#3 il giornale dell’associazione
Fermare il cambiamento climatico:
molto dipende da noi di Carlo Petrini
In questo numero Parliamo ancora di cambiamento climatico convinti che sia fondamentale maturare la consapevolezza che non c’è più tempo da perdere. Ognuno di noi può fare molto, anche a partire dal cibo. Lo dimostra la nostra campagna di sensibilizzazione Menu for Change lanciata durante il Congresso internazionale a Chengdu, momento in cui abbiamo posto le basi per il futuro del movimento. Altra occasione per parlare di riscaldamento globale è l’uscita de La dieta mediterranea per Slow Food Editore, con un viaggio in questo stile di vita amico del clima e salutare. E il clima torna nell’analisi di Slow Food Italia che fa il bilancio di quest’anno che sta per concludersi. Completano questo numero un’indagine su Pet e vetro, un’incursione musicale con il disco di Giorgio Conte e Slow Junior, le pagine dedicate ai bambini. Buona lettura.
Ph Paola Viesi
“Il cambiamento climatico non mi riguarda, è lontano nel tempo e nello spazio”; “Il cambiamento climatico non esiste, è una fobia senza fondamento scientifico”; “Io non posso fare nulla contro il cambiamento climatico”. Purtroppo, tutte queste affermazioni sono drammaticamente false. Il cambiamento climatico esiste eccome, e le prove scientifiche dei fenomeni a esso connessi non mancano. Noi stessi abbiamo avuto modo di testimoniarne direttamente e indirettamente le conseguenze, in varie aree del pianeta. In Italia, abbiamo visto siccità rilevanti che hanno causato problemi all’agricoltura di tutta la penisola, bombe d’acqua terribili come quella di Livorno o incendi sconvolgenti in Piemonte a fine ottobre, ma anche in altre aree del mondo la situazione è allarmante: spaventose carestie nell’Africa subsahariana, violenti uragani si sono abbattuti sulle coste americane e caraibiche, i ghiacciai continuano a sciogliersi, il livello del mare si innalza. Fare finta di niente non ci porterà da nessuna parte, autoconvincerci di non poter fare nulla per contrastare questo fenomeno non ci aiuterà ad affrontarne le conseguenze. Questo cambiamento del clima è provatamente causato dall’azione dell’uomo, ed è l’uomo che dovrà porvi rimedio. Non è più molto il tempo che ci rimane per ingranare una decisa retromarcia, e affinché questo accada è necessario che attorno a questi fenomeni si crei una consapevolezza vera, diffusa a tutti i livelli della società, perché nascondersi dietro a un dito non servirà quando l’equilibrio degli ecosistemi mondiali sarà compromesso. Non è troppo tardi, ma il quadro non è positivo e se non si intraprendono azioni concrete per contrastare le tendenze che contribuiscono a questi cambiamenti, purtroppo il punto di non ritorno presto verrà superato. Fare finta che non sia così sarebbe irresponsabile, e se lanciare falsi allarmismi non è nell’interesse di nessuno, la consapevolezza e la comprensione di questi fenomeni è di vitale importanza. Non è vero che non possiamo fare nulla per contrastarli. Ancora una volta, votare con la propria forchetta è possibile, anzi, necessario. Basti pensare che a livello globale l’agricoltura è la seconda responsabile delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, a pari merito con l’industria, nettamente più del settore dei trasporti. Per questo compiere le proprie scelte alimentari con responsabilità diventa sempre più importante e urgente, qualcosa che non possiamo delegare a qualcun altro, per cui dobbiamo impegnarci tutti insieme per difendere la nostra casa comune, la nostra Terra Madre, l’unico pianeta che abbiamo e che stiamo rendendo sempre più ostile e inadatto alla vita.
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NOVEMBRE 2017
Numero 3
il giornale di Slow Food Italia
Menu for Change:
All’interno
perché nella scelta del nostro cibo quotidiano possiamo fare molto per il clima
Slow Food e la Cina: il Congresso di Chengdu La storia di Slow Food
di Eleonora Giannini
Le prossime sfide di Slow Food
N
Testimonianze da Chengdu
on c’è più tempo per aspettare. Gli effetti dei cambiamenti climatici non sono lontani nel tempo e nello spazio ma riguardano ciascuno di noi, molto da vicino. E gli ultimi eventi
metereologici nel nostro Paese lo hanno dimostrato. Si tratta di una delle crisi più gravi che ci troviamo ad affrontare: non solo tornado o acquazzoni, ma anche oceani inquinati, rese agricole diminuite (nocciole o mele quest’anno ad esempio) e raccolti devastati dalla siccità,
Incontro con Andrea Pieroni nuovo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche
epidemie sempre più diffuse e, non ultimo, migrazioni di intere popolazioni contadine dalle aree del mondo più povere. Ciascuno di noi è responsabile: ne è causa ma ne può anche essere soluzione. Comportamenti virtuosi – dal rispetto dell’acqua alla scelta
Il 2017 di Slow Food Italia
di ridurre gli spostamenti con automobili private – possono contribuire a diminuire le emissioni di gas serra e le conseguenze che ne derivano. Ma possiamo fare molto di più, anche a partire dal cibo che scegliamo ogni giorno.
Slow Junior
La dieta mediterranea
Sì, perché il cibo – o meglio il sistema di produzione e distribuzione
-
industriale – è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra. Il cibo che viaggia da un continente all’altro, il mancato rispetto della stagionalità – per cui un pasto percorre mediamente 1.900 chilometri prima di arrivare sulle tavole occidentali! –, l’uso eccessivo di packaging, lo spreco (ben un terzo del cibo è sprecato), la grande distribuzione e l’eccessivo consumo di carne da allevamenti estensivi sono
Indagine Vetro o Pet
solo alcune delle cause che fanno sì che il settore agricolo e alimenta-
cambiamento climatico in PILLOLE
re abbia più colpe del settore dei trasporti. E allora cosa possiamo fare? Moltissimo!
L’Italia delle Condotte: il Cilento
Sconfinando: intervista a Giorgio Conte Il mercato per gli acquisti Slow
Possiamo scegliere un’alimentazione diversa e possiamo sostenere progetti virtuosi di agricoltura in tutto il mondo. È questa la battaglia di Slow Food attraverso la campagna Menu for Change. Menu for Change è la proposta gastronomica di Slow Food per il cambiamento. Ciascuno di noi può mettere in tavola un futuro migliore e
+ 0,85°C è l’aumento della temperatura media negli ultimi 100 anni
può scegliere di essere a fianco di Slow Food in questa battaglia, sostenendo, anche con piccole donazioni, i suoi progetti in tutto il mondo, piccoli semi di resistenza al cambiamento climatico. Menu for Change è un atto politico: si rivolge a tutti, dalla dimensione più privata a quella pubblica (sui propri canali social o all’interno della propria Condotta) e invita a compiere – e a comunicare – azioni concrete per testimoniare il proprio impegno verso un’agricoltura buona e pulita. Dal consumo locale e di stagione alla scelta di ricette
La produzione di cibo è responsabile del delle emissioni totali di gas serra (FaoStat edition database 2014)
21%
amiche del clima (senza carne, con varietà locali di legumi, con il riutilizzo degli sprechi, …), dal preferire il cibo sfuso o con imballaggi non inquinanti alla scelta di materie prime provenienti da agricoltura sostenibile.
L’agricoltura è responsabile del della deforestazione mondiale (Niles et al. 2017)
75%
Menu for Change ci racconta di come ogni volta che facciamo la spesa, scegliamo cosa cucinare, ci sediamo a tavola, possiamo fare qualcosa di positivo per ridurre l’impatto del cibo sul clima e sull’ambiente. E ci racconta anche di quanto Slow Food sta facendo concretamente in tutto il mondo per proporre una strada alternativa. Insieme alle coDirettore responsabile: Valter Musso | Vicedirettore: Alessia Pautasso, Elisa Virgillito | Coordinamento editoriale: Alberto Arossa, Andrea Cascioli | Coordinamento web: Michela Marchi | Redazione: Francesca Baldereschi, Eleonora Bergoglio, Enrico Bonardo, Silvia Ceriani, Fabrizio Dellapiana, Paolo Ferrarini, Giancarlo Gariglio, Eleonora Giannini, Eleonora Lano, Marketing associativo: Fabiana Graglia | Grafica: Lorenza Marcello www. lorenzamarcello.com Torino | Illustrazioni: Sara De Maria | Slow Food Italia Via della Mendicità Istruita, 14 12042 Bra (Cn) Tel. 0172419611 www.slowfood.it | Presidente: Gaetano Pascale | Direttore generale: Daniele Buttignol | Redazione: Via della Mendicità Istruita, 14 Bra (Cn) | Amministrazione: Via della Mendicità Istruita, 14 Bra (Cn) Tel. 0172/419611 fax 0172/411299 | Concessionaria pubblicitari: Slow Food Promozione srl Via Vittorio Emanuele, 248 - Bra (Cn) promozione@slowfood.it Tel. 0172419744 fax 0172413640 | Stampa: Italiana Editrice Spa, Via Giordano Bruno, 84 Torino | Registrazione Slow – Il giornale dell’associazione Slow Food Italia 3/2017 | Periodico di informazione registrato al Tribunale di Asti | Inscritto al n. 02/2017 del Registro Stampa | Per informazioni e segnalazioni: rivista@ slowfood.it | Chiuso in redazione: 10/11/2017
munità del cibo di Terra Madre e attraverso i Presìdi Slow Food, l’Arca del Gusto, l’Alleanza tra cuochi e produttori e i Mercati della Terra, Slow Food diffonde saperi antichi, sostiene economie locali, pratiche
Per l’International Organization of Migration un miliardo di persone saranno costrette a migrare entro il 2050 a causa del cambiamento climatico
agricole e produttive che rispettano e custodiscono l’ambiente. Con gli orti scolastici, Slow Food coltiva il futuro, trasmettendo curiosità e conoscenze. Attraverso campagne di comunicazione e di educazione, Slow Food diffonde una nuova cultura del cibo e aiuta i consumatori a scegliere. A diventare protagonisti del cambiamento. Per continuare a farlo però c’è bisogno dell’aiuto di tutti. Sostenere Slow Food significa fare qualcosa oggi per il futuro del pianeta. #MenuForChange #SlowFood | dona.slowfood.it
Nel 2012, le emissioni generate dall’uso di fertilizzanti delle emissioni sintetici hanno rappresentato il agricole. È la fonte di emissioni nel settore primario dal a più rapida crescita: (Fao 2014)
14%
+ 45%
2001
il giornale di Slow Food Italia
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Dal Vecchio castagno di Serrastretta un menù per riflettere sul riscaldamento globale
Buone pratiche dal mondo
di Michela Marchi
P
ilastro della nostra associazione, Delfino Maruca è al timone del Vecchio castagno, a Serrastretta (Cz), storico ristorante dove, oltre a deliziarci con la proposta della più tradizionale gastronomia dell’entroterra calabrese, ben sa quanto sia importante il suo ruolo: «Appartengo a Slow Food sin da quando si chiamava Arcigola: non è stato solo l’aspetto gastronomico a governare le mie scelte, ma la condivisione di idee e intenti. Partecipo a quante più attività possibili anche se in Calabria non è facile, ci sono difficoltà logistiche e qualche volta frontiere ideologiche da conquistare, ma non mi arrendo». Delfino aderisce a Menu For Change partecipando a Ricette per il cambiamento, le cene di raccolta fondi dove si invitano i commensali a riflettere sul cambiamento climatico a partire dalla scelta del cibo che scegliamo di mettere in tavola: «Tutti i giorni lavoriamo per valorizzare i prodotti locali e soprattutto per far conoscere chi usa tecniche sostenibili. Con questa iniziativa ci siamo spinti un po’ più in là, pensando a un menù che possa attirare l’attenzione dei nostri commensali sul riscaldamento globale. Proponiamo quindi piatti tradizionali che usano ingredienti di prossimità e che meno impattano sul riscaldamento del pianeta. Il nostro cavallo di battaglia? Le tagliatelle con la farina di castagne, con ricotta e noci». Nelle aree montane più povere, la farina di castagne è stata usata a lungo come succedaneo, parziale o totale, delle farine di cereali. L’impasto viene di solito realizzato con metà farina di grano tenero, metà farina di castagne e uova, in ragione di una per ogni etto di miscuglio di farine. Dopo aver lasciato riposare la massa e tirata una sfoglia non troppo sottile si realizzano diversi formati: tagliatelle di varie dimensioni, lasagne, ma anche trofie e paste ripiene.
L’allarme del riscaldamento globale suona da tempo. Eppure in pochi paiono sentirlo. In tutto il mondo, Slow Food sostiene contadini, pescatori, produttori che impiegano tecniche sostenibili e rispettose, quelle più adatte a prepararci al clima che cambia. Ecco alcune delle numerose storie dal mondo Slow Food (altre le potete trovare su www.slowfood.it.)
LEO leo nainoka, slow Food Fiji «All’inizio di quest’anno, ho assistito in prima persona agli effetti devastanti del ciclone tropicale Winston: siamo rimasti a guardare, impotenti, mentre il mare inghiottiva interi villaggi. È stata l’anteprima del nostro futuro, uno sguardo al destino che attende i nostri figli se non affronteremo in tempo e con forza il cambiamento climatico». Leo Nainoka è un appassionato membro di Slow Food Fiji che sta lavorando sodo per sensibilizzare governo e popolazioni locali sui rischi e soprattutto sulle azioni da intraprendere per limitare il riscaldamento globale: «Il nostro primo ministro Voreqe Bainimarama ha ammesso che nelle nostre isole si possono vedere gli effetti del riscaldamento globale. È provato che la scomparsa di cinque dei nostri atolli sia dovuta all’innalzamento del livello del mare e all’erosione senza tregua delle coste». Eppure ancora non si vede nessun intervento, anzi, le attività estrattive continuano, mentre si incentiva l’agricoltura basata su tecniche industriali e uso di chimica di sintesi: «Gran parte della foresta è andata persa a causa dell’agricoltura intensiva, del disboscamento e degli incendi. E a pagarne le conseguenze sono gli indigeni».
Leidy 1,3 Miliardi sono le tonnellate di cibo sprecato ogni anno nel mondo: 4 volte la quantità di cibo necessaria a sfamare 815 milioni di persone denutrite nel mondo, nonché un terzo della produzione di cibo totale. Questo si traduce in uno spreco d’acqua pari al flusso del fiume Volga e nell’impiego inutile di 1,4 miliardi di ettari di terreno: quasi il 30% della superficie agricola mondiale. Il consumatore finale ha la responsabilità maggiore con il 43% del totale del cibo sprecato.
L’allevamento è responsabile del sioni globali di gas serra.
Il maggiore responsabile è l’allevamento bovino con l’ delle emissioni prodotte dalla zootecnia
14,5% delle emis-
83%
Tero ovino
11,3% 5,1% avicolo 0,6%
suino
La produzione corrispettiva in gas serra è pari di tonnellate di Co2 a di cui 13 milioni solo in Italia. (Fao 2015, Surplus Food Management Against Food Waste).
3,3 Miliardi
leidy CasiMiro rodriguez, slow Food Cuba Prima cubana a conseguire un dottorato in Agroecologia, Leidy Casimiro Rodriguez conosce bene l’agricoltura cubana. Ma Leidy è soprattutto una contadina che tesse la rete di Slow Food a Cuba e che sta rivoluzionando il settore agricolo sull’isola. Come molti suoi coetanei, dopo gli studi, è costretta a far ritorno alla fattoria di famiglia durante il Período especial, la grave crisi economica che dal 1991 mette in ginocchio l’economia cubana: «Non è stato facile iniziare, non avevamo fondi e c’era poca fiducia nel nostro lavoro. Abbiamo puntato tutto sull’agroecologia e abbiamo vinto la scommessa». Tanto che ora è a capo di un progetto nazionale per il recupero di quasi un milione di ettari di terreni incolti, appartenenti a centinaia di migliaia di famiglie, che saranno coltivati secondo le tecniche dell’agroecologia e della permacoltura: «Scegliere metodi di coltivazione sostenibili e soprattutto ridare centralità al cibo è la strada da percorrere per mitigare il cambiamento climatico». Un successo ottenuto grazie anche a una formula matematica, messa a punto da Leydi che misura l’indice di resilienza socioecologica delle fattorie a conduzione familiare, un indicatore scientifico che aiuta i contadini ad affrontare i fattori negativi: «Con e grazie a Slow Food abbiamo potenziato capacità e creatività, riuscendo a intervenire lungo tutta la filiera, fino al consumo. Riusciamo a sostenere il nostro lavoro e abbiamo trovato una nuova energia che ci consente di ridare centralità al cibo, ridurre gli sprechi e proteggere la nostra isola».
Tero MusTonen, slow Food Finlandia «Sono un pescatore e uno scienziato. Ogni giorno vivo gli effetti del cambiamento climatico e vi posso assicurare che sono sempre più visibili». Tero Mustonen viaggia e lavora lungo tutto l’Artico, dalla Finlandia alle coste più a Est della Siberia, collabora con le Nazioni Unite e con i gruppi di ricerca che in tutto il mondo studiano cause, effetti e soluzioni al riscaldamento globale. Dal 2000 guida la Snowchange Cooperative, gruppo no-profit nato in Nord Karelia, in Finlandia, composto da circa duemila rappresentanti delle popolazioni indigene dell’Artico: «Con il supporto di Slow Food finalmente anche le comunità indigene hanno conquistato a buon diritto la possibilità di intervenire in un dibattito che le riguarda da vicino e da cui sono sempre state escluse». Tero sta lavorando per fermare gli effetti del cambiamento climatico anche a partire dalle tecniche di pesca tradizionali e grazie ai saperi dei popoli indigeni, sempre più in difficoltà a causa dello scioglimento dei ghiacci che pregiudica l’attività di pesca, prima fonte di sostentamento: «Fino a poco tempo fa, il ghiaccio si formava a novembre e durava fino a maggio, garantendo così una stagione di pesca di sei mesi. Ora il ghiaccio non arriva prima di gennaio e scompare ad aprile, ma nelle peggiori stagioni abbiamo dovuto aspettare fino a febbraio e pescato solo fino a marzo. Eppure ancora facciamo fatica a far comprendere l’urgenza della grave crisi che stiamo affrontando».
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il giornale di Slow Food Italia
Slow Food e la Cina: da Chengdu al futuro
C
omplessità, internazionalità, sostenibilità, cambiamento: forse le sfide future di Slow Food si possono condensare in queste poche parole. E, guardando alla storia recente del movimento della Chiocciola in Cina, abbiamo immediatamente compreso che era quello il luogo ideale per costruire i prossimi anni del nostro futuro.
Era impossibile non percepire l’importanza strategica del Paese, ma allo stesso tempo era evidente che fosse necessario avvicinare la filosofia Slow Food alla cultura locale e che il futuro dell’associazione nel Paese dovesse passare nelle mani dei cinesi. Per questo moNel 2015, si è costituita tivo nel 2015, grazie all’aiuto di un Slow Food Great China, gruppo di cinesi che condividevano con l’obiettivo di ottenere la visione del movimento, si è costiil riconoscimento da parte tuita Slow Food Great China, con l’odel Governo e quindi biettivo di ottenere il riconoscimendi lavorare alla costruzione to da parte del Governo e quindi di lavorare alla costruzione di una rete di una rete nazionale nazionale e allo sviluppo di attività e allo sviluppo di attività sul territorio. sul territorio Per farlo, abbiamo trovato alleati capaci, come il Movimento di ricostruzione rurale con cui Slow Food Great China collabora, in particolare, nella selezione dei prodotti dell’Arca del Gusto. Con la sua ricchissima cultura gastronomica e il suo sterminato patrimonio di diversità vegetale e animale, la Cina è infatti un Paese chiave per Slow Food. Questo spiega perché abbiamo scelto la città di Chengdu come sede del settimo Congresso Internazionale, eleggendola a palcoscenico ideale per inaugurare il lavoro sugli orizzonti politici del movimento e contemporaneamente facendo conoscere alla comunità internazionale le attività che si stanno sviluppando in loco, come il progetto dei villaggi slow. Ma il valore del Paese è anche dato dall’enorme impatto che le scelte alimentari dei suoi 1,3 miliardi di abitanti hanno su tutto il pianeta. Non a caso, durante il Congresso è stata data grande enfasi al lancio di Menu for Change, la prima campagna internazionale che lega il cambiamento climatico alla produzione e al consumo di cibo. Se infatti è vero che la Cina è tuttora il principale responsabile dell’emissione di gas serra, è anche vero che negli ultimi anni ha invertito in modo significativo la rotta, impegnandosi a ridurre le proprie emissioni in una percentuale compresa fra il 60 e il 65% entro il 2030. Ecco perché è da qui che abbiamo iniziato a disegnare il nostro futuro.
Ph Tom Mesic
Soltanto pochi anni fa, lo sviluppo del nostro movimento in Cina era appena abbozzato. Slow Food non era ufficialmente registrata come associazione, i progetti a tutela della biodiversità e per un’agricoltura sostenibile erano tutti da avviare e perlopiù gestiti informalmente da stranieri residenti in loco.
La Dichiarazione di Chengdu:
partire dalla tavola per cambiare il mondo «Difenderemo la diversità in tutti i suoi aspetti, lavoreremo per ridurre le disuguaglianze e per garantire a tutti l’accesso alla conoscenza».
C
on queste parole Carlo Petrini ha chiamato tutti i delegati di Slow Food e Terra Madre a impegnarsi nei prossimi anni, ribadendo con forza il rifiuto verso l’attuale modello di sviluppo che, al contrario, crea e accentua disuguaglianze economiche, sociali, culturali, razziali, di genere… È questo l’orizzonte politico delineato dalla Dichiarazione di Chengdu che, come le sei Mozioni congressuali, deriva dal lavoro collettivo dei delegati del Congresso provenienti da tutto il mondo. Con questo documento la rete di Slow Food sottolinea che uno dei princìpi fondamentali che determinano l’operato e i progetti del movimento è appunto la diversità, «la più grande ricchezza di cui disponiamo come individui e collettività». Più di quanto non sia mai stato fatto in passato si evidenzia che non stiamo parlando semplicemente di diversità genetica, vegetale e animale, quella che da sempre tuteliamo e promuoviamo attraverso progetti come i Presìdi Slow Food e l’Arca del Gusto, ma che quando guardiamo alla diversità intendiamo anche valorizzare la diversità «linguistica, culturale, generazionale, sessuale, religiosa» e che proprio dalla capacità di ab-
bracciare questa diversità, nel senso più ampio possibile, risulterà la capacità di essere massimamente inclusivi. La Dichiarazione di Chengdu va oltre il cibo, oltre l’agricoltura, la pesca, i sistemi di produzione. È un documento che parte dal cibo per arrivare a toccare questioni che riguardano i diritti in senso lato e che si schiera con determinazione contro «qualunque esclusione di carattere politico, economico e sociale» e al fianco delle persone più fragili, che più di altre combattono per i propri diritti. I migranti, gli indigeni, le donne, i giovani, gli anziani, i poveri. Il lavoro di Slow Food andrà sempre di più in questa direzione, mostrando come proprio a partire dalla tavola si possa contribuire a cambiare il mondo. Quello a cui ambiamo è un mondo fondato sull’equa ripartizione delle risorse, sulla possibilità – per tutti – di accedere ai beni comuni, e sulla salvaguardia dell’ambiente. Perché se non ritroviamo un equilibrio con la natura, mettendo in atto buone pratiche individuali e collettive, non saremo in grado di garantire un presente e un futuro buono, pulito e giusto né alle fasce più deboli né alle generazioni che verranno.
1986
Nascita di Arci Gola, fondata da Carlo Petrini
1987
1989
Viene pubblicato il manifesto di Arci Gola intitolato Slow-Food, scritto da Folco Portinari
1990
Fondazione all’Opéra Comique di Parigi del movimento internazionale Slow Food
1992
L’organizzazione cresce: con il Congresso di Venezia si costituisce ufficialmente l’associazione Slow Food
1993
Nascita di Slow Food Deutschland
Da Bra a Chengdu
Nascita di Slow Food Svizzera
1996
1997
Prima edizione del Salone Internazionale del Gusto a Torino, dove viene presentata l’Arca del Gusto, il catalogo mondiale che raccoglie i sapori tradizionali a rischio di scomparsa
1998
A Bra (Cn) si svolge la prima edizione di Cheese, rassegna dedicata ai formaggi, che ogni due anni riunisce centinaia di produttori italiani e stranieri
2000
In occasione del Salone del Gusto i media esteri ci definiscono ecogastronomi per individuare quella sensibilità ambientale che ci contraddistingue e che negli anni darà nuova linfa, contenuti e idee all’associazione
2003
Prende il via il progetto dei Presìdi Slow Food, interventi mirati per salvaguardare o rilanciare piccole produzioni artigianali e tradizionali a rischio di estinzione. Nasce Slow Food USA. Si tiene a Bologna la prima edizione del Premio Slow Food per la difesa della biodiversità
2004
Costituzione della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. Dal Congresso Internazionale di Napoli parte la proposta di costruire gli School Gardens
La Fao riconosce Slow Food come organizzazione no profit con cui instaurare un rapporto di collaborazione. Si inaugura l’Agenzia di Pollenzo, che ospita la prima Università di Scienze Gastronomiche al mondo. È l’anno di Terra Madre: per la prima volta a Torino si incontrano 5000 delegati da 130 Paesi. A Genova la prima edizione di Slow Fish
il giornale di Slow Food Italia
Dal congresso internazionale di Slow Food sei sfide
Emanuel Lobek,
Svizzera
Benché legato al cibo e alla sua produzione, il mio lavoro di tutti i giorni si svolge seduto a una scrivania, davanti al computer. E lì, a volte, ti chiedi perché tu abbia dedicato così tanto impegno nel movimento Slow Food. Poi te ne rendi conto. Un Congresso come quello di Chengdu mi aiuta a comprendere pienamente ciò che costituisce l’essenza della mia passione: gli esseri umani, al di là delle molteplici differenze, sono connessi dal cibo, che è un bisogno comune a tutti. Non dobbiamo mai smettere di combattere per renderlo migliore, più pulito e più giusto.
Molte delle questioni poste dalla dichiarazione di Chengdu sono riprese e ampliate dalle sei Mozioni congressuali:
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I cambiamenti climatici, le nostre scelte alimentari, l’agricoltura che vogliamo sintetizza l’impegno ad avviare campagne di sensibilizzazione, informazione ed educazione che mirino a rafforzare le azioni di tutela di tutte le forme di agricoltura praticate in armonia con l’ambiente, che preservino la biodiversità e le risorse naturali, e ristabiliscano il ruolo centrale degli agricoltori nel sistema agroalimentare.
02
Remi Ie,
L’Africa di Slow Food e Terra Madre riconferma l’impegno di Slow Food nel continente africano, impegno che si traduce in progetti concreti come gli orti in Africa, la mappatura della biodiversità, il sostegno concreto ai produttori di piccola scala e la creazione di una rete di giovani leader africani.
03
La biodiversità, i saperi, le comunità e le culture che vogliamo difendere e sostenere, pone l’accento su uno dei campi d’azione più connotanti del movimento Slow Food: la difesa della biodiversità, che si concretizza attraverso progetti come l’Arca del Gusto, i Presìdi Slow Food, i Mercati della Terra.
04
Giappone Avere partecipato al Congresso di Chengdu mi ricorda che Slow Food è un’organizzazione internazionale che rappresenta tutti i popoli. Alcuni sono grandi, alcuni piccoli, alcuni addirittura non sono riconosciuti nei propri Paesi. Ma, all’interno di Slow Food, siamo tutti uguali… Essere dentro Slow Food significa molte cose, e soprattutto essere legati all’affetto per i fratelli e le sorelle che si prendono cura della terra pensando a ciò che erediteranno le generazioni future.
Testimonianze da Chengdu
I saperi indigeni, alleati chiave per affrontare le sfide globali, parte dal presupposto che i popoli indigeni sono i principali custodi dell’agrobiodiversità e si impegna per sviluppare progetti sul campo assieme a queste comunità e per aumentare le opportunità di partecipazione.
05
La trasmissione di saperi, l’accesso alla conoscenza, l’Università diffusa prende coscienza del fatto che il divario tra saperi tradizionali e scienza ufficiale è ancora ampio e troppo spesso le conoscenze accumulate in secoli dalle comunità non trovano dignità e riconoscimento da parte delle istituzioni accademiche. Di qui l’idea di promuovere e sostenere una piattaforma di scambio e di accesso al sapere libero e democratico.
Nicolas Mukumo Mushumbi, Repubblica Democratica del Congo I popoli indigeni sono entusiasti di essere parte del movimento Slow Food. Siamo custodi della biodiversità e la nostra conoscenza, che da sempre è sottovalutata, è fondamentale per affrontare sfide globali come il cambiamento climatico, l’insicurezza alimentare e la povertà. La battaglia di Slow Food è la nostra battaglia: dobbiamo lavorare insieme.
06
La plastica negli ecosistemi del pianeta: una minaccia per il nostro cibo e la nostra salute lancia l’allarme su una situazione insostenibile, con costi ambientali, economici e sociali, alla quale bisogna opporre azioni e campagne di sensibilizzazione che puntino sul concetto di “Rifiuti zero”. Il quadro è complesso, i fronti d’azione molteplici, ma quel che ci ha insegnato Chengdu – oltre a molte altre cose – è che a Slow Food non manca certo il coraggio di mettersi in gioco. Le mozioni complete sono su: slowfood.it/chisiamo
2005
2007
Carlo Petrini pubblica Buono, Pulito e Giusto – Principi di nuova gastronomia
A Puebla, in Messico, il quinto Congresso internazionale di Slow Food riunisce 600 delegati
2008
2009
Parte il progetto dei Mercati della Terra, rete mondiale di mercati contadini. Meeting regionali di Terra Madre in Etiopia, Irlanda e Olanda
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2010
Si tiene in tutto il mondo la prima edizione del Terra Madre Day, un evento collettivo di celebrazione del cibo buono, pulito e giusto. Parte il progetto dell’Alleanza dei Cuochi e dei contadini Slow Food. Meeting regionali di Terra Madre in Tanzania, Argentina, Bosnia, Norvegia, Spagna e Austria
Parte il progetto dei 1000 Orti in Africa. Meeting regionali di Terra Madre in Argentina, Azerbaigian, Brasile, Canada, Corea del Sud, Georgia, Kazakistan
2011
2012
A Jokkmokk, in Svezia, per la prima volta si riuniscono le comunità del cibo di Terra Madre Indigenous. Meeting regionali di Terra Madre in Armenia, Austria, Corea del Sud, Crimea, Giappone, Russia e Svizzera
2013
Il Salone Internazionale del Gusto apre le porte a Terra Madre dando vita a un unico evento
A Namyangiu (Corea del Sud) ha luogo AsiOGusto, primo evento internazionale in Asia.
2014
Nasce Slow Food Corea del Sud
2015
2016
In concomitanza a Expo viene organizzato Terra Madre Giovani – We Feed the Planet. A Milano arrivano oltre 2000 giovani contadini da tutto il mondo. Indigenous Terra Madre riunisce in India i rappresentanti delle comunità indigene dai cinque continenti. Nasce Slow Food Great China
Terra Madre Salone Internazionale del Gusto, questo è il nuovo nome della rassegna torinese, che per la prima volta si tiene all’aperto per le piazze e le vie della città, voluto per dare maggiore rilievo e centralità alle comunità del cibo di tutto il mondo.
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il giornale di Slow Food Italia
L’Università oggi deve essere policentrica Incontro con Andrea Pieroni, nuovo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche
«L
’università deve essere il luogo del confronto, dove si produce conoscenza e dove dare voce a chi voce non ha. Questa è la potenza rivoluzionaria dell’accademia, ed è per questo che ho voluto farne parte».
« Appare subito ben chiaro il sogno del rettore Andrea Pieroni. Dopo la laurea in Botanica Farmaceutica all’Università di Pisa, inizia, tra dottorato e insegnamento, a girare per le università di mezza Europa, guidato dalla sua passione per l’etnobotanica: «L’etnobotanico studia l’uso tradizionale delle piante perché in questa conoscenza cerca qualcosa che possa essere innestato nel domani. Non si tratta però di allestire un museo, quanto di sviluppare economie di piccola scala, di ricercare la sostenibilità, di implementare uno sviluppo rurale che parta dalla sovranità alimentare. Come molti giovani, avevo l’aspirazione di cambiare il mondo e ho scelto l’accademia perché sono convinto sia un ottimo strumento per attivare il cambiamento ». Nel 2009 arriva a Pollenzo, abbandonando l’Inghilterra perché: «Ho visto attraverso gli scritti di Carlo Petrini, l’attività di Slow Food e poi venendo qua dopo tanti anni all’estero, l’opportunità di costruire quell’università aperta, inclusiva, progettuale e libera da barriere burocratiche che era il mio sogno». Perché è più facile qui che altrove? «Non solo perché c’è
Slow Food con i suoi valori, l’interdisciplinarietà e l’idea di costruire un sistema gastronomico più sostenibile. Ma perché sono convinto che quando ci sono buoni e saldi argomenti questi, si realizzano più facilmente in un Ateneo piccolo e giovane dove è più facile sperimentare forme diverse di insegnamento e coinvolgere persone con ruoli e provenienze diversi. Questa è l’idea rivoluzionaria dell’Università diffusa, che non è solo mettere insieme persone lontane nello spazio grazie ai nuovi media, ma costruire link orizzontali tra cittadini per imparare partendo da prospettive diverse, unendo contenuti classici e accademici al sapere tradizionale. Perché la conoscenza tradizionale e quella scientifica sono frutti diversi, eppure cruciali dello stesso albero. L’università raggiunge il suo obiettivo quando riesce a generare processi sociali che provocano questo tipo di formazione e autoformazione, che poi è quella che rivoluziona il mondo. Un percorso che va oltre all’istituzione università, che deve rivedere il suo ruolo in una maniera più policentrica, deve essere capace di accogliere, includere, partecipare, andare fuori». E l’Università di Scienze Gastronomiche? «Oltre a essere piccola e nuova, è soprattutto un’università aperta: a Pollenzo sono passati studenti provenienti da 50 Paesi, tutti accomunati dalla stessa visione del mondo. Ed è proprio questa l’energia di Pollenzo. Al centro non c’è il cibo, ma il cibo diventa la lente per guardarsi intorno e costruire un mondo più sostenibile e più giusto». Dopo anni come ricercatore e insegnante, Pieroni intraprende il delicato compito di rettore con un desiderio: «Traghettare Pollenzo verso una dimensione più internazionale e inclusiva. Un’università che prenda posizioni definite, che non stia nel mezzo, un’università che deve avere le sue idee e il suo carattere». E la relazione con Slow Food? «È cruciale, siamo gemelli eterozigoti. Abbiamo funzioni diverse: l’Unisg produce formazione, Slow Food è un movimento cultura-
le, ma abbiamo la stessa visione del mondo. Quale università ha il lusso di avere un’organizzazione internazionale come alleata e quale movimento ha il lusso di avere un’università che potrebbe essere usata per produrre dati e conoscenze? Dobbiamo cogliere al meglio questa opportunità». Oltre al nuovo rettore è arrivata una buona notizia dal Ministero dell’Istruzione: la nuova classe di laurea [vedi box sotto] . «È il riconoscimento, importante nell’ambito del sistema universitario italiano, di un esperimento nato a Pollenzo nel 2004 che ha acquisito una sua dignità e una sua autonomia, una sua rilevanza nel futuro del sistema universitario. Per studiare il cibo è necessario affidarsi a discipline scientifiche, ma anche alle scienze umanistiche, sociali e politiche. Che è poi la missione di Slow Food. Questo è fondamentale per noi perché la compartimentalizzazione delle università di oggi è l’anticamera per non risolvere i problemi. Perché l’attualità è complessa, la sostenibilità è un discorso olistico, non si può pensare di raggiungerla a partire da conoscenze puntiformi. Esporsi alla multiversità di questi approcci rende più naturale il raggiungimento della soluzione. E l’effetto è molto più ampio di quello che si immagina. Quando uno studente esce dall’Unisg è formato in tante cose, vede il mondo del cibo in maniera diversa, può incidere sul suo cambiamento sia che diventi un cuoco, un manager di un’industria o che lavori alla Fao. In poche parole, siamo sganciati da corsi di laurea pensati da altri a cui dovevamo adeguarci, ora siamo dentro a frame educativi che abbiamo disegnato noi. Ed è un bel privilegio». Auguri.
Cosa è la Classe di Laurea? di Sandra Abbona
I corsi di laurea triennale e magistrale dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, a partire dal 2018, potranno finalmente rientrare in una Classe di Laurea tagliata su misura. Che cosa significa questo? Le classi di laurea in Italia sono dei contenitori che raggruppano i corsi di studio dello stesso ciclo, definiti per legge. In altre parole sono l’insieme delle conoscenze e delle abilità che caratterizzano il profilo culturale e professionale del corso di studio. Le caratteristiche delle classi sono fissate a livello nazionale, con appositi Decreti Ministeriali, e sono quindi comuni a tutti gli atenei. Le singole università possono attivare per ogni classe uno o più corsi di laurea, scegliere il nome e decidere i piani di studio - rispettando i vincoli della classe - fermo restando l’accreditamento dei vari corsi presso il Miur. I corsi attivati nella stessa classe hanno identico valore legale. Le due nuove classi di laurea, quella triennale in “Scienze, culture e politiche della gastronomia” e quella magistrale in “Scienze economiche e sociali per la gastronomia”, approvate dal Ministero e attive a partire dal 2018, sono ispirate al modello didattico-formativo ideato e praticato presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo: in qualche modo possiamo parlare di un “calco” di quanto qui è stato progettato e viene insegnato. Un riconoscimento ufficiale e prestigioso, questo, che pone l’università pollentina all’interno di una cornice educativa unica, disegnata dall’ateneo stesso, che è stata di ispirazione a livello nazionale per un nuovo percorso universitario.
il giornale di Slow Food Italia
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Slow Food Italia: era il 2017
In quattro pagine una sintesi dell’anno che sta per concludersi
di Gaetano Pascale
V
iviamo in un’epoca in cui il mondo della produzione alimentare deve fare i conti con squilibri sociali, economici e ambientali divenuti insostenibili. Attraverso fusioni e acquisizioni, le grandi multinazionali agroalimentari si sono ridotte di numero e sono diventate sempre più monopoliste nel mercato, ma soprattutto hanno acquisito un potere di condizionamento dei sistemi normativi che mette in forte crisi tutto il settore agricolo del pianeta, assieme ai diritti più elementari dei cittadini. D’altro canto l’emergenza ambientale marcia a ritmo molto più rapido dei provvedimenti che vengono presi per arginarla. In questo quadro abbiamo il dovere, come associazione che si batte per il diritto al cibo per tutti, di provare a fare la nostra parte. Le battaglie contro i giganti del cibo non sono perse in partenza, soprattutto se riusciamo a costruire alleanze ampie nella società civile. Lo dimostrano, tra gli altri, i progetti delle comunità di Terra Madre in 150 Paesi, i riconoscimenti garantiti a 530 Presìdi e a oltre 4600 prodotti sull’Arca del Gusto in tutto il mondo, i quasi tremila orti scolastici, familiari e comunitari avviati in Africa. O come avviene con le coalizioni Stop al glifosato o Salvasuolo, dove Slow Food collabora con altre associazioni. Ma oggi abbiamo anche la necessità di affermare una visione che torni a guardare alle aree rurali come territori strategici per il nostro futuro. Città e metropoli non sono necessariamente il centro del mondo. Il nostro sguardo si deve rivolgere a quei territori troppo spesso dimenticati che balzano agli onori della cronaca e della politica solo in occasioni di disastri e di calamità naturali, come è accaduto in occasione dei terremoti del Centro Italia nel 2016. Alle aree colpite dal sisma abbiamo dedicato una delle nostre campagne più importanti in questo ultimo anno: “La buona strada – Ripartiamo dal cibo”, con l’obiettivo di ricostruire innanzitutto una speranza per chi ha scelto di restare in quei luoghi dopo la tragedia. Non si tratta di estemporanee iniziative di solidarietà, bensì di autentici progetti sociali per andare oltre l’emergenza e affrontare alcune delle problematiche strutturali di questi territori. Nelle attività quotidiane restano centrali i nostri progetti tradizionali, dai Presìdi a tutte le attività educative, a cui dedichiamo costanti energie e risorse. Per continuare a farlo abbiamo recentemente inaugurato una nuova modalità di coinvolgimento di alcune realtà aziendali più virtuose e con cui lavoriamo da tempo che, attraverso il progetto dei Sostenitori Ufficiali di Slow Food Italia, ci aiuteranno a costruire percorsi condivisi a supporto dei produttori di piccola scala e dei consumatori. Se vogliamo essere più efficaci nel nostro percorso, quindi, avremo bisogno di nuovi compagni di viaggio. La necessità di essere inclusivi è stata ribadita anche nel Congresso internazionale di Chengdu, in Cina, dove abbiamo rilanciato sulle principali sfide che coinvolgono i sistemi alimentari del pianeta, dal contrasto ai cambiamenti climatici alla tutela della biodiversità. Il Congresso ci consegna responsabilità politiche importanti ma nello stesso tempo pone le basi per avviare una profonda revisione nella nostra organizzazione. I contenuti del Congresso internazionale e il futuro assetto di Slow Food, perciò, saranno protagonisti della nostra agenda anche nel 2018, verso nuovi orizzonti associativi in cui proiettare il nostro impegno per un mondo del cibo più equo e più rispettoso del pianeta in cui viviamo.
Nuovi compagni di viaggio
P
er accompagnare i consumatori, sostenere i produttori artigianali, far vivere la ricchezza della biodiversità, ma anche educare al gusto e a un consumo consapevole nei prossimi anni saremo accompagnati da alcune realtà imprenditoriali che condividono gli ideali dell’associazione e con le quali abbiamo instaurato una relazione ampia e prolungata nel tempo. Cuki, Di Martino, Eataly, Gastameco, Lavazza, Velier sono i nuovi Sostenitori Ufficiali di Slow Food Italia (su slowfood.it nella sezione Partner trovate informazioni sulla loro attività). Insieme vogliamo affrontare un tema che ci sta a cuore: il futuro del cibo, e soprattutto come garantire il diritto e l’accesso a un cibo buono, pulito, giusto e sano a tutti. Lo faremo partendo dai progetti più importanti di Slow Food in Italia: i 282 Presìdi, i 500 Orti in Condotta, le tante attività educative del programma Master of Food, le campagne nazionali e internazionali dedicate a sensibilizzare e informare i consumatori. I nostri Sostenitori Ufficiali di Slow Food Italia non sono semplici sponsor, bensì veri e propri compagni di viaggio.
Ph Paolo Montanaro
Slow Food: costruire ampie alleanze nella società civile
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Numero 3
il giornale di Slow Food Italia
i progetti di Alberto Arossa
Slow Food
I progetti di tutela e valorizzazione di prodotti alimentari a rischio di scomparsa attraverso i quali Slow Food preserva la biodiversità. Salvando dall’estinzione razze animali, varietà vegetali e tecniche produttive specifiche di un territorio e con una lunga storia. I Presìdi Slow Food in Italia sono 282 e coinvolgono più di 2.000 produttori. Nel 2017 sono stati attivati 6 nuovi Presìdi.
La testimonianza La nostra è una Condotta dove il piacere di stare insieme e la convivialità rappresentano un aspetto fondamentale. Grazie alle relazioni che abbiamo costruito, ai produttori incontrati e ai Presìdi Slow Food che abbiamo attivato nella nostra zona, adesso siamo in grado di proporre iniziative davvero uniche. I nostri volontari conoscono i produttori, li affiancano; siamo un gruppo affiatato, e questo viene percepito dal pubblico e dalle istituzioni: i Presìdi Slow Food oggi ci rappresentano, ci distinguono e portano valore a tutta l’Associazione. Flavio Franceschetti, Fiduciario Slow Food Giudicarie
2
Orto
in condotta
Slow Food Italia entra nelle scuole italiane da alcuni anni grazie al progetto di educazione alimentare e ambientale Orto in Condotta. Realizziamo, grazie ai nostri volontari, vere e proprie comunità dell’apprendimento che ruotano attorno a momenti di formazione rivolti a insegnanti, genitori e allievi in un arco di tre anni. Sono 500 le scuole in cui c’è l’Orto in Condotta. Ogni anno nelle scuole aderenti al progetto si tiene la festa nazionale dell’Orto in Condotta il 10 novembre.
La testimonianza
3 Alleanza dei cuochi
È il progetto che vede l’Alleanza tra i cuochi e i Presìdi Slow Food con l’obiettivo di comunicare e promuovere i Presìdi, ma anche di coinvolgere il mondo della ristorazione nella battaglia a difesa della biodiversità, stimolando i cuochi ad avviare rapporti di conoscenza diretta con i produttori. I cuochi, entrando nell’Alleanza, diventano ambasciatori della propria terra e si fanno sostenitori delle produzioni alimentari che rispettano il lavoro di tutti e l’ambiente. I Cuochi dell’Alleanza sono 480. I Cuochi si sono riuniti a Montecatini il 15 settembre.
Portare l’educazione alimentare nelle scuole attraverso la coltivazione di un orto didattico è un’operazione di straordinario valore. In un mondo che allontana sempre più le persone dai ritmi della natura e dall’origine del cibo, è difficile pensare a un metodo migliore per sviluppare, attraverso le esperienze, conoscenza e senso critico partendo fin da piccoli. Senza dimenticare che l’orto è anche un luogo dove i bambini ritrovano la serenità, sfuggendo alla confusione di traffico e televisione, e dove imparano a concentrarsi sulla cura dei prodotti che coltivano.
La testimonianza
Andrea Gobet, Referente del progetto per Slow Food Trieste
Stefano Sorci, Ristorante l’Oste dispensa di Orbetello
Noi dobbiamo aiutare il consumatore, accompagnarlo, segnalare dove può trovare il prodotto e come trattarlo. E ricordargli che le ricette tradizionali, i piatti poveri della nostra ricca gastronomia sono quelli che ci possono indicare la strada. Sessant’anni fa eravamo già nel futuro, si sapeva che, ad esempio, il rispetto dell’animale era fondamentale. Portiamo quindi nei nostri menù piatti che raccontano una storia e hanno tra gli ingredienti prodotti sostenibili.
4 Mercati
5 Master
Nei mercati contadini si commercializzano prodotti locali, freschi e di stagione provenienti da produttori selezionati per la loro gestione aziendale in base a criteri socioantropologici, agroambientali ed economici, senza dimenticare convivialità, incontro e socialità.
Il Master of Food è un piano di corsi, ognuno di più lezioni, di conoscenza e degustazione rivolto alle Condotte Slow Food in Italia. Le lezioni sono condotte con simulazioni, degustazioni, giochi sensoriali, esercitazioni in cucina, si impara attraverso il saper fare e il saper scegliere, e sono gestite da relatori appositamente formati.
della terra
I Mercati della Terra sono 34 e coinvolgono oltre 700 produttori. Nel 2017 sono stati attivati 4 nuovi mercati (Agropoli, Varese, Comunanza e Milazzo). I referenti dei Mercati della Terra si riuniscono periodicamente, l’ultimo incontro si è tenuto il 25 novembre a Montevarchi, in occasione del Premio Gigi Frassanito.
La testimonianza Il Mercato della Terra di Comunanza nasce per dare una risposta a quei produttori che sono stati colpiti dal terremoto e alle persone che non hanno più a disposizione luoghi dove incontrarsi e rifornirsi di prodotti locali, freschi e di stagione. Da questo mercato vogliamo inoltre che nasca una cooperativa di comunità che da subito potrà usufruire di un negozio mobile su un furgone, acquistato grazie ai fondi raccolti con il progetto La buona strada. Nelson Gentili, Fiduciario Slow Food Piceno
of food
I corsi Master of Food realizzati quest’anno sono stati un centinaio. I formatori sono accreditati dopo la partecipazione a incontri formativi annuali (quest’anno il primo si è tenuto a giugno a Comacchio, il secondo a ottobre a Cascia e il terzo a novembre in diverse località italiane). A questi seguono momenti formativi specifici.
La testimonianza I Master of Food per me rappresentano l’educazione al gusto; approfondendo le materie, conosciamo meglio noi stessi, i nostri gusti. Molte volte questi corsi danno spunti culturali che poi portano a scelte di consumo più consapevoli. Per la nostra Condotta sono serviti a coinvolgere i giovani e chi si avvicinava per la prima volta al mondo del cibo, che hanno iniziato con i Master of Food il loro percorso di conoscenza di ciò che mangiano e bevono. Mauro Agolini, Fiduciario di Slow Food Godo
Illustrazioni designed by Lembrik / natalka_dmitrova / Freepik
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Presìdi
il giornale di Slow Food Italia
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le iniziative di Alberto Arossa
Campagna associativa e Slow Food Day
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Isole Slow
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Latte crudo e lieviti naturali
Cibo e salute
on la campagna associativa Insieme alimentiamo il futuro abbiamo voluto comunicare che siamo persone appassionate di cibo, che con le scelte quotidiane costruiscono qualcosa di buono. È il ruolo etico e sociale che il consumatore può decidere di avere, operando scelte responsabili e consapevoli. Con lo Slow Food Day (8 aprile 2017) i nostri volontari hanno presentato le attività locali di Slow Food, incontrato i produttori, i ristoratori e il pubblico e dedicato la giornata alle scelte alimentari. Con l’occasione abbiamo distribuito un questionario sulle abitudini e sui consumi alimentari che ha raccolto oltre 3000 risposte e pubblicato i risultati su Slow #2 di settembre.
al 2005 è attiva la rete delle Isole Slow, che porta avanti i temi di Slow Food declinandoli nella realtà delle isole italiane, ma non solo. Lo scopo è recuperare i settori produttivi isolani, valorizzare le produzioni tipiche e la cucina di territorio capace di mutare con le stagioni e le disponibilità di cibi locali. Si tratta di riportare al centro territori ingiustamente considerati marginali, che invece sono ricchi di cultura e biodiversità.
Pesca sostenibile e salute del mare
La buona strada Ripartiamo dal cibo
A
nche grazie a Cheese, evento tenutosi con grande successo a settembre a Bra, si sono intensificate le attività di ricerca e gli incontri con gli specialisti per approfondire i temi del latte crudo e dell’utilizzo di lieviti naturali, invece di quelli industriali standardizzati. Le informazioni e le testimonianze raccolte sono state utili alla stesura di articoli pubblicati nei principali canali comunicativi di Slow Food Italia e sono state la base della discussione avvenuta nelle conferenze programmate durante Cheese. Su questa base è nata una rete di persone che nel mondo promuovono e promuoveranno il latte crudo. Questo potrà avere interessanti ripercussioni sulla situazione difficoltosa di molti produttori che oggi non si sentono sufficientemente tutelati per la loro scelta di allevamento e produzione sostenibile.
L
e iniziative di Slow Food legate ad approfondire il rapporto tra cibo e salute sono sfociate nel 2017 nella nascita della nuova collana editoriale Slow Life. Nei titoli di questa collana sono descritti i prodotti, si approfondiscono gli aspetti nutrizionali e si propone una guida per sceglierli al meglio e valorizzarli in cucina, con un’attenzione particolare ai temi della salute e del benessere. I titoli pubblicati finora sono: Pesce, Naturalmente dolci, Pane e lievitati, Verdure, Cereali e verdure e Carne.
Cambiamenti climatici
S
low Food sostiene una rete di comunità della pesca e una serie di azioni comunicative volte a sensibilizzare il pubblico sui temi del mare e delle acque dolci, della pesca sostenibile e del consumo consapevole di pesce. Le attività sono coordinate da un comitato scientifico che quest’anno ha indicato come temi da portare all’attenzione dei soci e del pubblico gli inquinanti presenti nel mare e nelle filiere ittiche, come metalli pesanti e microplastiche, e la necessità di allestire, in Liguria, una sede fissa, politica e fisica, per interagire con tutti gli attori del Mediterraneo, per superare le difficoltà comuni e creare un’economia virtuosa. Questi messaggi sono stati lanciati in occasione di Slow Fish, evento tenutosi a Genova dal 18 al 21 maggio.
I
primi mesi dell’anno sono serviti per gli incontri con i diretti interessati e per definire insieme a loro il progetto più idoneo per ripartire dopo il terremoto in centro Italia del 2016. Il 7 luglio progetto e raccolta fondi La buona strada – Ripartiamo dal cibo sono stati lanciati al Festival della Partecipazione a L’Aquila. Il progetto si propone di raccogliere entro febbraio del prossimo anno 180.000€ con i quali finanziare l’acquisto di un furgone attrezzato per le aree umbre e laziali circostanti a Cittareale, Accumoli, Amatrice e Cascia che venderà al pubblico i prodotti delle aziende agricole locali e delle altre regioni colpite dal sisma; un caseificio mobile dotato di tutte le attrezzature necessarie che permetta a una ventina di allevatori abruzzesi, più precisamente del territorio aquilano, di riprendere la produzione lavorando direttamente il proprio latte; la realizzazione di un Mercato della Terra e l’acquisto di un negozio mobile a Comunanza, nelle Marche. Mentre scriviamo abbiamo oltrepassato i 50.000€ e avviato il Mercato della Terra di Comunanza. Per donare: https://goo.gl/r5sfFN
N
ella seconda parte dell’anno abbiamo dato il via alla prima campagna di raccolta fondi, comunicazione e sensibilizzazione internazionale sulle ripercussioni che le scelte alimentari hanno sui cambiamenti climatici, un tema che da alcuni anni vede già coinvolta l’associazione. Con la campagna Menu for Change, promuoviamo i cibi locali, freschi e di stagione, ponendo l’attenzione su quanto questi fanno risparmiare in termini di emissioni di gas serra. La campagna vede il coinvolgimento di soci e appassionati, di osti e operatori del settore, e promuove atteggiamenti alimentari quotidiani capaci di mitigare i cambiamenti climatici. Con l’occasione sono stati prodotti e diffusi materiali informativi attraverso il sito specifico della campagna e tutti i canali comunicativi che abitualmente utilizziamo.
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il giornale di Slow Food Italia
Come destiniamo i soldi della tua tessera Slow Food? il sostegno a campagne di sensibilizzazione, 10% per attività di promozione e ricerca, comunicazione. Condotte Slow Food per lo sviluppo delle loro 13% alle attività e dei progetti locali. servizi ai soci, costi generali di gestione, 37% per attività di supporto generale.
Il volontariato: un’anima di Slow Food Incontriamo
Rita Tieppo,
ex-insegnante della scuola per l’infanzia
40% per le attività volte a tutelare la biodiversità e altri progetti come: Presìdi Slow Food, Mercati della Terra, Orti in Africa, Comunità del cibo, Alleanza dei Cuochi, Arca del Gusto ecc. di Fabiana Graglia
Tra le fonti di finanziamento di Slow Food sicuramente la più importante è quella dei soci. Quanti sono i soci attivi di Slow Food in Italia?
35.000
Condotte e volontari Slow Food Quante sono le Condotte in Italia?
300
Quali sono le attività delle Condotte e dei volontari? Molte, e quasi tutte indirizzate al pubblico sul tema del cibo sostenibile, del rispetto dell’ambiente e di chi lavora.
Qualche esempio? Attività di promozione dell’Associazione, incontri conviviali (es. cene a tema), corsi di degustazione, orti e progetti nelle scuole, mercati contadini, convegni, presentazioni di libri, eventi di raccolta fondi per progetti solidali.
2500
E quanti i volontari e attivisti?
2500
Coinvolgi chi conosci in Slow Food, invitalo a unirsi e a diventare Socio. Se anche tu vuoi essere parte attiva di Slow Food, contatta la tua Condotta.
volontari di Slow Food sono una I grande ricchezza per l’Associazione, senza la loro energia, il loro tempo e la loro passione tutto ciò non sarebbe possibile.
Quando hai conosciuto Slow Food e che cosa ti ha colpita? Sono entrata in contatto con Slow Food nel 2003 quando ho saputo dell’idea di realizzare gli orti nelle scuole. Già da un anno, nella scuola per l’infanzia La Gabbianella dove insegnavo a Moncalieri (To), stavamo coltivando un orto con i bambini. In poco tempo mi sono ritrovata a scrivere insieme le linee guida dell’Orto in Condotta che ho presentato alla prima edizione di Terra Madre. Proprio in quell’occasione ho realizzato di essere capitata nel posto giusto, l’incontro con persone provenienti da ogni dove e con le stesse finalità è stato molto forte e mi ha motivata ancora di più: di qui la mia intenzione di associarmi e di entrare attivamente nel mondo Slow Food. Negli anni seguenti sono diventata formatrice nazionale del progetto Orto in Condotta, un ruolo che ho ricoperto sempre con molto piacere perché mi permetteva di poter divulgare il progetto, con le sue attività educative e le sue metodologie. Che cosa significa per te essere volontaria Slow Food? Dopo 42 anni di insegnamento, un paio di anni fa, ho raggiunto la pensione e quindi mi sono ritrovata ad avere molto tempo libero. Quale occasione migliore se non utilizzare questo tempo in Slow Food? Finalmente potevo mettere a disposizione dell’Associazione l’esperienza come insegnante e le conoscenze del progetto Orto in Condotta. Per me è una grande ricchezza, quindi mi sento di fare un appello: investiamo il tempo libero in attività per il sociale invece di stare ognuno nelle proprie case. Che cosa può fare Slow Food per il futuro? È importante continuare a sostenere Slow Food e le sue attività educative, perché, a mio parere, l’educazione è l’unica strada attraverso il quale si può promuovere il cambiamento. Anche se si tratta di un processo molto lento. Dopo 13 anni di lavoro nel progetto Orto in Condotta posso dire di aver già visto i primi risultati sia nei bambini che nei genitori. Con il tempo abbiamo visto bambini più curiosi e informati e genitori più attenti. Rita, come vuoi concludere questa intervista? Vorrei ringraziare tutte le insegnanti dei 500 Orto in Condotta che, come me, senza clamori, dedicano tempo (non remunerato) e passione per il lavoro, per portare avanti questo importante progetto educativo nelle scuole.
il giornale di Slow Food Italia
a cura di Slow Food Educazione
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I CEREALI SONO STATI ELETTI TEMA DELL’ANNO DI ORTO IN CONDOTTA, LA RETE ITALIANA DEGLI ORTI SCOLASTICI DI SLOW FOOD. PAESE CHE VAI, PANE CHE TROVI
LO SAI CHE
Scrivi il nome di ciascun pane vicino al luogo tradizionale di produzione.
Grano, riso, mais, orzo, farro, segale, avena, sorgo e miglio appartengono alla famiglia delle
1. (PIEMONTE)
2. (EMILIA ROMAGNA)
3. (CALABRIA)
4. (LOMBARDIA)
Graminacee e sono chiamati cereali. Grano
saraceno,
quinoa
e
amaranto,
non
rientrando in questa famiglia, sono denominati pseudocereali. distinguono
Allo
dai
spuntare
cereali
dal
suolo
si
perché
hanno
2
___V_
_ _ _ P_ _ _E_ _ _R_SE
foglioline e non solo una. Fai una ricerca e riconosci i tre pseudocereali.
_ _ _OC_ _ DI C _ _ _ _ A _ _ _ _
Procurati i prodotti da forno elencati nella tabella.
Assaggiali
punteggio
da
1
a
e
10
attribuisci in
base
alla
loro
un
diversa
croccantezza. Poi ordinali dal più morbido al più croccante.
PRODOTTO
PUNTEGGIO
GRISSINI CRACKERS FOCACCIA PANE PAN CARRÉ Quello che ho preferito è ___________________ perchè ______________________________________ _____________________________________________
SPERIMENTA� E INCOLLA!
Un tempo i muri delle case erano costruiti con mattoni tenuti insieme da acqua e farina. Mischiando acqua e farina puoi ottenere anche tu una COLLA NATURALE! Diluisci 100 grammi di farina di grano con un goccio d’acqua fredda. Non appena il composto sarà ben amalgamato e privo di grumi, versalo in una pentola dove avrai portato a ebollizione 1,5 litro di acqua. Mescola fino a ottenere un composto fluido. Utilizza la colla per realizzare lavoretti con carta e cartone e se vuoi ottenere una versione “strong”, aggiungi un cucchiaio colmo di zucchero quando la farina è ancora a bollore sul fuoco. Armati di pennello… e libera la tua fantasia!
Soluzioni del numero precedente A ognuno il suo latte. Gli animali che fanno il latte per i cuccioli: donna, pecora, asina, cavalla, cagna, cammella, vacca, bufala. L’uomo beve tutti questi latti, ad eccezione di quello di cagna. Trova le parole nascoste. Capra orobica, bitto, Lombardia. Lo sai che. Tra i formaggi erborinati ci sono il gorgonzola, lo stilton, il roquefort. Che cosa mangia la vacca? Acqua, leguminose, fieno, semi di girasole.
_ _ _H _ _ _ A
6. (MOLISE) 5. (TOSCANA)
FA CROC?
F _ _ _ _ _ LA
7. (CAMPANIA)
_ _ _ _O_Z_ P _ _ E CA_ _ _ _
9. (BASILICATA)
10. (PUGLIA)
_ _ _ _ DI _ _ _ _ _ _
PA _ _ _R _ _ _ _ _ _ _ _ _ E DI ALT_ _ _ _ _
8. (SARDEGNA)
P _ N _ CA _ _ _ _ _
11. (SICILIA)
P _ _ _ DI _ _ _ _INI
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Numero 3
il giornale di Slow Food Italia
LA DIETA MEDITERRANEA “ LA DIETA MEDITERRANEA LA NOSTRA STORIA PROIETTATA NEL FUTURO
“ L’ATTUALITA DELLA DIETA MEDITERRANEA
IL LIBRO CHE HA RESO UFFICIALE UNO STILE DI VITA
P
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low Food Editore è orgoglioso di pubblicare La dieta mediterranea. Come mangiare bene e stare bene di Ancel e Margaret Keys: libro fondamentale che ha codificato e reso famosa la dieta mediterranea, patrimonio dell’Unesco. Senza questo libro, molto probabilmente, oggi non si parlerebbe di dieta mediterranea. Un libro curiosamente rimasto inedito nonostante sia stato pubblicato negli Usa nel 1975. Un testo che ci rende fieri per la sua grande valenza storica e documentale, nonché per il suo interesse scientifico. Un’operazione di questo prestigio non sarebbe stata possibile senza il contributo dell’Associazione Dieta Mediterranea Ancel Keys di Pioppi. Nata nel 2008 con la guida spirituale del grande fisiologo statunitense, ha giocato un ruolo fondamentale nell’accompagnamento scientifico e per la concessione dei diritti di questo testo, mediando con gli eredi Keys, a cui è necessario estendere il caloroso ringraziamento. In occasione di questa importante pubblicazione Slow vi presenta un percorso per meglio vivere la dieta mediterranea.
erfettamente bilanciata nelle sue componenti, è ormai provato che la dieta mediterranea mantiene l’organismo in buona salute. Studi osservazionali condotti in molti Paesi, supportati da due studi di intervento controllati e randomizzati (dunque di probante valore scientifico), hanno dimostrato che più stretta è l’adesione a questo modello dietetico, migliore è l’aspettativa di vita e la probabilità di rimanere a lungo esenti da patologie di tipo cronico-degenerativo, quali l’infarto e lo scompenso cardiaco, l’ictus cerebrale, il decadimento cognitivo, la malattia renale cronica e varie forme di cancro. La recente pubblicazione per Slow Food Editore della versione italiana del famoso testo di Ancel e Margaret Keys, How To Eat Well and Stay Well the Mediterranean Way, è l’occasione per ricordare e soprattutto chiarire meglio i principi della nutrizione e della sana alimentazione e il grande valore di questo modello alimentare. Nel corso dei quasi settant’anni che ci separano dall’originale intuizione e dalle prime ricerche di Ancel Keys, si è cercato di comprendere il segreto delle eccezionali prerogative della dieta mediterranea, soprattutto con l’analisi delle singole componenti. Queste ricerche hanno consentito di approfondire le conoscenze in campo nutrizionale e i loro risultati hanno trovato applicazione sia in relazione ai processi industriali di trasformazione degli alimenti, sia nella formulazione delle linee guida per una sana alimentazione. Quanto alla paternità del modello, è più che giusto e comprensibile che il Sud Italia e in particolare il Cilento, che hanno ospitato Ancel e Margaret Keys favorendone le ricerche, si sentano depositari di questa tradizione. Tuttavia, occorre riconoscere che gli studi epidemiologici condotti in molti Paesi lontani hanno permesso di scoprire che il loro livello di adesione al modello mediterraneo era ed è tuttora paragonabile se non superiore - a quello dell’Italia meridionale e degli altri Paesi che si affacciano sul bacino mediterraneo: si parla del Giappone, dell’Iran e perfino di alcuni Paesi scandinavi. Non dobbiamo stupirci di questo: è più che ragionevole che la combinazione di nutrienti che caratterizza la dieta mediterranea dell’Italia meridionale possa ritrovarsi nell’esperienza di tradizioni gastronomiche lontane dalla nostra, declinata in forme diverse. Questa universalità del modello alimentare mediterraneo, ovvero la sua capacità di realizzarsi in luoghi diversi e lontani sotto forme in apparenza molto differenti, ne accresce il valore e l’attualità. Così come ne accresce enormemente il valore la dimostrata “sostenibilità”, tale da assicurare non solo la salute dell’individuo, ma quella dell’intero pianeta, in virtù del minore consumo di suolo e di acqua e delle più basse emissioni di gas serra rispetto a quanto necessario al modello di alimentazione di ispirazione anglosassone. Eppure, in Italia così come in quasi tutti i Paesi mediterranei viviamo un progressivo allontanamento dai principi che di quel modello sono alla base, sia da parte della popolazione adulta sia ancor di più da parte dei giovani, attratti dal consumo di prodotti trasformati ad alta densità calorica per l’elevato contenuto di grassi e di zuccheri aggiunti, a scapito di alimenti naturali meno energetici ma più ricchi di nutrienti benefici e salutari. La sfida che abbiamo davanti è quella di contrastare questa tendenza negativa, che già manifesta i suoi esiti dannosi, tra cui l’incremento dell’obesità infantile e giovanile a cui si dovrà, nel prossimo futuro, un aumento della prevalenza di ipertensione arteriosa e di diabete mellito. È auspicabile e necessario che la grande attenzione corrente dei media verso l’alimentazione assuma l’obiettivo di recuperare la tradizione mediterranea, rivitalizzandola grazie anche allo sviluppo delle moderne tecnologie alimentari. di Pasquale Strazzullo Presidente Società Italiana di Nutrizione Umana
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La dieta mediterranea è un colpo di fortuna della natura». Lo dicevano Ancel e Margaret Keys, i due scienziati americani che negli anni Cinquanta hanno riconosciuto il valore universale di questo stile di vita. Un modo di abitare poeticamente la terra, lo avrebbe definito Heidegger. Festoso e ospitale, con una gastronomia semplice e al tempo stesso sofisticata. Fatta di capolavori gastronomici alla portata di tutte le tasche, salutari per l’uomo e sostenibili per il pianeta. In grado di conciliare essere e benessere, ecologia e longevità. Un patrimonio di idee e tradizioni che l’Unesco nel 2010 ha riconosciuto quale patrimonio culturale dell’umanità. Probabilmente senza i coniugi Keys tutto questo non sarebbe stato possibile, perché sono loro, nel 1975, i primi a mettere nero su bianco l’espressione dieta mediterranea, inventando, di fatto, un nome nuovo per una cultura antica. Quando nel 1952 iniziano le loro ricerche a Napoli, tutti mangiano mediterraneo, ma nessuno lo sa, né sente l’esigenza di sintetizzare in una etichetta i propri usi alimentari. Ma per i Keys è tutta un’altra storia, perché, sin dalle prime ricerche condotte all’ombra del Vesuvio, balena con l’evidenza di un lampo nella notte l’idea che gli operai partenopei siano più sani dei manager americani. I loro cuori infatti sono decisamente meno esposti agli infarti e alle malattie cardiovascolari. E la ragione sta proprio nell’alimentazione che regola il tasso di colesterolo. Bassissimo nei partenopei, alle stelle nei discendenti di Lincoln. Era un paradosso che in pochi erano disposti ad accettare nell’immediato dopoguerra. Per conoscere le abitudini dei napoletani, dei cilentani e più in generale degli italiani, i Keys compiono un vero e proprio rito di iniziazione alla cucina popolare. Frequentano trattorie, osterie, pizzerie, friggitorie e scoprono uno dopo l’altro i capolavori partoriti dal genio popolare. Intuiscono ben presto che a quella tavola davvero non si invecchia. Così decidono di dimostrare scientificamente che la cucina mediterranea è di per sé un forma di prevenzione dalle
malattie cardio-cerebro-vascolari. E conducono per trent’anni uno studio comparato tra sette nazioni - Italia, Grecia, Giappone, Olanda, Finlandia, Stati Uniti e Jugoslavia - che è diventato un classico, peraltro continuamente riconfermato dalla scienza medica. Alla fine il loro messaggio è arrivato fino a noi forte e chiaro. Le civiltà del Mediterraneo hanno collaudato nei secoli uno stile alimentare basato su cereali, olio e vino che coniuga piacere e salute. In più allunga la vita. E questa storia è anche la nostra storia. di Elisabetta Moro Antropologa e direttore MedEatResearch - Centro di Ricerche Sociali sulla Dieta Mediterranea dell’Università di Napoli SOB
Pasto principale
Ogni giorno
NOVEMBRE 2017
13 Fundaciòn Dieta Mediterrànea
Settimanalmente
il giornale di Slow Food Italia
Dolci 2p
Patate 3p - Carne rossa < 2p - Carni lavorate 1p
Carni bianche 2p - Pesce/frutti di mare 2p - Uova 2-4p - Legumi 2p
Latticini 2p (preferibilmente a basso contenuto di grassi)
Olive/Noci/Semi 1-2p Erbe/Spezie/Aglio/Cipolle (meno sale aggiunto) varietà di sapori
Frutta 1-2/Ortaggi 2p Varietà di colori e consistenze (cotto/crudo) Olio di oliva Pasta/Riso/Couscous/Altri cereali 1-2p (preferibilmente integrali)
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Acqua e tisane
IL MEDITERRANEO NON E SOLO UN MARE
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otte che s’incrociano, popoli che migrano, cucine che si mescolano, si oppongono e si sovrappongono. Il Mediterraneo non è solo un mare. È un’interfaccia di umanità. È il primo melting pot della storia. Una pentola che da millenni continua a sobbollire civiltà. Unite e divise dalla tavola, che diventa la materia prima di identità e differenze. Partendo però da quel minimo comune denominatore da cui nascono tutte le gastronomie del Mare Nostrum. Cereali, olio e vino. Ovvero la triade mediterranea, di cui l’Italia è oggi la grande custode. Con Elisabetta Moro abbiamo deciso di intraprendere un viaggio sentimentale nei santuari nazionali della dieta mediterranea. Che attraversa i luoghi in cui questo antico stile di vita è ancora memoria vivente. Tradizione culturale e vocazione produttiva. Eredità del passato e chance di futuro.
Attività fisica / Adeguato riposo / Convivialità
Biodiversità e stagionalità / Prodotti tradizionali, locali ed ecologici /Attività gastronomiche
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LA DIETA MEDITERRANEA E UNO STILE DI VITA ALFONSO IACCARINO UN SUO INSTANCABILE PALADINO di Valter Musso
T Partiamo da Napoli, dove la grande storia alimentare testimoniata dall’archeologia pompeiana, dalle nature morte barocche e dall’arte del presepe è ancora presente nei monumenti vivi della gastronomia popolare. Come la pizza, la sfogliatella, le frittate di maccheroni, la parmigiana di melanzane. Cibi democratici per una città-mondo dove lo street-food era realtà quotidiana molto prima che il mondo anglossassone inventasse quest’espressione. Poi il Cilento di mare e di costa, dove il binomio pesce azzurro e verdura fecero credere ai grandi scienziati americani Ancel e Margaret Keys, scopritori della dieta mediterranea, di aver ritrovato l’algoritmo della longevità. Il viaggio continua in Sicilia, dove l’incontro-scontro tra la sponda cristiana e quella islamica ha prodotto capolavori dall’aura araba come la pasta con le sarde, la caponata, le kubaite modicane, le panelle palermitane e il salmoriglio, parente dell’antico salmorejo cordovano. L’itinerario tocca anche la bianca Puglia che, dal Tavoliere al Salento, ha trasformato l’indigenza in eccellenza, dando vita a cattedrali del gusto come le orecchiette con le cime di rape. O come fave e cicoria, una volta emblema della miseria contadina e oggi simbolo dell’abbondanza frugale e dello sviluppo sostenibile. Poi ancora, la Costiera amalfitana con i suoi umori arabo-normanni e Matera con il suo pane antico che profuma di natura madre. Infine, risalendo lo Stivale, il viaggio approda a Genova e Venezia, altre galassie di storia che hanno portato il Mare Nostrum al di là dei suoi confini. E che hanno ricevuto l’onda di ritorno delle spezie e dei prodotti d’oltreoceano, che hanno globalizzato le nostre tradizioni gastronomiche. È così che sapori e profumi del mondo si sono insinuati tra vicoli e angiporti, campielli e crêuze de mä. Ha detto lo scrittore Abraham Jeoshua che è l’Italia ad avere il compito di creare la nuova identità mediterranea. Ora è davvero possibile. Partendo dal food. di Marino Niola Antropologo e direttore MedEatResearch - Centro di Ricerche Sociali sulla Dieta Mediterranea dell’Università di Napoli SOB
ra i grandi chef italiani, Alfonso Iaccarino è il testimonial per eccellenza della dieta mediterranea, colui che oltre 40 anni fa ne fece la sua filosofia, diffondendola in tutto il mondo a partire da Sant’Agata sui Due Golfi, nella senisola sorrentina: «La dieta mediterranea è una scuola di vita, amore per il territorio e rispetto per le tradizioni. È pasta, riso, pomodori e tutte le verdure, la frutta, l’olio extravergine di oliva e il pesce azzurro umile ma di grande gusto e fondamentale per la salute. Senza dimenticare ceci, legumi, cicerchie, fave e tutte quelle materie prime per tanto tempo abbandonate che hanno fatto la storia della cucina italiana. Sono stato testimone di molte tendenze gastronomiche in questi anni - dalla nouvelle cuisine al periodo spagnolo o quello inglese o scandinavo e negli ultimi anni l’America Latina – sono scuole di pensiero. Io ritengo di aver sposato una giusta causa soprattutto perché tutti i valori propri della dieta mediterranea sono iscritti nel mio codice genetico». Cosa le evoca la dieta mediterranea? Prima ha detto un territorio, la storia... «I grandi ricordi sono quelli di famiglia. Io vengo da quattro generazioni di ospitalità e per noi il cibo quotidiano era un giorno ceci, un altro fagioli, poi lenticchie, poi piselli, tutti accompagnati dalla pasta, dai prodotti del mare, dai polli del vicino….La grande distribuzione ha stravolto queste semplici abitudini e ha introdotto ingredienti chimici che non sempre fanno bene alla salute ma, purtroppo, vengono considerati ingredienti naturali dal consumatore». Forse lei e stato, tra i grandi chef, il primo ad avere un orto... «Invece che ostentare il mio successo costruendo una villa ho preferito vivere in un piccolo appartamento e investire in un’azienda agricola biologica attiva da 40 anni. A metà degli anni ‘70 ho compreso che la strada da seguire era la ristorazione di qualità e l’azienda agricola nasce per garantire tutto ciò. E oggi come allora sono orgoglioso di portare nel mondo il pomodoro San Marzano, la pasta di Gragnano, la mozzarella di bufala, l’olio extravergine d’oliva. Questa è la mia battaglia da sempre: dare dignità ai piccoli produttori e ai contadini. Ho 71 anni e sto vivendo un momento magico perché vedo che il mio modo di intendere e vivere la materia prima sta riscuotendo un grande interesse e poi perché, grazie alla considerazione della gente, sono stimolato a fare sempre meglio e di più». Lei ha incontrato Ancel Keys? «Lui e la moglie hanno frequentato molto il mio ristorante, curiosi di capire quello che facevo e come lo facevo. È stato un privilegio e confrontandomi con loro ho affinato e consolidato le mie convinzioni gastronomiche». La dieta mediterranea ha molti detrattori, anche nel campo medico, ma chi sono i veri nemici? «Sicuramente è una mia grande battaglia da sempre perché nell’agroalimentare ci sono interessi forti e spesso purtroppo avvallati dall’Unione Europea». Qual e l’ingrediente principale per una buona cucina? «Il cuore! Inteso come amore, passione e conoscenza della materia prima. Ai miei ragazzi, compresi i miei figli, dico sempre “voi con gli ingredienti ci dovete parlare, dovete seguire le stagioni, esse dettano i ritmi che poi dobbiamo seguire nel realizzare un menù”».
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il giornale di Slow Food Italia
VETRO O PET:
ambiente a rendere È
come se l’inventore di una grande macchina con migliaia di ingranaggi enormi, che ruotano tutti in senso orario, decidesse di inserire centinaia di rotelline che girano in senso antiorario, nella speranza che queste ultime invertano la direzione di tutto il sistema. La visione è un po’ onirica ma deriva dall’idea che ci siamo fatti della sperimentazione sul vuoto a rendere, avviata dal Ministero dell’Ambiente italiano lo scorso ottobre e destinata a durare 12 mesi. In pratica tutti gli esercizi pubblici (bar, ristoranti, ecc...), che decidono di aderire volontariamente, possono vendere acqua e birra in vetro o in Pet (polietilene tereftalato o polietilentereftalato) applicando una cauzione che viene restituita una volta reso il vuoto. La proposta di legge Disposizioni per la reintroduzione del sistema del ‘vuoto a rendere’ era stata presentata da Stefano Vignaroli del Movimento 5 Stelle nell’aprile 2014 ed è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso settembre, incontrando l’entusiasmo dell’opinione pubblica: «Un Paese proiettato nell’economia circolare come l’Italia – ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – non può che guardare con interesse a una pratica come il vuoto a rendere, già diffusa con successo in altri Paesi.
Questo decreto dà una possibilità a consumatori e imprese di scoprire una buona pratica che aiuta l’ambiente, produce meno rifiuti e fa risparmiare soldi Questo decreto dà una possibilità a consumatori e imprese di scoprire una buona pratica che aiuta l’ambiente, produce meno rifiuti e fa risparmiare soldi». In Germania e in molti altri Paesi europei funziona così, con i rivenditori che servono da isola ecologica, fornendo al consumatore che restituisce il vuoto uno scontrino con la cauzione da incassare o stornare dalla spesa. L’Italia invece ha abbandonato il vuoto a rendere alla fine degli anni ‘80, mentre resiste nel settore della ristorazione ma solo per l’acqua minerale. Oggi l’industria degli imballaggi, i produttori di bevande, la distribuzione, gli esercenti, i consumatori, i raccoglitori di rifiuti e i riciclatori, insomma, tutta la filiera, sono organizzati con il sistema del riciclo e non del riuso. Per chiarirci le idee e sentire la voce dei diretti interessati, abbiamo intervistato alcuni rappresentanti italiani del settore. Cominciamo dai produttori di bevande Lurisia e Ferrarelle, mentre su www.slowfood.it, nelle prossime settimane potremo leggere altre opinioni.
GIUSEPPE CERBONE, D I R E T TO R E G E N E R A L E D I F E R R A R E L L E S PA
ALESSANDRO INVERNIZZI, A M M I N I S T R AT O R E D E L E G AT O L U R I S I A
Personalmente ho un giudizio critico sui contenitori riutilizzabili per packaging alimentare primario (quello a diretto contatto con cibo e bevande), semplicemente perché non è possibile sapere quali sono le condizioni di partenza. Le bottiglie di vetro riutilizzate, ad esempio, potrebbero essere state impiegate in modo improprio dal consumatore. Inoltre, il vetro a rendere viene sottoposto a severe procedure di ispezione, lavaggio e disinfezione, ma il riutilizzo in sé non è sinonimo di sostenibilità: se oltre a queste operazioni consideriamo il trasporto su gomma delle bottiglie vuote verso lo stabilimento, il suo impatto ambientale, misurato con il sistema certificato Life Cycle Assessment, risulta addirittura più alto del Pet. Secondo la mia esperienza un materiale per il packaging primario alimentare deve avere quattro caratteristiche: soddisfare le funzioni per le quali si impiega; la materia prima deve essere largamente disponibile; essere economico; essere realizzato con un materiale riciclabile. Il Pet possiede queste caratteristiche a livelli molto alti, è leggero, non si rompe e da esso si può riprodurre Pet perfettamente uguale a quello di partenza. È necessaria però la creazione di un circuito di raccolta e riciclo efficiente. Per questo abbiamo realizzato uno stabilimento in cui produrremo R-Pet, con il quale produrremo in autonomia le preforme, lo stato embrionale delle bottiglie, riciclando circa 30 mila tonnellate di Pet all’anno, il doppio del nostro fabbisogno. All’inizio ci approvvigioneremo dal Corepla, eliminando dalle balle le altre plastiche, mentre insieme ad altri soggetti ci stiamo attivando per far riconoscere il Coripet - consorzio per il riciclo dei contenitori in Pet - già sperimentato in diverse regioni, che attuerebbe una raccolta differenziata selettiva e, di conseguenza, un riciclo di migliore qualità.
Abbiamo sempre preferito il vetro, fin dai tempi in cui a capo dell’azienda c’era mio padre. E, nonostante una piccola quantità che imbottigliamo in Pet, per me il vetro rimane il miglior contenitore alimentare, in quanto garantisce la conservazione del prodotto e determina un minore impatto sull’ambiente. Ancora oggi nelle casse di Lurisia si possono trovare bottiglie risalenti al 1998, quando mio padre cercò di convincere gli altri imbottigliatori a realizzare una bottiglia unica. Il tentativo non funzionò perché solo noi pagammo lo stampo, mentre i 2 milioni di bottiglie neutre venivano distribuite anche con altre etichette. In seguito anche noi realizzammo uno stampo personalizzato. Il processo più oneroso è la realizzazione del contenitore, che necessita di grandi quantità di energia negli altiforni delle vetrerie. Poi ovviamente ci sono le fasi di trasporto dell’acqua e dei vuoti, che per la maggior parte avviene su gomma. Infine c’è la fase del lavaggio delle bottiglie: noi usiamo poca soda per staccare l’etichetta e la colla, pochissimi additivi per rendere il vetro lucido, acqua a 80°. Abbiamo appena acquistato una nuova lavabottiglie con cui ridurremo di un quinto i consumi di acqua e potremo anche risparmiare in termini di energia. È vero che il processo di creazione del contenitore in vetro è molto oneroso ma secondo alcuni studi dopo il sesto riutilizzo il suo impatto è pari a quello del Pet e dopo il ventunesimo praticamente si annulla. A livello istituzionale credo che l’ideale sarebbe organizzare una tavola rotonda con l’obiettivo di crescere tutti insieme, produttori, distributori e riciclatori, individuando il miglior packaging per ogni bevanda e la filiera giusta per ridurre gli impatti sull’ambiente e, soprattutto, facendo anche educazione presso il consumatore. Io infatti non ho mai visto una bottiglia di plastica suicidarsi in mare.
il giornale di Slow Food Italia
l’ i ta l i a
in bottiglia 61,8% le famiglie che acquistano acqua minerale
192 litri all’anno per persona
234,00€ la spesa media a famiglia
L’Italia delle Condotte
CiboLento per vivere il Cilento: una terra ricca di biodiversità A cura della Condotta Slow Food Cilento
11,500 milioni di ettolitri consumo complessivo di acque confezionate
+8,7% di vendite nel primo mese del 2017 solo per l’acqua minerale
3.900 milioni di ettolitri bibite, succhi e altre bevande a base di frutta 73,37% distribuiti in bottiglie a perdere
1,9 milioni di ettolitri di birra (30,9 litri pro capite nel 2015)
500/600 etichette di acque minerali
oltre 6 miliardi di bottiglie (85% delle acque minerali viene venduto in PEt) 50 i riutilizzi di un contenitore di vetro (fino a 95% il vetro riciclato che una vetreria riesce a impiegare al posto della materia prima vergine)
20 i riutilizzi di un contenitore di PET (452mila tonnellate gli imballaggi in PEt immessi a consumo in italia nel 2015. Di questi solo 193mila sono state avviate a riciclo, meno del 50% vergine)
200 km la distanza ecologicamente conveniente per il vuoto a rendere secondo alcuni studi tedeschi
L’esempio deLLa Germania Nel 1991 la Germania ha introdotto una prima regolamentazione sul vuoto a rendere per arrivare a quella attuale, datata 2006. Su ogni contenitore di plastica e vetro è applicata una cauzione, riscuotibile alla riconsegna del vuoto, che va dagli 8 ai 50 centesimi. I supermercati, attrezzati con macchine automatizzate, accettano tutti i tipi di packaging restituendo la cauzione in moneta sonante. Tra le conseguenze, la nascita del fenomeno dei cosiddetti Pfandsammler, collezionisti di contenitori vuoti, persone, solitamente indigenti o pensionati, che girano la città con carrelli della spesa, bici e grossi borsoni raccogliendo le bottiglie abbandonate o lasciate appositamente accanto ai cestini.
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e non siete mai stati in Cilento è arrivato il momento: paesi abbarbicati sulle rocce o adagiati in riva al mare si alternano a colline ricoperte di ulivi e viti. È qui che potete risalire lungo il monte Cervati, la vetta più alta della Campania, o aggirarvi per la fertile Piana del Sele, le grotte di Pertosa e Castelcivita, visitare gli importanti siti archeologici di epoca greca di Paestum o Elea Velia o, ancora, ammirare il grande complesso monastico della Certosa di Padula. E queste sono solo alcune delle mete di cui potrete gioire una volta arrivati nella nostra regione. E che dire dello straordinario patrimonio enogastronomico che ci inorgoglisce? A cominciare dai numerosi Presìdi Slow Food: i fagioli di Controne, il cacioricotta del Cilento, l’oliva salella ammaccata del Cilento, le alici di menaica, i ceci di Cicerale, la soppressata di Gioi, il maracuoccio di Lentiscosa, il carciofo di Pertosa, la salsiccia e la soppressata del Vallo di Diano, i fagioli di Casalbuono. Inserite nel Parco nazionale del Cilento, patrimonio dell’Unesco, queste bellezze sono da scoprire con lentezza, soffermandosi su ognuna e incontrando le persone. Sappiamo che per dare un futuro a tutto questo e una speranza a chi lavora la terra e trasforma i suoi frutti occorre promuovere un approccio diverso dal turismo mordi fuggi, bisogna creare partecipazione. Per questo Slow Food Cilento ha promosso CiboLento un progetto complesso che prevede non solo degustazioni, momenti conviviali, dibattiti ma soprattutto laboratori per imparare a preparare pietanze locali e conoscere come nasce un prodotto ascoltando il racconto di chi lo fa.
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I protagonisti veri, quindi, sono e saranno i produttori, grazie ai quali abbiamo ancora la certezza di mangiare cibo sano, ma anche la consapevolezza che se loro non abbandoneranno la loro casa, il Cilento verrà difeso. Nato nel 2016 da una collaborazione tra Slow Food Cilento e una serie di operatori tra i quali Hotel Royal di Paestum, alcuni produttori e viticoltori, CiboLento crea una rete di relazioni importanti, incontrando i contadini, invitando i ristoratori ad appassionarsi alla storia di ogni ingrediente, trasformando il consumatore nel protagonista di un viaggio, naturalmente lento, in un paesaggio di testimonianze. Per maggiori informazioni e conoscere gli appuntamenti di CiboLento: www.slowfoodcilento.it
Dove Mangiare I locali che aderiscono all’Alleanza dei Cuochi e dei Pizzaioli, segnalati dalla guida Osterie d’Italia o inseriti nella rete dei locali amici si trovano su www.slowfoodcilento.it
Dove DorMire Royal Hotel Peastum Via Francesco Gregorio, 40 Capaccio (Sa) Tel. 0828.851525 La Frescura del Principe Via La Vecchia Agropoli (Sa) Tel. 339.8960208 La piazzetta di Carmela e Alì (osteria con camere) Piazza Canonico Iannuzzi Valle dell’Angelo (Sa) Tel. 0974.942008 Rifugio Rosalìa Monte Cervati Località Chianolle Piaggine (Sa) Tel. 339.2923021 - 340.7306064
Dove coMprare Ci.Bo Cilento Food Boutique Via Nicotera, 79 Acciaroli (Sa) Tel. 342.9880240 Sapori del Cilento Via Stazione 33/35 Rutino Scalo (Sa) Tel. 0974.830151 Gelateria Di Matteo P.zza Andrea Torre 13/15 S. Antuono a Torchiara (Sa) Tel. 0974 .831012
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Sconfinando sulla Buona strada L’ultimo disco di Giorgio Conte incontra Slow Food Italia
È
uscito da poco il nuovo disco di Giorgio Conte Sconfinando. Alcuni staranno pensando “come mai Slow ne scrive?” o “sarà un disco che parla di cibo, cambiamento climatico…?”. Niente di tutto questo. Ne parliamo prima di tutto perché è un bel disco, e a noi piace diffondere la bellezza.
Formaggio di latteria turnaria La tradizione delle latterie turnarie era un tempo diffusa nel Triveneto e si differenzia da quelle sociali in quanto non acquista il latte ma effettua un servizio di lavorazione per conto dei soci. Ogni allevatore ha un libretto dove si annota il latte conferito il quale viene lavorato giornalmente, insieme a quello di tutti gli altri soci. L’intero latte conferito viene trasformato per conto di un unico socio sulla base del credito di latte da lui accumulato nei confronti della latteria. Tutti i prodotti ottenuti quel giorno sono di proprietà di quel socio che può decidere se commercializzarli in proprio o venderli allo spaccio della latteria. Il sistema basato sul cooperativismo di comunità ha accusato un progressivo abbandono dal dopoguerra per poi subire, in Friuli, un definitivo colpo dopo il terremoto del 1976, quando la ricostruzione ha favorito gli allevamenti di grosse dimensioni e la concentrazione della lavorazione del latte in grandi centrali gestite da consorzi. Agli inizi degli anni Settanta in Friuli si contavano più di 650 latterie turnarie, mentre oggi si contano sulle dita di una mano. Se i volumi di latte lavorati calano eccessivamente, non è più economico mantenere in piedi la struttura di caseificazione e la latteria chiude. Il Presidio vuole preservare questo sistema valorizzandone il formaggio: il latteria. Si tratta di un formaggio a latte cru-
do ottenuto senza l’utilizzo di fermenti industriali, proveniente da piccoli allevamenti situati a poca distanza dalla latteria, dove la razza bovina più diffusa è la pezzata rossa. Gli animali vengono alimentati unicamente con erba e fieno, sono banditi fasciati e insilati di mais. Promuovere e valorizzare il formaggio latteria a partire dal prezzo di vendita può aiutare ad arginare la chiusura dell’antico sistema turnario che sta alla base del prodotto.
PROPOSTA Forme di peso dai 4 kg ai 5.5 kg prodotte da febbraio ad aprile 2016 prezzo: 17 €/kg. Porzioni di prodotto sottovuoto in pezzi da 300 gr, 500 gr, 1 kg e 2 kg prezzo: 19 €/kg. Iva compresa e spese di spedizione escluse, da calcolarsi di volta in volta.
PER ORDINI CONTATTARE: Latteria turnaria di Campolessi: tel. 331.1694015 latteriadicampolessi@gmail.com Ph Ulderica Dal Pozzo
Poi perché, grazie alla sensibilità di Giorgio Conte e della sua casa discografica Ala Bianca, parte del ricavato della vendita andrà a sostenere La buona strada, il nostro progetto dedicato alla ricostruzione delle aree del centro Italia colpite dal sisma del 2016. «Solidarietà vuol dire sentirsi un po’ meno soli». Un disco, quindi, che sconfina non solo nel titolo: «Me lo suggerì per caso Vincenzo Mollica. Ricevetti una sua telefonata proprio mentre stavo incrociando lo sguardo del doganiere svizzero al valico di Brogeda, vicino Chiasso. Vincenzo mi chiedeva dove mi trovassi. Gli risposi: “Sto sconfinando” E lui mi disse: “potrebbe essere il titolo del tuo prossimo album”. L’ho preso in parola. E, a ben vedere, si addice allo sconfinamento artistico che caratterizza il lavoro: non più la consueta formula piccolo organico strumentale, qui si passa alla formula sinfonica!». Una brillante copertina rossa disegnata da Ugo Nespolo caratterizza questo tredicesimo lavoro del cantautore astigiano che ci presenta 16 brani, 7 dei quali inediti, magistralmente accompagnati dai suoni eleganti dell’Orchestra Sinfonica Duchessa di Parma diretta da Alessandro Nidi: «Le circostanze della vita a volte ti prendono per mano e ti portano là dove pensavi di non arrivare mai: ho conosciuto per caso Alessandro a un concerto di Moni Ovadia. La sua direzione d’orchestra, i suoi arrangiamenti furono per me una rivelazione. Ci siamo rivisti e abbiamo messo in cantiere la realizzazione del progetto sinfonico». Un sogno che Giorgio forse coltivava da tempo, perché ascoltando alcune sue canzoni si percepiva subito come stessero strette nel consueto abito, pur elegante, dell’abituale accompagnamento musicale. Un sogno accarezzato per anni che diventa realtà: arrangiamenti che danno una veste nuova anche a brani classici del repertorio, come Deborah, Una giornata al mare o Gne Gne, in cui musica sinfonica, can can, bolero, si contendono lo spartito per far emergere la vera anima di Giorgio Conte. In questi brani eleganza e ariosità vanno a braccetto con lo swing: «È vero, mi rispecchia in tutto e per tutto, non trascura nessuna delle mie anime». La musica esalta i testi perché «le parole possono fare di tutto: commuovere, rincuorare, ferire, denunciare, colpire, sfiorarti, guardarti negli occhi o farteli abbassare e contano, oh se contano, a volte ancor più della musica». Questo Sconfinando musicale, più che di stile e contenuti, che rimangono quelli tipici di Giorgio Conte, è un itinerario in note che anche dal vivo saprà emozionare e coinvolgere ogni spettatore, come sempre. Un percorso che parte dal ’68 con Deborah per arrivare ad Antoine (le due canzoni sono strettamente collegate) e Stringimi forte, che conferma la grande attualità di Giorgio Conte, la sua capacità di leggere con ironia ciò che lo circonda, di trasformare in grande canzone «a sfondo amoroso-esistenziale» un aneddoto o un racconto. E infine Giorgio Conte rivolge un pensiero all’associazione: «Avanti così, lento piede ma non troppo... con passo di montagna, per realizzare tutte le finalità che il glorioso Slow Food, con caparbio spirito di servizio, vorrà ancora prefiggersi». Grazie Giorgio.