Dada e Surrealismo riscoperti

Page 1

Arturo Schwarz

dAdA e SURREALISMO

riscoperti

Skira

€ 69,00

dAdA

Arturo Schwarz

e

SURREALISMO riscoperti


18


I

Storia e filosofia della vita di dadaisti e surrealisti Arturo Schwarz

19



Istruzioni per l’uso, ovvero introduzione

Unica, notevole eccezione per quanto riguarda Dada, fu la mostra “Dada” curata esemplarmente da Laurent Le Bon, nel 2005, per il Centre Pompidou di Parigi.

1

Parliamo di “riscoperta” perché la maggior parte delle mostre dedicate a questi due movimenti si sono limitate, quasi sempre1, a presentare i protagonisti più conosciuti, dimenticando quelli – e furono numerosi e non di minor importanza storica – che vi militarono, contribuendo decisamente a precisarne l’etica e l’estetica. Il rapporto tra questi due movimenti fu sia di continuità sia di rottura. Continuità perché entrambi non si limitarono a essere una mera corrente artistica, ma proposero invece anche una filosofia della vita. Di rottura perché la filosofia della vita che li animava fu totalmente diversa. Il titolo di questa mostra avrebbe anche potuto essere: “Dadaismo e Surrealismo: nichilismo ed engagement”. Infatti nulla definisce meglio il loro spirito quanto questi due qualificativi: Dada fu una rivolta per la rivolta senza secondi fini, e quindi senza, nella maggioranza dei casi come preciserò più avanti, alcuna ambizione di carattere etico o estetico. Nichilisti convinti, i dadaisti partivano dalla tabula rasa per negare in modo radicale tutti i valori. Il terzo capitolo di questo saggio, la Cronologia Dada, dimostra ampiamente quanto ora affermato. Il Surrealismo, invece, nacque e si sviluppò sotto il segno dell’engagement, altrettanto radicale, e a tutti i livelli. Anzitutto a quello etico e politico nel senso più esteso del termine, implicando quindi una volontà di rinnovamento – anzi di una vera e propria palingenesi – che non conosceva mezze misure, come si evince dai capitoli Prima fase dell’avventura surrealista e L’Attività politica. La nostra mostra ha anche l’ambizione di illustrare e confermare queste premesse, il suo pregio è di offrire una panoramica, probabilmente unica per la completezza (quasi settecento le opere esposte) e la loro qualità (provengono dai maggiori musei e dai più selettivi collezionisti) dei soli due movimenti artistici delle avanguardie storiche che, oggi più che mai, hanno conservato la loro attualità e la loro carica eversiva. A proposito del tentativo di presentare un panorama della dimensione estetica di questi due movimenti, duole am21

mettere che sono assenti alcuni capolavori – come sempre succede quando l’ambizione del curatore è così esigente – particolarmente significativi, ma gli ostacoli, in alcuni casi, sono stati insormontabili: l’opera richiesta era impegnata in un’altra mostra oppure era troppo fragile per essere spostata. In compenso, il visitatore scoprirà molti protagonisti ingiustamente dimenticati o trascurati (sono duecento gli artisti che presentiamo). Dada e il Surrealismo sono molto più ricchi di quanto molte mostre – che si limitano a esporre solo i nomi più noti – lasciano supporre. Spero quindi che il piacere di scoprire tanti artisti “nuovi” compenserà, penso ampiamente, le inevitabili lacune. Soffermiamoci, per un attimo, sull’origine ideologica del Dadaismo e del Surrealismo, anche perché queste due filosofie della vita e dell’arte, nonostante certe premesse comuni, furono quasi subito conflittuali. Singolare destino quello del Dadaismo. Per cinquant’anni è stato ignorato pressocché completamente sia dal pubblico di lettori e collezionisti, sia dagli “addetti ai lavori” – storici e critici letterari e artistici. Poi ci si è accorti che questa corrente, dimenticata da tutti – nata dopo i fauve, i cubisti, i futuristi, gli astrattisti, gli espressionisti, e che precedette solamente i surrealisti – ha inciso, in modo determinante, sulle teorie e la prassi dell’avanguardia contemporanea di questo dopoguerra. Dada e il Surrealismo sono stati gli unici due movimenti dell’avanguardia storica a non essersi limitati a una rivoluzione visiva, ma a propugnare invece una rivoluzione culturale, nel senso maoista di “rivoluzione ininterrotta” e di abolizione dell’antinomia tra teoria e pratica. Mentre gli altri movimenti di quegli anni proponevano una nuova ricetta culinaria – limitandosi alla ricerca di una nuova tavolozza pittorica o di un’inedita ristrutturazione dei volumi – Dada e il Surrealismo suggerivano una nuova filosofia della vita che contestava, tra l’altro, anche il senso della sperimentazione puramente formale dell’artista, ingabbiato in un ruolo


2

Planck, Dove va la Scienza.

elitario dalla sua specializzazione, e vittima consenziente della divisione del lavoro. Così, queste due correnti di pensiero, contrariamente a tutti i movimenti dell’avanguardia storica che le hanno precedute o accompagnate, non sono sorte in seguito all’iniziativa di pittori, ma a quella di poeti e letterati. Ricordiamo solamente i più noti tra i dadaisti: Arthur Cravan in Francia, Hugo Ball e Tristan Tzara a Zurigo, Richard Huelsenbeck, Wieland Herzfelde e Franz Jung a Berlino, Lajos Kassak a Budapest. Tra i surrealisti: Louis Aragon, André Breton, Paul Éluard, Benjamin Péret e Philippe Soupault. I pochi artisti che ebbero un ruolo iniziale importante sono quelli che, appunto, rifiutarono di essere considerati solamente tali: Marcel Duchamp metteva al bando la pittura “puramente retinica” e le contrapponeva una pittura mentale. Per abolire la spaccatura tra la vita e l’arte, nel 1913, ideò il Readymade – l’oggetto manufatto d’uso quotidiano elevato al livello dell’opera d’arte per il solo fatto di essere stato consacrato come tale dall’artista – anche se la scelta, contrariamente all’opinione comune, era governata da quattro rigorosi criteri sui quali mi soffermerò più avanti. Francis Picabia, Man Ray, Max Ernst, Raoul Hausmann e Kurt Schwitters battono strade mai percorse prima e, come Duchamp, sono più poeti e pensatori che “artisti” nel senso tradizionale che aveva allora questo termine. Insomma, che fossero poeti, scrittori o pittori, tutti questi precursori rifiutarono di sottomettersi alla divisione del lavoro, di appartenere a una categoria professionale castrante, di recitare un solo ruolo, di leggere una sola partitura. Così, la produzione letteraria e poetica di artisti quali Jean Arp, Picabia, Ernst, Hausmann, Schwitters, Duchamp, Kassák, Theo van Doesburg – per citare solo i primi nomi che vengono in mente – è altrettanto impegnata quanto quella artistica. Torniamo all’inizio del secolo scorso per capire perché Dadaismo e Surrealismo abbiano rappresentato una rottura cosciente e radicale di una tradizione plurimillenaria. Nel 1933, Max Planck aveva già diagnosticato il momento di crisi generale di tutti i valori che l’umanità stava vivendo: “È un momento di crisi, nel senso letterale della parola. Si direbbe che in ogni ramo della nostra civiltà materiale e spirituale siamo arrivati a una svolta critica”2. Anche l’artista – o, forse, l’artista più di altri – insorge contro le tavole del conformismo tradizionale e fa del proprio lavoro una testimonianza diretta 22

del momento storico in cui si trova a vivere. Tutte le leggi e gli imperativi che chiudevano il suo orizzonte gnoseologico ed esistenziale sono scetticamente sospesi e finalmente respinti. Una radicale problematicità investe l’intero codice della saggezza e della sapienza ereditarie. Urge violare quelle norme di “ragionevolezza” e di “buon senso” borghesi che, rivoluzionarie esse stesse alle origini, avevano preteso di trasformare in “naturale” la loro effettiva dimensione “storica”. Così il dadaista spinge ai limiti estremi la carica eversiva che era contenuta, alle origini, negli stessi termini ultimi della cultura romantica, e la dialettica di “ordine” borghese e “avventura” anarchica si pone, in concreto, sul piano estetico, come dialettica di “imitazione” e “invenzione”, cioè appunto nei medesimi termini in cui si era collocata all’inizio della rivoluzione romantica, ma rovesciandone il significato. All’inizio del Novecento, un artista o un poeta aveva davanti a sé, molto schematicamente, due direzioni possibili: perseverare nello stile della tradizione, dell’“ordine”, accettando un ruolo di semplice epigono, oppure rinnovare radicalmente i termini dell’espressione artistica e letteraria, scegliendo la strada dell’“avventura”. A questo punto Dada proclama la volontà di interrompere, con la sua tabula rasa, la continuità storica col passato. “A questo punto”, ma quando? La maggior parte degli storici dell’arte stabiliscono la data di nascita del movimento Dada nel febbraio 1916, e cioè all’apertura, a Zurigo, del Cabaret Voltaire, per iniziativa di Hugo Ball e della sua compagna Emmy Henning, con la collaborazione di Arp, Huelsenbeck, Marcel Janco e Tzara. Come ogni data storica anche questa è ingannatrice. Se ci si riferisce a Dada a Zurigo, allora bisogna spostare l’atto di nascita dello spirito Dada in Svizzera di quasi tre anni, cioè al dicembre 1918 quando, nel terzo fascicolo di Dada, viene pubblicato il Manifeste Dada 1918 di Tzara. Sino a quel momento, infatti, Dada rimane un movimento genericamente innovatore che differisce poco o niente dalle altre correnti dell’avanguardia storica. Così accoglie tra i suoi collaboratori, e tra gli espositori alle sue collettive, cubisti, futuristi, astrattisti ed espressionisti. Questo eclettismo è particolarmente evidente nei primi due fascicoli di Dada in cui appaiono pêle-mêle testi di Alberto Savinio, Francesco Meriano e Nicola Moscardelli e illustrazioni di Pablo Picasso, Robert Delaunay, Vasilij Kandinsky e Giorgio de Chirico. Le mostre della Galleria Dada sono altrettanto generi-


3 Vedi il mio Notes and Projects for the Large Glass, Thames & Hudson, London 1969. 4 A propos of Readymades, conferenza inedita tenuta al simposio per la mostra The Art of Assemblage, Museum of Modern Art, New York, 19 ottobre 1961; prima stesura pubblicata in Art and Artists (Londra), I:4 (luglio 1966), p. 47. La mia citazione è presa dal testo finale inedito che mi è stato dato da Duchamp.

che e ospitano, per esempio, oltre a cubisti e astrattisti, anche il gruppo espressionista Der Sturm di Berlino. Se ci si vuol riferire invece alla nascita delle prime manifestazioni dello spirito Dada in Europa, allora bisogna anticipare la data di almeno quattro anni. Infatti è nell’aprile del 1912 che Cravan pubblica a Parigi Maintenant, primo prototipo del periodico Dada. L’anno seguente si organizzano a Praga e in Russia serate che anticipano le celebri serate Dada di Zurigo, Parigi e Berlino: a Praga ne è responsabile Jaroslav Hasek, in Russia il trio di poeti futuristi David Burljuk, Vladimir Majakovskij e Vasilij Kamenskij. A Neuilly, sempre nel 1913, Duchamp precorre l’estetica Dada per il suo carattere iconoclastico con la sua Ruota di bicicletta. Mentre, con il suo opus magnum, La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (1915-23), ispira la tematica surrealista. A questo proposito, dato il carattere archetipale che assunse subito il Readymade nell’iconografia contemporanea, mi si consenta una digressione per dissipare l’impressione che chiunque, nel tentativo di imitare Duchamp, sia in grado di prendere un oggetto di serie e di promuoverlo alla dignità d’un oggetto d’arte per il solo fatto di averlo scelto e firmato. Troppo facile. Si dimentica che non vi è opera di Duchamp che non sia il frutto di quello che ho definito altrove “il rigore dell’immaginazione”. Ed è proprio questo rigore – sempre esacerbato con Duchamp – che lo inciterà a promulgare le quattro condizioni che governano il processo di trasformazione d’un oggetto comune in un’opera d’arte. La regola iniziale stabiliva che bisognava “spaesare” l’oggetto, riproporlo con l’angolo visuale di percezione cambiato al fine di “de-contestualizzarlo”. Ad esempio, per il primo Readymade della storia, la Ruota di bicicletta (1913), la ruota fu montata su uno sgabello; mentre con il secondo, il Portabottiglie (1914), egli decise di sospenderlo al soffitto. Ma tale spaesamento di carattere fisico non bastò. Per i successivi Readymade Duchamp aggiunse un altro fattore di spaesamento, questa volta di carattere semantico, che potesse rafforzare l’effetto del primo, e cioè dare all’oggetto un titolo – che egli definì con me “un colore verbale”. Lo scopo era quello di trasportare la mente dello spettatore verso altre regioni, più mentali, e quindi il titolo non doveva essere descrittivo e tanto meno avere un rapporto logico con l’oggetto stesso. Si trattava, infatti, di scoprire la dimensione poetica dell’oggetto scelto. Possiamo capire quanto fosse importante 23

questa operazione leggendo la sua nota 583, datata gennaio 1916, dove Duchamp si proponeva di trovare un titolo per il Woolworth Building; dato che non vi riuscì, egli rinunciò a considerarlo un Readymade. Esempi riusciti di questa operazione verbale sono stati, tra gli altri, In Anticipo del braccio rotto (1915), che altro non è che un comune badile per la neve; l’anno seguente attribuisce alla fodera di una macchina da scrivere il titolo Pieghevole da viaggio (1916), ed ecco arrivare, poco dopo, la celeberrima Fontana (1917), che è un semplice orinatoio. Sempre più esigente con se stesso, Duchamp stabilisce poi una terza regola dal carattere evanescente. Egli ritiene sia necessario pianificare un incontro con l’oggetto che diventerà un Readymade. Postula così che, tra l’artista e l’oggetto, vi sia “una specie d’appuntamento. Naturalmente bisognerà datarlo tale data, ora minuto” (nota 54). Un esempio classico del caso è il Pettine (1916), sul dorso del quale Duchamp scrisse con la biacca bianca, in caratteri minuscoli, oltre al titolo, anche la data e l’ora dell’incontro: 3 ou 4 gouttes de hauteur n’ont rien à faire avec la sauvagerie – Feb 17 1916 11 A.M. Insomma, l’appuntamento tra l’oggetto scelto e l’artista doveva avere un carattere “sincronico” – nel senso che Jung aveva dato a questo termine. La quarta regola che Duchamp impose a se stesso, per non scadere nell’atto ripetitivo, fu quella di “limitare il numero dei Readymade scelti in un anno” (nota 53). Più tardi spiegherà: “Molto presto mi resi conto del pericolo di ripetere indiscriminatamente questa forma di espressione e decisi di limitare a un piccolo numero la produzione annuale di Readymade. A questo punto comprendevo che, più ancora per lo spettatore che per l’artista, l’arte è una droga che dà assuefazione, e volevo proteggere i miei Readymade da una simile contaminazione”4. Ma torniamo a Dada, e ricordiamo che non fu mai una scuola ma uno “stato d’animo”, un incontro tra giovani arrabbiati accomunati dallo stesso spirito libertario. Oggi assistiamo a una vera e propria rinascita di questo spirito perché le condizioni sociali e filosofiche dell’ultimo ventennio sono molto simili a quelle che avevano favorito lo sviluppo di Dada negli anni 1916-1923. È chiaro però che la rivolta, appunto perché tale, non può ripetere i gesti precedenti. Ricadrebbe in un nuovo conformismo, condannerebbe i suoi protagonisti al ruolo d’epigoni. Eraclito lo ricorda: non si può entrare due volte nello stesso fiume. Ogni generazione scoprirà


dunque i propri strumenti di rivolta e creerà la rivolta a sua immagine e somiglianza. Ne siamo d’altronde testimoni. Probabilmente stiamo vivendo un secondo Rinascimento. Intuirlo, cercare di capirlo, è una sensazione esaltante poiché non vi è più esplicito atto di fede nelle possibilità dell’uomo quanto quello nella sua creatività. E la creazione è sempre vitale per essenza e ottimista per natura.

5 Ne l’ultimo capitolo della Parte Quarta ne do il regesto.

Spero non sia necessario ricordare l’importanza considerevole che ha avuto il Surrealismo nella cultura della nostra epoca, importanza che oggi non è certo diminuita – anche se agisce in modo più sotterraneo – se pensiamo all’attuale ampia diffusione internazionale dei gruppi surrealisti – oltre una ventina disseminati tra l’Europa, le Americhe, l’Asia, l’Oceania e l’Africa – e all’abbondanza delle loro pubblicazioni (oltre duecento periodici)5. Puntualizziamo però che, a sua volta, il Surrealismo non è certo nato nel 1924, con il primo Manifesto del Surrealismo redatto da Breton, ma nel 1914. Limitiamoci a ricordare – ora solo succintamente, vi tornerò nel quarto capitolo – le circostanze che condussero Breton a scoprire, tra il 1914 e il 1918, gli scrittori che ebbero un ruolo determinante nello sviluppo del pensiero surrealista: Arthur Rimbaud, Jacques Vaché, Alfred Jarry, Guillaume Apollinaire, Sigmund Freud e Lautréamont. La corrispondenza con l’amico Théodore Fraenkel rivela che risale al 1914 l’ammirazione di Breton per Rimbaud – noto allora a un numero molto esiguo di letterati. In una lettera del 16 agosto 1914 a Fraenkel, Breton cita a lungo l’Alchimie du verbe di Rimbaud, in cui vede un capolavoro assoluto. Rimbaud incarna, per Breton, la figura del poeta veggente capace di giungere, grazie allo “sregolamento di tutti i sensi”, a una visione trascendente della realtà. Due anni dopo, all’inizio del 1916, Breton fa un secondo importante incontro, quello con Jacques Vaché, il cui lato libertario si esprimeva nel rifiuto dell’intero edificio del pensiero borghese, arte compresa. Nel 1916 Breton scopre anche Jarry: “Noi affermiamo – dirà Breton – che con Jarry viene a trovarsi contestata, e finirà poi annullata nelle sue stesse basi, la distinzione fra arte e vita che a lungo si era ritenuta necessaria”. Questo tema dell’abolizione delle polarità conflittuali, e fra esse la dualità di arte e vita, è, ben lo sappiamo, ricorrente negli scritti di Breton. L’altro incontro capitale del 1916 fu quello con Apollinaire. In Apol24

linaire egli ammirò appassionatamente il poeta. In un articolo scritto nel 1917, e pubblicato alcuni giorni dopo la morte di Apollinaire, troviamo un’anticipazione di molti fra i temi che saranno sviluppati sette anni dopo nel primo Manifesto del Surrealismo. In primo luogo, oltre all’importanza del meraviglioso e la necessità di inventare un nuovo linguaggio poetico, anche il ruolo della sorpresa. Anticipato da Lautréamont, l’inclusione nella poesia di elementi ready-made stampati o verbali è riconosciuto come un fattore fondamentale dell’immagine poetica. Nella poesia di Apollinaire, Breton – che sottolinea l’importanza che vi assume l’erotismo – riconobbe inoltre quel tipo peculiare di humour nero di cui Jarry e Vaché furono gli interpreti più memorabili. Freud fu l’ultima scoperta cruciale fatta in quel memorabile 1916. In quegli anni lo psicanalista viennese era quasi sconosciuto in Francia – la traduzione francese di una sua opera fu edita a Ginevra solo nel 1921. All’inizio della guerra Breton era uno studente di medicina. Fu nel corso delle sue letture psichiatriche che egli scoprì Freud. Lo colpirono la qualità poetica delle associazioni verbali spontanee dei malati mentali, e la scrittura automatica derivò proprio da queste osservazioni. Ricordiamo pure che il suo primo testo automatico, Usine, fu pubblicato tre anni dopo, nel settembre 1919, in Littérature. In Lautréamont – anch’egli quasi totalmente sconosciuto allora, e infatti Breton lo leggerà solo nel 1918 – egli trovò la “rivelazione totale” e la conferma di tutte le proprie intuizioni; l’anticipazione dello spirito moderno in tutti i suoi aspetti più sovversivi; l’importanza del linguaggio e della poesia, strumento di conoscenza destinato a illuminare la via verso la rivoluzione; il ruolo fondamentale dell’immaginazione (e della sorpresa); il rifiuto dell’aspetto utilitario-borghese delle attività intellettuali; il significato più profondo della crisi di tutti i valori. Nel suo celebre saggio del 1928, Il Surrealismo e la pittura, Breton rilevava che assegnare all’arte soltanto una funzione mimetica ne snaturava e ne limitava la natura: “Un’idea molto limitata dell’imitazione, indicata all’arte come fine, è all’origine di un grave equivoco che vediamo prolungarsi sino ai nostri giorni. Partiti dal presupposto che l’uomo sia capace soltanto di riprodurre, più o meno felicemente, l’immagine di ciò che lo tocca, i pittori si sono mostrati sin troppo concilianti nella


Si veda in proposito, qui il quinto capitolo. E inoltre il mio Breton e Trotsky. Storia di un’amicizia (1974); Erre Emme Edizioni, Bolsena 1997, terza ristampa; e L’Avventura surrealista. Amore e rivoluzione, anche, Erre Emme Edizioni, Bolsena, 1997, pp. 29-51. 7 Elencati in coda nei capitoli II e III della Parte Quarta di questo catalogo. 8 “Second Manifeste du Surréalisme” (1930), in Manifesti del surrealismo, Einaudi, Torino 1966, pp. 75-76. 9 “Rupture inaugurale” (21 giugno 1947), in Jean-Louis Bédouin, Storia del surrealismo dal 1945 ai nostri giorni, Schwarz Editore, Milano 1966, pp. 255-63. Questa dichiarazione raccoglieva un elevato numero di firme: Adolphe Acker, Sarane Alexandrian, Maurice Baskine, Hans Bellmer, Joë Bousquet, Francis Bouvet, Victor Brauner, André Breton, Serge Bricianer, Roger Brielle, Jean Brun, Gaston Criel, Antonio Dacosta, Pierre Cuvillier, Frédéric Delanglade, Pierre Demarne, Matta Echaurren, Marcelle et Jean Ferry, Guy Gillequin, Henry Goetz, Arthur Harfaux, Jindrich Heisler, Georges Henein, Maurice Henry, Jacques Hérold, Marcel Jean, Nadine Kraïnik, Jerzy Kujawski, Robert Lebel, Pierre Mabille, Jehan Mayoux, Francis Meunier, Robert Michelet, Nora Mitrani, Henri Parisot, Henri Pastoureau, Guy Péchenard, Candido Costa Pinto, Gaston Puel, René Renne, Jean-Paul Riopelle, Stanislas Rodanski, N. e H. Seigle, Claude Tarnaud, Toyen, Isabelle e Patrick Waldberg, Ramsès Younane. 6

scelta dei loro modelli”. Nell’arte dei surrealisti predomina l’esigenza della fedeltà al “modello interiore”, non vi è posto per una ricetta estetica o un cliché figurativo: niente accomuna la pittura di Max Ernst, André Masson, Man Ray, Joan Miró o Yves Tanguy (per citare solo alcuni dei partecipanti alla prima collettiva surrealista del 1925); niente salvo, appunto, una comune esigenza ideale – quella d’essere fedeli a se stessi e non, certamente, la preoccupazione di fare una “bella pittura”. Le esigenze estetiche passano quindi in second’ordine dal momento che primeggia la volontà di esprimere, con la maggiore autenticità possibile, i propri sogni e desideri, la propria visione del mondo. È un fatto occasionale anche se non irrilevante che questa esigenza abbia prodotto alcuni tra i maggiori capolavori dell’arte moderna e contemporanea. Quello che conta, per il surrealista, è la valenza iniziatica ed eversiva dell’opera. Il criterio che permette di decidere se un’opera plastica è surrealista, “è forse necessario ripeterlo? non è di ordine estetico”, confermerà Breton, aggiungendo: “Quello che qualifica l’opera surrealista è, prima di tutto, lo spirito con il quale è stata concepita. Se si tratta di un’opera plastica, il valore che le diamo può essere funzione o del sentimento di vita organica che libera o del segreto di una nuova simbologia che porta in sé”. Da quanto precede risulta evidente la fallacia della posizione di alcuni critici e storici dell’arte secondo i quali il Surrealismo è nato dal Dadaismo, oppure, alternativamente, che ne costituisce la continuazione. Anzitutto, come già ricordato, le premesse teoriche erano totalmente diverse. I dadaisti rifiutavano in blocco tutta la tradizione filosofica e pittorica del passato, volevano partire dalla tabula rasa. I surrealisti, al contrario, sono affascinati dal pensiero di alcuni dei grandi filosofi del passato: da Eraclito, Parmenide ed Empedocle, a quelli più vicini a noi quali Spinoza, Hegel, Marx, Novalis, Fourier o Freud. Inoltre si riallacciano alla grande corrente del Romanticismo. In campo artistico, oltre alla loro predilezione per l’arte etnografica, ammirano, tra gli altri, i Maestri di Avignone, Hieronymus Bosch, Jean Fouquet, Mathias Grünewald, Gustave Moreau, Odilon Redon, Henri Rousseau (detto Il Doganiere), Paolo Uccello e Seurat. Altra differenza fondamentale: mentre nel Manifesto Dada del 1918 non vi è traccia di una posizione politica – coerentemente con lo spirito nichilista del movimento – i surrealisti, sin dal25

l’inizio della loro attività, hanno militato con le forze della sinistra non stalinista6. In conclusione, vorrei precisare che la mia ambizione è stata quella di essere il più fedele possibile – anche dal punto di vista filologico – alla storia di questi due movimenti e quindi gli artisti presenti in questa rassegna sono esclusivamente quelli che hanno partecipato, in prima persona, a queste due esperienze tutt’ora, come già detto, più vitali che mai. Per motivi di spazio ho chiuso la scelta degli artisti surrealisti a quelli che hanno esposto nelle collettive surrealiste vivente Breton, e quindi al 1965. Ciò nonostante, il movimento surrealista ha continuato a svilupparsi, non solo in Francia, ma anche nelle due Americhe e in Europa. L’elenco dei periodici surrealisti (dal 1919 al 2009) così come quello delle mostre collettive surrealiste (dal 1925 al 2009)7 sono la migliore risposta ai becchini impazienti di seppellire questo movimento. Il Surrealismo – è necessario ricordarlo ancora una volta? – è una filosofia della vita, un modo di viverla, uno stato d’animo. È nato, come ricordava Apollinaire, con l’uomo che inventò la ruota. Dal canto suo, anche Breton aveva affermato che l’attività surrealista “non corre alcun serio rischio d’aver termine, finché l’uomo sarà in grado di distinguere un animale da una fiamma o da una pietra”8. Nel 1947, in una delle prime dichiarazioni collettve del dopoguerra, vi si confermava, “Il surrealismo è quello che sarà”9.


000

000

138


000

III

139

Le opere e gli artisti


PRECURSORI E COMPAGNI DI STRADA


Marc Chagall Casa a Peskowatik, 1922 Acquaforte e puntasecca su carta, 17,6 ✕ 20,4 cm Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Donazione Arturo Schwarz, Roma

Marc Chagall Pokrowskaja a Witebsk, 1922 Acquaforte e puntasecca su carta, 17,8 ✕ 21 cm Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Donazione Arturo Schwarz, Roma

141

Marc Chagall Davanti alla porta, 1922 Acquaforte e puntasecca su carta, 21 ✕ 15 cm Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Donazione Arturo Schwarz, Roma


Fleury-Joseph Crépin N° 21, 19 febbraio 1948 Olio su tela, 61 ✕ 51 cm Collection Wachsmann

Giorgio de Chirico Piazza surrealista e paesaggio, 1915 Matita e china su carta, 29,7 ✕ 33,3 cm The Israel Museum, dono di Marc Engelhard, Parigi, con il supporto di Les Amis Français du Musée d’Israël, Gerusalemme

142


Giorgio de Chirico L’énigme d’un départ (L’enigma di una partenza), 1916 Olio su tela, 65 ✕ 50 cm Collezione privata

143


Giorgio de Chirico Bagno misterioso, 1934 ca Matita su carta, 28,3 ✕ 22 cm, The Israel Museum, dono di Frank Giraud, New York, agli American Friends of the Israel Museum, Gerusalemme

Giorgio de Chirico Nel paese della gatta fata, 1944 Matita e inchiostro su carta, 29 ✕ 25,5 cm Collezione privata, Milano

144


Marcel Duchamp Jeune homme et jeune fille dans le printemps (Giovane e fanciulla in primavera), 1911 Olio su tela, 65,7 ✕ 50,2 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Marcel Duchamp Mariée (Sposa), 1912-37 Collotipia colorata con stencil su cartone, 33,8 ✕ 19,5 cm Collection Louise et David Fleiss, Parigi

145


Vassilij Kandinsky Umsomehr (Anche di più), 1933 Olio su tela, 69 ✕ 69 cm The Israel Museum, lascito di Kay Merrill Hillman, New York, agli American Friends of the Israel Museum, Gerusalemme

Vassilij Kandinsky Fixed (Fisso), 1935 Olio su tela, 73 ✕ 60 cm The Israel Museum, dono di David e Tanya Josefowitz, Londra, Gerusalemme

146


Paul Klee Paesaggio mistico con verme sulla terra, 1917 Matita su carta, 19,5 ✕ 14 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Paul Klee Paesaggio mobile, 1935 Matita su carta, 18 ✕ 27 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

147


Paul Klee Bemerkungen zu einer Gegend (Commenti su una regione), 1937 Acquerello, carboncino, vecchi giornali, impasto di gesso incollato su carta, 48 ✕ 32 cm The Israel Museum, dono di Jan e Ellen Mitchell, New York, tramite la American-Israel Foundation, Gerusalemme

148


Paul Klee Senza titolo n. 161, 1923 Disegno a olio e acquerello su carta di seta, 29,1 ✕ 22,4 cm Collezione privata, Milano

Paul Klee Tierfreundschaft (Gioia animale), 1923 Penna su carta, 15,5 ✕ 24,5 cm Collezione privata, Milano

149


ARTISTI PRESENTI O ATTORNO ALLA MOSTRA DELLA GALERIE PIERRE, PARIGI, 1925


Jean (o Hans) Arp Avant ma naissance (Prima della mia nascita), 1914 Collage, 11 ✕ 9 cm Galerie Natalie Seroussi, Parigi

229

Jean (o Hans) Arp Senza titolo, 1919 Inchiostro su carta, 27,5 ✕ 21,5 cm Collection Natalie et Léon Seroussi

Jean (o Hans) Arp Senza titolo, 1919 China su carta, 27,5 ✕ 21,5 cm Collection Natalie et Léon Seroussi


André Breton Gant de femme aussi... (Anche guanto di donna…), 1928 ca Bronzo, 8 ✕ 19 cm Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Donazione Arturo Schwarz, Roma

André Breton Plan astrologique (Schema astrologico), 1930 Matite colorate e inchiostro su carta, 29 ✕ 15,5 cm Collezione privata, Milano

234


André Breton Portrait de Paul Eluard (Ritratto di Paul Eluard), 1930 Fotomontaggio, 26,5 ✕ 23,5 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

235


André Breton Chapeaux de gaze, garnis de blonde... (Cappelli di garza, decorati con bionda…), 1934 Collage su carta, 17,5 ✕ 21,5 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

236


André Breton Page-objet (Pagina-oggetto), 1934 Scatola di legno e vetro, 3,5 ✕ 10 ✕ 5 cm Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Donazione Arturo Schwarz, Roma

237


André Breton Rêve-Objet (Sogno-oggetto), 1935 Assemblage: cartone, fotografie, specchio e pelliccia sintetica, 41,5 ✕ 43,7 ✕ 4,8 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

André Breton Senza titolo Decalcomania e collage, 15,6 ✕ 11,7 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

238


Robert Desnos Un ange est passé dans cette petite tête (Un angelo è passato: momento di silenzio in questa testolina), 1922 Matita e acquerello su carta, 48,5 ✕ 31,8 cm Mark Kelman, New York

239

Max Ernst Typoskript-Manifest (FaTaGaGa) (Dattiloscritto-manifesto [FaTaGaGa]), 1920 Collage e frottage su carta dattiloscritta, 28,4 ✕ 22,5 cm Collection Natalie et Léon Seroussi

Max Ernst Re=De Laut! Sei Tap=Fer! (Parla ad alta voce! Sii coraggioso!), 1920 Collage su cartone, 28,5 ✕ 33,3 cm Collection Natalie et Léon Seroussi


Max Ernst Le verre (Il bicchiere), 1923 Olio su tavola, 35 ✕ 24,7 cm Collezione M. Carpi

Max Ernst Forêt (Foresta), 1920 Olio e collage su cartone, 21 ✕ 32 cm Collezione privata, Milano

240


Max Ernst La mer (Il mare), 1925 Olio su tela, 74 ✕ 61 cm Triton Foundation, Olanda

241


Max Ernst Un monde perdu (Un mondo perduto), 1925 Frottage su carta, 11 ✕ 21 cm Collezione privata, Milano

Max Ernst Un coup d’œil sur la nature et ses environs (Colpo d’occhio sulla natura e i suoi dintorni), 1925 Frottage, 20,5 ✕ 16 cm Collezione privata, Milano

242

Max Ernst Marceline-Marie sortant de la mer anthropofase toutes mes sources aut un alibi et mon corps se couvre de cents fissures profondes (Marceline-Marie uscendo dal mare divora ogni mia fonte aut un alibi e il mio corpo si copre di cento fessure profonde), 1929-30

Collage su carta, 15 ✕ 19,5 cm Collezione privata, Milano


Max Ernst Oiseau en cage (Uccello in gabbia), 1926 Olio su tela, 27 ✕ 22 cm Collezione privata, courtesy Galerie Interart, Ginevra

243


Max Ernst Collage per La jeune fille qui voulait entrer au Carmel… de par la grâce du très invisible fiancé (La fanciulla che voleva entrare al Carmelo… per grazia dell’invisibilissimo fidanzato), 1929-30 Collage, 7,3 ✕ 9,5 cm Mark Kelman, New York

Max Ernst Loplop présente. La Belle Saison (Loplop presenta. La bella stagione), 1930 ca Olio su tela, 38 ✕ 46 cm Thyssen-Bornesmisza Collections

244

Max Ernst Collage per La jeune fille qui voulait entrer au Carmel… sous mon blanc vêtement, dans mon colombodrome, vous ne serez plus pauvres, pigeons tonsurés… (La fanciulla che voleva entrare al Carmelo… sotto la mia veste

bianca, nel mio colombodromo, non sarete più poveri, piccioni con la tonsura), 1929-1930 Collage, 7,6 ✕ 9,6 cm Mark Kelman, New York


Max Ernst Mur devant soleil (Muro davanti a sole), 1931 ca Collage e olio su tela, 73 ✕ 54 cm Collezione privata

245


Max Ernst Loplop présente (Loplop presenta), 1932 Matita e collage su carta, 64,8 ✕ 49,8 cm Collezione privata

Max Ernst Loplop présente Chimaera (Loplop presenta Chimera), 1932 Collage e matita su cartone, 49,6 ✕ 64,4 cm Collezione privata, courtesy of Galerie Interart, Ginevra

246


Max Ernst A Moment of Calm, 1939 Olio su tela, 169,8 ✕ 325 cm National Gallery of Art, dono di Dorothea Tanning Ernst, Washington

282

247


Georges Malkine Ritratto di Robert Desnos, 1926 Olio su tavola, 49,5 ✕ 38 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Georges Malkine Scandale (Scandalo), 1926 Olio su tela, 63,5 ✕ 46,5 cm Collection Natalie et Léon Seroussi, Parigi

248


Man Ray Emak Bakia, 1926-70 Assemblage: argento e coda di cavallo sintetica, 46 ✕ 13,5 ✕ 15 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Man Ray André Breton devant “L’enigme d’une journée” de Giorgio de Chirico (André Breton di fronte a “L’enigma di una giornata” di Giorgio de Chirico), 1922 Fotografia, 21,7 ✕ 16,5 cm Galerie Natalie Seroussi

249


Man Ray Le violon d’Ingres (Il violino d’Ingres), 1924-69 Litografia, 70 ✕ 50 cm Collezione privata, Milano

Man Ray Main Ray, 1935 Assemblage, 23 ✕ 10 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

250

Man Ray Ce que nous manque à tous (Quello che manca a tutti noi), 1936 Assemblage: bolla di vetro su pipa cinese, 11,5 ✕ 18 ✕ 7,5 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme


Man Ray Fotografia di A l’heure de l’observatoire - Les amoureux (All’ora dell’osservatorio – Gli innamorati), 1932-34/1964 Fotografia a colori, 50 ✕ 124 cm (esemplare unico)

The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

251


252


Man Ray Vénus restaurée (Venere restaurata), 1936-71 Assemblage: calco in gesso e spago, 71 ✕ 41 ✕ 28 cm The Israel Museum, dono di Jose Mugrabi, New York, agli American Friends of the Israel Museum, Gerusalemme

Man Ray Vibration (Vibrazione), 1940 Acquerello, 35,5 ✕ 25,5 cm Collezione privata, Milano

Man Ray Le Don (Il dono), 1937 Illustrazione di Man Ray e Paul Eluard, Les Mains libres (Le mani libere), Jeanne Bucher, Parigi 1937 Inchiostro su carta, 35,6 ✕ 25,4 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Man Ray La Tour fendue (La torre spaccata), 1938 Inchiostro su carta, 37 ✕ 29 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

253


Man Ray La Fortune (La Fortuna), 1952 Assemblage: legno, perle di plastica e feltro, 9 ✕ 28 ✕ 18 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Man Ray Indicateur (Indicatore), 1952 Assemblage in legno e ferro, 35,3 ✕ 22 ✕ 13 cm Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Donazione Arturo Schwarz, Roma

254

Man Ray Monument au peintre inconnu (Monumento al pittore ignoto), 1955 Assemblage: legno e bronzo, 76,5 ✕ 10 ✕ 10 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz

Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme


Man Ray Le songe d’une clé de nuit (Il sogno d’una chiave di notte), 1959 Assemblage: chiave e calamita su cartoncino, 27 ✕ 21,5 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Man Ray Indicateurs (Indicatori), 1956 Assemblage in legno, 40,5 ✕ 36,8 ✕ 13,5 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

255


Man Ray Ballet français (Balletto francese), 1956-71 Bronzo dipinto, base di perspex, 87,5 ✕ 23 ✕ 19 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

256


Man Ray Château mille-secousses (Castello mille-scosse), 1962 Assemblage: bottiglia e campana, 37 ✕ 7 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

Man Ray Vierge non apprivoisée (Vergine indomita), 1964 Assemblage: scatola, manichino e catena, 50 ✕ 15,5 ✕ 13 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme

257


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.