Vittorio Sgarbi
Correggio, pittore dell’armonia
Da Roma a Parma u una grande festa, a Parma, nel 2003, la mostra di Parmigianino. E subito si pensò di fare festa anche al Correggio. Ma l’improvvisa tempesta su una grande azienda paralizzò la città, scoprendone un’imprevista malattia. La bufera fu lunga, e deprimente. Di anno in anno si rilanciava, senza convinzione, la mostra. Si sperava in una nuova primavera. Ci si riuniva con i superstiti del comitato per le celebrazioni del quinto centenario della nascita del Parmigianino, da me presieduto, con il sindaco Elvio Ubaldi, con il tesoriere Orazio Grilli, con il volenteroso ed entusiasta Luca Sommi e anche con la sovrintendente storica (temporaneamente, esiliata a Siena, ma non distratta) Lucia Fornari Schianchi. La convinzione c’era, ma il momento non sembrava mai propizio. Dopo cinque anni, finalmente, l’attivismo di Roma con la mostra programmata alla Galleria Borghese, “Correggio e l’Antico”, curata dalla volitiva Anna Coliva, stimolò un sussulto d’orgoglio a Parma. In diversi incontri, con il vecchio e con il nuovo sindaco, Pietro Vignali, con il Sommi e con il Grilli, tentammo ogni strada: dallo scippo della mostra a una strategia per innalzare i visitatori, in arrivo da Roma, sulle cupole di San Giovanni Evangelista e del Duomo, in un ideale gemellaggio. Infine, con opportuna decisione, si è arrivati alla soluzione. Coordinare le due mostre. Prima a Roma e poi a Parma, senza soluzione di continuità. D’altra parte, a Roma non poteva mancare: uno dei temi caldi del dibattito critico sul Correggio è se sia stato (come oggi tutti pensano, non io) a Roma, per studiare Michelangelo e Raffaello, o meno. La maledizione del Vasari, che era caduta sul Parmigianino, pigro e distratto dalle ricerche alchemiche, cade sul Correggio: “Ed egli fu il primo che in Lombardia cominciasse cose della maniera moderna: per che si giudica che, se l’ingenio di Antonio fosse uscito di Lombardia e sta-
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Michelangelo Anselmi, Lapide commemorativa di Prasilde da Thiene Navata centrale
to a Roma, averebbe fatto miracoli e dato delle fatiche a molti che nel suo tempo furono tenuti grandi; con ciò sia che, essendo tali le cose sue senza avere egli visto de le cose antiche o de le buone moderne, necessariamente ne seguita che, se le avesse vedute, arebbe infinitamente migliorato le opere sue e crescendo di bene in meglio sarebbe venuto al sommo de’ gradi”. Vasari non capisce, non vuole capire, che lo specifico di Correggio, la sua morbidezza, fusione, soavità, sono antitetiche rispetto a Roma, e in particolare a Michelangelo che a lui, toscanocentrico, appare imprescindibile (“necessariamente ne seguita”). Correggio è tale perché la sua visione cresce e matura senza dipendenze, senza soggezioni. Il suo classicismo sentimentale è sorgivo, originale, istintivo, espressione del cuore, non della ragione. Così la sua pittura si forma senza disegno, nell’impasto del colore. E a Roma nessuno lo ha visto, perché non c’è andato. Parmigianino fu visto dipingere e rispettato dai lanzichenecchi, come ci racconta il Vasari. Il quale scrive, nel 1550, a meno di vent’anni dalla morte di Correggio, e difficilmente avrebbe potuto essere così deciso nella sua affermazione se non avesse avuto fonti certe, tra le quali certamente l’invidioso Mazzola Bedoli che l’aveva già informato, malignamente (ma non disinformato) sul Parmigianino; ed era stato fianco a fianco del Correggio nel grande cantiere di San Giovanni Evangelista che ci ha riservato le migliori sorprese, rivelandoci un Correggio pressoché sconosciuto. D’altra parte le attuali convinzioni della critica pretendono il Correggio a Roma nella Cappella Sistina e nelle Stanze Vaticane probabilmente nel 1518. Da Cecil Gould a John Shearman gli studiosi di Correggio disputano soltanto il momento (prima o dopo aver dipinto il soffitto della Camera di San Paolo) del fantomatico viaggio a Roma. David Ekserdjian ha deciso, per riempire di senso un vuoto: “Visto che vi sono dei vuoti nella pre9
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senza documentata dell’artista Correggio nell’estate del 1518 e del 1519, sembra difficile sfuggire alla conclusione che ne abbia spesa una a Roma e l’altra ad affrescare la Camera”. Non mi sembra un grande argomento, soprattutto dopo che le aperture settecentesche, in particolare del Mengs, a una inevitabile conoscenza di Roma, davanti alla grazia e alla bellezza di Correggio (“ciò supposto, io inclino a credere, che Correggio andasse a Roma; che vi vedesse, e che vi studiasse le opere di Raffaello, e molto di più quelle di Buonarroti; ma che essendo d’un carattere buono e modesto, unicamente occupato allo studio della sua arte, sfuggisse i divertimenti delle compagnie, e la conoscenza degli altri pittori, e perciò non si assoggettasse allo stile di veruno né di veruno si facesse imitatore, ma prendesse il bello ovunque lo scoprisse”) erano state rintuzzate dal Lanzi. Il grande studioso confermava le ricerche di Ireneo Affò, che aveva ricondotto la conoscenza delle antichità classiche alle monete di età imperiale, e allo studio “sui bronzi, sui marmi, sui cammei, e meglio sulle medaglie, delle quali non era penuria in Lombardia, né in Parma”, e alla esemplare lezione del Mantegna; e concludeva: “di qua può dedursi nuovo argomento che il Correggio non fosse in Roma”. D’altra parte l’impresa correggesca è tutta padana, svolgendosi tra Mantova, Correggio e Parma. Il senso profondo della sua ricerca, andando più verso Leonardo che verso Raffaello e Michelagelo, è liberarsi della cultura, e delle stesse suggestioni classiche, derivate da Mantegna, per misurarsi con la natura, con la vita, con i sensi. Pittore dei sensi e non della ragione, della dolcezza della carne, del desiderio, è Correggio. Lo aveva ben colto Stendhal davanti alla Madonna di san Gerolamo nella Pinacoteca Nazionale di Parma: “Sarebbe impossibile trovare nulla di più contrastante tra la grazia antica – la Venere del Campidoglio – e la grazia moderna, la Maddalena del Correggio”. Alla mostra non mancheranno occasioni per emozionarsi al calore, umano, troppo umano, del Correggio. Ma nulla potrà eguagliare l’emozione di salire veramente al cielo, entro le cupole del Duomo e di San Giovanni. In quest’ultima chiesa l’esperienza del dialogo e del confronto tra Cor10
reggio, Parmigianino e il meno noto Michelangelo Anselmi, tra il 1520 e il 1524, potrà essere anche sconvolgente. Soprattutto perché, da ogni parte della chiesa, usciranno copiosamente pitture mai viste, e mirabilissime, del Correggio. Ci appaiono nel semisconosciuto fregio della navata centrale, sempre declassato a opera di bottega; sporco fino a che l’avveduto restauro di Marcello Castrichini non lo ha riportato alla luce, riscontrandone la stessa tecnica esecutiva della cupola. Così oggi sono, come per la prima volta, davanti ai nostri occhi Sibille e Profeti, dipinti, con estro e velocità, da un Correggio che sale verso la cupola portandoci con sé in un vortice di luce. Novità sul Correggio Un’esperienza sconvolgente è quella della visita alla basilica di San Giovanni Evangelista, concepita come uno spazio mentale per l’elaborazione del pensiero creativo di Correggio. L’interno di San Giovanni non è dominato soltanto dalla cupola ma è rianimato nella sua struttura da un’interpretazione pittorica dello spazio che contraddice la rigida architettura di impianto ancora quattrocentesco. Gli studi dell’Adorni, nel volume sull’abbazia benedettina del 1979, e ora in questa sede, ci dicono della direzione dei lavori di Bernardino Zaccagni e di Pietro Cavazzolo e dei loro rapporti con la cultura del Bramante (cui si attribuisce l’abbazia benedettina di Praglia) e di Giuliano da Sangallo. Ma l’arrivo di Correggio sconvolge questa grammatica in un fermento che agita tutta la chiesa attraverso una sintassi nuova perfettamente intesa da Antonio Raffaello Mengs: “Fuggendo egli dunque le linee rette scieglieva in quasi tutti i casi le curve a destra e a sinistra, come fa la lettera S; e con ciò credeva dar maggior grazia, avendo senza dubbio osservato che la differenza tra lo stile secco e il bellissimo dell’Antico consiste principalmente che i contorni e le forme di quello si compongano di linee rette e di alcune curve e convesse, mentre nel secondo è solamente varietà di curve”. Michelangelo Anselmi in parte resiste, ma Parmigianino, che lavora nelle prime cappelle a sinistra, subito e perfino prima del maestro, si adegua. Così il percorso della decorazione pittorica, supera-
Correggio, pittore dell’armonia
Correggio, Sibilla seduta rivolta verso sinistra con il braccio sinistro sopra la tavola Rotterdam, Boijmans Van Beuningen Museum
Correggio, Sibilla seduta rivolta verso sinistra con il braccio destro sopra la tavola Rotterdam, Boijmans Van Beuningen Museum
ti gli episodi di Francesco Francia e di Cristoforo Caselli detto il Temperello, irradia da un punto eccentrico nel transetto di sinistra con la lunetta sopra la porta che va dalla chiesa al monastero, raffigurante il san Giovanni Evangelista. È il testimone, il narratore cui sono affidati il racconto e la visione di quanto si apre, d’improvviso, sopra la testa di chi entra nella chiesa: il cielo della cupola con la Contemplazione di san Giovanni. Correggio inizia dal basso, didascalicamente, e indica un punto da cui partire prima della vertiginosa ascesi. Con questa partenza Correggio si lascia alle spalle ogni precedente decorazione, di cui resta testimonianza nel transetto, eseguita nel gusto e nelle forme ancora arcaiche di Cristoforo Caselli. La rivoluzione avviene a partire dal 1520 quando, nel luglio e nell’agosto, risultano i pagamenti per la “cuba del choro”. Nella cupola, in verità, Correggio va oltre Raffaello. Nella visione di un san Giovanni a Patmos, ai confini del cielo, con un’aquila stupefatta con gli occhi sbarrati, gli Apostoli stanno seduti sulle nuvole come in comode poltrone, tutti singolarmente distratti, se non indifferenti, dalla apparizione, in un vortice luminoso, del Cristo. Correggio dipinge il cielo, un cielo d’oro, il sole divino. Ciò che Raffaello, nella Trasfigurazione, fa stare sulla terra, Correggio porta, vertiginosamente, in alto. Così forte è la suggestione di questo Paradiso che non potrà fare altro che riprodurlo, in modo quasi letterale, e in identiche forme, circa un secolo dopo, in un’altra chiesa di San Giovanni Evangelista, a Reggio Emilia, Sisto Badalocchio. La visione celeste di Correggio è una ipnosi. E, in Emilia come a Roma, tutti i pittori del Seicento guardano a Parma. Un vero contrappasso: il viaggio a Roma, che Correggio non fece, si permuta, per i pittori attivi a Roma, da Lanfranco al Gaulli, in un (“indispensabile”) viaggio a Parma, capitale del Rinascimento da cui si genera il Barocco. E sarà, dunque, Bernini a guardare Correggio e a tentare di riprodurne in pietra la sensualità, l’odore della carne. Da Roma a Parma. Correggio prosegue nella chiesa di San Giovanni Evangelista per oltre tre anni fino al 23 gennaio del 1524, quando dichiara di aver ricevuto il pagamento conclusivo di tutti i la11
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Correggio, Profeta seduto che guarda verso sinistra (recto) Francoforte, St채delsches Kunstinstitut Correggio, Profeta seduto rivolto verso destra (recto) Francoforte, St채delsches Kunstinstitut
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Correggio, pittore dell’armonia
vori. Entro l’estate del 1522 Correggio riceve i pagamenti degli affreschi sulla “Capella Grande” che non può che essere l’abside con l’Incoronazione della Vergine, ora alla Galleria Nazionale di Parma e di cui resta in situ una fedele copia di Cesare Aretusi. Incuriosisce che sia stato fin qui ignorato e comunque sottostimato il complesso fregio della navata centrale, commissionato il 1° novembre del 1522. La vicenda è stata ricostruita in tempi recenti da Ekserdjian ed è ora ripercorsa in questa sede. Ma sarà difficile d’ora in avanti non legare al Correggio in persona prima Sibille e Dottori del fregio della navata centrale con i meravigliosi monocromi di collegamento. E ancor più gli affreschi della cappella Del Bono, nella quale erano le due mirabili tele (ora alla Galleria Nazionale di Parma) con il Martirio dei quattro santi e il Compianto di Cristo. Difficile non riferire al Correggio il sottarco della cappella con l’invenzione dei quattro putti monocromi che sostengono il tondo con l’imago clipeata del Cristo. Ekserdjian insiste per una esecuzione di bottega ma incardina, ineluttabilmente, l’intervento del Correggio. Come Popham indicò per primo, tre disegni a Chatsworth garantiscono il coinvolgimento di Correggio nella fase della ideazione, verso il 1524-1525. Difficile immaginare che una invenzione come la Conversione di Saulo, travolto da un vento luminoso, nello scorcio accelerato dell’affresco, si debba ad altra mano. Presto si capirà salendo sull’impalcatura. Anche l’affresco con i santi Pietro e Giovanni Evangelista riserva sorprese. Se si osserva con attenzione la figura scorciata dello storpio, con il movimento snodato della gamba e del piede, si potrà riconoscere un notevole autografo correggesco, sia pure soffocato dalle due un po’ tozze figure principali. In San Giovanni Evangelista Correggio è ovunque e sembra ispirare anche gli interventi di Parmigianino e di Anselmi, soggiogati dalla grande macchina della cupola con gli apostoli atleti sistemati sulle nuvole per far corona al Cristo sospeso nel cielo dorato, nel quale si fondono teste di cherubini, divenuti pura luce. La critica, a partire dalla Shearman, ha ritenuto e ritiene inevitabile la conoscenza della pittura di Raffaello e Michelangelo a Roma, di cui proprio la figura del Cristo, “inconcepibile” senza l’e-
sempio della Trasfigurazione di Raffaello, sarebbe una prova. In realtà continuo a non considerare necessaria una tale esperienza, risolutamente negata da Vasari. Per la fantasia di Correggio, dopo la soggezione di Leonardo, dovette essere sufficiente la conoscenza dei disegni di Raffaello arrivati a Parma, e, proprio nella sede delle monache di San Paolo dove Correggio lavorava per la Camera della Badessa, attraverso Giulio Romano che, per la stessa sede, aveva dipinto la piccola pala d’altare con Cristo redentore tra la Vergine e san Giovanni Battista con i santi Paolo e Caterina d’Alessandria. La maniera di Correggio non è derivata da Michelangelo e da Raffaello, ma rappresenta una via padana autonoma e distinta da quella romana. E in questo senso va riconosciuta la sua originalità in quelle forme da tutti intese nell’equilibrio tra grazia e sensualità, come anche recentemente ha ripetuto Claudio Franzoni nell’indagare i rapporti tra Correggio e l’arte classica. Come l’Ariosto, poeta, il Correggio appare “pittore” dell’armonia, capace di sciogliere ogni fonte culturale in vita e ogni forma plastica in carne. La sua Roma e la sua Grecia sono un sogno di Roma e di Grecia, un istinto che si scioglie in natura. Così come aveva inteso Alessandro Tassoni, seguito da Diderot e Winckelmann, indicando una relazione con l’inesistente Apelle: “Loda Plinio le sue pitture sovra l’arte, di grazia, di politezza e di vaga coloratura: ma chi in questa parte aguagliò Antonio da Correggio che in colorire leggiadramente, e in dar grazia e vaghezza alle pitture ha messo l’ultimo segno?”. Un dipinto dimenticato Riappare ora, e occorre esaminarlo con prudenza, un Cristo portacroce su tavola (cm 65 5 53), attestato da tempo in una collezione parmigiana e riferito al Correggio da Augusta Ghidiglia Quintavalle nel 1963, e ancora registrato da Arturo Carlo Quintavalle nel 1970. Poi, improvvisamente, espunto dalla letteratura critica, talvolta indulgente su pezzi molto più discutibili. La Ghidiglia vide nel dipinto una prova della dipendenza di Correggio dall’Anselmi che, a San Giovanni Evangelista nella Cappella Bergonzi, elabora un volitivo Cristo portacroce a figura intera. Arturo Carlo Quintavalle, 13
qui e alle pagine seguenti Elaborazione tridimensionale della cupola
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Sisto Badalocchio Visione di San Giovanni Evangelista, 1613 Affresco della cupola Reggio Emilia, San Giovanni Evangelista
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a pag. 96 Tav. 1 Ilario e Michele Mazzola (attr.), San Martino dona il mantello
Tavv. 2-3 Gian Francesco Gottesaldi, Madonna col Bambino fra i santi Michele Arcangelo e Gerolamo, particolare e intero
Cappella Baiardi
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Cappella Cornazzano
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Tav. 38 Michelangelo Anselmi, particolare delle sante
Tav. 39 Michelangelo Anselmi, particolare di monaco
Tav. 40 Michelangelo Anselmi, particolare di sant’Agnese
Cappella del Santissimo Sacramento
a pag. 148 Tav. 52 Gerolamo Mazzola Bedoli e aiuti, Santa Margherita d’Antiochia, particolare Tav. 53 Gerolamo Mazzola Bedoli e aiuti, Santa Cecilia che suona l’organo portativo e Santa Margherita d’Antiochia
a pag. 152-153 Tav. 54 Gerolamo Mazzola Bedoli e aiuti, Santa Margherita d’Antiochia Tav. 55 Gerolamo Mazzola Bedoli, Santa Cecilia che suona l’organo portativo
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