"Léger. L’arte moderna e la città"

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La città, simbolo della modernità, nelle opere di Léger e dei suoi contemporanei. La monografia getta una nuova luce sul decennio di vitale sperimentazione degli anni venti a Parigi, quando il grande modernista francese Fernand Léger (1881-1955) svolse un ruolo di primo piano nella ridefinizione della pratica della pittura, mettendola in relazione con l’ambiente urbano e con i moderni mezzi di comunicazione. Ispirazione e punto di partenza del progetto il celebre dipinto di Léger La città (1919), capolavoro delle collezioni d’arte del Philadelphia Museum of Art e pietra miliare nella storia dell’arte moderna, che viene posto in dialogo con l’arte urbana e la cultura della modernità. Il volume presenta un nucleo di dipinti eccezionali sul tema della città, affiancati da disegni teatrali, modelli architettonici, disegni e bozzetti per cartelloni pubblicitari eseguiti dall’artista e dai suoi contemporanei, quali Cassandre, Robert e Sonia Delaunay, Theo van Doesburg, Abel Gance, Le Corbusier, Piet Mondrian, Dudley Murphy, Francis Picabia, e molti altri. Attraverso oltre ottanta straordinarie opere appartenenti a collezioni pubbliche e private, americane ed europee, vengono mostrate e analizzate le varie strategie attraverso le quali gli artisti e i designer delle avanguardie europee, primo tra tutti Léger, hanno tradotto la complessità e la frenesia della metropoli.

Skira

€ 32,00



1. Léger davanti a La città (1919) all’inaugurazione dell’A.E. Gallatin Collection al Philadelphia Museum of Art, 14 maggio 1943 Filadelfia, Philadelphia Museum of Art Photo: Adrian Siegel

Il pittore sul boulevard

Anna Vallye

Le strade sono la dimora della collettività […] un essere perennemente desto, perennemente in movimento, che tra i muri dei palazzi vive, sperimenta, conosce e inventa come gli individui al riparo delle quattro mura di casa loro. Per tale collettività le splendenti insegne smaltate delle ditte rappresentano un ornamento delle proprie pareti pari e, forse, superiore a un dipinto a olio in un salotto borghese e i muri […] sono il suo scrittoio, le edicole le sue biblioteche […] e la terrazza del caffè la veranda, da cui sorveglia la vita della sua casa. Walter Benjamin, I “passages” di Parigi (1927-1940)1

Oltre la porta, un lampo blu cianuro, lettere bianche, bordi frastagliati, ponteggi scuri, volute di fumo, lo zigzag di una scarica elettrica… ed ecco che appare alla vista La città. L’effetto di accostarsi al dipinto non è dissimile dall’esperienza travolgente di avanzare verso un grande agglomerato urbano via terra o via mare (forse è questa la ragione per cui Léger avrebbe recuperato la sua struttura compositiva primaria nel successivo progetto per un murale, capace di dispiegarsi come se fosse stato filmato da una nave in procinto di entrare nel porto di Manhattan)2. L’opera ricorda il modo in cui una metropoli si staglia inizialmente contro l’orizzonte, simile a un oggetto fisico e circoscritta sotto la propria skyline, ma poi si allarga lentamente mano a mano che ci si avvicina, diventando qualcosa di più inquietante, di più misterioso, come se l’immensa distesa di terra edificata avesse acquisito le caratteristiche della vita segreta che vi brulica dentro. È questa l’impressione trasmessa dal dipinto. Spazioso nella sua estensione laterale e, allo stesso tempo, contraddistinto da una frontalità aggressiva, esso non offre agli occhi un punto focale ragionevole o al corpo un posto comodo in cui stare. Questo non è un mondo in cui si possa vagare con la fantasia, bensì qualcosa di totalmente diverso. Avvicinarsi significa correre un rischio. Con le sue facciate inespugnabili e i suoi vuoti neri e compatti, l’opera spinge l’orizzonte verso l’alto, riempie il campo visivo e continua a dilatarsi, ad agitarsi – finché l’osservatore si domanda se a muoversi sia lui o il dipinto – quindi si allarga, schiacciandosi contro una cornice, voltandosi e costringendo lo spettatore ad abbassare lo sguardo. In sintesi, non si comporta come un quadro. Chi si è ritrovato davanti a La città sa che l’opera ha un soffio secco, corrosivo. Quasi tutti i commentatori affermano laconicamente che il dipinto veicola l’assalto sensoriale e la dislocazione percettiva vissuta dall’abitante di una città impegnato ad attraversare il moderno ambiente metropolitano del traffico veloce, delle folle frettolose, dei cartelloni chiassosi e delle insegne elettriche lampeggianti. Alcuni osservatori, tuttavia, hanno proposto un’interpretazione diversa, secondo cui il quadro non è tanto la rappresentazione di una città quanto un grande essere dotato di una vita sconosciuta, un colosso allucinatorio sul punto di svegliarsi. Nel 1922 il poeta Yvan Goll lo definì “un’entità mostruosa che incede minacciosamente verso di noi”3. Un amico di Léger, il critico d’arte Maurice Raynal, fu uno dei primi a vedere La città e riconobbe in quest’opera (e anche in altre dello stesso periodo) “non un’allusione al dinamismo della natura, bensì un’autentica trasposizione dell’attività del mondo”, tanto che la tela diventa “una macchina, anzi una macchina funzionante: più un’azione che un dipinto”4. Il poeta Blaise Cendrars, un altro amico del pittore, immaginò l’artista nel febbraio del 1919 (aveva già visto La città?) nei panni di un demiurgo intento

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a dare forma a un nuovo universo vivente dopo un’esplosione cosmica: “Tutto brulica / Improvviso s’anima lo spirito rivestendosi a sua volta come gli animali e le piante / Prodigiosamente / Ed ecco la pittura divenire quell’enorme cosa che si muove”5. In altre parole, La città deriva da una duplice operazione che si potrebbe identificare con il “realismo” peculiare di Léger (una parola che l’artista usava spesso). Il quadro riunisce elementi riconoscibili della realtà urbana di tutti i giorni, ma li investe di una qualità d’impatto totalmente estranea al loro aspetto consueto, cosicché il dipinto funge insieme da immagine di vita e da forma di vita materiale autonoma. La città segna il culmine di una sorprendente e profonda trasformazione nell’arte di Léger, una svolta che pare collocarsi dopo il suo congedo dal fronte della Prima guerra mondiale6. In poco più di un anno di lavoro instancabile a Parigi e dintorni, dopo l’armistizio del novembre 1918, Léger ridiscusse ogni cosa, dal soggetto alla gamma cromatica, dalla composizione alla pennellata. Lo si nota subito confrontando, per esempio, La città con Case sotto gli alberi (1913), realizzato poco prima che l’artista partisse per il fronte. Così fortunato da rimanere perlopiù ai margini degli scontri, Léger aveva vissuto la Grande guerra come un’interruzione frustrante della sua carriera: “Tre anni senza toccare un pennello”, scrive7. Aggiunge però che per lui il conflitto è stato un “contatto con la nuda realtà”8, una realtà che egli misurava sul piano sia sociale sia fisico come una forma di equivalenza: tra se stesso e i soldati semplici, i poilus della classe operaia o membri della fanteria; e tra il corpo del soldato e l’equipaggiamento, il sudiciume e le armi che lo circondavano9. Il “reale” era questione di cruda uguaglianza materiale10. Sul fronte, allo stesso tempo, Léger visse e respirò Parigi, come se la città fosse una sostanza consumabile. “Come divorerò Parigi”, fantastica in una lettera indirizzata a casa, “se sarò abbastanza fortunato per tornarci! Me ne riempirò le tasche e gli occhi. Camminerò per le sue strade come non ho mai fatto”11. In realtà, dopo essere rientrato dalla guerra, si apprestò a dipingere la città: sicuramente Parigi, ma anche La città, come intitolò il quadro. Più un archetipo che un luogo specifico, insomma. Nella tradizione letteraria francese da Charles Baudelaire in poi, lo spazio metropolitano è considerato la sede privilegiata della modernità. Qualunque cosa nuova, inedita o attuale offerta dalla vita nel presente doveva essere percepita a livello della strada, tra la folla dei boulevard, nei caffè e nei negozi, nei passaggi mal illuminati dei vicoli. Quando Léger concentrò su questo soggetto insidioso tutte le risorse della sua ritrovata materialità, che esprimeva l’equivalenza tra cose incommensurabili – corpo e fucile, pittore e soldato, tela e creatura – pubblicò un nuovo, moderno manifesto. Da questo punto di vista, e alla luce della sua forza palpitante, La città si può ritenere la controparte di un’altra tela famosa per il suo effetto stupefacente: Les demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso (1907; fig. 2). È difficile stabilire se, prima del 1919, Léger avesse già visto questo curioso capolavoro: una scena ambientata in un bordello – alta più di due metri e trenta, come La città – in cui cinque prostitute sfilano nude, ponendosi di fronte allo spettatore con “immediatezza brutale”, per citare le parole di un critico12. Les demoiselles e La città presentano alcune somiglianze compositive inattese13 ma, anziché interpretare il secondo come una reazione diretta al primo, propongo di mettere il dipinto di Léger allo stesso livello dell’opera di Picasso sul piano dell’ambizione e dell’obiettivo: catturare il terreno mutevole della conoscenza dell’io e del mondo moderni. Si riduce tutto alla qualità dell’impatto. In entrambi i quadri, la netta sensazione di una presenza invadente agisce, con pari intensità, per raggiungere finalità opposte. Se Les demoiselles è un mondo di frammenti che convergono nella “coscienza sbigottita dell’osservatore”, capace di diventare il suo unico centro, La città è una superficie pulsante senza punti di convergenza, un insieme zeppo di segni equivalenti (disco, pedone, lettere, fumo) e di effetti formali14.


Se Les demoiselles è un “nido”, La città è un alveare15. Tutto ciò che nelle Demoiselles si coagula e si amplifica con la fervida immediatezza dell’iniziazione sessuale, ne La città si frantuma e si disperde con una forza alienante, come una locomotiva in avvicinamento16. Ciascun dipinto dichiara la propria verità nel modo in cui esprime, in cui ipotizza lo spettatore o immagina il “soggetto”. Si potrebbe dire che Les demoiselles e La città postulano soggettività contrarie: una racchiusa nella riservatezza dell’io, l’altra polverizzata e soffiata sulle strade17. Con un vigore amplificato dal controesempio di Picasso, La città afferma un soggetto pubblico, collettivo e disunito. Léger ci dice che il mondo moderno non è più la dimora dell’uno ma dei molti, incomparabili eppure uguali; e il carattere inquieto e costruito del dipinto si impone come “equivalente” (un altro termine chiave nel vocabolario dell’artista) – un cartello stradale “equivale” a una pennellata – di ciò. • • • In seguito, quando Cendrars ripensò alle proprie imprese con Léger nei primi confusi momenti dopo la fine della guerra, scrisse: “Trascorremmo molto tempo vagando per Parigi, incontrandoci negli angoli più disparati della città, spesso in place Clichy. È questa la ragione per cui La città mi riporta sempre laggiù”18 (fig. 3). Questa place (o piazza), dove si intersecano cinque strade e quattro arrondissements, sorge nel punto in cui un tempo si trovava la barrière de Clichy, un antico portale nella cinta daziaria che conduceva al villaggio di Clichy. Un viale a ridosso della piazza era parte delle mura della città e divideva Parigi dalle periferie. Fu abbattuto per far posto al boulevard des Batignolles durante la grande campagna urbanistica degli anni sessanta dell’Ottocento, nota come haussmanizzazione19; nel 1814, tuttavia, il maresciallo de Moncey, la cui statua campeggia tuttora nella piazza, aveva resistito coraggiosamente all’assalto degli eserciti stranieri decisi a distruggere l’impero napoleonico, 19 2. Pablo Picasso (1881-1973), Les demoiselles d’Avignon, 1907 olio su tela, 244 × 234 cm New York, The Museum of Modern Art Acquisito tramite il lascito Lillie P. Bliss Photo: © The Museum of Modern Art, New York / Scala, Firenze


Willi Baumeister Francis Bernard Djo-Bourgeois Otto Gustav Carlsund Jean Carlu Cassandre Blaise Cendrars René Clair

Léger

Robert Delaunay Sonia Delaunay-Terk Marchel Duchamp El Lissitzky Jean Epstein Albert Gleizes Eileen Gray e Jean Badovici Juan Gris Vilmos Huszár e Gerrit Rietveld Ragnhild Keyser Frank Kupka Marcel L’Herbier Le Corbusier e Pierre Jeanneret Fernand Léger Jacques Lipchitz Dudley Murphy Piet Mondrian Amédée Ozenfant Francis Picabia Theo van Doesburg Cornelis van Eesteren Georges Vantongerloo

La visione della città contemporanea 1910–1930


1 Fernand Léger Paesaggio animato, 1924 olio su tela, 49,5 x 65,1 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, donazione Bernard Davis, inv. 1950-63-1 Il dipinto, che ritrae Fernand Léger in compagnia del mercante d’arte Leon Rosenberg, venne realizzato in seguito a una visita dell’artista a Venezia.


La metropoli prima della guerra

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A diciannove anni, all’alba del nuovo secolo, Léger arriva a Parigi per lavorare come disegnatore architettonico. Quando parte

per il fronte della Prima guerra mondiale, nel 1914, è già un pittore emergente tra le avanguardie dell’epoca. Parigi è allora il luogo migliore in cui trovarsi per un artista giovane e ambizioso. 58

La città è il centro mondiale dell’arte e della cultura, nonché la capitale del commercio e del bel vivere. Le recenti invenzioni cominciano a rivoluzionare la vita di tutti i giorni: il telefono, la radio e la stampa portano nelle case informazioni e notizie internazionali, mentre le automobili, i treni espressi e gli aeroplani stanno accelerando il ritmo della vita. Il cinema e i grammofoni offrono intrattenimenti alla portata di tutti e la luce elettrica trasforma le strade notturne in luna park.


Léger si accorge che la metropoli in via di trasformazione ha bisogno di un’arte nuova. È una rivelazione comune anche ad altri artisti: si pensi ad esempio che proprio in quegli anni prende vita in Italia e si impone all’attenzione di tutta Europa il Movimento futurista (il primo manifesto è del 1909), muovendo proprio dalla necessità di una nuova visione del mondo, basata sulla contemporaneità, la tecnologia, la velocità, il movimento che caratterizzavano appunto le nuove realtà urbane. “La portiera del vagone o il parabrezza dell’automobile” scrive Léger nel 1914, “uniti alla velocità acquisita, hanno cambiato l’aspetto abituale delle cose. L’uomo moderno registra un numero di impressioni cento volte superiore rispetto a un artista del diciottesimo secolo”. Le opere qui esposte vedono affiancati Léger e altri artisti con i quali egli instaura in quella fase rapporti di collaborazione, scambio di idee, amicizia. Li accomuna l’intento di cogliere con la pittura i nuovi ritmi della vita urbana moderna, nel contesto irripetibile di fioritura delle molte diverse e rivoluzionarie tendenze artistiche che nascono e si intrecciano nella Parigi prebellica – dal Cubismo, nelle sue varie sfumature, al Futurismo, al Simultaneismo – che per Léger e per i suoi amici sono semplicemente un “nuovo modo di vedere”.

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3 Marchel Duchamp Nudo che scende le scale (n.1), 1911 olio su cartone su tavola, 95,9 x 60,3 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, The Louise and Walter Arensberg Collection, inv. 1950-134-58 4 Jacques Lipchitz Bagnante, 1917 bronzo, 89,5 x 36,8 x 27,9 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, lascito Mrs. Irving R. Segal, 2006, inv. 2003-230-1 Š The Estate of Jacques Lipchitz courtesy Marlborough Gallery, New York


9 Robert Delaunay Dramma politico, 1914 olio e collage su cartone, 88,7 x 67,3 cm Washington, DC, National Gallery of Art, donazione Joseph H. Hazen Foundation, Inc., inv. 1971-2-1

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10 Frank Kupka (František Kupka) Dischi di Newton (studio per Fuga in due colori), 1912 olio su tela, 100,3 x 73,7 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, The Louise and Walter Arensberg Collection, inv. 1950-134-122



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14 Fernand Léger La città, 1919 olio su tela, 231,1 x 298,4 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, A.E. Gallatin Collection, inv. 1952-61-58



15 Fernand Léger Schizzo per La città (primo stato), 1919 olio su tela, 65 x 54 cm Toledo, Toledo Museum of Art, acquistato con il contributo della Libbey Endowment, donazione Edward Drummond Libbey, 2000.9

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16 Fernand Léger La città (frammento, terzo stato), 1919 olio su tela, 129,9 x 97,2 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, The Louise and Walter Arensberg Collection, inv. 1950-134-124



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17 Fernand LÊger L’impalcatura (primo stato), 1919 olio su tela, 64,9 x 53,8 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, A.E. Gallatin Collection, inv. 1952-61-57



18 Fernand LĂŠger La bandiera, 1919 olio su tela, 64,7 x 81 cm New York, Collection Mr. e Mrs. Howard e Nancy Marks

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19 Fernand LĂŠger Il tipografo (ultimo stato), 1919 olio su tela, 130,3 x 97,5 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, The Louise and Walter Arensberg Collection, inv. 1950-134-125



22 Fernand Léger Illustrazione per Blaise Cendrars, J'ai tué, La Belle Édition, Paris 1918 stampe con cliché al tratto, colorate a pochoir pagina, 19,4 x 17,2 cm Washington, DC, National Gallery of Art

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23 Fernand Léger e Blaise Cendrars La Fin du Monde filmée par l'Ange de N.-D., Éditions de la Sirène, Paris 1919 22 stampe colorate a pochoir, ciascuna 31,4 x 25,1 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, A.E. Gallatin Collection, inv. 1952-61-141



34 Fernand Léger “La Danse”, 1924 periodico, 37 x 24,9 x 1 cm Filadelfia, Philadelphia Museum of Art - Library 35 Fernand Léger Scenografia per Skating Rink, 1921 acquerello su carta, 222 x 298 mm Stoccolma, Dansmuseet, Museum Rolf de Maré 36 Fernand Léger Progetto di sipario per Skating Rink, 1922 acquerello su carta, 406 x 476 mm Stoccolma, Dansmuseet, Museum Rolf de Maré



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37-43 Fernand Léger Progetti di costumi per Skating Rink, 1921-1922 • Uomo con pantaloni a righe, 1921 acquerello su carta, 298 x 178 mm • Donna con gonna gialla, 1921-1922 acquerello su carta, 225 x 145 mm • Donna con gonna rossa, 1922 grafite, gouache, china e inchiostro acquerellato su carta, 250 x 170 mm • Donna con vestito verde, 1921-1922 acquerello su carta, 254 x 152 mm

• Uomo con pantaloni marroni, 1921-1922 acquerello su carta, 250 x 160 mm • Uomo con giacca a scacchi, 1921-1922 acquerello su carta, 227 x 150 mm • Marinaio, 1921-1922 grafite, gouache e inchiostro acquerellato su carta, 250 x 170 mm Stoccolma, Dansmuseet, Museum Rolf de Maré


59 RenÊ Clair e Francis Picabia Entr’acte, 1924 film in bianco e nero riversato su DVD scenografia di Francis Picabia, musiche originali di Erik Satie, coreografia di Jean Borlin, con la partecipazione di Marcel Duchamp, Man Ray e Jean Borlin New York, The Museum of Modern Art Archives


60 Fernand Léger e Dudley Murphy Ballet Mécanique, 1924 film muto, bianco e nero, riversato su video ad alta definizione, 16 minuti New York, Anthology Film Archives

È l’unico film di Lèger, realizzato con il contributo artistico di Man Ray e la collaborazione alla regia di Dudley Murphy. Non ha trama ma consiste nell’interazione ritmica di oggetti d’uso comune, tra primi piani, scomposizioni o ribaltamenti simmetrici. Per Léger è una sorta di dichiarazione d’intenti sul potere del cinema di trasformare oggetti ordinari in uno spettacolo intensamente lirico. Interpreti e trama sono irrilevanti,

in modo che la potenza del mezzo filmico emerga come capacità di rappresentazione dell’immagine animata e in questo senso si ponga come attività strettamente artistica, al pari della pittura o della poesia. In seguito, Léger attingerà al repertorio figurativo del film in diversi dipinti. La versione che qui vediamo è probabilmente l’originale presentato alla prima del film nel 1924.


61 Marchel Duchamp Anémic Cinéma, 1926 film muto, bianco e nero, riversato su DVD, 7 minuti con la collaborazione di Man Ray e Marc Allégret New York, The Museum of Modern Art, Circulating Film and Video Library


62 Fernand Léger Progetti di affresco per un music hall (a sinistra) e per un muro esterno (a destra), 1922 da “L’Architecture Vivante”, autunno/inverno 1924 Éditions Albert Morancé, Paris tav. 9 foglio: 22,5 x 27 cm New York, Avery Architectural and Fine Arts Library, Columbia University, donazione W.K. Harrison


63 Robert Delaunay Forme circolari, 1930 olio su tela, 128,9 x 194,9 cm New York, Solomon R. Guggenheim Museum, Solomon R. Guggenheim Founding Collection 49.1184

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