Sineresi Speciale n. 3

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H.H. LIM Silenzio, ma non troppo

a cura di Antonello Tolve

30 Giugno - 15 Settembre 2016 GABA.MC - Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Macerata Piazza Vittorio Veneto, 7 - Macerata - 0733 40 51 11 www.abamc.it

GABA.MC


Speciale EX VOTO di Tolve (Pz) a cura di Anna R.G. Rivelli allegato al n° 3 di SINERESI Trimestrale edito dall’ Associazione PAN –centro di produzione culturale Grazie a Associazione Amici del Pellegrino, Rosanna Derario, Aniello Ertico, Don Enzo Fiore, Rosalba Mancino, Pro loco Tolve. A Michele Iannuzzi un particolare ringraziamento per la disponibilità e per aver concesso l’utilizzo del suo personale archivio fotografico. Via Flavio Gioia 1 Brindisi di Montagna (PZ) e-mail : sineresi.sineresi@yahoo.com Cell. 3423251054 www.sineresiildirittodiessereeretici.it



E l’immagine apparve

Gli ex voto di San Rocco di Tolve tra storia, fede e tradizione di Anna R. G. Rivelli

Forse non esiste testimonianza più efficace dell’intimità che può crearsi tra umano e divino di quella che ci viene offerta dagli ex voto. Questi, in un linguaggio plurimo sebbene compiutamente riconoscibile, costituiscono una narrazione lunga di millenni e ci raccontano di una dimensione sovrumana straordinaria (di bontà assoluta con una lontana eco di terribile) che l’uomo trasforma in immanenza, intessendo una relazione “terrena” con la divinità, una relazione fatta di gesti e parole che, più che elevare l’uomo ad una dimensione celeste, trascinano il dio sulla terra, nella semplicità dei gesti quotidiani, negli ambienti familiari, nei luoghi di lavoro, per accoglierlo ed onorarlo come un ospite d’eccezione sì, ma non come ospite ignoto e distante, bensì come l’amico eccelso, quasi compaesano emigrato, conosciuto da sempre, nel ritorno ciclico alla terra natia. Così la Vergine o il Santo, da Vergine e Santo di tutti, vengono dapprima risucchiati in una dimensione collettiva più ristretta ( quella della comunità che ne ospita la “casa”) e poi addirittura in quella personale dei singoli pellegrini che si avvalgono e onorano di un’amicizia speciale - commisurata a sé, ai propri casi e ai propri bisogni - della quale amano dare testimonianza soprattutto per rendere omaggio e gloria al divino, ma anche per gratificarsi e darsi vanto di un’appartenenza. Per questo, se già come categoria gli ex voto si presentano in una molteplicità di forme, si può dire che ogni singolo ex voto è un caso a parte, unico ed irripetibile per la storia che lo ha prodotto, per il sentimento che lo pervade, per l’essenza che lo trascende. “Per comprendere e valutare un ex voto – scrive il professor Angelo Turchini - l’esame non può esaurirsi con la valutazione dell’ oggetto “ex voto” in se stesso, ma piuttosto bisogna prendere in considerazione la vasta gamma di fenomeni religiosi, culturali e di culto. Nell’ex voto si concentra quindi un vasto mondo; è una vera e propria fonte storica, è testimonianza connotata in primo luogo da una componente religiosa. È senza dubbio uno degli elementi socio-culturali che si propiziano al crocevia dell’incontro stesso tra oggettività e soggettività, tra momento e documento storici”.



Gli ex voto rappresentano pertanto un patrimonio culturale tutt’altro che indifferente da molti punti di vista. E se è vero che è la presenza di un Santuario la condizione necessaria perché si producano ex voto, è altrettanto vero, come scrive lo storico Franco Bolgiani, che “un santuario senza ex voto non è un santuario o non lo è pienamente”.




Ma che cos’è un ex voto? L’ex voto è un oggetto offerto in dono alla divinità soprattutto in conseguenza di una grazia ricevuta, ma talvolta anche per propiziarsene la benevolenza in rapporto ad un momento importante della propria esistenza. Esso è tutt’altro che un’invenzione del mondo cristiano, esiste probabilmente fin da quando esiste nell’uomo il sentimento del divino, e si è tramandato fino a noi sostanzialmente immutato poiché ha subito un processo di adeguamento lentissimo che, se ne ha modificato parzialmente l’aspetto, non ne ha per nulla toccato la sostanza. Esistono, infatti, reperti antichissimi che testimoniano già nel VII secolo a. C. l’uso di offrire alle divinità piccoli oggetti come segno di devozione e di ringraziamento; ne sono stati trovati in Mesopotamia, in Egitto, in Grecia, vari per il materiale ( terracotta, pietra, bronzo) e per la forma spesso antropomorfa o zoomorfa. Secondo gli studiosi vanno annoverati tra gli ex voto anche quelli ritrovati in notevole quantità (circa trecento esemplari) nel tempio di Ba’alat e di Reshef a Biblo (l’attuale Giubail, città costiera del Libano ), centro fenicio di notevole importanza religiosa per il culto della dea madre semitica Astarte; si tratta di raffigurazioni piuttosto schematiche di animali di varie specie (gatti, sciacalli, ippopotami, scimmie), realizzate in fritta, o di statuine di bronzo ricoperto di un sottile strato di oro, spesso di forma umana, collocate in piccole giare chiuse da un coperchio. Anche la Magna Grecia aveva i suoi ex voto i quali costituiscono, peraltro, una delle più raffinate testimonianze dell’arte prodotta in quel territorio. Parliamo dei Pinakes locresi, sottili tavolette in terracotta lavorate a basso rilievo e spesso dipinte a colori assai vivaci, raffiguranti scene legate soprattutto al mito della dea Persefone alla quale era dedicato il Santuario (oggi detto della Mannella), ma anche a quello di altre dee. I Pinakes (realizzati tra il 490 e il 460 a.C. in esemplari tanto numerosi da lasciar presupporre l’esistenza di matrici per una produzione seriale) erano offerti in dono alla divinità e, secondo l’usanza del tempo, venivano ridotti in pezzi perché non fossero riutilizzati, poiché il riutilizzo veniva considerato atto sacrilego; i cocci però non venivano buttati via, bensì ammucchiati in fosse di deposito adiacenti al santuario, laddove sono stati ritrovati per essere, pur con grande difficoltà, riassemblati. Dell’esistenza degli ex voto nel mondo latino ci danno testimonianza diversi autori; secondo Simona Maria Cavagnero sono proprio Cicerone, Orazio, Seneca e Fedro a ricordarci che “l’offerta votiva è spesso costituita da tavolette su cui l’offerente fa dipingere la scena dello scampato pericolo”. Così Orazio, ad esempio, conclude il carme I,5, testimoniando l’uso di accompagnare l’offerta dell’oggetto – in questo caso le vesti del naufra-


go- con una tavoletta votiva: “me tabula sacer votiva paries indicat uvida suspendisse potenti vestimenta maris deo” ( io, lo testimonia il voto appeso alla parete sacra del tempio, ho offerto ormai le vesti del naufragio al potente dio del mare). E ancora Orazio nelle Satire richiama l’uso degli schiavi affrancati di consacrare la catena a Saturno, nella cui età non esisteva schiavitù, e di appenderla nel tempio del dio. Stessa testimonianza troviamo anche in Marziale (Epigrammi III,29): “Has cum gemina compede dedicat catenas, Saturne, tibi Zoilus, anulos priores” ( A te, o Saturno, Zoilo dedica queste catene con entrambi i ceppi, suoi anelli di prima). Testimonianza di offerta di ex voto troviamo anche in Virgilio, nel dodicesimo libro dell’Eneide: “Forte sacer Fauno foliis oleaster amaris hic steterat, nautis olim venerabile lignum, servati ex undis ubi figere dona solebant Laurenti divo et votas suspendere vestis” (Per caso qui c’era stato un oleastro dalle foglie amare sacro a Fauno, un tempo legno venerabile per i marinai, dove coloro che si erano salvati dalle onde solevano attaccare doni al dio di Laurento ed appendere vesti votive). Pure Tibullo (Elegie I,3) ci racconta che nel tempio di Iside vi erano numerose tavolette dipinte a testimonianza di avvenute guarigioni: “Nunc, dea, nunc succurre mihi, nam posse mederi. Picta docet templis multa tabella tuis.” Da Tertulliano e Stazio, invece, veniamo a conoscenza della consuetudine, in particolare dei giovinetti, di offrire le proprie chiome in dono alle divinità. L’uso dell’offerta votiva giunge così al Medioevo. Già sul finire del VI secolo, infatti, un anonimo pellegrino in Terra Santa raccontava che sul Golgota c’erano “ ornamenta infinita: in virgis ferreis pendentes brachialia, dextroceria, murenas, anuli, capitulares, cingella girata, balteos, coronas imperatorum ex auro vel gemis et ornamenta de imperatricis” e che oro e argento adornavano pure quella che si credeva essere la grotta di Betlemme. In quest’epoca, però, prevale fin dall’inizio l’offerta della cera sotto forma di immagini plasmate o di candele e ceri, talvolta addirittura dell’altezza e




del peso dell’offerente. Si trovano tuttavia anche tavolette dipinte, le rappresentazioni anatomiche delle parti del corpo per cui si era ottenuta la grazia, nonché altri oggetti di vario tipo. A partire dal Seicento, invece, si diffonde sempre più l’uso dell’ex voto dipinto, ma sopravvivono con buona fortuna anche tutte le altre tipologie che sono giunte fino a noi, come dicevamo, quasi immutate. Non egualmente stabile è stato però il giudizio, influenzato com’era dalle diverse correnti di pensiero, che se ne è avuto attraverso le varie epoche; dall’interesse che gli ex voto suscitarono nei secoli XVI e XVIII (tanto da essere considerati non solo oggetti devozionali, ma veri e propri oggetti d’arte, e da far fiorire studi sull’antichità della loro origine), si passò alla scarsa considerazione del XVIII secolo, quando il razionalismo illuministico li bollava come manifestazione del pensiero di un ceto popolare ancora obnubilato dall’errore della religione. Va da sé che la rivalutazione Romantica dell’individualità, del sentire religioso, della cultura popolare in tutte le sue espressioni, non poteva che riaccendere l’attenzione su questi oggetti dal fascino magico-mistico che, se proprio non potevano essere affiancati alla produzione artistica più colta, di certo si imponevano, in un’epoca in cui già avanzava la standardizzazione industriale, per quella unicità che caratterizza ogni singolo manufatto artigianale. La fortuna degli ex voto prosegue nel Novecento quando, sotto la spinta del realismo e del verismo, cresce l’interesse per le tradizioni locali e per tutte quelle espressioni artistiche e culturali che testimoniano, recuperano e delineano le diverse identità regionali. È proprio dal secolo scorso, però, che giunge fino a noi un pregiudizio (pur tuttavia non completamente privo di fondamento) che inscrive gli ex voto in quella sfera di religiosità popolare assai più simile al magismo che alla fede. Tale pregiudizio è sicuramente di derivazione gramsciana; Antonio Gramsci, infatti, fu uno dei primi in Italia a dedicarsi allo studio della religione popolare, ma ad essa attribuì carattere di folklore contrapponendola alla religione degli intellettuali. Secondo la sua tesi la religiosità popolare era l’espressione più o meno inconscia della protesta delle classi subalterne nei confronti delle classi dominanti che, anche attraverso la religione e con la complicità del clero stesso, tendevano ad affermare la propria superiorità. Sulla scia del suo pensiero si innestarono le ricerche di altri studiosi quali, ad esempio, Ernesto De Martino, che nelle sue opere (Sud e magia del 1959 e Il mondo magico del 1967) testimonia la sopravvivenza proprio in Basilicata delle pratiche più rozze di magia cerimoniale, o Carlo Ginsburg, che definisce “idilliaca e dolciastra” l’espressione della religiosità popolare, o ancora Alfonso Di Nola, che presenta quella popolare come una cultura religiosa subalterna sulla quale, tuttavia, esercita il suo controllo la religione ufficiale. A Gabriele De Rosa va attribuito il merito di aver individuato una chiave di lettura meno ideologizzata e più sincretica con la quale è evidentemente più corretto accostarsi anche all’interpretazione


del senso più profondo del fenomeno degli ex voto. De Rosa vede nella religione popolare il modo concreto di vivere, in un’epoca e in un contesto determinati, il modello di religione ufficialmente proposto dalla Chiesa e in sostanza individua e distingue ciò che appartiene al folklore (e cioè la fusione tra elementi pagani e cattolici presenti in particolare al Sud) da quanto è invece riferibile a una “storia istituzionale della pietà” che è piuttosto storia di emancipazione dalla magia. D’altronde, proprio in rapporto agli ex voto, non si può dire che si possa individuare una netta linea di separazione tra classi sociali se non, probabilmente, una disparità nel valore materiale dell’oggetto offerto. E a testimonianza di ciò basti ricordare il segreto e spiritualissimo dono offerto a Santa Rita da Cascia dall’artista francese Yves Klein, deposto in anonimato nel 1961 nel Santuario della Santa e sorprendentemente individuato quale straordinaria opera d’arte soltanto diversi anni dopo. Pertanto piuttosto riduttiva appare l’interpretazione, ancora di ascendenza demartiniana, di una religiosità popolare priva, specialmente nel Sud Italia, della valenza carismatica e legata, più che ad un obiettivo spirituale di salvezza, alla speranza di possibile risoluzione della precarietà di un’esistenza misera e di tutti gli accidenti ad essa connessi. D’altro canto, per quanto riguarda gli ex voto, in particolare quelli dipinti, gli studiosi Arnoldo Ciarocchi ed Ermanno Mori ne individuano una probabile origine più “nobile” prospettando la possibilità che essi siano da accostare, più che alla produzione di oggetti votivi già diffusi in epoca pagana, alla colta pittura delle predelle delle pale d’altare, soprattutto quelle del Quattrocento, secolo in cui i polittici ebbero grande diffusione, e acquisirono suddivisioni più complesse (con le predelle, appunto, suddivise in riquadri con storie dipinte), e il fenomeno degli ex voto dipinti iniziò ad essere preponderante. Inoltre va detto che nella tradizione cattolica dell’età della Controriforma l’ex voto era


in principio espressione di una classe sociale di condizione agiata e che gli offerenti si ponevano spesso addirittura in gara tra loro per offrire il dono più ricco e più bello. In uno studio fatto su un campione di 6.500 ex voto piemontesi, Renato Grimaldi individua strategie devozionali che possono ritrovarsi con maggiore o minore evidenza in tutte le raccolte di ex voto, compresa quella del Santuario di San Rocco a Tolve. Grimaldi ci parla di una strategia di identificazione (detta anche “altruistica”) e di una strategia di individuazione (o “egoistica”); nella prima il richiedente non chiede o non offre per sé, bensì per una grazia sperata o ottenuta per qualcun altro; nella seconda, invece, richiedente/offerente e miracolato coincidono. È da notare che tra le due strategie vi è una differenza di genere che tende a mantenersi inalterata; nella strategia altruistica c’è infatti, una prevalenza di richiedenti/offerenti donne (spesso madri che chiedono o ringraziano per i propri figli o mogli per i propri mariti e familiari), mentre in quella egoistica prevale il genere maschile. Per quanto riguarda le tipologie, va evidenziato che nella pratica può fungere da ex voto qualsiasi oggetto abbia un’attinenza con la grazia ricevuta; tuttavia, escludendo gli ex voto immateriali ( che possono anche questi essere svariati ed andare dalle novene ai digiuni, dalle messe ai pellegrinaggi, dalla partecipazione a processioni fino alle più fantasiose e personali penitenze), quelli materiali possono ripartirsi – come suggerisce Simona Maria Cavagnero – nelle due macro tipologie degli oggettuali e dei dipinti, nonché in molti sottogruppi. La Cavagnero, infatti, li suddivide in raffigurativi ( dipinti, fotografie, riproduzioni tridimensionali di parti del corpo ecc…), simbolici (come capelli, ceri, riproduzione degli abiti del santo …), circostanziali (tutti gli oggetti che hanno attinenza con le circostanze per cui si è fatto il voto, come ad esempio divise militari, stampelle, indumenti personali ecc...), doni (gioielli, arredi sacri, reliquiari ecc…) e costruzioni di edifici


come edicole, altari o addirittura cappelle e chiese.Le due macro tipologie e tutti i sottogruppi (ad eccezione dell’ultimo citato) sono abbondantemente testimoniati nella raccolta degli ex voto del Santuario di Tolve, dedicato a San Nicola di Bari, patrono del paese fino al XVIII secolo, ma più conosciuto per il Santo di Montpellier. La devozione a San Rocco (al quale all’interno della chiesa madre era dedicata una cappella, testimoniata già dal 1544) ha all’origine – come del resto quasi ogni culto popolare- una ierofania. Il prof. Angelo L. Larotonda, evidenziando la commistione tra leggenda e storia, scrive che “ Tolve lo elegge a suo patrono per una singolare circostanza in cui molti dei suoi abitanti si vengono a trovare. La leggenda di fondazione del culto di Tolve narra del ritrovamento della statua del santo in una vicina contrada di campagna, lì abbandonata dalle truppe francesi in ritirata. In realtà esse non lasciano la statua, bensì la peste luetica (cosa normale per quei tempi) e il clero locale ha la giusta preoccupazione di provvedere a fornire agli abitanti locali il possibile guaritore” (A. L. Larotonda “San Rocco” – Basilicata Regione n. 2 1999). Gli ex voto tolvesi, per un periodo ubicati nella sagrestia del Santuario e oggi ospitati in modo un po’ precario nella vicina “Casa del Pellegrino” in attesa di una definitiva sistemazione, costituiscono senza dubbio un patrimonio immenso. Va sottolineato che l’ex voto più tipico della terra lucana è l’oro e pertanto negli anni ne è stata offerta al Santo una quantità veramente considerevole. Tanta è l’abbondanza di collane, bracciali, anelli ecc... che la statua del Santo (una scultura lignea del Cinquecento di anonimo autore) viene portata in processione durante le due feste dedicate (il 16 agosto e il 16 settembre) completamente ricoperta d’oro. Quello della vestizione, oltre ad essere un’operazione particolarmente complicata, è un vero e proprio rito affidato, come un’arte che si tramanda, a dei “mastri”. Ciò testimonia che l’offerta dell’oro al Santo prescinde dal valore meramente materiale dell’oggetto, ma assume soprattutto un valore simbolico-affettivo di enorme portata. I monili d’oro, infatti, nella cultura locale, specialmente in quella contadina, sono legati a momenti fondamentali della vita; la catenina d’oro con la medaglietta raffigurante la croce, o


un santo o la Madonna era tradizionalmente il dono del compare di battesimo; dono della suocera alla futura sposa era invece un’intera parure più o meno ricca a seconda delle condizioni economiche dello famiglia dello sposo; ancora, era d’obbligo l’anello d’oro all’atto del fidanzamento ufficiale e un monile prezioso, piccolo o grande che fosse, era gradito sempre nelle occasioni importanti, quasi suggello di un’eternità di felicità, di sentimento, di legami che si andavano a creare nel corso della propria esistenza. L’ex voto d’oro, pertanto, non può essere interpretato come una sorta di pagamento, una ricompensa materiale per una grazia sperata o ottenuta; va inteso piuttosto come la cessione di una parte importante della propria vita, quasi una consacrazione attraverso l’offerta di un oggetto personale, prezioso soprattutto perché segno esteriore di un intimo momento di felicità. Oltretutto si può dire che il valore materiale dell’oro offerto in voto si perde nella misura in cui esso non potrà mai essere monetizzato e alienato. Anche per le riproduzioni anatomiche in metallo va fatta medesima considerazione; esse anticamente erano in argento (poi sostituito dal silver) ed avevano uno spessore – e di conseguenza un peso - differente a seconda delle condizioni economiche dell’offerente. Nel passato, infatti, prima che l’industria ne offrisse produzioni seriali, questi oggetti venivano realizzati da artigiani ed il loro costo aumentava a seconda della quantità di metallo necessaria; la riproduzione di un’intera gamba, ad esempio, era assai più onerosa di quella del solo piede, ma se la promessa era stata fatta in un modo era impensabile modificarla dopo aver ottenuto la grazia per non incorrere nella “vendetta” del Santo; così piuttosto si cercava di alleggerire il costo facendo realizzare l’oggetto con una sfoglia di metallo più sottile. Ciò dimostra che se da un lato non si può negare un certo alone di superstizione, dall’altro non è quello materiale il valore che l’offerente attribuisce al dono. È vero, infatti, che una certa tradizione orale spesso favoleggia di punizioni terribili comminate ai fedeli inadempienti; la dottoressa Rosalba Mancino, ad esempio, riporta nella sua tesi di laurea (“Il pellegrinaggio a San Rocco di Tolve: forme di partecipazione e modalità dell’offerta votiva” – Unibas,





a.a. 2002/2003 ) un episodio di datazione incerta ( 1942 o 1943) che si racconta essere accaduto a Tolve quando, essendo stata proibita la vestizione del Santo per la festa, durante la recita della novena un fulmine cadde nella chiesa e folgorò una bambina che era accanto alla statua. Altrettanto vero è però che la pratica dimostra che adempiere il voto non significava offrire una quantità maggiore di metallo prezioso, ma semplicemente mantenere “la parola data” al Santo. Di ex voto anatomici a Tolve ce ne sono in quantità rilevante: gambe, braccia, teste, mani, piedi, toraci, cuori, ma anche intere figure di uomini e donne, campeggiano su drappi rossi con un effetto estetico di notevole impatto. Il valore simbolico che, come si è detto, finisce per essere preponderante anche in quei doni di intrinseca preziosità materiale, è indubbio ed evidente in altre tipologie di ex voto come le trecce, gli abiti da sposa, i vestitini dei neonati, gli abitini da San Rocco indossati dai bambini durante la processione, i ricami, i grandi lavori a filet; essi infatti, rappresentano altro da ciò che in realtà sono. I capelli, ad esempio, erano nel passato per le donne povere l’unico ornamento, per tutte ancora oggi l’espressione della propria femminilità; tagliarli costituisce spesso un grande sacrificio, quasi una sorta di mutilazione incruenta che consente di donare materialmente una parte di sé. La forza simbolica di tale dono può d’altronde essere avvalorata dal mito; Callimaco (poeta greco vissuto tra il IV e il III secolo a. C. ) in una sua elegia narra infatti del voto solenne fatto ad Afrodite dalla bellissima regina Berenice, moglie di Tolomeo III, per propiziare il ritorno del marito partito per una campagna militare in Siria. La regina, impegnatasi a offrire alla dea la propria bellissima chioma qualora il marito fosse rimpatriato sano e salvo, mantenne la sua promessa, ma il suo dono dopo un po’ scomparve misteriosamente dal luogo in cui era custodito; in seguito la bella chioma della regina, evidentemente gradita ad Afrodite quant’altro dono mai, venne ritrovato in cielo dall’astronomo di corte Conone, eternato in quella costellazione che ancora oggi è conosciuta come “Chioma di Berenice”. Nell’offerta dei capelli c’è in più anche la donazione del proprio tempo (quello che ci è voluto e ci vorrà per farli crescere); ed il valore del tempo impreziosisce anche ricami e quadri realizzati all’uncinetto i quali richiedono lunga e paziente lavorazione. Tra gli ex voto che suscitano solitamente maggior interesse ci sono i dipinti, presenti anche a Tolve come nella maggior parte dei santuari, benché questa tipologia di dono votivo giunga in terra




tolvese soprattutto per influenza culturale della vicina Puglia. Le tavolette dipinte, infatti, sono state portate per la maggior parte da pellegrini provenienti da Altamura, Spinazzola e Gravina; le più pregevoli dal punto di vista artistico, inoltre, sono state realizzate da Antonio Loviento e Giuseppe De Nigris, pittori pugliesi probabilmente non professionisti, ma forse specializzati in ex voto e piuttosto ricercati dalla committenza visto che loro opere si trovano anche in altri importanti santuari come quello della Madonna Incoronata di Foggia. Lo stile pittorico di entrambi è abbastanza riconoscibile pur nel rispetto del linguaggio iconografico tipico di questo genere di dipinti. Il primo si distingue per una impostazione narrativa e drammatica molto vicina a quella delle storie illustrate della Domenica del Corriere; caratteristico del secondo, invece, sicuramente meno raffinato, è un tratto più grafico e meno pittorico, con il ripetersi di alcuni particolari come, ad esempio, i vivaci pavimenti a quadri bicolori. Molti altri dipinti presenti nella collezione di Tolve sono evidentemente di autori meno noti; alcuni evidenziano un esplicito dilettantismo che lascia supporre che l’opera sia da attribuire ad improvvisati “artisti” se non proprio alla mano stessa dell’offerente. In tutte o quasi le tavolette, però, la struttura narrativa si ripete secondo la tradizione; in basso è raffigurato l’evento che ha determinato il voto (interventi chirurgici, incidenti in viaggio o sul lavoro, eventi di guerra, lunghe malattie, cadute accidentali), talvolta nel medesimo




quadro si giustappongono più scene in sequenza temporale. San Rocco è posto in alto, raffigurato quasi sempre a figura intera con tutti gli attributi iconografici, ma talvolta anche semplificato nel mezzo busto, ed è circondato da nubi che hanno la doppia funzione di isolarlo dal contesto terreno e insieme di esaltarne la presenza trascendente. La comunicazione tra sfera divina e sfera umana è a volte simboleggiata da fasci di luce che collegano i due piani, ma ci sono anche dipinti, meno numerosi in realtà, in cui il Santo è rappresentato tra gli uomini, ad esempio accanto al letto del malato, in sala operatoria tra i chirurghi o addirittura accanto al miracolato nell’atto di prevenire la tragedia imminente. Nelle tavolette votive custodite a Tolve non di rado San Rocco è affiancato nella sua missione dalla Madonna, anch’ella circondata da nubi e rappresentata di volta in volta nella caratterizzazione devozionale evidentemente preferita dall’offerente: si possono perciò alternativamente trovare la Madonna di Viggiano, quella di Foggia, quella di Pompei, l’Addolorata ecc.. In realtà, prescindendo dalla qualità artistica dei singoli, si può dire che l’ex voto è dipinto quasi a quattro mani dal committente e dal pittore, al quale alla fine non resta da dar molto spazio alla fantasia. In genere è infatti il devoto offerente che fa richieste molto dettagliate sui particolari che devono comparire nella narrazione pittorica; è lui che decide l’ambientazione, i personaggi da porre in scena, le posture. L’artefice del quadro, artista o artigiano che sia, è tenuto a soddisfare scrupolosamente le richieste affinché la vicenda narrata sia ben riconoscibile; peraltro spesso i dipinti sono accompagnati da iscrizioni che fungono da didascalia e descrivono in modo piuttosto particolareggiato l’evento miracoloso; talvolta, invece, le scritte sono più sintetiche e riportano soltanto diciture di ringraziamento, date e nomi dei miracolati e degli offerenti. Dette iscrizioni sono spesso articolate in una struttura semplice e non sempre corretta, con errori ortografici piuttosto rilevanti; ciò si evidenzia anche quando lo scritto è dipinto in bella grafia con fregi e svolazzi dallo stesso pittore come parte integrante del quadro. C’è da supporre, pertanto, che anche le dediche venissero scrupolosamente riportate così come venivano “dettate”, frutto di una cultura popolare disavvezza alla scrittura, assuefatta all’uso di un linguaggio dialettale ed incapace di svincolarsene totalmente anche nella trasposizione per iscritto; in molti casi, infatti, non si può parlare di veri e propri errori, ma piuttosto di fedele trascrizione di termini propri della lingua parlata. Da quanto detto risulta evidente che la tavoletta votiva non nasce affatto




con finalità estetiche; è pertanto inappropriata qualsiasi valutazione se ne faccia senza tener conto del coacervo di significati che essa esprime. Parlare di “infantilismo tecnico e pittura mancata”, così come l’antropologo sardo Francesco Alziator in un suo saggio del 1959, significa voler enfatizzare ciò che nell’ex voto, di qualsiasi tipologia esso sia, è di certo l’aspetto meno rilevante; insomma, bellezza e pregio materiale sono negli oggetti votivi solo qualità accessorie, perché il loro vero valore è, come detto, da ricercarsi altrove. La diffusione della fotografia ha in epoca relativamente recente trasformato non solo il quadro votivo, ma anche il rapporto di committenza; la fotografia, infatti, non richiede più la figura dell’artigiano/artista che realizzi l’opera o, comunque, non ne richiede la consapevolezza, poiché chi scatta la fotografia non deve essere necessariamente partecipe del fine per cui lo sta facendo. “Utilizzata da sola, o come elemento di rinforzo, l’immagine riprodotta fotograficamente comincia ad essere sempre più presente nelle composizioni ed assemblages votivi, soprattutto a partire dagli anni a cavallo della prima guerra mondiale, fino a diventare, negli ultimi decenni, una forma di oggettivazione devozionale definibile, nella sua ampia accezione, come un vero e proprio genere nella produzione dell’imagerie popolare, con una sua morfologia iconica e linguistica riconoscibile, se non ancora del tutto autonoma” (Enzo Spera - “Fotografia ed ex voto”). L’immagine è però variamente utilizzata tanto che è lo stesso Spera che opera una distinzione tra fotografie ex voto ed ex voto fotografici, ascrivendo alla prima categoria “le immagini riprodotte fotograficamente, ma riferite alla sola persona di cui sono la rappresentazione, di solito a mezzo busto, tipo foto ritratto, raramente a piano





americano o a figura intera; immagini non sempre o acclaratamente realizzate per la composizione votiva, anche se, va detto, spesso la destinazione votiva era, in passato, uno dei motivi per la loro esecuzione”. Inoltre, per approfondire la comprensione del valore dell’ex voto fotografico, è importante notare sia che – è ancora Spera che scrive - “l’immagine della foto a mezzo busto, formato tessera, con tutte le parti del viso ben visibili, è come un’autentica personale di un documento in cui è attestato un avvenimento, un fatto di cui il personaggio dà piena e diretta testimonianza”, sia - come fa Francesco Marano - che la fotografia è “nella cultura visuale popolare contadina, parte di sé: farsi fotografare, spesso, corrisponde a farsi rubare l’anima, a esporsi al potere dell’occhio dell’obiettivo”. Nella collezione di ex voto del Santuario di Tolve l’immagine fotografica è abbondantemente presente e spesso, perlopiù in formato tessera ma anche a figura intera di singoli o di gruppi familiari, viene persino giustapposta ai dipinti, talvolta anche con più di un ritratto del medesimo offerente, quasi a testimoniarne le varie età negli evidentemente ripetuti pellegrinaggi. Gli ex voto fotografici del santuario di San Rocco si presentano in diverse tipologie; alcuni semplicemente raffigurano l’evento che è all’origine del voto (un’auto accartocciata, uno scontro frontale, un bimbo con la mano nel tritacarne, un ricovero ospedaliero, o anche solo una foto del giorno del matrimonio ecc...); altri, quasi pagina di “fotoromanzo”, ricostruiscono la vicenda riproponendo i soggetti in posa (un motociclista investito e sbalzato sul tetto dell’auto, un uomo disteso sotto un camion o un trattore, davanti alle ruote di un’auto ecc...); altri ancora assemblano l’immagine dell’evento tragico e la foto del miracolato, anche insieme ad altri elementi. Nella maggior parte degli ex voto fotografici, infatti, ritorna comunque lo schema tradizionale già presente nelle tavolette dipinte; per questo sempre, o quasi sempre, all’immagine principale è aggiunto un santino di San Rocco ( spesso proprio il San Rocco di Tolve ricoperto d’oro) e un biglietto scritto a mano, ma talvolta anche a macchina, che riporta più o meno sinteticamente il racconto dell’accaduto oppure soltanto il ringraziamento per la grazia ottenuta. In ogni caso, forse più ancora che per le altre tipologie di ex voto, quello fotografico costituisce una sorta di documento di cronaca, una testimonianza realisticamente espressa della potenza del Santo e una pubblica confessione di fede. La grazia ottenuta, infatti, smette di essere un fatto privato per assumere una dimensione






sociale e collettiva finalizzata alla glorificazione del Santo (non a caso negli scritti ritorna spesso l’attributo “glorioso”) e all’accrescimento della fiducia dei devoti che si affidano alla sua protezione. Al di là di ogni possibile catalogazione, però, c’è da dire che ogni ex voto costituisce un unicum ed è una storia a sé; una storia, peraltro, che raramente resta circoscritta all’evento miracoloso, quasi sempre, invece, continua attraverso il ripetersi del pellegrinaggio, l’“aggiornamento” delle fotografie, la richiesta di protezione per le nuove famiglie o per i nuovi membri della famiglia stessa. Segno questo che – come già si è detto- qualunque oggetto offerto per voto, di piccolo o grande valore, non rappresenta mai una sorta di pagamento, né mai potrebbe esserlo dal momento che il debito contratto con la divinità è tale da essere considerato inestinguibile. Piuttosto ogni ex voto presuppone un “comportamento sintetico e simbolico elementare, una comune gestualità, un identico tentativo e volontà di lasciare una traccia di presenza personale in un luogo, acquisito, partecipato e trasmesso come particolarmente significante e privilegiato in cui l’umano è interlocutore dell’altro da sé. Dal momento in cui un individuo segna, con la traccia della sua reale presenza avvenuta in quel luogo, egli è presente costantemente all’interno del perimetro magico in cui il convincimento collettivo ritiene e vuole che risieda il potere e la divinità stessa” (E. Spera, ibidem). È per questo probabilmente che dagli ex voto trasuda una sorta di malinconica serenità, come una consapevolezza di fragilità e di precarietà dello stare al mondo attenuata dal fiducioso abbandono al divino; cosicché l’evento tragico, ricordato da uno scritto o rappresentato da un’immagine, non è mai evocatore di paura, bensì di speranza, perché la tragedia negli ex voto è sempre e solo tragedia scampata. Se pure non propriamente ascrivibili alla categoria degli ex voto, un cenno almeno va fatto alle lettere che spesso i devoti lontani inviano ai santuari. Esse assommano in sé peculiarità di interesse storico, linguistico e antropologico; molto, infatti, possiamo ricavarne su tempi, modalità e motivazioni dell’emigrazione dai paesi di origine; possiamo comprendere il percorso involutivo/evolutivo di un italiano spurio che incontra altre lingue; sapere molto sulle condizioni di vita dei mittenti. Per la loro semplice immediatezza, inoltre, le lettere sono la testimonianza più efficace di un sentimento che si nutre della fede nella potenza del Santo, ma anche di un certo magismo che individua come elemento fondamentale del rapporto devoto/divino il contatto con il luogo o con la statua del Protettore. Nella sua già citata tesi di laurea datata all’anno accademico 2002/2003, la dott.ssa Rosalba Mancino riporta notizia di una fitta corrispondenza tra i devoti di San Rocco e l’allora parroco del santuario, don Nicola Moles. La Mancino individua dapprima la provenienza delle missive, suddividendole tra quelle inviate da oltreoceano ( Argentina, Australia, New Jersey, Canada, California, New York) e quelle scritte da tolvesi o lucani residenti in diverse regioni d’Italia. Le ripartisce


poi in due sottoclassi in rapporto al contenuto; alcune, infatti, sono scritte solo per ribadire la devozione nei confronti di San Rocco, altre, invece, chiedono l’intercessione del Santo per l’ottenimento di grazie. Tutte in ogni caso costituiscono una sorta di pellegrinaggio virtuale di quei devoti impossibilitati, per la troppa distanza o per gli elevati costi del viaggio, a raggiungere il santuario; e non è un caso che molte di esse vengono scritte in occasione delle due feste dedicate al Santo per far arrivare la propria offerta in denaro – a volte simbolica, a volte consistente – o solo per far giungere, pur da così lontano, il proprio pensiero, le proprie parole all’interno di quel perimetro magico in cui meglio si avverte la rasserenante e salvifica presenza divina. Si scrive al parroco, infatti, perché il parroco è lì, sul posto, e tramite la sua persona le preghiere, le offerte, ma anche le tante preoccupazioni e i ricordi di infanzia e i sentimenti di nostalgia possono essere deposti ai piedi della statua che in un certo senso è “corpo” del santo; ma, si badi bene, non del San Rocco riconosciuto da una devozione universale, bensì del “proprio” San Rocco, quello che appartiene ai singoli con la sua presenza benefica concretizzatasi in quel simulacro (quello e non altri) che, ricolmo d’oro, continua a risplendere in ogni processione. Per questo gli emigrati spesso richiedono al parroco immaginette del loro protettore e, anche quando nelle comunità ricostituite all’estero riescono a “clonare” santo e festa, continuano a sentire più vere e più potenti la chiesa e l’immagine sacra che hanno dovuto lasciare in paese. E così non si può che ribadire quanto detto in premessa: il rapporto che si crea tra devoto e divino è di uno a uno; il santo è per ogni singolo il proprio santo, quello attento ai propri bisogni, quello presente sul luogo della propria imminente tragedia. E perciò l’ex voto è il suggello di questa straordinaria e personalissima “amicizia”. Ancora una considerazione va fatta sul valore estetico degli ex voto. Se è vero che nella maggior parte delle sue tipologie, infatti, non vi è alcunché di artistico, e se pure nelle tavolette votive la bellezza estetica è spesso sacrificata alla completezza della narrazione o resa improbabile dalla scarsa perizia dei pittori, è altrettanto vero che il fascino di questi oggetti nel loro insieme è indescrivibile. A Tolve, nonostante lo stato precario dei locali di ubicazione, l’effetto dell’accumulo di centinaia e centinaia di ex voto è di notevolissimo impatto. I drappi rossi stracolmi di argenti, le tavolette, le foto incorniciate, i ricami e i filet, le trecce, gli abitini, tutti accumulati fino a far scomparire le pareti, nell’odore umido e polveroso delle stanze dell’antico palazzo prospiciente il santuario, acquisiscono la potenza espressiva di un’opera d’arte e la solennità della storia. E in realtà essi sono la storia, quella manzonianamente intesa, quella della quotidianità degli umili, del percorso difficile di un popolo sostenuto da una speranza. Guardandoli, in un lampo si può abbracciare l’umanità e si possono percorrere secoli. E poi ritrovarsi davanti agli abiti da sposa appesi al muro, affastellati, impolverati, ingialliti, come davanti alla più straordinaria tela di Pizzi Cannella.





Tolve è una piccola cittadina di circa 3.300 abitanti della provincia di Potenza, in Basilicata. Le prime testimonianze della frequentazione del suo territorio risalgono alla preistoria, come dimostra il ritrovamento di due insediamenti neolitici risalenti al 2800 - 2500 a.C. Molti di più sono gli insediamenti risalenti all’età arcaica di interesse storico e archeologico, ma solo tra il VII ed il IV secolo a.C. la presenza umana si fa importante. Alla fine del III secolo le tracce di presenza umana tornano a diventare scarse e bisognerà aspettare l’inizio dell’età imperiale per ritrovare i segni di una presenza umana stabile documentata. In epoca medioevale Tolve conosce un’espansione del proprio abitato ed è proprio a questo periodo, durante la dominazione longobarda, che risale la fortificazione dell’attuale rione castello di cui restano scarse tracce. In epoca successiva il paese è occupato dai normanni e nel 1250 il feudatario di Tolve è il conte Galvano, zio materno di Manfredi. Tra il 1300 ed il 1500 il feudo di Tolve passa di mano in mano dagli ungheresi ai francesi e conosce un periodo di prosperità per la fervida attività artigianale nella produzione di armi da fuoco. Centro fortificato gotico e longobardo, venne successivamente inglobato dai Normanni nella Contea di Tricarico. Nel 1647/1648 partecipò ai moti antispagnoli e nel 1799 all’insurrezione repubblicana. Nel centro storico del paese si trova il santuario di San Rocco, una chiesa di stile romanico formata da tre navate con un presbiterio molto ampio e ornato di coro ligneo.





L’atto (o rogito) è il rogato da un notaio, pubblico ufficiale cui lo Stato affida il potere di attribuire valore di prova legale a una stipula. Si conclude con l’apposizione della sua firma e del suo sigillo. Nel caso in cui sia necessario modificare l’atto prima della sottoscrizione delle parti, il notaio ricorre alla postilla, che individua le parole da cancellare nel testo e le opportune sostituzioni. In alcuni casi, l’atto è preceduto da un preliminare un contratto che impegna le parti alla stipula. Gli atti, che siano pubblici ovvero sottoposti ad autentica, sono appuntanti giornalmente nel repertorio e indicati da un numero progressivo; vengono quindi custoditi presso lo studio notarile nella raccolta.

et sigillum meum apposui CANTINE DEL NOTAIO Rionero in Vulture (PZ) – www.cantinedelnotaio.com


AC

foto di Francesco Ascanio Pepe

arte contemporanea

ASSOCIAZIONE MUSICALE G. DE ROSA

Concerti 17 - 20 Agosto Puccciarelli Trio Giannini, Deidda, Costanzo Tryo Little Pony Maurizio Petrelli Basterdjazz Ipocontrio Gli Scontati

dal 17 al 20 Agosto Srotolando

Happening di Arte Contemporanea con 25 artisti Mostre a cura della galleria Memoli Opera a cura di Ercole Pignatelli, Mario Schifano, Tano Festa, Giancarlo Montuschi, Frano Angeli, Antonio Montariello, Italo Squitieri, Mauro Masi, Carlo Levi, Marco Lodola, Ugo Attardi, Pietro Lista

Il sito internet www.cruscojazz.eu(in aggiornameto) Pagina facebook www.facebook.com/cruscojazz e-mail cruscojazz@gmail.com


Vico San Domenico - Venosa - PZ


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