Arcimboldo

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Artista milanese tra Leonardo e Caravaggio

a cura di Sylvia Ferino-Pagden



Sylvia Ferino-Pagden

Arcimboldo a Milano

partire dalla sua “riscoperta” negli anni trenta del Novecento, Arcimboldo gode di una popolarità in costante crescita presso un pubblico di giovani e meno giovani. Come confermano i curatori del Louvre, i quadri delle Quattro stagioni di Arcimboldo occupano – dopo la prima mostra monografica tenuta a Parigi e Vienna nel 2007-2008 – il secondo posto nell’interesse del pubblico subito dopo la Gioconda. Ciò dipende senza dubbio dal fatto che il visitatore di un museo che espone opere degli antichi maestri è assolutamente impreparato a dipinti di questo tipo. Ogni metamorfosi o manipolazione del viso colpisce l’occhio; ancor di più quando l’osservatore è messo di fronte a mostri che al posto di occhi, bocca, naso e guance hanno ciliegie e piselli o scampi, tartarughe, anguille e molto altro. Nella nostra attuale cultura, orientata principalmente sull’aspetto visivo (visual turn), e nella nostra società, sempre più edonistica, non stupisce che molti musei e istituzioni mostrino un particolare interesse a presentare Arcimboldo. Che Letizia Moratti, sindaco di Milano, abbia formulato espressamente il desiderio di veder celebrato questo stravagante artista nella sua città natale è dunque più che legittimo. Perciò ci è sembrato ragionevole, dopo l’esposizione di Vienna e Parigi, elaborare un nuovo progetto che per la prima volta prende in considerazione Arcimboldo nel contesto della tradizione artistica locale. La mostra nasce inoltre in stretta collaborazione con la National Gallery of Art di Washington, che ha esposto a sua volta il nucleo fondamentale delle teste di Arcimboldo. Le teste composte di Arcimboldo sono veri e propri paradossi visivi, e di conseguenza ispirano interpretazioni opposte, incompatibili fra loro. Se scrittori famosi come André Pieyre de Mandiargues – che lo definisce un mago dell’illusione – e filologi come Roland Barthes paragonano le sue teste composte alle prassi raffinate della retorica linguistica, ci sono storici dell’arte, come Pierre Rosenberg, che considerano Arcimboldo un pittore mediocre, poco più che un artigiano.

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Dopo la sua riscoperta nell’ambito del dadaismo e del surrealismo, Arcimboldo è stato a lungo considerato come fonte d’ispirazione per la pittura moderna, come è emerso dalla mostra “Effetto Arcimboldo” tenuta nel 1987 a Palazzo Grassi. Se allora Arcimboldo diventava un contemporaneo acronico per il grande pubblico, gli storici dell’arte cominciavano a reinserirlo nel suo tempo e a considerarlo come tipico rappresentante del manierismo. Vale a dire di quell’epoca nella quale ebbe inizio l’età moderna. L’epoca in cui nasce anche la scienza moderna, che studia la natura, la terra e l’universo. L’arte stessa tocca l’apice dell’autocoscienza e dell’autoreferenzialità: esagerazioni di ogni tipo, contorcimenti, anamorfosi, geroglifici, mostri, paradossi, tutto concorre a sottrarsi a un’interpretazione precisa o a un messaggio unico, per fare dello scherzo il tema principale, fine a se stesso. Non era proprio questa fantasia fine a se stessa ad attrarre i surrealisti? Le teste grottesche di Leonardo sono sempre state riconosciute come le fonti di ispirazione e quindi come le radici milanesi delle teste composte di Arcimboldo. Tuttavia sull’origine concreta di queste ultime ci sono convinzioni tra loro molto contrastanti. Con il suo studio apparso nel 1976 sulle teste composte, interpretate alla luce di un componimento poetico creato da un umanista introdotto a corte forse dallo stesso pittore, Kaufmann è entrato a pieno titolo nella storia della ricerca arcimboldesca e ha arricchito le nostre conoscenze con numerose scoperte sull’artista. Suo punto di partenza era proprio il tema dell’iconografia imperiale; la convinzione che Arcimboldo avesse sviluppato l’invenzione di queste teste composte, così originali, solo durante il suo soggiorno presso la corte austriaca era rafforzata dal fatto che le prime teste datate risalivano al 1563, anno in cui Arcimboldo si trovava già a corte. È vero che gli scrittori milanesi quali Lomazzo e Morigia ricordano delle “bizzarrie” fra le opere realizzate da Arcimboldo prima della sua partenza, ma Kaufmann colloca la loro invenzione esclusivamente nel contesto dei letterati uma17



Sylvia Ferino-Pagden

“… e massime con le invenzioni e capricci, ne’ quale egli è unico al mondo” Il rebus Arcimboldo

uesto è Pittore raro, et in molte altre virtù studioso, et eccellente; et dopo l’haver dato saggio di lui, e del suo valore, cosi nella pittura come in diverse bizzarie, non solo nella patria, ma anco fuori, acquistossi gran lode, di maniera, che il grido della sua fama volò sino nell’Alemagna, nella corte Imperiale, et pervenne nell’orecchie di Massimiliano d’Austria, che fu eletto Re di Romani, et dopo successe al padre nell’imperio; di modo che con istanza fece richiedere l’Arcimboldi al suo servigio. Accettò Giuseppe dopo molti prieghi di servire Massimiliano, et l’anno 1562. abbandonò la patria, et andossi alla corte dell´Imperatore, dove fu molto ben veduto, et accarezzato da Massimiliano, et raccolto con grande humanità, et con honorato stipendio lo tolse al suo servigio, mostrandoli molti segni dell´affettione, che egli li portava.”1

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Se oggi guardiamo alle opere documentate di Arcimboldo del periodo milanese per le quali sappiamo che egli consegnò degli schizzi, oppure a quelle alle quali collaborò, come le vetrate del duomo di Milano o gli arazzi di Como o gli affreschi nel duomo di Monza, non è facile rintracciarvi l’occasione di quel “grido della sua fama” che sarebbe giunto fino alle orecchie di Massimiliano II e che avrebbe così portato alla sua chiamata a Vienna come pittore di corte. Arcimboldo giunse alla corte viennese quando Ferdinando I ancora regnava. Anche la prima lettera del marzo 1563, che attesta la sua presenza a Vienna, parla di lui come di “Joseph” pittore del re dei Romani2. Massimiliano regnò come imperatore per soli dodici anni dal 1564 al 1576. Il figlio e successore Rodolfo II confermò l’artista milanese pittore di corte anche quando trasferì definitivamente la sua residenza a Praga; infine, nel 1587 l’imperatore permise ad Arcimboldo di fare ritorno in patria3, a condizione però che continuasse a lavorare per lui. Se dei primi quindici-vent’anni di attività ci è giunto ben poco, dei venticinque anni trascorsi da Arcimboldo a corte sono rimasti tutt’al più venti dipinti raffigu-

ranti teste composte, circa centocinquanta disegni con studi di costumi per le feste di corte e schizzi di slitte nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e forse altri cinque disegni in altre collezioni, se si includono gli studi con autoritratti di Praga e Genova, gli studi per il ritratto di Rodolfo, oggi a Praga, e quelli di una contadina a Madrid4. Inoltre sono circa cinquanta gli studi dalla natura di quadrupedi e uccelli e di alcune piante nei volumi a Vienna, Dresda e Bologna. Ma nell’insieme se si considera che la sua attività si sviluppò lungo un arco di quasi cinquant’anni non disponiamo certo di un ricco catalogo. Tuttavia Arcimboldo occupa una posizione particolare nella lista degli artisti nobilitati in “artisti di corte” redatta da Martin Warnke: non solo Rodolfo II ne confermò la posizione a corte, ma nel 1580 gli concesse il titolo nobiliare con miglioramento dello stemma, per il quale ci si ispirò a quello della nobile famiglia milanese degli Arcimboldi5. Dopo il suo ritorno definitivo a Milano, nel 1587, l’imperatore stesso lo nominò conte palatino concedendogli così un riconoscimento ricevuto da pochissimi altri artisti6. Dalla stessa lista degli artisti nobilitati si ricava che proprio gli imperatori Ferdinando I (cat. 224), Massimiliano II (cat. 221) e soprattutto Rodolfo II furono particolarmente generosi nel conferimento di titoli nobiliari ai loro artisti (cat. 223). Ma il caso di Arcimboldo fu del tutto eccezionale. Anche se nei libri paga figurano altri pittori e scultori italiani impiegati a corte nello stesso periodo – come Giulio Licinio, Giovanni Monte e Antonio Abbondio –, non sapremo mai se essi furono trattati in modo altrettanto familiare dai sovrani7. Solo nel caso di Arcimboldo precise fonti letterarie riferiscono di quello straordinario sentimento di stima reciproca che poteva verificarsi soltanto tra un artista di corte e il suo sovrano. Dopo il suo definitivo ritorno a Milano, Arcimboldo raccolse intorno a sé una cerchia di umanisti e letterati ai quali parlò dei suoi straordinari anni come artista di corte di più imperatori. Questi amici, tra i quali Lomazzo, Morigia e Comanini, furono veramente e profondamente impres153


sionati da tali racconti e riferirono nei loro scritti della straordinaria confidenza tra Arcimboldo e i sovrani. Morigia ad esempio riporta: “Non resterò di dire, che succedendo Massimiliano nell’Imperio del padre, mai fu impedito all’Arcimboldi d’andare dall’Imperatore da qualunque hora che à lui piacesse, come uno de’ piu favoriti, che l’Imperator havesse; et in somma tutta casa d’Austria trattava domesticamente con esso lui, et l’amava per le sue virtù, e nobilissimi costumi”8. Non c’è alcun dubbio che le straordinarie invenzioni di Arcimboldo avessero profondamente stupito la corte, anche se di ciò parlano solo le fonti letterarie milanesi. Ma non è plausibile che la fama di Arcimboldo a corte fosse dovuta esclusivamente a queste teste composte, semplicemente perché gli Asburgo in questo periodo non avrebbero mantenuto un artista di corte solo per queste “bizzarrie”9. Ma allora su cosa risiedeva la fama di Arcimboldo o quali qualità lo resero così interessante per Massimiliano II? Certo non sulle opere religiose del periodo milanese di Arcimboldo. È altamente improbabile che Massimiliano abbia commissionato vetrate disegnate da Arcimboldo; per di più non si sarebbe certo pensato a un italiano per un compito di questo tipo. Lo stesso varrebbe nel caso dei cartoni per arazzi, specialità degli artisti nordici. Sembra che Arcimboldo non sia mai stato incaricato di eseguire affreschi o decorazioni parietali. Questi compiti venivano affidati ad altri italiani: Domenico e Gerolamo Pozzo lavorarono alla decorazione della “Landsrechtstube” del castello di Praga e Giulio Licinio decorò la cappella del palazzo di Presburgo10. Per di più in quella fase della sua vita Massimiliano mostrava forti simpatie per i luterani11. Il suo atteggiamento tollerante nelle questioni di fede lo rendeva, sì, particolarmente benvoluto presso i principi elettori protestanti, ma d’altra parte attirava su di lui il sospetto del padre e dei parenti spagnoli, come si ricava da una lettera del cugino Filippo II: “D’altro canto sono questi frutto dell’amicizia e della confidenza che Vostra Altezza nutre per i principi protestanti; ma si è giunti al punto in cui circola insistentemente voce tra i protestanti che Vostra Altezza non aspetterebbe altro che dichiararsi di fronte a tutti loro compagno di fede”12. Massimiliano certamente dimostrava scarso interesse per le qualità di Arcimboldo nel raffigurare temi religiosi. Nei primi pagamenti alla corte viennese Arcimboldo è definito ritrattista13. Già nella prima lettera del 1563, in cui si parla di uno “Joseph” che, in quanto pittore del sovrano tedesco, doveva copiare tra l’altro un ritratto dell’imperatore Ferdinando I. Dai documenti rac154


Pagina a fronte Jakob Seisenegger (copia da) L’imperatore Ferdinando I, 1580 circa (originale del 1550-1555) Olio su carta applicata su legno, 13,9 x 10,5 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie (cat. 224) Nicolas Neufchatel (attribuito) L’imperatore Massimiliano II Olio su tavola, diametro 19,5 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie (cat. 221) Martino Rota L’imperatore Rodolfo II, 1576-1580 Olio su tela, 51 x 42 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie (cat. 223)

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Fig. 6 Giuseppe Arcimboldo Terra Vienna, collezione privata (riferimenti ad alcuni studi autografi nel cod. min. 42, c. 23r, Vienna, Österreichische Nationalbibliothek) Pagina a fronte Giuseppe Arcimboldo Acqua, 1566 Olio su legno di ontano, 66,5 x 50,5 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie (cat. 214) Alle pagine 182-185 Cat. 214, particolari

maggior parte di essi sono di provenienza mediterranea; unico pesce d’acqua dolce è la carpa. Pure in questo caso le dimensioni non corrispondono41. Tricheco e foca monaca sono minuscoli a paragone del cavalluccio marino, e così il granchio in rapporto alla tartaruga sul busto. Anche qui stupisce nella disposizione l’ironica costruzione della bocca costruita con il muso spalancato dello squalo e l’occhio che appartiene in realtà al pesce luna42. Si suppone che i coralli che si ergono sulla testa siano un’allusione alla corona imperiale; l’elegante collana di perle non è compresa invece nella replica di Bruxelles (cat. 217)43. Innanzitutto questi dipinti intendono rappresentare uno scherzo, vale a dire una sorta di enciclopedia spiritosa, convertita in termini artistici, degli animali raccolti nel serraglio e delle piante coltivate negli orti botanici di Mas180

similiano che venivano studiati dagli scienziati di corte, i quali scambiavano poi le loro opinioni con i colleghi di tutt’Europa44. Le Stagioni erano costituite dagli elementi a esse corrispondenti attraverso le qualità a esse opposte: caldo-freddo e umido/secco. Alla primavera calda e umida corrisponde l’aria; all’estate calda e secca corrisponde il fuoco; l’autunno freddo e secco corrisponde alla terra così come all’acqua l’inverno freddo e umido. In questo accostamento le teste si guardano a vicenda (figg. 7-8). Secondo Empedocle gli umori corporali da cui dipendevano i temperamenti corrispondevano a loro volta agli elementi e quindi anche alle stagioni: il sanguigno all’aria, il collerico al fuoco, il malinconico alla terra e il flemmatico all’acqua45. Arcimboldo volle esprimere in un modo assolutamente originale, che mettesse in luce le sue capacità









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Giuseppe Arcimboldo Slitte a forma di conchiglia, ante 1585 Penna e acquerello celeste su carta bianca leggermente ingiallita, 169 x 223 mm; 175 x 223 mm Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (cat. 41)

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