Degas
Capolavori dal Musée d’Orsay
Sommario
19
Degas o l’ossessione della tradizione Xavier Rey
23
I ritratti di Degas: l’arte dell’à propos Anne Roquebert
35
“La grazia si trova nell’ordinario”: Degas e la figura umana Xavier Rey
45
Degas in Italia. Studi antichi e incontri moderni Beatrice Avanzi
55
Capolavori dal Musée d’Orsay
173
Biografia
181
Bibliografia
Autoritratto, o Degas con portacarboncino
Acquisito dallo Stato francese in seguito alla vendita postuma della collezione del fratello dell’artista, René, questo autoritratto è una tra le rare opere giovanili portate a termine dal pittore prima del grande viaggio in Italia. Si tratta soprattutto di uno dei più notevoli tra i quindici quadri in cui Degas prende a modello se stesso. L’ultima tessera di questo insieme è il Ritratto dell’artista con Evariste de Valernes (Parigi, Musée d’Orsay) eseguito intorno al 1865, di cui esiste uno schizzo a matita su carta da lucido (cat. n. 2) particolarmente accurato. La posa piuttosto classica di Degas con portacarboncino (cat. n. 1) è stata da lungo tempo messa in relazione con il Ritratto dell’artista di Ingres del 1804 (Chantilly, Musée Condé) e conferma che tale autoritratto venne realizzato mentre Degas studiava nell’atelier di Louis Lamothe, allievo di Hippolyte Flandrin e come lui discepolo dell’autore della Bagnante di Valpinçon. Pochi anni più tardi Lamothe realizzerà un proprio autoritratto con lo stesso sguardo tenebroso, quasi a indicare che l’allievo ha superato il maestro. Tuttavia, lungi dal mostrare la sicurezza di un artista consapevole del proprio talento, la tela di Degas rivela piuttosto le ansie di un giovane dell’Ottocento
che ha deciso di intraprendere la carriera artistica. In quello sguardo franco e inquieto appare già la sua intransigenza, quella forma di onestà artistica che gli apparterrà sempre. È d’altronde quella l’epoca in cui Degas coglie l’occasione di un incontro con Ingres – in vista della grande retrospettiva a lui dedicata nella cornice dell’Esposizione universale del 1855 – per confidare al maestro i propri dubbi e riceverne consigli. Quasi dieci anni dopo è con lo stesso sguardo dubbioso, particolarmente evidente nello schizzo, che Degas ritrae se stesso in compagnia dell’amico Evariste de Valernes. La mano sul mento aggiunta nella versione finale, come dimostra una radiografia, e ripresa anche nel doppio ritratto della sorella Teresa e di suo marito Edmondo Morbilli (Boston, Museum of Fine Arts), rafforza ulteriormente questa impressione di disinganno. Quest’opera, versione aggiornata dei tradizionali ritratti di artisti in compagnia di amici, rivela a posteriori i capricci del destino: mentre sulla tela Valernes incarna l’artista dandy sulla via del successo e Degas personifica l’esitazione, il secondo diverrà celebre, mentre il primo sarà costretto a un’esistenza resa difficile dalla mancanza di riconoscimento.
1 Autoritratto,1855 Olio su carta applicata su tela, 81,3 x 64,5 cm Acquistato alla vendita dell’eredità di René de Gas, fratello dell’artista, 1927 RF 2649
56
2 Autoritratto (studio per “Autoritratto con Évaristes de Valernes”) Mina di piombo e sfumature su carta, 36,7 x 24,3 cm Dono della Société des amis du Louvre acquistato alla vendita della collezione di Mlle Jeanne Fevre, nipote dell’artista, 1934 RF 24232 Autoritratto, 1855 Particolare (cat. n. 1)
58
La famiglia Bellelli (Ritratto di famiglia)
Lungi dall’essere “un po’ scarno”, come alcuni commentatori osservarono al momento dell’acquisizione presso i musei francesi, questo dipinto rivela invece un incredibile senso del ritratto che al rispetto assoluto dei codici del genere unisce un’acutezza psicologica tutta contemporanea. Erede di Jean-Auguste-Dominique Ingres e di Hippolyte Flandrin tramite l’insegnamento di Louis Lamothe, Degas dimostra qui di aver profondamente assimilato la lezione del maestro, come si rileva ad esempio nella forma arrotondata del viso della piccola Giovanna Bellelli. Al tempo stesso, l’insistenza sulle drammatiche tensioni che separano irrimediabilmente la coppia formata dalla zia Laura e dallo zio Gennaro Bellelli deriva da un approccio al ritratto e alla scena di genere che rispecchia i canoni della pittura storica, allora in pieno rinnovamento. Di fatto Degas eleva l’infelicità della zia, insoddisfatta della propria vita coniugale, al rango di vera e propria tragedia, pur attutita dall’ambientazione borghese di cui l’artista sottolinea il carattere soffocante. L’atmosfera irrespirabile è accentuata dal motivo ossessivo della carta da parati sullo sfondo. L’artista sottolinea quindi la sineddoche tra la stanza e la scena che vi si svolge, in particolare mediante una certa distorsione dello spazio per cui si ha l’impressione che il marito sia come relegato
74
nell’angolo del caminetto, separato dal resto del gruppo. Mentre Degas lavora a Firenze, dalla ricca corrispondenza fra lui e la zia si comprende lo sconforto di quest’ultima per l’esilio del marito, considerato a Napoli “persona non grata”. Le dimensioni – il dipinto è uno dei tre più grandi eseguiti dall’artista – e il tempo che Degas gli dedica – testimoniato dall’attenzione scrupolosa degli studi, realizzati anche a olio, come lo Studio di mani (cat. nn. 19-20) – dimostrano che fin dall’inizio questo ritratto di famiglia è stato concepito come un capolavoro. Non sappiamo con certezza se sia stato esposto o meno nel Salon annuale intorno al 1860, tuttavia Degas ne fa un manifesto del rinnovamento del genere del ritratto di gruppo nella sua forma più monumentale, mescolandovi riferimenti personali, per esempio a Rembrandt. Il senso di malessere che ne traspare appare come una metafora dei sentimenti dell’artista stesso, il quale dimostra un certo gusto per la rivelazione delle ferite intime, che riaffiorano anche nell’Interno, noto come Lo stupro. Con La famiglia Bellelli Degas realizza un dipinto straordinariamente moderno e personale, in cui mette in scena la propria opera inserendo il ritratto del nonno (cat. n. 3), per il quale la zia porta il lutto, a sottolineare la continuità troppo a lungo negata tra le diverse fasi della sua carriera.
14 La famiglia Bellelli (Ritratto di famiglia), 1858-1869 Olio su tela, 200 x 250 cm Acquisto precedente alla vendita dell’atelier dell’artista, 1918 RF 2210
75
17 Il Barone Gennaro Bellelli sulla sua poltrona. Studio per ritratto di famiglia Carboncino e lumeggiature su carta color crema rosato, 44,7 x 28,4 cm Dono della Société des amis du Louvre, 1933 RF 23414 18 Gennaro Bellelli Mina di piombo su carta, 27,2 x 23 cm Collezione del Musée du Luxembourg RF 15484
83
L’orchestra dell’Opéra
L’orchestra dell’Opéra (cat. n. 27), che il padre di Degas considerava la prima opera compiuta del figlio, è anche uno dei primi esempi di scene di balletto e d’opera, insieme al Balletto da “Robert le Diable” (New York, Metropolitan Museum) venduto già nel 1871 al baritono Jean-Baptiste Faure. L’effetto di grande realismo è probabilmente dovuto all’assiduità con cui Degas frequentava l’Opéra, all’epoca in rue Le Peletier, prima di abbonarsi e assistere alle prove dei corpi di ballo. In questo caso però le ballerine non sono le protagoniste della rappresentazione – mantenendo solo lo sfolgorio dei tutù nella luce violenta della scena, Degas si ispira alle stampe giapponesi, così audaci per l’occhio occidentale – che si concentra invece sulla buca dell’orchestra. L’attenzione con cui l’artista ritrae al centro il fagottista Désiré Dihau – conosciuto per caso quando erano vicini di casa all’epoca del primo atelier parigino, di ritorno dal viaggio in Italia – rende il quadro un vero e proprio ritratto “in situazione”, anche se tutti i personaggi che circondano Dihau non sono strumentisti, a eccezione del violoncellista Pillet, facilmente riconoscibile alla sua destra.
Nel palco è ritratto inoltre il compositore Emmanuel Chabrier, amico del musicista che lo accompagnava da Degas. Malgrado l’ambizione del ritratto, il pittore insiste sul coinvolgimento dell’osservatore, quasi posto in mezzo al pubblico, dietro al parapetto in primo piano. Nonostante uno studio attento mostri che la disposizione dei musicisti non corrisponde a un angolo di visuale plausibile, il realismo dell’opera non ne risulta sminuito. Infatti Degas sfrutta la particolare deformazione dello spazio per dare l’illusione di cogliere l’immediatezza del momento, mentre in realtà la composizione – realizzata in studio – non potrebbe essere più artificiale. Sembra che l’audacia dell’inquadratura sia stata accentuata da un successivo accorciamento della tela, che ha ulteriormente sollevato l’orizzonte della scena, e dall’aggiunta del manico del contrabbasso e dell’arpa che troneggiano sopra la fossa: un effetto ripreso in seguito varie volte. Degas rinnova così una visione dello spettacolo già adottata da Daumier in alcune caricature. Dopo essere stata esposta, l’opera rimase nelle collezioni di Dihau e di sua sorella e ricomparve solo alla mostra del 1926, prima dell’acquisizione da parte del Louvre, nel 1936.
27 L’orchestra dell’Opéra, 1870 ca Olio su tela, 56,5 x 46 cm Acquisto con riserva di usufrutto, 1924, al museo dal 1935 RF 2417
96
Prove di balletto in scena - Arlecchino e Colombina - Ballerina spagnola - Due ballerine a riposo
Esposta alla prima mostra impressionista del 1874, Prove di balletto in scena (cat. n. 29) è un’opera di importanza cruciale per comprendere la passione di Degas per la danza. Ne esistono infatti tre versioni: un dipinto a essenza, un pastello e una grisaglia. Quest’ultima venne probabilmente eseguita allo scopo di realizzare un modello per un’incisione, tecnica a cui Degas lavorava spesso all’epoca. Essa offre un condensato del repertorio di pose a cui l’artista dedicò molteplici studi, utilizzando le tecniche più svariate, e che fanno la loro comparsa nelle prime opere con ballerine, quali Il foyer della danza al Teatro dell’Opéra di rue Le Peletier (Parigi, Musée d’Orsay) o Classe di danza (New York, Metropolitan Museum of Art). Il dipinto, il cui strato pittorico molto sottile rivela l’estrema finezza nella resa degli abiti e delle calze, presenta soprattutto i passi e i gesti che l’artista riprenderà senza sosta nell’arco di tutta la carriera, perfezionando via via il proprio stile. Le braccia levate in alto delle danzatrici sulla destra preannunciano gli sviluppi della Ballerina spagnola e studio di gambe (cat. n. 30) e l’equilibrio armonioso di Arlecchino e Colombina (cat. n. 31), eseguiti negli anni ottanta, mentre la danzatrice che si allaccia il nastro della scarpetta, collocata al centro del
102
gruppo a sinistra, costituisce un leitmotiv riproposto, a oltre quarant’anni di distanza e in una mutata prospettiva artistica, nelle Due ballerine in riposo (cat. n. 32). Rispetto a quest’opera tarda, caratterizzata da tratti energici e colori vivaci, Prove di balletto può essere letto come un manifesto della rappresentazione della vita moderna, per lo studio degli effetti dell’illuminazione artificiale che attraggono l’attenzione dell’artista in una sala di spettacolo. In effetti è proprio l’ellisse creata dalle luci della ribalta a strutturare la composizione, suggerendo la profondità spaziale con una prospettiva dall’alto assolutamente originale per l’epoca. Questo punto di vista permette a Degas di giocare sul contrasto con i diversi settori costituiti dalle quinte, dal fondale, dalla scena vera e propria e dalla sala con le poltroncine, dando vita a un insieme deliberatamente sbilanciato a vantaggio della parte sinistra della tela. Nonostante la soppressione ancora visibile di uno dei due spettatori in abito nero presente nelle altre due versioni, Degas insiste sul voyeurismo maschile riservando un posto centrale all’uomo scompostamente seduto a cavalcioni su una sedia, in ossequio alle tradizioni dell’epoca secondo cui le ballerine erano potenziali prede dei ricchi habitués dell’Opéra.
29 Prove di balletto in scena, 1874 Olio su tela, 65 x 81 cm Lascito del conte Isaac de Camondo, 1911 RF 1978
103
Ballerina con bouquet che ringrazia la scena - Fin d’arabesque
Insieme all’Etoile (Parigi, Musée d’Orsay), Fin d’arabesque (cat. n. 33) fu una delle attrazioni principali della terza mostra impressionista nel 1877. Pur mirando a una resa naturalistica dello spettacolo, l’artista si concede come al solito ampie libertà con la prospettiva, in modo da rafforzare l’impressione di movimento trasmessa dall’opera, frutto di un mélange di tecniche (pittura, essenza, pastello), di cui egli detiene il segreto. Mentre la ballerina che saluta, alla fine del suo numero, con un bouquet in mano è vista in una prospettiva dall’alto particolarmente audace e del tutto inverosimile per la visione da parte del pubblico, le altre danzatrici sono rappresentate in maniera più frontale, come un fregio di figure sullo sfondo. L’angolo visivo, il formato verticale estremamente innovativo e la disposizione a stella delle braccia e delle gambe della protagonista fanno pensare a un’istantanea, effetto che all’epoca non mancò di colpire i commentatori, mentre l’opacità dei materiali utilizzati restituisce con inquietante acutezza la violenza della luce proiettata sulla scena. Questa stessa illuminazione, proveniente dal basso, è resa attraverso zone piatte di pastello bianco sul volto della Ballerina con bouquet che ringrazia la scena (cat. n. 34), nella cui composizione particolarmente ardita si mescolano diversi momenti del balletto. La moltitudine di figure rappresentate e l’attenzione
110
dedicata ai costumi – forse quelli in stile indù del Re di Lahore di Jules Massenet – sono il risultato di successivi ingrandimenti del foglio, una pratica che Degas adottò spesso. Il colorito pallido delle ballerine non corrisponde semplicemente a una tipologia fisica popolare come quella della Ballerina di quattordici anni (cat. n. 28), ma rivela anche la durezza delle loro condizioni di vita. In uno dei suoi poemi, Ballerina, Degas scrive: “Ella danza morendo. Come attorno al reticolo / d’un flauto. […] / Il nastro dei suoi passi si attorciglia e si annoda. / Il suo corpo si affloscia e cade, in un gesto di uccello” (Huit sonnets, La Jeune Parque, Parigi 1946). La sofferenza che si cela dietro la grazia di queste figure di Degas non sfugge peraltro ai critici più attenti, tra cui Octave Mirbeau, che nel 1884 annota su “La France”: “Le sue ballerine sono […] meditazioni sulla danza. Egli ne ha reso le forme graziose o voluttuose, contratte o dolorose con grande nitidezza e tremenda risolutezza, tenacia nell’osservazione e crudeltà nell’esecuzione, e con una tale intensità espressiva che alcune sembrano vere e proprie martiri”. Non si può non riconoscere, in effetti, che in Degas lo stupore non è mai scisso da un senso di malessere derivante dalla violenza fisica e sociale che sente rivolta contro questi “petits rats de l’Opéra”.
33 Fin d’arabesque (Ballerina con bouquet), 1877 Olio, pittura all’essenza e pastello su tela, 67 x 38 cm Lascito del conte Isaac de Camondo, 1911 RF 4040
34 Ballerina con bouquet che ringrazia in scena, 1878 Pastello su carta applicata su tela, 72 x 77,5 cm Lascito del conte Isaac de Camondo, 1911 RF 4039
112
113
40 Ballerina in quarta posizione sulla gamba sinistra (terzo studio), 1921-1931 Statua in bronzo patinato, 57,7 x 33,5 x 35,5 cm Acquisito grazie alla generosità degli eredi dell’artista e della famiglia Hébrard, 1931 RF 2075 41 Ballerina in riposo, 1921-1931 Statua in bronzo patinato, 43,5 x 23 x 26 cm Acquisito grazie alla generosità degli eredi dell’artista e della famiglia Hébrard, 1931 RF 2087
121
La tinozza e le sculture di bagnanti
La data di esecuzione di questa straordinaria scultura è stata scoperta grazie ad alcune lettere scritte tra il 1888 e il 1889 da Degas all’amico e scultore Albert Bartholomé, che restaurerà l’originale (attualmente conservato alla National Gallery of Art di Washington) dopo la morte del pittore. È pertanto probabile che, a differenza delle altre sculture ritrovate nel suo atelier, e come nel caso della Ballerina di quattordici anni (cat. n. 28), Degas avesse pensato a esporre quest’opera di grandi dimensioni. L’artista la realizza con un’innovativa tecnica mista, utilizzando un tessuto imbevuto nel gesso per evocare l’acqua sul fondo della tinozza, nonché una vera spugna, come aveva fatto ad esempio con il crine di cavallo per i capelli della ballerina. Quasi a voler sfidare il realismo e l’abilità dello scultore compiendo un’impresa che sconvolge i canoni abituali della rappresentazione, egli costringe inoltre l’osservatore a una visione dall’alto. Le tracce di applicazione della cera, purtroppo meno percepibili nell’edizione in bronzo, mirano a rendere l’incarnato alla stessa maniera del delicato accostamento dei tratti a pastello nella “serie di nudi femminili che fanno il bagno, si lavano, si asciugano, si pettinano o si fanno pettinare” presentata da Degas all’ultima mostra impressionista, nel 1886. Il risultato ottenuto con La tinozza (cat. n. 51 è, d’altra parte, abbastanza vicino all’effetto prodotto dal pastello Donna che fa il
138
bagno (cat. n. 71), che gioca sulla corrispondenza tra le curve della vasca e quelle della schiena della donna nella stanza da bagno. In entrambi i casi Degas sembra andare oltre la banale resa del corpo inscrivendo quest’ultimo in un cerchio: da volgare emblema della prostituta costretta a un’abluzione tra un cliente e l’altro, la tinozza si trasforma così in elemento plastico che esalta la composizione. Queste due opere, così ricche di richiami reciproci, simboleggiano quindi la sintesi tra il crudo naturalismo e la maestosità classica cui Degas approda alla fine degli anni ottanta. La tinozza è probabilmente il primo esemplare della serie di sculture femminili al bagno giunte fino a noi, che impegneranno negli anni successivi l’artista. Anche questi lavori, tra cui Donna seduta in una poltrona che si asciuga il fianco (cat. n. 52), trovano corrispondenza in pastelli raffiguranti pose analoghe (cat. nn. 47 e 71), il che conferma le affermazioni di Degas riguardo al loro carattere preparatorio. La resa della tensione muscolare, così palpabile da evocare una sensazione dolorosa, fa tuttavia pensare che queste sculture siano il risultato di uno studio sullo sforzo compiuto dalla modella nell’esecuzione di un’attività quotidiana.
51 La tinozza, 1921-1931 Statua in bronzo patinato, 22,5 x 43,8 cm Acquisito grazie alla generosità degli eredi dell’artista e della famiglia HÊbrard, 1931 RF 2120
139
Il défilé - Corsa di gentlemen
Come le donne alla toilette raffigurate da Degas, che all’epoca della diffusione dell’igiene sono le eredi contemporanee delle Susanne al bagno dei pittori antichi, i cavalli da corsa rappresentano la declinazione moderna dei cavalli da battaglia della grande pittura storica. La passione di Tissot e soprattutto di Manet per l’ippica, il cui esito più interessante è Corse a Longchamp, eseguito alla fine degli anni sessanta dell’Ottocento (Chicago, Art Institute), periodo in cui questi artisti sono molto vicini, attesta la carica innovativa del soggetto. Il cavallo, in effetti, è un elemento chiave negli studi scientifici sul movimento, condotti, tra gli altri, dal britannico Eadweard Muybridge, per i quali Degas manifesterà un forte interesse. Nelle scene equestri egli cerca quindi di riproporre in chiave moderna l’arte dei maestri per i quali nutre grande ammirazione, da Paolo Uccello a Géricault passando per Van Dyck. Il défilé (cat. n. 55) – tra le prime opere di una serie che costituirà un filo conduttore in cinquant’anni di attività di Degas – trae in parte ispirazione anche da Meissonier, suo contemporaneo, e testimonia l’anglomania dell’epoca. Attraverso il disegno chiaro e preciso, il dipinto sembra studiare l’equilibrio dei cavalieri al trotto prima della partenza della corsa. Sullo sfondo, al centro della composizione, è rappresentato però un cavaliere lanciato al galoppo,
144
protagonista di altre potenziali composizioni, in completa dissonanza con il momento prescelto. Degas, pertanto, sembra più spinto dall’ambizione di realizzare uno studio su diverse razze di cavalli in varie fasi di movimento che dalla volontà di restituire un istante colto dal vero. D’altra parte anche la luce, che offre il pretesto per dispiegare una superba gamma di sfumature di bruno e arancio, molto opache per via dell’essenza utilizzata per diluire l’olio sulla carta, non sembra corrispondere a un momento plausibile della manifestazione. A ciò contribuisce ugualmente l’economia di dettagli che avrebbero permesso di identificare il luogo o i personaggi. Alla sorprendente calma del Défilé si contrappone il tumulto della Corsa di gentlemen (cat. n. 56), realizzata anteriormente, come indica la dicitura “1862”, ma evidentemente rimaneggiata a più riprese. Se in questo dipinto è ancora percepibile la cifra aneddotica tipica dei primi soggetti equestri di Degas, eseguiti sotto l’influenza di Alfred de Dreux, la compattezza dei fantini e degli animali appartiene invece alla maniera più tarda, che l’artista adotta negli anni ottanta. Il dipinto presenta tonalità marcatamente cupe, che danno particolare risalto alle tensioni muscolari dei cavalli in sequenza, pur rivelando tutta l’eleganza compositiva di Degas attraverso il ritmo dei caschi multicolori e lo sfavillio delle giubbe dei tre fantini in primo piano.
55 Il dĂŠfilĂŠ (Cavalli da corsa davanti alle tribune), 1866-1868 Olio su carta applicata su tela, 46 x 61 cm Lascito del conte Isaac de Camondo, 1911 RF 1981
145
56 Corsa di gentlemen. Prima della partenza, 1862 Olio su tela, 48,5 x 61,5 cm Lascito del conte Isaac de Camondo, 1911 RF 1982
148
58 Cavallo a riposo, 1921-1931 Statua in bronzo patinato, 29 x 18,2 x 38,6 cm Acquisito grazie alla generosità degli eredi dell’artista e della famiglia HÊbrard, 1931 RF 2111
152
59 Cavallo, 1921-1931 Statua in bronzo patinato, 27,5 x 41 x 24,5 cm Acquisito grazie alla generosità degli eredi dell’artista e della famiglia HÊbrard, 1931 RF 2107
153