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IL LENINISMO OGGI
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Nell’ampio documento approvato a conclusione della Conferenza dei 29 partiti comunisti e operai d’Europa, tenuta a Berlino a fine giugno, non ricorre la formula “marxismo-leninismo”. Non ho la possibilità di verificare se ciò fosse già accaduto in precedenti documenti conclusivi di conferenze comuniste con partecipazione sovietica, ma non credo perché il marxismoleninismo costituisce tuttora la base teorica del Pcus. Possiamo comunque esser certi che l’omissione della formula non è dovuta a volontà sovietica, ma alla richiesta di partiti “eurocomunisti”. Si è così trovata una formula di compromesso che dice: “I partiti partecipanti alla Conferenza opereranno attivamente anche in futuro per un’Europa di pace, di cooperazione e di progresso sociale. Essi svilupperanno a tale fine, muovendo dalle grandi idee di Marx, Engels e Lenin, la loro amichevole e volontaria cooperazione e solidarietà internazionalistica, nella stretta osservanza della parità di diritti e dell’indipendenza sovrana di ogni partito, della non ingerenza negli affari interni, del rispetto della libera scelta di vie diverse nella lotta per trasformazioni sociali progressiste e a favore del socialismo”. L’espressione usata è abbastanza generica ma abbastanza chiara per il suo contenuto negativo: essa esclude il carattere monolitico del blocco comunista; il ruolo egemonico del Pcus; il marxismo-leninismo come teoria universalmente accettata. Sono completamente d’accordo con questa triplice esclusione, che del resto io avevo già ritenuta implicita nella relazione fatta da Krusciov al XX Congresso e, più in generale, nei risultati di questo Congresso. Ciò poneva già allora l’esigenza di un generale ripensamento del pensiero di Marx e dei suoi epigoni per cercare di formulare in termini di fedeltà teorica aggiornata una strategia di avanzata al socialismo. Fu per offrire a questo processo di ripensamento e di elaborazione anche il contributo personale mio e di altri compagni a me vicini, che questa rivista fu fondata all’indomani del XX Congresso, come scrissi nell’articolo di presentazione del primo numero ripubblicato di nuovo nel primo numero della presente serie per attestare la nostra fedeltà ad un’antica battaglia. Ed è sempre nello stesso spirito che ho fatto un continuo sforzo, in questo periodo, per far conoscere alla più vasta cerchia il pensiero di Rosa Luxemburg, che io considero il più valido discepolo e continuatore di Marx, e per offrire un’interpretazione della strategia rivoluzionaria di Marx assai diversa dall’interpretazione tradizionale del marxismo-leninismo. Ho pubblicato anche diversi saggi su diversi aspetti del pensiero di Lenin, ma tutti concordanti su due proposizioni principali: a) che non si può parlare di marxismo-leninismo come di una dottrina unitaria, e b) che comunque la strategia rivoluzionaria di Lenin non risponde alla situazione dei paesi di capitalismo sviluppato. Mi riservo di riprendere questa analisi in un saggio ulteriore, nel quadro dell’approfondimento del pensiero di Lenin che continueremo a fare su questa rivista; in questa sede mi limito invece ad aprire il dibattito, cui partecipano autorevoli studiosi, con alcune considerazioni preliminari. ***
2 È noto che la canonizzazione ufficiale del leninismo e l’invenzione del marxismoleninismo furono opera di Stalin. Il nome “leninismo” era stato coniato dagli avversari di Lenin intorno al 1903, all’origine delle grandi controversie fra menscevichi e bolscevichi. Lenin non aveva accettato questa espressione, come Marx non aveva accettato quella di “marxismo”. Ma già subito dopo la sua morte, il termine veniva assunto dai suoi successori per definire un corpo organico e compiuto di dottrine, che praticamente dovrebbe racchiudere in sé l’essenziale del “marxismo”. Fin dall’aprile 1924, tre mesi dopo la scomparsa di Lenin, nelle lezioni tenute all’Università Sverdlov sui Princìpi del leninismo, Stalin diede la famosa definizione: “Il leninismo è il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria. Più esattamente: il leninismo è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica della dittatura del proletariato in particolare”.[1] Questa definizione non aveva incontrato il favore unanime dei dirigenti del partito, che avevano preferito.espressioni diverse, ponendo l’accento chi su l’uno e chi su l’altro aspetto caratteristico del pensiero di Lenin. Stalin aveva polemizzato con questi compagni. “Gli uni, aveva scritto, dicono che il leninismo è l’applicazione del marxismo alle condizioni originali della situazione russa [...] Altri dicono che il leninismo è la rinascita degli elementi rivoluzionari del marxismo del decennio 1840-1850, per distinguerlo dal marxismo degli anni successivi, divenuto, a loro avviso, moderato, non più rivoluzionario[2]”, ed aveva ammesso che entrambe queste definizioni contenevano una parte di verità. Uno dei principali avversari della definizione di Stalin era stato Zinoviev, che era stato uno dei compagni più vicini a Lenin negli ultimi anni dell’esilio, e che aveva giustamente insistito sulle caratteristiche specificamente russe del leninismo, soprattutto per avere introdotto i contadini nel processo rivoluzionario. Nell’articolo “Alla memoria di Lenin”, pubblicato nella Pravda del 13 febbraio 1924, e cioè prima che Stalin desse all’università Sverdlov la definizione sopra ricordata, Zinoviev aveva scritto che “la questione fondamentale del bolscevismo e del leninismo è la questione del ruolo dei contadini”, e in un successivo articolo in polemica con Trockij sempre nello stesso giornale, dal titolo Bolscevismo e trozkismo (30 novembre 1924) aveva accolto elementi della definizione staliniana ma aveva tenuto fermo sull’importanza dei contadini. “Il leninismo, aveva scritto, è il marxismo dell’epoca delle guerre imperialistiche e della rivoluzione mondiale, direttamente incominciata in un paese dove predominano i contadini”. Nel suo libro sul leninismo, apparso alla vigilia del XIV Congresso, e scritto in vista della polemica congressuale, Zinoviev aveva ceduto ancora terreno, definendo il leninismo come “il marxismo dell’epoca del capitalismo monopolistico (imperialismo), delle guerre imperialistiche, dei movimenti di liberazione nazionale e delle rivoluzioni proletarie”, ma aveva anche aggiunto che “la concezione leniniana del ruolo dei contadini, come alleati possibili del proletariato nella rivoluzione, è una delle parti più importanti del leninismo” fino ad affermare che “si può dire, fino a un certo punto, che Lenin ha ‘scoperto’ i contadini”.[3] Questa tesi, avallata dalla Krupskaia, che conosceva bene il pensiero di Lenin, fu attaccata da Stalin e Bucharin e sconfitta al Congresso. Nelle Questioni del leninismo, Stalin scriveva: “Che cosa significa introdurre nella definizione del leninismo l’arretratezza della Russia, il suo carattere contadino? Significa fare del leninismo non più una dottrina proletaria internazionale, ma un prodotto delle specifiche condizioni russe”.[4]E aggiungeva che l’elemento essenziale del leninismo non era la questione dei contadini, ma la dittatura del proletariato. Un marxista autorevole come Rjazanov dichiarò pubblicamente di rifiutare questa interpretazione[5], ma l’autorità di Stalin riuscì ad imporla non solo al partito russo, ma a tutti i partiti comunisti grazie al processo di “bolscevizzazione”. Mi sembra superfluo insistere sullo sfondo politico del dibattito. Rifiutando di riconoscere nel pensiero di Lenin un’ideologia nata dalla specifica situazione russa, cioè di un paese a grande prevalenza contadina e sottoposto al regime dittatoriale dello zar, e facendo invece della teoria e dell’esperienza leninista l’incarnazione attuale del marxismo e il modello di tutte le future esperienze rivoluzionarie, Stalin creava uno strumento che garantiva l’egemonia del partito bolscevico su tutti gli altri partiti comunisti e anche la sua supremazia personale in quanto riusciva a costruirsi la figura di successore, continuatore e miglior interprete di Lenin. Che ciò abbia portato alla cristallizzazione dogmatica di una certa interpretazione di Marx e di Lenin, è naturale; che in questa specie di catechismo che diventò l’insegnamento del marxismo-leninismo, Marx fosse sempre meno presente e comunque adattato alle interpretazioni di Lenin, e che questo a sua volta fosse in gran parte travisato per essere
3 inserito nel modello staliniano, è più che naturale. Che il movimento comunista internazionale, nel periodo staliniano, abbia dovuto accettare questa situazione è pure comprensibile: più difficile riesce comprendere come ci siano voluti oltre vent’anni dalla morte di Stalin per iniziare un processo di distacco da una formula forgiata da Stalin per porla alla base dello stalinismo. Mi pare evidente che nella polemica cui abbiamo accennato, Zinoviev e la Krupskaia erano assai più di Stalin vicini all’insegnamento di Lenin, il cui merito incontestabile rimane quello, non di avere dato l’interpretazione autentica di Marx “nell’epoca dell’imperialismo”, ma di averlo tradotto nel linguaggio di un popolo a grande maggioranza contadina e dominato dallo zarismo. Marx, come tutti sanno, aveva analizzato il capitalismo nel paese della sua massima fioritura, l’Inghilterra, e da questa analisi aveva tratto la dimostrazione che il capitalismo, giunto ad un’alta fase di sviluppo, portava in sé contraddizioni capaci di distruggere il sistema e far nascere gli elementi della nuova società. Senza questo sviluppo capitalistico, il socialismo, così come Marx lo aveva pensato, sarebbe stato impossibile. Il socialismo di Lenin non corrisponde infatti a quello di Marx, ma appunto per questo è tanto maggiore la sua originalità di pensiero e di azione. Egli ha costruito un socialismo diverso, non corrispondente né al pensiero di Marx, né, probabilmente, alle aspettative del proletariato occidentale, ma il fatto straordinario è che egli sia riuscito, nell’immenso impero russo, ad abbattere lo zarismo, a rovesciare il capitalismo, a porre le basi di una società completamente nuova. Non solo, ma l’avere aperto queste possibilità in un paese contadino, che rappresentava allora la “periferia” del capitalismo, ha messo in evidenza l’enorme potenziale rivoluzionario che si racchiudeva in questa periferia e ha aperto le porte alla rivoluzione in altri paesi contadini, come la Cina e il Vietnam. Lenin non ha scoperto solo i contadini, ma anche i movimenti di liberazione ed è il vero alfiere delle rivoluzioni in Asia, Africa, America latina. Egli è il teorico e lo stratega della rivoluzione nell’ “anello più debole” e appunto perciò non ha dato un contributo altrettanto originale e profondo alla strategia rivoluzionaria dei paesi industrialmente sviluppati. Ma i suoi meriti storici non sono per questo diminuiti, e la sua opera giganteggia come forse nessun’altra nella storia delle rivoluzioni anticapitalistiche. Conviene forse riassumere quali siano le differenze fra una rivoluzione al centro e una alla periferia del capitalismo. Al centro, cioè nei paesi di capitalismo sviluppato, la crisi rivoluzionaria, culminante nella presa del potere, è preceduta da un lungo processo rivoluzionario alimentato dalle contraddizioni crescenti del capitalismo sviluppato, che portano la lotta di classe fra proletariato e capitalismo ad una fase sempre più avanzata. In questo processo la classe operaia eleva sempre più la sua coscienza di classe, mentre attraverso i processi obiettivi dello sviluppo si vengono formando gli elementi della nuova società. Le contraddizioni capitalistiche da un lato e lo sviluppo della coscienza di classe sono dunque le due strutture portanti della rivoluzione socialista. Alla periferia del capitalismo, cioè nei paesi dove il capitalismo è giunto da poco, non c’è ancora una classe operaia numericamente forte e sviluppata, mentre sussistono ancora i vecchi ceti precapitalistici, i vecchi rapporti sociali e il vecchio sistema di valori. Il capitalismo in arrivo sconvolge tutto questo vecchio mondo e provoca la resistenza e, in alcuni casi, la rivolta di questi ceti, in particolare di contadini, artigiani, bottegai, piccola borghesia intellettuale. La classe operaia può diventare, ma non lo è necessariamente, la classe egemone di questa vasta alleanza. Là dove il paese di periferia è assoggettato anche ad una dipendenza coloniale e neocoloniale, l’opposizione contro un capitalismo che viene dall’esterno, da un paese straniero e dominante politicamente od economicamente, assume necessariamente un contenuto fortemente nazionale che diviene il cemento di unione delle varie classi in lotta. Ho Chi Minh, in particolare, seppe fare del sentimento nazionale uno strumento di rivoluzione socialista. La grande originalità di Lenin sta nell’aver rovesciato il ragionamento abbastanza caratteristico del marxismo della Seconda Internazionale, e in particolare di Kautsky e dei menscevichi, secondo cui tutti i paesi avrebbero dovuto seguire lo stesso processo di sviluppo dell’Inghilterra, e cioè arrivare prima al capitalismo avanzato e, dopo, al socialismo. Egli ha intuito che si poteva far leva sulla resistenza e la rivolta della periferia capitalistica, e quindi dei ceti precapitalistici e farne la forza d’urto di una rivoluzione guidata dal partito della classe operaia. Certo questo comportava una serie di profonde modifiche della strada preconizzata da Marx: non più una classe operaia numerosa e giunta attraverso la propria esperienza e la
4 propria lotta a un alto grado di maturità e a un ruolo di egemonia, ma una classe operaia a cui la coscienza fosse data dall’esterno; non più un partito come espressione della classe, ma come guida sovrapposta alla classe; non più la coscienza di classe ma l’organizzazione come struttura portante della rivoluzione; non più una società socialista che è già presente nel seno della vecchia società e che si fonda sugli elementi già formati, ma un socialismo da costruire interamente dall’alto; non più una dittatura del proletariato concepita come il più alto grado di democrazia, ma una dittatura di partito presentata come dittatura del proletariato. Tutto questo era storicamente necessario perché Lenin potesse raggiungere il suo scopo e non avrebbe alcun senso fare il processo al “leninismo” in nome di Marx. È soltanto necessario sapere che si tratta di due strategie diverse, ma rendendosi conto che senza Lenin non si sarebbe avuta la rivoluzione sovietica e non si sarebbe aperta la strada alle altre rivoluzioni del cosiddetto “Terzo Mondo”. Lenin peraltro concepiva la rivoluzione della periferia come avanguardia e detonatore della rivoluzione nei paesi capitalistici avanzati, questo rimane vero anche oggi. La rivoluzione socialista può procedere solo se si appoggia tanto sul proletariato dei paesi industrializzati quanto sui movimenti di liberazione. Marx e Lenin sono entrambi necessari, non perché il leninismo sia il marxismo dell’epoca contemporanea, che ne racchiude tutta l’essenza, bensì perché Lenin costituisce la guida delle rivoluzioni negli anelli più deboli e Marx delle rivoluzioni occidentali. L’eurocomunismo è nato dalla scoperta di questa verità, non in sede teorica, ma pratica, alla luce dell’esperienza. Perché la sua caratteristica essenziale non è l’affermata autonomia dei vari partiti e il rifiuto della “guida” sovietica, ma il riconoscimento della necessità di una diversa strategia in condizioni storiche, sociali, culturali e politiche diverse. Il rifiuto dell’egemonia sovietica è una conseguenza necessaria del rifiuto della strategia leninista. Ma che cosa sostituisce l’eurocomunismo alla strategia sovietica? che teoria rivoluzionaria sostituisce alla teoria leninista? Nessuno dei partiti comunisti occidentali ha fino a questo momento rifiutato esplicitamente il “leninismo” come propria dottrina rivoluzionaria e a fortiori quindi nessuno ha parlato esplicitamente di una nuova strategia, appunto perché la prassi ha preceduto la teoria, proprio conformemente all’insegnamento di Marx. A mio parere, questa nuova strategia può essere soltanto quella di Marx, liberata finalmente da incrostazioni non marxiste e dall’irrigidimento dogmatico. Ma Marx non ha mai espresso questa strategia in modo semplice e chiaro: dobbiamo ripercorrerne le pagine, studiarne accuratamente il pensiero, collocarci nel suo tempo e di fronte ai suoi problemi per capirlo interamente. Aiutare a sciogliere il nodo del “marxismo-leninismo”, aiutare a capire meglio tanto Marx quanto Lenin, tanto Engels quanto Rosa Luxemburg, vorrei che fosse uno dei principali compiti di questa rivista. L’altro, non meno importante, dovrebbe essere l’analisi della società contemporanea, alla luce del pensiero di Marx. Questo fascicolo, dedicato a Lenin, non è che un primo abbozzo del nostro lavoro. Riprenderemo l’argomento, cercando di tener presenti tutte le opinioni che oggi si agitano nel movimento operaio. Speriamo con ciò di dare un contributo a un aspetto essenziale della lotta socialista in un momento cruciale della crisi della società capitalistica.