"Il giardiniere inglese" di Masolino D'Amico

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StorieSkira


Il libro

Lancelot “Capability” Brown (1716-1783) disegnò il paesaggio inglese, creando oltre 170 parchi sia per committenti privati sia per la Corte, che lo incaricò di sistemare i giardini reali di Windsor e di Hampton Court, dove diede vita a una felice armonia di specchi d’acqua, colline, distese erbose e suggestioni architettoniche dell’antichità classica che rievocavano le atmosfere di Nicolas Poussin e di Claude Lorrain e preannunciavano la sensibilità romantica. Masolino d’Amico, con la sua profonda conoscenza della letteratura e del gusto inglesi del Settecento, costruisce con eleganza una trama raffinata e divertente, che ci conduce alla ricerca di questa singolare figura.


L’autore

Masolino d’Amico, giornalista, scrittore, sceneggiatore e traduttore, è stato ordinario di Lingua e Letteratura Inglese all’Università di Roma ed è autore di numerosi saggi. Ha curato, tra le altre, edizioni di opere di Swift, Wilde, Shakespeare e tradotto Lawrence, Hemingway, Woolf, Stevenson.


Masolino d’Amico

Il giardiniere inglese


Venerdì 28 ottobre 2011, tarda mattinata

Il professore alzò gli occhi dal foglio che teneva in mano e si tolse gli occhiali. “Ha ragione, la sua lettera era qui. L’avevo aperta, l’avevo letta, e poi l’avevo messa da parte. Me n’ero completamente dimenticato.” Il giovanottone si guardava i piedi, un po’ a disagio. “Però mi aveva risposto.” “Davvero?” “Sì. Mi ha dato un appuntamento per oggi, a quest’ora…” Si mise una mano in tasca. “Vuole vedere?” “Ci credo, ci credo. Ma pensa un po’. … Lei viene da lontano?” “Insomma. Da Londra.” “È venuto in auto?” “Treno e autobus.” “Non è stato troppo scomodo.” “Al contrario…” “Ci si mette poco, adesso. Be’, intanto si sieda,” continuò il professore indicando una poltroncina e sistemandosi in un’altra molto più comoda, con braccioli e schienale rigido. Dalla finestra, che era a pianterreno, si vedevano alberi nella loro veste autunnale. “Se non è un buon momento, posso ripassare quando crede.” “Per un pensionato tutti i momenti sono buoni.” “Ma lei stava lavorando…” Il professore accennò con la testa al laptop acceso sulla scrivania. “Proprio per questo la sua interruzione cade dal cielo. Una volta mi interrompevano di continuo, ci avevo fatto l’abitudi-


ne. Addirittura ci contavo. Come pausa per raccogliere le idee. Ma da un po’ di tempo non mi interrompe più nessuno. Purtroppo.” I due si guardarono in silenzio. Poi il professore rilesse il foglio. “DeWitt Henry III. Con un nome così, sarà americano.” “Di Baltimora.” “Senta fino a che punto arriva l’Alzheimer. Lei qui dice di essere stato mio studente. Ma io non ricordo né il suo nome né tantomeno la sua faccia.” “Lo ammetto, sono stato vago. Ho studiato qui a Cambridge… ma non la sua materia. E ho mollato molto prima della laurea. Però una volta ho sentito una sua lezione. Di quella le volevo parlare.” “Le interessava la letteratura inglese?” “Veramente venni perché mi interessava una ragazza. E poi lei in quella lezione non parlò di letteratura. Fece un ritratto del capo giardiniere di re Giorgio III. Il famoso Capability Brown.” “Ah! Sì, ogni tanto riviene fuori. È un capitolo importante della storia del gusto e della società inglese del Settecento.” Il giovanotto si era fermato. “Allora? Vada avanti.” “Adesso le spiego.” DeWitt Henry III si guardò le scarpe da camminatore e intrecciò le mani da giocatore di pallacanestro. Dopo una pausa di concentrazione, continuò. “Per prima cosa devo dirle qualcosa di me. I miei volevano che studiassi economia e io li ho assecondati venendo qui e, be’, per un po’ ci ho provato. Ma non ero portato. All’Università ho avuto molto più successo nel canottaggio…” “Non mi dica che è entrato nella squadra ufficiale.” “Non proprio, anche se ci sono andato vicino. Comunque non era nemmeno quello il mio traguardo. Ero sempre stato attirato dall’Inghilterra, dalle sue tradizioni…” “Anche lei vuole tornare alle sue origini ancestrali? I suoi venivano da queste isole?”


“Il bisnonno era gallese, ma non è per questo. Sapevo che qui sarei stato bene. Mi piaceva l’idea di un Paese che ha un passato, una tradizione. Sa, io in realtà volevo fare lo scrittore. Anzi, lo scrittore di cinema. Ho sempre avuto la passione del cinema.” “E ci sta riuscendo?” “Diciamo che qualche passo l’ho fatto. Ho scritto i testi per uno sketch pubblicitario… del tè… deteinato. È andato in onda abbastanza spesso, non so se lei guarda mai…” Il professore lo interruppe. “Vede forse un televisore qua dentro?” “No, già, certo. Comunque non si è perso molto. Però vorrei fare qualcosa di meglio. E finché riesco a rimanere in Inghilterra, qualcosa di molto inglese. Avrei avuto un’idea per una storia, forse. Ma non so come andare avanti.” “Si spieghi meglio.” “Ecco, al momento di tutto quanto si produce in Inghilterra quello che va fortissimo – e che si vende in tutto il mondo – sono le fiction ambientate nel classico paesaggio British. Prati verdissimi, alberi secolari, grandiose ville di campagna. Tutta Jane Austen, ma non solo. Jane Eyre. Ieri, Brideshead Revisited, che fu girato a Castle Howard. Adesso Downton Abbey, l’ha visto?… Ah già, mi scusi. Nove puntate scritte da Julian Fellowes, quello di Gosford Park. Stanno già dando la seconda serie.” “Il film di Altman?” “Sì.” “Altro americano. Già, ma perdoni se le faccio una domanda personale. Perché proprio l’Inghilterra? Non troverebbe lavoro più facilmente in patria? Non è lì il centro dell’industria mondiale dello spettacolo?” Qualcosa cominciò a sussultare nella tasca del giovanotto, il quale per un momento tentò di evitare di prendere atto del fenomeno. Seguì un momento di silenzio durante il quale lo sguardo interrogativo del professore si incrociò col suo. Alla fine il giovanotto borbottò: “Mi scusi, avevo tolto la suoneria… ma mi ero scordato di chiudere”.


Contemporaneamente estrasse un blackberry che sobbalzava muto come un pesce appena pescato, controllò sul monitor la provenienza della chiamata, sussurrò rapidamente: “Sì, sono arrivato. Tutto a posto. Ci sentiamo più tardi”. Spense l’ordigno e se lo rimise in tasca. “Mi scusi, adesso l’ho spento. Scusi davvero… Perché qui in Inghilterra? Be’, diciamo che ho motivi… appunto, personali, per cercare di restare nel Paese.” “La ragazza che seguiva le mie lezioni?” “No. Un’altra.” Il professore indicò con gli occhi la tasca che conteneva il blackberry. DeWitt Henry III annuì. “Sì.” “Andiamo avanti.” “Insomma, pensando e ripensando, più sfogliavo gli autori di quelle epoche… non che io me ne intenda molto… che ne so, le George Eliot, i Thomas Hardy, i Trollope e via dicendo… più vedevo che li hanno già saccheggiati, tutti quanti… allora mi sono messo a cercare in questo contesto almeno un personaggio interessante di quelli esistiti davvero, qualcuno che fosse ancora inedito per la Tv. Così mi sono ricordato di quella sua lezione con diapositive. Purtroppo non avevo preso appunti. Quel Capability Brown… un tipo affascinante.” “Ah. Capisco… il suo punto di vista. Ma io che c’entro? È vero, un po’ me ne sono occupato. Ma non è la mia materia. Io so quello che sanno tutti. Se lei vuole veramente andare a fondo su quell’uomo le consiglio di rivolgersi a un esperto di storia della paesaggistica. Senza contare che ci sono tanti libri dove può trovare tutto quello che vuole. Non saranno tutti su Google, ma esistono anche le biblioteche.” “Qualcuno ne ho sfogliato. Molto in fretta, per la verità. Però ho visto che sono tecnici. Parlano di dighe, scavi, trapianto di alberi…” “E di che altro dovrebbero parlare?” “Ecco, in quella lezione lei parlò dell’uomo, o almeno così


mi sembra di ricordare. Lo rese vivo, interessante. Disse quello di cui avrei bisogno adesso per sviluppare un soggetto. Mi avrebbe dato degli spunti… se solo fossi stato a sentire.” “Non vorrà mica che le rifaccia la lezione.” “No, ma visto che le interruzioni le fanno piacere, le proporrei, diciamo, di concedermi un paio di chiacchierate. Non può considerarle come lezioni private? Che naturalmente vorrei pagare.” “Senta, questo tipo di lezioni non le ho mai date a nessuno. Non sono mica tutoriali. D’altro canto… mi lasci pensare. Perché no, in fondo. Potrebbe essere un’occasione per rinfrescarmi un po’ l’argomento. Per riaprire qualche libro. Se mi dà un po’ di tempo… Torni, vediamo… tra un mesetto, va bene?” DeWitt Henry III si agitò, visibilmente a disagio. “Ecco, veramente io ne avrei bisogno prima.” “Quanto prima?” “Diciamo… per stasera. O al massimo per domani.” Il professore fece per obbiettare, ma l’altro continuò senza riprendere fiato. “Vede, ho una deadline. Tutto questo è venuto fuori un po’ all’ultimo momento… sa com’è nello spettacolo. La mia ragazza… questa ansiosa che mi telefona per controllare se mi sono perso. Lei è figlia di un grosso agente. A quanto pare in questi giorni ci sono riunioni in cui i network decidono i programmi dell’anno prossimo. Io avevo fatto un paio di proposte, ma non sono piaciute a lui. Al padre della mia ragazza. Il quale dice che se gliene porto una accettabile – non necessariamente in forma definitiva – la presenta. Però deve averla subito.” Il professore si tolse gli occhiali e si mise a pulirli molto accuratamente con l’estremità della propria cravatta di lana. “Se l’idea del personaggio che ho avuto è valida, a buttar giù un abbozzo di scaletta non ci metto niente. Ma ho bisogno di saperne di più.” Lo sguardo del professore vagava ora sulle costole dei libri allineati negli scaffali. “Lei, professore, basta che risponda a qualche domanda. Domande elementari, tutte cose che certamente saprà a memo-


ria. Anche senza preoccuparsi di essere troppo preciso. Devo solo inquadrare meglio quel tipo lì. Dopotutto non è l’uomo che ha quasi inventato il paesaggio inglese? Chissà quanto c’è da raccontare su di lui.” “Mi ci faccia riflettere.” Il professore si alzò e andò a prendere qualcosa sulla scrivania. “Come parte del paesaggio inglese intanto può studiare me. Tipico ex professore di Cambridge. Non solo non ho la televisione, ma nei momenti in cui devo concentrarmi, fumo la pipa. Lei permette? Non avrà la fobia del fumo di tutti i suoi connazionali.” DeWitt Henry III scosse il capo. “Per carità.” Dopo una pausa però aggiunse, timidamente: “Magari si potrebbe aprire un tantino la finestra?”. Il professore si accese la pipa e sollevò l’imposta a saliscendi. Entrò un po’ del fruscio delle foglie degli alberi. Fuori, i prati emanavano quietamente clorofilla. L’ex studente ruppe il silenzio. “Lavorò anche qui a Cambridge?” “Chi, Capability?” Dalla pipa si levò qualche nuvola di fumo azzurrino. “Sì e no. Lo invitarono negli anni 1770, quando era all’apice della carriera, e presentò un bellissimo progetto per creare un grande parco lungo il fiume Cam. Ma trovò un ostacolo per lui insolito. Sa, d’abitudine Capability lavorava per enormi latifondisti, che avevano il controllo totale del loro territorio; c’era un solo interlocutore col quale mettersi d’accordo. Qui invece scoprì che ogni college era geloso del proprio pezzettino di verde, e non aveva la minima intenzione di privarsene per aderire a uno schema collettivo. Così, alla fine, del piano di Capability non si fece nulla. Probabilmente, da quel signore che era, lui non si fece nemmeno pagare. L’Università gli regalò un bel vassoio d’argento col proprio stemma e con una iscrizione riconoscente.” “Si chiamava proprio così, Capability?” “Ma no, era un soprannome. Lui si chiamava Lancelot, come suo nonno. Lancelot Brown… gente modesta, di campagna,


dell’Inghilterra del nord. ‘Capability’ era una sua parola favorita, la tirava fuori quando valutava le possibilità di un luogo di essere trasformato – di diventare bello e pittoresco secondo certi canoni, sui quali torneremo. Diventò quasi un suo slogan.” “E la gente lo chiamava Capability.” “Be’, forse non in faccia – e non nei documenti scritti, come lettere o altro. Tanto è vero che la sua biografa più recente ha sostenuto addirittura che il nomignolo fosse postumo. Ma i riscontri sono tanti. Il termine era diventato proverbiale. Mi tiri giù quel volume, guardi… nel teatro inglese, dietro le sue spalle. Sono in ordine alfabetico. Mi prenda le commedie di David Garrick.” “Il grande attore? Era anche autore?” “Altroché. Dia qua.” Il professore sfogliò il tomo che DeWitt Henry III aveva sfilato senza difficoltà da uno scaffale molto in alto. “Il mio campo non è la paesaggistica, semmai mi intendo un po’ di poesia, e di teatro… settecentesco. Non il periodo migliore. Ecco qua. Questo fu un cavallo di battaglia di Garrick, una commedia comica ambientata giocosamente nell’antichità, e nel mondo dei trapassati. Lethe, or Aesop in the Shades. La mise in scena parecchie volte a partire dal 1740. Nel 1757 ci aggiunse un nuovo personaggio, Lord Chalkstone, parte che sostenne lui stesso. Questo vecchio Lord gottoso è morto, e mentre aspetta di essere traghettato attraverso lo Stige guarda col cannocchiale verso i Campi Elisi. E trova da ridire sul paesaggio, che non è à la page. Lo Stige, dichiara disgustato, è dritto come un canale di scolo, invece di essere graziosamente serpentino, con le sponde degradanti. Il posto avrebbe belle possibilità (‘fine capabilities’, eccolo, dice proprio così), ma i boschi andrebbero sistemati, e via dicendo, anche se ci sarebbe – e qui guarda in platea – un eccellente ha-ha.” “Uno ‘ha-ha’?” “Questo glielo spiego dopo. Ma insomma, la moda dei paesaggi organizzati in un certo modo era talmente corrente, che ci


si poteva scherzare sopra a teatro. E la parola ‘capability’ era entrata nel gergo comune, associata com’era al sommo sacerdote di quel gusto. Non per nulla il figlio maggiore di Lancelot, che si chiamava come lui, quando andò a Eton fu immediatamente soprannominato ‘Capey’ dai compagni.” “Andò a Eton? Però. Allora il padre era diventato un gentiluomo.” “Quasi. Veniva dal basso, secondo i criteri dell’epoca, e aveva delle ambizioni, ma si comportò sempre con molta discrezione. Solo quando fu al culmine della carriera si azzardò a non farsi più chiamare Mr Lancelot Brown ma Lancelot Brown, Esq.” “E Garrick conosceva Mr Brown anche di persona?” “Si capisce. Proprio all’epoca della commedia lo interpellò su come sistemare il giardino della villa che si era comprato vicino a Hampton, sul Tamigi, dove fece erigere un tempietto dedicato a Shakespeare. Il giardino era su due lotti in mezzo ai quali passava la strada comunale. Garrick voleva unirli mediante un ponte, ma Brown gli consigliò invece di fare una galleria.” “E la fecero?” “La fecero sì. Anzi, c’è un aneddoto buffo. Lei gioca a golf?” “Sì, certo.” “Allora senta. Un giorno andarono a trovare Garrick tre suoi amici che avevano passato la giornata giocando a golf da quelle parti. Avevano con sé le loro mazze, e uno di loro, John Home, disse che avrebbe percorso tutto il tunnel con la pallina in tre colpi. Ci riuscì, ma con l’ultimo colpo la palla finì nel fiume, dove peraltro Garrick la recuperò per conservarla come ricordo.” “Professore…” “Sì?” “Le dispiace se tiro fuori un registratore?” “Ah, ma allora fa sul serio. In questo caso aspetti un momento. Vediamo un po’… Quando deve rientrare a Londra?” “Non si preoccupi, non ho nessun impegno. Posso restare qui anche domani.”


“Certo domani sarebbe meglio. Anche adesso avrei bisogno di una pausa. Vorrei finire quella cosina che stavo scrivendo prima che mi esca del tutto dalla mente. L’interruzione ha funzionato.” “Un saggio critico?” “No, una lettera al Times. Una sciocchezza – una mia fisima. Ma voglio mandarla subito. Non mi fido della posta elettronica, e il postino passa tra un’ora. Gliela voglio dare personalmente.” “Posso aspettare di là?” “No. Meglio che se ne vada… E che ritorni, vogliamo dire tra due ore? Anzi no, meglio tre o quattro. Anzi, torni verso sera. Intanto può mangiarsi un panino. Posso consigliarle un posto qua vicino dove… Ma già, lei è stato studente qui. Conoscerà tutte le bettole. Magari ci vada piano con la birra.” “Sono astemio.” “Ha anche questo vizio? Va bene, allora. A più tardi.” Il professore accompagnò DeWitt Henry III alla porta e rientrò nello studio. Dopo un attimo di riflessione, si guardò intorno e cominciò a tirare giù dei libri dagli scaffali.


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