"L'arte della cinematografia"

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Vittorio Storaro

L’Arte della Cinematografia

Bob Fisher Lorenzo Codelli 10

The Art of Cinematography

Roland TOTHEROH, Gordon Pollock (Stati Uniti d’America/USA) City Lights, 1931

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Regia/Directed by: Charlie CHAPLIN (Prod./Distr. Charles Chaplin Productions)

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Regia/Directed by: Walt DISNEY (Prod./Distr. Walt Disney Studios)

Lee GARMES, James Wong Howe (Stati Uniti d’America/USA) Shanghai Express, 1932

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Regia/Directed by: Joseph VON STERNBERG (Prod./Distr. Paramount Pictures)

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Anatoli GOLOVNJA, Yuli Fogelman (Russia) Dezertir, 1933

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Ernest HALLER, Ray Rennahan, Lee Garmes (Stati Uniti d’America/USA) Gone with the Wind, 1939 Regia/Directed by: Victor FLEMING (Prod./Distr. Selznick International Pictures / MGM)

Fritz Arno WAGNER (Germania/Germany) Das Testament des Dr. Mabuse, 1933 18

Regia/Directed by: Fritz LANG (Prod./Distr. Nero Film – Constantin / Deutsche Universal)

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Christian MATRAS, Philippe Agostini (Francia/France) La Grande illusion, 1937 Regia/Directed by: Jean RENOIR (Prod./Distr. Réalisation d’Art Cinématographique – RAC)

Regia/Directed by: Vsevolod PUDOVKIN (Prod./Distr. Prometheus – Germania/Germany / Mezhrapom Film – Russia)

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Walt DISNEY, Albert Hurter, Ferdinand Horvath, Gustav Tenggren, Arthur Rackham, John Bauer, Joe Grant (Stati Uniti d’America/USA) Snow White and the Seven Dwarfs, 1936-1937

Harold ROSSON (Stati Uniti d’America/USA) The Wizard of Oz, 1939 Regia/Directed by: Victor FLEMING (Prod./Distr. MGM / Loew’s)

Bert GLENNON (Stati Uniti d’America/USA) The Scarlet Empress, 1934 19

Regia/Directed by: Joseph VON STERNBERG (Prod./Distr. Paramount Pictures)

Georges PÉRINAL, Osmond Borradaille (Francia/France) The Thief of Baghdad, 1940 Regia/Directed by: Michael POWELL, Ludwig BERGER, Tim WHELAN (Prod./Distr. Alexander Korda for London Film Production – Gran Bretagna/UK – Stati Uniti d’America/USA)

Photography

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Un “OMAGGIO” da parte di VITTORIO STORARO, LUCIANO TOVOLI, GABRIELE LUCCI, DANIELE NANNUZZI all’“ARTE DELLA CINEMATOGRAFIA”

A “TRIBUTE” from VITTORIO STORARO, LUCIANO TOVOLI, GABRIELE LUCCI, DANIELE NANNUZZI to “THE ART OF CINEMATOGRAPHY”

La personale scelta dei 150 AUTORI DELLA FOTOGRAFIA CINEMATOGRAFICA che nel volume appaiono con un loro “Film simbolo” obbedisce unicamente al criterio che mette in campo direttamente cuore e anima. Essi sono i Co-Autori cinematografici che, da generazioni, hanno stimolato e accompagnato il nostro percorso individuale con un sentimento di profonda e ammirata partecipazione, quali per noi sommi esempi di creatività cinematografica. Grandi personalità che ci hanno fatto scoprire, ci hanno fatto sognare, ci hanno insegnato ad amare e quindi a divenir parte dell’ARTE DELLA CINEMATOGRAFIA. In essenza, un omaggio da Scrittori di Luce a Scrittori di Luce. È con questo spirito che i realizzatori di questo volume ringraziano tutti gli Autori e i Co-Autori dei Film inclusi in questo Omaggio all’Arte della Cinematografia, per aver realizzato tanti capolavori del Cinema mondiale nel corso di un secolo. Particolarmente Vittorio Storaro e Daniele Nannuzzi RINGRAZIANO tutti i FOTOGRAFI DI SCENA e gli AVENTI DIRITTO delle Immagini Fotografiche e Cinematografiche dei Film presentati in questo volume, utilizzate per la ri-elaborazione in Doppia Visione Foto-Cinematografica e per il “VIDEOPEDIA” in Dvd, con le musiche di Francesco Cara, di presentazione del volume, SCUSANDOSI con quanti di Essi non sia stato possibile stabilire un contatto preventivo, per la giusta diretta richiesta di autorizzazione all’utilizzo di dette immagini. Sia VITTORIO STORARO che DANIELE NANNUZZI confermano che hanno svolto detto lavoro per l’amore di tanto Cinema qui rappresentato, pensando con le loro ri-elaborazioni, di ri-vitalizzare tanto splendido materiale di archivio e di REPERTORIO Foto-Cinematografico realizzato da Fotografi, Autori della Cinematografia e Registi dei vari Film. Dichiarano altresì che detto intervento è stato fatto TOTALMENTE a TITOLO GRATUITO DA ENTRAMBI.

The personal choice of 150 CINEMATOGRAPHERS, each accompanied by a “trademark film,” obeys the sole criterion of heart and soul. They are the cinematographic Co-Authors who have accompanied and inspired our individual careers for generations. Artists whom we admire and identify with profoundly, and look on as the ultimate models of cinematographic creativity. Great personalities who have led us to discover, made us dream, taught us to love, and then become part of THE ART OF CINEMATOGRAPHY. In essence, a tribute to Cinematographers from Cinematographers. It is in this spirit that those who produced the volume wish to thank all the Authors and Co-Authors of the Films included in this Tribute to the Art of Cinematography, for having made so many masterworks of world Cinema in the course of a Century. Vittorio Storaro and Daniele Nannuzzi in particular would like to express their THANKS to all the STILL PHOTOGRAPHERS and COPYRIGHT OWNERS of the Photographic and Cinematographic Images from the Films presented in this volume that have been used for the re-elaboration in Photo/Cinematographic Dual Vision and for the DVD Presentation “VIDEOPEDIA” of the book, with music by Francesco Cara, and wish to APOLOGIZE to those whom they have not been able to contact directly in advance to duly request their authorization to use said images. Both VITTORIO STORARO and DANIELE NANNUZZI confirm that they have done this work for the love of all the Cinema represented here, intending, through their re-elaborations, to revitalize a wealth of superb material contained in the archive and Photo-Cinematographic REPERTOIRE of Photographers, Cinematographers, and Directors of those Films. They also declare that this intervention was carried out COMPLETELY FREE OF CHARGE BY BOTH.

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Biografie degli autori

Biographies of the Contributors

VITTORIO STORARO Diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, esordisce in “Giovinezza giovinezza” di Franco Rossi. Collabora con i Registi Bernardo Bertolucci, Francis Coppola, Warren Beatty, Carlos Saura. Pone le sue ideazioni in “Scrivere con la LUCE – COLORI-ELEMENTI” e prepara “Le MUSE, I VISIONARI, I PROFETI”. Oscar per “Apocalypse now”, “Reds”, “L’ultimo Imperatore”, riceve due lauree e due riconoscimenti Honoris Causa. È presidente dell’AIC nel 1988-1990 e membro di Accademie e Associazioni Internazionali. Insegna per dieci anni “Scrivere con la Luce” all’Accademia dell’Immagine, con l’aspirazione al riconoscimento sul “Diritto d’Autore” per la Cinematografia.

VITTORIO STORARO Graduated from the Centro Sperimentale di Cinematografia in Rome and debuted on “Giovinezza giovinezza” by Franco Rossi. He has worked with directors such as Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola, Warren Beatty, and Carlos Saura. His concepts are presented in the volume Writing with LIGHT – COLORS – ELEMENTS; he is now preparing the follow-up, MUSES, VISIONARIES, PROPHETS. Oscars for “Apocalypse Now,” “Reds,” “The Last Emperor,” and four Honoris Causa degrees from universities and academies. Rome’s Ambassador of the Image, President of the Associazione Italiana Autori della Fotografia Cinematografica (AIC) in 1988– 1990, and member of international academies and societies. He taught “Writing with Light” for ten years at the Accademia dell’Immagine and his goal is to have the Cinematographer’s “Author’s Rights” legally recognized.

LUCIANO TOVOLI Diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, nel 1960 “Banditi ad Orgosolo” di Vittorio De Seta gli apre le porte del cinema francese. Da allora spazia nel cinema spostandosi con continuità nel triangolo Roma-Parigi-Hollywood. Nel 1981 con Gabriele Lucci fonda i primi Incontri Internazionali degli Autori della Fotografia Cinematografica nella città dell’Aquila. Nel 1992 fonda da presidente AIC IMAGO, la Federazione Europea degli Autori della Fotografia Cinematografica. Nel 1999 fonda con David Kaminsky il “Cinematographer’s day” a Palm Springs.

LUCIANO TOVOLI A Centro Sperimentale di Cinematografia graduate, he gained an entrée into French cinema with Banditi ad Orosolo by Vittorio De Seta in 1960. Since then his talents have ranged far and wide, and he has constantly applied them between Rome, Paris, and Hollywood. In 1981, Tovoli and Gabriele Lucci launched the International Festival of Cinematographers known as “City in Cinema” at L’Aquila, Italy. In 1992, as the Associazione Italiana Autori della Fotografia Cinematografica (AIC) President, he founded IMAGO, the European Federation of Cinematographers. In 1999 he created “Cinematographer’s Day,” with David Kaminsky, in Palm Springs.

DANIELE NANNUZZI Sin da ragazzo affascinato dalla professione di suo padre Armando, nel 1976 firma la Cinematografia e Regia della seconda unità di “Gesù di Nazareth” prima di varie collaborazioni con Franco Zeffirelli. Firma la Cinematografia con vari registi: Carlo Lizzani, Tinto Brass, Ettore Scola, Alejandro Jodorowsky, Sergej Bondarcˇuk, Tonino Cervi, Andrea Bolognini, Jerry London, i fratelli Frazzi, Enrico Oldoini, Alberto Negrin, Kim Manners, John Gray e Greg Yaitanes, fino all’incontro con Enzo Monteleone in “El Alamein” con cui ottiene il David di Donatello, il Globo d’Oro e il Premio Gianni di Venanzo.

DANIELE NANNUZZI Fascinated as a boy by his father Armando’s profession, in 1976 he was second-unit cinematographer and director on “Jesus of Nazareth,” the first of several films he worked on with Franco Zeffirelli. He has created cinematography for a variety of directors: Carlo Lizzani, Tinto Brass, Ettore Scola, Alejandro Jodorowsky, Sergei Bondarcˇuk, Tonino Cervi, Andrea Bolognini, Jerry London, the Frazzi brothers, Enrico Oldoini, Alberto Negrin, Kim Manners, John Gray, and Greg Yaitanes, culminating with Enzo Monteleone, with whom he collaborated on “El Alamein,” winning a David di Donatello, Globo d’Oro, and the Gianni di Venanzo Award.

GABRIELE LUCCI Creatore a L’Aquila di un vero e proprio Sistema-Cinema, con al centro l’Accademia dell’Immagine, è stato direttore scientifico per la Mondadori-Electa Cinema. Ha curato monografie su Premi Oscar italiani, l’ultima quella su Morricone (Premio Efebo d’oro 2008) e scritto libri sui generi, tradotti in vari Paesi. I suoi lavori sono stati recensiti dalle più importanti testate nazionali e internazionali. Per l’attività svolta a favore del cinema, ha ricevuto a Hollywood il tributo dell’American Society of Cinematographers.

GABRIELE LUCCI Creator of an actual Cinema-System, which revolves around the Accademia dell’Immagine, in L’Aquila, he was Scientific Director at Mondadori-Electa Cinema. He has edited monographs on Italian Oscar winners, the most recent devoted to Ennio Morricone (Golden Ephebus Award 2008), and written books on cinema, which have been translated into various languages. His volumes have been reviewed in leading national and international newspapers. The American Society of Cinematographers (ASC) paid tribute to him in Hollywood for his work in promoting cinema.

LORENZO CODELLI Collabora a “Positif”, Festival di Cannes, “Annuario A.I.C.”, “International Film Guide”; vicedirettore della Cineteca del Friuli; curatore di volumi dedicati a Mario Monicelli, Francesco Rosi, Ermanno Olmi, Tinto Brass, Marco Tullio Giordana, Alessandro D’Eva, Roberto Andò, Mario Martone, Cecil B. De Mille, ecc. È sceneggiatore di documentari sul cinema asiatico.

LORENZO CODELLI Contributor to Positif, Annuario A.I.C., and International Film Guide; adviser for the Cannes Film Festival; Deputy Director of the Cineteca del Friuli; editor of volumes on Mario Monicelli, Francesco Rosi, Ermanno Olmi, Tinto Brass, Marco Tullio Giordana, Alessandro D’Eva, Roberto Andò, Mario Martone, Cecil B. DeMille, to name just a few. He has also scripted documentaries on Asian cinema.

BOB FISHER Laureato in giornalismo, collabora con un quotidiano di New York. Dopo aver svolto il servizio militare nel 1960 viene chiamato a Los Angeles per curare la biografia di un cineasta premiato dalla American Society of Cinematographers. Rimane affascinato dall’Arte della Cinematografia. Da allora ha scritto tra i 2500 e i 3000 articoli sul cinema narrativo e sui documentari. Dal 2002 è membro onorario dell’ASC.

BOB FISHER After graduating from journalism school, he worked for a New York City newspaper. Upon completing his military obligation in 1960, Fisher was hired in Los Angeles, researching and writing the biography of a filmmaker who was being honored by the American Society of Cinematographers (ASC). He was fascinated with the art and craft of cinematography. Fisher has written between 2,500 and 3,000 articles on documentary and narrative filmmaking. He has been an honorary member of the ASC since 2002.

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Karl Freund Germania/Germany

ra inevitabile che s’incontrassero e collaborassero assieme due dei massimi t was inevitable that Karl Freund and Günther Rittau, two of the greatest names in German E I talenti della cinematografia tedesca quali Karl Freund e Günther Rittau; cinematography, would meet and work together. Both were active from the 1920s in the large Berlin ambedue attivi fin dai primi anni venti presso i grandi teatri di posa berlinesi gestiti studios of Universum Film-AG (UFA), the major production company helmed by the tycoon Erich dall’Universum Film-AG (UFA), la casa produttrice leader diretta dal tycoon Erich Pommer. Günther Rittau (Königshutte 1893 – Monaco di Baviera 1971) studia ingegneria a Berlino e collabora con la ditta cinematografica Decla-Bioskop ove sperimenta … procedimenti di riprese accelerate, microcinematografia e altre tecniche destinate soprattutto al documentarismo scientifico1. Dopo aver curato la fotografia di due film a soggetto, viene chiamato da Erich Pommer – all’epoca capo della Decla-Bioskop – per realizzare assieme a Carl Hoffmann la fotografia del colossale film “Die Niebelungen” (1924), un dittico diretto da Fritz Lang. Rittau inventa mirabolanti effetti speciali per dar vita al dragone e alle altre creature mitologiche che popolano la saga di Sigfrido. Karl Wilhelm Freund (Königsdorf an der Elbe 1890 – Santa Monica 1969) lavora in gioventù presso due fabbriche ottiche di Berlino e si afferma come operatore di cinegiornali in Austria e in Germania. Si impone nella fotografia cinematografica presso gli studi della compagnia Projektions AG Union ed effettua sperimentazioni con pellicole sonore per conto del produttore Oskar Messter. Nel 1919 crea un proprio laboratorio di sviluppo e stampa e in seguito fonda una propria casa di produzione. Dirigendo egli stesso due film e collaborando con registi di punta quali Robert Wiene, Richard Oswald, Paul Wegener, Ernst Lubitsch, Carl Theodor Dreyer, nonché in perfetta simbiosi con l’innovatore Friedrich Wilhelm Murnau, Freund contribuisce più d’ogni altro a plasmare i forti contrasti luminosi, le “ombre malefiche”, le simbologie arcane che caratterizzano per un quindicennio il movimento espressionista cinematografico. La lavorazione di “Metropolis” ha inizio nel maggio 1925 presso gli studi UFA di Neubabelsberg e si espande agli Ateliers Efa-am-Zoo e negli hangar per Zeppelin di Staaklen, procedendo ininterrottamente fino all’ottobre 1926. Costo stimato, 7 milioni di marchi. Scrive lo storico Bernard Eisenschitz: … La macchina da presa è parte integrante della dinamica registica, sia quando segue lo sguardo di Freder [l’eroe protagonista] che tende la mano verso un abito di Maria, sia quando si precipita in avanti, come spinta da un’esplosione … L’équipe inventa dei contrappesi per bilanciare la mdp Stachow che nelle foto di scena vediamo portata da Karl Freund sul suo stomaco voluminoso. Freund crede al potere della mdp più che a quello dei trucchi. Secondo lui l’operatore è il primo collaboratore del regista in tre settori: l’inquadratura (‘scelta del taglio dell’immagine’), il tracciato (‘scelta dei valori grafici’) e la tonalità (‘cioè ripartizione di nero e di bianco, di momenti d’ombra e di luce’)2. Sul set, ricorda H.O. Schulze, assistente di Rittau, … per le scene con attori, Karl Freund aveva il potere decisionale, in un rapporto assolutamente fraterno con Rittau che si occupava invece della mdp contenente il secondo negativo. Per tutto quanto riguardava la tecnica, Rittau dettava legge. Era indubbiamente il più intellettuale dei due …3. Per le scene con il gigantesco macchinario a forma di Moloch, Freund e Rittau impiegano l’“effetto Schüfftan”, con immagini riflesse su specchi inclinati già usato da Rittau in “I nibelunghi”. In un articolo del 1927 Rittau afferma che il cameraman è il mago moderno. Nulla è “impossibile” per lui4. Spiega inoltre che in alcune sequenze della trasformazione del robot femminile in creatura umana, sono stati impiegate fino a trenta diverse esposizioni per inquadratura, calcolate con precisione millimetrica. … Questo film è la riprova, se ancora ve ne fosse bisogno, che la tecnologia del Großfilm tedesco è alla pari con quella degli altri paesi.5 A sua volta Karl Freund, in un articolo dal titolo significativo (“La mdp volante”) sottolinea come ha voluto penetrare tramite i movimenti di macchina nelle esperienze soggettive dei protagonisti6. La visione distopica della metropoli del futuro e della massificazione incombente, concepita originariamente dalla scrittrice e sceneggiatrice Thea von Harbou, sposa di Fritz Lang, viene magnificata nel film grazie a architetture deliranti, un montaggio febbrile, interpretazioni fiammeggianti e un accompagnamento orchestrale roboante. Le accoglienze critiche sono alquanto tempestose, tra gli esecratori il noto scrittore di fantascienza H.G. Wells. Un recensore di “Variety” scrive: … Nulla del genere è stato filmato finora: l’effetto è veramente sconvolgente. Sotto il profilo fotografico e registico è assolutamente originale7. “Metropolis” subisce amputazioni e rimontaggi; nel 2010 la Murnau Stiftung riesce a ricostruire una versione che si avvicina a quella originaria, lunga 153 minuti8. Per le carriere di Karl Freund e di Günther Rittau, “Metropolis” rappresenta un apice estetico. Rittau rimane in patria all’avvento del nazismo e dirige alcuni film bellici; nel dopoguerra torna due volte alla regia e cura la fotografia per alcuni lungometraggi. Freund emigra nel 1930 prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Collabora a una sessantina di film hollywoodiani di tutti i generi e viene acclamato come il link sempreverde con l’epoca d’oro del cinema tedesco. Dirige otto lungometraggi di notevoli ambizioni, tra i quali due ottimi horror, “The Mummy” (1932) e “Mad Love” (1935). Negli anni cinquanta rimane attivissimo a Hollywood curando la fotografia per centinaia di episodi di serie televisive quali “I Love Lucy”. Nel 1937 l’Academy Motion Pictures Arts & Sciences (AMPAS) insignì Freund del premio Oscar per “La buona terra”. (LC)

Pommer. Günther Rittau (Königshutte 1893 – Munich 1971) studied engineering in Berlin and worked with the film company Decla-Bioskop where he experimented with accelerated filming processes, microcinematography, and other techniques destined, above all, for scientific documentaries . . .1 After creating the photography for two features, he was hired by Erich Pommer (then chief of Decla-Bioskop) to sign, with Carl Hoffmann, the photography for the epic “Die Nibelungen” (1924), a work comprising two silent fantasy films directed by Fritz Lang. Rittau created some amazing special effects to bring alive the dragon and other mythological creatures that populate the saga of the first film, “Siegfried.” Karl Wilhelm Freund (Königsdorf an der Elbe 1890 – Santa Monica, California 1969) worked, as a youth, in two optics factories in Berlin, later making a name for himself as a newsreel cameraman in Austria and Germany. He debuted as a cinematographer at the Projektions AG Union studio, then conducted experiments with sound film for the producer Oskar Messter. In 1919 he set up his own film processing lab, and subsequently a production company. He directed two movies himself and collaborated with top-flight directors like Robert Wiene, Richard Oswald, Paul Wegener, Ernst Lubitsch, Carl Theodor Dreyer, and Friedrich Wilhelm Murnau, with whom he established a perfect understanding. It was through this that Freund contributed, more than anyone else, to molding the high-contrast chiaroscuros, the “evil shadows,” and arcane symbolism that characterized the Expressionist film movement for fifteen years. Shooting began on “Metropolis” at the beginning of May 1925 at the UFA studios in Neubabelsberg, and was extended to the Ateliers EFA-am-Zoo and the Zeppelin hangars in Staaklen, continuing uninterruptedly until the end of October 1926. Estimated cost: 7 million Reichsmark. Film historian Bernard Eisenschitz writes that in “Metropolis”: The camera is part of the directorial dynamic, both when it follows the gaze of Freder [the heroic protagonist] as he extends his hand towards one of Maria’s dresses, and when it hurtles forward, as if propelled by an explosion. The crew invented counterweights to balance the Stachow camera, which we see Karl Freund carrying on his big belly, in the stills . . . Freund believes in the power of the camera more than that of tricks. In his book the cinematographer is the director’s principal collaborator in three areas: framing (“choice of composition”), layout (“choice of graphic values”) and tonality (“division of black and white, elements of light and shade”).2 Rittau’s assistant HO Schulze recalls that on the set: Karl Freund had decisional powers on the scenes with actors, but nevertheless maintained a fraternal relationship with Rittau who was in charge of the camera containing the second negative. Where everything technical was concerned, Rittau’s word was law. He was certainly the more intellectual of the two . . .3 For the scenes featuring the gigantic machine in the form of Moloch, Freund and Rittau utilized the “Schüfftan effect,” created by images reflected in angled mirrors, which Rittau had already used for “Die Nibelungen.” In an article penned in 1927 Rittau states that: the cameraman is a modern wizard. Nothing is ‘impossible’ for him . . .4 He also explains that in the sequence of the female android transformed into a human being, they did as many as thirty different exposures per shot, all calculated with hairsbreadth precision. . . . This film proves once again, as if there were any need, that the technology of the German Großfilm is on a level with that of other countries . . .5 For his part, Karl Freund, in an article significantly titled “The Flying Camera,” stresses that he sought, through the camera movements, to penetrate the protagonists’ subjective experiences.6 The dystopic vision of the future metropolis and the threat of mass living, conceived by the author and screenwriter Thea von Harbou, who was married to Fritz Lang, is magnified in the film through frenzied architecture, feverish editing, fiery performances, and a resounding orchestral accompaniment. The critical reception of the film was equally stormy, and the science-fiction writer HG Wells was among its fervent detractors. A reviewer of Variety wrote: . . . Nothing of the sort has ever been filmed before: its effect is positively overwhelming. From a photographic and directorial standpoint it is something entirely original . . .7 “Metropolis” was both cut and re-edited; in 2010 Murnau-Stiftung reconstructed a version close to the original that ran for 153 minutes.8 In the careers of Karl Freund and Günther Rittau, “Metropolis” represents an aesthetic peak. Rittau remained in his homeland after the advent of Nazism, where he directed various war films; in the postwar years, he signed two more movies and photographed several features. Freund emigrated in 1930, first to the UK and then to the USA. He worked on around sixty Hollywood movies in every genre and was hailed as the evergreen “link” with the Golden Age of German cinema. He directed eight very ambitious features, including two excellent horror films, “The Mummy” (1932) and “Mad Love” (1935). In the 1950s he was still very active in Hollywood, photographing hundreds of episodes of TV series, like “I Love Lucy.” The Academy of Motion Picture Arts & Sciences (AMPAS) presented to Freund in 1937 the Oscar for “The Good Earth.”

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Metropolis 1927. Regia/Directed by: Fritz Lang

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Ernest Haller Stati Uniti d’America/USA

rnest Haller, assieme a Ray Rennahan, iniziò la sua carriera agli albori rnest Haller and Ray Rennahan began their careers during the dawn of the motion picture E E dell’industria del cinema. Era un impiegato di banca che nel 1914 cominciò industry. Haller was a bank clerk who got a job as an actor with the Biograph film production a lavorare come attore per la casa di produzione Biograph. Nel giro di un company in 1914. Within a year, he discovered that his true passion was working on the other side of anno, tuttavia, scoprì che la sua vera passione era lavorare dietro la macchina da presa. Girò il suo primo film come operatore nel 1920. Erano gli anni del cinema muto, l’epoca in cui gli operatori, usando la macchina da presa a manovella e la pellicola in bianco e nero, inventavano la grammatica visuale necessaria per raccontare una storia. La sua carriera decollò a metà degli anni venti, dopo l’uscita del film “Stella Dallas”. Haller firmò un contratto con la casa di produzione First National Pictures, che nel 1930 fu assorbita dalla Warner Bros. Nel 1939 conquistò la prima delle sue cinque nomination all’Oscar con “Figlia del vento”, una drammatica storia d’amore ambientata nella Louisiana dell’Ottocento. Bette Davis, protagonista della pellicola, vinse l’Oscar come migliore attrice. Anche in questo successo, tuttavia, va riconosciuto il contributo dell’operatore che creò immagini straordinarie capaci di valorizzare l’interprete del film. Gli altri film che valsero a Haller la candidatura al premio dell’Academy furono “Paradiso proibito” del 1940, “Il romanzo di Mildred” del 1945, “La leggenda dell’arciere di fuoco” del 1950, “Che fine ha fatto Baby Jane?” del 1962 e “I gigli del campo” del 1963. Nel corso della sua carriera Haller firmò la fotografia di oltre cento pellicole. Nel 1966, un anno prima di ritirarsi, esplorò nuovi territori girando la prima stagione della popolare serie televisiva “Star Trek”. Ray Rennahan aveva ventuno anni quando, nel 1917, iniziò a lavorare in una troupe cinematografica. Nel 1922 la Technicolor introdusse la tecnologia delle pellicole a colori. In origine si trattava di un sistema a due colori che prevedeva l’esposizione simultanea di due bobine di pellicola in bianco e nero. Una era sensibilizzata alla luce color ciano, l’altra alla luce color magenta. Una volta sviluppate, le due pellicole venivano copiate otticamente su un nuovo negativo e colorate, rispettivamente, in magenta e ciano. Rennahan fu un pioniere e un maestro della tecnica di registrare immagini in Technicolor. Nel 1922 fu l’assistente operatore responsabile delle immagini a colori del classico “I dieci comandamenti” diretto da Cecil B. DeMille. Nel 1935 Rennahan firmò la Cinematografia di “Becky Sharp”, il primo film realizzato con il formato Technicolor a tre colori. Nel 1940 fu candidato all’Oscar insieme a Bert Glennon per “La più grande avventura”, nel 1941 insieme a Leon Shamroy per “Notti argentine” e con Arthur Miller per “Alla ricerca della felicità”. Nel 1942 vinse l’Oscar insieme a Ernest Palmer per “Sangue e arena”; nello stesso anno fu candidato al premio dell’Academy insieme a Harry Hallenberg per “Il re della Louisiana”. Ottenne la nomination all’Oscar ancora nel 1944 per la cinematografia di “Per chi suona la campana” e nel 1945 per “Le schiave della città”. Nella fase finale della sua carriera girò diverse serie televisive di successo tra cui “Un equipaggio tutto matto” (1963-1965), “The Alfred Hitchcock Hour” (1965), “Il virginiano” (1964-1967) e “Operazione ladro” (1969). Dal 1978 la celebre Walk of Fame di Hollywood include una stella con il suo nome. Storici del cinema concordano nel ritenere “Via col vento” un grande classico. Girato nel 1939, è basato sull’omonimo romanzo di Margareth Mitchell, e trasporta gli spettatori in un viaggio indietro nel tempo fino a una grande piantagione negli Stati Uniti meridionali all’epoca della Guerra di secessione (1861-1865) e nel periodo immediatamente successivo al conflitto. La storia ruota intorno alle vicende della protagonista Rossella O’Hara e ai complessi rapporti che la legano all’uomo che ama ma che sposa un’altra donna, a Rhett Butler, il nuovo amore della sua vita, alla fedele governante di colore e a vari altri personaggi. Il film fu prodotto da David Selznick e realizzato con il Technicolor a tre pellicole, nei teatri di posa e nei set ricostruiti su un terreno di circa sedici ettari situato sul retro degli studi della Rko Pathé di Los Angeles. La macchina da presa Technicolor a tre pellicole e il blimp pesavano circa trecentodiciassette chili. Le riprese del film iniziarono con George Cukor alla regia e Lee Garmes alla cinematografia; Rennahan collaborava con quest’ultimo in qualità di esperto del Technicolor a tre pellicole. Come si legge in un articolo scritto da George Turner e pubblicato nel marzo 1999 sulla rivista “American Cinematographer”, si dovette ricorrere a … una potenza luminosa quasi intollerabile, soprattutto nelle numerose scene di massa … Alcune settimane dopo Selznick licenziò Cukor e Garmes perché riteneva che lavorassero troppo lentamente e chiamò a sostituirli Victor Fleming e Haller. Fleming aveva iniziato la propria carriera come operatore e aveva al suo attivo la cinematografia di sedici film. In virtù della propria esperienza poté apprezzare il contributo fondamentale di Haller e Rennahan nel tradurre le parole della sceneggiatura in immagini avvincenti che ammaliarono il pubblico trasportandolo nei luoghi e nell’epoca della vicenda. Indimenticabile la scena notturna in esterni in cui Rossella e Rhett sono ripresi in primo piano sullo sfondo della città di Atlanta in fiamme. Per creare l’effetto del fuoco che sembra dipingere un alone rosso nel cielo scuro la troupe bruciò un cumulo di vecchi set collocato a una certa distanza. “Via col vento” fu candidato a tredici Oscar e ne vinse otto, tra cui quello per miglior film, migliore regia (Fleming), migliore cinematografia (Haller e Rennahan), migliore attrice protagonista (Vivien Leigh), migliore direzione artistica (Lyle Wheeler) e migliore sceneggiatura.

the camera. Haller earned his first cinematography credits in 1920. It was a time during the silent film era when cinematographers were inventing a visual grammar for telling stories while hand-cranking black-and-white film through cameras. His career shifted into high gear during the mid-1920s after he shot a film titled “Stella Dallas.” Haller became a contract cinematographer with First National Pictures, which became part of Warner Bros. in 1930. He earned the first of his five Academy Award nominations in 1939 for “Jezebel,” a period dramatic love story set in Louisiana during the 1800s. Bette Davis, the leading actress, won an Oscar. That doesn’t often happen without artful imagery and a cinematographer who relates with the actress. Haller earned other Academy Award nominations for “All This, and Heaven Too” in 1940, “Mildred Pierce” in 1945, “The Flame and the Arrow” in 1950, “Whatever Happened to Baby Jane?” in 1962, and “Lilies of the Field” in 1963. He had more that one hundred feature film credits. Haller explored new territory when he shot the first season of the popular “Star Trek” television series during the final year of his career, in 1966. Rennahan was twenty-one when began working behind the camera in 1917, initially as a crew member and then as a cinematographer. Technicolor introduced technology that made it possible to produce films in color in 1922. It was initially a two-color system. Two rolls of black-and-white film were simultaneously exposed. One roll was sensitized to green light and the other one to red light. After both films were processed, they were optically copied onto a new negative with green and red dyes used to create colors. Rennahan was among the first cinematographers to master the art and craft of recording images in Technicolor format. He was the cinematographer in charge of color images in Cecil B. DeMille’s classic film “The 10 Commandments” in 1922. Rennahan earned a cinematography credit for “Becky Sharp,” the first feature film produced in the new three-color Technicolor format in 1935. He shared Oscar nominations with Bert Glennon for “Drums along the Mohawk” in 1940, with Leon Shamroy for “Down Argentina Way,” and Arthur Miller for “The Blue Bird” in 1941. Rennahan shared an Oscar with Ernest Palmer for “Blood and Sand” in 1942. He also shared an Academy Award nomination with Harry Hallenberg for “Louisiana Purchase” in 1942. Rennahan earned other Academy Award nominations for “For Whom the Bell Tolls” in 1944 and “Lady in the Dark” in 1945. During the final years of his career, he shot several popular television series, including “McHale’s Navy” (1963–1965), “The Virginian” (1964–1967), “The Alfred Hitchcock Hour” (1965), and “It Takes a Thief” (1969). A star with his name has been on the Hollywood Walk of Fame since 1978. “Gone with the Wind” is regarded as a classic film by movie historians. The script was based on a best-selling novel written by Margaret Mitchell. The compellingly intimate drama took audiences on a journey back in time to a plantation in the southern United States during the Civil War (1861–1865) and the years immediately following it. The story revolves around the relationships between Scarlett O’Hara, Rhett Butler, the man she loves who abandons her for another woman, the new man in her life, her maid, and various other characters. The film was produced by David O. Selznick in the three-strip Technicolor process on sets built on stages and a 40-acre back lot at RKO Pathé Studio in Los Angeles. The three-strip Technicolor camera and its blimp weighed approximately 700 pounds. George Cukor and Lee Garmes were the original director and cinematographer along with Rennahan, who was the expert on the Technicolor three-strip format. It required an almost intolerable amount of candle power, especially in the many large-scale scenes. This quote is borrowed from a retrospective review written by George Turner in an American Cinematographer Magazine article in March 1999. Several weeks into production, Selznick fired Cukor and Garmes. He said they were working too slow. Selznick replaced them with director Victor Fleming and Haller. Fleming began his career behind the camera. He had sixteen cinematography credits. That background gave him an unique appreciation of the vital roles that Haller and Rennahan would play in translating the words in the script into compelling images that put audiences in the places and times where the story was happening. There is a memorable night exterior scene with O’Hara and Butler in the foreground and the city of Atlanta, Georgia, on fire in the background. The fire painted a reddish aura on the dark sky. A very large pile of old sets were set on fire in the distant background to create that effect. “Gone with the Wind” was nominated for Academy Awards in thirteen categories. It claimed eight top honors, including Best Picture, Best Director (Fleming), Best Cinematography (Haller and Rennahan), Best Actress (Vivien Leigh), Best Art Direction (Lyle Wheeler), and Best Screenplay. (BF)

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Gone with the Wind

Via col vento

1939. Regia/Directed by: Victor Fleming

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Gregg Toland Stati Uniti d’America/USA

regg Toland nacque a Charleston, Illinois, nel 1904. Quando i genitori regg Toland was born in Charlston, Illinois, in 1904. After his parents were divorced in 1910, G G divorziarono nel 1910, il piccolo e la madre si trasferirono a Los Angeles, Toland and his mother moved to Los Angeles, where she was a housekeeper for people who dove lei trovò lavoro come governante presso una famiglia di pionieri del cinema. were pioneering the art and craft of moviemaking. Toland began working as an office boy at Nel 1919 Toland iniziò a lavorare come fattorino nei William Fox Studios. Affascinato dai primi cameraman che giravano la manovella per trascinare la pellicola nella macchina da presa, Toland decise di intraprendere quella carriera. Fece parte delle troupe che lavorarono con George Barnes e Arthur Edeson, due maestri che lo ispirarono con il loro esempio. Toland era operatore di macchina nella troupe di Barnes che sperimentò l’uso delle carrellate durante la lavorazione di “Cercasi avventura” del 1929, uno dei primi film ad abbinare suono sincronizzato e immagini in movimento. Toland non era alto e aveva una corporatura piuttosto esile ma di lui si racconta che fosse animato da un’energia incontenibile. Il primo film di cui firmò la cinematografia fu “Il re dei chiromanti”, una commedia musicale del 1931 con le coreografie di Busby Berkley. Toland ottenne la prima nomination all’Oscar nel 1935 con “Il sergente di ferro”. Altre candidature arrivarono con “Strada sbarrata” del 1937 e “Intermezzo: A Love Story” del 1940. Nel 1939 Toland aveva collaborato con il regista William Wyler alla realizzazione di “La voce nella tempesta”, creando la luce morbida e diffusa che caratterizza il film, oggi considerato un classico. Toland vinse l’Oscar per la magistrale resa delle immagini. “La voce nella tempesta” ottenne altre nomination, tra cui quelle per il miglior film, la migliore regia e il miglior attore protagonista. Successi del genere non possono prescindere da una fotografia straordinaria, capace di coinvolgere totalmente gli spettatori con immagini di grande suggestione e potenza. Toland conquistò la sua sesta nomination al premio dell’Academy nel 1941 per “Viaggio senza fine”. In quel periodo venne a sapere che un attore di appena venticinque anni, già molto stimato come regista teatrale e radiofonico, aveva in mente di produrre e dirigere il suo primo lungometraggio. Toland riuscì a rintracciare il giovane prodigio: si chiamava Orson Welles e il film era “Quarto potere”. Girato in bianco e nero, il film prende le mosse dalla morte di un potente editore – la cui vita aveva già assunto i contorni della leggenda – e dal tentativo della redazione di un importante quotidiano di scoprire il significato delle sue ultime parole. La storia è ispirata alla figura del magnate della stampa William Randolph Hearst. Welles interpretò il ruolo del potente editore Charles Foster Kane. La sceneggiatura, firmata da Herman J. Mankiewicz, è caratterizzata da un uso geniale dei flashback. “Quarto potere” fu prodotto dalla RKO Radio. Poiché Toland era sotto contratto con il Samuel Goldwyn Studio, Welles chiese alla RKO di negoziare un accordo affinché Toland e tutta la sua troupe potessero collaborare alla realizzazione del film. L’accordo prevedeva anche il noleggio dell’attrezzatura che Toland aveva modificato per girare “Viaggio senza fine”. Le due pellicole raccontavano storie completamente diverse in termini di luoghi, tempi ed emozioni, ma Toland riuscì comunque ad adattare con grande efficacia molte delle tecniche sperimentate con il regista John Ford. In particolare, riprese l’uso dell’obiettivo grandangolare, dei soffitti bassi dotati di pannelli per illuminare i set dall’alto, della luce di taglio laterale e del panfocus che gli consentiva di estendere la profondità di campo e mantenere a fuoco tutti gli elementi dell’inquadratura. In un articolo scritto da Toland nel 1975 si legge: … Per trasferire sullo schermo la nostra visione Orson Welles e io siamo stati obbligati ad allontanarci radicalmente dalla pratica tradizionale. “Quarto potere” non è un film convenzionale. La nota dominante è il realismo. Il nostro obiettivo era fare in modo che il pubblico pensasse di assistere ad eventi reali … Le ambientazioni erano più che semplici sfondi, gli spettatori dovevano avere l’impressione di entrare nei luoghi in cui si svolgeva la storia. Welles mirava alla continuità di scene e sequenze. Angolazioni della macchina da presa e composizione delle inquadrature erano programmate in modo che la narrazione procedesse fluida, con scene più lunghe senza inserti. Tutto era organizzato in funzione di quello che la macchina da presa rivelava al pubblico … Nella maggior parte dei casi i set dove furono girati gli interni avevano soffitti più bassi della norma, realizzati con pannelli di tela che potevano essere rimossi in modo rapido e facile qualora Toland volesse usare una Junior o un altro tipo di lampada per le inquadrature in controluce che necessitavano di profondità di campo. Mankiewicz vinse l’Oscar per la sceneggiatura originale. Il film ottenne altre otto nomination, tra cui quelle per la cinematografia, per il montaggio (curato da Robert Wise, che poi sarebbe diventato un regista di grande successo), per la regia e per il miglior attore, queste ultime entrambe appannaggio di Welles. Toland scrisse: … Tra tutti coloro che lavorano alla realizzazione di un film, l’autore della cinematografia è l’unico che può definirsi uno spirito libero. La libertà d’espressione è un privilegio prezioso per ogni essere umano … egli è l’unico e il solo a creare effettivamente le immagini … La posizione della macchina da presa determina l’angolazione da cui il pubblico vedrà la scena. L’importanza di questo elemento ai fini dell’effetto drammatico non va comunque sopravvalutata. L’illuminazione della scena gioca un ruolo altrettanto potente nella creazione dell’effetto drammatico… All’inizio della seconda guerra mondiale Toland fu arruolato nella marina statunitense. Prestò servizio in un reparto comandato dal regista John Ford che produceva documentari e film informativi. La sua vita e la sua carriera furono stroncate da un infarto nel 1948.

William Fox Studios in 1919. He was intrigued by first-generation cinematographers who were hand-cranking film through cameras. Toland decided to follow that career path. He worked on camera crews with George Barnes and Arthur Edeson who mentored him by example. Toland was a second cameraman on Barnes’s crew when they pioneered the use of tracking shots during the production of “Bulldog Drummond,” which was among the first movies to couple synchronized sound with moving images in 1929. Toland was five feet and one inch tall and he had a relatively slight physique, but people who knew him said that his energy was unparalleled. He earned his first cinematography credit in 1931 for “Palmy Days,” a musical comedy choreographed by Busby Berkeley. Toland earned his first Oscar nomination in 1935 for “Les Miserables.” There were other nominations in 1937 for “Dead End” and in 1940 for “Intermezzo: A Love Story.” Toland also collaborated with director William Wyler on the production of “Wuthering Heights” in 1939. They created a soft, diffused look for that now classic film. Toland earned an Academy Award for his artful rendering of images. “Wuthering Heights” claimed seven other Oscar nominations, including Best Picture, Director, and Actor. That doesn’t happen without artful cinematography, which transports audiences to times and places where stories unfold with images that amplify moods. Toland earned his sixth Oscar nomination in 1941 for “The Long Voyage Home.” Around that time, he heard that a twenty-five-year-old actor, who was a highly regarded stage and radio director, was planning to produce and direct his first film. Toland sought the boy wonder out. His name was Orson Welles. And the picture was “Citizen Kane.” The black-and-white film is a story about life at a major metropolitan newspaper following the death of the publisher who was a legend in his own time. Reporters were determined to find out the meaning of his last words. The story was thinly disguised as a fictional adaptation of the life and death of newspaper mogul William Randolph Hearst. Welles cast himself as the publisher whose last name was Kane. The script authored by Herman J. Mankiewicz makes artful use of flashbacks. “Citizen Kane” was produced by RKO Radio. Toland was under contract at Samuel Goldwyn Studio. Welles requested that RKO negotiate an arrangement to bring Toland and his crew on board to collaborate with him on the production of “Citizen Kane.” They also arranged to rent camera equipment that Toland had modified for the production of “The Long Voyage Home.” The stories couldn’t be more different in terms of time, place, and emotions, but Toland artfully adapted many of the techniques that he and director John Ford created and used during the production of “The Long Voyage Home.” He used the same wide-angle lenses, low ceilings with panels for overhead lighting of sets, hard side-lighting, and extremely deep focused shots during the production of “Citizen Kane.” In an article that Toland wrote in 1975, he stated: . . . In order to bring the picture to the screen the way that Orson Welles and I saw it, we were forced to make radical departures from conventional practices. “Citizen Kane” isn’t a conventional movie. Its keynote is realism. We felt that the movie should be brought to the screen in a way that made the audience feel like it was looking at reality. The settings were more than backgrounds. They helped to put the audiences in places where the story was happening. Welles wanted scenes and sequences to flow together. We planned angles and composition, so the story could be told in longer scenes without cut-aways. Everything was planned with reference to what the camera revealed to the audience . . . The majority of interior sets had ceilings that were often lower than they would be in an actual room. They were made of a canvas-type material with panels that could be quickly and easily removed if Toland wanted to use a “Junior” or another lamp for backlighting shots requiring deep focus. Mankiewicz earned an Oscar for his screenplay. There were eight other Academy Award nominations, including Cinematography, Editing by future world-class director Robert Wise and Welles for both Directing and his performance as Kane. Toland wrote: . . . Of all the people who make up a movie production unit, the cameraman is the only one who can call himself a free soul. This freedom of idea expression is to any human being, a precious priviledge . . . he is the one, and the only one who actually makes pictures . . . The placement of the camera determines the angle from which the action is to be viewed by audiences. The importance of this angle to dramatic effect cannot be overemphasized. The lighting of the scene is an equally potent factor in the determination of dramatic effect . . . Toland was called to duty in the US Navy during the early days of World War II. He served in a unit led by director John Ford, which produced documentaries and informational films. His life and career were cut short by a fatal heart attack in 1948. (BF)

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Citizen Kane

Quarto potere

1941. Regia/Directed by: Orson Welles

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Geoffrey Unsworth Regno Unito/UK

eoffrey Unsworth nacque nel 1914 nel Lancashire, in Inghilterra. A diciotto eoffrey Unsworth was born in Lancashire, England, in 1914. He began his career in the film G G anni mosse i primi passi nell’industria cinematografica iniziando a lavorare industry at Gaumont-British production company when he was eighteen years old. Unsworth per la casa di produzione Gaumont-British. Nel 1937 entrò alla Technicolor. Fu joined Technicolor in 1937. He was an assistant cameraman on a film produced in 1939 and assistente operatore di un film realizzato nel 1939 e operatore di macchina di “Duello a Berlino” del 1943. Unsworth fu operatore della seconda unità di “Scala al paradiso, cinematografato da Jack Cardiff, nel 1946 e ricoprì lo stesso ruolo per Guy Green nella realizzazione di “Robin Hood e i compagni della foresta” del 1952. Rievocando l’esperienza a molti anni di distanza, Unsworth affermò che lavorare con maestri della cinematografia di quel calibro fu per lui un privilegio e al contempo una grande opportunità. Il primo film di cui Unsworth firmò la cinematografia fu “Il cavaliere in nero”, una pellicola in Technicolor del 1946. Entrato alla Rank Organization in qualità di autore della cinematografia girò una serie di pellicole che spaziavano dal dramma alla commedia e ai film d’azione: ricordiamo “Incantesimo dei mari del Sud “(1949), “Gli avvoltoi non volano” (1951), “Made in Heaven” (1952), “Titanic latitudine 41 nord” (1958) e “Il mondo di Suzie Wong” (1960). La sua carriera ebbe una svolta dopo la prima candidatura all’Oscar per “Becket e il suo re” del 1964. Dal 1967 curò la cinematografia di “2001: Odissea nello spazio” diretto da Stanley Kubrick. Il regista volle che Unsworth collaborasse con Douglas Trumbull alla creazione degli effetti speciali. Il film, prodotto dalla MGM, fu girato in due anni principalmente nei teatri di posa della Sheperton e negli MGM British Studios in Gran Bretagna. Alcune riprese furono effettuate in Scozia e nella Monument Valley tra Utah e Arizona. … Il provino per il fondale di un effetto visivo fu girato nel Grand Canyon a 72 fotogrammi al secondo con una cinepresa da 65mm montata sul muso di un Lockheed del 1938, raccontò Trumbull. Guardando i giornalieri con un visore a prisma a 200 fotogrammi al secondo, mi accorsi che con un’alta frequenza dei fotogrammi si otteneva un realismo liquido. Potevamo guardare le immagini di un campo stellare astratto e veder compiersi la magia e la magia si compiva … Tra le tante sfide che Unsworth si trovò ad affrontare sul set vi fu quella di trasportare il pubblico in un viaggio che inizia sulla Terra in un’epoca preistorica. Un gruppo di ominidi che vive in un ambiente aspro e roccioso scopre un grande monolito nero puntato contro il cielo che sembra avere proprietà magiche; le scimmie cominciano a studiarlo, sfiorandolo con le dita, ritirando in fretta le mani, ma poi tornano a toccarlo. Per quelle immagini Unsworth usò una macchina da presa Panavision 65mm e una pellicola a colori da 100 Asa. La luce era motivata dal sole e dalla luna. L’altra parte del viaggio è ambientata nel 2001 all’interno di un’astronave con a bordo due piloti, tre scienziati mantenuti in ibernazione, e un computer chiamato HAL che controlla il funzionamento del velivolo e può dialogare con gli astronauti: sulla Luna è stato scoperto un secondo monolito che manda segnali verso Giove. Alla fine l’unico astronauta sopravvissuto alla missione scopre un terzo monolito puntato oltre le stelle e continua il suo viaggio alla ricerca del significato della vita. La sfida era far trovare il pubblico nello spazio circoscritto dell’astronave, il cui set fu costruito in una grande centrifuga che ruotava a una velocità di circa cinque chilometri orari. Nel corso del lungo periodo di lavorazione Unsworth collaborò con Kubrick e Trumbull riprendendo i fondali delle scene con effetti visivi realizzati con la tecnica del compositing. Costretto a lasciare il set per occuparsi di un altro film, Unsworth fu sostituito da un assistente operatore di nome John Alcott che completò le ultime due settimane di lavorazione. Alcott avrebbe poi cinematografato il successivo film diretto da Kubrick, “Arancia meccanica”. “2001: Odissea nello spazio” valse a Kubrick l’Oscar per gli effetti visivi e la nomination per la regia e la sceneggiatura, quest’ultima scritta insieme a Clarke. Unsworth non ottenne la candidatura perché si ritenne che il responsabile della grammatica visiva del film fosse Kubrick. Clarke, che condivise la nomination per la sceneggiatura con il regista, descrisse la magistrale cinematografia di Unsworth in una sola frase: … Se qualcuno volesse realizzare un film più accurato sull’universo e i suoi misteri non potrebbe far altro che girarlo sul posto … Unsworth vinse l’Oscar per “Cabaret” nel 1972 e per “Tess” nel 1979. Ricevette una nomination per “Assassinio sull’Orient Express” nel 1974. La British Association of Film and Television Arts gli assegnò il premio alla cinematografia per “2001: Odissea nello spazio”, “Becket e il suo re” (1965), “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” (1973), “Quell’ultimo ponte” (1977) e “Tess” (1979). Unsworth fu candidato al B.A.F.T.A. anche per “La vergine in collegio” (1963), “Assassinio sull’Orient Express” e “Superman” (1978). Unsworth stava completando le riprese di “Tess” quando morì alla fine del 1978. Aveva al suo attivo più di ottanta pellicole. Un critico osservò: … Geoffrey Unsworth era sempre disposto a sperimentare. Quando gli si chiedeva di girare una scena particolarmente complessa, non rifiutava l’idea a priori ma cercava comunque di trovare una soluzione. Era convinto che la cinematografia non dovesse attirare l’attenzione di per sé, bensì sostenere la visione del regista e il fluire dell’azione. E tuttavia è indubbio che la sua abilità e la sua arte hanno impresso un segno indelebile sul cinema moderno …

camera operator on “The Life and Death of Colonel Blimp” in 1943. Unsworth was the second-unit cinematographer for Jack Cardiff when he shot “The Stairway To Heaven” in 1946 and for Guy Green on “The Story of Robin Hood and His Merrie Men” in 1952. In a retrospective conversation, Unsworth said that working with those legendary cinematographers was both a priviledge and an opportunity. Unsworth earned his first cinematography credit for “The Laughing Lady,” a film produced in Technicolor format in 1946. He was a staff cinematographer for the Rank organization at Pinewood Studios where he shot a vast range of dramas, comedies, and action films, including “The Blue Lagoon “(1949), “Ivory Hunter” (1951), “Made in Heaven” (1952), “A Night To Remember” (1958), and “The World of Suzie Wong” (1960). His breakthrough came when he earned his first Academy Award nomination for “Becket” in 1964. “2001: A Space Odyssey” was Unsworth’s first collaboration with Stanley Kubrick. They began production in 1967. In addition to Unsworth, Kubrick brought Douglas Trumbull onboard to collaborate with him on the creation of seamless visual effects. Trumbull was also at the dawn of his career. The film was produced by MGM over a two year span mainly on sound stages at Sheperton and MGM British Studios in England. Some scenes were filmed at locations in Scotland and in Monument Valley in Utah and Arizona. Trumbull stated: . . . We shot a test for a background for visual effects shot in the Grand Canyon at 72 frames a second with a 65 mm camera mounted on the nose cone of a 1938 Lockheed airplane. . . While watching dailies with a high-speed prism viewer at 200 frames a second, I noticed that there was a liquid realism at high frame rates. We could look at film of an abstract starfield and see magic happening . . . For the film, the challenges for Unsworth included taking audiences on a journey that began on Earth in pre-historic times. During that period, audiences got to know a tribe of apes that discovered a very large black monolith pointing to the sky. It is surrounded by small, craggy rocks. Actors dressed in ape costumes circled around the monolith, touching it as though it were something magical, and quickly pulling their hands away. Unsworth was recording images using a Panavision 65 mm camera on a 100-speed color film. The sun and moon motivated light. The next leg on the journey begins in 2001 with two pilots on a spaceship. There are also three scientists onboard who are in a state of suspended animation to preserve supplies. The challenge was making audiences feel they were by-standers in the limited space available on the ship. The set for the spaceship was built in a large centrifuge that was revolving at 3 miles per hour. There was a computer named HAL onboard, which guided the ship and spoke with the pilots. There was a second monolith on the moon which was sending signals beyond Jupiter. After the explorers discover a third monolith, which points beyond the stars, their journey continues as they seek answers to the meaning of life. During the long production schedule, Unsworth collaborated with Trumbull and Kubrick, shooting background plates for optically composited visual effects shots. Unsworth had a commitment to move on to another project. John Alcott, an assistant cameraman on his crew, stepped into the breach and completed the last two weeks of production. He shot Kubrick’s next film, “A Clockwork Orange.” Kubrick earned an Oscar for visual effects and other nominations for directing and screenwriting. He shared the latter with Clark. Unsworth didn’t receive an Oscar nomination, probably because it was assumed that Kubrick was responsible for the visual grammar. Clark, who shared the screenwriting nomination with Kubrick, described the artful cinematography by Unsworth in one sentence: . . . If anyone wants to produce a more accurate film about the cosmos and its mysteries, they’ll have to shoot it on location . . . Unsworth won Oscars for “Cabaret” in 1972 and “Tess” in 1979. He was nominated for “Murder On The Orient Express” in 1974. The British Academy of Film and Television Arts (BAFTA) presented Unsworth with cinematography awards for “2001: A Space Odyssey,” “Becket” in 1965, “Alice’s Adventures in Wonderland” in 1973, “A Bridge Too Far” in 1977, and “Tess” in 1982. He was also nominated for “Tamarine” in 1963, “Murder On The Orient Express” in 1974, and “Superman” in 1978. Unsworth was working on the final scenes for Tess when he died in late 1978. He earned more that eighty cinematography credits. A critic observed: . . . Geoffrey Unsworth was always willing to experiment. If called upon to execute a particularly difficult shot, he would respond by searching for a solution. He was committed to the principle that the cameraman’s input should be unobtrusive. He believed that cinematography should not call attention to itself. It should support the director’s vision and the flow of the action. There is little doubt that his craftsmanship and artistry have left an indelible impression on modern cinema . . . (BF)

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2001: A Space Odyssey

2001: Odissea nello spazio

1968. Regia/Directed by: Stanley Kubrick

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Gordon Willis Stati Uniti d’America/USA

ordon Willis nacque a New York nel 1931. Il padre lavorava come ordon Willis was born in New York in 1931 and raised in that city. His father was a make-up G G truccatore nei teatri di posa della Warner Bros. a Brooklyn. Ripensando alla artist at Warner Bros. Studio in Brooklyn. Looking back on the first decade of his life, sua infanzia, Willis ricordava che la loro casa era spesso frequentata da gente del Willis recalled that there were always movie people hanging around his family’s home. The cinema. Quel mondo e quell’ambiente, dunque, gli sembravano del tutto normali. Dopo aver tentato la carriera d’attore recitando negli allestimenti estivi dei teatri stabili, Willis si indirizzò alla fotografia di scena e al reparto luci, ambiti nei quali si trovava decisamente più a suo agio. Scoppiata la Guerra di Corea, si arruolò poco più che ventenne in aeronautica e per i quattro anni successivi fu operatore in un reparto che realizzava film d’addestramento. Quando fu congedato dal servizio militare, tornò a New York e iniziò a lavorare nelle troupe che giravano documentari e pubblicità televisive. Imparò così a usare le immagini in movimento per raccontare storie nel tempo limitato di trenta o sessanta secondi. Willis aveva trentanove anni quando firmò il suo primo lungometraggio come autore della fotografia cinematografica. Si trattava di una pellicola indipendente intitolata “End of the Road” (1970). La sua carriera acquisì subito slancio. In quello stesso anno girò altri tre film indipendenti e due l’anno successivo. Tra questi, “Una squillo per l’ispettore Klute” che valse l’Oscar a una giovane attrice di nome Jane Fonda. Francis Ford Coppola, uno dei più promettenti registi del momento, lo volle come collaboratore per trasferire sul grande schermo una sceneggiatura che aveva scritto insieme a Mario Puzo. “Il padrino” racconta la storia di una potente famiglia che sin dagli anni venti controlla il crimine organizzato negli USA. L’anziano patriarca Don Vito Corleone, interpretato da Marlon Brando, ha deciso di trasferire il comando degli affari nelle mani del figlio che, tuttavia, sembra riluttante a prendere il suo posto. Il cast stellare includeva attori del calibro di Al Pacino, James Caan e Robert Duvall. … Nel cinema non esistono regole che non si possono infrangere, dichiarò Willis rievocando le decisioni prese insieme a Coppola durante la lavorazione di “Il Padrino” nel 1971. … Fare un film è un processo organico … In alcuni momenti del primo film della trilogia, abbiamo volutamente tenuto in ombra gli occhi del padrino perché non volevamo che il pubblico sapesse cosa pensava o provava. Poi, all’improvviso, svelavamo il suo sguardo. Marlon Brando riusciva a esprimere pensieri ed emozioni senza dire una sola parola. Nei suoi occhi si leggeva tutta la verità. Il sottotesto visivo è uno strumento affascinante, perché si porta il pubblico a pensare in un determinato modo. Il segreto sta nel prendere qualcosa di piuttosto complesso e presentarlo nella forma più semplice possibile… più è semplice, meglio è … Coppola incoraggiò Willis a fidarsi del proprio intuito. Willis scelse un’illuminazione in chiave bassa, lasciando che le finestre rimanessero al buio e le luci sparassero. Sottoespose il negativo a colori 100 Iso e usò un processo di stampa correttivo per ottenere immagini che sottolineassero atmosfere e stati d’animo. Inoltre, creò una patina dorata che fungeva da metafora visiva del periodo. La scena del matrimonio, ambientata in un giardino colorato immerso nella calda luce del sole, era simbolo di un nuovo inizio o di speranza in un futuro più pacifico. Poi un rapido stacco su un interno buio, con Don Corleone seduto nel suo studio circondato da ombre scure. In quel momento le parole non erano necessarie. L’immagine da sola evocava un che di sinistro: il padrino stava organizzando un raid punitivo. “Il Padrino” riscosse un successo straordinario tra gli appassionati di cinema e i critici di tutto il mondo. Nel 1972 ottenne tre premi Oscar – miglior attore protagonista a Marlon Brando, miglior film e migliore sceneggiatura non originale – e altre sette nomination in varie categorie, ma non quella per la migliore cinematografia. Il magistrale contributo di Willis passò inosservato, forse proprio a causa dell’estrema naturalezza delle immagini. In ogni caso, la sua carriera non conobbe più pause e “Il Padrino” fu seguito da altri film indimenticabili. Nel corso degli anni settanta curò la cinematografia di “Esami per la vita”, “Detective Harper: acqua alla gola”, “Perché un assassinio”, “Il Padrino – parte II”, “Tutti gli uomini del presidente”, “Io e Annie” e “Manhattan”. Quando, nel 1982, fu finalmente candidato all’Oscar per “Zelig” dichiarò: … Sono onorato, e sorpreso … Willis ottenne la seconda nomination al premio dell’Academy nel 1990 per “Il Padrino – parte III”. Nel 1995 i colleghi della American Society of Cinematographers gli conferirono il premio alla carriera. Durante la cerimonia sembrava che tutti i presenti, dagli studenti di cinematografia ai professionisti più esperti, avessero domande da fargli sul modo in cui aveva creato le immagini di “Il Padrino”, tanto straordinarie da rimanere impresse per sempre nella memoria del pubblico. … La cinematografia è simile alla pittura, affermò Willis in quell’occasione. È un’arte ma è innanzitutto un mestiere. Bisogna imparare a dipingere. Se non sai come si usano pennelli e colori, non puoi esprimere le tue idee attraverso la pellicola … Nel 2011 l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS) ha deciso di assegnarli l’Oscar onorario per la magistrale cinematografia di “Il Padrino”. Era la seconda volta che nei suoi ottantadue anni di storia l’Academy tributava un simile riconoscimento a un autore della cinematografia.

world they lived in seemed natural to him. Willis experimented with acting in plays at summer stock theaters. He switched to working on lighting crews and doing still photography because it felt more natural than acting. Willis was in his early twenties when the United States went to war in Korea. He enlisted in the US Air Force and spent four years as a cameraman in a unit which produced training films. After Willis was discharged from military service, he returned to New York and worked on documentary and television commercial crews. He learned to tell stories with moving images 30 and 60 seconds at a time. Willis was thirty-nine when he earned his first cinematography credit for an independent feature titled “End of the Road” in 1970. This new phrase of his career quickly shifted into high gear. Willis shot three more independent features that year and two movies the following year. One of these films was “Klute,” which earned an Oscar for a young actress named Jane Fonda. Francis Ford Coppola, a rising star in the galaxy of young directors, recruited Willis to collaborate with him on translating a script that he co-authored with Mario Puzo into moving images projected on cinema screens. “The Godfather” is an intimate story that takes audiences on an journey with a family that controlled organized crime in the United States during the 1920s. Don Corleone, an aging patriarch played by Marlon Brando, was transferring power to his reluctant son. The star-studded cast included Al Pacino, James Caan, and Robert Duvall. . . . There aren’t any unbendable rules in filmmaking . . . Willis stated while looking back on the decisions that he and Coppola made while collaborating on the production of “The Godfather” in 1971. It’s an organic process . . . In the first “Godfather” film, there were times when we didn’t want the audience to know what the father was thinking and feeling. Then, suddenly we would let them see his eyes. Marlon Brando expressed the Godfather’s thoughts and feelings without saying a word. The truth was in his eyes. Visual sub-texting is compelling, because you are leading the audience to think in a certain way. The trick is to take something that is quite sophisticated and reduce it to the simplest possible terms . . . the simpler the better . . . Coppola encouraged Willis to trust his instincts. Willis used low-key lighting, allowed windows to blow-out and lights to flare. He under-exposed the 100-speed color negative film and used force processing to fine-tune images in ways that visually punctuated moods. Willis also created a golden amber patina that served as a visual metaphor for the period. A wedding scene was staged in bright sunlight in a colorful garden. It symbolized a new beginning or hope for a more peaceful future. There was a quick cut to a dark, interior of Corleone sitting in his den surrounded by dark shadows. No words were needed. It was an ominous feeling. He was planning mayhem. “The Godfather” was a run-away hit with movie fans and critics around the world. The film earned Oscars for Brando, as Best Picture and also for Screenwriting in 1972. There were seven other nominations in various categories, but not for cinematography. The artful images created by Willis flew under the radar, probably because they looked and felt natural. However, Willis’s career shifted into high gear. He followed “The Godfather” with an array of memorable films. His credits during the 1970s included “The Paper Chase,” “The Drowning Pool,” “The Parallax View,” “The Godfather, Part II,” “All The President’s Men,” “Annie Hall,” and “Manhattan.” When Willis finally earned an Oscar nomination in 1982 for “Zelig,” he said: . . . I’m honored. I’m also surprised . . . Willis earned his second Oscar nomination for “The Godfather, Part III” in 1990. His peers in the American Society of Cinematographers (ASC) presented Willis with a Lifetime Achievement Award in 1995. It seemed like everyone at that event, ranging from student filmmakers to veteran cinematographers, had questions about how he created compelling images that drew audiences deep into the drama of “The Godfather.” . . . Cinematography is like painting . . . It’s a craft first. You have to know how to paint. If you can’t paint, you can’t express your ideas on film . . . The Academy of Motion Picture Arts & Sciences (AMPAS) presented Willis with an Honorary Oscar in 2011 for his artful cinematography on “The Godfather.” It was only the second time in the eighty-two-year history of the Academy that an Honorary Oscar has been presented to a cinematographer. (BF)

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The Godfather

Il Padrino

1972. Regia/Directed by: Francis Ford Coppola

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Vittorio Storaro Italia/Italy

ittorio Storaro nasce a Roma nel 1940. Scopre il cinema già da bambino. Il ittorio Storaro was born in Rome in 1940 and raised in that city. He was introduced to movies during V V padre era proiezionista alla Lux Film e Storaro ha ricordi d’infanzia legati alla his pre-teenage years when his father was a projectionist at Lux Film Studio. Storaro has boyhood cabina di proiezione dove il padre faceva visionare i film a produttori e registi. … memories of sitting in the booth while his father projected films for producers and directors. . . . I couldn’t Seduto in cabina non potevo sentire il sonoro, così ho imparato a guardare le immagini tentando di capire la storia del film. … Mio padre avrebbe voluto essere un autore della cinematografia e mi ha trasmesso quel sogno … A sedici anni Storaro si iscrisse al Centro Italiano di Addestramento Cinematografico (CIAC) e a diciotto entrò al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ottenuto il diploma, nel 1961 cominciò a lavorare come operatore di macchina alternando l’attività professionale allo studio delle arti: musica, pittura, letteratura, filosofia ecc… Nel 1963 un amico gli chiese di fare l’assistente nella troupe di “Prima della rivoluzione”, secondo film diretto da un giovane regista, Bernardo Bertolucci. Forse il loro incontro era un segno del destino. Nel 1968 Storaro firmò il suo primo lungometraggio come autore della cinematografia, “Giovinezza, Giovinezza” di Franco Rossi. Nel 1969 girò “Strategia del ragno” con Bertolucci alla regia. L’anno successivo i due collaborarono di nuovo per “Il conformista”, che valse loro il premio per la migliore regia e la migliore cinematografia assegnato dalla National Society of Film Critics di New York. Nel 1972 Storaro e Bertolucci girarono “Ultimo tango a Parigi” e nel 1974-1975 “Novecento”. Storaro ha vinto l’Oscar nel 1980 per “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, nel 1981 per “Reds” di Warren Beatty e nel 1988 per “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci, ottenendo un’altra nomination nel 1990 per “Dick Tracy” di Warren Beatty. Nel 2000 ha vinto l’Emmy Award dall’Academy of Television Arts and Sciences per “Frank Herbert’s Dune”, di John Harrison. Storaro ha ricevuto più di venti premi alla carriera da associazioni e festival di tutto il mondo, tra cui CamerImage nel 1994 e l’A.S.C. nel 2000. Ha ricevuto due lauree honoris causa dalle Università di Łódz´ in Polonia e di Urbino in Italia e due titoli accademici honoris causa dall’Accademia di Belle Arti di Macerata e dall’Accademia di Brera. Negli anni 1988-1990 è stato presidente dell’A.I.C. e dal 1985 è membro della A.S.C. Ha pubblicato la trilogia di volumi “Storaro – Scrivere con la luce” che accompagna nel mondo la mostra fotografica dallo stesso titolo. Suo obiettivo è ottenere il riconoscimento del diritto d’autore per tutti gli autori della fotografia cinematografica del mondo. “Novecento” fu girato in parte negli studi di Cinecittà e in diverse località della provincia di Parma. La vicenda si svolge nel 1900, quando in una fattoria nascono due bambini. Uno è figlio del proprietario terriero, l’altro è il figlio illegittimo di una contadina. La storia racconta quelle che Storaro descrive come le quattro stagioni della vita: la nascita, l’infanzia, la giovinezza e la maturità. I sentimenti che legano i protagonisti cambiano negli anni: l’amicizia dell’infanzia diviene rivalità per poi trasformarsi di nuovo in amicizia, con l’incertezza futura tra loro. In “Novecento” Storaro sperimentò la nuova macchina da ripresa Technovision, una Mitchell BNC modificata. Particolarmente significativa è la scena dei contadini e delle loro famiglie riuniti per la cena. Bertolucci la inquadrò da un’estremità del tavolo con una finestra sullo sfondo. La luce era motivata dal sole che tramontava fuori dalla finestra. … La cena si svolgeva al tramonto dopo una lunga giornata di lavoro nei campi, spiegò Storaro. Il sole che scendeva all’orizzonte era l’unica fonte di luce nella stanza perché i contadini non potevano permettersi le candele … Per contro, la cena dei padroni è illuminata dalla luce calda delle lampade a olio. Le riprese di “Novecento” durarono undici mesi, il regista volle sottolineare il passare del tempo seguendo l’avvicendarsi delle stagioni. La nascita e l’infanzia dei due protagonisti furono girate in primavera, l’adolescenza in estate, la giovinezza e l’approssimarsi dell’età adulta in autunno. Storaro utilizzò al massimo la luce naturale come punteggiatura visiva delle emozioni. Egli dipinse letteralmente con la luce in modo da creare auree delicate che fissavano il tono emotivo di ogni fase della storia. Descrisse i colori utilizzati come vivaci e lirici al tempo stesso. Durante l’estate rafforzò la luce del sole con un’illuminazione più calda. In alcune scene usò un tipo di illuminazione che impediva ai colori di diventare troppo saturi; cercando la grammatica visiva adatta a esprimere determinate emozioni. Stelle luminose riempiono il cielo di notte in autunno. Quando l’autunno sfuma nell’inverno, la neve ricopre tutto come una coltre bianca. Storaro elaborò un tipo di luce monocromatica che diventava via via più densa per alludere in modo sottile alle questioni irrisolte della storia. “Novecento” fu l’ultimo film stampato in Italia con il sistema Matrici Technicolor. Le vicende personali dei due protagonisti si intrecciano con la storia dell’Italia. Il film descrive il modo in cui l’ascesa del fascismo e poi la sua fine influenzarono la vita di tutto un popolo. Indimenticabile la scena in cui il padrone della fattoria, che durante il ventennio ha abbracciato l’ideologia fascista, viene circondato dai contadini che lo accusano. Importante per la visione dello scorrere del tempo sui volti dei protagonisti il trucco di Giannetto De Rossi e della sua équipe. Storaro è stato due anni in Iran per girare col regista Majid Majidi un film sulla giovinezza del profeta dell’Islam, “Mohammad”. Ha ricevuto premi per la cinematografia da varie Accademie: il David dall’Accademia del Cinema Italiano, nel 1988, per “L’ultimo Imperatore”; il B.A.F.T.A. dall’Accademia inglese, nel 1991, per “Il tè nel deserto”; il Goya dall’Accademia Spagnola e l’E.F.A. dall’Accademia Europea, nel 2000, per “Goya en Burdeus”.

hear sound in the booth, so I learned to watch the images and figure out what the characters were talking about . . . Storaro said . . . My father dreamed about what it would be like to be a cinematographer. He put that dream in my heart . . . Storaro was sixteen years old when he enrolled as a student at the Italian Cinemagraphic Training Center. He began studying at the state cinematography school (Centro Sperimentale di Cinematografia) at the age of eighteen. Storaro graduated and began his career as a camera operator in 1961. In-between working on films, Storaro studied the arts: music, painting, literature, and philosophy. In 1963, a friend asked Storaro to work on his crew as an assistant cameraman on a picture called “Before the Revolution.” The second film of Bernardo Bertolucci. Maybe it was destiny calling. Storaro earned his first cinematography credit for “Giovinezza Giovinezza,” directed by Franco Rossi, in 1968. He shot “The Spider Strategies” in 1969. It was his first film with Bertolucci at the helm. They collaborated again on “The Conformist” the following year. The National Society of Film Critics in the United States gave their Best Director and Best Cinematography awards to Bertolucci and Storaro, respectively, for “The Conformist.” They collaborated on “Last Tango in Paris” in 1972 and “1900” in 1974–1975. Storaro earned Oscars for “Apocalypse Now” directed by Francis Ford Coppola in 1980, “Reds” directed by Warren Beatty in 1981, and “The Last Emperor” directed by Bernardo Bertolucci in 1988. There was another nomination for “Dick Tracy” in 1990. He earned an Emmy for “Frank Herbert’s Dune” directed by John Harrison in 2000. Storaro has received more than twenty Lifetime Achievement Awards from organizations around the world, including the CamerImage International Festival of the Art of Cinematography in Poland in 1994 and the American Society of Cinematographers (ASC) in 2000. His contributions to the art of filmmaking have also been recognized with two honorary degrees from universities in Lodz, in Poland, and Urbino, in Italy, and two from the Academy of Fine Arts of Macerata and Brera (Milan), also in Italy. Storaro was President of the Associazione Italiana Autori della Fotografia Cinematografica (AIC) in 1988–1990 and has been a member ASC since 1985. He authored the trilogy of books and a photography exhibition titled Storaro: Writing with Light. One of his goals is to achieve legal recognition for cinematographers around the world as co-authors of the films. “1900” was filmed mainly at practical locations in Parma, northern Italy. The opening scene features the interactions of two boys who are born on a farm in 1900. One boy is the landowner’s son. The other boy is the bastard son of a female farm worker. The story covers what Storaro described as the four seasons in life: their births, childhood, younger and older adult years. The boys are friends during childhood. Then, they are enemies and friends again. Storaro was among the first cinematographers to use the new Technovision camera during “1900.” It was a modified Mitchell BNC camera. There is a scene with around twenty farm workers and their families seated around a dinner table. Bertolucci composed that shot at one end of the table with a window in the background. Light is motivated by the setting sun seen outside the window. . . . The sun is setting because they work long hours on the farm . . . Storaro explains . . . It’s the only source of light in the room, because they can’t afford candles . . . There is also a dinner scene in the land owner’s home. The family is surrounded by servants and the warm aura of flickering candlelight. “1900” was produced during an eleven-month period, because Bertolucci wanted to use the four seasons to visually punctuate the passage of time. The boys were born during the spring. Scenes featuring their teenage years were filmed during summer. Scenes during their younger adult years were shot in the fall. Bertolucci and Storaro collaborated to make maximum use of natural light and the weather during different seasons to help visually punctuate words and emotions. Storaro was literally painting with light to create subtle auras that set the right emotional tones for each part of the evolving story. He described the colors used as extremely bold and lyrical. During the summer, he enhanced sunshine with warmer lighting. There are scenes Storaro intuitively lit in ways that kept colors from becoming fully saturated. Bright stars fill the sky at night during the fall. When fall fades into winter, snow covers the ground like a white blanket. Storaro created light with an increasingly thicker, monochromatic tone that subtly, visually punctuated unresolved issues. “1900” was the last film printed in Italy with Technicolor’s imbibition system. While the story revolves around the two main characters who are friends again at the end, it also shows how the rise and fall of Fascism affected people’s lives. There is an unforgettable scene where the farm owner who embraced Fascism is sitting on a chair surrounded by farm workers who are pointing fingers at him. Storaro likes to give make-up artist Giannetto De Rossi and his crew credit for the role they played in aging the faces of characters as the story evolved. The next chapter in the story of Storaro’s career will have to be told in the future. He was two years in Iran collaborating with director Majid Majidi on the production of “Mohammad,” a story about the early life of the Muslim prophet. Storaro also received Cinematographer awards from several Academies: Italian Film Academy, David Award 1988 for “The Last Emperor,” British Academy of Film and Television Arts (BAFTA) award in 1991 for “The Sheltering Sky,” Spanish Film Academy, Goya Award in 2000 for “Goya en Burdeus,” European Film Academy (EFA) Award in 2000 for “Goya en Burdeus.” (BF)

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Novecento

1900

1974-1975. Regia/Directed by: Bernardo Bertolucci

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Una grande opera figurativa che, per la prima volta, propone una rilettura della Settima Arte attraverso gli occhi dei più importanti autori della fotografia cinematografica del mondo, in una visione originale dei capolavori del Cinema di tutti i tempi. Una ricca carrellata, quasi un catalogo ragionato dei film fondamentali del Cinema mondiale che dal 1910 arriva ai giorni nostri, disegnando centocinquanta profili di cinematographers. Grandi personalità che hanno fatto sognare, hanno insegnato ad amare: l’Arte della Cinematografia. In essenza, un omaggio degli Scrittori di Luce agli Scrittori di Luce. Illustrato da immagini fotografiche in doppia visione, rielaborate appositamente dal curatore, Vittorio Storaro, il volume è scritto da Lorenzo Codelli e Bob Fisher ed è arricchito dai contributi di Luciano Tovoli, Gabriele Lucci e Daniele Nannuzzi. Al volume è allegato il Dvd “Videopedia” con immagini in motion tratte da centocinquanta film che hanno fatto la storia del Cinema, curate da Daniele Nannuzzi e accompagnate da un originale “paesaggio sonoro” di Francesco Cara.

A great figurative work that for the first time ever offers a re-reading of the Seventh Art through the eyes of the most important authors of film photography worldwide, for an original vision of the all-time masterpieces of Cinema. A rich array, almost a catalogue raisonné, of the major movies of world cinema starting in 1910 and stretching all the way to our day and age, describing 150 profiles of cinematographers. World-class figures who have helped us to dream and taught us to love: The Art of Cinematography. Essentially a tribute by the Writers of Light to the Writers of Light. This book, written by Lorenzo Codelli and Bob Fisher, is illustrated with double vision photographs, specially reworked by the editor, Vittorio Storaro, and it is enriched with contributions by Luciano Tovoli, Gabriele Lucci, and Daniele Nannuzzi. The book comes with the DVD Videopedia with moving images taken from the 150 movies that have made cinema history, curated by Daniele Nannuzzi and accompanied by an original "soundtrack" by Francesco Cara.


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