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ARTE, SGUARDI E SOTTR’AZIONE Sara Piccinini
from SMALL ZINE
by SMALL ZINE
Sara Piccinini PEOPLE ART
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Scrive Ludwig Wittgenstein: “In arte è difficile dire qualcosa che sia altrettanto buono del non dire niente”. Questo pensiero, questo sentire, sono parte naturale del mio approccio alle arti, della speciale relazione che scatta, prende forma e si deposita quando entro in contatto con questo tipo di dispositivo - e che può annidarsi quasi ovunque, sulla parete di una galleria, nella piazza di una città, nelle pieghe di una roccia. Gli interrogativi, gli scarti dello sguardo, i cortocircuiti, le corrispondenze, gli svelamenti appartengono a ognuno di noi e assumono forme diverse nel momento in cui non si impone una lettura univoca, corretta, definitiva. Quando ho iniziato a lavorare alla Collezione Maramotti nel 2007 ero incuriosita dalla particolare modalità di visita che si stava mettendo a punto per la sezione permanente: gratuita ma su prenotazione, accompagnata ma non guidata, per un numero ridotto di visitatori per volta e con una durata media di oltre due ore. Tutto piuttosto distante da quello che avevo conosciuto fino a quel momento e concepito in funzione di un desiderio di condivisione e fruizione della raccolta con caratteristiche molto precise. La motivazione, da parte degli ospiti, a programmare una visita, a raggiungere appositamente un luogo fuori dal centro storico di Reggio Emilia, a prendersi il proprio tempo - un mutuo impegno, nostro e dei visitatori, a dare forma a un appuntamento non casuale né fuggevole. La disponibilità ad essere accompagnati da persone che offrono sintetiche informazioni sulla storia della collezione e che cercano di adattare modi e dialoghi sul percorso interpretando i diversi interessi e tensioni di chi hanno di fronte, lasciando ampio spazio al rapporto intimo e personale con le opere. Per chi conduce le visite si trattava, e ancora oggi si tratta, in fondo, quasi di una performance. Alcuni visitatori hanno faticato a comprendere perché non venissero rilasciati copiosi e rassicuranti flussi di informazioni verticali, generose spiegazioni storicocritiche di quello che avevano davanti, ma la maggior parte di loro ha apprezzato questa insolita esperienza di relazione con gli spazi e le opere, la possibilità di restare in silenziosa contemplazione, la libertà di chiedere qualcosa di più su uno specifico artista o di condividere riflessioni personali. Nella prima sala dell’esposizione permanente ad accogliere gli ospiti si trova una frase di Walter Benjamin sul collezionare (insieme alle didascalie minimali delle opere, che rappresentano l’unica forma di testo esposto lungo il percorso): “Il motivo più profondo del collezionista può essere forse così circoscritto: egli intraprende una lotta contro la dispersione. Il grande collezionista originariamente è colpito dalla confusione, dalla frammentarietà in cui versano le cose di questo mondo (…) Il collezionista riunisce ciò che è affine, in tal modo può riuscirgli di dare ammaestramenti sulle cose in virtù della loro affinità o della loro successione nel tempo”. Penso che in parte questo concetto si possa declinare anche rispetto al legame esclusivo - emotivo, intellettuale, spirituale - che ogni individuo intreccia con le opere d’arte. Ognuno, a suo proprio modo, tende a riunire ciò che è affine, a creare connessioni per limitare la dispersione di immagini, di pensieri e di suggestioni. Nel 2019 siamo entrati in contatto diretto con il caleidoscopico universo di Carlo Mollino, architetto, designer, fotografo, personalità massimamente multiforme e inafferrabile del secolo scorso. Enoc Perez, pittore contemporaneo da sempre interessato alle architetture come ritratti e incarnazioni delle utopie, anche di chi le aveva concepite, rivolge per la prima volta il suo sguardo all’interno e dipinge uno scorcio del salotto della casa di Mollino in via Napione a Torino. Il quadro entra nella nostra Collezione e nasce l’idea di sviluppare una mostra che nel 2020 diventerà “Mollino/Insides” (in corso fino al 4 luglio 2021), con un corpus di nuove opere pittoriche di Perez e fotografie di Mollino e di Brigitte Schindler, di cui intercettiamo il lavoro grazie a Fulvio Ferrari (Direttore del Museo Casa Mollino), in cui affiorano gli enigmi racchiusi nella Casa. Anche Mollino, che pare non abbia mai considerato se stesso come un artista e che ha firmato pochissime delle innumerevoli fotografie che ha scattato lungo tutto il corso della sua vita, è stato un collezionista. Una delle sue raccolte più conosciute è quella da cui originano le settanta immagini esposte nei nostri spazi: una miriade di corpi femminili che la fotografia proietta in una realtà altra. Ogni dettaglio di queste fotografie è infatti minuziosamente concepito per consegnare le modelle molliniane a una dimensione di esaltazione estetica e di costruzione di un’immagine ideale del femminile. Uno studio, una riflessione filosofica, un’esplorazione della bellezza della natura per indagare, qui e ora, il senso profondo dell’esistenza passata, presente e futura. Un mistero, quello di Mollino, da attraversare per corrispondenze sottili e sempre con la ragionevole consapevolezza di non poterlo davvero afferrare, né descrivere. Durante il lavoro su questo progetto una frase di Mollino è apparsa ai miei occhi, con la sintesi di uno statement e la piccola vertigine di una mise en abyme, a riallacciarsi in modo circolare al pensiero da cui sono partita: “La migliore spiegazione dell’opera d’arte è la sua silenziosa ostensione”.
Sara Piccinini è Direttrice della Collezione Maramotti di Reggio Emilia.
A destra: Un ritratto di Sara Piccinini. Foto © Chiara Cottafavi. Courtesy Sara Piccinini.