OperaDomus Scuderie Aldobrandini per l’Arte Frascati
ARTISTI IN TRANSITO
OperaDomus d’Autunno 2020
ARTISTI IN TRANSITO
In
un
luogo
possiamo
speciale
entrare
in
relazione profonda con la sua energia rigenerativa - cosĂŹ bisogna fare
in
modo che le persone non si
limitino
guardare
soltanto
a
OperaDomus
Artisti in Transito Ecocity Onlus
di e con Carlo Marchetti a cura di Daniela Zannetti
Testi di Daniela Zannetti, Emanuela Bruni, Barbara Augenti, Carlo Marchetti, Fabio Camilli, Roberto Mastrosanti, Elio Rumma, Antonio Cioffi.
Architectural Call Arch. Fabio Camilli Con il contributo della Regione Lazio Il patrocinio di Comune di Frascati Assessorato alle politiche culturali Frascati Scuderie Aldobrandini per l’Arte Interfaccia Digitale Hangart Fest Pesaro Sponsor tecnici ‘Na Fojetta Ristorante Frascati SitN.Zero Bliss Moving Bimed Biennale del Mediterraneo Le Stanze Romantiche B&B Frascati Ufficio Stampa SitNewsFeel@gmail.com
ARTISTI IN TRANSITO Ecocity Onlus
Gl i Artisti A l ess an d ra d i Fran c esc o. Stefani a Sab ati no Gi org io Gal li . Ka rin Li nd ström Car lo Marchet t i. D an iel a Zann et t i “M ar io Sc hi fan o”. Cec il ia D e Paol is A chi lle Pac e. Cl aud io Mari ni Fran c esco Cer velli . An na On est i Paolo Rom an i. Ferdi na ndo G at t a
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I μετά Rossan a Ab ri t t a e Ludov i ca Cent rac c hi o
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Tri but o ad Oreste Ca sal in i
Saluti Istituzionali
INDICE
Il Sindaco di Frascati Assessore alla cultura di Frascati
#7IDee+
OperaDomus d’Autunno
Il progetto Opera Domus di Daniela Zannetti
“Appuntamento segreto al Casale Marchetti” di Emanuela Bruni
“L'arte è una forma di terapia importante” di Carlo Marchetti
Tributo all’amico Oreste Casalini Architectural CALL Il progetto espositivo di Fabio Camilli
I μετά
#iodanzocolmioID di e con Rossana Abritta Ludovica Centracchio
Opera Domus Gli Artisti e le Sale Tracce
Critical Reviews Resume Artisti
Appendice
Roberto Mastrosanti Sindaco di Frascati Emanuela Bruni Assessore alle politiche culturali
Con la mostra Opera Domus riapre lo spazio espositivo delle Scuderie Aldobrandini dopo la chiusura dovuta all’emergenza Covid-19. Si torna in presenza ad ospitare un esposizione che narra, tra l’altro, lo sviluppo dell’uso dello spazio in questo difficile periodo per tutto il Paese e per il nostro territorio. La mostra nata per essere ospitata in un vecchio e magnifico casale secentesco della campagna veliterna ha trovato la sua prima espressione in rete, trasformandosi in una delle prime mostre virtuali del primo semestre 2020. Un progetto di Daniela Zannetti e Carlo Marchetti che il comune di Frascati ha sostenuto con il suo patrocinio e ospitandola nelle pagine virtuali del sito delle Scuderie Aldobrandini. Il riscontro di pubblico dell’intera operazione virtuale è stato di forte impatto, più di cinquantamila transiti hanno rafforzato anche l’impegno virtuale del polo culturale tuscolano che per l’occasione si è trasferito on line, con l’uso intenso dei social media che sono diventati un momento di incontro della comunità culturale non solo tuscolana, allargando il proprio orizzonte oltre lo spazio fisico del territorio. Durante la quarantena da Covid 19 il tema dello spazio che ci circonda è stato particolarmente sentito, il lockdown e ciò che esso ha portato con sé di drammatico, e innovativo ad un tempo, ci ha fatto percepire diversamente ciò a cui eravamo abituati. L’impossibilità di fruire di spazi pubblici o privati come da sempre abbiamo fatto, l'obbligo del distanziamento ci induce a ripensare gli spazi vitali. L’esperienza appena vissuta sottolinea l’esigenza di guardare e vivere lo spazio, con nuove formule e approcci. Tuttavia Opera DOMUS non è un evento solo legato strettamente a queste esperienze ma trasfonde nella realtà lo spirito del tempo. Nata in un momento diverso (pre-covid) ha trovato la sua prima forma vitale nello spazio virtuale, in rete, ma la sua stessa configurazione iniziale che richiama luoghi ben definiti, e realizzati per forza d’immaginazione e gusto, ha condotto gli artisti e il pubblico in questa nuova esperienza. Proporre la mostra calata nella realtà della sala espositiva delle Scuderie Aldobrandini segna un ulteriore passo in un percorso di transizione ancora insondabile nella sua totalità ma ci accompagna a sondare ed esplorare nuovi spazi artistici e di creatività. Parte da questa mostra una riflessione che l’Amministrazione comunale vuole avviare sul tema dello spazio pubblico e privato e come può essere vissuto in questi tempi di transizione sociale e culturale. Un ringraziamento sentito alla curatrice Daniela Zannetti (anch’essa tra gli artisti) e agli artisti Alessandra di Francesco, Stefania Sabatino, Giorgio Galli, Karin Lindström, Carlo Marchetti, Francesco Cervelli, Anna Onesti, Cecilia De Paolis, ”MarioSchifano”, Achille Pace, Claudio Marini, Paolo Romani, Ferdinando Gatta, ”Oreste Casalini” con Ekaterina Viktorovna Pugach Domaevskaya, che hanno creduto in questa operazione di “transito” negli spazi dell’espressività che ha ricevuto il sostegno della Regione Lazio e numerose altre istituzioni pubbliche e private.
Il progetto Opera Domus
Opera Domus è un concept d'arte basato sull'esperienza personale ed artistica di Daniela Zannetti di Carlo Marchetti artista romano, e ideato con lui il 7 novembre del 2019 a Nemi durante un incontro preliminare che sarebbe divenuto fondamentale per Dedicato a mio padre in cappotto e camicia senza cravatta: l’evoluzione delle idee discusse nei mesi successivi sino a consolidare, a circa un “Sono stato Tre giorni anno di distanza, il progetto con una esposizione d’arte alle Scuderie Aldobrandini senza bere né mangiare di Frascati. Come giornalista, comunicatrice, artista nell’animo e in pratica sempre ma ce l’ho fatta” alla ricerca del prodotto culturale, l’archetipo Casa, come risultanza dell’influenza (Costante) sull’uomo e sull'artista e dunque casa opera, sollecitava quello del mio interesse nella direzione del Contenitore e Contenuto. Di un interno adibito ad una sorta di macro vivenza della conoscenza di Carlo Marchetti degli artisti con cui nel tempo si è rapportato e confrontato per ricerca artistica. Quindi di un volume all’interno del quale si sommavano diverse esperienze artistiche e poetiche. Nell’insieme, di una struttura in grado di ospitare una mostra con gli artisti coinvolti. Contenitore di Arte e Performance. Uno studio d’Artista multiplo. Carlo Marchetti si è rivelato essere non solo il proponente dell’idea che necessitava di essere tradotta in azione, definita, anzi esplorata e poi realizzata. Un alleato, amico e soprattutto artista, quindi in grado di osservare la realtà come dinamica creativa, e di interagire con lo sviluppo del progetto, indirizzandomi alla conoscenza dei diversi artisti che riteneva maestri da presentare. Di selezionare quelle opere di rimando al concept, di risposta e aggregazione alla gran trama in corso, con gli artisti ospiti e dunque in transito. La Domus, costruita lentamente su questi racconti, non è solo un grande ed efficace progetto di comunicazione d’arte. Le opere degli artisti in visione, così evocative, autoportanti, non avrebbero bisogno di parole. Piuttosto l’archetipo Casa, sia oggi palazzina, casa di campagna, o villa, o capanna resta l’organizzazione degli affetti, del riparo stabile e rifugio, della sua funzione storica della discendenza e quindi emblema di stabilità stanziale e luogo da cui procedere nelle attività sociali, è anche la nostra capsula, il nostro razzo nello spazio, il nostro pozzo di acqua, lo Stepwells di Chand Baori a Jaipur India, il Sun Temple di Modhera, il Casotto del nostro caos. Il contenitore personale, il rifugio segreto, come narra Emanuela Bruni nella sua prefazione Appuntamento segreto al Casale Marchetti. È lo spazio da cui osserviamo, replichiamo, giochiamo: il casino segreto dei giardini rinascimentali dove risiedevano le arti, il gioco dell’homo ludens, il profano; il viaggio iniziatico dell’anima del misteriosofico Hypnerotomachia Poliphili. Assenze, presenze, e intuizioni, e infine essenza, e dunque in questo, cura dei Casi dell’Arte al suo interno, una dimensione altra e consapevole di complessa visionarietà. L’opera sua costruita e modellata, di nuovo abitatata dall’opera della mostra Opera Domus d’autunno. Torna così col suo messaggio del rivestire, riabitare, riusare come filo-trama- imbastitura-modello. E poi cerchio-metamorfosi. E di nuovo tracce percorribili nel percorso delle sale, ognuna piuttosto tonale, in verticale fortuna di una grande storia di racconti alati.
In questo compendio di artisti l’elemento della danza è presente con il suo ritmo di movimento, con la sua andatura come nel transito stesso della piattaforma Artisti in Transito, ideata nel 2006 con Ecocity Onlus, e che oggi si esprime con questo nuovo evento e i danzatori stessi. Così Rossana Abritta con I μετά, performance di danza ideata per Opera Domus, descrive le sue emozioni durante le prove generali per il site specific delle Scuderie Aldobrandini: “Ho colto oggi una cellula di movimento. Era lì nell'universo moltiplicato degli eventi. Batteva la pioggia e raddoppiava la sottigliezza della mia materia porosa. Sentivo spuntare l'erba del suo mormorio. Così, la soglia del nucleo sparì nel battesimo del cassetto di una costola. E cresceva, cresceva. L'ho colto, portava con sé il sapore della sua provenienza”. Ecco, Ella pare raccogliere un messaggio antico. Tutto il nostro vissuto, e ciò che c’è da scoprire nel futuro, pare già racchiuso in dei cassetti (le nostre costole ) che dobbiamo solo aprire al respiro. ll progetto “OperaDomus” ha ottenuto il contributo della Regione Lazio 2020 per la sua realizzazione, il patrocinio del Comune di Frascati, l’Assessorato alla cultura, e delle Scuderie Aldobrandini di Frascati. Il patrocinio di “Hangart Fest” di Pesaro diretto da Antonio Cioffi nello speciale rapporto instauratosi con “Interfaccia Digitale”, la prima edizione di HF di video danza digitale. Concorso creativo vinto da Rossana Abritta con μετά, che lo ha ideato e realizzato durante la quarantena per Artisti in Transito su suggerimento di Daniela Capacci, coreografa e insegnante dell'Accademia di Danza di Roma. Per celebrare dunque la Domus, casa opera di Carlo Marchetti e la poetica di Opera Domus, i 7 artisti convocati - con quelli genii loci che avevano lasciato già le loro tracce nelle 7 diverse sale del casale di frontiera (tra i Castelli romani e l'Agro pontino) di Marchetti - hanno presentato opere, alcune inedite, in relazione al rapporto avuto con il casale e l'artista stesso. Selezionate nella dinamica dell'esposizione del Piano Terra, il Piano superiore, e la Scala centrale, collegamento e cardine dello stato emotivo e creativo che pervade gli ambienti, le opere di: Alessandra di Francesco, Stefania Sabatino, Giorgio Galli, Karin Lindström, Carlo Marchetti, Daniela Zannetti, Francesco Cervelli, Anna Onesti, Mario Schifano, Cecilia De Paolis, Achille Pace, Claudio Marini, Paolo Romani, Ferdinando Gatta. Artisti della scena italiana dell’arte informale e post informale, dal fondo fenomenologico di Achille Pace, alla pittura di gesto, e gesto che decanta il segno, per filo e per segno e scritture o riscritture di alfabeti migranti e modelli visivi. Trame continue di ricerca materica. Tracce. Artisti contemporanei come gli infaticabili creativi Claudio Marini, Giorgio Galli e Francesco Cervelli, le artiste Alessandra Di Francesco, Stefania Sabatino, i fotografi Paolo Romani e Ferdinando Gatta, il segno visto da dentro con l’occhio fotografico, il dramma nella storia, la luce, le dimensioni, i livelli degli spazi intercontinentali, lo spazio della storia, del sacro e profano, zoom sulla natura umana, di dati rilevabili, e contenuti d’autore. Un avvicendamento di espressioni e forme con Karin Lindström artista e ceramista.
L’astrazione del segno congiunto all’essenziale figurativo Anna Onesti, Cecilia De Paolis che sconfinano nella ricerca tattile, incorporea, di modelli, abiti e avvisi di carta con l’omaggio all’essenza di Mario Schifano, assenza e presenza di Pop Art, tensione del divenire dell’arte. Arte senza confini. E intervalli grafici di comunicazione dell’insieme nella sala Studio. Si potrebbe avvertire un leggero disorientamento rispetto alla presentazione degli artisti, e a questa prefazione, i linguaggi non sempre hanno bisogno di linearità per essere compresi, la storia della letteratura e della poesia rammenta l’ermetismo, e meglio quello sperimentalismo sanguinetiano con una metrica che si potrebbe dire gestuale. Il concept di Opera Domus appare comunicato così con la sua marcata colorazione, in virtù dei diversi linguaggi contenuti, il loro assemblamento che produce la vertigine della lista infinita (Umberto Eco) di ambiti pittorici, musicali, cinematografici, architettonici e visuali, in cui oggetti e segni acquistano autonomia poetica ingrandendosi. È un progetto non consueto, è multilivello, multimediale e collettivo e richiede una descrizione non accademica. Ciò riguarda tutto lo sviluppo del progetto, sperimentale, puntualizzato, ripetutamente provato ed esteso ad incontrare ogni possibilità di espletarsi ripetendo passi - spiraleggianti - o all’indietro, e poi avanti - come il Pas de bourrée fonte di ispirazione, menzionato per Alessandra di Francesco, a fornire le migliori coordinate del pensiero formulato. E presentare una scala su cui salire. Che questa poi porti sulla Luna, per Qfwfq di Cosmicomiche di Italo Calvino era l’esilio. Trattandosi di arte, invece, ben vengano quei ribaltamenti di paradigma di letture sospese mentre si osserva l’arte che ci porta - con la sua scala - nello spazio dell’espressività, non solo illimitato ma con la proposizione che sia illuminato, parafrasando Wittgenstein, ad ascendere e trascendere ma per così dire, a gettar via la scala dopo essere asceso su essa. E meglio, senza l'attraversamento del Mar del Tartaro un luogo "orizzontale" e "verticale", quel budello ombelicale che legava anticamente per metafora gli Antipodi del mondo, nessuna scoperta sarebbe stata fatta dell'Altro, e con questo lo scambio uomo-divinità-genio che resta spesso al centro di tutta l'attuazione della produzione artistica. Credo non sia poco dare questa opportunità di Arte a molti in questo momento critico. “L‘arte può rispondere alla domande che ci poniamo, più di un giornale” come si legge in Infra – ordinario di Daniel Perec. Monsier Perec prende appunti (appunto) e lascia tracce di un quotidiano indagato speleologicamente, in profondità. Così è accaduto con Opera Domus. Anche sfidando il lockdown che non (ci) ha impedito di realizzare la mostra. traslandola immediatamente online, il 21 marzo. In quella, ogni artista ha avuto un ruolo centrale nella fila di opere esposte, dalla compagnia del genio loci di una sala, dalla matrice della sala stessa - l’ingresso, la cucina, lo studio, la camera padronale, il living e la sala della musica - i colori, il basso, l’alto, il superiore, con le energie lasciate, a vista, fluire come nel migliore Feng shui. Per darne una percezione quanto più reale e sinestetica, nella versione digitale visitabile da Scuderie Aldobrandini e il Virtuale, si è lavorato quotidianamente con attenzione alla selezione delle foto degli ambienti, fotografati da Simone Pezzé, fotografo, Textures artist ( e docente IED, Rainbow), alla presentazione digitale delle opere.
Un lavoro tecnico e creativo fatto di digitalizzazione delle opere, delle foto degli artisti, descrizioni e recensioni. Illuminati poi tramite un “linkage” di Sala in Sala. Ogni Sala taggata tramite articoli, snippati, indicizzati in Google e altri motori di ricerca come Bing o Arianna, e da aggregatori come Libero24x7, condivisa in Facebook con centinaia di share; infine commentata dagli spettatori e dagli Artisti. Con il guestEbook, la critical review, l’apparato della mostra, da remoto, ha raggiunto e superato i sessantamila al momento di queste scritture. Eppure, catalogare l’arte nella dimensione virtuale non è affatto semplice. Il rischio di manipolazione dell’immagine è sempre in agguato. Nel contesto di Opera Domus d’autunno, invece, si è preferito lanciare una Architectural Call, per valutare i nuovi volumi del percorso espositivo con le competenze del giovane architetto Fabio Camilli (Le Scuderie Aldobrandini e la nuova esposizione), che ha ritienuto fondamentale traslocare parte degli arredi del Casale d’Artista nei saloni frascatani per ricrearne la suggestione. Di valorizzare gli artisti dispondendo i monoliti in dotazione, come mura del Casale dove collocare le opere secondo la sequenza originaria, e indicata già nell’expo virtuale. Anche la sala Danza, e la sala detta Virtuale, sono state allestite. Danza, per l’opening di Opera Domus nella sala Auditorium, e l’omaggio nella sala del virtuale, all’artista Oreste Casalini scomparso prematuramente questo luglio 2020. In questo stesso spazio viene proiettato su monitor il teaser del docufilm Tracce Operadomus di Carlo Marchetti, realizzato da Paolo Codato ed Ennio Dotti. Per questo lavoro era previsto un piano di riprese (interrotto l’8 marzo 2020) con l’idea di interrogare l’arte che dimora nella casa, la sua presenza ovunque. Con il riflesso dell’artista allo specchio. Occhio schermico per eccellenza all’interno del quale, un acchiappasogni col suo movimento è un ciak che rammenta e avvia la magia che aleggia. Ho scelto di introdurre le sale anche con alcune citazioni, tra le narrazioni, della cara Barbara Augenti già redattrice per SitN.zero, che alla Call per le Critical reviews ha prodotto testi su alcuni artisti in mostra e sulle sale nell’insieme. In corsivo i suoi testi accompagnano le considerazioni sugli artisti. Ringrazio loro tutti, che si sono lasciati vivere e comprendere. Anche se il resume nell’appendice finale non riporta che gli eventi recenti a cui hanno partecipato o quelli più noti, ognuno di loro ha una continua frequentazione del mondo dell’arte e in Opera Domus portano la meraviglia del loro quotidiano di vernici, olio damar, tempere, fili e abiti macchiati di strati di tinta e di memorie. E tutto ciò che durante il lavoro d'arte ne rappresenta l'affezione stessa, senza la quale non si avvia il procedimento creativo: l’impensabile oggetto tautologico, un libro, lo strumento, lo sjalett, un suono. Feticci d’artista (anche se Giorgio Galli dice che il suo l’ha già bruciato, sacralizzando ovviamente la cenere). C'è altro oltre l'opera, poichè tutta la dimensione dell'artista è opera nel suo studio. Di ognuno scopriamo le tecniche con sabbia, cordami, fili, colori organici, plexiglass, vetro, cenere, carta, legno, argilla. pixel o tessuti. La àéYakìtu” di Cecilia De Paolis in ecopelle a squame scudate e ali in crêpe di seta, a proposito di feticci, con la sua poetica di abito non abitato, è l’opera che aleggia nella mostra come protezione del tutto, e avviso di benvenuto. Come una maschera di Apollo sul suo tavolo (Senza Titolo, Kounellis), dea babilonese del rinnovamento, in attesa, introduce nel salone espositivo come Nume tutelare o il genio da indossare.
Appuntamento segreto al Casale Marchetti
di Emanuela Bruni In origine fu lo Studiolo rinascimentale, la piccola stanza in cui il principe si ritirava per meditare o leggere, circondato dai quadri che amava in modo speciale. Poi furono le wunderkamer, universi in miniatura capaci di destare stupore e meraviglia dove natura, alchimia e arte s’incontravano in un ordine personale; nella contemporaneità La casa di Mario Praz e poi Il Museo dell’Innocenza di Oran Pamuk e le tante case museo disseminate un po’ qui e un po’ là, continuano ad affascinare e meravigliare chi vi entra. Cosi è per i fortunati che hanno varcato la soglia del “casale d’artista” di Carlo Marchetti, così sarebbe stato per chi avesse visitato la mostra Opera Domus nella sua prima ideazione, ma gli accadimenti pandemici hanno plasmato e scritto per essa un’altra storia. Il tentativo dunque è quello di restituire, se pur riambientando e sacrificando elementi impossibili da trasportare come la struttura spaziale sedimentata di un casale Secentesco, il genius loci che essa avrebbe espresso. Impossibile ricostruire uno spazio privato e quotidiano, una speciale dimora densa e vitale. La scommessa su cui si fonda questa mostra è che il momento in cui è stata ideata non coincide con quello delle sua leggibilità in presenza. La nostra attenzione, malgrado l’intento iniziale, volge, dunque, sulla “leggibilità spaziale e temporale”, che rimanda più all’ambito dell’immaginazione che quella della effettiva progettazione. Il filo sottile da indagare e che tiene insieme le opere raccolte ed esposte in mostra è, infatti, che esse, benché siano state composte in un arco di tempo diverso, giungano alla leggibilità pubblica soltanto ora. Ora che ciascuno ha conosciuto la segregazione da lockdown e ciò che essa comporta rispetto ai propri spazi vitali, quelli della propria dimora e del proprio espandersi nello spazio circostante, anche quello di una casa. Una segregazione che ci ha fatto guardare e apprezzare, ma anche contestare, gli spazi che sino a qualche tempo prima ci sembravano rispondere perfettamente alle nostre esigenze, alle nostre fantasie che sono state e che forse non sono più. In questione non è solo uno spazio privato, ma innanzitutto un’altra esperienza dell’armonia, della bellezza e del tempo, che concerne ciascuno di noi. Benjamin scriveva a proposito dell’immagine che fra ogni istante del passato e il presente vi è un appuntamento segreto e che se si manca a quest’appuntamento, se non si comprende che le immagini che il passato ci trasmette erano dirette proprio a noi, qui e ora, è la nostra stessa consapevolezza storica che si spezza. Ciò accade anche per gli spazi, gli ambienti e le opere di questa mostra e dunque del Casale Marchetti. È importante rilevare, in sintesi, come un’azione può prendere una sua propria vita non ipotizzata, non programmata. Vi è un momento, nell’itinerario creativo, in cui l’immagine interiore, inseguita sino ad allora come un’elevazione continua e in ascesa, improvvisamente inverte la sua tendenza e si mostra ancora per la sua alterità.
Il Living del casale. Versus” Francesco Cervelli. “Il Geko della Vita” Carlo Marchetti
Nel casale Marchetti si entra e si coglie immediatamente l’aderenza alla storicità, alle superfici, ai materiali, all’ambiente; poi, una volta intrapreso il percorso che si snoda nelle tante stanze è la fedeltà ad un’ idea, alla ricerca dell’armonia e dunque alla vie artistique a prendere il sopravvento. Il dipinto, l’arredo si è liberato dall’àncora della propria storia per concorrere a raccontarne un’altra. Una storia fatta di presenze e assenze, di pieni e di vuoti, di verticalismi che si rincorrono in un’unica sommessa onda energetica. In angoli in cui l’ opera d’arte, il muro, i materiali costruttivi, le luci si rincorrono in un flusso unificante per svelare il segreto: la rappresentazione della sua energia. Più che trattare spazi vitali e definiti geometricamente, questi ambienti ci narrano altri spazi ed altri mondi che ci accolgono, ci narrano storie, quelle che ciascuno di noi è pronto a sentir raccontare, ma soprattutto a raccontarsi. In questo luogo non si compie solo l’atto di guardare un quadro, un mobile un oggetto d’arredo, qui l’atto del guardare si somma a quello del vivere e dunque, si lega in maniera sempre più stretta al fluire della conoscenza e della comprensione. L’obiettivo è quello di esplicitare il dialogo, la tensione fra l’opera e lo spazio non solo in un’immagine d’insieme, come c’insegna l’interior design. Il prevalere del consueto, dell’ esibito non consola più, non risponde più alle ragioni profonde e di spirito di questo nuovo tempo che chiede a gran voce una nuova tensione umanistica. Non basta vedere un oggetto, ma è necessario percepire come quest’oggetto tragga vitalità e trovi nuova rappresentatività in simbiosi con altri. Così, ad esempio, un divanetto in un angolo d’ingresso assume non solo il significato di riposo e rilassatezza o convivialità ma è un modo per dire: Fermati, ascolta ciò che hanno da raccontarci muri imperfetti tutt’intorno. Travolti dalla luminosità d’un raggio di sole che chiarifica le asperità. Fermati e sali una scala, ideale, fatta di materia e colore. Sali e ascolta tra quei panni colorati la musicalità di lingue diverse, racconti di mondi stranieri, di uomini e donne e di mille naufragi. E poi ancora: Non rimanere sospeso nella solitudine della verticalità, una forza gravitazionale può riportarti in una nuova quotidianità, bagnato di luce e colori e nuove visioni, a ritrovare percorsi segnati da filamenti invisibili che si dipanano da un grande rocchetto come fili di Arianna.
“Migranti” 2019. “Earthquake 1” 1999. “Veniamo da lontano” 2010. Carlo Marchetti
Anche una porta, nel casale Marchetti può diventare un appuntamento segreto di volumi e superfici: i suoi toni leggeri, evocano sussurri e bisbigli in un gioco di rimandi cromatici e formali. Le geometrie funzionali di sapore antico, le maniglie e gli specchi di legno sono le direttrici per far vivere contrasti in equilibrio. Sposare la linearità fratturata ma ordinata della tela di Francesco Cervelli verso le circolarità di una finestra e di una tela “sbadatamente” lasciata a terra dallo stesso autore, Carlo Marchetti, è la modalità per riattivare e rinnovare nuovi flussi e correnti. Varcare poi la soglia di quella porta, spalancarne l’anta e giocare con silhouette di profili e colori che catturano la luce e l’aria con il colore per cristallizzarsi e materializzarsi in un profilo. Nel Casale Marchetti i piani si susseguono e s’intersecano in percorsi che permettono visibilità altre, dando nuovi significati ai vecchi mobili che diventano volumi, a camini e lampade che come solidi geometri esaltano la monocromia delle opere d’arte che si ribaltano e rifrangono negli specchi, in un continuo moto e flusso che ci rendono compartecipi, creando la sensazione di essere lì nel mezzo dell’atto creativo. Forse questo il bisogno ultimo di ciascuno: entrare in relazione con le opere e con gli spazi e i volumi come se fossero le prime dalla creazione, come se fossero state nascoste dalla fine dei tempi e infine mostrate a noi, per un attimo, in virtù della relazione spaziale e temporale. Nella mostra alle Scuderie Aldobrandini troviamo nuovi spazi e nuovi allestimenti inseguendo nuove prospettive ma trovando la stessa energia.
Dettaglio “Itinerari” Achille Pace nella sala padronale
TRACCE. L'arte è una forma di terapia importante
La creatività é l’atto di dare forma a un’intuizione, a qualcosa che era già esistente nell’universo, in quella dimensione che non possiamo comprendere, né percepire. La sensibilità che può avere un’artista gli dà forma ma la cosa già esiste. Noi conosciamo qualcosa di piccolissimo, e diventa eccitante sapere che c’è tanto ancora da svelare. Non una convinzione teorica, ma una necessità. L'arte è una forma di terapia importante. Ho tirato fuori i miei mostri, le paure, la percezione errata di me stesso. Mi ha liberato. Avevo le visioni di immagini, mi sentivo sospeso, estraneo da tutto il mondo conforme, invisibile agli altri. Possibile che nessun altro veda? E poi incontri altri che vedono, qualcun'altro folle. Le cose importanti durano un giorno e poi spariscono.
Carlo Marchetti Ph. Marco Girolami
Opera Domus 7 IDee+ di Carlo Marchetti
“Opera Domus” è un titolo che vuole rappresentare tutta l’affezione per un luogo dove ho vissuto a lungo e concluso un percorso personale. È una grande opera. È la casa come riferimento vitale dell’uomo artista che agisce, e procede negli spazi attorno, con distinta sensibilità. Questo progetto è coinvolgente, ti introduce e ti trascina nelle viscere dell'arte, nella sua diversità dei linguaggi e degli stili. È una riflessione su come l'arte non sia solamente un'espressione intima, ma un modo di essere liberi di esprimere e di fare esprimere gli altri a svelare l'arte che alberga in ognuno di Noi. Come asseriva e praticava il grande Joseph Beuys, che ha fatto della propria attività artistica un impegno morale, didattico e politico, diventando un’icona del Novecento, la bellezza dell'Arte non sta solo nella sua dimensione estetica, ma nella sua valenza rigeneratrice, è medicina stessa dell'anima di chi la pratica, quando chi la vive e la pratica, riesce a utilizzarla per plasmare se stesso come opera ultima. L'arte come mezzo, e non come fine, l'arte della vita.
Quello che penso, quello che dico, quello che sento sono la medesima cosa. Questa è la libertà.
"Il Geko della Vita" Carlo Marchetti. Tecnica Acrilico e sabbia su tavolo /118 cm 2002
Il saluto all’amico Oreste Casalini
Carlo Marchetti è una sorta di mandala vivente. Scrive di lui Patrizia Ferri nel testo critico per “Earthquake” del 2000 con la direzione artistica di Elio Rumma per Associazione Marcello Rumma. “Egli affida alla pratica dell’arte il difficile compito del risveglio della coscienza come una vera e propria pratica meditativa, non ascetica, ma elaborata nella quotidianità che si concretizza nell’opera come totalità. Carlo è dotato di un’intensività creativa e animato di serena passione per l’arte come linguaggio comunicativo della vera natura del mondo, relativamente al fatto che tra l’arte e la vita come semplici, chiarissimi enigmi, esiste una profonda relazione che dal momento in cui viene riconosciuta, permette di ritrovare la sintonia e l’unità dell’individuo con il resto del mondo”. Se così non fosse, come scrive anche di lui la critica d’arte Barbara Martusciello, “col suo linguaggio espressivo e tutta l’urgenza pittorica di segnale e direzione”, non sarebbe arte pensata come un profondo e generoso atto d’amore all’insegna della coesistenza e della differenza”. “A cui ognuno – concludeva Ferri – può dare il proprio apporto creativo”. E per questo accade anche Opera Domus, come dono e confronto. Ed avere cura di farlo con chi è davanti in quel momento, sempre. Per sempre. A volte in condizioni impossibili. Oreste Casalini avrebbe dovuto transitare nello spazio living. Così parlavamo di lui e della sua poetica. La sua prematura scomparsa ha inciso profondamente in coloro che erano al suo fianco nella vita, come nell’arte. “Così vanno le cose - aveva scritto - quando avevo il tempo sempre qualcosa pretendeva urgenza, ora che il tempo s’è fermato vorrei esser lì ma non posso. Saluti Carlo che la fortuna sia con te”. E ancora una sua critica, “la revisione dell’arte nella sua dimensione vivente e naturale, persino domestica, da contrapporre ad un sistema elitario oramai fallito, vedremo – aveva concluso Oreste Casalini. A rivederci sempre” “Parole dirette, chiare che esprimono tutta la maturità di un uomo-artista cosciente del tempo e quasi anche dei suoi tempi possiamo intendere tanto” (Stefania Sabatino). Ci siamo ritrovati così a condividere il saluto ad Oreste, lui è andato, un volo di energia senza limiti dice Carlo. Forse nelle note già il suo dolce addio, quel non poterci essere, quel vedremo a ri-vederci… A rivederci. Su gentile concessione di Ekaterina Viktorovna Pugach Domaevskaya le opere “Di padre in figlio” tra le ultime esposte da Oreste Casalini a Roma (Kou Gallery, Roma 2020).
Studio d’Artista Oreste Casalini “Libertà di scelta”
“Di padre in figlio” Oreste Casalini
Sala virtuale
Architectural CALL
Il Casale di Carlo Marchetti antico edificio del 1600, situato tra Velletri e Latina, è stato la sua residenza e studio d’artista dal 2004 al 2019. È un casale sottostato al mantenimento, al recupero e alla cura dei materiali d’epoca. Un casale con un lato nobile. Un castello in origine della casata bergamasca Ginnetti (che nel XVII si estingue con l’ultima discendente Olimpia Ginnetti), e successivamente divenuto possedimento dei Lancillotti. Dazio o Stazione di Posta da e per Porta Napoletana e Roma. Luogo di transito. Di stazionamento. In un territorio caratterizzato da vicinanze e realtà significative come i Giardini di Ninfa, (considerati il giardino più bello del Mondo, New York Times), il borgo di Sermoneta, i Castelli romani. Per realizzare il percorso espositivo, dare luce agli artisti e rappresentare il paradigma concettuale di Opera Domus, in questa edizione alle Scuderie Aldobrandini, l’Architetto Fabio Camilli ha disegnato l’allestimento, un disegno in cui non accade il processo che fa dell’atelier e della casa d’artista una specie di feticcio alla moda da esibire (né viene ricostruito com’è avvenuto per lo studio parigino di Costantin Brancusi artefatto da Renzo Piano di fronte al Centre Pompidou, o distrutto come in Jean-Pierre Raynaud a La Celle Saint-Cloud), ma progetto di un casale d'artista “vivo”, transitabile, ed aperto come Casa-manifesto con le sue sale occupate dalle opere degli artisti. Con gli arredi in parte traslocati per ricrearne scenograficamente la suggestione, per certi aspetti simile di Tempio con i suoi labirinti dell’arte, e contenitore Butsudan nel significato profondo di luogo dove arte ed energia, anche mistica, si fondono. Prova ne è che chiunque attraversando gli ambienti originari ne sia uscito rinfrescato dal mistero dell'arte.
Le Scuderie Aldobrandini e la nuova esposizione
Emozioni, Suggestioni e Punti di Vista sono state le parole chiave del progetto di allestimento per OPERA DOMUS. di Fabio Camilli L’artista Carlo Marchetti dedica molti anni della sua vita al casale, lo ristruttura mantenendo intatta l’antica storia di quelle mura, lo rende abitabile e confortevole. Utilizza materiali di recupero, mobili restaurati che daranno poi ancora più fascino alla casa. La considera come un’ opera d’arte, e come tale conclusa molti anni dopo averla abitata. Durante la visita nello storico casale di Marchetti intuisco che la mostra all’interno delle Scuderie Aldobrandini deve seguire un percorso che richiami il più possibile l’esperienza reale. Scopro che Carlo ha una formazione in Architettura che considera essa stessa il disegno a mano, lo schizzo, arte preparatoria ai progetti. L’intesa tra noi è così accomunata nelle discipline tecniche e in quelle artistiche. Il percorso espositivo è suddiviso in 7 Sale come gli ambienti reali, e si sviluppa nello spazio delle Scuderie proiettandoci all’interno del casale con gli spazi collegati, su modello dell’esistente, in modo fluido. Il rapporto tra il piano inferiore e quello superiore è determinato dal volume della scala nell’edificio. Nel progetto assume il suo ruolo visuale di collegamento e “piazza principale”, mostrando poi in successione le sale raccordate su un’unico piano con le suggestioni di quegli angoli di casa che mi hanno ispirato. Gli scorci con i divani, le poltrone, le luci soffuse e i grandi tappeti presenti in ogni ambiente, ognuno con le sue caratteristiche, la sua funzione.
Il progetto, a tutti gli effetti, stimola la riflessione sulla problematica degli open space, rispetto ad un rituale archittetonico che plasma la vita di tutti i giorni, “esulando quello dominante che condiziona la completezza dell'individuo - come descrive Nikos Salingeros”- e oggi determinato dalla necessità di riscoprire negli ambienti una matrice occupante. Così anche nel progetto cerco di ricreare la magia della Domus, il suo contesto. Le funzioni dei diversi ambienti come il condizionamento della presenza degli artisti, e viceversa lo scambio concettuale delle opere scelte. Lo spazio espositivo delle Scuderie Aldobrandini, allora, diventa un grande contenitore, una grande Casa che ne ospita un’altra (e un’altra ancora). Alzando gli occhi al soffitto si potrà godere delle travature in legno, o lasciare che la luce naturale filtri dalle finestre, come avviene nelle stanze del casale. Soltanto includendo nell’allestimento gli elementi che richiamano le ambientazioni originarie si potranno percepire certe emozioni. Di percorso emozionale, di homing, di un viaggio chiamato Opera Domus. Volumi e Planimetria Progetto Espositivo Opera Domus
Scuderie Aldobrandini Frascati Arch. Fabio Camilli Il percorso espositivo di Opera Domus
Auditorium
Rossana Abritta Ludovica Centracchio
Sala 1
Alessandra Di Francesco Stefania Sabatino
Sala 4
“Mario Schifano” Cecilia De Paolis
Sala 2
Giorgio Galli Karin Lindström
Sala 3
Carlo Marchetti Daniela Zannetti
Sala 5
Achille Pace Claudio Marini
Sala 6
Francesco Cervelli Anna Onesti
Sala 7
Paolo Romani Ferdinando Gatta
Sala Virtuale
Tributo Oreste Casalini Vin d’honneur “Tracce”
Auditorium μετά
Dalle note dell’autrice di μετά Rossana Abritta: “Durante la quarantena ho partorito una creatura dal nome μετά, nel mentre, un progetto di video danza realizzato con profonda motivazione e senza strumenti di Rossana Abritta tecnici. In essa si tessono le percezioni di un “mentre” succeduto a se stesso in un tempo dilatato e in uno spazio solo . Riconoscevo un forte desiderio di spazi ampi, di tocco sensibile e di condivisioni concrete con altri corpi. Desiderio manifesto nella parte finale del video. Concretamente ho accolto gesti semplici, come la conta del riso o l'abbraccio, per lasciarmi condurre al riconoscimento di piccole cellule di movimento densate dalle dinamiche del corpo che le restituiva in una camera da letto. Ad oggi, mi apro ad un primo studio performativo con musica dal vivo. In questo nuovo tentativo, perché di questo si tratta, la ricerca si affida ad alcune di quelle cellule presenti nell'opera virtuale, che il corpo lascia migrare ed evolvere non in una camera da letto, ma in una nuova casa coabitata e forse, meno vincolata”. Una casa d'arte 14 artisti e la danza Rossana Abritta accompagnata dal fascino del violoncello suonato da Ludovica Centracchio apre la mostra Opera Domus d'Autunno con la performance di danza I μετά. Un dialogo non sempre facile di avvicinamento all’altro, cui spetta alla danzatrice il genio di Del vicino passato una conclusione finale di grande impatto emotivo. Pubblicata in OPERA DOMUS 7IDee+ online la memoria la videodanza μετά, creata su suggerimento della coreografa Daniela Capacci, realizzata con le del corpo riprese e la fotografia di Eugenio Panichi, la musica originale di Ludovica Centracchio, il montaggio singhiozza di Fabiana Piscitelli, e la supervisione di Simone Pezzè ha vinto la prima edizione di “Interfaccia energie latenti Digitale” nell’ambito HangArt Fest. Il Festival di Danza contemporanea di Pesaro, diretto da Esse migrano ora Antonio Cioffi, che ha rilasciato il suo patrocinio ad Artisti in Transito per questo evento d’autunno. in uno spazio tempo diversi Per “μετά” di Rossana Abritta la giuria si è espressa con la motivazione seguente: “Il movimento e la sua rappresentazione trovano un perfetto bilanciamento in questo video; ogni Da un soliloquio dell'anima immagine al suo posto e il suo scopo quasi necessario nel contesto generale; un bianco e nero a un dialogo molto denso nella fotografia che sottolinea l’essere vivo di ogni parte del corpo attraverso respiri condiviso gesti e ripetizioni e le geometrie che la danza propone ma distorcendole al tempo stesso. Così Tentativi di un come è distorto il tempo stesso; cura e tecnicismo registico rimandano a vere sensazioni fisiche nuovo respiro in un video che sembra respirare insieme alla danzatrice. “Chiarezza di intenti e capacità di sintesi, due qualità rare. Il lavoro di Rossana Abritta svela la forza dei contrasti, le linee marcate del bianco e del nero si fondono nella luce e nelle ombre, mentre sprazzi di colore lasciano senza fiato, chiosa il direttore artistico Antonio Cioffi”. Rossana Abritta Ph. Claudio Castello
Rossana Abritta ha appena ultimato la collaborazione con l’artista Vincenzo Ceccato per la realizzazione del progetto multimediale Il tempo originario, produzione RO.MI arte contemporanea, evento inserito nel programma di Rome Art Week 2020. Rossana si è formata presso l'Accademia Nazionale di Danza di Roma. Affina lo studio del floorwork a Berlino con maestri e coreografi internazionali. Si dedica alla Danza d'Autore, alla videodanza e collabora con associazioni nazionali per la realizzazione di progetti artistici. L’attitudine per la ricerca coreografica site-specific prende spazio con l’associazione ITALIA NOSTRA, nel sito archeologico dell'Appia Antica - Villa Capo di Bove- presentando lavori come Nel mito, e oltre e La nascita di Afrodite. Crea e danza Il mito dell’IN, studio performativo nell’ambito del progetto “Dormire, morire, forse sognare…” di Roberta Filippi presentato presso il Macro Asilo di Roma e successivamente per INDACO FEST 2019. Ludovica Centracchio formata presso l'Accademia Musicale di Roma Capitale con il Maestro Antonella Daisy Basili. Attualmente laureanda al Triennio di violoncello presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma nella classe del Maestro Maurizio Massarelli. Dal 2019 inizia la collaborazione con Rossana Abritta, per la la danza d’autore. Si esibisce in: Nel mito, e oltre, Il mito dell’IN con Rossana Abritta.
Ludovica Centracchio Ph. Simone Pezzé
#7IDee+
OperaDomus d’Autunno Gl i Artisti
A l essa nd ra d i Fra nc esc o. Stefani a Sabat i no Gi orgi o G al li . Kari n Li ndst röm Carl o Marc h et ti . Dan i ela Zann et t i “Ma rio Sch i fa no”. Cec il ia De Paol is A ch ill e Pace. Cla ud i o M ar in i Fra nces co Cer vel l i. An na O nest i Paolo Roman i . Ferd i nan d o Gat t a +
Tracce
Alessandra Di Francesco
Sala
artista in transito Stefania Sabatino Il primo spazio dell’esposizione, antròpico, ospita Alessandra Di Francesco e Stefania Sabatino. L’ingresso della Domus pare affollarsi di studi figurativi, in presenza di strati di memoria e riletture delle trame, in un arrivo e ripartenza dell’Arte. Profili apparentemente antitetici alla fuga della mente nel luogo non luogo. Aureo e immaginario, lì le forme non s’impongono ma si armonizzano con lo sfondo. Pittoricamente, ove l’occhio si posa, malgrado noi e la fisicità, e vede, livello dopo livello, una seconda generazione di immagini oltre il soggetto. Anche l’occhio (col piede) compie il suo pas de bourrée nelle tecniche di Alessandra. L’autrice ricompone messaggi dalla profondità del tempo, riportandoli in avanti, alle nostre attenzioni.
Oltre la sua stessa testa, Stefania Sabatino. Arriva a tremare tutto l’immaginario. Perché infine anche il corpo (non solo la testa), può essere un bellissimo posto per pensare. Ognuno resta con il proprio inferno e si pacifica nella sua evasione. L’artista nelle sue opere “inchioda” e zumma gli umani come eroi dei loro incontri, in cui però, l’elemento cerebrale, atteso, sembra e resta assente in attesa di nuova identità intellettuale. Perchè è molto più semplice, e vero, non proferire in costruzioni mentali facilmente controvertibili, ma cercare l’attimo che rende Dei e divini, senza un volto, universali. Le Danaidi, infine. La ribellione stessa agli Dei, piace immaginare che quel versare punitivo di acqua in un pozzo senza fondo, sia il versamento continuo della conoscenza. La prima Sala, quella dell’incontro incompiuto, in tensione potenziale, il ritrovarsi evaporato che dissipa ogni azione che possa diventare passato, chiusa in un appuntamento eternamente carnale proprio perché giocato sul piano dei riflessi, ed eternamente ideale proprio perché dissolto dalla natura del desiderio.
1
”Into water” 2012 Alessandra di Francesco. Olio su Tela 130 x90
”Ri-flesso al chiar di Luna” 2017 Stefania Sabatino. Olio su Tela 150x170
“Danaidi� (serie box) 2019 Stefania Sabatino. Tecnica mista, plexiglass, bambole 15x15
Giorgio Galli artista in transito Karin Lindström
Sala 2
Fuochi astratti e post’informali. Il ritorno al significato dei segni, al valore delle superfici, dei materiali e del linguaggio pittorico nella sala del fuoco. La sala della poltrona rossa. Il buffet, il grande tavolo della fucina dell’incontro. Lì Giorgio Galli, con la sua narrativa plastica, combusta, intrecciata a fili di ferro, vetri e ceneri dà appuntamento alla storia, e alla materia ceramica di Karin Lindström in transito. Le astrazioni dei luoghi (e degli accadimenti) di Giorgio Galli, diventano messaggi esplosivi e restituiscono coscienza. Il febbrile lavoro di Giorgio è da sempre inviare nei lavori testi, cifre, materiali in cui scoprire oltre la materia l’espressione più naturale della sua visione d’artista. Monito per certi versi di drammi sociali, storici e culturali – l’allontanamento dall’introspezione e dalla cultura politica – e momenti anche magici (di luce nell’ultima ricerca, inedita); di rituali con i suoi materiali preferiti: cenere, pigmenti puri, tele di sacco, vetri, fotografie, colori, dai pastelli agli acrilici, gessi, grafite e carte. Antidoti alla paura, come uno sciamano del villaggio, Galli sente la chiamata a curare i mali umani, con gli ingredienti dell’arte materica, mentre lui stesso compie la sua anabasi. Il suo viaggio all’interno. Collabora a questo messaggio la dimensione dell’argilla duttile, che si risveglia contemporanea a restituire bellezza alla realtà complessa. Le Teiere racchiudono il messaggio simbolico di nuove sequenze. L’argilla di Lindström restituisce un boost vitaminico in una dimensione di favola creata tutt'in giro al tornio, e la comunità che torna a quest’arte antica come l’uomo. Gli oggetti di ceramica artistica di Karin, agibile, e di uso e design esclusivo, rammentano l’unicità di ogni prodotto e l’accessorio del bel vivere in ambienti armonici.
E c’è incontro perché si respirano i vapori acquei di una contaminazione concatenata nel sostegno, nel conforto, nella protezione e nel nutrimento. Cure elementari di ermeneutica.
“Crateri di fuoco e di sangue sul corpo della terra� 2012 Giorgio Galli. Cenere, carbone, tempere, vetro 100x80
“Ritorno a Gerico” Omaggio a Alda Merini 2012 Giorgio Galli. Tecnica mista 80x80
“Teiere 2020” Karin Lindström. Argilla e Smalti
Carlo Marchetti
Sala
artista in transito Daniela Zannetti Lo Studio del Casale al pianterreno anticamente era la stanza delle preparazioni e delle conservazioni dei cibi, degli approvvigionamenti stagionali. La dispensa. Oggi, come Studio raccoglie e racconta la sospensione tra ciò che verrà e ciò che è avvenuto. Storicamente abitata da “Tracce”, due opere di cinque di una Installazione monumentale “Codesta scellerata stirpe” Teatro Danza di Oretta Bizzarri (rappresentato al Teatro Sala 1 di Roma), è la sala che svela il segreto del tempo, che impugnando i ricordi ne dimostra l’inesistenza.
Se la mostra avesse potuto proseguire nel reale, si sarebbe già svolta. Proseguendo nel virtuale, tuttavia e così, la mostra resta aperta…Dunque che cos’è il tempo? Solo l’arte può dircelo. La sua risposta è nelle molteplici possibilità che oggi si esprimono nella Opera Domus d’autunno. Realizzata di nuovo, dal vero ma mai la stessa. Le opere di Marchetti si compongono di sabbia, come colorante naturale del fondo da cui emergono segni, tra le aperture, la natura del colore e la costruzione geometrica dell’erosione lenta del tempo. Mai finito, solo rimandato nella metamorfosi. Emerge la continua segnalazione, astratta e pur concreta della percorribilità di un mondo solo apparentemente invisibile. Maneggiare la tavolozza materica per Carlo è il gesto che traduce il vivere. Ö, öde, invece è Isola deserta. (Parole vecchie, vecchie, ormai quelle). Sai come si scrive fiume / ruscello in svedese ? – Å. Sono le lettere simbolo che compaiono nelle grafiche digitali delle opere in transito di Daniela Zannetti, di riflesso a stimoli ricevuti durante tutto il processo del progetto. Tracciando un luogo, un cerchio, l’isola attraversata dal ruscello sinuoso si imbastisce un’area sacra. E si mettono le ali. Anche al preistorico graffito ideato come danza sotto luci costellari.
“Tracce di Aida e Tracce di Perdita” Carlo Marchetti 1998. Acrilici e Sabbia su juta 220x175
3
“Ö” 2020 Daniela Zannetti. Tecniche miste, acrilici su cartoncino e digitale 100x90
“Ink Domus” 2020 Daniela Zannetti. Tecniche miste, acrilici su cartoncino, fotografia, gelatina e digitale 100x90
Mario Schifano
Sala
artista in transito Cecilia De Paolis àéYakìtu è uno scambio di figura. Non è il nostro corpo, non è il nostro abito. Nella casa, la scala, e Le Case di Mario Schifano sulla scala, sono gli elementi che congiungono con grazia dinamica i livelli. Rimodulano i colori e le luci del percorso espositivo delle arti imbastite al primo piano, fino ai capitoli superiori. Anàbasi e catàbasi, statico movimento, dinamismo immobile. Una dissolvenza occupata dal transito per eccellenza. Di più, l’essenza come risultanza di assenza e presenza. Lo scomparso Mario Schifano, l’apparizione di Tiāmat sul ballatoio. L’opera di Cecilia De Paolis calza, e veste questa dimensione affatto casuale, risvegliando un mito babilonese, femminile. Tessile e tattile, più profondamente archetipica, è la rigenerazione del tempo. Governa lo spazio della scena in cui instaurare un rito. Nella cultura Veda, quello, andava delimitato, accuratamente, e spazzato da storie pregresse. Allora la Scala è nomen. Infine noumeno dal fondo dell’opera che stiamo osservando. La dea babilonese del Caos, e del mare salato che si stilizza in transito, spirito, e come mistero dell’Arte che aleggia nella casa e del rinnovamento. L’abito non abitato, ma di cui è tangibile il movimento del corpo assente opera una catarsi sinestetica. È potente risonanza psicologica di un secondo percorso cognitivo: la visione della festa dell’aakītu mesapotamico. In onore della Dea principale portata dal suo tempio alla “casa di festa” in campagna per celebrare il nuovo anno. Cosa accade dunque ad una Casa d’artista quando completa il suo ciclo di Opera? Senza dubbio l’Uomo d’arte che vi ha operato avrà impresso al luogo un’anima vibrante, forse la stessa Tiāmat, come un amante per sempre amato.
Ed è possibile che al piano superiore ci sia la quinta sala. “Semi della Vita” Carlo Marchetti 1999. Tecnica mista su legno 200x45
4
“Le Case� Mario Schifano. Smalto e acrilico su tela con cornice dipinta 85x115
“àéYakìtu” Cecilia De Paolis 2020. Abito in ecopelle a squame scudate e ali in crêpe di seta 150x60
Achille Pace artista in transito Claudio Marini
Sala 5
Il problema della catalogazione delle opere presenta il suo conto allorquando la fotografia dell’originale, la sua copia digitalizzata, perde il dettaglio. Se prodotta nell’uso (e abuso) quotidiano di immagini, come spesso accade, se non opportunamente acquisita e trattata perde il pixel. Salva per il web, è l’esempio universale dell’ottimizzazione. Il condividi uno strumento apparentemente innotivativo capace di alterare messaggi. Senza le opportune referenze si forniscono percezioni errate di un’opera: sfalsandone i colori, inficiando la paternità stessa degli autori. Per questo l’immagine copia di un’opera d’arte è quasi impossibile. È il dettaglio che crea l’affezione per l’oggetto in cui si sintetizza l’idea, che mentre pare sfuggire ipnotizza. Una meraviglia di segno che solo una fedelissima riproduzione, attuata con strumenti idonei può rendere. L’appunto necessita in questa rassegna che narra di fili e segni. In Itinerari Incontri 5 di Achille Pace la luce racchiusa nel quadro rende quasi impossibile la copia. Vibra (di sguincio una foto col miglior pixel), ma sarà l’approccio diretto ad attrarre lo spettatore nella devozione e contemplazione dell’opera. In ogni caso, quando lo sguardo più che vedere, inizierà ad osservare. La sua fonda poetica che lascia decantare il segno, e ci incanta. Umanamente.
Ed è possibile che al piano superiore ci sia la quinta sala. E Claudio Marini. Ci sono alfabeti migranti appostati tra cordami acrilici che (ci) liberano dall’annichilimento: perché i segni di ogni linguaggio sono atti di forza che spazzano la propria materia per potersi esprimere, assentandosi in un itinerario disperso ma pur sempre presente. Ricorrente. Le compostizioni di Marini vanno oltre la cifra del costruire, nella lettura critica il repertorio risponde ad un potente assemblaggio di materia, di ingombro e pesi che la società moderna ha creato, e si porta dietro senza soluzioni. La struttura dell’oggetto ideale, il quadro, è anche la fattibilità stessa dell’idea. E giacché nulla stupisce più della realtà, questa va presentata o affrontata, come decisamente Marini assembla.
“Itinerari Incontri 5” (e dettaglio)1990 Achille Pace. Tempera, Stoffa e filo su Tela 150X120
Costruttivo verso il rosso” 1969 Achille Pace. Tempera, stoffa e filo su Tela 50X40 “Itinerario sospeso” 1981 Achille Pace. Tempera, stoffa e filo su Tela 50X40
“Costruttivo azzurro” 1990 Achille Pace. Tempera, stoffa e filo su Tela 50X40
“Alfabeti migranti� (serie) 2014-2015 Claudio Marini. Cordame, acrilico, tessuti e alfabeto Tela 30X30
Francesco Cervelli artista in transito
Sala 6
Anna Onesti Una progressione dell’ascesa, l’appunto sulla dimensione di un viaggio che tira a sé, che si si avvoltola in se stesso, in tutta la sua grandezza meditativa. Si avvita nella spirale di salita (o forse discende, Persefone con i suoi esili) nel paesaggio emotivo di un rifugio riportato allo sguardo. Nel lirismo che impedisce di diventare troppo astratti, il Gran Tour di Francesco Cervelli svolge un’incantata fuga di sintesi all’interno della dimensione intima. Timbri espressivi quasi oracolari e Mondi reversibili. L’elevamento, di durata infinita, è destinato a perfezionare il sapere attraverso un’apertura. Nell’indistinto panorama di una foschia marina, nella scala contaminata di colore: l’onnipotenza del sogno in quel gioco disinteressato del pensiero che André Breton sosteneva liquidasse definitivamente tutti gli altri meccanismi. Tutto il rimando alle dimensioni spaziali al cui interno la scala cromatica si rende metafisica è quello dell’azzurro, come unico colore in possesso contemporaneo di profondità, altezza e distanza. Non a caso anche gli avvenimenti d’ordine miracoloso e soprannaturale amano fasciarsi dei suoi toni più limpidi (Alberto Boatto, Di tutti i colori). Le carte di Mare Verticale di Anna Onesti sono tinte con un colore categorico, assoluto, come il blu oltremare, oltrecielo come un colore d’altana tra le gelosie dell’oblò. Per questo, così osservate mostrano il lato del dramaturg di scena di far agire l’opera. Realizzate con incantevoli tecniche, come Lame arcane o Thanka, simmetrica grammatica del disegno liturgica, psico-cosmogrammi tinti e dipinti con pigmenti organici, la cifra conosciuta e apprezzata da lungo tempo dell’artista.
“Olocausto”1993 Carlo Marchetti Tecnica Mista.“Palma” Mario Schifano
“Grand Tour” 2017 Francesco Cervelli. Olio su cartone. 50X70
“Mondi reversibili� 2013 Francesco Cervelli. Olio su tela 35X45
“ Diatomea 2” Mare Verticale 2005 Anna Onesti. Gouache su collage di carte giapponesi kozo-shi, tinte con il guado e l’indaco naturale, montate su tela 90X120 ...ogni vascello presume dominarti però s’illude Haiku di Riccardo Duranti
“Esche” MareVerticale 2001Anna Onesti. Gouache su collage di carte giapponesi kozo-shi, tinte con il guado e l’indaco naturale, montate su tela 90X120 ...implacabile sfondo a tutte le nostre storie funeste “Avviso ai naviganti” MareVerticale 2001 Anna Onesti. Gouache su collage di carte giapponesi kozo-shi, tinte con il guado e l’indaco naturale, montate su tela 90X120 ...invisibili le cicatrici incise sulle tue onde Haiku di Riccardo Duranti
Paolo Romani artista in transito
Sala
Ferdinando Gatta
Si apre il cielo nella sua incontaminata manna e in confortevoli nubi angelicate muove l’immobile, senza esserci, e si manifesta il divino nel cerchio irreale di una mano inanimata protesa in una pretesa di preghiera. Se volessimo interrogarci solo di astrazione, del concetto che sottointende quei dati sensibili riportati come formula nel sostrato artistico o se volessimo costringere lo spettatore a “leggere” i dipinti letteralmente come cose, fuori da pittura gocciolante o di espressività lirica, potremmo iniziare da un Achrome di Piero Manzoni cominciando ad imparare a perdere le informazioni supreme del colore e approdare alla fotografia di Paolo Romani e Ferdinando Gatta. Tra i due corre un filo comunicativo, per l’occhio fotografico, come tramite, usato rigorosamente in bianco e nero. Colori assoluti che Ferdinando iconizza come schiaffo della realtà, Paolo come carezza. E c’è di più. Gatta rende folgorante l’intuizione del veduto monocromo, Romani attende che la scena venga a costituirsi. Per dare i tempi giusti: l’uno è dotato di una fiera strumentazione tecnologica avanzata, l’altro di una Holga a chiara cifra stilistica, cult. Ma entrambi sanno rendere presenti le cose assenti. E percepire è diverso da accorgersi. La vicinanza tra i due è di somiglianza noumenica, gli ingranaggi che muovono la loro arte sono quelli della rappresentazione esterna e della sensibilità interna. Dico immagini simili alle cose reali o sensazione e concetto tra phantasia e scienza dell’immagine. Tuttavia nelle “costruzioni” fotografiche di Romani, nulla è costruito intenzionalmente anche se lo appare, con presunti appuntamenti all’umanità, sempre presente, o percepibile (cose di cielo), transesperienze. In Gatta prevalendo il senso documentale, si colgono dati e informazioni non comuni, come le abnormi false misure dei monoliti di grande testimonianza.
7
“Rome Otherwise” 2010 Paolo Romani. Scatti con macchina fotografica Holga 6x6/ 50x50
“Rome Otherwise” 2010 Paolo Romani. Scatti con macchina fotografica Holga 6x6/ 50x50
“Monoliti� Berlino 2019 Ferdinando Gatta. Bianco e Nero 74x54
“Monoliti� Berlino 2019 Ferdinando Gatta. Bianco e Nero 74x54
Critical Review
ELIO RUMMA In un periodo in cui le crisi si moltiplicano (economica, sociale, sanitaria, ideologica) l’arte non fa eccezione. Il mistero femminile Infatti, è almeno un trentennio che assistiamo alla stucchevole riproposizione, salvo rare eccezioni, di modelli iconico o torna alla Donna aniconici già sperimentati da decenni. Quasi tutto è definito neo – qualcosa ma, in realtà, dopo le avanguardie storiche 17 marzo 2020 poco si è inventato. La provocazione ha preso il posto della creatività e la critica, in gran parte, è diventata una sorta di juke box in cui infilare la moneta per ascoltare la musica preferita. In Italia, dopo la Transavanguardia, fenomeno più commerciale che artistico, dovuto alla genialità di Achille Bonito Oliva, non abbiamo più assistito a qualcosa di veramente significativo. Certo, vi sono eccezioni: artisti che svolgono una ricerca espressiva seria e riescono a far emergere una personalità, uno stile, che ne fanno apprezzare la qualità insita nelle loro opere. Più semplicemente fanno emozionare, che è poi il vero fine dell’arte. Questi artisti, grazie ad un lavoro continuo ed impegnativo, sono riconoscibili a prima vista tra tante deplorevoli imitazioni dei Maestri del passato. Questa crisi di contenuti ha inciso profondamente anche sul mercato dell’arte e le gallerie che in passato erano centri propulsivi per la scoperta o la proposizione di nuovi talenti oggi, in gran parte, sono diventate botteghe in affitto per presunti artisti un cerca di un po’ di visibilità. Ciò che si è affermato e diffuso negli ultimi decenni è la ricerca di un cinismo protettivo e di protezione che a breve termine, se non già adesso, rischia di diventare mestiere di sopravvivenza a scapito della libertà di opinione ed espressione. Ormai i market-makers, vere e proprie multinazionali dell’arte, preferiscono privilegiare, spesso anche attraverso aste fasulle, artisti di scarse qualità ma proni al dio denaro/successo mediatico. Sono, tuttavia, spregiudicati nel provocare dibattiti di lana caprina, grazie ai loro potenti sponsor, tra i ” cosiddetti” addetti ai lavori.Tanto per fare Elio Rumma, Bruno Aller un solo esempio italiano, e me ne assumo la responsabilità, basti pensare a personaggi come Cattelan che, personalmente, non capisco perché sia considerato un artista internazionalmente riconosciuto. A mio avviso un provocatore di mestiere protetto e sostenuto dai “poteri forti” dell’arte. In questo quadro, ahimè desolante, emergono per fortuna, anche qui in Italia, alcuni artisti che fanno una seria ricerca, sia stilistica che di contenuti, non lasciandosi influenzare dalle mode effimere né da un marketing tipo promozione di detersivi. Una di queste eccezioni è, appunto, Stefania Sabatino, il cui lavoro, raffinato e stilisticamente particolare, esprime un linguaggio di forte impatto visivo ed emotivo. Nelle sue opere il mistero femminile, da sempre usurpato dagli uomini e manipolato in infinite fantasie sempre lontane da una realtà insondabile, è tornato al suo vero padrone, la Donna. La Sabatino, eccezione che conferma la regola, infrange una consuetudine dell’arte contemporanea e non solo e cioè la donna vista e raffigurata da artisti uomini anche per storici e risaputo motivi di potere. Di conseguenza, la donna nell’arte è stata la donna dell’uomo, la costola di cui riappropriarsi: un insondabile alter-ego oggetto di più o meno oscuri desideri e bisogni. Il soggetto femminile nelle opere di Stefania Sabatino è sempre riportato con forme indefinite ma con segni chiari, netti e trasparenti, un non – finito di michelangiolesca memoria addolcito dalla sinuosità delle figure e dall’opulenza carnale delle donne, direi quasi autoritratti, come appunto in molti artisti del Rinascimento e del Barocco. Il disegno è sempre ben definito con mano sicura e padronanza di una tecnica non comune e i colori che fanno trasparire l’anima sensuale e mediterranea dell’artista. Ma la Sabatino non si limita ad essere solo, seppur brava, una pittrice. La sua creatività si esprime in altri modi altrettanto validi:
installazioni, performance, body art. Il suo percorso, negli ultimi anni è andato arricchendosi ed evolvendo verso un’arte totale e totalizzante: le sue figure e composizioni non sono più solo al femminile ma sono diventati “esseri” la cui forza si esalta nella scomposizione e ricomposizione di segmenti corporei che nella frammentarietà riescono a suggerire chiaramente la totalità, l’unicità dell’essere in quanto tale.Dissoltasi, quindi, la storia in tante storie così come le rappresentazioni dominanti nella realtà del quotidiano disciolta in una presa diretta che rifiuta le ideologie frammentandole in intuizioni, pensieri ed ipotesi di nuovi orizzonti, la nostra artista s’incammina su sentieri innovativi che, specialmente nelle sue performance di body art, trovano la trasparenza del colore e la forza di una creatività artistica in continuo movimento. In definitiva, Stefania Sabatino è un’artista universale, fuori dalle convenzioni modaiole del momento, non provoca ma emoziona con una potenza evocativa e una maestria tecnica che, a mio avviso, ne fanno una figura eminente nel panorama delle arti plastiche italiano.
Critical Review BARBARA AUGENTI
Rome OtherwiseE’ necessario avere un caos interiore per poter partorire stelle danzanti. O così, almeno, sosteneva Nietzsche. Ma con la sua composizione fotografica Rome Otherwise, Paolo Romani ha fatto danzare le statue con il cielo 2 maggio 2020 che le ospita. E ci è riuscito, come un mago, attraverso l’incantesimo metafisico della luce. In particolare, qui, con quella nouminosa di nuvole catartiche, come un’inflorescenza di manna, scesa nell’oscurità di un cielo in bianco e nero, ad illuminare l’atmosfera spirituale delle tappe ancora da affrontare e già affrontate da tutto il genere umano (e non solo dal popolo d’Israele nel deserto). La scelta della cornice architettonica ci fa vacillare ogni ipotetico punto di riferimento del nostro campo visivo perché riporta l’occhio di chiunque l’osserva ad una prospettiva profondamente – in tutti i sensi – ed impensabilmente nuova e solennemente eterna. Le nuvole, dapprima come crateri che s’infrangono e poi, o forse allo stesso tempo, come spuma in attesa di lambire tutte le crepe d’argilla e dell’anima nell’uomo, ci riconducono all’antica storia della Tarot e di quella Lama della Torre che altro non è se non la porta del cielo. Sembrano raccontare la storia di una fragilità umana che, svestita di tracotanza, crolla sotto le proprie macerie innalzate d’impotenza; ma che può salvarsi da se stessa, vestendosi del più salutare riserbo e raggiungendo la luce attraversandone l’assenza. In questo scatto, inquadrata di spalle, la statua è come l’uomo, una divinità impaurita. E nella sua solennità, conquistata dalla storia del Tempo – aristotelico motore immobile, impassibile ed eterna – è, però, ad un tratto, anche umile, di una vergogna umana che si chiama timore, con il capo che apparentemente appare chino, abbassato sotto il respiro troppo ampio della volta celeste. Ed allora non si capisce più se questa figura fotografata dallo sguardo rarefatto di Romani sia una divinità composta in un cielo naturale o se le nubi di quel cielo siano l’espressione della divinità sopra una statua umana.
Rome Otherwise
Critical Review BARBARA AUGENTI
Scultura triangolare. Nell’opera Scultura triangolare 2018 dell’artista Carlo Marchetti abbiamo un incontro di filosofia antropologica con tutta la potenza simbolica dell’uomo-artista intento a (ri)creare se stesso. Va, infatti, innanzitutto detto 2 maggio 2020 che è una scultura triangolare composta di legno e sabbia, perché l’opera non si può disgiungere dal suo legame interattivo con la materia che le dà vita e dalla forma che la fa esprimere. E se, da una parte, il triangolo porta in sé l’essenza del numero 3 come emblema dell’unione dei numeri che lo precedono e ci ricorda come sia intimamente legato al concetto stesso di creatività, con il lato verticale che riproduce un aspetto, quello orizzontale che ne riproduce un altro e l’ipotenusa che diventa la loro progenie – nuova forma scaturita dalla combinazione degli altri due – anche i materiali di cui la scultura è composta ci raccontano una storia di creazione e rigenerazione. Il simbolismo del legno è quello dell’energia solare in ascesa, di crescita e nutrimento e dell’inizio della vita mentre la sabbia è figlia dell’opera incessante dei movimenti del vento e del mare, aria e acqua intente in una metamorfosi di frantumazione, erosione finalizzate alla ricostituzione e all’assunzione di forme e colorazioni nuove. Marchetti, difatti, compie attivamente un’azione dialettica con i materiali scelti, assegnando ad essi – entrambi vivi – una parte dinamica e tutt’altro che marginale nella finalità della scultura, proponendo uno scambio altruistico di vita con vita.
Geko Specchio
Nella stessa scelta di rappresentare il profilo umano, l’artista vuole raggiungere la dimensione più fedele ed intimamente caratterizzante (pensiamo alla circumductio umbrae ed al mito legato di Dibutade legato ad essa, che narra come la giovane, per tenere impressa la figura dell’amato in partenza per la guerra, ne avesse ricalcato proprio la sagoma proiettata dall’ombra sul muro) ma al contempo, anche, la più nascosta del nostro volto e la meno familiare allo sguardo. E sceglie di riprodurla optando per una versione della sola metà di un sé umano che sembra inseguirsi in una giostra viva di oscurità e nitidezza. Con questa scultura, l’uomo-artista che crea l’arte creando se stesso, diventa autore di un processo che non può ultimarsi e che pertanto supera la sua stessa finitezza – come lui stesso spiega, tra l’altro, il profilo è anche l’unica forma di ritratto che si può disegnare senza interruzione, con un solo tratto in una linea continua – ma si rivela anche come la creazione che sopravvive al suo ruolo di artefice mortale. “Che opera d’arte è l’uomo – sembra volersi chiedere l’artista – (…) E tuttavia, per me, cos’è questa quintessenza di polvere?” si chiede Amleto (Atto II, scena 2); ma a differenza del personaggio shakespeariano, Marchetti sembra avere la risposta. E ce la offre mostrando l’uomo come un’opera già viva che, autonomamente, entra nelle mani dell’artista ma, al contempo, considerando anche quest’opera come la figlia che trova la propria nascita proprio grazie a quelle stesse mani. Ed il tutto in una stretta correlazione, indissolubilmente inarrestabile, con il processo dell’esistenza stessa.
Resume Artisti
Achille Pace, classe 1923. Uno degli artisti dello storico “Gruppo Uno” – 1962 Roma fondato con Giulio Argan. Considerato un maestro dell’informale e post-informale italiano del dopoguerra. Fondatore e direttore artistico del Museo di Arte contemporanea di Termoli (“Percorsi dell'Astrazione” Villa Mondragone, Monte Porzio Catone, 2007). Claudio Marini, artista, ideatore e curatore di “Arte nell'Orto” giunta alla XIII edizione (“Paura Finita” Palazzo Zenobio, Venezia, 2019. Biennale di Venezia XL. “Fratelli di sale” Palazzo Collicola arti visive, Spoleto, 2016). “Mario Schifano”, artista romano scomparso nel 1998. Icona Pop Art italiana ed europea. Giorgio Galli, artista e scrittore - “Il caldo era intenso”- fonda a Roma con altri artisti il gruppo "Neo astrazione romana” 1977. (“I paesi ritrovati” Story Riders, Torchiara, 2020. “El respiro de la luz” Museo Juan Manuel Blanes, Montevideo, 2019. “La pratica dell'arte e il futuro possibile” Monastero de Saobento, San Paolo Brasile, 2017). Anna Onesti, artista castellana conduce una significatica ricerca creativa sulle tinture organiche con cui colora tele e carte ispirata alle tecniche orientali e affinate dalle pratiche di conservazione e restauro delle carte di cui è esperta. (“Un mondo fluttuante” Casina delle Civette - Musei di Villa Torlonia, Roma, 2020). Francesco Cervelli. (“Le altre Opere_Artisti che collezionano Artisti” Museo Canonica, Roma, 2020. “Italian Contemporary Art of Cross Cultural Vision” Phoenix Ancient City Comm unity-typed Art Museum, China, 2018. Espone al Mahmoud Khalil Museum del Cairo, al Victoria Memoria Hall di Calcutta, alla XV Quadriennale di Roma). Alessandra Di Francesco. (“Fragmentos” Apocryphal gallery 2020. “In –simbiosi” Accademia di Romania, 2013). Stefania Sabatino, artista partenopea (bipersonale “Ambo” con Elio Rumma, Oliveto Citra 2020. Padiglione Campania 54 Biennale di Venezia). Carlo Marchetti, artista e ideatore con Artisti in Transito del Concept OperaDomus (“Art&Dance” Museo contemporaneo MADXI 2020. “Un artista al giorno” MicroArtiVisive 2020. “Eventi 2019” Arte Contemporanea, Sermoneta, 2019). Il maestro ceramista Karin Lindström. (“100T” Röhsska museet Göteborg 2020. “Cento Teiere” Scuderie Aldobrandini, Frascati 2019). Daniela Zannetti, giornalista, scrittrice, artista cura “Silentium”, Operadomus 7IDee+, “Proiezioni”, serie di mostre d'arte online 2020 e gli ExpoSit Frascati, 2019. Realizza la monografia “100T” 2020, “Ecoartisti offresi” 2009. Conduce la fanzine SitN.zero. Partecipa come artista a “Un artista al giorno” MicroArtiVisive, 2020. “Castelli di Scrittori”Frascati, 2013. “T+T” Frascati 2009. “Artiste Tuscolanae” Scuderie Aldobrandini Frascati, ediz. 2008 e 2004. Cecilia De Paolis, special guest dell'evento con “àéYakìtu” un abito disegnato e realizzato per Opera Domus. L'installazione rappresenta Tiāmat, la dea babilonese che stilizza il transito, lo spirito, e il mistero dell’Arte che aleggia nella casa in festa per celebrare il rinnovamento. ("Memoria Tessile" Casa della Memoria e della Storia, Roma. "Land Art al Furlo VII Edizione". Archivio artisti del Museum of American Craft di New York, 2003). Paolo Romani, fotografo, autore di “Elegia siriana”, una esclusiva documentazione fotografica del Medio oriente, e ultima “Roma Otherwise” (Principij Gallerjia, Rjieka Croazia, 2019). I suoi lavori sono stati pubblicati sulla rivista B&W e Silvershotz. Ferdinando Gatta, eclettico autore in b/n (“A Passo d'Uomo” VirusGallery, PERIMETRI, Antigallery Roma, 2020. “Torture” con Joseph De Felici e Amnesty International, Scuderie Aldobrandini Frascati, 2018.)
“Seme Rosso” Carlo Marchetti (collezione privata) Si ringraziano gli sponsor Bliss di Francesco Argirò per i trasporti Opera Domus. L’Azienda specializzata nel settore dei Traslochi, Trasporti e Spedizioni Nazionali ed Internazionali, Deposito per Conto di Terzi, Archivio documenti e servizi di Logistica Integrata, opera su tutto il territorio nazionale ed internazionale. Gli oltre 30 anni di esperienza nel settore traslochi internazionali e trasporto opere d'arte la rendono partner ideale per il loro trasporto e movimentazione internazionale, sia per istituti pubblici che privati. Per il ristoramento, si ringraziano le competenze del gusto di ‘Na Fojetta, Ristorante a Frascati. L’eccellenza del cibo di stagione e della tradizione romana. Nei suoi ambienti arredati con una permanente di stampe antiche di Frascati si svolgono esposizioni di arte contemporanea particolamente gradite da ospiti e artisti. Si ringrazia inoltre Bimed, Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo, il presidente Andrea Jovino. IL B&B Le stanze romantiche di Frascati.
OPERADOMUS2020 Scuderie Aldobrandini Frascati Stampato nel mese di ottobre 2020 Tipografia Monti, Cisterna (LT) copyright Artisti in Transito Tutti i diritti riservati
ISBN 9791220073066 ISBN-A10.979.12200/73066 Artisti in Transito sitnewsfeel@gmail.com
OPERADOMUS2020©
Lo Stepwells di Chand Baori a Jaipur, il Sun Temple di Modhera, il Casotto del nostro caos
ARTISTI IN TRANSITO