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STREET ART. SE NE PARLA

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GENIO ECLETTICO

GENIO ECLETTICO

SPECIAL STREET ART. SE NE PARLA

Loredana Barillaro

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L’arte ha sempre avuto una funzione cruciale nella definizione dello spazio, sia che fosse una grotta da sacralizzare attraverso immagini graffite di mani o animali, oppure il paesaggio indefinito, punteggiato da dolmen e menhir, primordiali segni utili ad orientarsi e a definire lo spazio illimitato. Con la fondazione delle città l’arte diventa parte integrante della progettazione di edifici pubblici e privati, di luoghi condivisi come piazze o porticati, connotando la funzione delle architetture civili, militari, produttive, istituzionali e religiose. Interventi ispirati ad una concezione sempre più estetica dello spazio, in cui l’opera è considerata come concretizzazione del più alto ingegno umano, strumento privilegiato per “comunicare” messaggi (religiosi, politici, sociali), ma anche emozioni e sentimenti. È evidente quanto i processi di rigenerazione urbana siano oggi al centro delle iniziative politiche più all’avanguardia, rivolte allo sviluppo sostenibile delle città e l’arte urbana sembra essere uno degli strumenti a cui ci si rivolge con più interesse. Ripercorrendo la storia della pittura parietale, dall’antichità fino al Muralismo messicano e ai suoi echi europei, ci sono molti elementi condivisi con gli esempi migliori della street art, che preferirei definire pittura murale. Un potente strumento di diffusione e promozione dell’arte contemporanea che, grazie al suo linguaggio immediato, riesce a comunicare in maniera trasversale, raggiungendo in maniera diretta pubblici diversi ed eterogenei. Come qualsiasi intervento artistico rivolto allo spazio pubblico, tali azioni devono necessariamente basarsi sul dialogo tra autori, cittadini, istituzioni, committenti pubblici e privati, per diventare bene culturale condiviso e identitario. Questa imprescindibile funzione di mediazione è stato il ruolo della Fondazione Pastificio Cerere dalla mia nomina a Direttore Artistico. Attraverso un’articolata proposta di incontri, mostre, residenze per giovani artisti e curatori, progetti di arte pubblica e programmi educativi innovativi, abbiamo creato percorsi formativi attraverso l’interazione dei linguaggi artistici contemporanei e la sperimentazione di nuove modalità di partecipazione, coinvolgendo pubblici eterogenei in costante dialogo con enti pubblici, privati e istituzioni culturali di ogni parte del mondo. Nel 2019 abbiamo realizzato un murale a San Lorenzo, su commissione di una società immobiliare, coinvolgendo cittadini, municipio e sovrintendenza. Volevamo che l’intervento dialogasse con il contesto urbano, la sua identità e la memoria storica. È nato così Patrimonio indigeno, di Lucamaleonte, una mappa concettuale del quartiere, un ritratto che ne offre una preziosa chiave di lettura. In risposta alla chiamata della Regione Lazio e ATER, a cui i cittadini del Tufello avevano chiesto di celebrare la memoria del grande Gigi Proietti, abbiamo realizzato il suo ritratto sulla facciata dell’abitazione in cui l’attore ha trascorso l’infanzia. In altri casi, l’intervento è nato da un processo partecipativo, come Dare la parola - il filo del discorso (2020), risultato di un laboratorio di poesia e scrittura creativa di Ivan Tresoldi per un gruppo di studenti del Piaget-Diaz di Roma nell’ambito del nostro progetto Collezione di Classe. Quali vincitori del bando indetto da ATER Roma, in occasione del Centenario del Quartiere Garbatella, stiamo realizzando il murale La Costituzione più bella del mondo, progettato da Marimo | brandlife designers, inoltre il 2021 ci vedrà impegnati in un grande progetto di rigenerazione urbana con il Comune di Pomezia affidato agli artisti Agostino Iacurci e Ivan Tresoldi.

Marcello Smarrelli

Quanta Street Art c’è in giro? Persa per sempre la sua indole clandestina diviene oggi parte integrante dell’arredo urbano di molte delle nostre città. Luogo, ideale e fisico, in cui spesso dimensione privata e intervento pubblico divengono una cosa sola, operando in convergenza, in una, talora, moderna forma di celebrazione, così come avveniva nei secoli passati con gli affreschi. Ufficializzata al punto da essere usata da tutti, rischia, nondimeno, di divenire strumento di “distruzione degli equilibri urbani”.

MARCELLO SMARRELLI

Marcello Smarrelli è Direttore Artistico della Fondazione Pastificio Cerere di Roma.

Dall’alto: Lucamaleonte, PATRIMONIO INDIGENO, 2018. San Lorenzo (Roma). Foto © SIMPLESTORI di Andrea De Giuli. Courtesy Fondazione Pastificio Cerere. Un ritratto di Marcello Smarrelli. Courtesy Marcello Smarrelli.

Capita infatti sempre più spesso di imbattersi in interventi “spontanei” all’interno dei centri storici delle nostre città, talvolta “da recuperare” e per questo oggetto di restyling mediante murales di varia fattura, autorizzati da politiche amministrative talvolta prive di mezzi per poter comprenderne il danno o il beneficio. E allora, qual è il rischio che si corre? Esiste una qualche legislazione che ne regoli l’azione? È lecito far rientrare quasi tutto ciò che c’è in giro sotto l’egida della Street Art? Inoltre, come cambiano i circuiti turistici delle città, che forma assumono i nuovi itinerari che si affiancano, così, ai più classici?

VALERIA ARETUSI

Valeria Aretusi è Architetto e cofondatrice di Uovo alla Pop Galleria di Livorno.

Dall’alto: Un ritratto di Valeria Aretusi. Foto © Erwin Benfatto. Murale Ligama FIORI DI GLICINE, LE LEGGI LIVORNINE, ottobre 2020. Livorno, scali delle Pietre. Foto © Pier Corradin. Per entrambe courtesy Uovo alla Pop Galleria. Non parlerei di distruzione degli equilibri ma piuttosto di arte che serve o non serve e nel secondo caso, in cui non ha valore e significato, non è pericolosa ma inutile. La street art si muove sempre in luoghi specifici, marginali, lontani da luoghi vincolati, non è un fenomeno pericoloso per il decoro urbano, certo è che possono esistere casi che commettono errori ma non può essere fatta di tutta un’erba un fascio. Il fenomeno della street art sta scomparendo, pochi sono gli artisti rimasti clandestini e il vero, puro spontaneo fenomeno è rimasto in rari casi, che si aggiungono alla microincursione con poster-art, graffitismo e tag. Spesso si confonde la street art con l’arte urbana, quest’ultima commissionata e accompagnata da permessi e pratiche legali. Per quanto riguarda l’arte urbana i rischi a mio avviso sono questi: cadere nel mero decorativismo, la mancanza di significato-concetto dell’opera, la realizzazione dell’opera che segue la logica del consenso, mancanza di una logica urbana, del rispetto del contesto e dell’inclusione sociale. Inoltre il fatto che in alcuni casi vengano realizzati murales senza particolare cognizione di causa credo sia indipendente dal fatto di crossare un’azione spontanea non autorizzata, anzi di solito capita più che venga pulito il muro anziché coperto da un murale autorizzato. Non esiste per ora una legge assoluta che regoli questa attività. Ora si utilizzano ancora vecchi strumenti dal diritto pubblico, d’autore, codice civile, penale e amministrativo (soprattutto Codice Urbani) ma servirebbe una regolamentazione autonoma sull’arte urbana, che studiasse e tenesse in considerazione le caratteristiche del fenomeno. Segnalo la buona pratica della proposta di legge avanzata dalla Vicepresidente della Commissione Cultura della Regione Lazio, Marta Leonori, legge che prevede che i comuni redigano ogni anno un elenco dei beni e degli spazi disponibili nel loro territorio, da destinare a interventi di street art; potranno anche individuare nuovi “muri liberi” per proporre nuove iniziative. I circuiti turistici nelle città cambiano notevolmente grazie all’arte urbana, se si pensa al fatto che spesso i luoghi scelti sono difficili, periferici e non battuti dal turismo, i percorsi turistici possono quindi attraversare realtà differenti e parallele agli itinerari storici delle città. Questo tipo di arte che ha un messaggio e una integrazione nel tessuto sociale e urbano aumenta l’attrattività urbana ed è un valore aggiunto. Per questo noi della galleria ci occupiamo di progetti di valorizzazione con l’arte urbana con qualità e apporto concettuale, non dimenticando l’inclusione sociale e l’accompagnamento alla fruibilità di questi percorsi con tour organizzati per grandi e bambini. Noi siamo molto felici del lavoro che svolgiamo nel territorio e quest’anno vantiamo anche una grande opera firmata Ligama su un palazzo della Provincia di Livorno, vincolato dalla Soprintendenza delle Belle Arti e lasciato in abbandono in stato di crollo dell’intonaco. Il nostro progetto di arte urbana è stato accettato grazie al suo valore migliorativo sia del tessuto urbano, che del palazzo e anche per il suo valore artistico in memoria di uno spaccato di storia di Livorno delle leggi livornine. Il nulla osta della Soprintendenza per l’opera urbana su immobile vincolato è stato il primo in Toscana.

Valeria Aretusi

SPECIAL

Patrizia Asproni PEOPLE ART

“Proprio come la pandemia sta mettendo a nudo le disuguaglianze globali e nazionali, i musei devono riconoscere che essi stessi sono inseriti in un tessuto sociale che si sta rivelando dolorosamente sfilacciato.”

Mi occupo da tanti anni di organizzazioni e istituzioni culturali e gestisco da sempre la complessità che questo implica. Certo, mai avrei pensato che ci saremmo trovati a fronteggiare una crisi come quella che stiamo vivendo. Un doppio schock: quello della pandemia e quello della pervasività del digitale. Il mio intervento vuole quindi essere un momento di riflessione piuttosto che di elencazione e vanto delle cose passate. Per questo credo si debba oggi parlare di “presentificazione del futuro”, discussione sfidante quanto necessaria. Quando Milton Friedman, uno degli economisti liberisti più estremi, scriveva “Soltanto una crisi, reale o percepita, produce un vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica le azioni intraprese dipendono dalle idee che circolano” aveva ragione. Per chi si occupa di Cultura, di Musei, questa è un’opportunità per andare più in profondità piuttosto che ridursi a uno status quo ante in cui si trasferisce on line ciò che era on site. Proprio come la pandemia sta mettendo a nudo le disuguaglianze globali e nazionali, i musei devono riconoscere che essi stessi sono inseriti in un tessuto sociale che si sta rivelando dolorosamente sfilacciato. Mentre anticipiamo gli effetti sociali e istituzionali del nuovo coronavirus, sembra che valga la pena chiedersi se il “modello di business” che è stato finora inseguito e applicato - il gigantismo di musei e le espansioni di archistar, le mostre blockbusters e il divismo dei direttori - sia ancora sostenibile dal punto di vista finanziario e ambientale. E tenere tutto questo in equilibrio sarà una sfida straordinaria. La mia esperienza come manager attenta alla gestione e al profitto da una parte, e come presidente di musei e fondazioni culturali dall’altra, mi porta dunque a considerare l’attuale ”stato di eccezione” non solo come un vincolo (cosa che ovviamente è), ma come un momento per sperimentare, per sostenere opportunità di ripensamento radicale, per connettere, sostenere e, cosa più importante, diversificare il pubblico, aprire più liberamente collezioni e archivi, renderli davvero accessibili a una gamma completa di cittadini (e non cittadini), in forma non più solo analogica ma digitale democratica, in cui l’internet delle cose interagisce positivamente con le cose fuori da internet, in un nuovo modello di racconto dell’arte e della cultura. Se dovessimo sintetizzarlo in uno slogan, potremmo dire che si tratta di ripensare il paradigma, con l’obiettivo precipuo di ricongiungere in una narrativa culturalmente funzionale passato, presente e futuro. Soprattutto dal punto di vista della connessione tra generazioni. Per questo motivo al Museo Marino Marini Firenze, in cui ricopro la carica di Presidente, al fine di perseguire la missione e il posizionamento del museo come luogo di elaborazione culturale continua e stimolante, laboratorio di sperimentazione in cui è stata abolita la segregazione disciplinare in favore di un dialogo continuo e aperto tra universi di conoscenza, a partire dal 2019 ho creato il ruolo - inedito - del Visiting Director. Come infatti le università più prestigiose si dotano di personalità di alto profilo in possesso di un significativo curriculum scientifico e professionale per favorire l’internazionalizzazione e lo sviluppo culturale, così al Marino Marini, ogni anno il direttore di un museo o di una prestigiosa istituzione culturale viene invitato a creare il programma scientifico/ artistico per il Museo, con il fine di accrescere e potenziare la dimensione internazionale attraverso la promozione di scambi di esperienze. Ad inaugurare il nuovo corso è stato Dimitri Ozerkov, Direttore del Dipartimento di Arte Contemporanea del Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo e del progetto “Ermitage 20/21”, che ha interpretato la realtà e l’essenza del luogo singolare che ospita il museo, proponendo un progetto composito e multiplo rappresentato da un “filo rosso” ideale e fisico. Con “ACCENTS, ACCENTI, АКЦЕНТЫ” Dimitri Ozerkov ha inteso creare un ponte con la nouvelle vague artistica russa coinvolgendo 3 giovani e affermati artisti - Irina Drozd, Andrey Kuzkin e Ivan Plusch - che hanno lavorato in residenza nel museo per produrre opere site specific in dialogo con l’intensità e la forza magnetica dei lavori di Marino Marini. La Visiting Director del 2020 è invece Fatma Naït Yghil, Direttrice del Museo Nazionale del Bardo di Tunisi, che ha portato la sua esperienza di donna musulmana a capo del più importante museo della Tunisia. Purtroppo a causa delle restrizioni COVID, Fatma Naït Yghil ha dovuto slittare e modificare il suo programma: è stato organizzato il webinar “Art Gap. Museums and the gender equality global trend” con ospiti da tutto il mondo e un prossimo appuntamento è previsto per gennaio 2021. L’altro progetto che descrive perfettamente la visione del Museo Marini è il Playable Museum Award, un grant da 10 mila euro per idee che immaginino il museo del futuro. Con questo award il museo è diventato un vero e proprio hub di innovazione e sperimentazione, un museo laboratorio di futuro in cui pensare e creare prototipi e idee da poter declinare anche in altri musei. Nelle due edizioni dell’award abbiamo ricevuto oltre 500 progetti, un data-base straordinario di creatività e audacia, immaginazione e tecnologia con cui stiamo creando una piattaforma che metteremo a disposizione di tutti i musei. Una sorta di Tinder culturale su cui si incontrano musei e idee visionarie. I vincitori delle due edizioni sono un giovane ingegnere indiano, Arvind Sanjeev e una giovane PHD napoletana, Greta Attademo, a testimonianza della dimensione ormai globale del museo.

Patrizia Asproni è Presidente del Museo Marino Marini Firenze e Presidente della Fondazione Industria e Cultura.

A destra: Un ritratto di Patrizia Asproni. Courtesy Patrizia Asproni.

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