Che Diotisalvi Times n.2

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Realizzato con il contributo del Consiglio degli Studenti dell’Università di Pisa

Editoriale

Studio ergo pretendo Riccardo Cangelosi

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ello scenario decadente dell’ Università pubblica, pretendere un miglioramento sembra una cosa ovvia e quanto mai necessaria, ma non è così semplice, nè così immediato. Pretendere vuol dire non accontentarsi, non accontentarsi di quello che troviamo tutti i giorni: dal caffè ripugnante della macchinetta al professore incapace di spiegare, dal numero degli appelli fino al lavoro ormai scarso e precario. Pretendere è chiedere con forza, da chi può cambiare le cose, il meglio per sè e per gli altri. Nell’attuale contesto liberalista e precarizzante, chi non pretende è l’eroe di se stesso, perché si accontenta di ciò che si trova di fronte, pensa che nulla possa cambiare e che tutto deve essere accettato così com’è , e in tali circostanze, prova a superare le inefficienze e gli ostacoli del sistema con le sue sole forze. Pretendere sembra essere l’8° vizio capitale: chi pretende è visto come un vile e un nullafacente perché non è in grado di superare quelle difficoltà che un sistema inefficiente ed inefficace gli pone di fronte, e così, si suol pensare, chi pretende un miglioramento, chi pretende efficienza ed efficacia, lo fa solo per aggirare gli ostacoli invece che affrontarli; ma non è così.

Meritocrazia

Matricola oggi, fuoricorso domani Redazione

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gni anno, tutti i corsi di laurea si trovano a revisionare, definire, modificare i propri obiettivi formativi. Il nobile fine sarebbe quello di rendere i propri studenti persone pronte ad ‘’affrontare l’esperienza lavorativa con il supporto delle più solide ed adeguate basi culturali, (compatibilmente con le poche risorse che si hanno da spendere), fornire figure professionali competenti ecc..’’. Aggiungiamoci anche che farebbe piacere se gli studenti, oltre a questo,potessero affacciarsi al mondo del lavoro possibilmente giovani e pimpanti. Mentre ciò accade, nel tentativo di costruire un’immagine e una sostanza al corso, a rovinare l’immagine idilliaca arriva lui, il rovescio della medaglia che nessun corso vorrebbe

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OFA, ritorno al passato: di nuovo il blocco totale Il consiglio di scuola decide di tornare al 2012 con il blocco toale degli esami pag.3

La legge di stabilità che rende instabili Vademecum delle riforme del governo targato Renzi pag.4

La bellezza è di tutti: Palazzo Boyl Il Municipio dei Beni Comuni libera Palazzo Pilo Boyl pag.5

Sistemi Complessi: cosa sono, come funzionano

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Le soft skills e la missione di Gestionali in Opera

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L’amore ai tempi delle file a mensa

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Pretendere è un percorso di miglioramento che giova a tutti. Gli studenti sono i principali portatori di interesse dell’università, ne sono l’anima. In quanto tali abbiamo la facoltà di cambiarla ad indirizzo delle nostre esigenze, al di fuori di speculazioni privatiste e baronali che non sono ostacoli da superare per autoreferenzialità, ma muri da abbattere a vantaggio di tutti. Pretendere non significa però attendere passivamente che qualcosa cambi: informarsi, chiedere supporto ai rappresentanti degli studenti, scendere in Piazza per rivendicare diritti che meritiamo; sono fondamentali di un percorso che è in grado di cambiare qualcosa, dall’appello in più fino all’aumento dei fondi pubblici per l’università. Nessuno dei cambiamenti più grandi della storia sono accaduti senza che qualcuno pretendesse qualcosa, e così sarà sempre. E tu, pretenderai qualcosa in più?


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diritti

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Matricola oggi, fuoricorso domani Cosa pensano davvero i professori degli appelli? Redazione [continua da pag.1] mai vedere, l’aspetto certamente meno virtuoso che, seppur in misura diversa, non risparmia nessun corso di laurea: il fantasma degli studenti fuoricorso.

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appresentati spesso come il ‘’disonore della famiglia’’’, i fuoricorso, coi loro percorsi di studio rimasti misteriosamente incompiuti, rappresentano per molti docenti un problema insidioso che non si è mai riusciti a debellare del tutto, fonti di non poche paturnie alla società accademica tutta, e che fanno trapelare, in sede di discussione, le interpretazioni più disparate sull’argomento e le teorie più opinabili sulla ‘cura’ da prescrivere per la loro estinzione. Avendo appurato che, anche ad ingegneria, il substrato di studenti fuoricorso è molto ampio (circa il 40%), si è discusso in consiglio di scuola proprio di questa categoria, insieme a quella più specifica dei lavoratori, degli studenti genitori ed in maternità. Si è parlato degli appelli straordinari. Nonostante per regolamento didattico d’ateneo siano infatti previsti di diritto degli appelli straordinari per queste categorie, per mancanza di una regolamentazione definita all’interno dei singoli dipartimenti spesso questi appelli non hanno luogo o vengono svolti secondo modalità non chiare e uniformi.

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a discussione è ancora in fase preliminare (continuerà nel Consiglio di Scuola di Gennaio), tuttavia, a prescindere dalle delibere, si nota che le reazioni di molti docenti sull’argomento specifico, ma anche più in generale sul tema degli esami, sono state purtroppo molto poco gratificanti. In buona parte per le interpretazioni eccessivamente pregiudiziali sulla figura dei fuoricorso, i quali vengono rappresentati come la manifestazione della scarsa voglia di studiare e della pretesa di passare gli esami senza aver studiato abbastanza. Posizioni piuttosto limitate e limitanti se il fine è cercare davvero una soluzione a questo fattore, oltre che essere del tutto pregiudiziali e svilenti. La posizione espressa da molti docenti infatti partiva da un concetto molto più generale che si può riassumere così: ‘’già gli appelli ordinari che avete sono troppi, vi crogiolate sicuri che tanto avrete sette possibilità per dare ogni esame ogni anno e senza rendervene conto perdete

tempo, ecco perchè andate fuoricorso’’. Già.. Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? La soluzione è il terrore! In questo modo stimolare la forza della disperazione potrebbe portare gli studenti a dare 7 o 8 prove d’esame nell’arco di circa un mese, d’altronde anche con Saw l’enigmista alla fine qualcuno è riuscito a sopravvivere.

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iù seriamente, la risposta ai ‘’sette tentativi’’ sta nel fatto che (per fortuna) non abbiamo un solo esame in un anno, ma abbiamo mediamente sette o otto prove. Ciò implica che, nella più rosea delle condizioni (esami non sovrapposti, appelli distanti almeno tre settimane, etc…) dobbiamo necessariamente riuscire a passare ogni esame (anche il più importante, denso e complesso) al primo tentativo per inseguire l’obiettivo di rimanere in pari o soddisfare i requisiti di merito necessari per mantenere la borsa di studio o la borsa servizi. Molto spesso questo non accade, pensando ad esempio agli esami che sono notoriamente lo “scoglio” del proprio corso di studi per i motivi tra i più disparati: complessità degli argomenti trattati, estensione degli argomenti, professori particolarment esigenti...

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urtroppo poi tra le cause non ci sono solamente gli esami-scoglio, entrano in gioco anche altre dinamiche prettamente personali: familiari, di salute, economiche.. le quali sarebbe quanto mai fantasioso riuscire a raggruppare dentro un calderone chiamato “poca voglia di studiare”.

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a non basta. A detta di qualche docente, la vera mancanza degli studenti a livello di metodo, sta nel fatto di non accompagnare adeguatamente i periodi di lezione con lo studio individuale: ‘’se voi studiaste durante le lezioni senza ridurvi alle due settimane tra un appello e l’altro probabilmente arrivereste pronti’’. Nessun dubbio su questo, è chiaro che se uno studente volesse accertarsi di aver seguito, studiato e metabolizzato 30 crediti entro il periodo delle lezioni di un singolo semestre (possiamo parlare quindi di 300 ore di didattica e quindi di conseguenza 500 o 600 ore aggiuntive di studio complessivo) basta aggiungere alle ore di lezione circa sei o sette ore al giorno di studio, e il gioco è fatto! Come dire, in fondo stiamo facendo ingegneria, e nessuno ha mai detto che sia un parco giochi o che esistesse una vita al di fuori delle decadenti mura ingegneristiche.

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uttavia per diventare ingegneri, persone pensanti, critiche rispetto al mondo, figure complete e razionali è forse addirittura limitante pensare che basti ‘soltanto’ passare tutto il giorno a studiare nozioni, molte delle quali, diciamoci la verità, spesso vanno al dimenticatoio perchè si spera che almeno al loro posto rimangano i concetti più generali e di buon senso. Il rischio è quello di di perdere di vista lo scopo formativo e sociale ‘’più alto’’ dell’Università, quello che va oltre le nozioni scritte, che è quello di imparare ad affrontare con razionalità il mondo che ci circonda, di imparare a coniugare insieme i principi teorici di base alla pratica.


accesso

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Test OFA, ritorno al passato: di nuovo il blocco totale

Il consiglio di scuola decide di tornare al 2012, con il blocco totale degli esami Redazione

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itorno al passato. Non è certo il titolo di un film con Michael J. Fox, ma quello che realmente è accaduto nell’ultimo consiglio di scuola del 17/11/2014: si è deciso di ritornare per la precisione al 2012. Il 2012 è stato l’anno in cui si è sperimentato l’inutile irrigidimento dei blocchi derivanti dalla mancata estinzione degli ofa. Difatti mentre qualche anno prima venivano bloccati solo gli esami di matematica e fisica, mantenendo comunque la possibilità di non bloccare del tutto il proprio percorso in attesa del successivo test a crocette ( e quindi dando la possibilità di recuperare durante l’anno e mettersi in pari con gli altri compagni di corso) quell’anno il blocco agli esami era totale.

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est negativo, niente esami per tutta la sessione. A che potrebbe mai servire un blocco totale, che comprenda al suo interno anche materie come Chimica, Disegno, Economia, Informatica quando serve “verificare” semplicemente le conoscenze della matematica di base? Forse per i docenti che quel 17 novembre hanno votato per il ritorno al passato questa è una giusta punizione per lo studente “testone” che non riesce a superare un test con 20 domande in 20 minuti e che quindi dovrebbe rimanere un’intera sessione d’esami a ripetere quale sia il “coseno di 20 gradi” oppure farsene una ragione ed abbandonare per sempre gli studi. Niente di più sbagliato: Nel 2012 infatti non solo gli studenti hanno continuato a studiare per i loro esami, molti hanno superato con successo i compiti in itinere che venivano presentati durante i corsi, ma soprattutto veramente pochi hanno deciso di cedere allo sconforto e abbandonare le proprie speranze al verdetto di un test a crocette.

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on abbiamo mai smesso di evidenziare quanto i risultati di quel test fossero ingannevoli (nonostante il CISIA continui a pubblicare i soliti dati dove si dimostra che chi prende un voto alto poi nella maggior parte dei casi si laurea, e si direbbe -“ma và? E quelli che lo superano in ritardo e si laureano lo stesso?”- Questo non viene certo menzionato) e soprattutto non possano

decretare il futuro (né tantomeno prevederlo) riguardo il percorso dei 5 anni successivi di uno studente. Infatti dopo più di un anno di discussioni nei Dipartimenti arrivammo nel 2013 all’importante risultato di eliminare il blocco totale, riuscendo almeno a sbloccare gli esami che non fossero matematica e fisica. Tutto è bene quel che finisce bene? No, purtroppo.

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ell'ultimo Consiglio della Scuola di Ingegneria si è messo in discussione nuovamente la natura di questo test e le conseguenze che questo debba avere su uno studente, in particolare: 1) Alla nostra proposta di estinzione degli OFA mediante una vera e propria prova d'esame sostenuta con i docenti di MAT0, alcuni docenti del consiglio si sono opposti mettendo in discussione addirittura l'oggettività di giudizio sugli esami sostenuti dai sopracitati professori. Essi sono giunti quindi alla conclusione che sia meglio avere un test OFA, comunque a crocette ma con il compromesso di farlo redigere dai professori di MAT0. A niente è servita la testimonianza stessa dei docenti di matematica che accoglievano con favore la proposta di occuparsi degli esami di recupero, ognuno adattandolo ai contenuti affrontati a lezione, ritenendo lesivo e non realmente valutativo il test a crocette poi approvato.

2) Con nostro disappunto e grande sconcerto è stato altresì proposto il blocco totale degli esami per tutti gli studenti gravati da OFA, i quali non potranno dal prossimo anno sostenere alcun esame prima della loro estinzione. Questa decisione è assolutamente inadeguata e inaccettabile. Il nostro sdegno nei confronti di tale decisione non è però sembrato condiviso da parte di tutta la rappresentanza studentesca. Si segnala infatti un’insolita spaccatura all'interno della lista “Universitas” mostratasi in Consiglio al momento del voto,dove una delle due rappresentanti presenti, afferente al corso di meccanica, ha purtroppo votato favorevole al blocco totale.

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a questione sull’accesso a ingegneria non si conclude certo qui, sembra che per alcuni docenti questo sia solo un primo passo verso una chiusura totale dell’accesso con una differenziazione di soglie per corso di studio e totale autonomia degli stessi a danno della tanto invocata uniformità dei corsi ingegneristici e dell’attuale selezione durante il percorso. E’ per questo che ci sarà bisogno di tutta la nostra forza fuori e dentro quel consiglio. L’idea di università di qualità e di massa non può certo tramontare dietro proposte puramente ideologiche ed inadeguate.


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università

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La legge di stabilità che rende instabili Vademecum delle riforme del governo targato Renzi. Gli studenti: “Non in mio nome” Fabio Cacciapuoti

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utunno “caldo”, nel pieno del mese di dicembre. Non ci si riferisce certo alle variabili e imprevedibili condizioni climatiche alle quali si assiste nell’ultimo periodo, ma alla valanga di tensioni e manifestazioni che si stanno susseguendo in tutto il paese dall’inizio di Ottobre. Fu infatti allora che venne convocata la mobilitazione nazionale dell’11 Ottobre e che portò migliaia di studenti nelle strade e nelle piazze. Poi venne il 25 ottobre con la CGIL e un milione di lavoratori in piazza a Roma. Lo Sciopero Sociale del 14 novembre, anch’esso carico di manifestazioni e anche di tensioni in alcune città, con le forze dell’ordine che caricarono i cortei autorizzati gremiti di studenti disarmati. E infine il 12 dicembre, giornata di sciopero generale, quello che non si vedeva da tantissimi anni, al quale si aggiunge la manifestazione nazionale studentesca al grido di “Non in mio nome”.

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a cosa c’è dietro a tutto questo? Partiamo dall’inizio. A febbraio 2014 Renzi sale al governo senza elezioni e annuncia che da allora in poi si “cambia verso”, che la vecchia politica è finita, che bisogna rottamare e andare avanti “puntando sull’innovazione”. Qualche mese dopo annuncia che bisogna far ripartire l’economia con 80 euro in più in busta paga a tutti i lavoratori dipendenti. Non erano proprio tutti e anche la copertura delle risorse era ancora incerta, però un risultato l’ha avuto: il Partito Democratico sbanca alle elezioni europee supera il 40% dei consensi. Poco tempo dopo ci si accorge che il PIL non sale, lo spread non si abbassa, la disoccupazione giovanile supera anch’essa il 40%.

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assata l’estate si riparte, Renzi si concentra sul lavoro e annucia la sua riforma: il “Jobs Act”. Sembra una cosa innovativa del tipo “come non averci pensato prima!”, invece in fin dei conti la colonna principale della riforma è una misura che sa di Deja-Vu: abolire l’art.18. Ebbene sì, per il giovane premier se oggi non hai un lavoro è perché chi lavora non può essere licenziato. Semplice no? No, purtroppo. E non c’è nemmeno nessuna novità, visto che senza nemmeno scomodare Monti, perfino l’allora premier Berlusconi raccontava la medesima storia, addirittura quasi con le stesse parole. Poi insomma è anche prevedibile che l’autunno diventa improvvisamente rovente, perché non solo i lavoratori (che sono anche padri, madri, nonni e nonne)

non hanno intenzione di perdere un loro diritto, ma anche chi lavora ed è precario (vedendo solo una serie di contratti da 6 mesi “rinnovabili” ma che spesso poi non si rinnovano) vorrebbe avere quel diritto tanto caro che assicura stabilità economica e sociale: avere un futuro, accedere ad un mutuo, comprarsi casa, farsi una famiglia.

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l’università? E l’innovazione? Presto detto. In estate la Ministra Giannini annuncia che da quest’anno si rivoluzionerà il modo con cui si finanziano le università e che le università giudicate “migliori” avranno più risorse. Non dice però che le altre (tra cui l’Università di Pisa), essendo sotto la media in base ad alcuni indicatori stabiliti dall’ANVUR e dal Ministero, avranno sempre meno risorse come giusta punizione. Passano i mesi e gli annunci diventano realtà: nessun considerevole aumento dei finanziamenti statali dopo anni di tagli (dal 2008 si è perso più di un miliardo e mezzo di euro) e la quota premiale salta dal 13,5% al 18%, andando ad avvantaggiare ancora di più gli atenei eccellenti in stile Bocconi, vari Politecnici e scuole “d’eccellenza”, tra cui Normale e Sant’Anna e togliendo a tutti gli altri. Poi arriva l’annuncio del “Piano scuola” che promette migliaia di assunzioni (nonostante siano anche migliaia i pensionamenti) e nel frattempo si toglie un miliardo di euro alla ricerca con l’abile gioco delle tre carte.

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i annuncia poi lo “Sblocca Italia” chiedendo alle Regioni di contribuire con

560 milioni di euro alle risorse impiegate per i famosi “80 euro in busta paga” e si inserisce buona parte dei fondi destinati ai servizi all’interno del patto di stabilità . Tra questi anche i fondi per il diritto allo studio, che finanziano borse di studio, mense, contributi a libri e trasporti. I fondi inseriti sono pari a 150 milioni, cioè il totale dei fondi che lo Stato mette a disposizione per gli studenti. Si aggiunge anche una clausola: qualora le Regioni non siano in grado di elargire i 560 milioni richiesti, verranno decurtati i fondi per i servizi per i cittadini, tra cui appunto il Diritto allo Studio. Lo “Sblocca Italia” diventa più conosciuto come “Blocca Italia” e viene approvato dal parlamento poco prima del 14 novembre, giornata di mobilitazione nazionale.

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er ultima arriva la “Legge di Stabilità”, quella che dovrebbe regolare i conti e poter ripartire con un nuovo anno. In tale legge viene previsto un’ ammortizzatore sul finanziamento delle università di 150 milioni a fronte del taglio di 170 milioni previsto dalla legge Tremonti del 2008 (che rimane comunque), ma poi si inserisce un ulteriore taglio, anch’esso pluriennale di 32 milioni ogni anno fino al 2022. In totale si calcola una perdita per l’università pubblica di quasi un miliardo e mezzo nei prossimi 8 anni! Quasi peggio di Tremondi si direbbe. E in più ci sono ancora 40.000 studenti che aspettano di avere una borsa di studio, nonostante siano “capaci e meritevoli” come enuncia la nostra costituzione, e che probabilmente non la vedranno mai. Alla faccia del “cambia verso”.


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La bellezza è di tutti: Palazzo Boyl

Il Municipio dei Beni Comuni libera Palazzo Boyl: una finestra si apre e ci ricorda che la Bellezza è di tutti Anna Maria Miracco

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opo sei lunghi anni la facciata del Palazzo Pilo Boyl, sito in via Lungarno Pacinotti 21, è tornata visibile. Dopo questo lungo periodo tutto lo splendore è stato offuscato da gelidi ponteggi che facevano ben sperare in un futuro migliore per quella chicca architettonica che elegante si affaccia sull’Arno. Quando la suggestiva facciata è tornata alla luce, la scoperta da parte dei cittadini è stata a dir poco sconcertante: nessun lavoro era stato eseguito, nessun miglioramento era stato effettuato, tutto era come prima. Un pezzo maestoso di città lasciato all’oblio e al decadimento senza possibilità di soccorso. Abitato fino al 1841 dalla famiglia Grassi (che lì vi ospitò a lungo Domenico Guerrazzi, scrittore e politico risorgimentale), è passato ai conti Agostini Venerosi della Seta, i cui discendenti ne hanno detenuto la proprietà fino, appunto, al 2008, quando il palazzo è diventato proprietà di una società per azioni, la Tognozzi Group.

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erchè questa storia? E quali sono le cause che hanno portato alla liberazione dello spazio in questione? Forse perchè la comparsa di quel ponteggio non solo ha celato alla cittadinanza uno dei pochi esempi di facciate “graffitate”, ma ha celato anche le trame oscure del proprietario dell’impresa Tognozzi, da anni al vaglio della magistratura fiorentina dopo la dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Firenze nel marzo di quest’anno. Sei anni di lavori mai compiuti su uno stabile di altissimo valore, circa 7 milioni di euro, dati i grandi dissesti strutturali e il degrado artistico; basti pensare che nel cosiddetto “piano nobile” si conserva -ma neanche troppo- il grande affresco sul soffitto voltato dell’”Olimpo” attribuito ad Annibale Marianini. A questo si aggiunge il suolo pubblico occupato e mai pagato dai ponteggi dell’impresa, insomma sei lunghi anni di silenzio, degrado, apatia nei confronti di uno dei più bei palazzi che si affaccia sul Lungarno.

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dopo questa sequela di ingiustizie, le domande: a quanto ammonta il debito tributario della Tognozzi spa nei confronti del Comune di Pisa? E cosa sta facendo quest’ultimo per recuperalo? I giornali allora scrissero che il Comune si è inserito nella procedura di recupero come creditore nei confronti della società insolvente, ma della cifra esatta in questione non è dato sapere. A

chi è sottratto questo denaro? E perché un Comune tanto solerte a pretendere puntualità dai cosiddetti ‘morosi’ non sembra tentare nessuna accelerazione nei confronti di una ex potenza come la Tognozzi spa?

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li oggetti drammatici di questa vicenda non sono pochi. Ogni tipo di azione per il recupero e la tutela di questo bene culturale sembra essere sparito nel nulla, o forse semplicemente non è mai esistito. Pisa si candida, tramite l’amministrazione Filippeschi, a diventare una città di cultura, una città vetrina, ma contemporaneamente non mette in atto nessuna politica di recupero e conservazione dei propri beni più importanti. Nessuno mai più rivedrà quel denaro, nessuno mai più si preoccuperà di riportare quel meraviglioso palazzo al lustro di un’epoca passata e che racconta tanto di Pisa, racconta tanto dei suoi artisti, racconta tanto delle sue architetture. Ecco cosa succede quando un bene culturale, che dovrebbe essere comune prima che privato, viene reso un mero strumento di rendita e speculazione. ’ingresso della mattina del 22 novembre da parte degli attivisti del Municipio dei Beni Comuni è stato il frutto di una lunga e articolata riflessione che parte da tutte le questioni suddette. La proprietà privata rimane uno e fondamentale diritto del cittadino italiano; ma siamo veramente sicuri che l’art. 42 della

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costituzione anche in questo caso, come è stato per un esempio che può sembrare lontano ma non lo è - quello dell’Ex Colorificio Toscano - sia effettivamente ben interpretato da parte delle amministrazioni pubbliche? Dov’è finita quella garanzia di “funzione sociale” che tanto contraddistingue la carta fondamentale italiana?

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on la liberazione del palazzo Boyl si lancia un nuovo allarme, per ricondurre l’attenzione su un caso, come tanti, ma soprattutto su un “metodo politico” che non solo è letale per la democrazia ma è letale anche e soprattutto per il territorio che viviamo quotidianamente e che quotidianamente viene distrutto e ricomposto secondo superficiali politiche “economiche”. La storia del Palazzo Boyl è una delle tante storie tristi che ritroviamo nella nostra città. Basti pensare all’Ex Convento di Santa Croce in Fossabanda che vede in prima linea Sinistra per... per la sua riconversione ad alloggi e mensa universitaria, alle innumerevoli vicende dell’Ex Colorificio Toscano ancora chiuso e circondato da filo spinato, alla chiusura di 8.000mq di verde del Distretto 42, alla svendita del complesso della Mattonaia. Tutto torna secondo quest’amministrazione, ma da parte di chi crede fermamente che qualcosa DEVE cambiare tutto ciò non è accettabile e continuerà a promuovere e praticare sempre un’alternativa.


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Sistemi Complessi: cosa sono, come funzionano "Il tutto è maggiore della somma delle parti" – Aristotele Francesco Mancuso

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on il termine “complessità” si fa riferimento ad una caratteristica di un sistema strutturato da più parti tra loro interagenti, il cui comportamento globale non è desumibile da quello dei singoli componenti, in quanto dipende direttamente dalle interazioni stesse. Un sistema complesso manifesta le cosiddette “caratteristiche emergenti”, cioè proprietà collettive, comuni a tutti gli elementi del sistema, dipendenti dalle interazioni non-lineari citate sopra. Un problema si dice lineare quando lo si può scomporre in una somma di sotto-problemi indipendenti tra loro. Quando invece le varie componenti del sistema interagiscono tra loro impedendo la separazione per l’analisi del singolo sotto-problema, si parla di non-linearità. Esempi di sistemi complessi sono il sistema climatico, il sistema nervoso, la società o i sistemi economici.

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l concetto di complessità è anche fortemente correlato con quello di “instabilità”. Per rendere bene l’idea di instabilità di un sistema complesso citerò il ben noto “effetto farfalla“. Avrete sicuramente sentito pronunciare la celebre frase “si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”, tratta dal film “The Butterfly Effect” del 2004. Questa è una frase che semplifica consistentemente il concetto ben più tecnico di dipendenza sensibile alle condizioni iniziali: piccole variazioni di condizioni iniziali causano enormi variazioni del comportamento sui lunghi orizzonti temporali. Questo è il motivo per cui non dovete fidarvi del meteorologo che vi dice che fra una settimana pioverà. Il sistema climatico, come anticipato prima, rientra nei sistemi complessi. Previsioni sul breve orizzonte temporale (domani, dopodomani) risultano attendibili; se già ci si sposta ad una settimana, si ha praticamente un crollo di affidabilità: è impossibile prevedere come il sistema si evolverà.

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ltro fattore che contribuisce a “complicare” (più avanti spiegherò perché il termine è virgolettato) un sistema

Attrattore di Lorentz disegnato al computer, cioè un sistema di equazioni differenziali in grado di generare un comportamento complesso.

è la varietà degli elementi che lo compongono. Maggiore è la diversità tra essi, più complesse diventano le interazioni non-lineari che li vincolano gli uni agli altri. E qui potremmo citare la società: una moltitudine di elementi costituenti (le persone) profondamente diversi tra loro che generano un numero enorme di interazioni differenti e non prevedibili a priori per la grande varianza che li caratterizza. La società non è una somma di individui. Uno stormo non è una somma di uccelli, manifesta comportamenti di gruppo non assimilabili al singolo animale. E spesso i sistemi complessi sono anche adattativi, nel senso che si auto-organizzano con l’obiettivo di raggiungere una conformazione migliore, adatta a particolari circostanze.

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’è differenza tra “complicato” e “complesso”, attenzione. Il primo termine viene dal latino cum plicum, dove plicum indica la piega di un foglio. Il secondo deriva dal latino cum plexum, dove plexum indica il nodo. Un problema complicato è affrontabile tramite un approccio analitico per quanto possa es-

Blog dell'autore: "Mind Uploader" - https://frankirchhoff.wordpress.com/ Pagina Facebook dell'autore: "Transhumanity"

sere lungo e pesante (appunto, “spiegare” le pieghe di un foglio) da svolgere e perciò rimane comunque un problema lineare (si pensi ad esempio ad un sistema di n equazioni in n incognite; si risolve, ma ci vuole un po’). Basta risolvere le singole parti e poi mettere tutto insieme. Nel caso di sistema complesso bisogna rinunciare a priori ad un approccio di natura analitica, in quanto risulterebbe inutile: va esaminato secondo una logica che tiene conto del tutto come un qualcosa di indivisibile.

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rovando sintetizzare in una manciata di righe dei concetti che richiederebbero interi libri, ho tentato di essere il più chiaro possibile senza però cadere nel semplicistico. In realtà questa è la prima parte dell’articolo vero e proprio, è un’introduzione che serve per dare un’idea generale al lettore, utile a far comprendere la grandezza delle tematiche che verranno affrontate nella seconda parte dell’articolo: le meccaniche del cervello umano e i nostri tentativi di emulazione.


studenti

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Spazio alle Associazioni Studentesche

Le soft skills e la missione di Gestionali in Opera Pasquale Serao

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pesso durante la sua carriera universitaria uno studente si trova a pensare a ciò che sarà il suo futuro al termine del percorso di studi. Qualsiasi strada intraprenda è inevitabile che debba interagire e collaborare con altre persone, probabilmente in realtà aziendali dove le sole competenze tecniche fornite dal corso di laurea non saranno sufficienti senza quelle che vengono chiamate “soft skills”. Ma cosa sono queste “soft skills”? Le soft skills sono attributi personali che migliorano le interazioni di un individuo, le prestazioni di lavoro e le prospettive di carriera . Sono competenze non riconducibili agli aspetti tecnici e organizzativi aziendali: ad esempio la leadership, l’efficacia relazionale, il team-work, il problem solving. Possono essere divise in grandi categorie: relazionali (come ci si rapporta con gli altri: comunicazione, gestione dei rapporti interpersonali, orientamento al cliente, collaborazione, team-work, negoziazione…), cognitive (come si ragiona: visione sistemica, problem solving, analisi e sintesi…), realizzative (come si traduce in azione ciò che si

pensa: iniziativa, proattività, orientamento al risultato, pianificazione, organizzazione, gestione del tempo e delle priorità, decisione…), manageriali (come si agisce nel ruolo di capo: leadership, gestione e motivazione dei collaboratori, capacità di delega…) e infine trasversali, spesso abilitanti rispetto alle altre soft skills: flessibilità, tolleranza allo stress, tendenza al miglioramento continuo, innovazione. L’associazione “Giò - Gestionali in Opera” nasce nel 2011 da un gruppo di studenti che volevano interagire con la vita universitaria in maniera diversa rispetto al presente, creando eventi e attività di interesse per gli stessi studenti e da allora ha proposto corsi sul “time management”, “project management”, “public speaking”, “gain the job”, conferenze, viaggi in azienda e altro. Nel corso del tempo è aumentato l’interesse verso quest’associazione da parte degli studenti di ing. Gestionale e non. Infatti le attività sono rivolte a tutti, indipendentemente dal corso. Per il prossimo anno tra le iniziative programmate compaiono corsi di

Excel avanzato, team building, Arduino for Makers, Web design e una mostra fotografica “One day Student” in cui verranno esposte le foto scattate dagli studenti affiancati da professionisti. GiO è un’associazione dinamica, in continua evoluzione e sempre alla ricerca di collaboratori e di persone proattive che possano portare avanti la propria mission: fornire a tutti gli studenti dell’ateneo un allenamento per gestire e migliorare queste competenze.

Rubrica

L’amore ai tempi delle file a mensa Gaetano Nolè sciare la tessera non sapendo se staranno per pranzare o cenare. - La fila è cosi lunga che alle volte rischia di confondersi con quella di Color Copy lì di fronte, con il problema che dopo un’ora potresti casualmente avere in mano un vassoio con del cibo o un pacco di fotocopie.

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rmai da qualche mese è evidente che qualcosa alla mensa di via Cammeo non va. La lunga fila che generalmente si forma ha fatto prendere in seria considerazione l’idea di un nuovo sottopassaggio perpendicolarmente a via Bonanno, visto che alla volte la stessa fila intralcia il traffico. Diversi sono i problemi che essa genera, il fatto che chi arriva per pranzare all’una si ritrova a sedersi in tavola mediamente attorno alle 6 del pomeriggio ha generato non pochi problemi ai molti fuori sede che per le prossime vacanze di Natale, ormai abituati a questi orari, hanno avvertito le proprie famiglie che non intenderanno iniziare il pranzo di Natale prima dell’edizione delle 18:30 del Tg2. Tornando alle conseguenza della lunga fila ecco a voi alcuni esempi: - Gli ultimi della fila corrono il rischio di stri-

- Si sta facendo sempre più insistente la figura dell’affitta-posto, costui sarebbe una persona fisica che percepirebbe una somma in denaro (senza emissione di fattura, è chiaro) per occupare 0,25 metri quadrati di pavimento a chiunque richiedesse i suoi servigi, con cifre che oscillano da pochi euro per orari morti come le 12 o le 14 fino al corrispettivo della pensione del nonno per la fila delle 13. Sarebbero inoltre disponibili degli sconti comitiva, abbonamenti mensili o settimanali e la possibilità di fare una carta fidelty con dei veri e propri punti cumulabili e utilizzabili per tazze, carburante omaggio o un buono per una fila gratis cedibile anche come regalo di Natale. Questo tizio darebbe anche la possibilità di pagamenti rateali, basta fornirgli solo una carta d’identità, codice fiscale e dove va a lezione di pianoforte il tuo fratellino di 12 anni, non si sa mai si scappi di dimenticarvi della rata di Dicembre. - Alle volte è capitato che si concepisse un bambino e nel corso della stessa fila, in generale verso la fine, si assistesse anche al parto, con la neo mamma che si ritrova poi lì davan-

ti con una mano che regge il neonato e una che regge il vassoio; diciamo non è proprio il massimo della comodità. - Sta prendendo piede, da parte di alcuni professori, anche l’idea di tenere la lezione delle 12:30 lungo la fila a mensa, cosi da recuperare del tempo prezioso; dunque se vedete un tizio di spalle con dietro una lavagna lungo la fila non sorprendetevi. - Autostrade per l’Italia avrebbe già messo in cantiere un’uscita tra Prato est e Pisa nord direttamente verso i banchi del “Mangio Pizza” con annesso Telepass e casello con pagamento in contanti per facilitare il transito. Insomma a mensa c’è sempre fila, soluzioni? Una potrebbe essere quella di installare un’ufficio postale dietro ai banchi alimentari, gli operatori danno a voi i piatti e voi date a loro la bolletta da pagare che da tempo giaceva sul mobile all’ingresso di casa per l’eccessiva fila all’ufficio postale che vi ha sempre scoraggiato, ora potrete fare un’unica fila per due cose separate. Altre soluzioni? Beh pensateci, magari la prenderanno in considerazione. In fondo sono riusciti a concentrare l’orario della pausa pranzo nello stesso orario per tutti i corsi , creando una confusione a mensa degna dei “dibattiti” di “Uomini & Donne” o di un sabato sera a Vettovaglie, perché non dovrebbero rischiare altro?


Che Diotisalvi Times

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Le ultime parole famose

Multi-Sudoku

Le citazioni bizzarre dei docenti durante le lezioni Prof. L. : “Ce l’ho grosso ma non lo uso tutto” (riferito ad un buffer) Prof. L. : “Il mio sito si chiama “ALAN” perchè il corso si chiama Algebra Lineare e Analisi 2, menomale che non si chiama al contrario” Prof. F. : “Pensavo che al mio corso venissero solo cani e porci, invece ci sono anche i gatti” (dopo che era entrato un gatto in aula) Prof. S. : “La statistica è quella cosa secondo la quale, se io mangio due polli e lei nessuno, ci siamo fatti un pollo a testa” Prof. L. : “Ragazzi, qual è la maggior applicazione della ceramica? - silenzio in aula - I CESSI, RAGAZZI, I CESSI!” Prof. M. : “Perché quando salgo le scale acquisto energia potenziale, ma sto male comunque?”

*Se hai un gruppo musicale emergente e vorresti suonare

Prof. M. : “Voglio ben sperare che tutti voi abbiate visto un al Pisa Rock Corner scrivi a: pisarockfestival@sinistraper.org inserendo nell’oggetto il Tag “[DEMO]” e alleseno in vita vostra”

gando una demo delle vostre canzoni.

Prof. M. : “So che la maggior parte di voi inizierà ad esercitarsi dopo aver digerito le lenticchie... e altro” (riferendosi alle vacanze natalizie) Prof. G.: “Il punto di sella è come il fianco di una donna… quando siete a casa verificate” Prof. F. : “Bisogna AMMAZZARE l’equazione” Prof. T. : “Ahhh ma questo...questo è un sistema a fava!” Prof. T. : “Se scrivo questa equazione in questo modo potrei morire a breve” Prof. M. : “Se io chiedo a lei di farmi una pompa, no? Prima devo essere sicuro di una cosa: la sa fare?” (riguardo le verifiche sui processi produttivi dei fornitori di pompe idrauliche) (Mandaci le tue a: ingegneria@sinistraper.org)


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