le uniche strategie spaziali sostenibili in grado di portare innovazione, generare consenso e produrre bellezza nella città dopo la crisi.
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2 - L’OFFERTA DI PARTI DI CITTÀ ABBANDONATE E LE ASPETTATIVE DI RIUTILIZZO 2.1 - LE MACROCATEGORIE DEGLI SPAZI ABBANDONATI
Con riferimento alla letteratura scientifica più recente, le aree che vertono in stato di degrado o di abbandono, per le cause più diversificate, sono indicate con i termini “brownfields”, “greyfields” e “greenfields”, che le suddividono in tre macrocategorie. I “brownfields” includono in genere Le aree che vertono in stato di abbandono terreni precedentemente utilizzati per sono indicate con i termini “brownfields”, scopi industriali o commerciali, che “greyfields” e “greenfields”. risultano fisicamente degradati per via di elementi inquinanti. Si tratta quindi solitamente di aree industriali o artigianali dismesse, depositi o stabilimenti che ospitavano attività che prevedevano l’uso di particolari sostanze chimiche. Sotto il nome di “greyfields” sono compresi aree e manufatti abbandonati o economicamente sottoutilizzati perché scarsamente efficienti. Inizialmente con questa parola si definivano i “ghostboxes”, ossia i centri commerciali dismessi, per cui con l’uso del termine “grey” all’interno del nome si indicavano le grandi estensioni di asfalto, elemento caratterizzante di questi siti. In generale, comunque, con questo termine si indicano i luoghi dell’abbandono e quindi aree sulle quali insistono fabbricati spesso deteriorati o in rovina. I “greenfields” infine sono terreni non edificati e lasciati incolti, che si possono trovare sia in zone rurali che urbane. Spesso si tratta di aree non coltivate poiché in attesa di una destinazione più redditizia sul piano economico oppure terreni di estensione limitata e quindi non sfruttabili per l’attività di coltivazione o produzione. Questi derivano tipicamente dallo sprawl urbano e da una modalità di sviluppo delle città definito spontaneo, ma che in realtà rappresenta una forma di espansione abusiva ed illegale. Schematizzazione delle differenti definizioni degli spazi abbandonati
Brownfields
Greenfields LE MACROCATEGORIE DEGLI SPAZI ABBANDONATI
Greyfields
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“Brownfield” in Pennsylvania
“Greyfield” nel North Jersey
“Greenfield” nel quartiere Japigia di Bari
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2.2 ANALISI DEL DELL’ABBANDONO IN ITALIA
PANORAMA
Guardando con attenzione all’Italia, essa possiede un patrimonio di manufatti ed aree dismesse molto ampio, dovuto principalmente al boom edilizio degli anni recenti a cui si è accennato precedentemente. Tra il 1999 e il 2009 sono stati realizzati circa 300 milioni di metri cubi all’anno ed in un solo decennio sono stati edificati circa 3 miliardi di metri cubi (circa 46 metri cubi per abitante). Dal 1999 al 2007 i valori delle case sono saliti vertiginosamente (in 8 In Italia, tra il 1999 e il 2009 sono stati anni dal +25% nelle isole, +30% al Nord, edificati circa 3 miliardi di metri cubi. +60% nel centro Italia), come anche il numero delle compravendite e delle transazioni, delle agenzie immobiliari, degli studi tecnici e delle imprese di costruzione. Allo stesso modo, anche il paesaggio ha subito gli impatti dello sviluppo, quanto le città; tra il 1990 e il 2005 sono stati trasformati circa 3,5 milioni di ettari (una superficie equivalente al Lazio e all’Abruzzo messi insieme). Sulla base di un censimento effettuato dal WWF sul territorio italiano, nell’ambito del programma “Riutilizziamo l’Italia”, le segnalazioni riguardanti le aree dismesse identificano in gran parte aree già in precedenza edificate e solo in maniera inferiore si riferiscono a terreni incolti degradati o in evoluzione (aree dove la natura sta autonomamente riconquistando gli spazi sottratti). Queste risultano distribuite in maniera abbastanza omogenea su tutto il territorio nazionale italiano e ad esse sono legati anche alcuni rischi, come il pericolo di crollo, l’inquinamento dei suoli o l’utilizzo come discariche abusive o depositi di materiali. La varietà degli edifici e delle aree abbandonate è impressionante e per restituirne la complessità se ne propongono tre letture differenti, tra loro complementari, che tentano un approfondimento della suddivisione in macrocategorie esposta precedentemente. La prima metodologia di lettura è di tipo tipologico, la seconda è trasversale (individuando situazioni comuni che interessano tipologie diverse di oggetti) e la terza riguarda le principali aspettative, di popolazione ed associazioni, riguardo ai possibili usi futuri.
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- Edifici di elevata qualità storica
LE CATEGORIE DELL’ABBANDONO IN ITALIA
TIPOLOGICO
ed architettonica - Involucri delle attività produttive - Stutture militari - Relitti infrastrutturali - Immobili residenziali sfitti
TRASVERSALE
- Interrotti - Malgestiti
PRINCIPALI ASPETTATIVE
- Rafforzamento città pubblica - Soddisfacimento fini primari - Ripristino ambientale
Schematizzazione delle differenti tipologie di lettura del panorama dell’abbandono
Le principali tipologie sono gli edifici di elevata qualità storicoarchitettonica, gli involucri delle attività produttive, le strutture militari, i relitti infrastrutturali ed infine l’ampio panorama degli immobili residenziali sfitti. I primi rappresentano una parte consistente dell’insieme dei manufatti abbandonati, spaziando da interi centri storici a palazzi, castelli, fornaci, colonie marine, stabilimenti industriali di pregio architettonico, gasometri, cinema e teatri. Il loro riuso presenterebbe molteplici risvolti positivi, in quanto in genere sono collocati in parti centrali delle città e spesso rappresentano un elemento significativo dell’identità collettiva e della storia dei luoghi; talvolta però, versano in uno stato di degrado che richiederebbe un intervento troppo La prima metodologia di lettura è di tipo oneroso affinché possano tornare ad tipologico, la seconda è trasversale, la terza avere una nuova vita. Gli edifici destinati riguarda le principali aspettative sui possibili ad attività produttive rappresentano circa usi futuri. un quarto dei casi di abbandono e questo è certamente dovuto in gran parte alla contrazione delle attività manifatturiere in Italia, avviata oltre 30 anni fa ed accentuata negli ultimi 10 anni. Nella maggioranza dei casi si tratta inoltre di edifici
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recenti, isolati oppure inseriti in aree attrezzate. La loro collocazione si presenta come una delle variabili più significative ai fini delle opportunità di riutilizzo, soprattutto in relazione ad una funzione diversa da quella originaria. Riguardo alle strutture militari, in genere sono localizzate in ambito urbano e sono quindi adatte ad ospitare usi di vario tipo, anche residenziali, e spesso comprendono ampi spazi aperti, utile contributo per l’incremento del verde e degli spazi di relazione per i cittadini. Anche le reti infrastrutturali sono soggette a fenomeni di abbandono, come ad esempio i tracciati ferroviari dismessi, che in Italia contano un’estensione di 6.000 chilometri, ma anche stazioni ed edifici di servizio, strade mai aperte al traffico e tunnel. Soprattutto in relazione ai tracciati, alcune recenti buone pratiche di riuso hanno permesso di creare dei percorsi naturalistici o inseriti in contesti urbani, rivelatisi molto utili per incrementare la mobilità ciclopedonale. Infine, riguardo agli immobili residenziali “sfitti”, si segnala che nel corso del primo decennio del 2000 si è assistito ad un progressivo calo di investimenti per operazioni economiche nel settore immobiliare, dovuto all’incremento dei prezzi degli immobili, con conseguente calo delle nuove costruzioni e quindi una complessiva riduzione del volume di affari. La conseguenza è la presenza di un ingente numero di abitazioni non utilizzate e lo sviluppo sempre più diffuso di forme di coabitazione delle famiglie e condizioni abitative precarie. Riguardo alla trasversalità dell’abbandono e agli oggetti che, pur possedendo caratteristiche diverse, presentano problematiche simili, si possono distinguere due tipologie prevalenti: gli interrotti ed i mal gestiti. La categoria degli interrotti è costituita sia da manufatti la cui realizzazione non è mai stata portata a termine sia da manufatti che, una volta terminati, non sono mai stati utilizzati. Il panorama tipologico di questa categoria è piuttosto ampio, e comprende sia attrezzature pubbliche sia edifici privati. Si tratta in particolare di alcuni ecomostri bloccati da proteste di cittadini o da atti amministrativi, oppure di edifici abusivi sequestrati dall’autorità
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giudiziaria e che dovrebbero essere destinati alla demolizione. La seconda categoria, quella dei mal gestiti, include soprattutto spazi aperti, in genere pubblici, che non sono da considerarsi abbandonati in senso stretto ma che sono talmente mal gestiti da generare una protesta da parte della cittadinanza, considerando questo trattamento una ingiuria alla pari di quella dell’abbandono. In parallelo alla presenza diffusa di spazi abbandonati, è presente anche una forte domanda sociale che auspica una riqualificazione degli insediamenti urbani e del territorio e chiede il recupero ed il riuso delle aree e dei manufatti abbandonati, sottoutilizzati e dismessi. Questa si configura come una domanda matura e consapevole dei rischi di degrado legati all’abbandono e della necessità di dare la priorità al contenimento del consumo di suolo, conservazione del verde e della biodiversità; una domanda, inoltre, molto attiva rispetto alle idee e proposte di recupero. Le aspettative dei cittadini sugli us futuri sono orientate principalmente verso il rafforzamento della città pubblica, spaziando da centri di aggregazione sociale e culturale a spazi verdi e con finalità ludiche. Questo è un forte segnale di come si ritenga che il riuso delle parti di città inutilizzate possa risolvere i problemi lasciati da forme distorte di crescita della città, ma non si può non considerare che, per cogliere questa opportunità, sono necessarie risorse ingenti. Oltre ad aspettative di rafforzamento della città pubblica, un ruolo importante è occupato da quelle orientate verso il soddisfacimento dei fini primari, come quelli abitativi. Al riguardo, i manufatti di partenza, oltre agli appartamenti “sfitti”, sono piuttosto diversificati (strutture militari, porzioni di centri storici, stazioni ferroviarie, capannoni, magazzini) e sono interpretati come opportunità abitativa sia tradizionale sia estesa a genitori separati, anziani autosufficienti, popolazione temporanea ed immigrati. Infine, si registrano anche aspettative legate ad occasioni di ripristino ambientale, o comunque al miglioramento della fruizione di ambienti naturali, riguardanti sia edifici ed aree interne o limitrofe alla città che situazioni collocate nel territorio aperto.
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3 - IL PERCHÈ DELL’ABBANDONO
3.1 - DIFFERENZIAZIONE E DIFFUSIONE IN ITALIA
L’abbandono è diffusamente identificato (nel senso comune ma anche in buona parte della letteratura) come un fenomeno che riguarda determinate parti degli insediamenti urbani, tipicamente i centri storici montani spopolati dall’emigrazione oppure le aree periferiche delle grandi città, dove l’espansione ha inglobato attività produttive preesistenti rendendole incompatibili con i nuovi paradigmi urbani. In realtà però questa “definizione” non è completamente esaustiva, in quanto l’abbandono è una patologia estremamente diffusa e che riguarda, pur in misura differente, tutte le diverse parti della città e del territorio. Sempre sulla base del censimento del WWF dell’abbandono sul territorio nazionale italiano precedentemente citato, si segnala una grande quantità di edifici dismessi che non sono direttamente in relazione con le due dinamiche sopracitate. Questo a dimostrazione del fatto che in Italia il fenomeno dell’abbandono è l’esito di processi molto diversificati accomunati dal moltiplicarsi di situazioni di degrado urbano e contestuale consumo di nuovo suolo, a scapito dell’agricoltura e della natura. Il ruolo della situazione economica e finanziaria è stato determinante nell’innescare fattori alla base delle dinamiche dell’abbandono, come la crisi della sfera pubblica e dell’imprenditoria privata con la conseguente riduzione delle opportunità lavorative. Le stime del consumo di suolo a livello nazionale indicano, nonostante ciò, che l’espansione insediativa in Italia, dal Il ruolo della situazione economica e finanziaria secondo dopoguerra al 2014 ha avuto un è stato determinante nell’innescare fattori andamento all’incirca costante, rimanendo alla base delle dinamiche dell’abbandono. indifferente ai periodi di flessione del mercato immobiliare, ai cicli di congiuntura economica e soprattutto alla crescita demografica, molto contenuta sino all’ultimo decennio. Quindi, in un panorama come si è detto non particolarmente favorevole, il patrimonio degli immobili è stato reso statico ed incedibile e buona parte degli immobili prodotti nel boom immobiliare risulta tuttora “a disposizione”. Inoltre, nella geografia delle attività umane, soprattutto nelle aree metropolitane dove il
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fenomeno di abbandono è più evidente, il lavoro e soprattutto la produzione tendono a distribuirsi su scala provinciale o a spostarsi fuori dai confini nazionali, dando luogo ad uno svuotamento o ad un declassamento di numerosi contenitori, sia nelle zone orientate alla produzione che all’interno dei tessuti misti. Stessa sorte tocca inoltre anche al comparto commerciale, affetto da una flessione dei prezzi e dei contratti maggiore del residenziale. Il risultato è quindi una geografia dell’abbandono che si manifesta in maniera diversa e maggiormente diffusa rispetto alle vaste aree dei comparti produttivi, molte ancora non riconvertite. Si costituiscono come delle lacerazioni all’interno del paesaggio urbano, data la posizione spesso centrale degli ex manufatti produttivo-commerciali e data la particolarità di costituire spesso un luogo simbolico per le comunità locali del recente passato postindustriale. Lo scenario di crisi come si è detto ha contribuito ad accentuare il carattere “a grana fine” dell’abbandono edilizio, con la creazione in alcuni casi di una “città dentro la città”, e riguarda sia i centri storici che la città consolidata, ma anche le periferie destinate alla residenza e alle aree di produzione (le quali, caratterizzate da valori fondiari contenuti, hanno risentito di un abbandono più drastico ed esteso). Quindi, il panorama dei nuovi spazi inutilizzati arriva a comprendere sia la grande dimensione sia la microscala e si configura quindi come un fenomeno pervasivo e silenzioso. Il panorama dei nuovi spazi inutilizzati si D’altra parte però, lo scenario di crisi configura come un fenomeno pervasivo e ha contribuito anche a rendere visibile silenzioso. questo fenomeno, aumentando il livello di attenzione e la sensibilità della comunità, creando un ambiente fertile alla nascita di esperienze di riuso.
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Mappatura dell’abbandono di Milano realizzata da Temporiuso.org
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3.2 - UNA POSSIBILE CATALOGAZIONE DELLE CAUSE
È possibile individuare, all’interno del panorama sopra descritto, alcune categorie specifiche di motivazioni che portano all’abbandono, catalogando così la grande varietà di casistiche in relazione a delle precise cause e a delle possibili differenti soluzioni di riutilizzo. Si deve comunque tenere conto che in generale l’abbandono di un’area o di un manufatto può derivare da motivazioni diverse e concorrenti e di conseguenza diverse e concorrenti possono essere le soluzioni. Attesa speculativa Disinteresse vigile
Incapacità gestionale
LE CAUSE DELL’ABBANDONO IN ITALIA
Mancata convenienza economica
Schematizzazione riportante le principali motivazioni alla base dell’abbandono in Italia
Per convenienza
Investimenti pubblici errati
La prima causa che si prende in esame è l’abbandono di attesa speculativa, relativo a quei casi in cui la proprietà punta alla sostituzione di una funzione obsoleta con funzioni più redditizie, al fine di incrementare il valore di aree o edifici. Spesso i proprietari di queste aree sono dei privati, ma non sono poche le realtà in cui aziende pubbliche praticano l’attesa speculativa per tentare di migliorare lo stato dei propri bilanci. Altra casistica esaminata è quella dell’abbandono per disinteresse vigile, il quale sembra interessare soprattutto i patrimoni pubblici di vario genere (ex aree militari, ex ferrovie, ex attrezzature pubbliche come scuole, ospedali, mattatoi, mercati). In questo caso il titolare del bene non lo usa o lo usa in maniera marginale, ma nel contempo non intende in alcun modo cederlo, puntando in sostanza al congelamento del bene. L’abbandono per incapacità gestionale, altra motivazione nel processo di abbandono, associata o meno alla carenza di risorse, nasce da un sostanziale disinteresse per il patrimonio pubblico da parte di amministrazioni di diversi livelli. In altri contesti europei una reazione efficace a questa forma di abbandono viene dai cittadini
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stessi, che si sono costituiti parte attiva nella gestione di attrezzature di quartiere; in Italia non mancano esperienze in tal senso, ma sono ancora limitate. Inoltre, l’abbandono conseguente ad investimenti pubblici errati sono purtroppo frequenti. In questi casi, il riutilizzo è molto difficile e si configurano come situazioni che mostrano più di altre la necessità di ripristino delle condizioni precedenti, con la restituzione dei suoli alle attività agricole o alla natura. L’abbandono per convenienza è un’altra forma del fenomeno in oggetto che interessa tipicamente aree ed edifici oggetto di attività industriali che, in assenza o in violazione di normative, hanno generato un inquinamento dei suoli. Questo comporta un impiego di risorse pubbliche nei possibili percorsi di riuso, anche perché spesso non è più possibile far pagare i veri responsabili per gli errori commessi. Infine, l’abbandono per mancata convenienza economica al riutilizzo è l’ultima motivazione esaminata. Si configura come la forma di abbandono più incolpevole, ma non per questo meno dannosa; connesso a questa modalità di abbandono, in generale, c’è il fatto che i riutilizzi non darebbero luogo a convenienze economiche sufficienti e, quindi, spesso non possono aver luogo. Culturalmente però occorre fare un salto di qualità, per riconoscere che non tutti gli edifici possono riprendere le funzioni originarie e che non tutti gli edifici possono divenire un nuovo “altro” economicamente più vantaggioso, generando in maniera immediata le convenienze economiche indispensabili affinché l’operazione di riuso possa avvenire e si regga in piedi. Va comunque ricordato che le soglie delle convenienze economiche sono intrinsecamente mobili e che esperienze concrete di riutilizzo dimostrano come in alcuni casi un innesco, anche modesto, di un intervento pubblico riesca a rendere convenienti interventi privati che in precedenza non lo erano; in altri casi nuove idee di riutilizzo o nuove forme di gestione riescono a rendere attrattive situazioni apparentemente bloccate. Il riuso risulta, quindi, fortemente legato alla convenienza economica, ma l’innovazione e la creatività sono a pieno titolo componenti che possono fare la differenza e risolvere situazioni complicate.
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4 - IL 1° METODO DI APPROCCIO: CATALOGAZIONE E MAPPATURA DELL’ABBANDONO 4.1 - IL NECESSARIO RICONOSCIMENTO DEL PROBLEMA
Nonostante la loro presenza pervasiva e crescente ed il loro peso nell’economia, i rifiuti e gli “scarti” generati dall’abbandono non godono di un adeguato riconoscimento nel sistema produttivo industriale, e nemmeno di una idonea rappresentazione nelle analisi e nelle rappresentazioni cartografiche, basilari per le politiche di governo del territorio. La loro assenza nella cartografia di piano è il segnale di una rimozione culturale profonda che solo ora, a fronte di una crisi ambientale ed economica globale, inizia ad essere riconsiderata. Quella dell’abbandono, è una realtà in espansione, un mondo “inverso” che va rilevato, esplorato e raccontato in nuove mappe, poiché si tratta di una città inversa, appunto, che attende di essere inclusa e considerata da un progetto di rigenerazione. Occorre quindi operare un cambiamento di prospettiva ed iniziare a riconoscere questi “drosscapes” Quella dell’abbandono, è una realtà in (letteralmente prodotti di scarto di processi espansione, un mondo “inverso” che va economici ed industriali ormai sorpassati) rilevato, esplorato e raccontato in nuove come il vero scenario da cui partire, al fine mappe. di dare coerenza alle politiche ambientali ed urbane sostenibili; questo è possibile farlo solamente trasformandoli in una risorsa. Assumere quindi il panorama dei rifiuti e degli scarti come il nuovo contesto su cui intervenire con nuovi progetti è un atto di responsabilità e di impegno per il futuro.
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4.2 - MAPPATURA COME PRESA DI COSCIENZA E PUNTO DI PARTENZA PER L’AZIONE Per poter operare con efficacia è necessario prendere coscienza del patrimonio dell’abbandono che ci circonda. Il primo passo è quindi quello di effettuare una mappatura dei manufatti e delle aree abbandonate, per individuarne sottoinsiemi, caratteri comuni e specificità, restituendo in seguito una convincente rappresentazione. Ad oggi infatti non esiste mezzo o Per poter operare con efficacia è necessario supporto capace di restituire una prendere coscienza del patrimonio dell’abraffigurazione convincente di questa “città bandono che ci circonda. inversa”, diffusa e pervasiva, che si insinua sistematicamente ai margini delle infrastrutture, nelle aree trascurate, nelle larghe maglie dei tessuti generali dallo sprawl urbano e ingloba edifici e spazi in stato di abbandono di ogni genere. Una cosa ancor più importante in questo processo di mappatura, nonché un upgrade della semplice catalogazione, è la restituzione di un’immagine dinamica capace di dare corpo e figura all’oggetto abbandonato, al fine di trasmettere il valore percettivo ed emozionale, e l’indagine delle relazioni che instaura con il contesto in cui è inserito, importante base per uno studio di fattibilità ai fini di un riutilizzo. Mentre all’estero, in diverse realtà come Amsterdam, Londra, Amburgo, Berlino, il processo di mappatura dell’abbandono è attivato e curato dalle pubbliche amministrazioni, in Italia le mappe dell’abbandono sono per lo più curate ed aggiornate da attivisti, studenti e semplici cittadini. Questi, in generale, fanno parte della categoria degli enablers del paesaggio urbano abbandonato, gruppi attivi di tecnici e non che si occupano del “riuso dal basso” sviluppatisi prevalentemente a partire dalla congiuntura economica degli anni 2007-2008. Questi gruppi, costituenti una rete all’interno del territorio, condividono alcuni step cardine nel processo di riuso, il primo dei quali è proprio fondato sulla costruzione della conoscenza del fenomeno di abbandono e consiste solitamente in un censimento legato ad una mappa. Data la consistenza molto vasta del fenomeno, i diversi gruppi si avvalgono di mappature “partecipate” del patrimonio in disuso, per costruire dal basso i
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database geo-localizzati. Questo avviene attraverso esplorazioni, attraversamenti, sopralluoghi ed esperienze dirette che permettono quindi un’apertura della mappatura anche a soggetti esterni al gruppo di lavoro, con l’obiettivo di attivare un processo di sensibilizzazione riguardo lo sfruttamento delle risorse territoriali. Un valore aggiunto di questa operazione è quello della sua contestualizzazione all’interno delle possibilità fornite dalla pervasiva integrabilità con i “social media”, che permettono lo scambio online di informazioni. Lo spazio fisico, in particolare quello urbano, riesce ad essere associato a grandi quantità di informazioni di vario genere; un processo questo, perfettamente in linea con il concetto di “smart city”. La mappatura degli spazi in abbandono, quindi è il dispositivo cardine da cui partono tutte le ricerche e le attività relative all’abbandono; al suo interno però la grande varietà di oggetti identificati necessita di raccolta di informazioni precise e che permettono una diretta associazione al luogo fisico analizzato. La mappatura è il dispositivo cardine da cui Risulta importante infatti anche un partono tutte le ricerche e le attività relative parallelo processo di tassonomia degli all’abbandono. spazi, in quanto sono molte le tipologie di spazi e parti di città e territorio in abbandono e sottoutilizzo. Per ognuna di queste tipologie è necessario identificare nome, indirizzo, proprietà, funzione originaria, condizioni attuali, stato manutentivo dell’immobile, destinazione d’uso prevista dai piani ed eventuali proposte progettuali per il futuro, derivanti dagli stessi attori del processo di mappatura.
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4.3 - L’ABBANDONO A BOLOGNA
La dismissione di numerose attività, produttive e non, e il conseguente abbandono dei relativi spazi, così come l’inutilizzo di fabbricati creati dietro la spinta dell’eccessiva edificazione, è un fenomeno in crescita anche a Bologna. Questo in un contesto a livello urbano e regionale che continua a tendere verso un nuovo consumo di suolo, producendo di fatto nuovi manufatti di cui non c’è effettiva necessità, avendo al contrario l’opportunità di riutilizzare spazi esistenti che costituiscono un patrimonio diffuso. Al fine di mostrare il panorama dell’abbandono che colpisce Bologna, ambito del caso di abbandono del Mercato San Donato su cui si è lavorato, si è eseguita una mappatura degli spazi dismessi e attualmente in disuso, primo passo per un approccio critico al sistema dell’abbandono. Si rileva un’estrema diffusione di questi luoghi ed una grande varietà, a conferma del carattere capillare del fenomeno. Sono stati mappati, come si può notare dalla schematizzazione riportata, sia edifici pubblici che privati, ricadenti nelle tipologie commerciali, industriali, militari o anche civili o residenziali. Teatro ex Caserma Minghetti
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Ex Cinema Embassy
Chiesa di San Barbaziano
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MAPPATURA DELL’ABBANDONO A BOLOGNA
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07 09
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01. Ex Caserma Sani 02. Ex Area Staveco 03. Caserma San Mamolo 04. Teatro ex Caserma Minghetti 05. 34 Caserma G. Perotti 06. Serre ex FacoltĂ di Agraria
07. Edificio industriale in Via Carracci 08. Deposito postale 09. Capannoni in Via Paolo Bovi Campeggi 10. Ex direzione lavori 11. Caserma San Felice 12. Caserma Chiarini
13. Ex Bologna Motori 14. Ex Produzione Pasti 15. Palazzo Orsi Marconi 16. Ex Unicredit 17. Ex gasometro 18. Ex magazzino ed uffici
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19. Ex polveriera 20. Ex chiesa 21. Sottopassaggio pedonale 22. Ex Consorzio agrario 23. Ex dazio 24. Ex Clinica Beretta
25. Torre spada 26. Mercato San Donato 27. Villa Salus 28. Villa Ghigi 29. Chiesa S. Barbaziano 30. Ex Mercato Ortofrutticolo
31. Chiesa SS. Felice e Niccolò 32. Cinema Embassy 33. Ex Centrale del Battiferro
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Parte 2 IL RIUSO DEGLI SPAZI IN STATO DI ABBANDONO
1 - LA QUESTIONE DEL CONSUMO DI SUOLO 1.1 - SPRAWL URBANO E CONSUMO DI SUOLO
L’economia e la politica protese verso l’industrializzazione, i consumi e la continua crescita materiale hanno indotto un processo di sfruttamento del territorio e delle risorse che non si è posto limite riguardo alle trasformazioni dello spazio fisico, né ha creato per lo stesso credibili scenari a medio-lungo termine. L’uso incondizionato della risorsa suolo per la creazione di insediamenti produttivi, infrastrutturali, residenziali e di servizio è caratterizzata dai numerosi manufatti realizzati per soddisfare le esigenze contingenti, dalla scadente qualità tecnica e formale e dal generale sovradimensionamento delle strutture rispetto alle effettive necessità. Queste modalità di trasformazione del territorio hanno causato il degrado del paesaggio, riducendone il valore e privatizzandolo, portando quindi a compimento un inutile sacrificio per una forma di sviluppo che poteva essere diversa e portare ad un benessere duraturo. Non solo, spesso si è fatto un uso strumentale delle esigenze per promuovere un mercato basato sulle trasformazioni stesse piuttosto che nel loro utilizzo, comportando i sovradimensionamenti, le interruzioni delle relazioni tra i manufatti, la loro sottoutilizzazione ed infine l’inevitabile abbandono. Infine, il processo di concentrazione delle produzioni e della commercializzazione proprie del modello globale, ha ulteriormente incrementato i processi di dismissione e contemporaneamente consumato altro territorio per consentire l’insediamento di strutture adatte ai nuovi modelli produttivi e commerciali. Come anticipato, il secolo scorso è stato contraddistinto, soprattutto nel continente europeo, da uno sforzo di Il secolo scorso è stato contraddistinto, urbanizzazione enorme che ha consumato soprattutto nel continente europeo, da uno tutto lo spazio disponibile, portando sforzo di urbanizzazione enorme che ha le città ad espandersi a dismisura verso portato le città ad espandersi a dismisura la campagna, poiché, per esempio, si verso la campagna. è preferito operare costruendo nuovi quartieri residenziali piuttosto che risanare quelli esistenti degradati. Questa politica poco oculata ha portato ad uno smisurato consumo
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di suolo e ad un’espansione caotica delle città ed ha potuto aver luogo perché sostenuta dall’apparente convenienza economica di breve periodo derivante dalla nuova costruzione rispetto al recupero dell’esistente. Lo sprawl infatti rappresenta la naturale dinamica di evoluzione della città che si sviluppa senza l’osservazione di regole, attraverso l’urbanizzazione totale dello spazio disponibile nell’ottica di massimizzare i vantaggi che derivano dall’urbanizzazione. Ma bisogna tenere conto che superato un certo stadio di urbanizzazione, l’eccesso produce effetti negativi che incidono anche sul benessere sociale, quali l’esplosione della mobilità, la perdita della superficie a destinazione agricola, la frammentazione di habitat naturali e corridoi ecologici e la progressiva scomparsa del paesaggio. Nonostante queste considerazioni sugli effetti negativi prodotti, i dati del consumo di suolo in Italia (per anno, su base nazionale) riguardanti gli anni dal secondo dopoguerra ad oggi confermano questa tendenza all’espansione incondizionata, poiché si passa dal 2,9% degli anni ’50 al 7% del 2015. Quindi, risulta fondamentale oggi parlare di un uso del suolo sostenibile, del recupero del patrimonio edilizio e del riuso delle aree dismesse e sottoutilizzate, temi che si configurano come una priorità nell’ottica di risolvere il problema del riequilibrio urbano e di garantire un’opportunità di sviluppo economico di lungo periodo nelle diverse realtà cittadine, anche per le generazioni future. 9% 8% 7% 6%
Andamento del consumo di suolo a livello nazionale e ripartizionale, espresso in percentuale di suolo consumato sulla superficie territoriale tra gli anni ‘50 e il 2015 (Fonte: rete di monitoraggio ISPRA-ARPA-APPA)
Nord-Ovest Nord-Est Centro Mezzogiorno Italia
5% 4% 3% 2% 1955
1965
1975
1985
1985
2005
2015
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1.2 - LA NECESSITÀ DI UN CAMBIO DI ROTTA
Oggi, quindi, l’obiettivo delle politiche urbane deve essere quello di assicurare il più alto livello possibile di equità spaziale e territoriale, temporale e intergenerazionale, intervenendo per correggere gli squilibri. Negli ultimi anni infatti, con l’acutizzarsi del problema ecologico, l’ambiente naturale ha cominciato ad essere visto come una risorsa scarsa; questo è stato ulteriormente aggravato dal livello di degrado ambientale, che ha reso chiaro come sarebbe stato inevitabile il disastro ecologico se la strada intrapresa non fosse stata rivista. A questo punto infatti, il ripensamento del processo di sviluppo urbano che porti la città a crescere negli spazi vuoti, nelle aree abbandonate e sottoutilizzate e che abbia come intento quello di sostituire la nuova costruzione con il recupero e riuso dell’esistente si configura come un processo obbligato. Bisogna tenere conto quindi che per realizzare le trasformazioni sopra citate è stata impegnata una quantità Il ripensamento del processo di sviluppo di energia che è rimasta accumulata in esse, urbano che porti le città a crescere negli spazi come se si fosse costituito un deposito vuoti con il recupero e riuso dell’esistente si energetico che oggi può essere riutilizzato. configura come un processo obbligato. Al giorno d’oggi, data la consapevolezza di questo patrimonio che si sta diffondendo, non sfruttarlo significherebbe perderlo, realizzando quindi un ulteriore spreco e, in un quadro di risorse limitate, apparirebbe del tutto insostenibile ed illogico. Per far questo, è necessario cambiare le modalità operative ed avviare un grande progetto di carattere culturale, economico, sociale e ambientale che riporti al centro dell’attenzione valori quali la qualità dell’ambiente e del paesaggio, l’eliminazione degli sprechi e la salvaguardia della natura.
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2 - LE PRIME INIZIATIVE DI RIQUALIFICAZIONE DEL PATRIMONIO ABBANDONATO
È possibile individuare una relazione che collega il futuro del dismesso con il futuro delle città. In Italia, questa relazione venne rilevata per la prima volta negli anni ’80 quando, tramite la legge Galasso (legge 431/’85), si viene messi di fronte al concetto che tutto è paesaggio e quando, appunto, vi fu la prima stagione del dismesso, poiché le città registrarono gli esiti del fenomeno del decentramento produttivo e della diffusione insediativa che arrivò ad interessare anche numerosi centri rurali. In queste iniziarono infatti a comparire i vuoti urbani, dovuti alla dismissione di industrie e manufatti, accompagnati da situazioni di degrado insediativo e marginalità sociale. In prima fase furono toccati principalmente i grandi complessi industriali, quelli cioè che avevano avuto un ruolo cardine nella crescita delle città fabbrica nella prima fase di industrializzazione e che, in quel periodo, si vennero a trovare completamente inseriti nel tessuto urbano. Come conseguenza, emersero anche problemi di inquinamento e problemi di marginalizzazione sociale e di insicurezza, dovuti al riutilizzo improprio degli immobili abbandonati. Con la dismissione delle grandi imprese e con la contrazione della popolazione residente inoltre, le città persero la propria base economica e il loro ciclo di vita sembrò dirigersi verso la fine. Ci fu però una prima reazione delle amministrazioni pubbliche, che avviarono la ripresa di progetti infrastrutturali sospesi da anni e dotarono le città di programmi di riqualificazione urbana, attivabili con accordi tra il pubblico ed il privato, al fine di fermare l’allontanamento delle attività manifatturiere, richiamarne di nuove ed avviare un processo di rigenerazione del tessuto sociale. Di seguito ci sarà la crescita enorme delle costruzioni edilizie, realizzata in modo del tutto indipendente dalla domanda e con criteri localizzativi determinanti un consumo di suolo spropositato, e la ridondanza delle infrastrutture; queste mobiliteranno le coscienze relative all’abbandono ed al degrado di aree e manufatti, portando i cittadini a riscoprire il paesaggio delle aree agricole di una campagna che diverrà sempre più abitata e generando l’avvio di una seconda stagione del dismesso. Temi, questi, che verranno evidenziati dalla successiva crisi e che interesseranno
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non solo la dimensione urbana ma anche le risorse primarie come suolo, appunto, acqua ed aria. Le prime iniziative per la riqualificazione urbana, dapprima furono limitate ad alcune città o specifiche situazioni critiche e poi estese a programmi di maggiore complessità. In Italia però, questo si verifica con un ritardo rispetto al resto dell’Europa, a causa di procedure decisionali e strutture amministrative che rallentano il processo. Ciò nonostante, i casi rappresentativi di riqualificazione relativi alla prima stagione del dismesso, si possono suddividere in due tipologie: la prima riguarda iniziative portate avanti in alcune città italiane dalle strutture universitarie, gli enti che più sono costretti a dover affrontare il rinnovamento dei processi formativi e produttivi, nonché a dotarsi di nuovi spazi ed attrezzature tecnologiche; la seconda sono relative ai programmi di riqualificazione urbana intrapresi da alcune amministrazioni pubbliche, tramite accordi pubblico-privato ed a progetti basati su un mix funzionale comprendente il residenziale integrato dalla presenza di centri culturali, commerciali e terziari. Oggi, il fenomeno del dismesso è arrivato ad interessare anche le periferie delle aree metropolitane ed il territorio della campagna urbanizzata; la seconda stagione del dismesso, attuale, impone come anticipato l’attenzione sul consumo di suolo che non sembra arrestarsi. Le dismissioni infatti riguardano industrie e manufatti urbani, edifici mai utilizzati sia in ambito urbano che extraurbano, ma anche tessuti nei centri rurali ed ai margini della città così come insediamenti sparsi. È evidente quindi come oggi il futuro della città richieda programmi di riutilizzazione del dismesso, ma anche una gestione del costruito che non sia limitata a qualche buona pratica o ad interventi sui singoli manufatti. C’è la necessità di un’integrazione di politiche urbane e territoriali comprendenti progetti mirati alla riqualificazione di porzioni di città, tenendo conto che questa si configura ormai come una forma di urbanizzazione diffusa che vive anche grazie all’”altra città”.
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3 - IL TEMA DEI NUOVI CICLI DI VITA 3.1 - IL CONCETTO DI CICLO DI VITA
Appare ovvio che si può riciclare e riusare ciò che è soggetto ad un ciclo di vita, come appare ovvio che la città non segue un percorso biologico non modificabile, ma al contrario La città non segue un percorso biologico non ha la possibilità e la capacità di rigenerarsi modificabile, ma al contrario ha la possibilità al suo interno, superando quindi un ciclo e la capacità di rigenerarsi al suo interno, di vita e di declino, reinterpretando se superando un ciclo di vita. stessa. Questo è possibile grazie alle sue forze e dinamiche interne, capaci di generare sia degrado che, al contrario, rigenerazione. In un momento di trasformazioni radicali come quello attuale in cui la crisi e i mutamenti economici, sociali ed ambientali creano molte nuove fratture, il tema del ciclo di vita e del conseguente riciclo della città (e dei suoi materiali) genera un punto di vista essenziale e potenzialmente innovativo. Il concetto di ciclo di vita ha una storia ben radicata nelle scienze sociali ed economiche, in relazione alle nozioni di mutamento, sequenze, ritmi, dinamiche e processi. Soprattutto nella lunga tradizione americana di studi inerenti all’ecologia della città, entra con grande forza l’analogia tra gli ecosistemi e l’ambiente urbano. Fin dalla Scuola di Chicago di Burgess e Park vengono utilizzati concetti provenienti dalle contemporanee ricerche di botanica ed ecologia, al fine di eseguire una lettura della città per poi conseguentemente costruire modelli interpretativi e normativi. Ne conseguirono le teorie, a partire dagli anni ’50, che sostennero i vasti programmi di “renewal” urbano negli Stati Uniti, le quali si appoggiarono proprio al concetto di ciclo di vita e di ambiente urbano visto come una comunità ecologica. In seguito, tra gli anni ’20 e ’40 planners ed esperti di real estate allargheranno allo spazio urbano l’idea di “risorsa”, proprio a partire dal concetto del ciclo di vita. Questa idea sino ad allora era stata utilizzata per dare valore agli elementi naturali. L’ipotesi della conservazione della risorsa urbana, così come si conservano le foreste ed i fiumi, naturalizza infatti il fenomeno, ma rappresenta uno step fondamentale all’interno delle politiche e dei progetti legati alla città. Infatti permette di riconoscere
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l’esistenza di una progressione, dalla nascita all’invecchiamento, e di reagire allo stesso tempo al declino di parti di città sulla base di un possibile riciclo, conservazione e riuso. Questo dimostra che fin dall’origine del pensiero al ciclo di vita urbano, c’è stato un approccio al tema fortemente caratterizzato dallo scambio di concetti, analogie e metafore tra diversi campi e discipline e da questo punto di vista la metafora organica si configura come il più potente costruttore di impalcati concettuali. Dall’analogia con gli ecosistemi naturali all’ ecosistema identificato e studiato come tale, lo spazio urbano ripresenta oggi una riflessione sulla nozione di ciclo di vita e di città vista come risorsa. Questo è possibile solamente se, al di là degli esiti contradditori e non duraturi di molti interventi, viene accettata l’ipotesi che la città sia un risorsa e possa essere riciclata nelle sue parti o nella sua totalità, prendendo atto della conclusione di differenti cicli di vita. In questo senso, Le città nel loro farsi e disfarsi sono vista come le città nel loro farsi e disfarsi sono viste “risorse rinnovabili”. come “risorse rinnovabili” e riciclare la città si pone come una strategia fondamentale che tocca scale e temi diversi della questione urbana contemporanea.
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3.2 - GLI SCENARI POSSIBILI
Percorso dello “Scarto”
Percorso “Cradle to Cradle”
Schematizzazione delle differenti strade percorribili per i processi di riuso
GLI SCENARI DEL RIUSO
Percorso “Death and Life”
Lo scenario del riuso si sviluppa secondo alcuni percorsi che, pur portando ad uno stesso risultato (quello della generazione di un nuovo ciclo di vita di un manufatto o un area), partono da situazioni iniziali diversificate. Il primo percorso si costituisce a partire dallo scarto o drosscape e si configura quindi come un’azione che riguarda ciò che rimane dal processo di produzione dello spazio abitato. Infatti, come già anticipato, il processo di modifica ed adattamento dei luoghi genera degli scarti, dei resti imputabili alle modalità di costruzione. È chiaro che in questo caso, il semplice riuso dei luoghi catalogati come scarto, arrivati al termine del loro periodo di utilità, non esaurisce la questione, che andrebbe piuttosto affrontata a monte della produzione di “dross”. Un altro percorso che si può intraprendere è quello di trasformare parti di città che sembrano aver terminato il loro ciclo di vita, in quanto non sussistono più le condizioni per farle funzionare come quando sono state concepite. Sono aree e manufatti, questi, che necessitano di essere ripensate in profondità, come aree commerciali superate da nuove concezioni o tessuti di case isolate abitate da popolazioni invecchiate e sempre più isolate o ancora aree industriali superate a causa dei processi di globalizzazione e delocalizzazione. Mentre quindi il primo percorso induce ad una riflessione sulla quantità di resto della produzione e sulla possibilità di una sua riduzione oltre ad un possibile riciclo (percorso dello “Scarto”), il secondo sposta la riflessione sugli elementi fisici urbani e sui nuovi cicli che possono riguardare l’esistente (percorso “Death and Life”). Il terzo percorso si può invece intendere perfino al di là dell’idea del riciclo, collocandolo all’interno di un nuovo 45
paradigma, ancora più innovativo. È il caso del percorso “Cradle to Cradle”, il quale si basa sull’idea che non si fa un vero e proprio riciclo in quanto non si verifica un declino, ma un passaggio da uno stato all’altro. Quest’ultima tipologia di percorso si configura come il tema più rilevante e controverso del riuso in architettura. La formula a cui si fa riferimento è quella proposta da William Mcdonough e Michael Braungart, rispettivamente un architetto ed un chimico, che riguarda la “fine senza sprechi” di un oggetto, considerata parte integrante del suo progetto; questo in virtù della negazione della nozione stessa di “rifiuto”, promuovendo quella di “metabolismo”, sia biologico che tecnologico. Sul piano teorico non è certamente un discorso nuovo, infatti già nel pensiero materialista Marx aveva individuato la dimensione ciclica dei sistemi produttivi moderni, dove produzione e consumo sono due aspetti necessari e indissociabili dello stesso processo. Tuttavia, questa filosofia può essere sensata ed auspicabile nella maggior parte degli oggetti di uso comune, ma il discorso è inevitabilmente più complesso quando gli oggetti in questione sono dotati di un plusvalore simbolico, che rende impossibile l’accettazione della scomparsa totale degli oggetti stessi e di ciò che rappresentano. Ad oggi è necessario chiedersi dunque se e quando l’architettura possa rientrare in questo caso. Quando con il termine architettura non s’intende semplicemente edilizia di qualità ma qualcosa appartenente ad una forma d’arte, la questione del riuso rende probabilmente necessario uno scarto teorico, che non può essere semplicemente risolto con un percorso “Cradle to Cradle”, ovvero in termini di efficacia del sistema produttivo.
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4 - RIUSO E RICICLO NELL’OTTICA DI UN FUTURO DELLA CITTÀ 4.1 - PRECURSORI E CONTESTO ATTUALE DEL RIUSO
Monumenti come l’Acropoli, il Colosseo, i templi di Agrigento, sono solo alcuni fra i numerosi casi illustri che sono giunti fino a noi grazie alle continue trasformazioni dovute al riconoscimento delle loro qualità, non solo materiali ma anche simboliche e spaziali, che hanno portato ad un riuso degli stessi. Non solo, anche costruzioni ordinarie come case, infrastrutture come quelle del sistema delle acque romane o le strade dell’impero stesso, magazzini, spazi aperti, palazzi come quello di Diocleziano a Spalato (divenuto un vero e proprio centro cittadino) sono stati oggetto dello stesso processo nel corso della storia. L’elenco degli antichi recuperi sarebbe infinita, così come sarebbe impossibile disegnare finitamente una mappa che identifichi gli spostamenti dei singoli elementi costruttivi o decorativi, sottratti dalle costruzioni e Il processo di riuso che ha avuto luogo nel corso ricollocati altrove. Questo processo di della storia ha permesso la sopravvivenza di riuso che ha avuto luogo nel corso della numerosi manufatti ed ha anche permesso storia ha permesso la sopravvivenza di di creare modelli da cui sono sorte le nuove numerosi manufatti ed ha anche permesso costruzioni. di creare modelli da cui, nel corso del tempo, sono sorte le nuove costruzioni. Ovviamente, infatti, a quest’opera di riuso e riciclo si è sempre accostata una parallela produzione di nuove costruzioni, in cui il tema del riciclo si poteva cogliere nell’aspetto traslato di forme replicate. Palazzo di Diocleziano, oggi centro storico della città di Spalato
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Anche se non in modo evidente come nell’antichità, questo processo ha continuato ad incidere e non si è bloccato con il consolidarsi del mondo moderno. Infatti si può pensare come palazzi, castelli o complessi religiosi abbiano ospitato nel corso del XIX secolo musei, scuole, ospedali e municipi. Uno stesso discorso si può fare per esempio anche per le opere militari in dismissione e le infrastrutture previste per la guerra. Il processo in questione però, con il consolidarsi del mondo contemporaneo, ha subito, in parte, una battuta d’arresto. Come già detto, a partire dalla metà del Novecento si è sviluppata un’espansione urbana senza precedenti che ha messo in secondo piano la crescita della città su se stessa. Si è verificato il deposito di una quantità di “materiali” senza precedenti. La parte residenziale di queste presenze è stata sottoposta a processi continui di trasformazione e sostituzione ma lo stesso non si può dire per quelle strutture destinate all’assolvimento di funzioni che hanno subito una forte evoluzione nel giro degli ultimi decenni e che sono legate al trasporto, alla produzione o al commercio. Queste strutture hanno spesso prolungato la loro esistenza, oltre alla permanenza delle attività originariamente ospitate, ed hanno generato una popolazione di “relitti” di varia natura caratterizzanti il mondo contemporaneo. Mentre all’epoca in cui furono concepite e realizzate erano viste come l’espressione più genuina di modernità, oggi, la loro esistenza si misura con il mutare della sensibilità comune nei confronti dell’ambiente e con le conseguenze dell’instabilità che si respira in città e territori dovuta, a crisi finanziarie, eventi catastrofici e modificazioni ambientali e climatiche sempre più critiche. Da questo scenario, in cui ciò che anni fa era percepito come inevitabile ed indispensabile per il progresso oggi è visto come superfluo, emerge la questione di come alzare nuovamente “il rendimento” di questo panorama di opere sovrabbondanti. Una riflessione questa che si potrebbe estendere oltre alle infrastrutture
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ed alle fabbriche citate in precedenza, andando a toccare presto anche molti “monumenti” contemporanei come spazi espositivi, stadi o centri commerciali. Questi infatti potrebbero ritrovarsi in difficoltà per via della necessità di innovazione o dell’adeguamento normativo, oppure trovarsi in una condizione di insostenibilità dovuta agli elevati costi di costruzione e manutenzione. Nulla quindi sfugge oggi alla logica generale dell’abbandono e del conseguente scarto ed è in questo ambito che inizia a rivelarsi una nuova logica del riciclo, che spazia dai materiali agli ambiti territoriali, passando per i fabbricati; di questi va valutata l’adattabilità a nuovi usi e l’adeguatezza ambientale. È lecito comunque ipotizzare che la particolare natura di questo accumulo di rimanenze eterogenee le renda particolarmente adatte ad un’opera di reimpiego, che intenda a raggiungere un miglioramento degli stessi luoghi che spesso hanno subito un deterioramento dovuto alla loro presenza. Se la condizione di “scarto” è infatti dovuta al collasso o al progresso di reti di vario genere, un recupero che sia virtuoso dovrà Si aprono due possibilità nei confronti di questi poter non solo modificare le funzioni ma “scarti”: la prima è quella di ripristinare una anche, e soprattutto, collocarle in nuovi condizione preesistente, operando tramite la sistemi che siano per di più attenti alle demolizione, mentre la seconda è quella di caratteristiche del contesto. Si aprono ridare alle strutture obsolete un nuovo senso quindi due possibilità nei confronti ed una nuova qualità. di questi “scarti”: la prima è quella di ripristinare una condizione preesistente, operando tramite la demolizione, mentre la seconda è quella di ridare alle strutture obsolete un nuovo senso ed una nuova qualità. Risulta comunque importante sottolineare come a partire dagli anni Settanta del secolo scorso si siano concretizzati dei capisaldi senza i quali il discorso sul riciclo sarebbe rimasto confinato nell’ambito della bella politica urbanistica. L’idea che un progetto architettonico o urbano, potesse basare la sua identità figurativa sull’atto del riciclaggio di una preesistenza e del suo riuso è diventata infatti chiara con una sequenza di “progetti d’autore” risalenti al periodo
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tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta. Alcuni capolavori dell’architettura del riuso concettuale si pongono ad un estremo del campo di sperimentazione ma sono essenziali per far comprendere che il significato ed il valore d’uso dell’architettura non si possono più identificare con la sua natura tettonica e di conquista del vuoto. All’estremo opposto invece si rilevano progetti che sono espressione di una versione apparentemente più artigianale e situazionista del riciclo. Da notare che, in Italia, anche il versante più ortodosso della cultura architettonica, grazie allo stimolo derivante dall’enorme dotazione di manufatti su cui lavorare, si è spesso confrontata con il tema del riuso, con una tendenza però a spostare la discussione verso la scala della città e del territorio. Mentre inizialmente si tendeva ad un approccio limitato al riciclo, lasciando nelle mani del restauro e della ristrutturazione l’intervento sull’esistente, con il tempo le culture tradizionali si resero inadeguate. Questo davanti alla crescente massa di edifici di ogni genere, natura e valore che conclusero il loro ciclo di vita sul territorio nazionale, i quali resero evidente la non adeguatezza dell’approccio conservativo o della demolizione. Le Fresnoy, Bernard Tschumi Architects
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4.2 - IL RIUSO COME NUOVA OPPORTUNITÀ
Nell’ambito dell’architettura e dell’urbanistica si è scoperto da poco questa opportunità di operare un riuso consapevole e pensato; nella scoperta tardiva si nasconde il pericolo che si diffondano ideologismi o leggerezze nell’affrontare il tema. È necessario che si trasformi l’opportunità che oggi si presenta in una reale occasione di miglioramento del paesaggio contemporaneo e per farlo è fondamentale che una nuova cultura progettuale rinnovata si confronti con questa infinita popolazione di resti sul territorio urbano, su cui si devono impegnare le più giovani generazioni di architetti. Se una parte consistente del lavoro dei futuri progettisti consisterà nella correzione di ciò che già precedentemente ha avuto una vita espressione di un certo tipo di progresso, è necessario capire quali devono essere le finalità di queste “correzioni”. Altro fatto fondamentale è leggere la reale natura e le dinamiche dei nuovi contesti su cui l’azione correttiva dovrà lavorare. Infatti, ciò che oggi si presenta alle nostre città come uno spazio abbandonato o sottoutilizzato può avere un’importanza strategica proprio nei confronti di tematiche fondamentali per il vivere sociale, come quella dello spazio pubblico, che nelle sterminate estensioni urbane precedenti è stata completamente cancellata. Prendono piede quindi tanti temi architettonici di grande interesse, che spaziano andando a toccare diverse situazioni. È in atto quindi una sfida difficile, che richiede l’acquisizione di una coscienza rinnovata e che prevede un riciclo che lavori su nodi strategici, con alla base una rinnovata idea di progresso. Progresso che non dovrà solamente portare ad un miglioramento estetico di opere anonime ma creare nuove connessioni ed implementare le potenzialità relazionali di ciò su cui si interviene. La possibilità che si presenta oggi, nell’ottica di un futuro della città, grazie a forme particolari di riuso, è che possa nascere una generazione di spazi ed opere architettoniche in grado di contrastare l’usura che pervade i luoghi in cui viviamo. Usura che non interessa solo gli usi, ma soprattutto i significati ed i valori che quei luoghi portano con sé e possono trasmettere.
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4.3 - ALCUNI ESEMPI DI RIUSO
Al fine di supportare la trattazione sul riuso ed il riciclo e sulla efficacia degli stessi, si sono scelti alcuni esempi che vengono brevemente presentati in seguito. Per dimostrare quanto sia una pratica diffusa ed applicabile ai più differenziati ambiti delle città, si sono scelti cinque progetti di riuso provenienti da diverse realtà e incidenti su manufatti industriali, dotazioni pubbliche delle città, spazi urbani interstiziali, infrastrutture e manufatti lasciati incompiuti. Il primo progetto che viene portato all’attenzione è quello che riguarda il riuso delle Manifatture Knos di Lecce. Rappresentano un esperimento culturale e sociale in continuo divenire, che riguarda la riqualificazione di una vecchia scuola di formazione per operai metalmeccanici abbandonata da anni. Tramite il coinvolgimento diretto di cittadini, artisti e professionisti, si è potuto dar vita ad un centro internazionale di ricerca, formazione e produzione culturale basato sull’autonomia artistica ed organizzativa. La struttura è di proprietà della Provincia di Lecce che lo ha affidato all’associazione culturale Sud Est nel 2006, sulla base di un progetto culturale condiviso. L’associazione in questione ha guidato il processo di ristrutturazione e di nascita del centro, attivando un progetto urbano che ha portato ad un largo coinvolgimento della cittadinanza, che tutt’ora porta avanti progetti culturali innovativi. Oggi le Manifatture Knos ospitano una molteplicità di progetti di formazioni, ricerca e produzione, che interagiscono e si nutrono reciprocamente, relativi ai diversi ambiti culturali ed artistici. Un progetto che invece riguarda il riuso di uno spazio originariamente pensato per la dotazione di un servizio pubblico è quello del Parco culturale Ex-Càrcel di Valparaìso in Chile. L’edificio dell’ex-carcere si trova nel pieno centro della città di Valparaìso ed è stato attivo per 150 anni, fino al 1994 quando il servizio carcerario è stato trasferito. Dalla sua dismissione l’edificio è passato insieme ai due ettari di terreno che lo comprendono all’Amministrazione Regionale della Segreteria Nazionale dei Beni Architettonici ed è stato da sempre
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Le Manifatture Knos di Lecce
Il Parco Culturale Ex-CĂ rcel di Valparaiso, in Chile
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oggetto delle richieste della cittadinanza del quartiere, intenzionata ad utilizzarlo come spazio per la collettività. Non ottenendo risposta, lo spazio è stato occupato, anche in opposizione alla volontà di demolizione. Grazie all’attività degli abitanti e all’associazione Corporaciòn de Amigos de la Ex-Càrcel, la Segreteria ha attuato un programma di recupero, che ha permesso la creazione di un Parco Culturale Patrimonio dell’Unesco, ospitante un centro culturale di quartiere, ma anche un ostello, un centro commerciale, un centro per eventi e biblioteca, costituendo un’area fondamentale per lo sviluppo della comunità e la ricreazione collettiva. Questo, nel chiaro valore simbolico dell’intervento e della trasformazione ottenuta. Riguardo al riciclo delle opere infrastrutturali, il progetto più emblematico è sicuramente l’High Line di New York. Fu costruita tra il 1929 ed il 1934 come una linea ferroviaria sopraelevata, larga tra i 10 e i 20 metri e alta tra i 6 e gli 8 metri ma oggi costituisce un nuovo parco pubblico lungo 1,5 miglia. Infatti fu progressivamente abbandonata e demolita dagli anni ’60 ma grazie ad associazioni locali come gli “Amici della High Line” è stato possibile salvarne e conseguentemente riqualificarne una parte. Oggi il recupero della vecchia infrastruttura assume un ruolo di notevole rilievo in una città povera di aree verdi e dove quindi in paesaggio rappresenta un elemento importante per la riqualificazione del tessuto consolidato. L’High Line di New York
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Un altro tema è quello della riqualificazione di aree urbane interstiziali, per il quale il progetto proposto è lo Westblaak Skatepark di Rotterdam. La Westblaak è una delle principali arterie di collegamento della città di Rotterdam ed il progetto si colloca nello spazio residuale tra due infrastrutture, nella parte centrale di un viale a due corsie del percorso in questione. Al fine di rendere attrattivo e riqualificare questo spazio di risulta, la Municipalità di Rotterdam ha deciso di progettare uno skatepark, per trasformare l’area in una zona dinamica ed attrattiva. Con questo progetto, attività solitamente associate alle aree periferiche delle città sono state portate in centro per rivitalizzare uno spazio residuale ed allo stesso tempo evidenziare la natura pubblica e collettiva dello spazio urbano. Oggi quest’area risulta totalmente integrata nello spazio urbano e l’impatto del progetto sulla città è stato notevole, dando anche un nuovo risvolto alla mobilità dell’area. Infine, relativamente a progetti di riuso che riguardano manufatti incompiuti, il progetto El Faro de Oriente di Città del Messico si presenta come un modello di sviluppo urbano locale. Il punto di partenza è una struttura risalente ai primi anni ’90 che fu costruita per ospitare la sede di alcuni uffici governativi e rimase incompiuta, con la conseguente trasformazione in discarica dell’intera area. El Faro de Oriente è una istituzione del Dipartimento della Cultura del governo della Città del Messico, che nacque nel 2000 e propose all’amministrazione un progetto di recupero e bonifica dell’intera area, con conseguente trasformazione dell’edificio in un centro di produzione artistica per la comunità di Iztapalapa. L’intero spazio è stato quindi recuperato come centro culturale per il quartiere e, simbolicamente, alla sua inaugurazione è stato realizzato un murales con il coinvolgimento della popolazione, che caratterizza il complesso. L’obiettivo principale di questo centro è di dare un’offerta concreta di promozione culturale e formazione relativamente a discipline artistiche ed artigianali ad una popolazione che si trova in una condizione di emarginazione fisica, economica e culturale.
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Westblaak Skatepark di Rotterdam
El Faro de Oriente di CittĂ del Messico
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5 - IL RIUSO TEMPORANEO ED IL “TEMPO DI MEZZO” 5.1 - IL RIUSO IN UNA FASE DI TRANSIZIONE
Com’è noto le città occidentali, dopo aver attraversato la bolla immobiliare degli anni Novanta, hanno attraversato la più grande crisi del mercato immobiliare stesso degli ultimi cinquant’anni. Questa crisi ci consegna una enorme sovrapproduzione di manufatti, insieme all’incapacità di far funzionare i tradizionali processi di riuso di edifici e spazi abbandonati e dismessi. Oltre a ciò, questi ultimi possono attraversare oggi periodi di sottoutilizzo, dovendo affrontare quindi momenti di transizione, incertezza ed immobilismo, che in certi casi si portano avanti perfino da alcuni anni. Infatti, nel panorama di crisi economica ed instabilità finanziaria, cambiamenti politici e deindustrializzazione, può essersi verificato il collasso delle vecchie destinazioni d’uso e, in attesa di nuovi programmi e progetti di riuso, si genera un gap temporale e funzionale. Questo ritardo nella riqualificazione degli spazi abbandonati è dovuto a molteplici cause, come gli elevati costi, le opposizioni politiche, lo scarso interesse economico di un possibile intervento o la lentezza nell’approvazione di piani di recupero. È in questo “tempo di mezzo” però, tra vecchia e nuova destinazione d’uso, che si rendono possibili riusi temporanei, che possono È in questo “tempo di mezzo”, tra vecchia essere legati ad attività sperimentali o e nuova destinazione d’uso, che si rendono progetti temporanei e che possono offrire possibili riusi temporanei, che possono essere nuovi scenari di rigenerazione urbana. legati ad attività sperimentali o progetti D’altra parte, le mutazioni delle città nel temporanei e che possono offrire nuovi tempo sono sempre state caratterizzate scenari di rigenerazione urbana. dagli usi transitori: lo dimostrano i tanti esempi che si possono trovare, come quelli di chiese che sono diventate magazzini, conventi trasformati in caserme, abitazioni che si trasformano in negozi o uffici oppure strutture pubbliche che vengono impiegate come spazi di accoglienza o detenzione. Questo è chiaramente un processo consueto nell’emergenza, quando bisogna affrontare eventi imprevedibili attraverso la reinvenzione di spazi e luoghi per ospitare attività e pratiche “eccezionali”. È fondamentale però tenere conto che anche le trasformazioni ordinarie nelle realtà urbane, non previste da piani o programmi, avvengono proprio
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tramite la riappropriazione temporanea di spazi; questi vengono usati in modi originali, che si discostano da quelli per i quali quei luoghi erano stato concepiti, progettati e costruiti. In altri termini, gli usi e i riusi temporanei si delineano come un canale privilegiato per la trasformazione della città, che possono portare la città stessa, i suoi utilizzatori e le sue istituzioni a reinventarsi ed a riappropriarsi di ciò che era stato dimenticato e perso. Risulta ormai chiaro che le strategie di riuso possano e debbano diventare una chiave essenziale per ripensare radicalmente le nostre città, affrontando una nuova ipotesi di sviluppo urbano che si distacchi nettamente dall’espansione insediativa e dal consumo di suolo. Ma riguardo alle pratiche di riuso temporaneo, queste possono essere una risposta ancor più in linea con i profondi mutamenti delle pratiche sociali urbane e con l’attuale frammentazione dei modi e delle forme di appropriazione ed uso della città, la quale rispecchia la pluralità di popolazioni che abita la Le pratiche di riuso temporaneo possono realtà urbana contemporanea. Risulta essere una risposta ancor più in linea con i infatti sempre più evidente la discontinuità profondi mutamenti delle pratiche sociali con le forme tradizionali dell’abitare, del urbane e con l’attuale frammentazione dei lavorare, del muoversi e del divertirsi e modi e delle forme di appropriazione ed uso parallelamente sta crescendo la richiesta della città. di spazi e luoghi per pratiche delimitate nello spazio e nel tempo da parte delle nuove popolazioni urbane. I riusi temporanei si configurano quindi come una risposta alle forme di innovazione sociale che connotano le pratiche d’uso della città contemporanea ma anche come un’occasione per prendersi cura di un patrimonio spesso trascurato per via di logiche finanziarie ed economiche. Inoltre, altra caratteristica fondamentale delle pratiche di riuso temporaneo, è che queste si fondano su processi sociali complessi e che coinvolgono più attori, nei quali è necessario che vi sia un incontro fra la mobilitazione sociale e la capacità delle istituzioni di aprirsi all’innovazione sociale. Essenziale però risulta anche dotare di nuove capacità e competenze la comunità
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di pratiche che investe sulla progettazione di usi temporanei per spazi in abbandono. Competenze queste che non devono riguardare solamente la dimensione dell’attenzione alla forma e al disegno dei luoghi, ai materiali e al contesto urbano, ma anche gli aspetti più relativi alla gestione del progetto, del dialogo sociale, della programmazione finanziaria e manutenzione dell’intervento. È necessario quindi che vengano coinvolti tutti i luoghi della formazione di architetti, urbanisti e progettisti e che si costruiscano e si facciano circolare saperi ed esperienze. Naturalmente, al di là degli aspetti positivi delle pratiche di riuso temporaneo, ci sono anche dei rischi: ad esempio, queste attività non devono diventare un modo per le istituzioni di eludere problemi e rinviare necessari investimenti, come non devono finire per riguardare poche minoranze tagliando fuori così una domanda più generale di riappropriazione degli spazi e luoghi di abbandono.
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5.2 - DIFFERENTI TEMPORANEO
LIVELLI
DI
RIUSO
Risulta ormai chiaro come con le pratiche di riuso temporaneo si possa quindi inserire un altro ciclo di vita nel “tempo di mezzo”, tra una vecchia ed una nuova destinazione d’uso. Questo ulteriore ciclo potrebbe essere di diverso tipo, ad esempio un semplice ciclo espositivo della durata limitata di qualche giorno, in seguito ad una concessione d’uso, o un periodo abitativo di qualche mese o anno da parte di studenti, con contratto d’uso temporaneo, oppure un ciclo lavorativo di 3 o 5 anni legato allo start-up. Allo stesso tempo possono aver luogo anche cicli di riuso più brevi di un giorno, per eventi o sistemazioni di alloggi temporanei. Questo in relazione ai cambiamenti di percezione delle contemporanee condizioni di vita, sempre più viste come temporanee e legate alla mobilità sociale, nonché influenzate dalla frammentazione della famiglia e dalla flessibilità lavorativa. Sono nate infatti nuove trame abitative e lavorative, in seguito alla precarietà economica ma anche alla temporaneità dei cicli di vita (studente, anziano, genitori single, famiglie che aspettano figli) ed alla mobilità dei ritmi di lavoro e di svago nelle città. In relazione a queste dinamiche si vanno quindi a definire differenti tipologie e livelli di riuso temporaneo, che comportano differente qualità e costo degli interventi da effettuare sui “nuovi contenitori” di funzioni Si vanno a definire differenti tipologie e temporanee. Questi variano a seconda di livelli di riuso temporaneo, che comportano alcuni fattori fondamentali, come la durata differente qualità e costo degli interventi da del riuso, il tipo di programma di riuso, lo effettuare sui “nuovi contenitori” di funzioni stato di manutenzione dell’immobile ma temporanee. anche il coinvolgimento degli usufruttuari nell’auto-costruzione e manutenzione dell’intervento. Secondo Temporiuso, una delle più attive associazioni culturali promotrici del riuso temporaneo dell’abbandono, si possono definire tre livelli di intervento architettonico: - “Livello 0”, riuso di breve periodo (qualche giorno) con concessione d’uso breve, in genere in caso di eventi o manifestazioni, che richiede la semplice messa in sicurezza dell’immobile e l’utilizzo di arredi ed allestimenti facilmente rimovibili;
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- “Livello 1”, che prevede un periodo di riuso più lungo, tra uno e tre anni, per ospitare ad esempio un ciclo abitativo o start-up e che necessità di dotazioni impiantistiche primarie stabili oltre ad arredi ed allestimenti pensati comunque per una facile rimozione; - “Livello 2”, il quale prevede un periodo di attivazione di cinque anni con possibilità di proroga e che necessita sempre di una dotazione impiantistica stabile, con strutture architettoniche leggere permanenti ma sempre indipendenti strutturalmente dall’edificio.
LIVELLI
REGOLE
RIUSO TEMPORANEO
OFFERTA
DOMANDA
PROCESSI
- Livello 0 (10 giorni - 9 mesi) - Livello 1 (9 mesi - 3 anni) - Livello 2 (3 anni- 5 anni)
Schematizzazione che illustra i differenti fattori concorrenti nel processo di riuso temporaneo
- Comodato d’uso per abitazioni, laboratori e associazioni - Concessione in uso temporaneo per installazioni e performance - Ex spazi commerciali - Ex spazi industriali - Ex spazi agricoli - Ex edifici pubblici - Studenti - Associazioni e Cooperative - Artisti - Artigiani - Turisti low cost - Monumentalizzazione - Fondazione - Metamorfosi - Coesistenza - Emergenza
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5.3 - ALCUNI ESEMPI DI RIUSO TEMPORANEO
Volendo portare all’attenzione alcuni esempi di pratiche di riuso temporaneo di spazi in abbandono, in relazione ai diversi livelli citati, si può fare riferimento ai seguenti progetti. Il primo progetto preso in esame di riferisce ad un riuso temporaneo di livello 0, che ha avuto luogo a Milano per mano dell’associazione Esterni ed è la Casa dei Designer. L’iniziativa nasce dall’esigenza di accogliere temporaneamente in città dei turisti low-cost attratti da grandi eventi culturali, come il “Salone del Mobile”. L’esperienza ha avuto una durata di 15 giorni ed ha avuto luogo nei vecchi magazzini della stazione di Porta Genova ed è stato necessario ottenere dei permessi di concessione temporanea. Questi sono stati allestiti in modo molto semplice, con cose trovate o prese in prestito, in modo da poter ospitare 70 persone. Il riuso temporaneo di livello 1 portato ad esempio è quello che riguarda il progetto attivato dall’associazione già citata Temporiuso a Milano che si chiama P7 Palazzina Liberty. Si tratta di un immobile facente parte del complesso dei Magazzini Generali di Milano, che fino all’abbandono del 1996 era stata adibita ad abitazione del custode del mercato. Grazie all’intermediario Temporiuso, che ha operato un’importante mediazione con il Comune di Milano, è stato possibile realizzare un workshop ed un successivo invito alla creatività, che ha portato all’insediamento temporaneo di tre associazioni nei locali al piano terra e quattro studenti nell’appartamento al piano primo. Questo, dopo la realizzazione di alcune opere di manutenzione straordinaria ed ordinaria. Il contratto che è stato in seguito stipulato prevede un comodato d’uso temporaneo gratuito, escluse le spese di mantenimento e gestione, della durata di un anno ma rinnovabile. Sempre Temporiuso è l’”enabler” del progetto Made in Mage, a Sesto San Giovanni, catalogabile nel livello 2. Il riuso temporaneo degli ex Magazzini Generali Falck si inserisce all’interno di un progetto pilota avviato dal comune, dopo alcune precedenti esperienze positive. A seguito dell’approvazione della Delibera Comunale per il progetto sperimentale di riuso, viene lanciato il bando “Invito alla creatività Made in Mage” con lo scopo di selezionare quindici realtà artigianali
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La Casa dei Designer a Milano
La P7 Palazzina Liberty a Milano
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I Magazzini Generali Falck a Sesto San Giovanni
La Darsena NDSM ad Amsterdam
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che fossero legate ai temi del critical fashion e del design sostenibile, assieme ad un soggetto che avesse il ruolo di gestore, individuato poi in ARCI Milano. Il contratto d’uso temporaneo che ne è scaturito aveva la durata di tre anni, ma è stato rinnovato al termine e gli spazi sono stati soggetti solamente a piccoli interventi e ad un’operazione di auto-arredamento da parte degli usufruttuari. Significativi sono anche i tanti esempi di riuso temporaneo che si possono trovare all’estero, dove la cultura del riuso è senza dubbio presente da un tempo più lungo e maggiormente radicata. Al riguardo si può portare all’attenzione l’intervento di riuso temporaneo di livello 1 realizzato a Bruxelles, grazie alla spinta dell’associazione Citymine(d). L’intervento in oggetto riguarda la storica palazzina di Priemstraat, che, acquistata da un network di organizzazioni cristiane chiamata CAW MOZAIEK al fine di insediarvi gli uffici, era in attesa della redazione ed approvazione del progetto di ristrutturazione. L’associazione Citymine(d) è intervenuta per far sì che in questo tempo di mezzo la palazzina fosse utilizzata temporaneamente come spazio di co-working, atelier ed infopoint per il quartiere, per artisti e compagnie selezionati in seguito all’accordo raggiunto con la proprietà. Questo esempio rientra tra gli spazi avviati nell’ambito del progetto PRECARE (di cui si parlerà anche in seguito) della città di Bruxelles, che si pone l’obiettivo di incoraggiare i proprietari a concedere l’utilizzo temporaneo degli immobili inutilizzati come spazi di lavoro e produzione culturale. Un altro esempio è quello di Amsterdam e riguarda la concezione di città come “guscio”. Tramite l’amministrazione comunale ed un collettivo di artisti ed attivisti, il Gilde, è stato realizzato un concorso di idee per la gestione ed il riuso temporaneo di edifici e spazi aperti in abbandono del porto, la darsena NDSM (Noord Dock Shipyard), vinto da un gruppo di artisti ed architetti guidati da Eva De Klerk. L’idea sta nel fornire uno scheletro, un guscio appunto, in cui sarà l’utilizzatore finale a determinare cosa costruire all’interno; utilizzatori scelti e gestiti dall’associazione vincitrice del bando appunto, la Kinetisch Noord.
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6 ATTIVAZIONE E REGOLAMENTAZIONE DEL RIUSO 6.1 - IL RUOLO DELLA COMUNITÀ
Le comunità, attraverso i comportamenti e le scelte sia individuali che comuni, sono tra i responsabili della qualità di territorio e paesaggio. Questo ruolo attivo per troppo tempo è stato interpretato come esclusiva espressione di interessi privati e speculazioni ed ha portato a risultati oggi ben visibili. Per questo la collettività deve diventare consapevole di poter essere il principale La collettività deve diventare consapevole di attore in un processo di riqualificazione poter essere il principale attore in un processo diffusa, partendo dalla verifica stessa di riqualificazione diffusa. della possibilità di recupero di ciò che può essere riutilizzato o naturalisticamente ripristinato. Oggi sembra che le condizioni sociali per consentire il passaggio verso questa consapevolezza comune ci siano, come dimostra il crescente interesse da parte delle comunità sul tema del riuso ed il numero sempre crescente di sperimentazioni da parte dei cittadini. È quindi necessario comprendere quali siano le necessità e le aspirazioni che muovono la comunità, per far sì che venga integrata attivamente in un nuovo processo di pianificazione, che non sia statico ma in continua evoluzione. Infatti, la definizione di un quadro strutturato di politiche per il riuso, dato il contesto di grande frammentazione e diffusione dell’abbandono, deve basarsi sull’adozione di processi diversi da quelli avviati per le grandi trasformazioni urbane. La disponibilità di spazi da riutilizzare è il primo elemento fondante per dei nuovi processi creativi di riuso, che portino anche alla fornitura di servizi convenzionali e non, i quali nello scenario di crisi sono venuti a mancare. Oggi si è delineata una figura fondamentale per l’attivazione dei processi di riuso, la quale da un lato guarda all’offerta di spazi disponibili per il riutilizzo e dall’altro accresce sempre di più un sistema di reti all’interno della cittadinanza attiva, al fine di costruire forme creative di riattivazione del paesaggio in abbandono, che possa dare un valore aggiunto alla sfera pubblica urbana. L’attuale scelta di molti infatti è quella di impiegare le proprie energie e competenze per la costituzione di entità multiformi che si pongano come “enablers” di dinamiche innovative riguardanti la “governance” urbana, nei quali le posizioni tradizionali risultano insufficienti.
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6.2 - LA GESTIONE DINAMICA DELLO SPAZIO URBANO E DEL PATRIMONIO ABBANDONATO: IDEE ED ESPERIENZE L’intento è quello di coniugare questi processi che nascono dal basso, e che possono portare al riuso temporaneo e non di spazi in abbandono, alla pianificazione urbana di lunga durata. Questo in un’ottica di un processo aperto, che permetta agli attori di operare un continuo riadattamento e una continua ridefinizione di spazi e funzioni pur mantenendo una costante qualità estetica e strutturale. Questo è un progetto-processo in cui il cittadino è posto al centro, al contrario di come è stato in passato con le pianificazioni centralizzate, e che si realizza passo dopo passo con adattamenti incrementali e compromessi. Non è nuova l’idea di un processo di pianificazione dinamico e non programmato, come dimostrano gli approfondimenti di Giancarlo de Carlo per la X Triennale di Milano del 1954, gli studi risalenti al 1959 di Charles Lindblom, le tesi del sociologo Lucius Burckhardt del 1970 o la corrente anglosassone teorica del Landscape Urbanism di fine secolo; tutti questi personaggi e teorie sponsorizzavano una pianificazione aperta, dinamica e non “calata dall’alto” in cui il cittadino fosse messo al centro. Più recentemente, sono esemplari alcuni episodi europei, che mostrano come, al di là di teorie ed idee, si possa concretamente mettere in atto una collaborazione tra cittadini e amministrazione per dare nuovo valore al panorama dell’abbandono. Come anticipato, nel 1998 ad Amsterdam un movimento di intellettuali ed artisti uniti nel gruppo De Gilde propose alla pubblica amministrazione nuovi strumenti interpretativi e pianificatori. L’idea alla base è quella di concepire la città come un guscio, che fornisce degli scheletri che gli utilizzatori finali dovranno decidere come declinare, a partire dagli hangar e dagli spazi aperti abbandonati del porto, che erano stati occupati da artisti e cittadini ed erano visti come dei “santuari” da salvaguardare. Questo fu un episodio che portò l’anno successivo alla costituzione del Broedplaatsen Fonds Bureau da parte del Comune di Amsterdam, che si è quindi dotato di uno sportello per la promozione e l’attivazione di progetti culturali di riuso temporaneo di spazi in abbandono. Un processo simile avvenne lo stesso anno anche a Bruxelles, dove l’ONG CityMine(d) propose
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all’amministrazione pubblica e ai privati proprietari di immobili vuoti la sperimentazione del programma PRECARE, con il fine di integrare usi temporanei di spazi in abbandono a progetti di sviluppo di più lunga durata. In seguito, con il nuovo millennio, è cresciuta l’attenzione ai temi dei processi informali di riuso, dell’urbanistica del quotidiano e dell’autorganizzazione spaziale, i quali attraverso studi, ricerche e proposte si tenta di inserire in un discorso più ampio di rigenerazione di lunga durata, dando avvio a politiche pubbliche, agenzie e sportelli nel territorio europeo. Conferma di questa tendenza è la ricerca “Urban Catalyst” realizzata dall’omonimo studio composto da Philipp Oswalt, Klaus Overmeyer e Philipp Misselwitz. La ricerca evidenzia come in ben cinque città europee esaminate, dove la pianificazione urbana e il real estate hanno fallito a rigenerare spazi vuoti, spesso usi temporanei hanno saputo catalizzare nuovi usi ed economie. Nel 2004 lo stesso Giancarlo De Carlo torna a parlare dell’importanza di coniugare la progettazione architettonica con l’ascolto e l’integrazione del capitale sociale e di definire delle linee guida capaci di accogliere variazioni, nell’ottica del progetto visto come processo nella rigenerazione di vuoti urbani. Nascono infatti in questo periodo alcune entità nel territorio europeo, concentrate sul riuso temporaneo e la riattivazione degli spazi in abbandono, come Creative Space Agency di Londra, Zwishe nutzung Agentur a Berlino o ZZZ a Brema. Concentrandosi sul panorama italiano, pur potendo ritrovare oggi le condizioni sociali per operare correttamente, come anticipato, le attività in atto risultano meno strutturate e consolidate rispetto al territorio europeo. Soprattutto si fa sentire la mancanza di entità pubbliche preposte alla gestione del tema del riuso dell’abbandono, nonché di leggi e normative adeguate. Nonostante ciò sono numerosi i ricercatori, gli attivisti ed i cittadini che negli ultimi anni sono riusciti ad avviare programmi di riuso di spazi in abbandono, insieme alle pubbliche amministrazioni, anche tramite politiche pubbliche e progetti pilota.
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6.3 - IL CONTESTO NORMATIVO E LA “PROCEDURA” NEL RIUSO
Volendosi concentrare sulla situazione attuale e sulle modalità di esplicazione del riuso in ambito nazionale, al momento non esiste una vera e propria codificazione In ambito nazionale ed internazionale, al e regolamentazione dei processi di momento non esiste una vera e propria riuso temporaneo e non, così come, in codificazione dei processi di riuso. generale, in ambito internazionale. Sul piano normativo, gli unici episodi recenti degni di nota, conseguenti all’aumento di consapevolezza sulle tematiche dell’abbandono e del consumo di suolo, si riducono ad alcuni piani e leggi; con questi si è provato a scollegarsi dalla staticità della strumentazione di pianificazione ancora legata alla Legge Urbanistica n. 1150 del 1942 e alle successive revisioni. Si parla del “Piano nazionale per le Città”, risalente al 2012, che ha proposto un progetto integrato sulla città, che coniuga la rigenerazione di spazi pubblici con il riciclo virtuoso di materiali e rifiuti, ma anche il risparmio energetico ed idrico con la qualità architettonica, la mobilità intelligente e la sicurezza. Questo pensando al recupero di aree demaniali dismesse per effettuare una riconversione qualitativa della città e contemporaneamente generare un fruttuoso investimento economico. Appoggiato e finanziato dal governo Monti, il progetto si è dimostrato però inefficace. Sempre risalente al 2012 è la proposta di “Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo“, che è stata poi approvata dalla Camera dei Deputati nel 2016 con il nome di “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato”. Con questa legge si fa un passo concreto verso un organismo urbano flessibile e capace di diventare l’espressione delle scelte di trasformazione delle città, riciclando e riorganizzando l’esistente, attraverso l’ottimizzazione delle risorse e dei servizi e la tutela delle aree agricole e dell’ambiente; il tutto nel pieno coinvolgimento della comunità. Si segnala inoltre anche la legge “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” del 2013, focalizzata sul risparmio di suolo e sulla salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate. Molto importante è poi la legge n. 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Diverse realtà,
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tra cui spicca Libera, si sono attivate perché avvenga l’assegnazione dei patrimoni illeciti a soggetti che siano in grado di restituirli alla cittadinanza, utilizzandoli per creare servizi, attività connesse con la socialità ed il lavoro. Libera in particolare non gestisce direttamente i beni, ma, collaborando con enti statali preposti ed i comuni, è attiva sul piano dei percorsi di conoscenza e sensibilizzazione riguardo alla presenza di beni confiscati sul territorio italiano, che ad oggi sono circa 13.000, di cui il 90 % sono immobili ed il resto aziende. Resta però che, ad oggi, i processi di riuso debbano inevitabilmente essere innescati da una figura che svolge il ruolo di intermediario, evitando di considerare i casi relativi alle occupazioni e alle autogestioni. Solitamente infatti, i processi di riuso coinvolgono tre figure, quali il proprietario, l’intermediario e l’usufruttuario. L’intermediario è l’”enabler” ed in genere appartiene ad associazioni culturali, ONG oppure si sostanzia negli stessi uffici pubblici, mentre il proprietario può essere una persona fisica o no, pubblico o privato ed infine l’usufruttuario è il cittadino o l’associazione che nel processo di riuso entra in possesso del bene e lo gestisce Solitamente i processi di riuso coinvolgono tre svolgendovi le proprie attività o progetti. figure, quali il proprietario, l’intermediario e Ad esclusione dei casi in cui il processo l’usufruttuario. sia portato avanti privatamente dai proprietari dell’immobile, in genere è l’intermediario ad instaurare una collaborazione con il proprietario che mette a disposizione il bene, stendendo anche un primo progetto di riuso. In seguito, il processo vero e proprio di intervento che porta al riutilizzo di un bene si attiva tramite bandi pubblici o inviti alla creatività, in cui gli usufruttuari interessati presentano le loro proposte di attività da insediare assieme ad un businessplan. Questo è l’iter alla base dei processi di riuso temporaneo e non, che può aver luogo in relazione al “tempo di mezzo” di un’immobile o alla sua situazione permanente di abbandono. Iter che si conclude con una legittimazione del rapporto tra gli usufruttuari e la proprietà, attraverso la firma di un contratto di concessione d’uso o comodato d’uso temporaneo in genere, di diversa durata, che può essere rinnovato al termine.
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7 - “ENABLERS” E DINAMICHE PARTECIPATIVE NEL RIUSO 7.1 - LA RETE DEGLI “ENABLERS”
Già introdotti nei paragrafi precedenti, gli “enablers” si pongono come catalizzatori di energie e di forniture di servizi; essi si possono identificare nel punto di contatto tra la domanda e l’offerta di spazi per sviluppare progetti di rinnovamento Gli “enablers” si possono identificare nel sociale e di impresa ed in generale si punto di contatto tra la domanda e l’offerta di distanziano dagli attori dell’azione spazi per sviluppare progetti di rinnovamento pubblica istituzionale. “Enablers” che, sociale e di impresa. specificatamente al territorio italiano, costituiscono una rete la quale basa la sua stessa definizione sulla condivisione di alcuni principi cardine, tra i quali la dimensione etica dei progetti, gli obiettivi sociali e di arricchimento della sfera pubblica urbana del riuso ed il coinvolgimento della cittadinanza attiva. Alla base di questa rete c’è un manifesto nazionale per il riuso di spazi in abbandono e sottoutilizzati, che si chiama Re-Bel Italy (rifacciamo bella l’Italia e ribelliamoci all’abbandono in Italia). Si configura come un network di scambio di conoscenze e progettualità tra associazioni socio-culturali, esperti e cittadinanza attiva in differenti città italiane, caratterizzate dalla presenza di progetti sul tema del dismesso legati all’ambito della cultura, delle start-up, dell’artigianato o piccola impresa e dell’accoglienza abitativa. L’etica condivisa dalla rete di attivatori implica che non si perseguano finalità di mercato o speculazione ma si crei uno scambio tra capitale sociale e bene comune. È possibile delineare quattro azioni trasversali che emergono nonostante la diversità degli attori costituenti questa rete. La prima azione è quella già ampiamente trattata precedentemente e fa riferimento alla costruzione della conoscenza del fenomeno di abbandono, che si esplica con una mappatura dei beni abbandonati o non utilizzati. La seconda azione è connessa con la creazione di piattaforme di collaborazione, tramite strumenti di networking e call, che prevedono quindi la costruzione di relazioni e l’intercettazione delle prime sollecitazioni dalla comunità. Più precisamente con networking si comprendono le attività di cooperazione
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e comunicazione con le parti più attive, o le più deboli, della cittadinanza al fine di fare emergere le necessità per poi instaurare un dialogo con gli attori pubblici. Costruzione di reti quindi, con l’obiettivo di creare progetti condivisi per la riattivazione di spazi inutilizzati. Spesso inoltre utilizzano le call, uno strumento che ha la finalità di raccogliere idee, suggerimenti e visioni sempre in un’ottica di collaborazione per la definizione delle eventuali nuove attività o del processo stesso di riuso. La terza attività individuata invece si caratterizza per essere più propositiva, con la creazioni di veri e propri contenuti. Questa si esplica sotto forma di laboratori, workshop, tavole rotonde, seminari e dibattiti che possono portare alla definizione di un intervento vero e proprio, sempre con lo scambio di proposte e sollecitazioni condiviso alla base. La quarta ed ultima azione è quella che si pone come l’esito delle azioni e delle fasi precedenti guidate dagli “enablers” ed è l’intervento fisico. Va sottolineato però, che gli “enablers” si costituiscono come attivatori del processo di riuso, ma solo di rado si occupano del riuso permanente in prima persona. Si configurano infatti come un tipo particolare di utente cittadino che si occupa di creare le condizioni favorevoli per gli attori locali, i quali si devono attivare, organizzare e devono proporre delle riattivazioni in base ai loro bisogni, affiancati dagli stessi attivatori nei rapporti con le amministrazioni. Schematizzazione che mostra i differenti step di azione degli “enablers” nei processi di riuso
Mappatura
Piattaforme di collaborazione
LE AZIONI DEGLI “ENABLERS”
Intervento fisico
Laboratori
Si è più volte evidenziata l’importanza, all’interno dei processi di riuso dell’abbandono, delle comunità e del loro ruolo attivo in tutte le fasi
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degli stessi, dal rilevamento delle problematiche legate all’abbandono fino alle proposte concrete di riutilizzo, passando per un confronto tra i diversi attori del processo. Gli Gli “enablers” stessi basano le loro azioni su “enablers” stessi basano le loro azioni su dinamiche partecipative che coinvolgono la dinamiche partecipative che coinvolgono cittadinanza, creando un rapporto di scambio la cittadinanza, creando un rapporto di costruttivo. scambio costruttivo fondamentale per la corretta riuscita dei processi di riuso. La partecipazione si esplica come detto in diverse fasi del processo, attraverso differenti strumenti. Uno che si può verificare nelle fasi iniziali è senza dubbio quello del tour o biketour dell’abbandono, in cui gruppi organizzati effettuano una ricognizione dei manufatti dismessi nelle città, al fine di accrescere la consapevolezza della presenza di questo patrimonio e di tracciare la già citata mappatura dell’abbandono. In questo modo la cittadinanza viene messa direttamente in contatto con i beni oggetto di un possibile intervento, in modo da far scaturire idee e proposte per un miglioramento dello spazio urbano. Altro strumento è sicuramente quello che permette una valutazione delle volontà della cittadinanza e che si esplica di fatto in delle votazioni. Attraverso questo sistema si entra in possesso di dati relativi alle necessità ed ai bisogni della comunità, oltre a poter decidere quali immobili privilegiare per un possibile intervento all’interno di un contesto definito. Tavoli di confronto, workshop e laboratori costituiscono il passo successivo, per delineare nello specifico la vocazione di uno spazio da riattivare o la progettazione stessa. Infine, un’ulteriore tipo di partecipazione si rileva nella possibile autocostruzione stessa dell’intervento deciso in modo comune, nonché nella sua successiva manutenzione; fattori questi che sono peraltro particolarmente incisivi nella valutazione preventiva di fattibilità e sostenibilità di un processo di riuso.
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7.2 - GLI “ENABLERS” ITALIANI
Sul territorio italiano è in continua espansione il panorama di “enablers” del riuso di spazi in abbandono. Per citarne alcuni, nel 2005 la Regione Puglia ha avviato “Bollenti Spiriti”, un programma di riuso e riuso temporaneo di spazi abbandonati che affronta diverse tematiche, come lo sviluppo locale, le politiche giovanili, l’animazione di comunità e la rigenerazione urbana, in forte connessione con il contesto locale. Altro esempio è quello del gruppo di architetti e artisti romani di Stalker, che dal 1995 ha l’obiettivo di scoprire i luoghi dei territori di frangia delle nostre città, lottare per la loro salvaguardia e per i diritti delle popolazioni più deboli che li abitano. Stalker ha sviluppato una particolare metodologia di ricerca urbana, tramite strumenti partecipativi al fine di costruire un immaginario collettivo per un luogo, come la camminata collettiva. Altro esempio è quello di Planimetrie Culturali, associazione che ha come obiettivo principale la riqualificazione delle aree dismesse di Bologna, attraverso le “bonifiche culturali” di tipo temporaneo. Operante nel lasso di tempo che passa tra la dismissione e la riconversione, Planimetrie Culturali propone di attraversare questi spazi in modo nuovo, con produzioni ed eventi culturali a 360°. Infine, con base nel territorio milanese, c’è Temporiuso. Si tratta di un’associazione culturale per la promozione di progetti di riuso temporaneo di spazi in abbandono ed è anche una rete di collaborazioni con associazioni, attivisti e ricercatori a scala locale ed internazionale. Il “Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono, in Italia” è una sua pubblicazione, particolarmente interessante in quanto definisce sette mosse fondamentali per riattivare uno spazio abbandonato. Queste sono individuate in: mappare spazi abbandonati e sottoutilizzati; mappare la domanda di popolazioni e gruppi d’interesse; individuare i nuovi cicli di riuso da inserire e quali risorse cittadine mettere in rete; stabilire quali infrastrutture ed architetture temporanee sono necessarie; istituire bandi o inviti alla creatività; stesura del businessplan ed incontri con i nuovi utenti (fase di Start-up); trasparenza, visibilità, contatto e scambio tra gli attori del riuso (Politiche pubbliche per il riuso temporaneo).
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A 12 A.TITOLO AGILE ALTERAZIONIVIDEO APNEA ARCHITETTI DI STRADA ASF ARCHITETTI SENZA FRONTIERE ATELIER DELLE VERDURE BASSO PROFILO CANTIERI ZISA CASA DI QUARTIERE SAN SALVARIO CICLOSTILE CONTROPROGETTO S.N.C ESIBISCO ESTERNI EX FADDA HORS COMMERCE ICSPLAT NOWALAB IMPOSSIBLE LIVING KCITY LIBERA LINKINART LOST AND FOUND MADE IN MAGE MALERBE MANIFATTURE KNOS MANIFESTO 2020 PERIFERICA PLANIMETRIE CULTURALI PRIMULE E CASERME RE - BIENNALE RI - FABBRICA RUDERE PROJECT S.A.L.E. DOKS SALONE GEMMA SAMALLAB SEMENZE SPAZI DOCILI SPAZI INDECISI SPAZIO GRISU’ STALKER OSSERVATORIO NOMADE SUM PROJECT KM97 TEMPORIUSO.NET TRIALVERSION TSPOON/TUTUR URBE VILLAGGIO GLOBALE
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8 - LE ESPERIENZE DI RIUSO A BOLOGNA
Con particolare riferimento al Comune di Bologna, sede del mercato San Donato oggetto del progetto di riuso esposto in seguito, si possono identificare numerose esperienze improntate al riuso dell’abbandono, temporaneo e non, relative agli anni recenti o attualmente in corso. Questo in un contesto normativo che presenta delle contraddizioni. Infatti si può rilevare l’approvazione ad inizio 2016 del Piano Operativo Comunale “Rigenerazione di patrimoni pubblici” mentre a livello regionale è in corso la valutazione di una proposta per una nuova legge urbanistica in nome della riqualificazione e della sicurezza sismica ma che continua a consentire un nuovo consumo di suolo pari al 3%. Mentre il primo punta quindi, nel territorio del Comune di Bologna, a governare le trasformazioni delle aree dismesse innescando e sostenendo processi di rigenerazione urbana, il secondo, pur riducendo fortemente le previsioni di nuove costruzioni al di fuori dei territori già urbanizzati, consentirebbe comunque un’espansione pari a 70 chilometri quadrati per la città di Bologna. Le esperienze di riuso però non mancano e sono attivate sia dall’amministrazione comunale, attraverso bandi e concorsi, sia direttamente da “enablers” ed associazioni. Al riguardo, spicca senz’altro la già citata associazione Planimetrie Culturali che ha come obiettivo fondante quello di riqualificare aree dismesse di Bologna, attraverso delle “bonifiche culturali” di riuso temporaneo. Opera quindi principalmente sugli insediamenti industriali abbandonati, spesso segnati da degrado e problemi di sicurezza, che si ritrovano oggi ad essere inglobati in quartieri non lontani dal centro pur essendo nati nelle periferie. In particolare il suo scopo è quello di far rivivere questi “non-luoghi” e farli percepire come sicuri e vivibili dai cittadini, operando sul lasso di tempo che passa tra l’essere in disuso e la riconversione. Attraverso le “bonifiche culturali” l’associazione si prefigge di attraversare questi spazi con produzioni ed eventi culturali a 360°, studiando ad hoc ogni casistica. Il processo che intende costruire si sviluppa attorno ad alcuni principi cardine, come il riuso, il riciclo ed il risparmio
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energetico, l’instaurazione di un rapporto attivo con il quartiere e la concezione di non stabilirsi all’interno di uno spazio per tempi lunghi e indeterminati, poiché l’idea è di portare la “bonifica” in più spazi possibile. Processo, questo, che si rivolge in primo luogo alla Città e ai suoi cittadini, ma anche alle associazioni culturali in cerca di spazi. La loro esperienza nacque nel 2005, quando un gruppo di cittadini si attivano in maniera indipendente per ripulire e ripristinare l’ex Macello Comunale del Pilastro, abbandonato da sette anni ed in attesa di un cambio di destinazione d’uso. Si concretizza in questa esperienza anche la nascita del Cantiere Culturale Bolognese, una rete di 25 soggetti che rivendica il “riuso temporaneo” dell’immobile per attività socio/culturali. In seguito, nel 2007, nel sottopassaggio degradato del centro di Bologna, ha organizzato una rassegna temporanea, presentando alla città l’Associazione appena nata e la nuova pratica delle “bonifiche culturali” che intende sviluppare nel contesto urbano. Pratica che si è concretizzata in seguito, nel 2009, nella custodia temporanea dell’ex Mensa/Dormitorio dei Ferrovieri Il centro culturale e sportivo OZ
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(Scalo San Donato) in attesa di una nuova destinazione d’uso da parte della nuova proprietà. Fino al 2012, lo spazio è stato utilizzato come contenitore per laboratori, incontri ed eventi di autofinanziamento, offrendo attività socio/culturali con l’intermediazione del Quartiere San Donato. Il passo successivo è stato svolto con la “bonifica culturale” dell’ex Samputensili, a partire dal 2012, che ha dato vita ad un centro sociale occupato regolarmente pensato per offrire numerose e differenti attività ai cittadini e casa a numerose associazioni. Attualmente, dopo l’esperienza di Planimetrie Culturali, si è insediato OZ, un centro culturale e sportivo sostenuto dall’attività di 18 associazioni supportate dal Comune di Bologna e dal Quartiere San Donato. Oltre a ciò, ci sono numerosi altri casi di riuso nel contesto bolognese. Ad esempio, grazie ad un’assegnazione in seguito ad un bando comunale, la cooperativa sociale di artisti Eta Beta ha potuto riqualificare e riusare in un processo di autocostruzione un casolare Lo Spazio Battirame
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con annesso capannone in zona Roveri, dando vita allo Spazio Battirame. Questo spazio, grazie la ristrutturazione del casolare, offre la possibilità di svolgimento di eventi, conferenze, mostre e corsi di formazione, riuscendo anche a dare un’occupazione a persone socialmente svantaggiate. Non solo, Eta Beta ha anche predisposto all’interno di una tensostruttura di circa 1000 mq una sorta di “smart village” ospitante attività artigianali temporanee, percorsi didattici e occasionalmente dei concerti. Infine, avendo a disposizione anche una grande estensione di terreno, l’associazione ha potuto anche dar vita ad un sistema di riutilizzo dei terreni, curando un giardino interno e degli orti. Altro esempio rilevante è quello relativo alla realizzazione dell’Opificio Golinelli, la “cittadella per la conoscenza e la cultura”. Si tratta di un intervento di recupero e riuso di un ex stabilimento industriale abbandonato, che si configura come un intervento di rigenerazione e riqualificazione urbana. L’intervento di riuso è avvenuto per mano L’Opificio Golinelli
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della Fondazione Golinelli, una fondazione privata che si occupa in maniera integrata di educazione, formazione e cultura e che svolge nell’Opificio le principali attività. Si tratta quindi di uno spazio a cui è stata data una nuova identità, tramite un riuso ed uno stabile insediamento di una nuova attività; spazio che oggi opera per lo sviluppo culturale e responsabile dei cittadini in svariati campi del sapere. Un’altra esperienza significativa è quella del riuso e della conseguente riqualificazione e rigenerazione di un luogo storico come il sottoscala del Pincio. Si tratta di un luogo caratterizzato da un’architettura monumentale di fine ‘800, 1000 metri quadri dove durante la seconda guerra mondiale era stato scavato un rifugio antiaereo ma che negli ultimi 60 anni, non avendo una destinazione precisa, era stato trasformato in parcheggio per auto. In seguito all’assegnazione grazie al bando comunale all’Associazione Salvaciclisti Bologna è stato possibile realizzare il progetto Dynamo, la prima velostazione La Velostazione Dynamo
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di Bologna. Grazie a questo progetto si è trasformato uno spazio inutilizzato e relegato a parcheggio per le auto in una stazione multifunzione, che oltre ad offrire un sicuro parcheggio per le biciclette con servizi di noleggio e riparazione, si configura come un luogo d’incontro e socialità. In maniera simile si è inoltre potuto attivare anche un altro processo di riuso, che sarà la base di partenza per la successiva trattazione del progetto presentato in questo lavoro, ed è quello del Mercato San Donato. Anche questo edificio infatti, investito da un progressiva perdita di funzionalità e conseguente progressivo abbandono a causa dei cambiamenti del sistema commerciale, è stato affidato tramite il bando Incredibol all’Orchestra Senzaspine, la quale sta riutilizzando i suoi spazi per svolgere prove, concerti ed altre attività ludico-ricreative. Infine, si può citare anche un progetto già realizzato come il riutilizzo delle Officine Minganti nella Bolognina per la realizzazione di un centro commerciale o un progetto in fase di realizzazione come quello per il Tecnopolo, da insediare nel complesso dell’ex Manifattura Tabacchi. Questi, comunque, sono solo alcuni dei processi di riuso in atto o conclusi nella città di Bologna, ma se ne potrebbero senza dubbio portare tanti altri all’attenzione, anche di minore rilievo, nella speranza che le esperienze positive attualmente rintracciabili possano essere una base per futuri e sempre più numerosi episodi di riuso del patrimonio edilizio.
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Parte 3 IL CASO DEL “MERCATO SONATO”: PROGETTO DI RIUSO IN DUE FASI
1 - IL MERCATO SAN DONATO E LA CITTÀ 1.1 - INQUADRAMENTO E ANALISI DEL SITO
Il mercato San Donato, situato in via Tartini 3 a Bologna, alle porte del quartiere San Donato, si colloca in adiacenza alla parte terminale del ponte di via San Donato che connette l’omonimo quartiere con il centro e si trova inserito in un sistema viario circolare costituito da via Tartini. Risale all’inizio degli anni ’60, quando il Comune, visto lo sviluppo significativo che stava interessando l’asse di via San Donato, la sua caratteristica abitativa e la carenza di negozi, soddisfò il bisogno dei cittadini progettando sin dal 1955 e costruendo poi il mercato rionale della zona. Questo entrò in funzione agli inizi degli anni ’60 e rimase tale fino agli anni recenti, in cui fu investito da un processo di progressivo abbandono da parte dei commercianti. Si trova inserito in un tessuto prevalentemente residenziale e fortemente caratterizzato da un sistema viario di grande percorrenza, in entrata ed in uscita dal Si trova inserito in un tessuto prevalentemente centro di Bologna. In particolare da residenziale e fortemente caratterizzato da un’analisi dell’assetto urbano e del sistema un sistema viario di grande percorrenza. infrastrutturale, si nota come l’edificio del mercato sia un’eccezione per volumetria, tipologia e funzione all’interno della porzione di quartiere ad esso adiacente. Come prima cosa si può evidenziare come gli edifici circostanti siano principalmente palazzine residenziali di 5 o 6 piani, organizzate in linea o a torre, che al piano terra ospitano locali destinati ad attività di vario genere al servizio del quartiere come ristoranti, bar, negozi di prodotti alimentari o farmacie. Oltre a ciò, sviluppandosi lungo l’asse principale di via San Donato, la porzione limitrofa del quartiere San Donato risulta dotata di numerosi spazi verdi, come anche spazi di interesse culturale e sociale, come il centro interculturale Zonarelli, il centro civico Zanardi, il centro sociale Frassinetti, lo studentato e l’archivio storico comunale adiacente al mercato; questo sottolinea il particolare attivismo dal punto di vista sociale e comunitario del quartiere. Il mercato si inserisce in questo tessuto e si differenzia sia per la funzione, che per la limitata altezza rispetto al costruito circostante; risulta inoltre come “incastonato” in un sistema viario
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Localizzazione rispetto al centro storico di Bologna
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Mercato San Donato
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Centro storico
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ed infrastrutturale che lo circonda e che si sviluppa su diversi livelli. Questo è costituito da via Tartini e dal ponte su via San Donato, oltre che dalla ferrovia, che non è collocata direttamente in adiacenza del mercato ma che si configura come una netta barriera tra quartiere San Donato e centro storico della città. La prima crea un anello viario percorribile a senso unico attorno al mercato, che copre un dislivello di circa 4 m garantendo un collegamento carrabile diretto con l’accesso al piano seminterrato dell’edificio, mentre il secondo si configura allo stesso tempo come una barriera sul fronte nordovest ma anche come un elemento che può essere visto come un potenziale punto di forza. Infatti, seppur Il ponte su via San Donato offre la possibilità imponendosi parallelamente al fronte più di un’ampia visibilità dell’edificio, che si caratteristico del mercato con una parete configura quasi come una panoramica in cieca, offre, percorrendolo, la possibilità movimento. di un’ampia visibilità dell’edificio, che si configura quasi come una panoramica in movimento. Ponte che costituisce una via d’accesso al centro della città ed al quartiere, nel senso opposto, di grande percorrenza. In particolare il percorso carrabile in uscita dal centro, superato il ponte, si dirama da via San Donato su via del Lavoro verso nord e su via Tartini e via Romolo 85
Amaseo verso sud in adiacenza al fronte longitudinale del mercato, mentre quello in uscita dal quartiere si sviluppa nella direzione principale di via San Donato, passando sul ponte ed offrendo anch’essa una vista diretta sui due fronti principali del mercato orientati verso nord-est. Il mercato San Donato inoltre, risulta ben collegato con il centro, con la periferia e, internamente, con il resto del quartiere anche dal punto di vista della circolazione ciclabile e dei trasporti pubblici. Infatti è presente una pista ciclabile che, attraversando il ponte connette la centrale via dei Mille con viale Aldo Moro nel quartiere San Donato, in prossimità della Fiera, il cui percorso passa in adiacenza al mercato. Per quanto riguarda i trasporti pubblici invece, nelle vicinanze del mercato sono collocate tre principali fermate autobus (Mercato San Donato, Repubblica, Galeotti) servite da linee urbane che connettono il quartiere San Donato internamente e con il centro e da line extraurbane per il collegamento con la periferia bolognese. Ortofoto
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Vista dal ponte su via San Donato
Vista in uscita dal quartiere San Donato
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VISTA ASSONOMETRICA DEL CONTESTO
LEGENDA Edificio oggetto dell’intervento Principale via carrabile Pista ciclabile Barriera fisica Visibilità privilegiata Fermata bus
P
Parcheggio
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Area verde Ferrovia
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1.2 - CENNI STORICI SUL CONTESTO
I primi insediamenti urbani significativi nella periferia bolognese sono relativi solamente all’inizio del ventesimo secolo. In particolare, il quartiere San Donato a quel tempo era riportato nelle carte topografiche come un susseguirsi I primi insediamenti urbani significativi nella di poderi e, addirittura, l’attuale via San periferia bolognese sono relativi solamente Donato era denominata “Strada Comunale all’inizio del ventesimo secolo. Il quartiere San Donato”, indicando una relativa San Donato a quel tempo era riportato nelle estraneità rispetto al centro di Bologna. carte topografiche come un susseguirsi di Nelle memorie di alcuni residenti infatti poderi. la via San Donato rappresentava proprio l’ingresso a Bologna per chi arrivava dalla campagna. Questa era la condizione della zona che oggi ospita il mercato San Donato e del quartiere stesso, la quale era dovuta ad un vigente sistema di pianificazione urbanistica che faceva riferimento al primo PRG del 1889. Questo, per cui si prevedeva una realizzazione delle previsioni in 40 anni ma che di fatto fu attuato in 50 e perlopiù con diverse mancanze sul piano dei servizi urbani, intendeva per la prima volta la prima fascia della periferia storica come un’addizione organica alla città antica. Il contesto era quello di progressive demolizioni e sventramenti operati nel centro storico che, oltre a generare una perdita irreversibile di un ampio patrimonio di manufatti storici, portava all’espulsione dal centro dei ceti più umili che si aggiungevano agli immigrati nel bisogno comune di un alloggio. Su questo piano già dagli anni ’60 del diciannovesimo secolo il comune aveva operato i primi interventi di edilizia popolare. Fu però in seguito alla Legge Luzzatti del 1903 che ci fu una svolta decisiva su questo piano poiché venne regolato il procedimento per cui il Comune poteva dare in gestione terreni ad enti e cooperative create appositamente per la realizzazione di edilizia pubblica popolare, le quali potevano ottenere prestiti bancari oltre i consueti limiti. Un ruolo preminente lo assunse l’Istituto Autonomo per le Case Popolari (IACP) creato nel 1906 dal Consiglio Comunale. In questo quadro normativo e di pianificazione, attorno agli anni
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’30 le porzioni edificate nel quartiere San Donato, comunque rade e costituite principalmente da edifici rurali, si sviluppavano ancora prevalentemente lungo le vie San Donato a partire proprio dalla zona del mercato rionale, ma anche su via Michelino, del Pilastro e l’attuale via Mondo, in cui si potevano trovare edifici costruiti proprio dall’IACP attorno al 1928-1929. Istituto che ha avuto un ruolo determinante nell’edificazione del quartiere e che vi costruì le prime abitazioni già nel 1909, situate in via Piana e destinate a famiglie che vivevano in baracche ai margini dell’area urbana, denominate in seguito “Case Zamboni”. Questo fu un intervento che si può vedere come un primo esempio della destinazione La politica di sviluppo demografico del sociale della zona. La politica di sviluppo quartiere orientata verso una “zonizzazione demografico del quartiere orientata verso classista” fu resa ben più chiara ed incisiva una “zonizzazione classista” fu resa ben dalla costruzione di 56 alloggi definiti “case più chiara ed incisiva dalla costruzione di popolarissime” in via Vezza negli anni 56 alloggi definiti “case popolarissime” in 1935-1936. via Vezza negli anni 1935-1936, destinate ai “peggiori elementi” che provenivano dal Baraccato e da via Polese, al fine di isolarli. Questa tipologia di alloggi era proprio pensata per accogliere i ceti più bassi della popolazione ed era organizzata con propri servizi collettivi, con suddivisioni in rioni. Questo inoltre non fu l’unico episodio relativo a questo tipo di edifici poiché negli anni seguenti vennero costruiti sempre in via Vezza altri due fabbricati “popolarissimi” che portarono il numero di fabbricati di questo tipo a superare quelli popolari, portando inevitabilmente anche problemi di ordine sociale. Superata la seconda guerra mondiale, le esigenze abitative a causa delle distruzioni con l’ingente numero di profughi e sfollati furono alla base della creazione di un Piano di Ricostruzione, nel 1948, che però fu piuttosto indifferente ad un confronto morfologico con la città esistente. Si riaffermo però in questo periodo il ruolo dell’IACP nella costruzione delle case popolari e nelle riparazioni, che lo vide attivo soprattutto lungo la direttrice via San Donato, con
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Le “case popolarissime“ di via Vezza
Il villaggio del Pilastro
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le aree più sfruttate ed urbanizzate. Ancora negli anni ‘50 il quartiere si configurava come un’area di confine tra la città e la campagna, caratterizzata da una copiosa presenza Ancora negli anni ‘50 il quartiere si di lavoratori agricoli. La situazione configurava come un’area di confine tra la vedeva alcuni insediamenti concentrati città e la campagna, caratterizzata da una prevalentemente lungo via Mondo ed il copiosa presenza di lavoratori agricoli. tratto iniziale di via San Donato e in più alcune strutture produttive collocate lungo la via Stalingrado, dove erano presenti anche alcuni condomini, che accolsero principalmente “sfollati”. Si può rilevare quindi come l’assetto attuale del quartiere San Donato risalga ad anni recenti e come lo sviluppo si concentri soprattutto nel secondo dopoguerra. Il grande sviluppo del quartiere ebbe luogo infatti negli anni 1951-1971, in ritardo rispetto alla restante periferia bolognese, e fu rappresentato in buona parte da grandi interventi di edilizia pubblica appunto sottostando al nuovo PRG del 1958. Nel solo decennio 1951-1961 si passò da una popolazione residente di 10571 unità a 27222, con un parallelo incremento delle abitazioni da 2544 a 8051. Soprattutto ci furono insediamenti consistenti nella prima fascia territoriale, orientata verso il centro di Bologna. Ebbe luogo un processo di edificazione di intere vie da parte dell’IACP come via Rasi, Beroaldo, Ungarelli e Borelli. Nel decennio successivo, l’espansione e lo sviluppo demografico continuarono, anche se in maniera più moderata rispetto al decennio precedente; si ebbe comunque un’espansione residenziale nella zona di San Donnino sempre ad opera dell’IACP e nacque il Villaggio del Pilastro. Caratteristica infatti di questo periodo dell’IACP è la tendenza a realizzare ambiziosi programmi di costruzione di interi quartieri. Si registrarono però importanti interventi anche sul piano delle infrastrutture e del commercio; vennero infatti realizzati in questo periodo lo scalo ferroviario, la tangenziale ed il primo insediamento del Fiera District, su una superficie di 357.000 mq. In generale quindi, oltre al nucleo centrale, le altre zone del quartiere, quali il Pilastro, San Donnino, Calamosco, San Sisto e l’area fieristica,
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hanno subito un’espansione disomogenea e all’interno del processo di sviluppo il quartiere si è caratterizzato con funzioni di rilievo urbano e metropolitano (come il quartiere fieristico, la sede della regione Emilia Romagna, la sede Rai, il CAAB), prevalenti rispetto a quelle locali. Si sono configurate inoltre due zone percepite in maniera nettamente distinta, che sono appunto il nucleo centrale e la zona del Pilastro. Quest’ultima nacque in seguito alla proposta dell’IACP del 1962 per la costruzione di una nuova zona di edilizia popolare in riposta alle necessità alloggio per gli immigrati arrivati a Bologna conseguentemente al suo sviluppo industriale. I primi abitanti insediatisi erano soprattutto meridionali già risiedenti a Bologna, ma anche bolognesi, in generale operai e trovarono un ambiente poco confortevole per via della mancanza di servizi. La situazione fu aggravata dalla difficoltà di integrazione fra gli abitanti immigrati, in seguito non solo meridionali, e bolognesi, che ancora oggi genera problematiche d’ordine sociale legate a questa zona. La generale “ghettizzazione” creatasi inizialmente al Pilastro venne cercata di risolvere con diversi interventi, come la realizzazione del “Virgolone” (un edificio curvilineo di sette piano lungo 700 metri ed adiacente a Via Salgari), lo sviluppo delle attività del Centro Agroalimentare e del parco Commerciale Città Scambi e l’insediamento dell’Università; questi, insieme al DUC-FIERA (Documento Urbanistico Concertato), sono stati previsti dal PRG del 1985, apportando notevoli modifiche all’assetto del territorio Con il PRG del 1985 ci furono previsioni volte del quartiere. Dopo infatti un periodo alla tutela della prima fascia periferica in caratterizzato dalle previsioni del PRG particolare, con riferimento al primo piano del 1970 riguardanti la conservazione del 1889, volendo conservare l’impianto del centro storico, con il PRG del 1985 si creò una nuova attenzione alle linee di originale. forza esistenti, derivanti dalle precedenti azioni e pianificazioni, da valorizzare e rafforzare. Ci furono quindi previsioni volte alla tutela della prima fascia periferica in particolare, con riferimento al primo piano del 1889, volendo conservare l’impianto originale ricomponendo la disgregazione che si era
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generata nel tempo. Si può quindi affermare, in seguito all’analisi del processo di sviluppo che ha interessato il quartiere nel secolo scorso, che l’attuale sua fisionomia risulta caratterizzata dalla concentrazione del tessuto prevalentemente residenziale e di servizi nella fascia sud, nelle vicinanze delle infrastrutture ferroviarie, mentre le grandi funzioni specialistiche sono collocate ad ovest ed est.
La tavola del PRG di Bologna del 1985
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2 - ANALISI TIPOLOGICA DEL “MERCATO COPERTO” 2.1 - L’EVOLUZIONE DELLA TIPOLOGIA
Solitamente parlando di storia dell’architettura s’intende un ordinato racconto su base cronologica di una serie di vicende legate a svariate dinamiche legate all’architettura, eseguita magari accorpandone parti in base a periodi, gruppi o tendenze. E’ possibile però operare, attraverso un’attenta analisi, una classificazione interna in base alle diverse tipologie architettoniche, rilevando peraltro che il confine tra storia dell’architettura e della tipologia edilizia non è così netto da risultare invalicabile. Anzi, al contrario è più conveniente intenderlo come un confine aperto o disponibile ad aprirsi per generare un arricchimento bilaterale. Infatti, se si pongono in evidenza le caratteristiche costanti di una serie di edifici destinati allo stesso fine, ma attribuiti ad epoche ed autori differenti, è possibile descrivere gli aspetti di tali edifici in relazione all’ambiente sociale in cui sono localizzati e perciò definire una serie di profili riferiti ad un tipo di edificio caratteristico di un determinato momento storico. Nel complesso, è quindi possibile definire la storia di un tipo edilizio, sulla base della sua definizione che porta a considerarlo come l’insieme di caratteristiche di un fabbricato destinato ad uno specifico uso. Tipo, peraltro, non definito e ripetibile solamente all’interno di un intervallo o una fase, ma inteso in assoluto, superando le varie fasi storiche nell’ambito di un possibile uso e dell’oggetto architettonico in sé, definito dalle sue origini ai giorni nostri. Per quanto riguarda la tipologia del mercato coperto, in riferimento al Mercato San Donato, il suo precursore è sicuramente il mercato nelle diverse accezioni che ha assunto nel corso della storia e che Linea del tempo che riporta i principali step evolutivi del mercato
CIVILTA’ GRECA
MEDIOEVO
Agorà
Brolo
CIVILTA’ ROMANA Fori
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ha influenzato la definizione della sua tipologia. Si possono rilevare le prime fasi mercantili risalenti addirittura al periodo primitivo, in cui i luoghi destinati agli scambi erano In riferimento al Mercato San Donato, il suo situati strategicamente nelle vicinanze precursore è sicuramente il mercato nelle della viabilità principale e dei centri abitati, diverse accezioni che ha assunto nel corso allestiti in maniera provvisoria. Questi della storia. costituiscono il preambolo al successivo periodo relativo allo sviluppo della Grecia Antica e dell’Epoca Romana, in cui il mercato assunse un ruolo più stabile e significativo anche in ambito sociale oltre che economico. La civiltà doricoionica, dal XI-X secolo a.C. circa aveva sviluppato un piazzale civico chiamato “agorà”, luogo in cui si svolgeva il mercato al dettaglio e la vita pubblica della polis all’aperto e che nel corso dei secoli passò ad ospitare anche le contrattazioni del commercio all’ingrosso. Contemporaneamente la civiltà romana sviluppa una tipologia di piazza civica che ospitava anche funzioni commerciali, il foro. Questo era una vasta piazza attorniata da un portico e dagli edifici necessari all’espletamento delle funzioni commerciali e giuridiche della città, come la basilica. Mentre l’ ”agorà” era uno spazio a pianta quadrata con intercolumni ristretti, il foro aveva un impianto rettangolare con ampi spazi tra le colonne del porticato. Inoltre, probabilmente nel Medio Evo, si sviluppano nell’Asia centro-occidentale i “bazar”, il quale si configura come un mercato articolato in una piazza ed una serie di vie che ospita diversi negozi in un unico edificio, costituente probabilmente il primo esempio di mercato coperto. Seppur antichi, questi modelli dettarono una serie di riferimenti per i mercati CIVILTA’ ORIENTALI
CONTEMPORANEITA’
Nascita dei Bazar
Supermercati ed Ipermercati
RINASCIMENTO Nascita dei mercati coperti
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coperti che sono ancora oggi di estrema attualità, identificabili in un’area ben identificata e “recintata” Seppur antichi, questi modelli dettarono una destinata a mercato, spazi accessori posti serie di riferimenti per i mercati coperti che negli ambienti laterali come il portico, sono ancora oggi di estrema attualità. disposizione degli spazi di vendita all’interno dell’ampio spazio centrale e inclusione di più venditori in uno stesso spazio. Durante il Medio Evo, c’è una ripresa degli schemi mercantili precedenti, con l’importante ruolo che svolge il “brolo”, una piazza all’aperto attorno alla quale si organizzarono locali chiusi per il commercio, precursori delle botteghe artigiane. E’ poi nel Rinascimento, con il crescere della potenza economica delle classi mercantili, che si affermò la volontà di conferire un aspetto dignitoso al luogo espressione dell’attività di commercio; questo portò concretamente allo sviluppo del concetto di mercato come “edificio stabile” e tipologicamente definito, tra il XV e il XVI secolo. Nacque così l’idea di un edificio chiuso destinato al mercato, strutturato come un’unica grande sala (chiamata “halle” in molte regioni). Parallelamente nacque anche la “borsa”, nei paesi del nord Europa, la quale prevede una distribuzione imperniata sul “salone delle grida”, spazio in cui avviene la contrattazione. Con l’avvento della Rivoluzione Industriale nel XVIII secolo all’interno delle città si evidenziò l’esigenza di strutture commerciali che potessero offrire maggiori possibilità di stoccaggio e smercio di grandi quantità di prodotti. Questo portò, nel secolo successivo, allo sviluppo di nuovi edifici commerciali, come il grande mercato coperto, che di fatto costituisce un’evoluzione morfologica della “halle”, ed il grande magazzino. Con il grande magazzino, uno spazio di notevoli dimensioni con la presenza di un vastissimo assortimento di merci, cambia però la concezione dello spazio commerciale nella tipologia di mercato coperto, in quanto aumenta il raggio d’influenza sulla popolazione di questa struttura, necessitando così il servizio di
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efficienti infrastrutture di trasporto. Nel XX secolo si assiste ad una estremizzazione di questo processo, a partire dagli Stati Uniti per poi diffondersi nel resto del pianeta. Dapprima Nel XX secolo si diffondono mercati locali e si diffondono mercati locali e di quartiere di quartiere in sede propria ospitati in edifici in sede propria ospitati in edifici appositi e appositi. negozi dei singoli rivenditori, i quali sono connessi ai mercati generali, punto di arrivo, stoccaggio e ripartenza delle merci nelle realtà urbane. Questi ultimi si configurano come un’attrezzatura organizzata in padiglioni che gestisce il commercio all’ingrosso, soprattutto dei generi alimentari. In seguito però prenderanno sempre più piede gli edifici dei supermercati, basati su una vendita self-service di prodotti all’ingrosso e non più al dettaglio. Successivamente, un’ulteriore “evoluzione” dello spazio del mercato porterà alla nascita dell’ipermercato, grandi complessi di vendita al minuto di beni alimentari e di largo consumo che offrono anche servizi eterogenei. Necessario per un efficace funzionamento di queste strutture è un buon e rapido collegamento, che li porterà ad essere collocati al di fuori del centro cittadino, grazie anche alla diffusione dei mezzi di trasporto personali. Saranno infine associati ai grandi magazzini, relegati anch’essi al di fuori delle città, facendo quindi nascere i centri commerciali. Queste tendenze si diffusero in Europa attorno agli anni ’70, quindi si è registrata per buona parte del XX secolo una diffusione di mercati al dettaglio, spesso accolti da un mercato coperto stabile insistenti su centri abitati e costituenti un vero e proprio punto di riferimento nelle loro sedi urbane. Questa declinazione della tipologia ha però inevitabilmente sofferto il ruolo in continua espansione delle nuove strutture, che si sono poste come organismi sostitutivi invece che complementari, generando una situazione di difficoltà per numerosi mercati coperti locali.
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2.2 - I CARATTERI DEL “MERCATO COPERTO”
La tipologia specifica dell’edificio del mercato coperto di base è caratterizzata da un ambiente unico con una forma “a piastra” con strutture di ampia luce libera, sostenute solamente lungo il perimetro La tipologia è caratterizzata da un ambiente o da alcuni pilastri interni. Al suo interno unico con forma “a piastra” con strutture di si collocano i punti di vendita i quali ampia luce libera, prevalenti nell’immagine generalmente sono costituiti solamente da arredi, risultando indipendenti dalle architettonica. strutture dell’edificio, decisamente prevalenti nell’immagine architettonica del mercato. In generale, questi impianti commerciali si possono catalogare sulla base di differenti criteri, come la specializzazione merceologica, l’ubicazione, la proprietà pubblica o privata o il sistema di vendita adottato. Dal punto di vista architettonico però sono comunemente caratterizzati da una soluzione volumetrica “monovano”, configurandosi come un edificio isolato o aggregazione di parti in cui però il “monovano” stesso ha una funzione gerarchica prevalente. Il volume, inoltre, può essere a base quadrata o rettangolare, avendo così uno sviluppo maggiormente lineare. Tipicamente, il mercato coperto si affida al sistema di vendita chiamato “Libero Servizio”, il quale prevede l’assistenza al cliente nel momento della scelta da parte del venditore. Questa dinamica è alla base di una differente destinazione delle superfici interne, che si possono suddividere in commerciale, di servizio e complementare. Il mercato offre principalmente un’attività di vendita che porta la superficie commerciale ad essere la più estesa e caratterizzante dell’impianto planimetrico. Questa risulta essere ripartita regolarmente da una successione di “posteggi” per la vendita che vede in genere i banchi al centro ed i box lungo il perimetro. La superficie complementare, quando presente, è in genere dotata di un bar, un punto ristoro o alcuni negozi, mentre quella di servizio, di dimensioni limitate, ospita spogliatoi, uffici, locali tecnici e servizi. All’interno di questa classificazione generale è possibile fare
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Assonometrie dell’impianto del mercato coperto con due differenti disposizioni interne dei “posteggi�
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I “posteggi” possono secondo diversi schemi particolare li concentra di vendita in aree chiuse “isole”.
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un’ulteriore specificazione, riferendosi al piano e alle aree di vendita, alle aree per il funzionamento del mercato, ai servizi, ai collegamenti verticali e orizzontali ed infine agli arredi. Si definisce piano di vendita la superficie destinata a contenere le singole aree di vendita. Essa può essere organizzata secondo geometrie diverse ma ha di norma una forma regolare al fine di consentire un agevole inserimento degli arredi. Presupposto fondamentale della sua organizzazione spaziale è che possa offrire agli utenti la massima visibilità e possibilità di orientamento, disponendo del minor numero di superfici opache possibile. In genere si colloca all’interno del monovano sopra citato, allo stesso livello della strada. Superata la zona d’ingresso, si entra nel piano di vendita che è suddiviso in porzioni più piccole regolari, i “posteggi” appunto, distribuite nell’area centrale (ordinate di solito secondo “schiere” in relazione agli attraversamenti degli utenti) essere organizzati ed in quella perimetrale. I “posteggi” geometrici. Uno in possono essere distribuiti secondo diversi al centro del piano schemi geometrici ed essere parzialmente quadrangolari dette o totalmente arredati con elementi fissi o mobili che formano i banchi o i box. I primi hanno un’altezza minima di un metro e sono aperti su tutti i lati esterni, mentre i secondi sono chiusi su tre lati e sono in genere di altezza minima 2,5 metri. Una particolare soluzione è quella che concentra al centro del piano di vendita gruppi di “posteggi” organizzati in modo da formare aree chiuse quadrangolari dette “isole”, in sostituzione delle “schiere”. Inoltre, per il funzionamento degli impianti sono in genere previste specifiche aree che coinvolgono una serie di locali per funzioni diversificate, come uffici, depositi, ripostigli, spogliatoi e locali tecnici. Di norma queste sono collocate in posizione opposta agli ingressi pubblici, in corrispondenza dei servizi e delle aree di carico e scarico. Inoltre, i collegamenti verticali e orizzontali sono degli importanti elementi costitutivi degli edifici mercato e si distinguono in relazione alla loro destinazione. I nuclei di percorsi verticali possono disporsi, rispetto alla superficie di vendita, in posizione
centrale o periferica e rappresentare quindi un punto di arrivo e di distribuzione del pubblico all’interno dell’ampia sala. Quelli orizzontali possono anch’essi caratterizzare l’andamento della sezione ed essere pensati come spazi non destinati solamente al passaggio ma anche all’accoglienza di momenti socializzanti. Possono inoltre anche svolgere una funzione simile a quella dei “percorsi urbani”, quando sono concentrati nella parte centrale dell’edificio tagliando lo spazio libero e misurando l’altezza complessiva della sezione. Al contrario, se collocati ai lati opposti della sala centrale possono ridefinire un perimetro differente da quello segnato dalle murature d’ambito. Sono quindi importanti nella caratterizzazione dello spazio interno, in quanto possono offrirne differenti letture e mettere in comunicazione in modalità diverse superfici verticali lontane fra loro, senza interferire con la funzionalità della superficie commerciale. Volendo infine fare una digressione sugli arredi del piano di vendita si sottolinea come, pur non essendo parte integrante della struttura costitutiva dell’impianto, determinano Gli arredi del piano di vendita, pur non le modalità d’uso e di percezione dello essendo parte integrante della struttura spazio commerciale. Sono praticamente costitutiva dell’impianto, determinano le degli elementi di arredo sui quali i modalità d’uso e di percezione dello spazio venditori espongono, preparano e pesano commerciale. il prodotto scelto dal cliente, differenziabili come anticipato in banchi o box attrezzati. Comune ad entrambi è il fronte di vendita, il quale è regolato sul piano verticale in base alle esigenze ergonomiche degli utilizzatori, suddiviso in tre porzioni: la più bassa si estende per circa 75 cm ed è normalmente definita l’area del rifornimento, i successivi 75 cm è considerata l’area dell’esposizione e la porzione superiore si configura come l’area della decisione. Il banco si configura come un elemento d’arredo semplice, con il fronte di vendita realizzato con uno o più piani d’appoggio, orizzontali o inclinati, posti ad un’altezza compresa tra gli 80 cm e 1 m, organizzato in moduli in base alla dimensione del “posteggio”.
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Il box è invece un posteggio di superficie variabile perimetrato su più lati che dispone al suo interno dell’attrezzatura necessaria all’espletamento delle sue funzioni. La sua superficie è divisa in zona di servizio e quella del fronte di vendita. Ulteriore tipologia di arredo è il chiosco o edicola, che rappresenta un’attrezzatura particolare, fissa o semifissa per l’esterno. Architettonicamente si caratterizza per essere un elemento puntiforme, riconoscibile e visibile in spazi aperti o in tessuti urbani non omogenei. È solitamente di forma rettangolare, di dimensioni di circa 3x5 m per 3 m di altezza ed in genere ha uno dei fronti ad apertura totale, provvisto di un bancone di vendita.
Sezioni schematiche degli arredi del piano di vendita (Scala 1:100)
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Il chiosco
Il banco
Il box
La gondola
Piante e viste prospettiche di differenti tipologie di box di vendita
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3 - IL “MERCATO SONATO”: IL “TEMPO DI MEZZO” E LA NUOVA IDENTITÀ 3.1 - L’ORCHESTRA SENZASPINE NELLA RIATTIVAZIONE GIÀ AVVIATA
Luogo di notevole interesse culturale e sociale fortemente radicato nelle menti dei bolognesi, il Mercato San Donato oggi vive del solo ricordo, essendo stato schiacciato dai numerosi “colossi” della distribuzione alimentare costruiti nelle vicinanze. Si trova inserito in un quartiere che si configura da sempre come un crocevia di culture, costumi, religioni e provenienze sociali e che va visto come un immenso patrimonio da valorizzare, tramite la condivisione di spazi e momenti per un arricchimento culturale. Processo di valorizzazione che, tra l’altro, si può già riscontrare in alcuni episodi che hanno avuto luogo all’interno del quartiere stesso, attivati anche grazie ad una grande partecipazione della cittadinanza. Sebbene infatti il quartiere, storicamente popolare e fisicamente periferico, presenti le problematiche tipiche di questo tipo di area urbana, è al contempo una zona caratterizzata da una forte presenza di giovani e da una grande dinamicità che lo ha reso teatro di “esperimenti urbani”. Ad esempio, significativi sono gli episodi del percorso partecipativo di coprogettazione avviato nel 2007 attraverso il metodo Open Space Opera di street art realizzata nell’ambito del progetto “Frontier - la linea dello stile” su un edificio residenziale nei pressi del Mercato Sonato
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Technology per gli spazi verdi di via Garavaglia che ha portato nel 2010 alla realizzazione del progetto Bella Fuori 2 oppure il progetto “Frontier – la linea dello stile”, tramite il quale il quartiere ha valorizzato il Writing e la Street Art attraverso la realizzazione di tredici colorate opere murali di dimensioni monumentali ed un approfondimento teorico e critico sulle discipline. Il Mercato San Donato, configurandosi come un luogo abbandonato che rischia sempre più di essere dimenticato è anch’esso oggetto di questo processo, che risulta essere già stato L’Orchestra Senzaspine vuole porre al centro avviato grazie all’Orchestra Senzaspine. In del progetto la musica al fine di creare un seguito alla vincita del bando Incredibol, centro polifunzionale con un’offerta relativa un progetto per l’innovazione creativa di anche all’arte in tutte le sue forme. Bologna al fine di sostenere lo sviluppo di imprese culturali e creative in Emilia-Romagna, ed al bando Culturability di Unipolis, l’Orchestra si è vista assegnare i locali in disuso del mercato nel 2014, al fine della realizzazione del progetto “Mercato Sonato”. Nel tempo di mezzo della vita di questo edificio, tra la vecchia funzione di mercato rionale ed una nuova destinazione d’uso a servizio del quartiere, si è potuto inserire un nuovo ciclo di vita, con l’obiettivo di creare un luogo di produzione culturale e di innovazione sociale. In questo processo, che come anticipato è stato avviato nel 2014 ed è tuttora in corso, l’Orchestra Senzaspine vuole avvicinare ed educare un nuovo pubblico alla fruizione di arte, musica e cultura mettendo a disposizione degli utenti una variegata offerta di attività all’interno della loro “casa”, utilizzata principalmente come sala prove. In particolare l’intento è quello di porre al centro del progetto la musica, dalla classica all’elettronica, proposta da giovani motivati e di talento, la quale si ponga come un motivo di curiosità, scoperta e condivisione. Questo al fine della creazione di un centro polifunzionale ed un luogo d’incontro, che insieme alla musica proponga un’offerta relativa anche all’arte in tutte le sue forme, dalla poesia al teatro contemporaneo, dalla fotografia al cinema, dall’artigianato al mercato stesso. Obiettivo
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inoltre dell’Orchestra è quello di sviluppare il progetto nel tempo in forte sinergia con il quartiere San Donato, tenendo conto delle sue peculiarità e necessità e coinvolgendo la cittadinanza, dalla coprogettazione delle attività alla realizzazione delle stesse e dei lavori necessari. Processo che è stato inteso in tre fasi progressive, identificative ed evocative di un percorso di fioritura che richiama il nome dell’associazione stessa: la semina, il germoglio ed il frutto. Dopo una prima fase di insediamento dell’attività con la creazione di uno spazio di co-working e di uno spazio di prova per l’Orchestra, la germogliazione (attualmente in atto) ha portato alla creazione di una vera e propria piazza coperta ospitante performance, workshop e spettacoli artistici. L’ultima fase, quella del frutto, va oltre al “tempo di mezzo” interessato da un riuso temporaneo dell’edificio e si prefigge di operare un ripensamento strutturale dell’edificio, al fine di sviluppare le proprietà del mercato per un riuso stabile ed a lungo termine con una nuova destinazione d’uso ed una nuova identità. L’Orchestra Senzaspine all’interno del Mercato Sonato
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3.2 - IL PROGETTO DI RIUSO COME SALA CONCERTI
È proprio a partire dalla base messa in atto dall’Orchestra Senzaspine che il progetto prevede un intervento articolato in due fasi e due nuovi cicli di vita, per un riuso temporaneo ed un riuso a lungo termine; due risultano quindi essere anche i conseguenti livelli di progetto architettonico ed intervento sull’edificio esistente. L’intento è in linea con le finalità del processo già avviato dall’Orchestra Senzaspine che ha attualmente in gestione l’edificio. Quindi, oltre ad un intervento “leggero” e non invasivo proposto per il “tempo di mezzo”, al fine di caratterizzare l’impianto sulla base della nuova funzione, sarà quindi operato un ripensamento della distribuzione spaziale, dell’estetica ed un’implementazione degli spazi offerti dall’esistente. L’obiettivo è quello di creare un nuovo polo all’interno del quartiere San Donato, collocato proprio alle porte dello stesso, che diventi un simbolo della musica e della cultura artistica ma anche della creatività, dell’innovazione e dell’inclusione sociale, recuperando e ripensando l’idea del mercato rionale di quartiere quale punto di riferimento dei residenti. Si configura quindi un nuovo spazio della musica che si va ad inserire nella “Città della musica” di Bologna, costituita da una rete di spazi più o meno formali, sedi di spettacoli e concerti diffusi nel tessuto urbano bolognese. Inoltre, l’approccio al mercato, caratterizzato dallo stato di abbandono, che prevede un suo riutilizzo in ambito musicale, visto il suo particolare impianto e la sua adattabile conformazione spaziale è una modalità d’azione sul patrimonio abbandonato bolognese che potrebbe essere esteso ed applicato anche ad altri edifici che sono attualmente in disuso. Avendo operato una ricerca, nell’ambito del patrimonio abbandonato di Bologna, focalizzata sui luoghi che presentano una conformazione spaziale adatta ad una riconversione come spazio per la musica o che in passato hanno ospitato concerti o eventi musicali, si propone una mappatura degli stessi. Si vuole quindi sottolineare come l’approccio utilizzato sul mercato San Donato potrebbe essere esteso anche ad altri elementi che attualmente rientrano all’interno del panorama dell’abbandono a Bologna, allargando così la suddetta rete della “Città della musica”.
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CITTÀ DELLA MUSICA Luoghi della musica esistenti Possibili espansioni
18 19 08
10
07
0
06
13
01
01. Teatro ex Caserma Minghetti
06. Chiesa S. Barbaziano
02. Ex Polveriera
07. Chiesa SS. Felice e Niccolò
03. Serre ex Facoltà di Agraria
08. Cinema Embassy
04. Ex Bologna Motori
09. Sala Bassi - Conservatorio G. B. Martini
05. Ex Produzione Pasti
10. Teatro Auditorium Manzoni
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14
15
04
17
16
03
11
09 12
05
02
11. Teatro Comunale di Bologna
16. Covo Club
12. Teatro San Leonardo
17. Locomotiv Club
13. Teatro Il Celebrazioni
18. TPO - Teatro Polivalente Occupato
14. Teatro Duse
19. Parco del Cavaticcio
15. Estragon
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4 - IL PROGETTO ARCHITETTONICO
4.1 - L’IMPIANTO DEL MERCATO
Il mercato San Donato presenta un assetto tipico della tipologia del mercato coperto. Si articola su due piani, di cui quello inferiore è un seminterrato accessibile direttamente da un percorso carrabile, mentre quello superiore, il piano terra, è allo stesso livello dei percorsi carrabili principali limitrofi con i quali si connette tramite un piazzale antistante il volume dell’edificio, di modeste dimensioni, occupato da volumi di aggiunta adiacenti al volume del mercato, costituiti da box di vendita e chioschi. Il volume complessivo ha un assetto decrescente procedendo in altezza, ed è costituito da un basamento regolare al piano seminterrato, da un livello intermedio al piano terra non uniforme che presenta aggetti e rientranze (a cui si aggiungono le superfetazioni) ed un estensione al di sopra di esso costituente la copertura del vano centrale del piano terra. Quest’ultima si pone come un elemento fortemente caratterizzante il volume e l’immagine del mercato, grazie al profilo che segue le pendenze delle due falde e la struttura portante dell’impianto, caratteristica spesso riscontrabile in questa La struttura è costituita da una maglia tipologia. L’assetto volumetrico riflette la regolare di pilastri e travi che permettono disposizione strutturale e spaziale interna. di individuare una trama sui due livelli che La struttura è costituita da una maglia però si differenzia in base agli elementi che regolare di pilastri e travi che permettono la compongono. di individuare una trama sui due livelli, alla base dell’organizzazione degli spazi interni attuali. Griglia che però si differenzia in base agli elementi che la compongono, sui due differenti livelli, generando così una duplice spazialità all’interno del mercato. Il piano inferiore è caratterizzato da una diposizione regolare di pilastri con maglie di circa 5,5 m x 3,5 m creando una “sala ipostila”; questa si contrappone alla differente spazialità del piano superiore, in cui si distingue un ampio vano centrale a doppia altezza in cui la struttura è costituita da archi in calcestruzzo armato che scandiscono lo spazio centrale e regolano allo stesso tempo gli spazi accessori laterali, caratterizzando lo spazio interno ed il volume esterno grazie alla loro particolare conformazione. La disposizione degli spazi interni è regolata dagli elementi strutturali individuati, ed
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è simile nei due livelli. Gli ambienti sono organizzati in due ampi spazi centrali, che vengono percepiti in maniera differente per via della struttura che li determina, e in spazi laterali accessori, che si affacciano su quelli centrali e sono scanditi dalla griglia strutturale. In linea con la disposizione spaziale e la presenza di ambienti che solitamente costituiscono gli impianti dei mercati coperti, anche nel caso del mercato San Donato l’assetto è quello usuale. Infatti, relativamente all’originaria funzione commerciale, al piano terra il vano centrale ospitava i tipici banchi di vendita per i prodotti ortofrutticoli di cui si è parlato precedentemente, mentre gli spazi laterali erano destinati a spazi di vendita configurati come dei box; lo spazio del piano terra era quindi organizzato secondo la disposizione dei “posteggi” del mercato, mentre il piano seminterrato ospitava negli ambienti accessori laterali magazzini e locali tecnici, con il vano centrale che ospitava l’ex vetreria comunale. È importante precisare che, in linea con le ricerche sui caratteri tipologici del mercato coperto e con la loro evoluzione, il processo progettuale esposto in seguito, per la creazione In linea con le ricerche sui caratteri tipologici di una nuova identità, parte proprio da del mercato coperto e con la loro evoluzione, un’analisi dell’impianto e dal riconoscimento il processo progettuale parte proprio da delle sue peculiarità. Come anticipato, il un’analisi dell’impianto e dal riconoscimento progetto architettonico si sviluppa in due delle sue peculiarità. fasi conseguenti, di cui la prima è rivolta ad un riuso temporaneo degli spazi mentre la seconda alla creazione di una nuova configurazione spaziale per un riuso a lungo termine e con una nuova e consolidata destinazione d’uso. Gli assunti di partenza, alla base degli interventi dei due step sono gli stessi ma si differenziano le due modalità operative sull’esistente. In entrambe, però, è fondamentale l’idea della conservazione dei caratteri tipologici del mercato, assunto che vuole tutelare l’impianto del mercato vista la scarsità degli “esemplari” simili che attualmente si conservano sul territorio bolognese.
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Vista del fronte longitudinale con l’edicola e le superfetazioni antistanti
Vista del prospetto trasversale caratterizzante l’immagine del mercato
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Vista interna dell’”aula” a doppia altezza del piano terra
Vista interna dell’”aula” a doppia altezza del piano terra
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Impianto originario
Individuazione della griglia
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Duplice struttura e spazialitĂ
Organizzazione degli ambienti
Ambienti principali Ambienti secondari
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PIANTA PIANO INTERRATO
A
-3,89
B
A’
118
B’
0
2
4
6
8
10
20 m
119
PIANTA PIANO TERRA
A
+0,43 B
+0,00
A’
120
B’
0
2
4
6
8
10
20 m
121
SEZIONI
+4,18
+0,43
-3,89 Sezione AA’ (Scala 1:200)
Sezione BB’ (Scala 1:200)
122
+9,90
+0,43 +0,00
+9,03
+4,18
+0,43 -1,20
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PROSPETTI
Prospetto Ovest (Scala 1:200)
Prospetto Est (Scala 1:200)
124
125
4.2 - ORDINE E REGOLARITÀ PER UN PRIMO APPROCCIO ALL’ESISTENTE
Sulla base delle considerazioni effettuate sull’impianto originario del mercato, la prima fase di intervento si prefigge di evidenziare la regolarità strutturale che caratterizza lo spazio, rimuovendo le partizioni che occultano la sua lettura ed inserendo dei volumi ordinati secondo le maglie della griglia strutturale, sia negli ambienti laterali che negli ampi vani centrali, sui due livelli. Questo al fine di operare secondo un criterio di ordine per privilegiare i caratteri dell’impianto esistente, che in questo modo vengono rispettati e considerati come base del nuovo intervento.
Interventi di prima fase
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4.3 - UN ULTERIORE LIVELLO DI PROGETTO
Nell’ambito di un secondo e più corposo step di interventi, si utilizza un approccio che, pur rispettando l’assetto originario della struttura, vuol fare emergere le azioni effettuate sull’impianto, rivolte alla caratterizzazione spaziale del nuovo mercato e derivanti da ulteriori considerazioni sull’assetto originario ed intenti progettuali. Ponendo infatti l’attenzione non solo sulla configurazione interna ma anche su quella volumetrica esterna, si riconosce come il livello del piano terra, intermedio nella sequenza ascendente prima descritta, risulta connotato da un profilo perimetrale non regolare e volumi aggiuntivi accorpati, a differenza degli altri due. Una sua estensione volta ad una regolarizzazione del volume porterebbe quindi ad avere una successione “piramidale” in alzato dei tre livelli. Livelli che, in relazione al nuovo programma funzionale del progetto individuano una stratificazione degli spazi in relazione alle attività per cui sono pensati. Il piano seminterrato è prevalentemente dedicato alla musica ed all’arte, quello intermedio del piano terra all’intrattenimento ed alla cultura mentre il livello superiore, individuato in una terrazza che circonda il “cappello” strutturale della copertura, è riservato al gioco ed allo svago. Il filo conduttore che connette la stratificazione funzionale è quello della musica, che a partire dal piano inferiore si sviluppa fino al livello superiore dei tre ponendo in relazione tutte e tre le quote. Questa connessione avviene in alzato in senso longitudinale, nel rispetto dell’assetto dell’impianto originario. Occupa infatti lo spazio centrale e genera conseguentemente un fulcro attorno a cui orbitano i sistemi di circolazione sui diversi livelli, in linea con la circolazione interna tipica dei mercati coperti, che avviene attorno ai banchi di vendita centrali, tra gli stessi e gli spazi laterali accessori. Infine, riguardo al tema della visibilità del nuovo “mercato” e di creazione di un landmark, la porzione superiore della sequenza di volumi offre la possibilità di un intervento efficace. Infatti, questa emerge da volumi sottostanti e si caratterizza per il particolare profilo dettato dalla struttura del vano principale del piano terra ed è inoltre oggetto di una direzione di vista privilegiata dovuta al percorso sopraelevato dell’adiacente ponte carrabile.
127
Regolarizzazione del volume
Individuazione dei tre livelli
Gioco Intrattenimento Musica e arti
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Definizione delle connessioni e del sistema di circolazione
Landmark e visibilitĂ
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Sequenza di viste dell’impianto percorrendo il ponte su via San Donato in direzione del quartiere
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4.4 - GLI INTERVENTI DI SECONDA FASE
In relazione alle riflessioni effettuate si è delineata una sequenza di interventi che ha portato ad una nuova immagine ed una nuova spazialità, sia interna che esterna, del “mercato”. Punto di partenza è un’operazione di rimozione È stata delineata una sequenza di interventi delle superfetazioni esterne che che ha portato ad una nuova immagine ed compromettono la regolarità del volume una nuova spazialità, sia interna che esterna, del piano terra insieme ad una sua del “mercato”. estensione sui diversi fronti, tramite la creazione di un “innesto” che non altera la leggibilità dell’impianto ma al contrario vuole valorizzarla. Generato quindi un insieme di volumi compatti e organizzati su diversi livelli, si operano delle sottrazioni da questo insieme. Con questa azione allo stesso tempo si crea una connessione tra i diversi livelli su cui è stato organizzato e differenziato il programma funzionale e si inseriscono evidenti segni architettonici nell’impianto originario. Il loro obiettivo è quello di connotare l’intervento volto alla creazione dei principali spazi per cui è stato pensato l’edificio nella sua conformazione finale, ossia quelli riservati ai concerti ed alle performance. In questo modo, soprattutto internamente, si delinea l’ambito riservato alla musica e si modifica parzialmente la percezione spaziale precedentemente differenziata nel livello del seminterrato e del piano interrato. Effettuando infatti un taglio viene privilegiata l’aula a doppia altezza del livello superiore, pur conservando in parte la spazialità originaria di quello inferiore. Le azioni rivolte a garantire una maggiore visibilità dell’oggetto architettonico nella sua interezza, in relazione alla sua ritrovata funzione di punto di riferimento all’interno del quartiere e non solo, e degli interventi sull’impianto esistente, si suddividono in due ambiti. Il primo è l’utilizzo del colore, che oltre a connotare internamente il segno architettonico inserito, caratterizza fortemente l’estetica esterna del nuovo “mercato”. L’idea alla base dell’utilizzo dei colori e della scelta degli stessi è quella del rapporto tra suono e colore, vista la nuova funzione del mercato, un tema indagato sin dai tempi antichi. In particolare, nell’ampio panorama di teorie e sperimentazioni sul rapporto tra suono e colore, si fa riferimento
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all’associazione dei colori alle note musicali, attraverso un’analogia diretta tra i fenomeni acustici e quelli ottici e ad un’associazione tra i toni musicali e la luminosità dei colori, risalenti a Newton ed al pittore Giuseppe Arcimboldi. Il primo correlò le note musicali ai colori: in base all’aumento delle frequenze di oscillazione della luce nello spettro cromatico visibile, dal rosso al violetto, fece corrispondere un aumento delle frequenze di oscillazione del suono nella scala diatonica maggiore. Il secondo al contrario creò un’apposita scala di grigi, studiata in base ai gradi della scala musicale. Reinterpretando questi due approcci si utilizza una scala di colori che rappresenta l’eterogeneità delle funzioni che si insediano nel “Mercato Sonato”, riunite attorno ad un denominatore comune quale l’arte, ed in particolare la musica, caratteristica fondamentale della nuova identità del mercato, evidenziata dal colore rosso scelto per caratterizzare maggiormente gli ambiti ad essa dedicati. L’altro ambito d’azione in relazione alla visibilità è la lavorazione della superficie del livello superiore, dedicato nella stratificazione funzionale al gioco ed allo svago, che vede la leggera movimentazione di alcuni punti lungo la verticale. Schematizzazione del concept della scelta dei colori
λ (lunghezza d’onda) ν (frequenza)
Spettro della luce visibile
DO RE MI Pentagramma
Selezione delle cromie
132
FA
SOL
LA
SI
Rimozioni ed espansione
Sottrazioni
133
Movimentazione della superficie
Applicazione del colore
134
4.5 - IL PROCESSO PROGETTUALE E LE SOLUZIONI ANALIZZATE
Il processo progettuale che ha portato alla definizione delle configurazioni spaziali adottate è stato, come di consueto, caratterizzato dall’analisi di differenti soluzioni. Queste, hanno costituito un utile apporto al risultato finale del progetto, in quanto hanno permesso di evidenziare alcuni aspetti di dettaglio la cui revisione ha potuto generare un migliore risultato finale. In particolare una delle soluzioni esaminate, ma poi abbandonate, è quelle della disposizione dei nuovi volumi inseriti nell’esistente che segue il criterio del “caos”, in opposizione a quella ordinata in seguito adottata. Il limite di questa configurazione è il mancato rispetto dei caratteri specifici dell’impianto esistente che vengono resi di difficile lettura, oltre alla creazione di spazi in eccesso per le funzioni che si intendono insediare. Inoltre, nella creazione di una nuova spazialità interna, è stata presa in esame, parallelamente alla soluzione adottata in seguito, la disposizione della rampa di collegamento tra i diversi livelli orientata trasversalmente all’edificio. Questa, pur essendo allineata con la direzione delle falde di copertura e garantendo una maggiore larghezza ed estensione della platea, comportava un intervento meno più invasivo e meno conveniente anche dal punto di vista spaziale, poichè avrebbe generato una maggiore compressione nell’ampio spazio dell’”aula” del piano terra. Infine, in relazione al tema della visibilità del nuovo oggetto architettonico, è stata analizzata la soluzione che prevedeva un innesto al di sopra del cappello aggettante di copertura, volendo creare una sorta di lanterna, che però avrebbe compromesso la leggibilità del profilo caratteristico del mercato. In alternativa, sono state studiate diverse soluzioni per connettere la nuova terrazza del primo piano al ponte su via San Donato, prevedendo quindi un’estensione del volume o l’inserimento di un elemento di connessione tra i due. Anche quest’idea è stata abbandonata in quanto l’inserimento di un elemento in quella posizione avrebbe occultato il prospetto trasversale del mercato e sarebbe stata necessaria un’opera dalle dimensioni ingenti per coprire lo sbalzo e garantire una percorribilità agevole a pedoni e ciclisti.
135
Disposizione dei nuovi volumi secondo il criterio del “caos�
Sottrazioni
136
Innesto sulla copertura
Estensione sul fronte adiacente al ponte
137
5 - PRIMA FASE DI RIUSO TEMPORANEO: UN INTERVENTO “LEGGERO” NEL RISPETTO DELL’ESISTENTE
In relazione alla fase di riuso temporaneo come sala prove e centro polifunzionale del mercato San Donato, individuabile nei primi due periodi previsti anche dall’Orchestra Senzaspine (quelli della semina e del germoglio), il progetto prevede un insieme di interventi pensati nell’ottica di conservare e semplificare la lettura dell’impianto originario. L’obiettivo è quello di dotare il mercato degli spazi necessari per il ciclo di vita del “tempo L’obiettivo è quello di dotare il mercato degli di mezzo”, tramite un intervento di riuso spazi necessari per il ciclo di vita del “tempo temporaneo valutabile come livello 2, il di mezzo”, tramite un intervento di riuso più consistente dei tre precedentemente temporaneo valutabile come livello 2. esposti, pensato solo sullo spazio interno. Lo spazio del mercato viene mantenuto “suddiviso” secondo le due differenti spazialità che si percepiscono nel livello del seminterrato e del piano terra. Al fine di evidenziare queste due connotazioni differenti, si riparte dall’essenzialità della struttura, ripulita delle partizioni che ne occultano l’immagine e l’assetto. Inoltre, in riferimento all’organizzazione spaziale tipica del mercato coperto, che connotava anche lo stato di fatto del mercato San Donato, si sono definiti degli spazi negli ambienti più esterni, ai lati della “sala ipostila” del seminterrato e dell’“aula” a doppia altezza del piano terra, mantenendo il sistema degli accessi e dei collegamenti verticali invariati. Il piano seminterrato è stato organizzato definendo, tramite partizioni leggere e principalmente trasparenti, gli ambienti laterali configurabili in base alle necessità che ospitano laboratori e spazi multifunzionali per le diverse arti. Secondo un approccio che segue il principio dell’ordine, in relazione alla maglia strutturale, sono stati inseriti dei box per le prove musicali, insonorizzati e chiusi da partizioni trasparenti. Questi vogliono recuperare il tipico assetto del mercato coperto in cui nello spazio centrale sono organizzati i “posteggi” per la vendita, e la circolazione degli utenti avviene tra di essi ed attorno ad essi nello spazio adiacente agli ambienti laterali, occupati da altri spazi di vendita. “Posteggi” che quindi vengono occupati da cluster
138
che costituiscono un chiaro riferimento ai box tipici del mercato, pur con un’estetica rivisitata e semplificata. Al piano terra, l’approccio utilizzato è sostanzialmente lo stesso, riprendendo l’assetto tipico del mercato coperto già richiamato. L’unica differenza significativa è nello spazio centrale, il quale non viene occupato stabilmente, al fine di lasciarlo liberamente fruibile per le prove e le esibizioni musicali dell’Orchestra, con la predisposizione temporanea di una platea e di una scena, anche grazie all’utilizzo di quinte sceniche rimovibili. L’unica azione di delimitazione di spazi nell’aula centrale avviene per mezzo di tendaggi rimovibili di differenti dimensioni, calabili dall’alto, inseriti anch’essi nell’ordine della maglia strutturale e pensati come possibile estensione degli ambienti ai lati della sala centrale. Ambienti che, come al piano interrato si affacciano sul vano principale centrale e sono delimitati principalmente da partizioni leggere e trasparenti. Questi ospitano uffici pensati per l’insediamento di start-up, laboratori e spazi multifunzionali, oltre ad ambienti come cucina, bar e reception necessari per l’utilizzo di questo spazio per lo svolgimento di eventi. Tipici box di vendita dei mercati rionali
139
PIANTA PIANO INTERRATO
A
Magazzino
-3,89 Centrale termica
Servizi
B
Magazzino
Laboratorio
A’
Laboratorio
3 1
2
140
1
Box prove
2
Laboratori
3
Ambienti di servizio Flussi
Camera oscura
Spazio polifunzionale
B’ Spazio polifunzionale
Sala proiezioni
0
2
4
6
8
10
20 m
141
PIANTA PIANO TERRA A
Ufficio Ufficio Magazzino
+0,43 B Laboratorio temporaneo
Laboratorio Laboratorio Magazzino
+0,00
A’
3
2
6
1
Sala concerti
2
Ristorazione
3
Uffici
4
Laboratori
5
Reception
6
Ambienti di servizio
1
4
5
Flussi
142
Ufficio Cucina Servizi
Laboratorio temporaneo
B’ Bar
Servizi Spazio polifunzionale
0
2
4
6
8
10
20 m
143
SEZIONI
+4,18
+0,43
-3,89 Sezione AA’ (Scala 1:200)
Sezione BB’ (Scala 1:200)
144
+9,90
+0,43 +0,00
+9,03
+4,18
+0,43 -1,20
145
SEZIONE TRASVERSALE PROSPETTICA
146
147
SEZIONE LONGITUDINALE PROSPETTICA
148
149
6 - SECONDA FASE DI RIUSO: UNA NUOVA SPAZIALITÀ PER UN RITROVATO PUNTO DI RIFERIMENTO 6.1 - NUOVA IMMAGINE E RAPPORTO CON IL CONTESTO
Oltre alla nuova configurazione temporanea, il progetto prevede la creazione di una nuova identità del “mercato”, tramite una serie di interventi più consistenti sull’esistente, per un riuso a lungo termine. Ponendo sempre attenzione ai caratteri peculiari dell’impianto originario ed a quelli tipici della tipologia del mercato coperto, l’obiettivo è quello di creare una L’obiettivo è quello di creare una nuova nuova immagine ed una nuova percezione immagine ed una nuova percezione spaziale spaziale non solo all’interno ma anche non solo all’interno ma anche all’esterno, all’esterno, in relazione alle esigenze legate in relazione alle esigenze legate alla nuova alla nuova funzione dell’edificio ed al suo funzione ed al suo rinnovato ruolo all’interrinnovato ruolo all’interno del quartiere. no del quartiere. In particolare, si agisce sia valorizzando maggiormente i caratteri tipici del fabbricato, sia inserendo dei “segni” su di esso che, seppur semplici, lo connotano fortemente. Il contesto, con la sua morfologia, la presenza di edifici e superfetazioni che nascondo il mercato e di infrastrutture di elevata percorrenza, gioca un ruolo fondamentale nelle operazioni di revisione della volumetria del fabbricato. Avendo operato una rimozione dei chioschi di vendita accorpati all’edificio e del box antistante destinato ad edicola, si è liberato lo spazio verso il quartiere San Donato. Questo è stato occupato tramite un’espansione del volume e la creazione di una piccola piazza, che sostituisce la precedente zona di parcheggi e che si protende verso il quartiere. Espansione volumetrica che avviene anche sul fronte opposto, quello orientato a sud-ovest, e su quello nord-ovest, verso il ponte di via San Donato, compiendo in questo modo una regolarizzazione del volume al piano terra che permette anche una maggiore fruibilità del piano posto al di sopra di esso, ai piedi della copertura aggettante. Seppur vengano effettuati questi interventi di pulizia ed espansione della sagoma non viene però snaturata l’originaria disposizione delle volumetrie ma al contrario viene esaltata e valorizzata, con l’obiettivo di fare emergere l’oggetto all’interno del contesto. Poiché si trova infatti schiacciato ed incastonato nel contesto, lavorando le sue superfici
150
esterne ed utilizzando il colore, si vuole segnalare e caratterizzare l’edificio. Il risultato, esternamente è quello di un oggetto compatto, ma allo stesso tempo permeabile e proteso Il risultato è quello di un oggetto compatto, verso il contesto. Questo grazie all’innesto ma allo stesso tempo permeabile e proteso al piano terra di una “seconda pelle” verso il contesto. dell’edificio, realizzata in listelli lignei colorati, distanziati fra loro e permeabili alla vista, e ad una piazza pubblica in continuità fra il livello del piano terra ed il primo piano della terrazza. Partendo dal primo piano ai piedi della copertura, il quale ospita un playground, la piazza si lega allo spazio antistante al mercato tramite una scalinata che, operando una “sottrazione” al volume regolarizzato, invita gli utenti a fruire di questo spazio e crea l’opportunità di dar luogo a performance esterne.
151
MASTERPLAN
-0,60
-1,40
+3,30
-2,60
+1,90
-2,10 +0,00
0
5 10
15 20
25
50 m
SEZIONI URBANE
154
0
5
10
15 20 25
50 m
0
5
10
15
20
25
50 m
0
5
10
15
20
25
50 m
155
PIANTA PIANO INTERRATO
-3,95
A
Spazio polifuzionale Spazio polifuzionale
Magazzino
Platea Palco Spogliatoi e servizi
B
Camera oscura
A’
Sala proiezioni
3
4 1
2
1
Sala concerti
2
Box prove
3
Laboratori
4
Ambienti di servizio
5
Box ascensore
5
Flussi
156
C
Spazio polifunzionale Spazio polifunzionale Servizi
Magazzino -3,80
Box prove
B’
Sale di registrazione
Sala da ballo
C’
0
2
4
6
8
10
20 m
157
PIANTA PIANO TERRA A
Magazzino Platea B Spazio polifunzionale +0,55
Spazio polifunzionale Ufficio
Giardino
+0,00
3 6
1
2 4
5
1
Sala concerti
2
Ristorazione
3
Giardino
4
Laboratori
5
Reception
6
Ambienti di servizio Flussi
158
A’
C
Giardino
Servizi
Sala lettura
B’ +0,55 Bar
Reception Cucina Centrale termica
Spazio per esibizioni
C’
+0,15
0
2
4
6
8
10
20 m
159
PIANTA PIANO PRIMO A
Bar
B
+4,50
Playground
A’
1 2
1
Playground
2
Ristorazione Flussi
160
C
Playground
B’
+4,50
C’
0
2
4
6
8
10
20 m
161
SEZIONI TRASVERSALI
+4,50
+0,55
-3,80 Sezione AA’ (Scala 1:200)
+0,55 +0,00
Sezione CC’ (Scala 1:200)
162
+10,00
+0,55 +0,00
+10,00
+4,50
+0,55
-3,10
163
SEZIONE LONGITUDINALE
Sezione BB’ (Scala 1:200)
164
+9,20
+4,50
+0,55 -1,10
165
PROSPETTI TRASVERSALI
Prospetto Sud
Prospetto Ovest
166
167
PROSPETTI LONGITUDINALI
Prospetto Ovest (Scala 1:200)
Prospetto Est (Scala 1:200)
168
169
VISTA ASSONOMETRICA
VISTA DAL QUARTIERE
172
173
VISTA DAL PONTE
174
175
6.2 - LA NUOVA SPAZIALITÀ INTERNA
Punto di partenza è la differenziazione, mantenuta in fase di riuso temporaneo, tra la percezione spaziale interna dei due livelli, che si declina in una sala con un’estensione In questa fase di intervento l’intento è quello orizzontale prevalente connotata dalla di modificare parzialmente la differente presenza di numerosi pilastri ed un percezione spaziale dei due livelli, inserendo ampio vano a doppia altezza liberato un “segno” architettonico. dall’ingombro degli elementi strutturali. In questa fase di intervento l’intento è quello di modificare parzialmente questo assetto inserendo un “segno” architettonico. In relazione alla nuova destinazione d’uso, che principalmente prevede l’utilizzo come sala concerti oltre che sala prove per l’Orchestra attualmente insediata in esso, l’esigenza è quella di creare un nuovo ambito all’interno del fabbricato. Lo si fa operando sui collegamenti tra i piani e facendo una “sottrazione” dal volume ricostituito dell’impianto. In particolare si è operato un taglio longitudinale, nel rispetto dell’orientamento originario del mercato, che collega i tre livelli su cui si estende il programma funzionale ed è occupato da una scalinata, platea in connessione con la scena al piano interrato quando si svolgono performance, spazio liberamente fruibile in assenza di eventi. Con questo gesto si caratterizza fortemente lo spazio interno, che vede la conservazione parziale della “sala ipostila” del piano interrato parallelamente all’esaltazione dello spazio a tutt’altezza del piano terra, che viene ulteriormente dilatato. Gesto che si inserisce con ordine all’interno della maglia strutturale, occupando tre campate del piano terra e due del piano interrato, al fine di rendere meno invasivo possibile l’intervento mantenendo l’approccio di ordine e rispondenza alla regolarità dell’impianto originario. Si è scelto però di collocare la scalinata in posizione disassata rispetto alla pianta del piano terra, operando una sorta di “errore compositivo” orientato a generare una maggiore ampiezza dello spazio antistante l’accesso al nuovo “mercato”. Questo taglio longitudinale risalta per la sua cromia, rossa rispetto al neutro di tutto il resto, ed è il perno attorno a cui si dispongono tutti
176
gli ambienti ed il sistema di circolazione sui due livelli originari e sul livello del piano primo, riqualificato e reso fruibile. Al piano interrato la scalinata della platea e la scena si configurano come centrali nella disposizione planimetrica ed attorno ad essi viene predisposta una fascia destinata alla circolazione che si estende per una maglia della griglia strutturale e su di essa affacciano gli ambienti laterali accessori, delimitati da partizioni leggere e trasparenti. Questi ospitano, oltre a spazi di servizio e riservati ai musicisti o agli attori che si devono esibire, dei laboratori pensati per ospitare attività artistiche di vario genere, come la danza, la fotografia, il cinema ma anche l’artigianato o più semplicemente workshop e sessioni di lavoro. Vengono inoltre ripresi e recuperati dalla prima fase di intervento i box dedicati alle sale prove musicali, con una nuova disposizione sempre rispondente all’ordine della struttura, ai quali si aggiungono sale registrazione ricavate nello spazio al di sotto della scalinata. Anche la disposizione degli spazi al piano terra orbita attorno all’intervento principale di creazione della scalinata. Essendo però disassata rispetto l’asse longitudinale gli ambienti laterali non vengono gestiti alla stessa maniera sul lato a nord-est e sul lato a sud-ovest. Nelle vicinanze dell’accesso principale, messo in evidenza con un portale “a cannocchiale” colorato di rosso, si sviluppano gli ambienti della reception e di alcuni laboratori multifunzione, mentre sul lato opposto lo spazio viene liberato, al fine di essere utilizzato in maniera più libera, ad esempio per la predisposizione di un percorso espositivo, e di garantire la circolarità dei flussi interni. Sui due lati più corti inoltre, vengono organizzati altri laboratori a sud ed un ampio spazio per il ristoro a nord, dotato di servizi, cucina e magazzino, il quale si estende sia internamente fino a comprendere la porzione più riservata di una sala lettura al di sotto della rampa centrale e lo spazio esterno delimitato dalla nuova “seconda pelle”.
177
In seguito all’espansione della sagoma volumetrica esterna si genera uno spazio “filtro” principalmente su tre dei quattro fronti il quale, come anticipato, risulta permeabile In seguito all’espansione della sagoma verso l’esterno ma allo stesso tempo volumetrica esterna si genera uno spazio direttamente connesso con l’interno. “filtro” su tre dei quattro fronti, permeabile Vengono infatti estese le aperture sui due verso l’esterno ma allo stesso tempo fronti longitudinali che in precedenza direttamente connesso con l’interno. apparivano estremamente chiusi e limitanti anche sul piano dell’illuminazione interna. Si crea quindi un’estensione dello spazio interno, in un giardino liberamente fruibile all’interno di un recinto permeabile elevato in altezza, di ampio respiro. Con questo gesto l’intento è quello di rigenerare la “terrazza” del piano terra mantenendo sempre la possibilità della circolazione attorno all’edificio, oltre alla regolarizzazione ed espansione del piano terra. Il livello al piano primo, anch’esso direttamente collegato longitudinalmente dalla scalinata, viene dotato di una piattaforma sopraelevata, che si inserisce nelle due campate alle estremità dell’ampio vano centrale, lasciando il vuoto centrale per la conservazione della leggibilità dell’impianto. Le piattaforme sono collegate tra loro da un ballatoio sul lato nord-est ed ospitano una zona bar pensata in continuità con la terrazza che ospita il playground, posta al loro stesso livello. Operando come descritto sull’impianto esistente si giunge quindi alla definizione di due linguaggi che coesistono nella nuova configurazione. Si tratta del percorso longitudinale interno caratterizzato dalla rampa che diventa un tutt’uno con il soppalco ed il playground al piano primo e del “recinto” collocato attorno all’edificio esistente, generato dall’espansione volumetrica già esposta ed in diretta connessione con la rampa esterna. Questi, pur essendo due sistemi profondamente differenti, com’è sottolineato anche dal differente tipo di cromia, legano gli interventi sull’esterno a quelli sull’interno. Mentre infatti la “seconda pelle” utilizza un multicolore, la rampa ed il playground sono connotati dal colore uniforme rosso,
178
così come il cappello di copertura, che emerge grazie alla “fascia” multicolore del piano terra, che crea quasi un’effetto neutro in opposizione al colore pieno sovrastante. Nonostante la differente colorazione risultano però legati dal sistema di circolazione circolare che si ritrova sia al piano terra che al piano primo e dalla connessione nel punto di arrivo delle due rampe che è appunto la superficie movimentata del playground.
179
SPACCATO ASSONOMETRICO
180
181
SEZIONE TRASVERSALE PROSPETTICA
182
183
SEZIONE LONGITUDINALE PROSPETTICA
184
185
VISTA DAL SOPPALCO
186
187
VISTA DAL LIVELLO INTERMEDIO
188
189
6.3 - GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI
L’impianto risultante dagli interventi descritti è caratterizzato da una serie di soluzioni studiate in dettaglio al fine di sottolineare l’azione progettuale effettuata sull’edificio esistente ed integrarla al meglio. La soluzione di maggior impatto estetico è senza dubbio l’utilizzo del colore. Come anticipato, l’espansione volumetrica viene caratterizzata dall’utilizzo di listelli lignei colorati, utilizzando 7 colori associati alle 7 note musicali, sui quali uno prevale, il rosso. Sull’insieme dei colori sul perimetro vengono effettuate delle variazioni graduali di saturazione e tonalità, che seguono l’andamento della superficie del playground retrostante, evidenziando la lavorazione della stessa ed allo stesso tempo movimentare ritmicamente la superficie più esterna della sagoma. Inoltre, tramite il principale colore rosso vengono legati l’intervento sull’interno e sull’esterno, poiché questo lo si ritrova sulla scalinata e sulle piattaforme interne, così come sulla superficie della piazza pubblica al piano primo e sulla sua estensione al piano terra. Oltre a ciò, la visibilità rispetto al contesto del nuovo “mercato” è uno dei concetti alla base degli interventi. Per questo motivo, oltre ad utilizzare il colore come descritto e sulla sagoma estrusa e caratteristica della copertura, la superficie orizzontale della terrazza del piano primo viene lavorata in più punti nelle vicinanze del bordo, alzandoli fino al livello del parapetto, creato dallo stesso “rivestimento” colorato del volume. Questo al fine di generare uno spazio dinamico, sia nella fruibilità, sia nella sua percezione, oltre che dall’interno della terrazza, anche dal livello rialzato del ponte su via San Donato. Come detto, il principale elemento caratteristico dell’intervento è rappresentato dalla scalinata, che genera un taglio nel solaio del piano terra e connette longitudinalmente i tre livelli del nuovo impianto. Questa modifica la spazialità interna dell’edificio e risalta grazie anche all’utilizzo del colore rispetto alle restanti parti lasciate neutre. Allo stesso modo viene trattato il collegamento esterno al piano primo, con una scalinata prospicente la piccola piazza pubblica che “scava” il volume ricostituito. Entrambi gli elementi generano inoltre degli ambiti al di sotto di essi, che invece di essere trattati come “sottoscala” vengono dotati di una loro
190
identità. Al piano inferiore viene chiuso ed utilizzato come sala registrazione, al piano terra uno è lasciato aperto e pensato come una porzione più intima, utilizzabile come sala lettura, estensione della zona bar, mentre l’altro ospita un vano tecnico e magazzino per gli allestimenti esterni. La caratterizzazione della sagoma volumetrica avviene, come anticipato, grazie all’installazione di un “recinto” permeabile che delimita uno spazio filtro tra interno ed esterno. Questo è direttamente accessibile sia dall’interno che dall’esterno e si configura come un giardino caratterizzato da elementi di verde e spazi per il relax, l’intrattenimento e la socializzazione, liberamente fruibili e configurabili. Si protende con larghezze differenti sui vari fronti e mantiene sempre un’altezza costante di circa 5 metri, che oltre a dare un grande respiro a questo spazio, permette di raggiungere la quota del primo piano e formare un parapetto, a cui si “collega” il playground nelle parti rialzate. Ulteriore elemento caratterizzante questo spazio è la copertura scorrevole per mezzo di tendaggi che recuperano l’immagine del mercato in sede temporanea costituito da chioschi protesi verso lo spazio pubblico per mezzo di tende estensibili. Infine, un elemento che connota fortemente i prospetti e gli accessi principali è quello del portale d’ingresso. Anch’esso colorato di rosso e con una struttura che ha un andamento “a cannocchiale”, si inserisce nel giardino al piano terra e nella struttura esistente al piano seminterrato. TIpico chiosco del mercato in sede temporanea
191
VISTA DAL PALCO
192
193
VISTA DEL PLAYGROUND
194
195
VISTA DEL “GIARDINO”
196
197
VISTA DEI BOX PROVE
198
199
6.4 - SOLUZIONI STRUTTURALI
TECNOLOGICHE
E
Alcune delle soluzioni di dettaglio esposte precedentemente sono statte studiate dal punto di vista tecnologico. In particolare si è focalizzata l’attenzione sullo studio della superficie del playground e del “recinto”. La prima è stata pensata costituita da una successione di layer appoggiati sulla struttura di copertura esistente. Partendo dal basso è stato pensato un livello inferiore costituito da una sottostruttura lignea di altezza variabile che crea un reticolato di supporto con una maglia di 1,5 x 1,5 m, fissato al solaio esistente per mezzo di angolari metallici. Sopra di esso è collocato uno strato di pannelli lignei triangolari planari di spessore 4 cm sui quali è posata la pavimentazione in resina poliuretanica addittivata con inserti in gomma, soluzione ottimale per la creazione di una pavimentazione adatta al gioco. L’altra soluzione studiata, quella del “recinto” è composta principalmente da listelli lignei di spessore 4 cm e profondità 20 cm che delimitano lo spazio filtro e da una sottrostruttura metallica controventata, con campate di circa 5 m, fissata a terra ed al solaio di copertura esistente. È stata inoltre prevista l’installazione di tendaggi scorrevoli nel “recinto” del giardino, le cui guide sono state pensate fissate alla stessa sottostruttura dei listelli lignei. Oltre a ciò, l’elemento del portale “a cannocchiale” è costituito da tre portali in acciaio posti uno di seguito all’altro che supportano un rivestimento in lamiera metallica colorata.
200
ESPLOSO ASSONOMETRICO
201
ZOOM SEZIONE
0
202
0,5
1
1,5
2
2,5
5m
DETTAGLIO PLAYGROUND Sottostruttura in lengo
Supporti planari in pannelli di legno
Profili angolari di collegamento
0
0.5
Pavimentazione in resina poliuretanica con inserti in gomma 1
1.5
2
2.5
5m
203
DETTAGLIO “RECINTO” Tendaggi scorrevoli e retrattili
Listelli in legno
Guida per lo scorrimento dei tendaggi
Sottostruttura in tubolari di acciaio
0
204
Controventi in cavi d’acciaio
0.5
1
1.5
2
2.5
Profilo angolare di collegamento
5m
DETTAGLIO PORTALE Solaio esistente in laterocemento
Sottostruttura in legno
Pavimentazione in resina colorata
Rivestimento in lamiera colorata
Telaio con profili IPE
0
0.5
1
Pavimentazione esterna in calcestruzzo
1.5
2
2.5
5m
205
REALIZZAZIONE DEL MODELLO
206
207
CONCLUSIONI
Esplorando i temi dell’abbandono del patrimonio edilizio, del riuso dello stesso, studiando in particolare il caso del Mercato San Donato di Bologna, ho potuto comprendere a fondo quanto questi siano estremamente attuali ed importanti per le trasformazioni future delle città. Nonostante ci siano grandi limiti sul piano attuativo per le pratiche di intervento sul patrimonio dell’abbandono, inizia ad esserci una forte attivazione della cittadinanza e, in alcuni casi, anche delle amministrazioni pubbliche. Lo dimostrano le tante diverse attività che vengono messe in atto per riusare gli edifici dismessi, dalle pratiche di mappatura alla creazione di uffici preposti, dai riusi temporanei di diverso livello alle trasformazioni di fabbricati per dotarli di una nuova identità stabile. Il tema di progetto del “Mercato Sonato” mi ha permesso di esplorare una modalità d’intervento sull’esistente che penso possa essere estesa a molte altre realtà. In questa ho considerato molto importante il rispetto dei caratteri tipologici del fabbricato e della “storia” che esso rappresenta all’interno del contesto in cui è inserito. L’approccio infatti tende ad evitare di snaturare l’impianto ma al contrario vuole esaltarne gli aspetti caratteristici, implementandoli tramite alcuni interventi su aspetti specifici. Interventi che sono comunque leggibili nella loro unitarietà, non essendo sconnessi ma al contrario ben legati nella produzione di una rinnovata immagine architettonica. Dal punto di vista compositivo ho lavorato sullo studio di alcune soluzioni spaziali che fossero il più possibile vantaggiose dal punto di vista “economico” e che garantissero un risutalto il più possibile efficace in termini di caratterizzazione del nuovo progetto. In conclusione, avendo lavorato al progetto anche con la collaborazione dello studio Ciclostile Architettura Srl, mi auspico che possa essere un’importante base di partenza per una futura concreta proposta progettuale sul Mercato San Donato.
208
RINGRAZIAMENTI
Come ogni sera/notte da qualche mese a questa parte mi ritrovo davanti al pc a lavorare ed a scrivere la parte finale di queste pagine. Non nascondo che, a conclusione di sei anni di sacrifici e grande dedizione agli studi, sono stati mesi molto impegnativi, in cui conciliare lavoro e tesi non è stato facile, cercando di dare sempre il massimo in tutto. Però, anche se ho dovuto rinunciare a svariate ore di sonno e in alcuni casi anche di vita sociale, se dovessi tornare indietro sceglierei nuovamente questa strada. Questa facoltà, oltre a formarti nel modo corretto sui diversi aspetti dell’ingegneria e dell’architettura, ti lascia un’esperienza di vita come penso poche altre facoltà. Ovviamente senza la mia “famiglia” allargata sarebbe stato tutto molto più difficile. Un immenso grazie va prima di tutto alla mia famiglia ed in particoalre ai miei genitori Gianni e Milena che mi hanno sempre sostenuto ed incoraggiato oltre a permettermi di studiare da fuori sede ma anche a mia sorella Viola, sempre disponibile pur non facendosi mancare di dirmi “ma non studi troppo? Vivi un po’...”. Grazie anche ai miei amici di San Marino, in ogni occasione capaci di capire i miei impegni universitari ma anche di festeggiare nel modo giusto insieme a me ogni esame superato. Fondamentali poi in questo percorso sono state tutte quelle persone con cui ho condiviso i principali momenti di lavoro, svago, festeggiamenti e anche disagio, come Ema (fondamentale confronto ed aiuto anche in questo lavoro), Bado, Gigio, Giulione, Filo, Vieri, Pietro, la Benny, la Vale, Nico e tanti altri. Spero che, nonostante le diverse provenienze, il rapporto di amicizia costruito in questi anni venga portato avanti negli anni e perchè no, anche attraverso nuovi rapporti lavorativi. Inoltre, con particolare riferimento a questi ultimi sei mesi vorrei ringraziare il mio relatore di tesi, il Professor Matteo Agnoletto, con cui ho lavorato molto bene e si è sempre dimostrato disponibile. Infine, un ringraziamento particolare va a Ciclostile; a Giacomo, Gaia ed Alessandro che hanno deciso di scommettere su di me quasi un anno fa e che mi hanno dato la possibilità di crescere e svolgere questo importante lavoro insieme a loro, ma anche alla mia collega Mery, sempre pronta ad aiutarmi nei momenti di disagio e a darmi utili suggerimenti per il mio lavoro di tesi e non solo. 209
BIBLIOGRAFIA
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