Goya e il mondo moderno

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Goya e il mondo moderno



GOYA e il mondo moderno a cura di Valeriano Bozal Concha Lomba



Sommario

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Umane spoglie Jaime Brihuega

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Goya e Vienna Werner Hofmann

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Il coraggio di guardare Antonio Muñoz Molina

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Una mostruosità grottesca. Modernità e ambivalenza in Francisco Goya e Francis Bacon Susanne Schlünder

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Goya e l’Italia moderna Claudio Strinati

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I RITRATTI IL LAVORO DEL TEMPO Il lavoro del tempo. I ritratti Valeriano Bozal

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LA VITA DI TUTTI I GIORNI La vita di tutti i giorni Valeriano Bozal FOLLIE COMICO E GROTTESCO Disparates. Comico e grottesco Valeriano Bozal

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VIOLENZA Riflessioni sulla violenza Concha Lomba

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L’URLO L’urlo Concha Lomba

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Biografie Textos español



Jaime Brihuega

Umane spoglie

Francisco Goya Saturno che divora un figlio (particolare), 1821-1823 (fig. 1)

Il sangue e la pittura poglie”, “resti”, “relitto umano”… “strage”. A volte le lingue custodiscono parole capaci di evocare immagini particolarmente intense; espressioni che si accalcano nel pensiero con una forza visuale e sonora che può sfuggire al nostro controllo. È ciò che accade con i termini appena citati. Voci che rimandano a immagini dal profilo tagliente, visibili soprattutto nel grande bazar composto dall’esperienza accumulatrice del nostro sguardo. La sinestesia agisce anche in senso inverso. Vale a dire, da determinate immagini si forma una sorta di corrente che fluisce verso la riva dove l’aspettano le parole che, davanti a certe situazioni visuali, saltano come schegge dalla traiettoria imprevedibile. Succede, per esempio, quando osserviamo la carne inerte e le urla di spavento che si intrecciano su un grumo violaceo di sangue in Il 3 maggio 1808. Confusamente mescolati su una sorta di livida pedana, i morti, la paura e l’orrore disarticolato di chi è sul punto di morire formano un blocco il cui pathos compensa la meccanicità ottusa dei giustizieri. Meccanica da teatro di marionette quella che caratterizza quest’ultimo gruppo di uomini che, a sua volta, è collocato sul basamento immaginario composto dalle ombre delle figure. In tal modo fierezza animale e crudeltà meccanica si neutralizzano a vicenda su una bilancia lontana dagli orizzonti sognati dal Secolo dei Lumi. Contemplando un simile panorama di debolezze umane, parole come “spoglie”, “resti”, “relitto

“S

umano” colpiscono la nostra vista e il nostro udito, se non addirittura il nostro tatto, come un irreparabile movimento riflesso. Lo stesso Goya, moderato nei giudizi espressi per iscritto, utilizzò un termine palpitante come “strage” per l’incisione n. 30 dei Disastri della guerra (cat. 104)1, in cui tutto è emozione e orribile spreco ma nello stesso tempo unico sostegno degno di fungere da lucida custodia di una condizione umana tanto malridotta. In un certo senso, dopo l’assassinio indiscriminato della bellezza, dell’eroismo, della dignità e degli altri orpelli con cui si tesse la maschera dell’essere umano, nella coscienza poteva essere ristabilito soltanto il bene. Riflettendolo nell’inquietante specchio della lucidità. Benché si trattasse pur sempre di una bontà recuperata nella sua dolorosa assenza. Molto tempo dopo, già a inizio Novecento, quando Picasso tornò a intonare un canto emozionato alle reincarnazioni dell’essere umano, lo fece con analoga malinconia, innalzandolo su una galleria di ubriachi, prostitute, mendicanti e altri miserabili reietti, frutto della disuguaglianza e dell’ingiustizia. E più avanti, proprio come aveva fatto Goya, unì nuovamente vittime e colpevoli in un’unica spirale di sofferenza attraverso l’ambiguità allegorica del toro e del cavallo di Guernica del 1937. Ma c’è di più. Il sangue rappreso delle Fucilazioni non solo ha perduto la sua natura di liquido, ma non sembra quasi più sangue. Lo stesso accade con la lanterna che illumina la scena: risponde a malapena alla sua ovvia natura di faro ardente, e re31


guina appena e rivela la sua qualità di cruda natura morta, Goya si allontanava dal pathos di ciò che è ovviamente cruento, proprio della tradizione barocca spagnola, e si sintonizzava con un motivo molto efficace della tradizione occidentale. Un espediente visuale che dal Rinascimento a oggi ha lasciato testimonianze particolarmente commoventi ed estreme, generalmente dotate di connotazioni ambigue e morbose. Vorrei proporvi alcuni esempi di grande eloquenza. Nel suo San Giorgio e il drago (1502; fig. 5), dipinto per il ciclo della Scuola di San Giorgio degli Schiavoni di Venezia12, Carpaccio riesce a organizzare una strana combinazione di orrore e malinconia quando mostra i corpi parzialmente divorati, per quanto incruenti, di una fanciulla e di un giovane. Figure che sembrano dormire placidamente accanto ad altri resti dall’aspetto spaventoso. Intorno allo stesso periodo, anche Hieronymus Bosch aveva utilizzato accorgimenti simili, per esem6. Andrea Mantegna Cristo morto, 1480 circa Milano, Pinacoteca di Brera

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pio, nel Trittico di Vienna (Vienna, Akademie der bildenden Künste), in cui la maggior parte dei personaggi che subiscono le torture del giudizio universale o della condanna all’inferno sanguinano a stento, ridotti allo stato ironico paradossale di semplici pezzi di macelleria esibiti in situazioni stravaganti. La carne morta è la materia che dà forma anche al maestoso Cristo morto (1480 circa, Milano, Pinacoteca di Brera; fig. 6) di Mantegna, le cui stigmate hanno assunto l’aspetto di asole cadaveriche. Rivela un analogo aspetto di materia necrotizzata e già fredda il Cristo morto (1520-1521, Basilea, Öffentliche Kunstsammlung) dipinto da Holbein il Giovane come predella dell’altare Oberried. Lo stesso espediente fu utilizzato in modo molto più esplicito e quasi osceno da Jean Juste nelle statue giacenti di Luigi XII e Anna di Bretagna che fanno parte del loro monumento funebre conservato nella basilica di Saint-Dénis (1531). Si tratta di scul-


7. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio IncredulitĂ di san Tommaso, 1601 Potsdam, Bildergalerie 8. Rembrandt Harmenszoon van Rijn La lezione di anatomia del dottor Deyman, 1656 Amsterdam, Rijksmuseum

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I RITRATTI IL LAVORO DEL TEMPO

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Valeriano Bozal

Il lavoro del tempo. I ritratti

Francisco Goya Autoritratto nello studio (particolare), 1794-1795 (fig. 2)

l lungo percorso artistico e biografico fa di Francisco Goya (1746-1828) un pittore completo. Se nei primi anni di carriera la sua arte può essere associata al tardo rococò tipico della seconda metà del Settecento, negli ultimi anni del secolo è un altro lo spirito che pervade la sua opera, tanto i dipinti a olio e i disegni quanto le incisioni. I quadri eseguiti “per capriccio” e inviati a Bernardo de Iriarte nel 1794 segnano un punto di svolta nel suo itinerario: dipinti nati in studio in cui, come scrive lo stesso artista, “sono riuscito a fare osservazioni che solitamente non nascono dalle opere su commissione”. Goya, che aveva appena superato una malattia – sulla cui natura esistono solo ipotesi ma che in ogni caso era grave – desiderava dimostrare ai colleghi dell’Accademia di Belle Arti di San Fernando di essere ancora in grado di dipingere e quindi mantenere il livello professionale raggiunto con molta fatica, ma voleva anche mettere in risalto una necessità che fino ad allora era stata avvertita da pochi artisti: dipingere con libertà, per piacere, riflettere, occuparsi di temi che andavano oltre gli incarichi. Goya voleva essere un pittore moderno anche se ovviamente non adoperava questo termine. Per riuscirci, aveva davanti a sé un lungo cammino. A partire da questo momento il cambiamento non sarebbe stato radicale ma comunque notevole. Non tutto è diverso, dunque, dopo la malattia. Goya continuerà a realizzare opere su commissione, i ritratti per esempio, anche se adesso conferisce loro un’impronta personale che li distingue dall’arte del periodo: Sebastián Martínez (1792, New York, The

I

Metropolitan Museum of Art), il commerciante illuminato nella cui casa trascorse il periodo di convalescenza, dove probabilmente ebbe accesso a dipinti e incisioni inglesi, francesi e italiani; i due ritratti della Duchessa de Alba in bianco e in nero (1795, Madrid, collezione Alba, e 1797, New York, Hispanic Society), Gaspar Melchor de Jovellanos (1798, Madrid, Museo Nacional del Prado; fig. 1), il ministro illuminista che non riuscì a realizzare i suoi progetti; Ferdinand Guillemardet (1798, Parigi, Musée du Louvre) e Asensio Julià (cat. 4), il suo assistente nella decorazione della chiesa di San Antonio de la Florida di Madrid, raffigurato come pittore e lavoratore. Si notano già importanti differenze e non solo nei dipinti, tra cui predominano quelli su commissione, ma anche nei disegni eseguiti a Sanlúcar (1796 o 1797) e Madrid (1797), alcuni dei quali diedero origine agli studi preparatori per i Capricci (1798), poi stampati e messi in vendita il 6 febbraio 1799. I Capricci, una raccolta di ottanta stampe, sono frutto di una decisione personale e azzardata dell’artista. Potevano essere acquistati da chiunque avesse il denaro necessario e per comprarli non si doveva far altro che andare al negozio dove erano esposti sugli stessi scaffali di profumi e liquori. I soggetti di quelle incisioni erano stati inventati dall’artista stesso; riguardo allo spirito critico, acuto, brillante e ironico che le pervadeva è indicativo il fatto che esse attrassero subito l’attenzione dell’Inquisizione, tanto che Goya si affrettò a cessarne la vendita. C’era un pubblico, quello che comprava 89


1. Francisco Goya Gaspar Melchor de Jovellanos, 1798 Madrid, Museo Nacional del Prado 2. Francisco Goya Autoritratto nello studio, 1794-1795 Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando

le stampe, un mercato (sebbene ancora precario), un artista dotato di senso critico, la possibilità di accedere alle sue opere e alcune autorità insoddisfatte di ciò che in esse era raffigurato: la situazione è troppo nota per parlarne ancora. Negli ultimi anni del Secolo dei Lumi, dunque, la situazione è cambiata, poiché, malgrado le difficoltà, tutto inizia a rispondere alle intenzioni e all’espressione di un artista che riflette sulla propria condizione di pittore e, perché non dirlo, di intellettuale. Nell’Autoritratto nello studio del 17941795 (Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando; fig. 2) Goya mette in risalto l’aspetto artigianale dell’attività del pittore, ma non nasconde l’occorrente per scrivere raffigurato sul tavolino in secondo piano che corrisponde più all’intellettuale che non all’artista. È un periodo di autoritratti. Quello eseguito intorno al 1795-1797, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, è una testimonianza indimenticabile dell’espressione individuale, resa più potente dalla posizione frontale del volto, dall’intensità dello sguardo e dal volume della testa: uno sforzo per descriversi 90

come l’individuo che è, come l’autore che è. Goya è l’autore che si ritrae sul frontespizio dei suoi Capricci, orgoglioso nell’affermare il mestiere che svolge, ma anche un borghese che sfoggia una certa eleganza nell’abbigliamento – con tanto di cappello, cravatta e fazzoletto, un vero uomo di mondo – e soprattutto la serietà di chi è sicuro di se stesso: le stampe dei Capricci rappresentano la verità nel mondo della notte. Il pittore indossa con eleganza il fazzoletto al collo e la giacca verde anche nell’autoritratto conservato al Musée Goya di Castres ed eseguito tra il 1797 e il 1800 (fig. 3): ciò che adesso risalta è lo sguardo penetrante dietro gli occhiali, lo sguardo di chi scrive e dipinge – con la manualità che corrisponde alla pittura – che di fatto sta scrivendo mentre dipinge, disegna i due primi album, Sanlúcar e Madrid, e subito dopo l’Album C, quello denominato “album diario” in cui raccoglie, scrivendole/disegnandole, le impressioni e riflessioni di tutti i giorni (il fatto che le didascalie fossero trovate di Goya o di alcuni amici, Moratín per esempio, poco importa adesso: l’artista le fece sue, come riflessioni


sulle immagini e sulla realtà che raffiguravano, nel momento stesso in cui le incluse nei disegni). Gli autoritratti non mostrano soltanto l’evoluzione di un artista che cambia il suo modo di vedere la vita e diventa un intellettuale, cioè qualcuno che riflette in maniera critica sulla realtà che lo circonda, ma registrano anche un altro segno distintivo: quello lasciato dal tempo. In tutte le opere citate è presente il tempo, l’energia o il deterioramento fisico. Forse può essere interessante raffrontare gli autoritratti già menzionati con quello dipinto nel 1815 (cat. 11) per rendersi conto che il tempo è il vero protagonista di queste tele. Il tempo ha lasciato i suoi segni sui lineamenti del viso, vale a dire li ha creati, costruiti e modellati. Non si possono attribuire né a una malattia né a un particolare stato d’animo, sono il frutto del severo passare del tempo sulla carne del volto, sullo sguardo, sul gesto. Goya è un pittore di corpi e di carni, un pittore del tempo. Goya non tornerà a essere lo stesso dopo gli ultimi anni del Settecento e non perché, almeno per certi versi, non sia più lo stesso – un pittore che accettava incarichi e prendeva un salario dall’amministrazione regia, un “pittore del re” – ma perché insieme a quei lavori crea un’opera potente e copiosa, sempre “per capriccio” (anche se adesso in 3. Francisco Goya Autoritratto, 1797-1800 Castres, Musée Goya

un senso forse più profondo di quello espresso a Iriarte nel 1794) ma non come pretesto o idea occasionale bensì in maniera sistematica. Un’opera che, d’altra parte, non poteva essere ignorata da quella eseguita su commissione, che accusò la sua presenza persino nei dipinti più “impegnati”, quelli ufficiali come La famiglia di Carlo IV (1800-1801, Madrid, Museo Nacional del Prado; fig. 4): è sufficiente osservarne i bozzetti per capire che ci troviamo di fronte a un’interpretazione personale, nel senso più stretto del termine, celata dietro “l’ufficialità” delle figure ritratte. Si è tanto parlato del modello, le Meninas di Velázquez, da non aver preso nella giusta considerazione il repertorio di personalità individuali offerto dalla pittura, un repertorio che non è protagonista della tela del pittore sivigliano e che invece viene colto immediatamente, al di là di qualsiasi riferimento erudito, da chi osserva l’opera di Goya. Nei primi anni dell’Ottocento Goya, oltre ai ritratti su commissione, dipinge quelli di familiari e amici: è considerato il miglior ritrattista della società madrilena dell’epoca. Pur adottando accorgimenti tradizionali, quali l’abbigliamento e la convenzionalità delle pose, l’artista aragonese si concentra soprattutto sull’espressione individuale, sull’istante rivelatore che si coglie nel gesto fisico, sullo sguardo e sull’atteggiamento in generale, senza evitare, anzi sottolineandoli, i segni del tempo, che lascia la sua impronta tanto sui lineamenti del volto quanto sui corpi. Inizia così un percorso che da Isidro González Velázquez (1801, Chicago, The Art Institute of Chicago), La marchesa de Lazán (1804 circa, Madrid, Casa de Alba; fig. 5), Bartolomé Sureda (cat. 6) – straordinario esempio di ritratto borghese –, L’attore Isidoro Máiquez (cat. 7), Manuel Silvela (cat. 5) e Juan Antonio Llorente (1810-1812 circa, São Paulo, Museo de Arte), giungerà fino al Ritratto del poeta Moratín (cat. 10), Juan Bautista de Muguiro (1827, Madrid, Museo Nacional del Prado) e L’incisore Gaulon (1824-1825, Madrid, Fundación Lázaro Galdiano), una litografia che è al tempo stesso omaggio a chi gli insegnò i segreti della tecnica ed espressione di una personalità illuminata che, ancora una volta, supera i limiti del mestiere; Moratín, Muguiro e Gaulon ci portano in una Bordeaux commerciale e borghese, molto lontana sia dalla Madrid cortigiana (e provinciale) dei primi anni di carriera sia dalla capitale segnata dalla repressione dell’as91


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40. Francisco Goya Ballo in maschera o danzatori mascherati sotto un arco, 1815 Olio su tela, 30 x 38,5 cm Saragozza, Colecci贸n Ibercaja


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41. Francisco Goya Dice di averli dalla nascita e passa la vita con loro, Album G, n. 19, 1824-1828 Matita su carta vergata grigia, 191 x 150 mm Madrid, Museo Nacional del Prado

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42. Francisco Goya Frate converso con i pattini, Album H, n. 28, 1824-1828 Matita su carta vergata grigia, 192 x 147 mm Madrid, Museo Nacional del Prado


43. Francisco Goya Si è arruolato, Album G, n. 1, 1824-1828 Matita su carta vergata grigia, 190 x 155 mm Madrid, Museo Nacional del Prado 44. Francisco Goya Disprezza tutto, Album C, n. 133, 1820-1824 circa Gouache e inchiostro su carta, 205 x 146 mm Madrid, Museo Nacional del Prado

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47. Francisco Goya I proverbi (o Disparates) Cavallo rapitore Prima edizione Madrid, pubblicata dalla Real Academia de Nobles Artes de San Fernando, 1864 1 stampa su carta a mano, acquaforte, acquatinta brunita e puntasecca, impronta della lastra 253 x 359 mm Madrid, Biblioteca Nacional de España, Invent/45703 (10)

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48. Francisco Goya I proverbi (o Disparates) Che guerriero! Paris, F.çois Liénard Imp. [1877 circa] 1 stampa su carta vergata, acquaforte e acquatinta brunita, impronta della lastra 245 x 350 mm Madrid, Biblioteca Nacional de España, Invent/45697


49. Francisco Goya I proverbi (o Disparates) Disparate di carnevale Prova postuma, anteriore alla prima edizione [s.l., s.n., 1848 circa] 1 stampa su carta a mano, acquaforte e acquatinta, impronta della lastra 246 x 357 mm Madrid, Biblioteca Nacional de Espa単a, Invent/45693 50. Francisco Goya I proverbi (o Disparates) Disparate pauroso Prova postuma, anteriore alla prima edizione [s.l., s.n., 1858 circa] 1 stampa su carta a mano, acquaforte, acquatinta brunita e puntasecca, impronta della lastra 245 x 357 mm Madrid, Biblioteca Nacional de Espa単a, Invent/45694

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51. Francisco Goya I proverbi (o Disparates) Disparate ridicolo Prima edizione Madrid, pubblicata dalla Real Academia de Nobles Artes de San Fernando, 1864 1 stampa su carta a mano, acquaforte, acquatinta e puntasecca, impronta della lastra 247 x 358 mm Madrid, Biblioteca Nacional de Espa単a, Invent/45695

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52. Francisco Goya I proverbi (o Disparates) Modo di volare Prova postuma, anteriore alla prima edizione [s.l., s.n., 1848 circa] 1 stampa su carta a mano, acquaforte, acquatinta e puntasecca, impronta della lastra 247 x 359 mm Madrid, Biblioteca Nacional de Espa単a, Invent/45696


53. Francisco Goya Pioggia di tori Paris, F.çois Liénard Imp. [1877 circa] 1 stampa su carta vergata, acquaforte, puntasecca, impronta della lastra 245 x 350 mm Madrid, Biblioteca Nacional de España, Invent/45700

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67. James Ensor La gamme d’amour, 1921 Olio su tela, 56 x 45,5 cm Maastricht, Bonnefantenmuseum, on loan from The Netherlands Institute of Cultural Heritage, Rijswijk


68. Georges Rouault Circus Trio, 1924 Olio su carta, 74,9 x 105,4 cm Washington, D.C., The Phillips Collection

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69. Georges Rouault Les Fleurs du mal. “Fière, autant qu’un vivant, de sa noble stature…”, Danse macabre, 1927 Incisione, 445 x 340 mm Parigi, Fondation Georges Rouault


70. Georges Rouault Les Fleurs du mal. “La Débauche et la Mort…”, Les deux bonnes souers, 1926 Incisione, 445 x 340 mm Parigi, Fondation Georges Rouault

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83. Paul Klee Der schwarze Blitz, 1920 Acquerello e collage, 240 x 160 mm Barcellona, Colecci贸n A. Surroca


84. Paul Klee Moeblierte Arktis, 1935 Tempera su cartoncino, 283 x 465 mm Milano, Museo del Novecento 85. Paul Klee Wald Bau, 1919 Tecnica mista, 27,5 x 25,5 cm Milano, Museo del Novecento


86. André Masson Ville jolie, s.d. Olio su tela, 39 x 30,5 cm Saragozza, collezione privata

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87. André Masson Les écorchés, 1926 Olio su tela, 73 x 60 cm Amiens, Fonds régional d’art contemporain de Picardie




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