ITALIAN glamour
L’essenza della moda italiana dal dopoguerra al XXI secolo
La collezione Enrico Quinto e Paolo Tinarelli
Sommario
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Boutique, una somma di concetti e novità Bonizza Giordani Aragno
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La Moda italiana: una questione di artigianato Stefania Ricci
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Dal Made in Italy alla Moda italiana Beppe Modenese
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Giorgini e la Sala Bianca Sofia Gnoli
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Pigiama Palazzo Paola Di Trocchio
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Gli anni Sessanta Cesare Cunaccia
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La moda e il tessile Lucia Savi
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Boutique, Alta Moda Pronta, prêt-à-porter Enrica Morini
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“Gli abiti mille carati” Margherita Rosina
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La Moda italiana degli anni Ottanta Sonnet Stanfill
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Moda e design Gisella Borioli
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L’età dell’oro della Moda italiana Adriana Mulassano
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Roberto Capucci Roberta Orsi Landini
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#nientesuccedepercaso. Gli anni Novanta, more italico Angelo Flaccavento
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Inventario italiano: moda in corso d’opera Maria Luisa Frisa
Dal Made in Italy alla Moda italiana Beppe Modenese
Mentre in Francia nel dopoguerra ci si interrogava sul futuro della haute couture, in Italia sopravvivevano ancora le vecchie botteghe artigiane impegnate a realizzare prodotti di consumo quotidiano, inclusi capi di abbigliamento e accessori. La pelletteria, i pizzi e i tovagliati ricamati avevano una fattura squisita che si era perfezionata nel tempo e avevano una tradizione secolare. È questo artigianato che stimola un imprenditore come Giovanni Battista Giorgini a creare dei rapporti commerciali a livello internazionale e soprattutto con gli Stati Uniti d’America. I suoi tentativi di riallacciare legami economici con gli americani, a seguito dei successi di un gift shop per gli alleati che gli era stato commissionato sotto le armi, si concretizzano nel 1951 quando attira compratori e stampa a Firenze facendo scoprire, sotto una luce completamente nuova, un prodotto fatto in Italia. Giorgini dà il via a una manifestazione innovativa per promuovere il settore moda, che da casa sua, Villa Torrigiani, si trasferirà col tempo nella Sala Bianca di Palazzo Pitti. Abituati ad accettare il fatto che la moda fosse una prerogativa francese, si inizia all’improvviso a parlare anche di moda italiana. In un’Italia povera, disastrata dalla guerra, bisognava essere molto scaltri e coraggiosi per suggerire al mondo l’eleganza italiana. Giorgini ci riuscì anche con la mondanità, coinvolgendo soprattutto l’aristocrazia che metterà a disposizione le proprie dimore, facendo scoprire un universo da sogno sconosciuto nel nuovo mondo. Bettina Ballard, l’allora editor di “Vogue USA”, riporta nelle sue memorie In my Fashion un ricordo dell’Italia del dopoguerra: “Quando vidi quelle nobildonne con gli abiti di prima della guerra, ma fatti di sete a fiori, con sandali gioiello o a frate, con grandi cappelli di paglia sfrangiata, io, che ero vestita all’ultima moda parigina, mi sentii démodée”. La grande novità della manifestazione ideata da Giorgini era nella forma e soprattutto nell’idea di fare precedere le sfilate di abiti di alta moda, dedicati alla gran sera, da quelle con i colorati e informali modelli delle boutique, più concentrate sugli abiti da giorno. Infatti puntava sull’impatto che una moda più
giovane e fresca, di grande qualità e di prezzo interessante, avrebbe avuto sui buyers stranieri. Dal 1947 al 1957 Dior e Fath definiscono il New Look con linee attillate affusolate o con le famose gonne a “corolla”. La moda si misura a partire dai centimetri da terra delle lunghezze delle gonne ma il concetto di linea è spesso di difficile comprensione. Il mondo intero segue inizialmente questi principi. Così fanno anche le sartorie italiane, introducendo però progressivamente una straordinaria capacità inventiva. Nella seconda edizione di questa manifestazione dedicata a promuovere il Made in Italy, Giorgini presenta anche il giovane Roberto Capucci che sarà una rivelazione e venderà l’intera collezione. L’esplosione di invenzioni e creatività maturerà nel tempo. Nella Sala Bianca di Palazzo Pitti – messa a disposizione dal Comune di Firenze a partire della quarta edizione – sfileranno abiti arricchiti dai ricami esuberanti alla Schuberth e vere idee trasformiste e spettacolari di cappe che si trasformano in gonne o di soprabiti reversibili “multifunzioni” alla Capucci. Ma è alla fine degli anni Cinquanta che alcune idee innovative d’Alta Moda avranno un’eco nel panorama internazionale, tra queste la linea a sacco di Fabiani e della Marucelli, i “palloncini” o abiti a “botticella” di Simonetta. Anche il Pigiama Palazzo di Irene Galitzine è una delle grandi novità nate in Italia: presentato inizialmente per l’Alta Moda, si svilupperà soprattutto nella versione boutique distribuita nei grandi magazzini inglesi e americani. La moda Boutique, la moda in più taglie, è la vera rivoluzione della moda italiana che intuisce i cambiamenti necessari in un mondo moderno. Una produzione che, originandosi dall’artigianato, apre la strada all’industria della confezione e del prêt-à-porter. Con Giorgini e la Sala Bianca si apre una pagina nuova nel panorama mondiale della moda. Un successo che non sarebbe immaginabile senza l’indispensabile aiuto dell’industria tessile da sempre fiore all’occhiello dell’Italia.
A fronte Foto di Fortunato Scrimali di un completo di Ferdinandi
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Il New Look domina la scena nel corso di tutto il decennio degli anni Cinquanta. Esploso nel 1947 a seguito di una collezione di Christian Dior, esso definisce le proporzioni della nuova moda. Ăˆ in contrasto con la moda del periodo della guerra, che risparmiava sui tagli di tessuto per ragioni economiche. Le gonne, che erano state accorciate al ginocchio, ora arrivano al polpaccio, le giacche, di taglio maschile perchĂŠ a volte rimodellate dagli abiti da uomo dismessi, fanno risaltare ora il punto vita: arrotondano i fianchi ed evidenziano il busto. Per aiutare la figura femminile ad adattarsi a queste forme, torna di moda anche la guaina, il busto stringato che strizzava la vita nell’Ottocento e che era stato abbandonato durante gli anni Venti e Trenta.
Bozzetto originale della Fondazione Micol Fontana, Roma A fronte, da sinistra BIKI, 1950 circa SORELLE FONTANA, 1950 circa
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A fronte, da sinistra FERDINANDI, 1953 circa CAROSA, 1955 circa Fotografia di un modello di tailleur della sartoria De Luca con simili proporzioni
Contemporaneamente alla foggia delle gonne svasate sostenute da strati di crinoline, il New Look affina il gusto per le figure allungate. Fianchi e busti sono sempre esaltati sottolineando il corpo femminile, ma le gonne sono dritte. Il punto vita è sempre messo in evidenza, spesso con una cintura. Questo tipo di linea, che di fatto esisteva già negli anni Trenta, caratterizzerà gli anni Cinquanta, mentre le gonne sostenute dalle sottogonne usciranno di moda solo con l’avvento della minigonna, verso il 1964. La lunghezza della gonna costituisce la differenza sostanziale tra una collezione e l’altra nel corso degli anni Cinquanta, e i giornali prendono l’abitudine di calcolarla da terra in un modo un po’ artificioso che non tiene sempre conto dell’altezza della persona.
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Da sinistra GATTINONI, alta moda 1967 circa LANCETTI, alta moda A/I 1969-1970 SIMONETTA, alta moda 1965 circa FABIANI, alta moda 1969 circa FORQUET alta moda P/E 1965 alta moda 1965 circa GREGORIANA, alta moda 1969 circa
I disegni geometrici e i ricami argentei degli abiti evocano un’atmosfera lunare. Il tessuto laminato contribuisce a dare un’aria futurista caratteristica della fine degli anni Sessanta, epoca di conquiste spaziali.
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Da sinistra CENTINARO, alta moda A/I 1969-1970 GIOVANNA FERRAGAMO, 1969 circa MILA SCHÖN, alta moda P/E 1969 FORQUET alta moda A/I 1967-1968 alta moda A/I 1967-1968
L’abito al centro è un trapezio interamente ricamato di canottiglia di vetro e paillettes dorate e suggerisce antiche geometrie persiane. La forma a trapezio evoca inoltre lo slancio dei missili mandati nello spazio. Antico e moderno sublimano la donna, trasformandola in una divinità. La lavorazione preziosa degli abiti da sera nella sartoria di Mila Schön era una caratteristica di questa creatrice che privilegiava invece una moda asciutta ed essenziale per il giorno. Nel 1967 Giovanna Ferragamo, figlia del grande calzolaio Salvatore, introduce una linea di prêt-àporter nell’azienda di famiglia firmandola a suo nome. Il prestigio del marchio e una produzione limitata e artigianale dell’abbigliamento mettono questo prodotto a un livello qualitativo paragonabile a quello dell’Alta Moda. L’ingegno dei tagli di Forquet sorprende ancora oggi per l’originalità e rappresenta una fonte d’ispirazione per le nuove generazioni di creatori. L’abito di Clara Centinaro pone invece l’accento su un tipo di moda più sobrio e meno creativo, una moda adatta a essere usata nel corso di più stagioni. Nella rivista sullo sfondo, foto di un modello simile a quello presentato, indossato da Benedetta Barzini per la campagna pubblicitaria di Mila Schön realizzata da Ugo Mulas su “Vogue Italia”, marzo 1969. Fotografia del modello di Centinaro dell’Ente Italiano Moda.
Da sinistra CAROSA, alta moda A/I 1968-1969 FORQUET, alta moda A/I 1968-1969 MARUCELLI, alta moda A/I 1967-1968
Il servizio fotografico di Gian Paolo Barbieri in “Vogue Italia”, n. 206, settembre 1968, illustra i modelli di Carosa e di Forquet. Gli anelli che uniscono il top alla gonna sono realizzati da Coppola e Toppo. Il modello di Germana Marucelli fa parte della collezione “Totem” e i ricami sono realizzati su disegno di Paolo Scheggi.
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Da sinistra MILA SCHÖN, alta moda A/I 1969-1970 LANCETTI, alta moda A/I 1969-1970 FABIANI, alta moda 1969 circa MARUCELLI, alta moda 1968 circa LANCETTI, alta moda P/E 1968 Fotografia del modello di Lancetti dell’Ente Italiano Moda
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CAROSA, alta moda 1969-1970 Servizio fotografico per la campagna pubblicitaria apparsa su “Vogue Italia”, n. 217, settembre 1969.
La sartoria della Principessa Giovanna Caracciolo Ginetti acquista prestigio sin dalla sua apertura negli anni Cinquanta. In quel periodo, pur partecipando alle sfilate di esordio della moda italiana organizzate da Giovanni Battista Giorgini alla Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, segue molto le linee della moda francese e in particolare ha un debole per il lavoro di Balenciaga. Due disegnatori si succedono nel suo atelier permettendole di rinnovare l’immagine. Il primo è Pino Lancetti che si metterà in proprio nel 1961, creando inizialmente la sartoria Akris; il secondo è Angelo Tarlazzi. Tarlazzi riesce a portare il marchio alla ribalta alla fine degli anni Sessanta fino al 1972. Il suo lavoro è coerente, moderno e con un preciso senso dell’eleganza. Questi tre soprabiti sono rappresentativi del carattere sperimentale che solo un laboratorio di alta moda può avere. Vera esplosione di fantasia, questi mantelli saranno fotografati in numerosi reportage sulle sfilate romane. Il particolare copricapo sarà invece ripreso da Tarlazzi in più occasioni nelle collezioni di prêt-à-porter che presenterà a Parigi, a suo nome, dal 1979.
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Da sinistra FORQUET, alta moda P/E 1970 FABIANI, alta moda 1966 circa GREGORIANA, boutique P/E 1969 HEINZ RIVA, alta moda 1966 circa Il servizio fotografico in primo piano di Gian Paolo Barbieri, in “Linea Italiana”, n. 17, presenta una creazione simile di Forquet. La seta, a disegno geometrico, è di Bini ed era prodotta in esclusiva per l’azienda Setam. Il servizio fotografico in secondo piano, in “Linea Italiana”, n. 12, propone il modello di Gregoriana indossato da Benedetta Barzini. Anche Mila Schön aveva realizzato, nella stessa stagione, abiti con il medesimo tessuto di paillettes.
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ROBERTO CAPUCCI Roberta Orsi Landini Gli anni Ottanta sono stati particolarmente fecondi per Roberto Capucci. Libero, per sua decisione, dai ritmi serrati e soffocanti che il “sistema moda” imponeva agli stilisti, Capucci si può dedicare alla ricerca di forme e colori, creando modelli che non hanno bisogno di rispettare i criteri della vendibilità e vestibilità, come erano comunemente intesi. Le scoperte formali di questo decennio saranno fondamentali per la sua futura attività. Prendono vita allora modelli che sono vere e proprie sculture, caratterizzate da invenzioni inusitate nella storia della moda. Ampi ventagli si aprono o chiudono ai fianchi declinando il rosso in tutte le sue tonalità; o spicchi che, partendo dalla vita, si uniscono al fondo in tutta la gamma dell’arancio; gonne e maniche si schiudono verso l’alto e non verso il fondo; braccia racchiuse in pieghe che ne snaturano la forma; spalle o dorso enormemente enfatizzati; infine ruches e ventagli di tutti i colori e le dimensioni in un tripudio cromatico lussureggiante. Gli anni Ottanta sono per Capucci la scoperta del plissé: lo affascina il gioco di luci e ombre che permette alle superfici di variare continuamente l’effetto plastico dell’insieme. A questo unisce la giustapposizione di colori, talvolta contrastanti, talvolta digradanti, per creare ali, cascate di seta, nodi complicati, in cui le ispirazioni della Roma barocca danno vita a un’immagine femminile quasi sacrale. È anche il decennio in cui pressante diventa la sperimentazione sull’accostamento cromatico: Capucci infrange tutte le regole e i codici comunemente accettati, fino ad arrivare a impiegare una molteplicità incredibile di tinte diverse per lo stesso abito, con un’armonia e una misura che gli hanno valso il titolo di maestro del colore. Fotografia di Giovanni Gastel pubblicata su “Donna”, 1985
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ROBERTO CAPUCCI, A/I 1980-1981 Bozzetti originali della Fondazione Roberto Capucci, Firenze
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Da sinistra ROBERTO CAPUCCI P/E 1982 1985 circa P/E 1984 P/E 1984 P/E 1984 Fotografia di Fiorenzo Niccoli, Fondazione Roberto Capucci, Firenze Il secondo abito da sinistra è stato realizzato per Liza Minnelli.
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ROBERTO CAPUCCI Abiti databili tra il 1980 e il 1985
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Da sinistra MOSCHINO, P/E 1985 CADETTE disegnata da Franco Moschino P/E 1983, stampa ispirata all’artista Roy Lichtenstein MOSCHINO A/I 1985-1986 A/I 1985-1986 Servizio fotografico di Sergio Caminata per la campagna pubblicitaria su “Vogue Italia”, n. 425, luglio-agosto 1985.
Prima della seconda metà del decennio, appare il marchio Moschino. I grandi nomi del Made in Italy erano celebrati nel mondo. La moda aveva acquisito un ruolo da protagonista divenendo argomento di studio e di conversazione nell’universo intellettuale. Di fronte a questa esasperazione, Franco Moschino porta avanti un’idea più critica e disinvolta. Consapevole della normalità del vestirsi nella vita quotidiana, si oppone al total look e al mito dei marchi. Il suo punto di vista tende a mischiare le informazioni, a reinterpretare i cliché per dar loro un valore nuovo dove la moda, effimera per definizione, perde quel lato serio facendo posto alle gag e al buon umore. La sua idea di moda non è una imposizione venuta dal creatore. È piuttosto un ammiccamento alla fantasia. Al successo del Made in Italy risponde con un gran senso dell’umorismo falsificando, a suo nome, i già classicamente falsificati marchi francesi e inglesi. Introduce scritte, si affida a idee dal sapore neo pop. Abile promotore, offre alla stampa occasioni allettanti quando fa sfilare le sue modelle carponi oppure indossando stivali doposci e buste della spesa con frutta e verdura. In altre occasioni, offre al pubblico pomodori e fiori invitandolo così a dimostrare apprezzamento o dileggio. In pieno clima di esaltazione della personalità dello stilista, i filati Filpucci finanziano una serie di ritratti di stilisti ad Andy Warhol. Moschino non è incluso nei nomi ritratti ma si fa fotografare con la caratteristica parrucca del Maestro della Pop Art. Lo si vede sull’invito per la sfilata e per la pubblicità. Questa stessa parrucca sarà poi offerta al pubblico in una scatola dorata. Dopo anni di una moda impegnata ad autocelebrarsi, Moschino sembra portare una ventata di freschezza.
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Da sinistra MOSCHINO primi anni Novanta A/I 1986-1987 primi anni Novanta P/E 1988 primi anni Novanta A/I 1993-1994 A/I 1989-1990 A/I 1992-1993
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Scritte ironiche come “la ragazzetta dello sport”, spille da balia o aghi dorati usati come ricami sono caratteristici del buon umore trasmesso nella moda da Moschino. Lady Diana ne è sedotta e indosserà il tailleur verde. La foto è di Glenn Harvey. Negli anni Novanta, il tema decorativo delle spille da balia a effetto ricamo sul top sarà sostituito da aghi dorati.
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La voglia di esibizionismo degli anni Ottanta si esaurisce per alcuni creatori alla fine del decennio, aprendo nuovi trend in una direzione minimalista. Questa visione è in gran parte legata all’intuito di Romeo Gigli e di Dolce & Gabbana che individuano una donna diversa da quella “in carriera”. “Donne reali” è, non a caso, il tema della prima sfilata di Stefano Gabbana e Domenico Dolce agli esordi, nel 1985. Il nero non è più quello squillante dei velluti di seta ma è una tinta scura da neorealismo. Si torna a vedere la moda nella sua concretezza e non come status symbol. Romeo Gigli e Dolce & Gabbana rappresentano una risposta italiana al fenomeno giapponese che a Parigi aveva segnato una rottura, già dal 1983. La donna, nel loro immaginario, viene da una cultura mediterranea in sintonia con il loro background. In quest’ottica si spiega il ritorno a linee più aderenti e naturali che accompagnano il corpo femminile sempre valorizzato. Entrambi i marchi ottengono questo effetto grazie a un ampio uso di tessuti elasticizzati. Gli anni Ottanta sfumano nel decennio successivo introducendo un valore estetico nuovo legato all’essere e non all’apparire.
Da sinistra ROMEO GIGLI A/I 1987-1988 P/E 1991 P/E 1994 P/E 1989
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Da sinistra DOLCE & GABBANA A/I 1988-1989 P/E 1989 P/E 1989 Servizio fotografico di Gian Paolo Barbieri per la campagna pubblicitaria apparsa su “Vogue Italia”, n. 467, febbraio 1989.
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