La trasgressione di un manovale malcolm x nella desolazione americana

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LA TRASGRESSIONE DI UN MANOVALE MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA “Un paese fittizio” ovvero la trasgressione dello spazio politico nazionale Come la generazione dei neri statunitensi che si affacciarono alla vita politica e sociale degli anni Quaranta plasmò la propria identità culturale comincia finalmente a diventare argomento di ricerca.1 Rimangono sconosciute alcune circostanze dello sviluppo di uno dei protagonisti di quella generazione – Malcolm X – il quale come pochi altri ha contribuito a formare tale identità negli anni Cinquanta e Sessanta. Cercherò di delineare brevemente come Malcolm X giunse a occupare un doppio spazio politico, un atto di trasgressione delle leggi scritte e non scritte che hanno governato e governano il comportamento politico negli Stati Uniti così come in qualsiasi altra struttura statale. Era un atto di trasgressione ed era soprattutto una fonte di radicalizzazione politica fin dai primi anni Cinquanta. Per doppio spazio politico intendo sia la costruzione di nuove fedeltà al paese di recente insediamento, sia l’allen­ 1 * Questa è la traduzione italiana, leggermente riveduta e a cura dell’autore, di una relazione in inglese letta al Colloquio del 1984 dell’Association Française d’Etudes Américaines, tenutosi a Dourdan il 25­27 maggio 1984. Una traduzione francese a cura di Jennifer Pickman è stata pubblicata dalla rivista “Babylone” n. 5 (primavera–estate 1986), pp. 111­140. La versione inglese è pubblicata da “Radical History Review”, vol. 55 (inverno 1993). tamento dei legami con il paese o la regione di origine. I migranti interiorizzano “il senso dello stato” del paese di adozione oppure lo rifiutano in nome di vecchie lealtà o di un nuovo cosmopolitismo, ma in circostanze che essi non scelgono e che dipendono dall’ampiezza dello spazio che essi si ricavano per il loro ingresso nell’arena politica. La categoria di doppio spazio politico è quindi applicabile soprattutto alle migrazioni internazionali moderne. A lungo e ancora per i primi decenni di questo secolo gli stati del Nuovo Mondo hanno tacitamente accettato una categoria caduta oggi in disgrazia, quella dei perseguitati economici, sapendo in anticipo che il loro arrivo – anche se si trattava di bianchi – avrebbe comunque determinato tensioni sociali nel medio e lungo periodo. Gli stati che li espellevano cercavano di spingerli lontano, al fine di eliminarli definitivamente dalla scena politica interna. In queste condizioni lo stato moderno ha tollerato il tentativo da parte degli immigrati di mantenere questo doppio spazio politico, configurandolo come una fatica di Sisifo; il suo atteggiamento è di cauta pazienza, ma questa si muta in intolleranza nei periodi di tensione internazionale e di guerra. In taluni casi l’atteggiamento di tolleranza è risultato vincente. Il mantenimento dei legami degli immigrati con il paese di origine e con il paese di destinazione ha episodicamente fornito agli stati moderni qualche strumento per influenzare il corso politico del vecchio e del nuovo paese. In altri casi, lo stato del paese di destinazione ha richiesto un tipo di fedeltà esclusiva, riducendo l’opzione degli immigrati al solo rimpatrio oppure alla recisione dei legami con l’universo simbolico e materiale della terra di origine. MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html1


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Per coloro che non erano immigrati volontari, ma schiavi e discendenti di schiavi nel Nuovo Mondo, i legami che li univano all’Africa andavano stabiliti e ristabiliti a ogni generazione. Per lunghi periodi la memoria del vincolo con il continente di origine poteva solo essere trasmesso con un sussurro. Gli africani del Nuovo Mondo erano portatori di opinioni sulla condotta degli affari africani e in generale sulla politica estera statunitense. Era questo un 2 aspetto del loro tentativo di uscire da quel ghetto del dibattito politico che era la questione dell’emancipazione e della schiavitù. Sembrava che non dovessero parlare di altro nei dibattiti pubblici con i bianchi. Gli schiavi fuggiaschi potevano prendere posizione contro l’occupazione statunitense dei territori messicani, i giornali neri potevano inneggiare alla vittoria etiopica contro gli italiani ad Adua e le infermiere nere potevano inviare medicine agli etiopi durante l’invasione fascista dell’Etiopia nel 1935­36.E tuttavia fino agli anni Sessanta di questo secolo il panafricanismo rimasto ai margini dell’arena politica statunitense. La guida politica afro­americana, come gran parte delle leadership etniche statunitensi, si è sovente fatta valere nel contesto del dissenso rispetto all’“Impero”. Quando essa ha unito il dissenso alla simpatia per i movimenti internazionali affini, essa si è trovata sulla stessa lunghezza d’onda delle forze anticoloniali che hanno sfidato il dominio imperiale. Nelle pagine seguenti non mi occuperò del dibattito sulla realtà o l’irrealtà dell’impero statunitense, bensì dei motivi che verso la fine degli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta spinsero un gruppo di giovani detenuti neri – e in particolare Malcolm X – a considerare gli Stati Uniti come un potere imperiale. Durante i primi anni della Guerra Fredda – sovente descritti come un’epoca di follie solitarie, di smembramento e d’isolamento – la comparsa di un gruppo di giovani neri che discutevano la questione di un mondo fuor di sesto negli angoli di un cortile di un penitenziario del Massachusetts poteva sembrare una semplice curiosità. Come sarebbe diventato chiaro in seguito, era la nascita di un movimento che sarebbe trapassato dalla condanna millenaristica del mondo bianco alla critica motivata e puntuale di aspetti specifici della civiltà europea e americana. La comprensione della natura e il significato della trasgressione di Malcolm e dei suoi compagni di detenzione ci aiutano a capire alcuni caratteri della dimensione statuale dello stato. Poiché lo stato moderno si costituisce sulla separazione tra amici e nemici, esso possiede il monopolio 3 del potere legittimo, il potere assoluto di stabilire il discrimine tra l’interesse nazionale e il tradimento al fine di ottenere la fedeltà all’interno. Esso non può tollerare che ne vengano scosse le fondamenta dall’ostilità assoluta di una minoranza. È tollerabile il conflitto finché esso si proietta all’esterno. In tale contesto le alleanze e le rivalità esterne, l’amicizia e l’inimicizia, in breve la politica estera, cadono entro i confini del potere dello stato moderno e possono venire modificate soltanto dai partiti che formano l’ossatura dello stato e che detengono il monopolio della politica. La guerra può avvenire soltanto tra territori dotati di sovranità. In patria chi non si conforma è destinato alla definizione di nemico di tipo speciale, di nemico interno, e dunque è destinato all’identificazione con il cospiratore in combutta con la potenza straniera. Nel ventesimo secolo il fior fiore del movimento operaio ha dovuto prodursi funambolicamente sulla corda tesa che separa il “tradimento” dalla remissività nei confronti dello stato. Qui intendo presentare il caso di un’ostilità proletaria assoluta all’interno, che si appoggiava a quello che l’apparato di stato chiamava “un paese fittizio”, in seguito diventato la “sollevazione” anticoloniale dei “Popoli Scuri in Oriente”. E tuttavia l’occhio vigile dello stato avvertiva che un simile movimento rappresentava un pericolo tale da obbligare gli apparati a seguirne e tallonarne i membri. Solitamente negli imperi la tardiva scoperta da parte dello stato di una realtà simbolica collettiva anche di poco discorde dai suoi dèi ufficiali è sfociata nella MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html2


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ridefinizione dello stato e del suo panteon, oppure nella caduta di entrambi. Quando le aspirazioni religiose e civili sono orientate a un universo geograficamente distante, esse assumono la connotazione della trasgressione politica. Mentre sono tollerati gli dèi obsoleti appartenenti al passato ufficiale dello stato, le divinità straniere diventano facilmente sospette, specialmente quando si offusca la linea che divide il dissenso religioso dall’agitazione politica. Il sospetto cresce ovviamente insieme con la vigilanza nei momenti in cui l’urgere della “sicurezza nazionale” diventa febbrile. Così, 4 negli Stati Uniti del periodo seguente la seconda guerra mondiale, la sorveglianza contro “il nemico interno” divenne particolarmente intensa nel periodo della guerra di Corea. Fu allora che l’FBI provò interesse per Malcolm Little, un ex­detenuto, rettificatore in una fabbrica di camion a Detroit, esponente di un “culto”, la Nazione dell’Islam, i cui membri, secondo una dichiarazione contemporanea dell’FBI, si consideravano “cittadini dell’Islam”, “paese fittizio che i musulmani pretendono che sia l’Egitto”.2 Quando ormai l’interesse per Malcolm X non è più limitato a qualche centinaio di membri della Nazione dell’Islam e all’FBI, possiamo fare uso sia del Fascicolo di Sorveglianza dell’FBI intestato a Malcolm Little, alias Malcolm X, sia di altri documenti e fonti per dare un altro sguardo alla sua nota e incomparabile Autobiografia. 3 Riferendosi al rischio incombente nel 1943 di reclutamento nell’esercito, Malcolm X notava nella sua Autobiografia: “A quel tempo c’erano soltanto tre cose al mondo che mi facevano paura: la prigione, un lavoro e l’esercito”.4 Esaminerò qui la triplice paura nell’ordine della loro urgenza per Malcolm durante i suoi anni sulla strada. L’esercito: “meglio essere imprigionato dal diavolo” In uno dei suoi rapporti sul “Culto della Nazione dell’Islam”, l’FBI dichiarava che “i suoi membri rinnegano la loro fedeltà agli Stati Uniti e non considerano loro dovere iscriversi all’ufficio di leva o arruolarsi nelle Forze armate statunitensi poiché essi non possono servire due padroni”.5 Il problema sarebbe stato allora quello di capire perché un “soggetto” come Malcolm X, senza aver mai sentito parlare della Nazione dell’Islam, avesse rifiutato la leva quando egli non aveva letteralmente alcun padrone6 e andava diffondendo la voce che era pronto a entrare nell’esercito giapponese.7 Dopo l’attacco di Pearl Harbor,8 nel mondo colonizzato aumentavano le simpatie filogiapponesi e neppure le strade di Harlem ne erano immuni. Nel dicembre del 1942 i 5 capi della Nazione dell’Islam vennero processati a Chicago per quella che la polizia considerava una dimostrazione a favore del Giappone. La notizia del raduno si diffuse a onda nei ghetti del Nordest. Da una delle onde più periferiche, nel sottobosco dei traffici illegali di Harlem, Malcolm X raccolse l’idea di minacciare la commissione di leva dichiarandosi pronto a unirsi all’esercito giapponese,9 idea che – come Malcolm X aveva giustamente previsto – la commissione di leva non sarebbe stata in grado di considerare una smargiassata. Per la commissione di leva di Harlem, Malcolm X non apparteneva all’Impero giapponese ma al reame della follìa. Tuttavia, quando egli si trovò a quattr’occhi con lo psichiatra dell’esercito, il finto comportamento paranoico risultò ben poco legato al Giappone e assai motivato dalle condizioni negli Stati Uniti: “Improvvisamente saltai in piedi e andai a guardare sotto tutte e due le porte, quella da cui ero entrato e un’altra che probabilmente era di un armadio a muro. Poi mi piegai verso di lui e gli bisbigliai in un orecchio: ‘Daddy–o, detto tra di noi, siamo tutti e due del Nord qui e perciò non dìtelo a nessuno... voglio che mi mandino nel Sud. Avete capito? Voglio organizzare quei soldati negri, rubare un po’ di fucili e ammazzare i cialtroni di laggiù!’”10 Dunque Malcolm era soltanto un caso psichiatrico: “Il 25 ottobre 1943 il soggetto venne trovato mentalmente inetto ai fini del servizio militare per le seguenti ragioni: personalità psicotica, inadeguato, perversione sessuale, rigetto psichiatrico”11 e venne scartato senza rivedibilità. All’incirca MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html3


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nello stesso periodo in cui l’esercito statunitense constatava che l’Impero giapponese non cercava di reclutare Malcolm X, le autorità militari tentavano di reclutare cittadini giapponesi detenuti nei suoi campi di concentramento, tentativo contrario alla Convenzione di Ginevra.12 Verso la fine del 1943 la personale campagna di Malcolm X contro le forze armate pareva terminata. Non vi erano rilievi ideologici nella sua renitenza e l’unico prezzo da pagare era la sua notorietà come “il rosso di Detroit, un 6 po’ matto”. Lo scontro di Malcolm con lo Stato era ancora indiretto, a riprova di quanto fosse difficile per un giovane nero nei primi anni Quaranta costruirsi un’identità che si opponesse all’autorità istituzionale. Nei primi anni di carcere a cominciare dal 1946, la sua lotta contro la leva divenne inattiva, mentre egli doveva affrontare un altro aspetto del potere statale. Le sue paure della leva salirono di nuovo quando le voci dell’imminenza della guerra di Corea si diffusero alla metà del 1950, durante il suo quarantaduesimo mese di prigione. Se già nel 1943 Malcolm X era stato capace di suscitare la paura paranoica nella commissione di leva, adesso egli sapeva pure che l’apparato statale avrebbe continuato a investire molta paranoia nei suoi vari bersagli: i giapponesi erano diventati amici, e ora i comunisti erano i nemici. Proprio quando molti esponenti ed ex­esponenti di sinistra negavano di aver mai intrattenuto rapporti con i comunisti, Malcolm, musulmano e vecchio conoscitore della paranoia, diffondeva la diceria di essere comunista. Mentre andavano intensificandosi le voci dell’imminente guerra di Corea, Malcolm X non aveva più dubbi sulla posizione da assumere per evitare la leva: dalla parte del nemico. Era senz’altro “meglio essere imprigionato dal diavolo” che dover servire nelle sue forze armate. Era meglio toccare il fondo piuttosto che cercare di “dare la scalata a una montagna di piume”.13 Il 29 giugno 1950, il giorno in cui il Congresso statunitense prolungava per legge la ferma militare di un anno e cinque giorni prima dell’inizio della guerra di Corea, “il soggetto ha spedito una lettera dalla quale – nome cancellato – ha copiato la seguente informazione: “Dì... di mettersi in forma. Sembra che ci sarà un’altra guerra. Sono sempre stato un comunista. Ho cercato di arruolarmi nell’esercito giapponese durante l’ultima guerra, adesso non mi recluteranno e non mi accetteranno mai nell’esercito statunitense. Tutti hanno sempre detto che Malcolm è matto, e quindi non è difficile convincere la gente che lo sono.” 7 In un accesso di onestà, l’informatore aggiunse sotto la voce “Legami con il Partito comunista... passi di lettere scritte dal soggetto”: “Questi passi non erano citazioni ma piuttosto note buttate giù...”14 I timori di Malcolm X di venire arruolato erano giustificati, poiché egli sapeva che la propria appartenenza alla Nazione dell’Islam non lo avrebbe tenuto a distanza di sicurezza dal servizio militare. Gli scudi supplementari del comunismo e della follia avrebbero dovuto proteggerlo dallo zio Sam. Ma questi scudi erano ulteriori ostacoli all’ottenimento della libertà provvisoria che egli poteva richiedere nel febbraio del 1951, dopo cinque anni di prigione. I membri della Nazione dell’Islam non riuscivano a sfuggire alla leva, come avrebbero dimostrato chiaramente sia l’arresto di quattro suoi membri a San Diego, in California, nel settembre del 1950 – il primo caso dopo la seconda guerra mondiale – sia le accuse di cospirazione politica e di mancata iscrizione all’Ufficio di Leva che vennero formulate contro di loro il 7 novembre del 1950: “Tutti e quattro hanno fornito la ‘X’ come cognome ma il governo li ha registrati in modo diverso... E.C. Richardson, l’agente responsabile del locale ufficio dell’FBI, ha detto che gli indiziati lo hanno informato di non essere tenuti a unirsi a un esercito nel quale essi dovrebbero ‘uccidere i nostri fratelli asiatici in Corea’. Ha detto che non vi era alcuna sincera ripulsa religiosa di uccidere, ma soltanto il rifiuto di uccidere gli asiatici. Evidentemente non nutrivano alcuno scrupolo contro un nemico composto di ‘diavoli bianchi.’”15 Tre giorni dopo MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html4


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l’Ufficio Medico dell’esercito emanava la raccomandazione di abolire la non­rivedibilità, la formula dell’esenzione di Malcolm X nel 1943; adesso si favorivano la “rivedibilità e il servizio militare limitato per gli inetti”.16 Un articolo apparso nel numero del gennaio del 1951 del mensile carcerario “The Colony”, nel Massachusetts, rifletteva le opinioni dei carcerati che speravano di ottenere la libertà in cambio del servizio militare, ma suonava ancora più minaccioso per il renitente Malcolm: 8 “Turni continui di lavoro, donazione di sangue, sottoscrizioni ai prestiti di guerra, esperimenti medici pericolosi ma essenziali svolti su prigionieri volontari sono soltanto alcuni dei contributi offerti dai reietti della società. Molti prigionieri sono stati liberati e trasferiti alle forze armate e si sono dimostrati soldati affidabili... Oggi viene ripreso il problema della partecipazione dei carcerati alla difesa americana.17 Sebbene “The Colony” non fosse a conoscenza del contemporaneo tentativo da parte del generale MacArthur di liberarsi di circa cinquanta bombe atomiche lanciandole sui cinesi, il mensile presagiva le nuove decisione prese a Washington in quei giorni. Dopo avere perso il monopolio della bomba atomica, gli Stati Uniti raddoppiavano le loro forze armate da un milione e mezzo a tre milioni di soldati. Ci sarebbe stato posto per un gran numero di giovani abili. Fortunatamente per Malcolm X, non c’era posto per i riottosi. La tattica del triplice scudo – la professione di fede musulmana, di comunismo e di follia – aveva dato i suoi frutti. Gli venne rifiutata la libertà provvisoria all’inizio del 1951 e dovette così rimanere in carcere per altri diciotto mesi, ma si era dileguato il rischio di venire arruolato, se non per sempre, almeno fino alla sua assunzione nella fabbrica Gar Wood alla fine di gennaio o ai primi di febbraio del 1953. Pericoloso adesso, nel tempo libero dal lavoro, quale esponente della Nazione dell’Islam nei ghetti di Detroit, Malcolm il rettificatore venne rintracciato dall’FBI alla fabbrica Gar Wood il 17 febbraio 1953, mentre si muoveva in tuta e occhiali protettivi tra le carrozzerie a stare dietro ai meglio retribuiti saldatori. È possibile ma non certo che l’ordine impartito dall’FBI a Malcolm di iscriversi immediatamente all’ufficio di leva fosse un ammonimento implicito contro il suo attivismo pubblico a favore della Nazione dell’Islam. È certo che da quel 17 febbraio 1953, alla fabbrica Gar Wood Malcolm divenne sempre più un “soggetto” da sorvegliare. Sebbene Malcolm fingesse di non sapere che i pregiudicati dovevano iscriversi all’Ufficio di Leva, e sebbene l’FBI credesse forse alla sua ignoranza in buona fede, l’uf­ 9 ficio di leva di Plymouth, nel Michigan, respinse la sua istanza quale obiettore di coscienza, conformandosi così alla linea generalmente seguìta nei confronti dei membri arruolabili della Nazione dell’Islam. Malcolm non avrebbe mai saputo quanto era pesante il verdetto dell’Ufficio di Leva di Plymouth nei suoi confronti: “Il soggetto è mentalmente inetto al servizio militare... a causa della personalità asociale con tendenze paranoiche (schizofrenia prepsicotica).18 Per l’Ufficio di Leva di Plymouth, Malcolm Little era folle ma utile quale rettificatore nella fabbrica Gar Wood. Contrariamente all’Ufficio di Leva di Harlem, i burocrati di Plymouth lo trovarono esente dalla “perversione sessuale”, evidentemente una malattia contratta da persone che non si vendono sul mercato legale del lavoro. E tuttavia, se Malcolm non poteva appartenere a nessun’altra nazione – e men che meno alla Nazione dell’Islam – egli doveva appartenere comunque al reame di un’altra follia: asocialità, paranoia, schizofrenia leggera. La prigione: “Neppure l’uomo bianco” Al momento della fine della seconda guerra mondiale nel Pacifico (2 settembre 1945), Malcolm poteva vantarsi di aver evitato il servizio militare, di essersi allontanato dai lavori servili e di essersi introdotto nella “giungla” al punto da organizzare la propria banda a Boston. Adesso non era più “il Rosso dei panini” dei suoi compagni inservienti sui vagoni ristorante e sui vagoni letto. I suoi nuovi nomi venivano dal sottobosco MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html5


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urbano: il Rosso di Detroit, il Rosso del Ritmo, Jack Carlton.19 Non erano nomi di sua scelta, erano nomi della “giungla”; nessuno di loro poteva o doveva svelare la sua vera storia, tutti insieme dovevano nasconderla. La banda che Malcolm aveva raccolto e capitanato non poteva durare a lungo. Le forze del conformismo reagirono inesorabilmente con il ritorno in patria dei soldati, con la riconversione industriale, con l’isolamento della vita familiare per le donne e la ritirata nei ghetti per i maschi neri.20 10 La vera identità di Malcolm X emerse quattro mesi dopo il suo ritorno a Boston, quando la popolazione statunitense andava riprendendo il ritmo di vita normale, diventava meno mobile mentre egli stava sempre più acquattato nel limbo sociale dei giovani rapinatori. Nel gennaio del 1946 finiva la sua condotta funambolica. La sentenza a dieci anni per rapina segnò una rottura nella sua vita. Dopo la conversione alla Nazione dell’Islam alla fine degli anni Quaranta, in carcere, egli cambiava la sua visione del lavoro, ma non quella della prigione o del servizio militare. Adesso Malcolm era disposto a “lavorare duramente” nell’industria piuttosto che in un “lavoro leggero” nel settore dei servizi con i suoi bassi salari, settore nel quale aveva lavorato nei primi anni Quaranta.21 Quanto al carcere, egli continuava a ritenere che “è meglio essere imprigionati dal diavolo perché si serve Allah piuttosto che sia il diavolo a permettere di girare liberi. Sta avvicinandosi il tempo quando i diavoli saranno distrutti”.22 Quanto al servizio militare, la sua coerente opposizione sin da quando era adolescente compendia l’ostilità di tutta una vita al potere dello stato di arruolare forzatamente i giovani neri. Una volta rinchiuso nella prigione di Charlestown, a Boston, dopo mesi di disperazione nichilistica e grazie alla stima accordatagli da “Bimbi”, suo compagno di detenzione e di lavoro, Malcolm – diventato adesso il detenuto n. 22843 – era in grado di acquisire abbastanza rispetto di se stesso da indugiare e riflettere sul senso della propria vita. Finora assai poco si sa di “Bimbi“, un nero “dalla pelle chiara, quasi rossiccia come la mia”.23 E benchè sia quasi certo che il suo nome o il suo cognome fosse Alexander, è stato finora impossibile trovare traccia scritta della sua presenza nelle prigioni del Massachusetts alla fine degli anni Quaranta. Secondo un compagno di detenzione di Malcolm X e di Bimbi, questi si stacca dal regno delle ombre come un uomo che conosceva il mondo, che parlava speditamente la lingua araba, forse un vecchio simpatizzante del movimento di Marcus Garvey. Egli incoraggiava Malcolm X e i suoi amici in cammino verso la conversione all’Islam, pur tenendosene a 11 distanza. Già nel 1947, nelle prigioni del Massachusetts vi era un gruppo di giovani neri tra i quali veniva menzionato molto spesso “il nome di Garvey, morto sette anni prima nel suo esilio londinese”.24 Figlio di un pastore battista diventato predicatore del movimento di Garvey e poi assassinato dal Ku Klux Klan, Malcolm X trovava la strada della Nazione dell’Islam e dell’insegnamento del suo capo Elijah Muhammad e scopriva come “rimanere uniti”.25 “Devo ammettere qualcosa di veramente triste e per me vergognoso. Mi era talmente piaciuto stare in mezzo ai bianchi che in prigione quasi non potevo sopportare il modo in cui i detenuti negri stavano così tanto insieme, ma quando gli insegnamenti di Muhammad ebbero rovesciato il mio atteggiamento verso quei miei fratelli negri, con un profondo senso di colpa mi detti a cercare qualsiasi occasione per reclutare adepti al movimento dei Black Muslim.”26 Dopo il trasferimento da Charlestown al Riformatorio di Concord nel gennaio del 1947 e poi alla meno severa Colonia Penale di Norfolk “verso la fine del 1948”,27 i primi tentativi di Malcolm di guadagnare proseliti alla Nazione dell’Islam tra i compagni di detenzione furono così fruttuosi da essere notati persino dal placido ambiente circostante la Colonia Penale di Norfolk. Il 21 aprile 1950, la prima pagina del quotidiano locale, lo “Springfield Morning News” recava un curioso titolo a due MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html6


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colonne: “Criminali locali, in prigione, professano adesso la fede musulmana: si lasciano crescere la barba, non mangiano carne di maiale; richiedono celle rivolte a Oriente per facilitare ‘le preghiere ad Allah’”.28 Uno dei quattro nomi rivelati dal quotidiano di Springfield era quello di Malcolm Little.29 Mentre le guardie carcerarie tenevano “i quattro sotto stretta sorveglianza”, il direttore della Colonia Penale affermava che “non aveva assolutamente idea di chi o che cosa aveva convertito il quartetto, e osservava che soltanto nella Colonia Penale essi avevano annunciato la loro decisione di pregare Allah”.30 Il direttore O’ Brien negava che “fossero stati concessi particolari privilegi ai quattro” pur ammettendo “che essi 12 vivono in celle rivolte a Oriente” ma dichiarava che si trattava soltanto di “celle normali”.31 Malcolm X aveva negoziato questo e altri “privilegi” con le autorità carcerarie della Colonia Penale di Norfolk.32 Per quanto il futuro oratore imparasse dai gruppi di dibattito e dalla biblioteca per i detenuti di Norfolk, al tavolo della trattativa egli scopriva i nuovi vantaggi della calma dell’ex–giocatore d’azzardo, una dote che gli sarebbe risultata poi necessaria con la polizia di Harlem e di altre città.33 Dall’iceberg delle attività di Malcolm nei gruppi di dibattito della Colonia Penale di Norfolk emerge una punta nel mensile dei detenuti di Norfolk, “The Colony”. Firmato da Malcolm Little, è il terzo articolo di una serie che compendia il dibattito dei detenuti sulla pena capitale. Felicemente Malcolm apriva il suo articolo con un attacco implicito al principio acquisitivo della deterrenza, tipico dell’era atomica, argomento tabù durante i primi anni della Guerra Fredda: “Tutta la storia delle scienze penali confuta della teoria della deterrenza, e tuttavia questa teoria, secondo cui l’assassinio da parte dello stato può reprimere l’assassinio da parte degli individui, è l’eterna istanza a favore del mantenimento della Pena Capitale.”34 Sulla base sia di un’inchiesta tra i detenuti per omicidio a Ossining (più nota come Sing Sing), nello stato di New York, sia del comportamento criminoso in occasione delle esecuzione pubbliche in Inghilterra, Malcolm contestava l’idea che la pena di morte sia temuta più dell’ergastolo. Nel suo esercizio spirituale anch’egli domandava dov’era la vittoria della morte: “Se il professionista ovvero l’architetto del cosiddetto omicidio ‘perfetto’ sapesse di venire quasi certamente punito con la pena capitale avremmo un minor numero di omicidi di un certo tipo. Ma una tale deterrenza effettiva può derivare soltanto dalla pena di morte senz’appello, da investigatori quasi perfetti, da polizia e giudici incorruttibili, da giurie tetragone alle emozioni umane e da un severo potere 13 di grazia. Queste condizioni irrealizzabili produrrebbero un tale numero di esecuzioni capitali da lasciare atterriti i difensori della pena capitale.”35 Nella sua lunga disputa con l’autorità dello stato, Malcolm X intendeva acclarare che esisteva una sfera invulnerabile d’indipendenza personale che nessun richiamo al tornaconto personale e neppure il supremo potere dello stato – “l’omicidio di stato” – poteva violare. Nello stesso tempo, tuttavia, Malcolm era in grado di negoziare con i rappresentanti stessi del Divisione penitenziaria dello stato del Massachusetts, contrariamente all’opinione prevalente tra i politologi secondo cui i movimenti nascenti sono incapaci di negoziare perché la trattativa comporterebbe la precoce perdita dell’identità. Quanto allo stile del negoziato, Malcolm X aveva imparato rapidamente dai libri di storia della biblioteca della Colonia Penale di Norfolk. Una delle sue letture era il libro Days of Our Years di Pierre van Paassen, nel quale l’autore presentava nitidamente il risveglio della classe operaia della città di provincia di Gorcum, nella natìa Olanda alla vigilia della Prima guerra mondiale: “Dove stava andando il mondo? Klaas Verhey, operaio della fabbrica di birra, uno che non aveva pagato un solo centesimo di tasse in tutta la vita, sedeva di fronte ai riveriti notabili della città... Un nuovo spirito permeava la comunità. Intanto i lavoratori del cantiere navale non si trascinavano più verso MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html7


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casa nottetempo a piccoli gruppi o da soli. Venivano avanti in gruppo, come un battaglione di soldati, battendo gli zoccoli con cadenze ritmiche, a schiere di dieci, dodici... Poi preparavano l’apertura di una scuola serale, l’università popolare, come la chiamavano loro. Era un’altra delle idee di Klaas Verhey. Si sarebbero formate classi di letteratura, storia, scienze sociali e naturalmente di economia. Ora, per l’amor del cielo, a beneficio di chi, tutto questo?... Scuola serale e assenteismo dalle funzione religiose...”36 14 Il processo con cui Malcolm risplasmava la sua identità personale in carcere era il ricupero di un passato sepolto sotto la sua esperienza di predatore nel sottobosco dei traffici illegali di Harlem e Boston. Riscoprendo la propria interiorità, Malcolm cominciava a intravedere di non aver mai ceduto veramente alla società bianca, anche se aveva desiderato esserne accettato. Nei mesi della sua conversione all’Islam, egli voleva essere se stesso: “Stavo attraversando la prova più dura, e anche quella più grande, a cui può esser sottoposto un essere umano: accettare quello che ha già nell’animo.”37 L’esercizio spirituale di Malcolm consisteva ora nell’esperienza delle polarità di odio e amore, di orgoglio e umiltà – un’esplorazione del proprio potenziale – ma egli cercava pure un io smarrito, la sua capacità di dominare le variabili esterne: “Ero guidato dall’odio, dall’invidia e dalla sete di vendetta, ero accecato dalla mia ignoranza e falso senso del ragionare. Nel mio sforzo di giustificare i molti torti che mi ero inflitto davo la colpa a tutti, ad eccezione di quello che era il principale responsabile delle mie disgrazie... me stesso”.38 Volgendosi all’esterno, la conversione di Malcolm alla Nazione dell’Islam era pure il suo modo di scoprire un mondo non–bianco, non–europeo, dotato di una dimensione più vasta del panafricanismo.39 L’acquisizione di una dimensione mondiale nella cella di un carcere attraverso una teogonia non–cristiana potrebbe essere letta come segno della precoce inquietudine di Malcolm nei confronti dell’insegnamento di Elijah Muhammad. Negli ultimi anni di carcere, Malcolm X doveva permettere la coesistenza del suo discorso religioso e politico sul risveglio delle “Razze Scure” con le profezie apocalittiche del suo maestro sull’avvento del Giudizio Universale per l’uomo bianco e per tutti i neri che con l’uomo bianco non avevano rotto i legami: 15 “Fratello mio, non smettere mai di sentirti in comunione con Allah, perché siamo così prossimi al giorno della Distruzione Totale che non c’è tempo di rischiare ritardando l’abbandono della via del peccato. Con il termine peccato intendo dire essere bianchi invece di cercare di essere noi stessi.” In un’altra delle lettere di Malcolm, la visione statica dell’Inferno di Elijah Muhammad strideva con la visione terrena e dinamica della salvezza da parte dei “Popoli Scuri” secondo Malcolm X: “Allah sta in piedi in mezzo all’inferno e insegna contro il padrone dell’Inferno (satana) e il diavolo non può fermarLo... il tempo dei diavoli è scaduto ed essi non hanno più potere... In tutto il Mondo i Popoli Scuri sanno che il tempo dei diavoli è scaduto e che questi Popoli Scuri vogliono abbattersi come un’enorme onda di marea e spazzare via dal pianeta i diavoli...”40 Mentre la condanna annunciata da Elijah Muhammad era opera di Allah stesso, dopo la scarcerazione Malcolm cominciava a situare l’origine della salvezza nell’Oriente anticoloniale e più tardi sempre più negli Stati Uniti. Nella sua Autobiografia Malcolm sembra rivendicare l’indipendenza della propria ricerca della verità durante gli anni del carcere: “Neanche dieci secondini mi avrebbero potuto strappare a quei libri. Neanche Elijah Muhammad sarebbe riuscito più persuasivo di loro nell’offrirmi le prove indiscutibili che l’uomo bianco, collettivamente, si era comportato come un diavolo in quasi tutte le circostanze in cui era venuto a contatto con gente non del suo colore.”41 Ma l’ultima parola a proposito della fiducia di Malcolm nel potere della comunicazione viene giustamente da una sua lettera dal carcere, quando egli sembrava al culmine dei suoi sentimenti di ostilità MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html8


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verso i bianchi: “Questa verità è così forte e chiara che neppure l’uomo bianco la negherà, 16 non appena saprà che noi sappiamo...”42. Durante gli anni di carcere aveva notato che con le tattiche appropriate era difficile ma non impossibile ai neri battere i bianchi nei dibattiti. Persino i secondini gironzolavano intorno a Bimbi per ascoltarne i discorsi. Come organizzare lo shock psicologico in modo da indurre i bianchi a rivedere i loro stereotipi? Far vibrare la corda giusta nell’uomo bianco non era impensabile, ma il segreto era uno sforzo collettivo dei neri: “noi sappiamo” doveva necessariamente precedere il “suo” – del bianco – sapere. Un lavoro: da “il coloniale” alla colonia Malcolm divenne membro del “proletariato industriale” soltanto quando cominciò a faticare in un lavoro “duro” da colletto blu a Detroit, alcuni mesi dopo la scarcerazione dell’agosto del 1952? Oppure si può rintracciare una traiettoria di lavoro che situi la sua entrata nel “proletariato industriale” in un periodo precedente? La risposta può venire soltanto dalla considerazione preliminare che la paga leggera si accompagnava ai ritmi incalzanti di lavoro nei ristoranti e nei treni dove Malcolm aveva lavorato prima e durante la seconda guerra mondiale. Fu soltanto durante la guerra di Corea che egli poté accedere a un salario quasi “bianco” nella fabbrica Gar Wood di Detroit. Il primo lavoro retribuito di Malcolm fu quello di lavapiatti in un ristorante quando, quattordicenne, era nella casa di correzione di Mason, nel Michigan.43 Sotto il profilo del lavoro, la campagna individuale di Malcolm – almeno fino alla sua cattura nel 1946 – rimase quella di sbarcare il lunario evitando di fare il lustrascarpe e il lavapiatti. Lasciata la cittadina di Mason nel 1941, Malcolm andò a vivere a Boston dove i suoi primi lavori furono quello di lustrascarpe nella sala da ballo Roseland, quello di barista nel negozio di drogheria Townsend, e quello d’inserviente ai piatti sporchi nell’albergo Parker House, nel centro di Bo­ 17 ston.44 Grazie alla mobilitazione seguìta all’attacco giapponese contro la base navale di Pearl Harbor, all’età di diciassette anni – e fingendo di averne ventuno45 – Malcolm diventò facchino della compagnia dei vagoni letto Pullman. Nei primi tempi aiutava “a caricare le partite di generi alimentari requisiti dalle forze armate sui treni”, poi lavorava come “cuoco di quarta classe” sul treno “The Colonial” che fa ancora la spola tra Boston e Washington: “Sapevo benissimo che cuoco di quarta classe era un eufemismo per dire lavapiatti...Il personale di cucina...lavorava in locali ristrettissimi con un’efficienza quasi incredibile. Tra il frastuono dello sferragliare del treno, i camerieri urlavano le ordinazioni dei clienti mentre i cuochi si muovevano come macchine e una fila interminabile di pentole e piatti sporchi, bicchieri e posate veniva rumorosamente verso di me.”46 Fin dall’inizio della seconda guerra mondiale tutti gli inservienti sui vagoni letto erano sotto tensione a causa dell’aumento del traffico. Tuttavia, “The Black Worker”, il giornale del loro sindacato (Brotherhood of Sleeping Car Porters), osservava che “gli inservienti della compagnia Pullman continuano a sorridere e a pagare le quote sindacali”.47 Come scriveva il presidente del sindacato A. Philip Randolph, era soffocante la mancanza di mobilità verticale, un’immobilità tale da assicurare la disciplina: “... questi istruttori degli inservienti e gli ispettori Pullman avevano uno dei programmi psicologici più riusciti che si potessero inventare, costruito com’era sul concetto dell’inferiorità del Negro in quanto razza, e sul fatto che se si è Negri non si può arrivare a certi posti di lavoro, e perciò occorre far buon viso a cattiva sorte.”48 Dopo l’isolamento all’acquaio, Malcolm X poté sostituire l’uomo del servizio ristoro, vendere panini, entrare in contatto con i viaggiatori e provare a se stesso e ai suoi colleghi che poteva imitare il loro comportamento “da zii Tom per ottenere mance migliori”.49 Tuttavia egli cominciò ben 18 presto a ritrarsi e a porre le proprie condizioni nel contatto con i viaggiatori. Malcolm stava seguendo un modello di trasformazione simile a MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html9


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quello che egli aveva vissuto nella sua adolescenza presso la casa di correzione e la scuola media di Mason. La sua insofferenza di venditore di panini era l’inizio di un mutamento che rappresentava un fenomeno sociale generale, la sfiducia dei giovani neri nella società statunitense, sfiducia destinata a turbarne l’ottimismo acquisitivo e a scuotere con i sensi di colpa e di paura la società opulenta. Adesso che la psicologia dell’imitazione del “comportamento da zio Tom” operava in senso opposto, Malcolm provocava la compagnia Pullman a licenziarlo in tronco mentre continuava il processo di offuscamento collettivo dei neri americani osservato dallo scrittore James Baldwin: “Il trattamento riservato al Negro durante la Seconda guerra mondiale segna, per me, il punto di svolta del rapporto del Negro con l’America. Per dirla in breve, e in certo modo in modo semplicistico, è morta una certa speranza, è svanito un certo rispetto per i bianchi americani.”50 Walter Benjamin ha scritto che mentre la borghesia ha considerato i suoi figli quali futuri eredi, i diseredati li hanno considerati soccorritori, vendicatori, liberatori.51 Nella loro ambivalenza nei confronti dell’insofferenza di Malcolm X, i vecchi inservienti della compagnia Pullman, che avevano patito la loro parte di umiliazioni, potevano probabilmente avvertire che la riottosità dei giovani neri era tollerabile in quanto rompeva ruoli occupazionali mummificati e conteneva la promessa che si sarebbero riparati vecchi torti. Dopo essere stato licenziato in tronco dalla compagnia Pullman, Malcolm X diventò cameriere a Harlem, ma poco dopo – salvo un breve periodo di lavoro come lavapiatti in un club – cominciava la discesa verso il lotto clandestino, lo spaccio di droga, il lenocinio e le rapine.52 Dopo la cattura nel 1946, la linea di montaggio senza salario attendeva Malcolm X nella prigione di Charlestown, la “bastiglia”53 di Boston. Malcolm – il n. 22843 per i se­ 19 condini – era così passato dai lavori “leggeri” del settore dei servizi al lavoro “duro” del colletto blu. Con lui lavorava “Bimbi”, la sua guida sia a Charlestown sia successivamente nel Riformatorio di Concord: “Nell’officina dove il nostro gruppo faceva targhe di automobili, lui era addetto alla macchina che stampava i numeri. Quanto a me, stavo lungo la catena di montaggio dove si verniciavano le targhe.”54 Anche se non possediamo nessuna descrizione diretta delle condizioni di lavoro dell’officina delle targhe di automobili nel 1947, possiamo senz’altro supporre che la lagnanza di un evaso per la situazione che vi aveva trovato nel 1946 non avesse indotto le autorità della vetusta “bastiglia” a migliorarla nei mesi seguenti. Il 27 febbraio 1946, lo stesso giorno in cui Malcolm e gli altri quattro membri della sua banda erano stati condannati a Boston,55 un evaso di Charlestown veniva riacciuffato a distanza di trentatré ore di libertà, dopo “una delle più ardite evasioni degli ultimi anni dalla bastiglia di Charlestown, vecchia di 140 anni”. Alla domanda del giornalista del Boston Daily Globe sui motivi dell’evasione, il catturato rispondeva: “Lavoravo nell’officina delle targhe di automobile della prigione. Il rumore, lo stridore delle macchine e la puzza di vernice, non ne potevo più”.56 Dall’officina delle targhe di automobile a Charlestown, Malcolm, adesso con il numero di matricola 33428, venne trasferito nel Riformatorio di Concord e lì avviato in un altro luogo cavernoso. Questa volta il posto di lavoro era probabilmente il deposito di carbone, dove egli poteva lavorare da solo, secondo i propri tempi.57 Nella Colonia Penale di Norfolk egli lavorava probabilmente nella falegnameria, ovvero al coperto e non all’aria aperta come gli addetti ai lavori agricoli.58 Sappiamo che, indipendentemente dal lavoro assegnato, Malcolm doveva essere tra i detenuti che – facendo parte dei gruppi di dibattito – discutevano in pubblico e in privato della totale mancanza di salario per il lavoro dei carcerati del Massachusetts. Negli anni di prigione di Malcolm X, questo era uno dei venticinque stati che nega­ 20 vano qualsiasi compenso in denaro ai detenuti. Con la Carolina del Nord il MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html10


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Massachusetts era classificato terz’ultimo tra gli stati per gli sconti di pena dovuti a buona condotta.59 Nel 1946 lo stato del Massachusetts aveva approvato una legge “relativa al sistema di compensi per i detenuti di alcune istituzioni penali in rapporto con le imprese carcerarie”.60 Ma i soldi non arrivavano. Negli anni seguenti i giornali degli istituti di pena del Massachusetts ripresero la controversia tra detenuti e le autorità statali e i periodici carcerari pubblicarono molti articoli “riguardanti la legge del salario industriale per i prigionieri”.61 La reazione dello stato del Massachusetts continuava a essere negativa. Si doveva decidere se pagare cifre irrisorie: dieci o trenta centesimi al giorno.62 Tuttavia i legislatori avevano vincolato la chiusura della vertenza a una condizione, e cioè che le industrie carcerarie – nell’opinione del controllore dei conti statali – mostrassero profitti sufficienti da giustificare l’elargizione di una mercede: “Finora la sua – del controllore – opinione è rimasta immutata; i profitti non sono sufficienti”.63 Tuttavia “la Colonia Penale di Norfolk comincia a mostrare profitti tali da permettere il pagamento dei salari a tutti i suoi detenuti”, secondo quanto affermava il commissario degli istituti di pena poco prima del giugno del 1950.64 Pochi mesi dopo, Malcolm venne trasferito nuovamente a Charlestown dove le condizioni rimanevano pessime, tanto che, due mesi prima della sua scarcerazione, vi scoppiò la terza rivolta nel giro di sette anni.65 Malcolm se ne tenne lontano. In prigione aveva imparato l’arte paziente del lavoro a maglia.66 Un lavoro: “finchè tutte le grinze non saranno stirate” Dopo la sua scarcerazione nell’agosto del 1952, Malcolm andò a vivere nel ghetto di Inkster alla periferia di Detroit, insieme con suo fratello Wilfred e la sua famiglia. Malcolm divenne commesso di un negozio di mobili nel ghetto nero di Detroit tra l’agosto 1952 e gli inizi del 1953: 21 “Agli inizi del 1953, mi licenziai dal negozio di mobili. Guadagnavo un po’ di più lavorando alla Gar Wood di Detroit dove si facevano le carrozzerie per grossi camion destinati ai servizi di nettezza urbana.” Il suo compito consisteva nel rettificare le saldature dopo che ciascuna carrozzeria era terminata.67 Nel momento della stesura della sua Autobiografia, Malcolm non ricordava che, nel gennaio del 1953 e prima di venire assunto dalla Gar Wood, egli aveva trascorso una settimana come addetto all’assemblaggio nel segmento terminale della catena di montaggio del nuovo stabilimento Wayne della Ford, trovandosi così automaticamente iscritto alla Sezione “Novecento” del Sindacato dell’Automobile (United Auto Workers, ovvero U.A.W.).68 La crescita improvvisa della produzione determinata dalla guerra di Corea tagliava i tempi della catena di montaggio. Nello stabilimento Wayne, gli addetti al montaggio finale delle Lincoln–Mercury potevano vedere e sentire la prosperità scendere lungo le linee con i pressanti ritmi di lavoro. Il Sindacato dell’Automobile capeggiato da Walter Reuther prendeva le sue precauzioni per ottenere prestazioni regolari e fluide dagli iscritti. Queste dichiarazioni erano rese dalla direzione della Sezione sindacale “Novecento” tre mesi dopo che Malcolm si era licenziato, ma possono dare un’idea dell’atmosfera dello stabilimento prima della fine della guerra di Corea: “Si ricorrerà presto al turno pomeridiano. La velocità delle linee sarà ridotta proporzionalmente al minimo, mentre si ovvierà alle strozzature e si riallocherà la manodopera. Ci si aspetta una produzione di 15 auto all’ora, poi l’aumento sarà graduale, dopo un periodo di riaggiustamenti tecnici.”69 La vischiosità della “riconversione” si era aggravata in seguito a uno sciopero a gatto selvaggio: 22 “Di solito sorgono molti problemi dopo uno sciopero. Proprio come dopo il periodo di guerra, è necessario il riadattamento. Nella prima settimana dopo lo sciopero, per esempio, 600 persone non si sono presentate al lavoro. L’organico alle linee risultava insufficiente ed era necessario sorvegliare strettamente tutte le operazioni finché tutte le grinze siano stirate.”70 Il Sindacato dell’Automobile faceva del sindacalismo di stato pur di trovare MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html11


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l’organico del turno pomeridiano: “Benché le ore del turno pomeridiano siano scomode a molta gente, ci sono molti fattori che ne compensano i disagi. Quelli che lavoreranno nel turno pomeridiano riceveranno un aumento del cinque per cento calcolato sulla paga oraria. Inoltre, anche se il contratto rivendica la parificazione degli straordinari su tutti i turni, è probabile che al turno pomeridiano vadano maggiori straordinari per questioni di emergenza. A coloro che desiderano più di otto ore di lavoro giornaliero è consigliabile accettare il turno pomeridiano. Si può supporre a ragione che agli operai giornalieri sia possibile svolgere lavoro straordinario a causa della sovrapposizione dei turni. Tuttavia la vostra Sezione sindacale farà ogni sforzo per parificare gli straordinari indipendentemente dai turni.”71 Per quanto riguardava le condizioni lavorative al montaggio finale, il delegato sindacale Peanuts Antaya, evidentemente uomo preso tra due fuochi, scriveva nel Bollettino della Sezione sindacale “Novecento”: “Quella nebbia di Londra che vedete al termine del Montaggio Finale non è nebbia di Londra – è fumo, cari miei – fumo dei tubi di scappamento delle automobili che vengono messe in moto e portate fuori... Se la tua mansione ha tempi troppo stretti – voglio saperlo – forse è perché non svolgi il lavoro secondo i Tempi e Metodi o forse perché il caposquadra vuole darti una lezione.”72 Con i tempi stretti della Ford e in séguito della Gar Wood, Malcolm fu un pioniere nell’esperimento di rivolgersi a 23 Oriente per la preghiera rituale alla catena di montaggio.73 Dall’altra parte dell’Atlantico, alla Renault vent’anni dopo, i tempi erano cambiati: persino “prima dello sciopero, gli operai si inginocchiavano sul cartone per pregare accanto alla linea di montaggio”74 una vertenza che Malcolm non ebbe il tempo di avviare. Né egli ebbe il tempo di sapere delle riunioni della Commissione per le eque pratiche lavorative, contro la discriminazione nei confronti dei neri, nella sede della Sezione sindacale “Novecento”: “Adesso che è disponibile la nuova sede (le pareti sono imbiancate e rivestite), la riunione della Commissione sarà convocata secondo il nostro Statuto. La Commissione... lavorerà armoniosamente nei mesi di aprile, maggio e giugno di quest’anno...”75 Alla Ford e poi alla Gar Wood, Malcolm si era tuffato di nuovo nel “lavoro duro”, ma questa volta era salariato. Ufficialmente egli rimaneva un “manovale”, come era sempre stato definito, e ora alla Gar Wood veniva classificato “rettificatore”, termine generale applicato all’operaio che “polverizza materiale o mola superfici di oggetti... nel settore dell’automobile, il rettificatore opera una macchina elettrica portatile nella quale può essere inserita una varietà di strumenti”.76 Quale aiutante meno qualificato dei saldatori alla Gar Wood, Malcolm riduceva i difetti di ovalizzazione e di asperità sulle superfici metalliche e si ritrovava automaticamente iscritto alla Sezione “Duecentocinquanta” del Sindacato dell’automobile. Qual era la distanza tra la vita interiore di Malcolm e la realtà del lavoro di fabbrica in lui e attorno a lui? Il Sindacato dell’automobile era su un altro pianeta: “Ci sono molti problemi che dobbiamo affrontare alla Gar Wood ed ecco alcune questioni che abbiamo incontrato nel passato e che – penso – incontreremo qua e là tali e quali nell’avvenire”77 scriveva il vicepresidente della Sezione sindacale “Duecentocinquanta”, mentre Malcolm X veniva assunto 24 dalla Gar Wood. Le opportunità nella fabbrica erano a distanza galattica dalle aspirazioni di Malcolm. Durante le ore di lavoro di fabbrica “egli si sentiva in gabbia”. Fu da quel momento e per alcuni anni che Malcolm avrebbe ripetuto l’espressione “nella desolazione americana”.78 Nulla sembrava cambiare in quelle fabbriche e il senso di estraniamento era tanto più forte quanto più scopriva che per sopravvivere gli era soltanto disponibile il lavoro di fabbrica. Dopo essersi licenziato dalla Gar Wood e dopo aver lavorato probabilmente in un’altra fabbrica automobilistica a Detroit,79 verso la fine del 1953 Malcolm si spostò sulla costa orientale per svolgere opera di predicazione a favore MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html12


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della Nazione dell’Islam. Dal rapporto di un informatore che riferiva uno dei discorsi di Malcolm a Filadelfia, sappiamo che egli disse: “Abbiamo lavorato nel porto quando abbiamo aperto il primo tempio, ed era lavoro duro...”80 Sebbene fosse lavoro occasionale, nessuno scaricatore del porto di Filadelfia doveva passare attraverso il famigerato sistema newyorkese della chiamata nominativa giornaliera; i portuali neri erano rappresentati nel direttivo della Sezione locale del sindacato dei portuali (International Longshoremen’s Association ovvero I.L.A.) più equamente che nella maggior parte degli altri porti. Ma i neri potevano lavorare soltanto “fino al gancio”,81 cioè in mansioni inferiori a quelle dei controllori e degli impiegati. Malcolm X era ancora un manovale. Mentre aiutava ad aprire il tempio della Nazione dell’Islam a Filadelfia lavorando come scaricatore portuale, egli pronunciò un discorso in un periodo che va situato tra il Novembre del 1953 e il maggio del 1954, i mesi dell’assedio delle truppe coloniali francese a Dien Bien Phu da parte dei partigiani vietnamiti.82 Nel discorso accennò sia ai Mau Mau kenioti “che buttano i diavoli fuori dall’Africa” sia “i diavoli francesi che vengono scacciati dal paese – l’Indocina dalla razza asiatica”.83 Era ancora “l’epoca precedente il Vietnam”, quando un’élite dominata da avvocati e banchie­ 25 ri di Wall Street, addestrata da un drappello di cattedratici cercava di prendere in pugno le questioni di vita e di morte per conto di gran parte del resto dell’umanità, e intanto offriva al governo francese un po’ di bombe atomiche da lanciare sull’Indocina. E tuttavia manovali neri, ai quali era a malapena consentito di lavorare “fino al gancio” e non oltre, stavano sviluppando le loro vedute su chi erano gli amici e i nemici – e almeno un decennio in anticipo rispetto all’“epoca del Vietnam”, negli Stati Uniti. Era l’inizio della condotta sempre più indipendente di Malcolm X, condotta che sarebbe poi entrata in rotta di collisione con Elijah Muhammad. Malcolm rendeva visibile l’insorgenza nera degli Stati Uniti degli anni Cinquanta e la connetteva all’“Onda di Marea” anticoloniale. Egli stava “tornando” agli Stati Uniti, ma il suo “ritorno” non avveniva entro gli stretti confini della Guerra Fredda; non avrebbe recitato la parte prescritta, non sarebbe andato “fuori dalla città prima del crepuscolo” su ordine dello sceriffo.84 Mentre si liberava della visione delle “Razze Scure” quali vittime e inferiori, la nuova strategia di Malcolm tendeva a ricuperare gli elementi di forza internazionale dei neri negli Stati Uniti. Questo mutamento attirò l’attenzione dell’FBI nel 1956. Come aveva allora riferito all’FBI un informatore preoccupato, “Little è diventato meno dipendente da Elijah Muhammad”. L’informatore raccontava inoltre che Malcolm aveva detto: “La questione principale... non è la politica estera, ma la politica interna; la questione dei Diritti Civili, nella quale giocano il ruolo di protagonisti più di diciassette milioni di Neri in America, quelli che gli schiavisti hanno classificato come ‘negri’... Noi influiamo sulla politica estera e sulla politica interna. La maggioranza della popolazione mondiale è non–bianca... Oggi essi cominciano ad accorgersi che questo uomo bianco non può amarli né trattarli degnamente... Così noi diventiamo il metro con il quale tutte le Nazioni Scure della terra possono misurare il vero atteggiamento del pubblico bianco qui in America...”85 26 Dopo il lungo viaggio tra le “Nazioni Scure” della terra, viaggio cominciato nella cella di una prigione e continuato nei ghetti urbani del Nordest, Malcolm X predicava agli Stati Uniti sui tetti quello che gli Stati Uniti avevano ascoltato all’orecchio: “Fu nel penitenziario che decisi di dedicare il resto della mia vita a dire all’uomo bianco chi era. Se non lo avessi fatto mi sarei sentito come morto”.86 Il mondo: “ogni pollice quadrato” Non è possibile porre alcuna conclusione a questo scritto, poiché gli studiosi sono ancora in attesa che si aprano alcune sezioni cruciali degli archivi prima di poter delineare lo sviluppo di Malcolm X durante gli anni cruciali della “manovalanza”. Va tuttavia aggiunta una nota MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html13


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finale che affronti la questione sollevata all’inizio di questo scritto. Lo sviluppo di Malcolm negli anni della formazione mostra come la sua resistenza individuale alla cultura circostante poteva essere organizzata soltanto in uno sforzo collettivo. Durante e dopo la prigionia la Nazione dell’Islam gli offrì la necessaria solidarietà collettiva . Era su quella base che Malcolm cercò gettare un ponte verso coloro che aveva chiamato “i Popoli Scuri”. “Ogni pollice quadrato” del mondo “appartiene a noi”.87 In quel tentativo egli rivendicò il suo diritto di appartenere a due spazi politici, all’arena politica statunitense e al sistema politico internazionale che l’anticolonialismo veniva disegnando. Tanto quanto suo padre, l’esponente del movimento di Garvey, aveva trasgredito le leggi municipali di Lansing decidendo di vivere “fuori dal distretto negro di Lansing”,88 così il suo settimo figlio aveva trasgredito i limiti politici che avrebbe dovuto rispettare all’interno degli Stati Uniti e altrove. Gli atteggiamenti della leadership etnica verso lo stato si formano nel lungo periodo e sono sovente il risultato di continui riaggiustamenti nell’arco di più generazioni. Lo stato tuttavia crede spesso di poter rimediare ai torti passati con riforme che dovrebbero velocemente “raffreddare” 27 sia la leadership etnica sia la gente in generale. Nel caso di Malcolm X, il manovale, il detenuto, ancora il manovale e il pastore della Nazione dell’Islam, egli aveva visto troppi dei corridoi meno illuminati dello stato per evitare la rotta di collisione. In questo senso, la sua traiettoria fu simile a quella di Martin Luther King. Durante le sue prime campagne nel Sud, il giovane pastore battista di Atlanta che si batteva per la desegregazione razziale aveva visto troppi neri patire umiliazioni per non legare le loro condizioni alla facilità con cui si comprava il loro lavoro vivo. “Mi rendo conto che la legge non può obbligare il datore di lavoro ad amarmi o a nutrire simpatia per me...” aveva detto già nel 1957.89 Lì King aveva cominciato ad allontanarsi dal ruolo che lo stato si era aspettato di vedergli svolgere e lì si era avviato sul cammino lungo il quale sarebbe stato assassinato mentre appoggiava lo sciopero di manovali neri, i netturbini di Memphis, nel Tennessee. Come “gli alloggiamenti” del treno “The Colonial”, dove Malcolm aveva lavorato all’acquaio, lo spazio che gli veniva concesso risultava così “ristretto”90 da rendere inevitabile la trasgressione. 28 NOTE Introduzione La trasgressione di un manovale. Malcolm X nella desolazione americana 1 Immanuel Geiss, The Pan­African Movement: A History of Pan­Africanism in America, Europe and Africa, New York, Africana, 1974. 2 FBI Nabs 2 Leaders of Muslims, “The Evening Tribune” ­ San Diego, California ­ 7 Nov. 1950, p. a­8. 3 L’FBI aprì un fascicolo di sorveglianza su Malcolm X (d’ora in poi FSMX) nel giorno dell’ispezione dell’agente dell’FBI presso il luogo di lavoro di Malcolm X presso lo stabilimento della Gar Wood di Wayne, nel Michigan il 17 febbraio 1953. Questo FSMX è stato ottenuto grazie al Freedom of Information Act da Scholarly Resources, Inc., di Wilmington nel Delaware che l’ha riprodotto in microfilm nel 1978. Le mie citazioni da FSMX si riferiscono alla riproduzione commerciale in microfilm. Le cancellature delle date e dei nomi riservati rendono estremamente difficile situare avvenimenti e informazioni nel loro contesto storico e sociale. Ho cercato sia di mettere a confronto le prove indirette per controllare l’affidabilità dei rapporti degli informatori dell’FBI sia di costruire una sequenza cronologica essenziale dei fogli dattiloscritti e raccolti alla rinfusa che compongono il fascicolo di sorveglianza. V. anche Malcolm X, Autobiografia di Malcolm X ­ Redatta con la collaborazione di Alex Haley, Einaudi, Torino, 1967. Qui verrà citata la terza ediz., del 1967: d’ora in poi, Autob. 4 Autob., p. 127. 5 FSMX, Report, 17 febb. 1953. 6 Autob., p.120: “In tasca avevo un fascio di banconote perché tutti i giorni guadagnavo cinquanta o sessanta dollari puliti. A quei tempi, e per la verità anche oggi, quella era una fortuna per un ragazzo MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html14


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negro di diciassette anni. Per la prima volta nella mia vita ebbi la sensazione di una grande libertà! Ora, tutto all’improvviso, ero anch’io alla pari con quegli altri giovani trafficanti che avevo tanto ammirato.” 7 Autob., p. 127. 8 V. per esempio Jon Halliday, A Political History of Japanese Capitalism, Monthly Review Press, New York e Londra, 1975, pp. 141­159. 9 Autob., pp. 127­130 e FSMX, “Report”, 30 nov. 1954. Sugli arresti e il 29 processo di Chicago v. il “New York Times”, 22 sett. 1942, p. 22; 23 sett. 1942, p. 27; 6 ott. 1942, p. 16; 24 ott. 1942, p. 8. Forse Malcolm X aveva udito le discussioni a proposito delle simpatie filogiapponesi tra i compagni di lavoro sui treni della compagnia Pullman. Il giornale ufficiale del sindacato della Brotherhood of Sleeping Car Porters, “The Negro Worker”, aveva dedicato alcuni articoli alla questione. V. in particolare A. Philip Randolph, The Negro in Japan, “The Negro Worker”, vol. VII, No. 19 (ag. 1942), p. 4; e il suo Pro­Japanese Activities among Negroes, “The Black Worker”, vol. VII, n. 20 (sett. 1942), p. 4. 10 Autob., p. 129­130. 11 FSMX, “Report”, 30 nov. 1954. 12 Roger Daniels, The Japanese, in John Higham (ed.), Ethnic Leadership in America, The Johns Hopkins University Press, Baltimora e Londra, 1978, pp. 36­63, e in particolare p. 57. La domanda cruciale (n. 27) rivolta ai cittadini giapponesi detenuti nei campi di concentramento recitava: “Sei disposto a servire nelle forze armate degli Stati Uniti in combattimento dovunque ti venga ordinato?”. 13 In Autob., p. 27, la tessitura di immagini dello sprofondamento è associata al panico che egli provò durante la fanciullezza quando vedeva aggravarsi la malattia della madre. 14 FSMX, “Report”, 17 febb. 1953. Malcolm aveva scelto l’informatore giusto per la sua campagna individuale contro la leva. L’informatore possedeva una buona memoria, com’è confermato dall’Autob., pp. 127­130, dove si racconta come a Harlem Malcolm diffuse la voce di voler arruolarsi nell’esercito giapponese. 15 Four Cultists Accused as Draft Foes, “San Diego Union”, 8 nov. 1950, p. a­12. V. anche F.B.I. Nabs 2 leaders of Muslims, “The Evening Tribune”, 7 nov. 1950, cit. Nel giorno degli arresti di San Diego il generale Mac Arthur propose al presidente Truman di bombardare tutti i ponti sul fiume Yalu, in Cina e in Corea. 16 “The New York Times”, 11 nov. 1950, p. 5. 17 William Roach, The National Emergency and the Convict, “The Colony”, vol. 22, n. 1 (15 genn. 1951), p. 11. 18 FSMX, “Report”, 25 maggio 1955. 19 FSMX forniva tre nomi di Malcolm Little per il periodo prima della cattura: il Rosso di Detroit, il Ritmo di Detroit, Jack Carlton e due nomi dopo la detenzione: Malachi Shabazz e Malcolm X. Autob., pp. 93 e 102­130 riferisce “il Rosso del sandwich” e “ il Rosso di Detroit” 20 “The New York Times”, 17 ott. 1947, p. 43: Prison Population Rises: Demobilization Brought First Increase in Years, Bureau Says. Alla fine del 1946 Malcolm era uno dei 141.404 detenuti negli Stati Uniti, il cinque per cento in più rispetto all’inizio dell’anno. 21 FSMX, “Report”, 31 genn. 1956, che rilevava un discorso pronunciato da Malcolm X al tempio musulmano di Filadelfia del dicembre del 1955, in cui Malcolm aveva affermato “che era meglio che loro ­ musulmani ­ lavorino nell’edilizia dove guadagnano ottanta o novanta dollari la settimana faticando duramente piuttosto che in un lavoro leggero dove guadagnano soltanto venticinque o trenta dollari la settimana”. 30 22 FSMX, “Report”, 17 febb. 1953, citazione da una lettera di Malcolm X datata 29 genn. 1950. 23 FSMX, “Report”, 2 febb. 1965. Secondo questa informativa, Malcolm Little venne catturato il 31 genn. 1946 a Boston e detenuto a Dedham nel carcere della contea di Norfolk, nel Massachusetts finché fu trasferito il 27 febbraio 1946 ­ lo stesso giorno della sentenza ­ al carcere di Charlestown con il numero 22843. Il 10 gennaio 1947 venne poi tradotto nel Riformatorio di Concord, dove si trovò ancora con Bimbi. Nell’Autob., p. 183, Malcolm afferma: “...il numero di matricola che dànno in prigione diventa parte di noi stessi. Non si viene mai chiamati per nome, ma soltanto per MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html15


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numero, e questo è impresso su tutti i capi di vestiario, su tutti gli oggetti che si adoperano. Alla fine è come se fosse addirittura impresso nel cervello del carcerato”. Un breve ritratto di Bimbi è in Autob, pp. 185­186. 24 Dalla mia intervista con B.X., detenuto con Malcolm a Charlestown, Concord e Norfolk. L’intervista ebbe luogo nel Massachusetts il 27 sett. 1981. Per ragioni personali B.X. rilasciò l’intervista a condizione che non venisse rivelato il suo nome. 25 FSMX, “Report”, 17 febb. 1953, lettera senza data (probabilmente del 1952): “Devi rimanere unito ai Musulmani e dire ai fratelli di rimanere uniti tra di loro”. 26 Autob., p. 216 27 Autob., p. 189. 28 “The Springfield Morning Union”, 21 apr. 1950, p. 1, 7. FSMX, Report, 17 febb. 1953 fornisce una data sbagliata di pubblicazione di questo articolo. 29 Il testo dell’Autob. sembra indicare che Malcolm X ignorava la pubblicazione di questo articolo. Cfr. Autob., specialmente p. 224, dove il trasferimento dalla Colonia Penale di Norfolk alla bastiglia di Charlestown viene imputato soltanto a fughe di notizie sul suo conto da parte di detenuti neri e alla censura della sua corrispondenza. Fintantoché la Divisione penitenziaria dello stato del Massachusetts impedirà agli studiosi la consultazione del suo fascicolo su Malcolm X, sarà impossibile tra l’altro determinare la cronologia esatta delle traduzioni da Concord a Norfolk e da Norfolk ancora a Charlestown. L’Autob., p. 224, sembra indicare che la traduzione da Norfolk a Charlestown per “il mio ultimo anno in prigione” avvenne all’inizio dell’estate del 1951. 30 “The Springfield Morning Union”, cit., p. 1. 31 L’oscillazione del direttore tra i termini “quartetto” e “i quattro” risuona con la constatazione che uno dei quattro convertiti è musicista. 32 Intervista con B.X., cit. 33 V. per esempio Autob., pp. 233­235 sul caso di Hinton Johnson a Harlem. 34 Malcolm Little, Abolishment of Capital Punishment: The Death Penalty is Ineffective as a Deterrent, “The Colony”, vol. 21, n. 1 (1 genn. 1950), p. 9. “The Colony” riferiva regolarmente sui gruppi di dibattito. Il reverendo John Arthur Samuelson, cappellano protestante della Colonia Penale di Norfolk dall’ottobre del 1948 alla fine del 1951, era anche responsabile del coordinamento dei gruppi di dibattito. Tuttavia egli afferma: “Nel periodo 31 in cui ero cappellano protestante a Norfolk, i neri mi sembravano una minoranza, i loro contatti con le mie attività erano pochi o nulli”. (Lettera all’autore, 27 ottobre 1981). 35 Malcolm Little, Abolishment of Capital Punishment: The Death Penalty is Ineffective as a Deterrent, “The Colony”, cit. Un articolo non firmato in “The Colony”, vol. 20, n. 10 (nov. 1949), p. 6: “Society Is...” elenca i gruppi che compongono la società, “alcuni onesti, il resto, la maggioranza, sono in apparenza integri, ma dentro sono cattivi, e in molti casi peggiori, delle disprezzate vittime. Guardiamo dietro le quinte di qualcuno di questi gruppi...” 36 Pierre Van Paassen, Days of Our Years, New York, Hillman­Curl, 1940, pp. 43­46. L’Autob., p. 219, fa menzione di questo libro che durante un dibattito a Norfolk Malcolm citava per provare il legame tra il Vaticano e il regime fascista nella guerra d’Etiopia. Non vi è alcun catalogo disponibile dei libri, e in particolare dell’importante fondo Parkhurst, della biblioteca della Colonia Penale di Norfolk, catalogo che sarebbe indispensabile per delineare criticamente lo sviluppo intellettuale di Malcolm negli anni del carcere. 37 Autob., p. 197. Le pagine dell’Autob. sugli anni di prigione di Malcolm X hanno attirato le lodi di molti critici in quanto grande documento letterario. Esse sembrano arrestare una narrazione che fino a quel momento era incalzante, quasi come Stendhal pare sospendere il flusso del tempo in Julien Sorel nel seminario in Il Rosso e il nero di Stendhal, o Henry James ne Il ritratto di signora dilata la meditazione di Isabel Archer a scapito della percezione del tempo, “nel salone silenzioso, a lungo anche dopo che il fuoco si era spento”. Ma il Julien Sorel di Stendhal soffre di un’insaziabile ambizione, e l’Isabel Archer di Henry James giunge a invidiare “il destino più felice degli uomini, che sono sempre liberi di tuffarsi MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html16


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nelle acque salvifiche dell’azione”. Se vogliamo riferirci al romanzo, dovremo guardare al più sommesso Grandi Speranze di Dickens. Quando Pip vuole salire nella scala sociale, Joe Gargery non deve neppur decidere di stare dov’è. Se gli altri vogliono andare per la loro strada, essi sono liberi di farlo, ma Joe Gargery continuerà nella sua vita di sempre, cercando di migliorare le circostanze del suo ambiente. La sua ricompensa è l’orgoglio nell’accettare “quello che ha già nell’animo”. 38 FSMX, Report, 17 febb. 1953, passi da una lettera quasi certamente indirizzata a Elijah Muhammad il 9 genn. 1951. Per più di tre anni Malcolm spedì una lettera al giorno dalla prigione a Elijah Muhammad. C’è qualche speranza che questo carteggio sia ancora reperibile a Chicago. 39 La prima missione islamica negli Stati Uniti fu una missione di ahmadiyyah, seguaci di Mirza Ghulam Ahmad (circa 1836­1914), dall’India a Detroit, dove circa quaranta seguaci del movimento di Garvey si convertirono all’Islam tra il 1920 e il 1923. Non vi è dubbio che le sedi del movimento di Garvey nelle Detroit e Chicago degli anni Venti furono crogioli delle conversioni all’Islam. Elijah Muhammad, operaio della Chevrolet licenziato durante la Grande Depressione e poi fondatore della Nazione dell’Islam, era stato certamente legato in gioventù al movimento di Garvey e probabilmente era rimasto vicino ai seguaci musulmani di Garvey a Chicago e Detroit alla fine degli anni Venti, come suggerisce Tony Martin, Race First: The Ideological 32 and Organizational Struggles of Marcus Garvey and the Universal Negro Improvement Association, Westport, Conn, Greenwood Press, 1976, pp. 74­77. L’aspirazione degli ahmadiyyah al rinnovamento dell’Islam, alla modernità e la loro disponibilità ad adattare la dottrina, fino all’incoerenza pur di fare opera di proselitismo, si incontravano con l’intenzione di Elijah Muhammad di superare il panafricanismo di Garvey, in modo da poter comprendere tutti “gli asiatici” in una sola religione. V. anche Humphrey J. Fisher, Ahmadiyyah, Oxford University Press, 1963. Sull’evoluzione della Nazione dell’Islam tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, v. Eric C. Lincoln, Black Muslims in America, Beacon Press, Boston, 1961 ed E.U. Essien­Udom, Black Nationalism, University of Chicago Press, Chicago, 1962. 40 FSMX, “Report”, 16 marzo 1954. Ancora nell’FSMX del 31 genn. 1956 veniva citato il discorso non datato di Filadelfia: “Little dichiarò che non può esserci pace finché sarà permesso vivere all’uomo bianco, e se loro ­ i neri ­ provano pena per lui, verranno anch’essi distrutti” 41 Autob., p. 211. 42 FSMX, “Report”, 16 marzo 1954, lettera non datata, dalla prigione. 43 Autob., pp. 35­36. Su Malcolm X quale membro del proletariato industriale, il mio giudizio differisce da quello di Eugene Victor Wolfenstein, The Victims of Democracy: Malcolm X and the Black Revolution, University of California Press, Berkeley, Los Angeles, London, 1981, p. 232, notevole opera di interpretazione psicologica dell’Autob. 44 Autob., pp. 52­83. 45 Ibid., pp. 85­86. 46 Ibid., p. 86. 47 A. Sagittarius, Behind a Porter’s Smile, “The Black Worker”, Vol. IX, n. 3 (marzo 1943), pp. 1, 4. 48 Oral History Research, Columbia University, The Reminiscences of A. Philip Randolph (1973), vol. 2, p. 255. 49 Autob., p. 91. 50 James Baldwin, “Down at the Cross: Letter from a Region in My Mind” in The Fire Next Time, Dell, New York, 1970, p. 76. Sulla seconda guerra mondiale come “stimolo” della “protesta nera”, Gunnar Myrdal, An American Dilemma: The Negro Problem and Modern Democracy, McGraw Hill, New York, 1944, pp. 756, 997. 51 Walter Benjamin, “Eine kommunistische Pädagogik”, (1929), in Gesammelte Schriften (hg. Rolf Tiedemann und Hermann Schweppenhäuser), Surkamp, Francoforte sul Meno, 1972­76, III, p. 207. 52 Autob., pp. 116, 135. Sui limiti della sindacalizzazione nell’industria alberghiera di New York sino alla fine degli anni Cinquanta, v. Morris Aaron Horowitz, The New York Hotel Industry: A Labor Relations Study, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1962. 53 FSMX, “Report”, 17 MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html17


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febb., 1953. 54 Autob., p. 185. Queste sono le due sole righe riguardanti il lavoro di Malcolm X come detenuto in tutta l’Autob. 55 FSMX, “Report”, 17 febb. 1953. 56 The Boston Daily Globe, 27 febb. 1946, p. 19. 57 Su questo lavoro a Concord, B.T., Intervista cit. Secondo FSMX, “Re­ 33 port”, 17 febb. 1953, Malcolm X venne tradotto da Charleston a Concord il 10 gennaio 1947. Il padre di Malcolm, Earl Little, seguace di Garvey, aveva predicato alla presenza del piccolo Malcolm su “Adamo cacciato dall’Eden e gettato nelle caverne dell’Europa”. Malcolm lesse Il Paradiso Perduto di Milton nella Colonia Penale di Norfolk e sentì la consonanza di Milton con gli insegnamenti della Nazione dell’Islam. V. Autob., pp. 10, 220 58 In un articolo ostile a Malcolm X nel giornale ufficiale della Nazione dell’Islam, “Muhammad Speaks”, vol. 3, n. 26 (11 sett. 1964), p. 8 si legge: “Egli mandò uno scrigno di legno di cedro che aveva costruito nell’officina del carcere e ci disse di venderlo per suo conto, in modo da ricevere qualche soldo quando avesse riottenuto la libertà”. Tale officina del carcere potrebbe essere la falegnameria della Colonia Penale di Norfolk, di cui viene fornita una breve descrizione in “The Colony”, vol. 20, n. 2 (1 febb. 1949, pp. 11). E’ ironico che Malcolm, che era stato scoraggiato dal proseguire gli studi da un insegnante che gli aveva consigliato il “mestiere negro” di falegname invece della professione di avvocato a cui egli aspirava (Autob., p. 44), dovesse leggere le frasi seguenti nella stessa pagina di “The Colony”: “La falegnameria è davvero un posto dove i detenuti possono imparare un mestiere utile. C’è sempre richiesta di operai qualificati nelle industrie esterne e speriamo che i detenuti occupati nella falegnameria, una volta liberi, non trascurino le opportunità che il ramo offre”. La distinzione tra “Dentro” e “Lavori agricoli” apparteneva alle due squadre di football (“The Colony”, vol. 21, n. 14 (15 luglio 1950), p. 6. Fu allora che Malcolm cominciò a distinguere tra “lo schiavo dei campi” e “lo schiavo da cortile” nella filigrana che separava “Dentro” dai “Lavori agricoli”? Questa distinzione ricorre sovente nei discorsi di Malcolm. 59 “The Mentor”, vol. 51, n. 1­2 (genn.­febb. 1948) pp. 23­46. 60 Commonnwealth of Massachusetts, Acts and Resolves Passed by the General Court of Massachusetts in the Year 1946, Wright and Potter, Boston, 1946, chap. 461, pp. 476­478. 61 Prison Labor and Post War Progress, “The Colony”, vol. 19, n. 23 (1 dic. 1948), p. 12; Editorial, “The Colony”, vol. 20, n. 1 (1 genn. 1949), pp. 2­4; The Unanswered Question of Wages, “The Colony”, vol. 20, n. 20 (15 ott. 1949), pp. 4, 13. La risposta del commissario della Divisione penitenziaria dello stato del Massachusetts è in “The Colony”, vol. 21, n. 19 (1 ott. 1950), pp. 3, 4, 9). George Roxborough, The Incentive is Lacking, “The Mentor”, marzo 1953, si doleva del fatto che non c’era alcun salario in vista per i detenuti, pur essendo passati anni dall’approvazione della legge. 62 “The Colony”, vol. 21, n. 11 (1 giugno 1950), pp. 11­12 ristampò l’articolo di Edwin Powers, Why State Doesn’t Pay Prisoners, “The Boston Sunday Globe”, 30 apr. 1950 63 Ibid., pp. 4, 12. 64 Ibid. 65 “The Boston Post”, 2 luglio 1952, p. 15 sulle precedenti rivolte carcerarie nel Massachusetts. Sulla rivolta del 1952, v. “The Boston Daily Globe”, 23 luglio 1952, pp. 1, 8; 24 luglio 1952, pp. 1, 9. Non si trattava della prima rivolta vista da Malcolm X a Charlestown. Poco dopo la condanna del 1946 34 Malcolm aveva assistito a una sommossa di detenuti bianchi a Charlestown (B.T., Intervista cit.). 66 Intervista con Wilfred Little, Detroit, 4 giugno 1981. 67 Autob., p. 236. Lo stabilimento della Gar Wood si trovava a Warren, nel Michigan. Tutto l’archivio del personale della Gar Wood Industries, Inc. è andato distrutto (lettera della direzione di Gar Wood Truck Equipment, Inc., all’autore, 5 giugno 1981). Secondo FSMX, “Report”, 4 maggio 1953, alla stessa data Malcolm doveva aver lasciato il posto alla Gar Wood poiché viene descritto come “disoccupato”. 68 Ford Motor Company, comunicazione all’autore, 20 maggio 1981. Il lavoro MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html18


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di Malcolm Little era descritto come “Stabilimento di Assemblaggio Wayne ­ addetto all’assemblaggio”. 69 Plan Afternoon Shift, “L.M. Jet Bulletin ­ Local 900 ­ Bulletin n. 15”, (Week Ending March 13, 1953), p. 1. 70 Ibid. 71 “L.M. Jet Bulletin ­ Local 900 ­ Bulletin No. 17”, (Week Ending April 3), 1953, p. 3 72 Peanuts Antaya, Final Line, “L.M. Jet Bulletin ­ Local 900 ­ Bulletin n. 15”, cit., p. 2. 73 Intervista con Wilfred Little, cit. 74 Driss El Yazami Khammar, Les syndicalistes immigrés de Citroën, “Sans Frontière” Marzo 1983, p. 7. 75 “L.M. Jet Bulletin ­ Local 900 ­ Bulletin n. 17”, cit., p. 3. 76 La definizione di “rettificatore” si trova in Federal Security Agency, Division of Occupational Analysis, Dictionary of Occupational Titles, vol. I: Definitions of Titles, U.S. Government Printing Office, Washington, D.C., 1949 (seconda ediz.), p. 624. FSMX dà “manovale” come qualifica di Malcolm Little ancora per buona parte degli anni Cinquanta, prima di diventare pastore della Nazione dell’Islam. 77 Hank Rupert, Vice­President News and Views, “The Hoister”, vol. 15, n. 1 (genn. 1953), p. 1. “The Hoister” era “un bollettino di formazione e di notizie pubblicato dalla Sezione sindacale ‘Duecentocinquanta’ del Sindacato dell’automobile”. L’articolo di Hank Rupert comprende una discussione della perdita di ordini a causa dei prezzi concorrenziali praticati da aziende dell’Oklahoma e dell’Ohio, nonché degli spogliatoi aperti che provocano disordine e furti: “Tutti i giorni ci sono lamentele”. 78 Intervista con Wilfred Little, cit., sull’animo di Malcolm mentre lavorava come colletto blu. Sui discorsi di Malcolm, FSMX, particolarmente i rapporti sui discorsi pubblici prima del 1957. 79 Autob., pp. 240­241. 80 FSMX, “Report”, 31 genn. 1956. La fonte è un informatore che riferisce uno dei discorsi tenuti da Malcolm a Filadelfia nel 1955. 81 Lester Rubin, The Negro in the

Longshore Industry, University of Pennsylvania Press, Filadelfia, Pennsylvania, 1974, pp. 72­76. 82 L’assedio alla guarnigione francese di Dien Bien Phu da parte dei partigiani vietnamiti, i Vietminh, cominciò il 20 novembre 1953 e si concluse con la capitolazione MALCOLM X NELLA DESOLAZIONE AMERICANA ​ http://saracinoilaria.blogspot.it/p/formazione­politica.html19


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francese il 7 maggio 1954. 35 83 La citazione si trova in FSMX, Report, 28 genn. 1955, da un discorso non datato. 84 A proposito della marcia su Washington del 1963 per i diritti civili dei neri, Malcolm affermò: “Quando James Baldwin arrivò da Parigi, non gli permisero di parlare, perché non riuscivano a fargli seguire il copione... e poi ­ la cricca bianca che mise Kennedy al potere ­ disse loro ­ ai neri ­ di andarsene dalla città prima del crepuscolo...”.La citazione è tratta da Malcolm X, “Message to the Grass Roots”, in Malcolm X Speaks: Selected Speeches and Statements edited with Prefatory Notes by George Breitman, Grove Press, New York, 1965, pp. 16­17. 85 FSMX, “Report”, 31 genn. 1956. 86 Autob., pp. 219. 87 FSMX, “Report”, 31 genn. 1956. 88 Autob, p. 6. 89 Martin Luther King, “New York Speech to the National Committee for Rural Schools”, cit. da Nat Hentoff, I Realize the Law Can’t Make an Employer Love Me, “The Village Voice”, 27 genn.2 febb. 1981, p. 8. 9 Autob., p. 86.

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