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Editoriale

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Intermark Sistemi

Intermark Sistemi

Se efficienza fa rima con resilienza

di Luca Baldin

La luce in fondo al tunnel è vivida, talmente forte da far sbilanciare un uomo prudente che notoriamente misura le parole come il Presidente Mario Draghi che, in vista del G20 di fine ottobre, ha dichiarato che “grazie ai vaccini la fine della pandemia è in vista”. Questo numero di Smart Building Italia esce in concomitanza con le giornate di Smart Buiding Expo, un altro segnale di una normalità faticosamente riconquistata, un rivedersi colto da molti con enorme sollievo, prova evidente di un mondo che ha ripreso a marciare a passo spedito, come avevano anticipato tutti gli economisti che, da mesi, ripetevano che, dopo la campagna vaccinale, la domanda di beni e servizi sarebbe letteralmente esplosa.

Ed è ciò che si è puntualmente verificato, con una forza che ha superato le stesse aspettative del Governo e degli istituti internazionali, almeno per il nostro Paese, in cui si è assistito ad un susseguirsi di correzioni al rialzo della curva del Prodotto Interno Lordo, sia per il 2021 che, in prospettiva, per i prossimi anni, grazie all’effetto booster del recovery fund e del PNRR. Tutto bene, quindi? No, non proprio; non tutto è andato bene, come si urlava dai balconi a febbraio di un anno fa, non solo per le centinaia di migliaia di morti che ci lasciamo alle spalle, ma anche perché il forzato “stop and go” del sistema a livello mondiale ne ha evidenziato l’enorme fragilità. Abbiamo scoperto, improvvisamente, che la globalizzazione comporta rischi enormi per le singole comunità e ciò è avvenuto nel momento stesso in cui disperatamente cercavamo nelle farmacie mascherine e guanti di lattice che non si trovavano. Già a metà del 2020 serpeggiava la voce di una carenza di materie prime, di semilavorati e, in particolare per il settore dell’elettronica, di semiconduttori, a causa di una “anomala” crescita della domanda (in realtà ampiamente prevista dagli economisti, ma a cui nessuno ha prestato orecchio), che nel marzo di quest’anno si è aggravata a causa di un incendio ad un’industria produttrice di Taiwan. La tempesta perfetta, verrebbe da dire, visto che durante il 2020 alcuni dei principali porti cinesi sono rimasti chiusi a causa dei lockdown pandemici e che, ciliegina sulla torta, la Ever Given, nave cargo di oltre 400 metri di lunghezza, si è incagliata a marzo, a causa di una tempesta di sabbia, nel bel mezzo del Canale di Suez, da dove passa il 17% del traffico merci internazionale, creando un ingorgo che ha bloccato in rada per settimane oltre 500 navi, costringendo molte altre a circumnavigare l’Africa.

Una tempesta che ha messo in ginocchio il sistema della logistica internazionale con conseguenze spaventose, come la riduzione del 40% della produzione di auto di un gigante come Toyota, ma anche l’aumento esponenziale del costo delle materie prime, non solo i carburanti, ma anche i laminati metallici; mentre inquieta ancor più la previsione del British Medical Journal di difficoltà nell’approvvigionamento di medicinali essenziali. La risposta alla domanda del perché tutto ciò si sia verificato sta nella scarsa o nulla consapevolezza della complessità della filiera che si deve attivare nel momento in cui un cittadino fa un acquisto on line, o un negoziante ordina merci da mettere sugli scaffali, oppure ancora un’azienda ordina i componenti che gli servono per fabbricare i propri prodotti. Una complessità fatta di migliaia di miglia nautiche, di porti e aeroporti, di centri di logistica e di migliaia di chilometri di strade e autostrade, che è emersa in tutta la sua evidenza con la pandemia, rendendo chiaro che i modelli produttivi votati alla sola efficienza, ottenuta grazie ai principi del “just in time”, ovvero della produzione solo in presenza di domanda, con conseguente riduzione ai minimi

Luca Baldin

Direttore Responsabile Smart Building Italia Magazine

termini dello stoccaggio, può essere una buona pratica manageriale per la singola impresa ma, nel momento in cui viene adottata da tutto il sistema produttivo, costituisce un rischio enorme. Così come la delocalizzazione delle produzioni strategiche in base al solo costo della manodopera rende fragile tutto il sistema, che, come sta accadendo, non è in grado di reagire proattivamente agli imprevisti. E’ per questo - come ha evidenziato acutamente Gillian Tett sul Financial Times - che le società di consulenza aziendale hanno cominciato ad introdurre nei loro training oltre ai principi di efficienza aziendale anche quello di “resilienza”, con l’esito di indurre molte aziende e pubbliche amministrazioni a ripensare le loro reti di approvvigionamento e di distribuzione e introducendo la filosofia del “just in case”, ovvero la pianificazione delle scorte necessarie a garantire la continuità aziendale in caso di shock improvviso di natura esogena. Forse (tutti ce lo auguriamo) la pandemia nei suoi aspetti più acuti è alle spalle, ma certamente la sfida di un cambio di mentalità che ha introdotto nei sistemi produttivi, produrrà effetti di lungo termine. ■

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