Andy Warhol. Pentiti e non peccare più!

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Gianni Mercurio

“Vorrei richiamare un aspetto del suo carattere che egli nascose a tutti tranne che ai suoi amici più intimi: il suo lato spirituale. Coloro che tra voi lo hanno conosciuto in circostanze che erano in antitesi alla spiritualità potrebbero essere sorpresi che un tale lato esistesse. Ma questo c’era ed è la chiave della psiche dell’artista. Nonostante Andy sia stato percepito – abbastanza correttamente – come un osservatore passivo che mai imponeva le sue convinzioni sugli altri, in alcune occasioni egli poteva trasformarsi in un

Andy Warhol ci ha ingannati

propagandista efficace. Sono a conoscenza per certo che egli fu responsabile di almeno una conversione. Traeva grande orgoglio nel finanziare gli studi di suo nipote in seminario. E con regolarità prestava aiuto in una mensa per homeless e bisognosi. Andy confidava di tenere queste attività all’oscuro di tutti. La conoscenza di questa pietà segreta inevitabilmente muta la nostra percezione di un artista che aveva ingannato il mondo facendogli credere che le sue sole ossessioni fossero il danaro, la fama, il glamour, e che potesse essere disinvolto fino all’insensibilità più totale....” Con queste scioccanti parole il critico d’arte John Richardson, responsabile americano della casa d’asta Christie’s, oltre che autore di un’importante biografia su Picasso, salutò la figura di Andy Warhol, celebrando il suo elogio funebre il 1° aprile 1987 nella cattedrale di Saint Patrick di New York City. Richardson svelava al mondo per la prima volta l’esistenza di un importante lato nascosto in Warhol, di una “pietà segreta” e di una sua profonda religiosità e accennò a una vita improntata a “una santa semplicità”, addirittura da intendersi come la vera chiave della personalità e della psiche dell’artista. Inoltre, sempre nelle parole di Richardson, la stessa opera artistica di Warhol doveva essere interpretata anche attraverso la fondamentale chiave di lettura dell’arte religiosa. In seguito, emergeranno ulteriori particolari sulla sua fede religiosa. Il pastore della chiesa di Saint Vincent Ferrer di Lexington Avenue confermerà

Alle pagine 16-17 Repent and Sin No More!, 1985-1986 Acrilico e serigrafia a inchiostro su tela 50,8 x 40,6 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

che quasi quotidianamente Warhol si fermava in chiesa per pregare. Arrivava verso metà pomeriggio, accendeva una candela, e per circa quindici minuti si metteva a pregare, talvolta facendo uso della cappella privata. Anche il 18


Self-portrait with Skull, 1978 Polaroid 10,8 x 8,6 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

fratello di Andy lo avrebbe descritto in seguito

avrebbe spinto a lavorare sulla famosa serie

come un uomo profondamente religioso, che

ispirata al capolavoro vinciano.

però non voleva che di questo trasparisse nulla

Già questi pochi accenni basterebbero a motivare

agli altri, perché lo riteneva un suo aspetto

una rivisitazione differente dell’opera di Warhol.

intimo.

Dal punto di vista critico, è qui da segnalare che

A casa aveva predisposto un altare, presso cui si

proprio in questi ultimi anni è apparso, tra gli altri,

inginocchiava a pregare insieme alla madre, negli

un libro che con forza rilegge l’intera opera di

anni in cui si trasferì ad abitare con il figlio. È noto

Warhol in senso teologico. Si tratta di un saggio

il fatto, inoltre, che accanto al letto ci fosse

di Jane Daggett Dillenberger, The Religious Art of

sempre un libro di preghiere, in cui faceva bella

Andy Warhol, un testo che per certi versi è

mostra una cartolina de L’ultima cena, donatagli

diventato la rilettura “spiritualista e religiosa” più

sempre dalla madre, che secondo alcuni critici lo

importante dell’intero corpus di Warhol. Il lavoro 19


Silver Clouds, 1966 Installazione The Andy Warhol Museum, Pittsburgh

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CONSUMING Alla fine dei miei giorni quando morirò non voglio lasciare scarti e non voglio essere uno scarto. Andy Warhol, La Filosofia di Andy Warhol, Tascabili Bompiani, 2005, p. 95.

Compulsivamente dedito agli acquisti e al collezionismo, Warhol incarna completamente lo spirito americano e vi si riconosce, quando dice che “Comprare è più americano di pensare, e io sono americano come qualsiasi altro”, eccetto che per l’aspetto dello spreco che è una sua costante preoccupazione. La consapevolezza di abile conoscitore del mondo del consumo fa di Warhol colui che in modo più assiduo e determinato celebra quanto il mercato offre. Andy sceglie alcuni prodotti simbolo da raffigurare, a partire dalle bottiglie di Coca Cola che dal 1961 tenta invano di proporre al gallerista Leo Castelli. È proprio in quegli anni che Warhol comincia a riprodurre in maniera impersonale oggetti d’uso quotidiano. L’invenzione e la ricerca di uno stile che avevano caratterizzato la sua attività come grafico pubblicitario vengono consapevolmente mortificate in favore di una assoluta asetticità. Così la minestra che per anni nel corso della sua infanzia era stata uno dei pochi alimenti a disposizione, come per molti altri americani, viene riprodotta su tela in ognuna delle sue trentadue varietà. I dipinti, presentati alla Galleria Ferus di Los Angeles nel 1962, evocano nel loro allestimento lo scaffale di un supermercato. Allo stesso modo nel 1964, quando decide di dedicarsi alla scultura, si cimenta con gli scatolo160


PLEASURES ni delle spugnette per lavare i piatti Brillo, con i Campbell’s Soup Boxes, con gli Heinz Boxes e con altri beni di largo consumo che riproduce su legno esattamente come sono, disponendoli nello spazio espositivo della Stable Gallery. È notissima la sua disquisizione riguardante la presunta democraticità di prodotti come la Coca Cola, “[…] nessuna somma di denaro ti può permettere una coca migliore di quella che si beve il barbone all’angolo della strada […]”, e l’artista, entusiasta di questa possibilità offerta a tutti, anticipa, nelle fotografie di cassette di Coca Cola destinate alla Cina, il concetto di globalizzazione. Ma nelle sue lattine di Campbell’s Soup ammaccate o con l’etichetta staccata torna l’idea della precarietà del consumo, anche di un’immagine così consolidata. Così Andy, che con i suoi guadagni favolosi acquista ogni genere di oggetto, lascia trasparire una contraddizione profonda. Alla domanda che potremmo rivolgergli: “Dove finiscono tutti gli scarti di questo meraviglioso mondo democratico?”, risponde con strategie originali quando parla degli spezzoni dei film: “Contro gli scarti e gli sprechi di New York l’unica speranza è volere ciò che gli altri non vogliono”, oppure in modo più deciso: “La mia coscienza non mi lascia cacciare via niente neanche se una cosa non la voglio proprio”. Da ciò probabilmente hanno origine le Times Capsules, scatoloni pieni di oggetti acquistati sigillati e conservati in casa, testimonianze per il futuro, compensazione che illusoriamente preserva le cose e chi le ha possedute dalla morte. Elena Paloscia


96 Serial Objects, 1985 Polaroid 8,6 x 10,8 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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97 China (Coca-Cola Bottles), 1979 Polaroid 8,6 x 10,8 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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98 Coca-Cola, 1960 Olio e pastello a cera su tela 182,9 x 137,2 cm Dia Art Foundation, New York Courtesy The Menil Collection, Houston Š 2004 Andy Warhol Foundation/The CocaCola Company, All Rights Reserved 99 Three Coke Bottles, 1962 Serigrafia a inchiostro e grafite su lino 50,8 x 40,6 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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100 Campbell’s Soup Can (Tomato), 1962 Caseina, pittura metallica e matita su lino 50,8 x 40,6 cm Collezione privata Courtesy Sonnabend Gallery, New York © 2004 Andy Warhol Foundation/ARS, NY/TM Licensed by Campbell’s Soup Company, All Rights Reserved 101 Big Torn Campbell's Soup Can (Pepper Pot), 1962 Caseina e grafite su tela 181,9 x 132,1 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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102 Four Colored Campbell’s Soup Cans, 1965 Acrilico e serigrafia su tela 92 x 61 cm Collezione Sonnabend, New York © 2004 Andy Warhol Foundation/ARS, NY/TM Licensed by Campbell’s Soup Company, All Rights Reserved

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Alle pagine 170, 171 103 Brillo Boxes, 1969 Acrilico e serigrafia su legno 6 elementi, 51 x 51 x 43 cm ciascuno Courtesy Galerie Bruno Bischofberger, Zurigo

104 Brillo Fabric Dress, 1964 Serigrafia su tessuto 86,3 x 60,9 x 91,4 cm 105 Brillo Painting, 1964 Serigrafia su tessuto 238,7 x 111,7 cm Collezione privata

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GUNS, KNIVES, CRO Certe persone, persino intelligenti, dicono che la violenza può essere bella. Io non riesco a capirlo, perché la bellezza è di alcuni momenti, e per me quei momenti non sono mai violenti. Andy Warhol, La Filosofia di Andy Warhol, Tascabili Bompiani, 2005, p. 63.

Warhol che nel 1968 aveva subito un attentato da parte di Valérie Solanas, femminista fondatrice dello SCUM – la società per fare a pezzi gli uomini – che riteneva che lui si fosse appropriato di una sua sceneggiatura, guarda in faccia la morte in prima persona. Valérie gli spara, l’arma lascia dei segni indelebili sul suo corpo e rimane anche nell’immaginario dell’artista una presenza costante tanto da indurlo, nel 1981 a dipingere la serie Guns, Knives, Dollar Signs and Crosses. Ancora una volta Warhol, interprete dei propri tempi, non fa che rappresentare un’America armata, terra in cui la pistola sin dai tempi del selvaggio West ha sempre accompagnato gli uomini. Nel 1981 riceve nuovamente una minaccia di morte e decide di assumere una guardia del corpo. Su suggerimento di Peter Wise decide di acquistare degli indumenti antiproiettile e scopre così che la sua paura coincide con quella di altri americani poiché è lo stesso negoziante a dirgli che dopo l’attentato a Reagan gli affari vanno a gonfie vele. Solo pochi giorni dopo sul “Post” campeggiano in rosso i titoli con scritto “Attentato al Papa”. 206


OSSES AND SKULLS Anche i coltelli, fotografati diligentemente come sua abitudine prima di realizzare il dipinto, sono legati a quell’atmosfera di violenza che filtra e permea la vita quotidiana. Lo strumento di offesa e/o di difesa assume una valenza quasi apotropaica per chi teme di essere toccato e avvicinato dagli altri. Strumento di supplizio è anche il crocefisso che ripete in una serie di dipinti ma, a differenza degli altri oggetti raffigurati, la croce è anche il simbolo di redenzione che lo accompagna sin dall’infanzia, come si evince da un dipinto che raffigura il soggiorno della sua casa o dal crocefisso nella sua camera da letto. Nelle croci dipinte tra il 1981-1982 l’operazione di sottrazione dell’immagine dal proprio contesto è la medesima di sempre. Il simbolo tuttavia, anche semplificato, colorato e distribuito sulla tela come unità o come multiplo, mantiene intatta la propria portata di significante evocando ora la fede, ora il lutto e la morte e nei suoi assembramenti un cimitero. La morte è una presenza costante anche nei ritratti di teschi che l’artista realizza negli anni settanta aggiornando il tema della vanitas. Andy aveva portato dall’Europa un teschio che poi aveva come di consueto fotografato. Per lui che dichiarava: “Da quando mi hanno sparato tutto mi appare come un sogno, non so ancora se sono vivo o sono morto”, il fatto di giocare con il teschio e di associarlo alla propria immagine in una serie di ritratti e di fotografie costituisce una sorta di sfida scaramantica di un sopravvissuto. Elena Paloscia


132 Books & Gun, 1982 Polaroid 8,6 x 10,8 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

133 Knives, 1974 Polaroid 10,8 x 8,6 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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134 Gun, 1981-1982 circa Pittura a polimeri sintetici e serigrafia su tela 177,8 x 228,6 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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135 Gun, 1981 Acrilico e serigrafia a inchiostro su tela 177,8 x 228,6 x 3,2 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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136 Guns, 1982 Pittura a polimeri sintetici e serigrafia su tela 132 x 177,8 cm Collezione privata Alle pagine 214, 215 137 Knives, 1981-1982 circa Pittura a polimeri sintetici e serigrafia su tela 228,6 x 177,8 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. 138 Knives, 1981-1982 Acrilico e serigrafia a inchiostro su tela 228,6 x 177,8 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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139 Abstract Shapes and Patterns, 1984 Polaroid 10,8 x 8,6 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

140 Cake, 1979 Polaroid 8,6 x 10,8 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

Alle pagine 218, 219 141 Crosses, 1981-1982 Pittura a polimeri sintetici e serigrafia su tela 228,9 x 179 cm Collezione privata 142 Crosses, 1982 Pittura a polimeri sintetici e serigrafia su tela 228,9 x 179 cm Collezione privata

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143 Cross, 1981-1982 Acrilico e serigrafia a inchiostro su tela 228,6 x 177,8 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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144 Cross, 1982 Pittura a polimeri sintetici e serigrafia su tela 228,6 x 177,8 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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145 Skulls, 1983 Polaroid 8,6 x 10,8 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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146 Skull, 1982 Polaroid 8,6 x 10,8 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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147 Catacombs, 1980 Polaroid 10,8 x 8,6 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. 148 Anatomy Class,1980 Polaroid 10,8 x 8,6 cm The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc.

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149 Skull, 1976 Acrilico e serigrafia a inchiostro su tela 182,9 x 203,5 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution Dia Center for the Arts

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150 Skull, 1976 Acrilico e serigrafia a inchiostro su tela 182,9 x 203,5 cm The Andy Warhol Museum, Pittsburgh Founding Collection, Contribution Dia Center for the Arts

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