Smellavolario - Dizionario pindarico del profumo

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mellavolario DIZIONARIO PINDARICO DEL PROFUMO dall’Ars amandi allo Zen

Smell

FESTIVAL DELL’OLFATTO


Smell

FESTIVAL DELL’OLFATTO

© 2014 ORABLU / Associazione Culturale / Bologna Stampato per la prima volta nel maggio 2014 - 2a ristampa luglio 2016 La riproduzione parziale dell’opera è consentita solo a uso personale dei lettori e a scopo non commerciale previa richiesta di permesso all’Associazione www.smellfestival.it •


Smellavolario DIZIONARIO PINDARICO DEL PROFUMO

A cura di

Francesca Faruolo

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Illustrazione copertina: Georges Bousquet Fotografie: Giuseppe Caruso



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uesto piccolo dizionario degli odori e del profumo offre una testimonianza dei primi cinque anni di vita di Smell Festival dell'Olfatto. Non è certo esaustivo dei numerosi contributi che la rassegna ha ospitato a partire dalla sua prima edizione del 2010, ma ne rispecchia lo spirito, suggerendo una varietà di temi e di approcci, facendo sentire diverse anime e voci, incuriosendo insomma i lettori verso lo scibile e l'esperibile a cui l'olfatto, senso tanto trascurato, può condurci nel momento in cui iniziamo a prestargli attenzione. Questo esordio su carta stampata aspira perciò ad avere la grazia e la leggerezza del volo. Un volo pindarico, per l’esattezza, che ci farà saltare agilmente da un tema all'altro, dal passato al presente, dal teorico al pratico, snocciolando un fantasioso abecedario di argomenti. Lo Smellavolario è cucito a mano lettera per lettera e nutrito con il contributo di tante persone che studiano, ricercano e lavorano con la materia odorosa. Grazie a molti di loro, Smell Festival ha potuto in questi anni esistere e crescere, percorrendo una strada che in Italia, ma forse anche all’estero, iniziava appena a essere aperta. Una strada che pone la sensorialità dell’olfatto al centro di una riflessione culturale e sociale. Un tragitto che, per quanto possibile, vorrebbe liberare l’arte del profumo dalla fumosa segretezza che ancora avvolge i suoi metodi e processi di produzione. Un percorso che si propone di restituire a tutti, anche ai bambini, il potere di giocare e creare con gli odori. Questa traiettoria lastricata di passione, spirito amatoriale e gusto per la sperimentazione conduce per forza di cose a capire più a fondo e ad apprezzare gli esiti raggiunti dai Maestri. Credo che il merito del Festival dell’Olfatto sia soprattutto quello di accendere la sensibilità delle persone, di ispirarle grazie a contenuti affascinati ed esperienze sensoriali immersive. Più in generale, la rassegna contribuisce a portare istanze legate al mondo del profumo fuori da un ambito strettamente specialistico promuovendo lo ricerca e la creatività grazie all’incontro interdisciplinare. L’interesse ricevuto dalle istituzioni, a partire dall'Assessorato alla Cultura della Regione Emilia Romagna, fino all'Istituzione Bologna Musei e al Corso di Laurea Magistrale in Moda dell'Università di Bologna, ci ha consentito in questi anni di creare incursioni tra profumi, musica, arte visiva, moda e persino storia e archeologia. Sono particolarmente grata al Museo della Musica di Bologna, al MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna e al Museo Archeologico di Bologna per la collaborazione che ha permesso al Festival di esprimere molte delle sue potenzialità. Non meno importante è stato ed è tutt’ora l’apporto degli sponsor privati protagonisti di un proficuo incontro tra impresa e cultura. Nel 2009, quando la rassegna era ancora in gestazione, immaginavo che questo progetto innovativo si sarebbe sviluppato a pieno nell’arco di cinque anni. Adesso, allo scoccare della quinta edizione, sento che il Festival non ha esaurito la propria missione. Il suo apporto e il suo indirizzo continuano a essere unici e preziosi in seno a un generale risveglio di interesse per l‘olfatto che forse un po’ abbiamo contribuito a generare. E allora, che lo Smellavolario sia per voi e per me una sosta, un piccolo punto d’arrivo e, insieme, un tappeto volante nato dall’intreccio di tante storie, con cui dare inizio a un nuovo viaggio. Maggio 2014

Francesca Faruolo



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rs amandi FRANCESCA FARUOLO

Ideatrice e direttrice artistica di Smell-Festival dell’Olfatto, curatrice di Smell-Atelier di Arti Olfattive e Smell Magazine, promuove attività di studio, condivisione e sperimentazione dedicate alla cultura dell’olfatto e all’estetica del profumo.

Da sempre imparentato con tutto ciò che non è apertamente manifesto, e così effimero da assumere parvenza di spirito, quello dei profumi si candida molto presto a diventare un linguaggio del cuore. Se essenze e sostanze aromatiche sono un privilegio per pochi, i fiori a disposizione nei giardini o in aperta campagna sono la fonte più immediata di piaceri olfattivi e, a chi li sa intendere, confessano i propri sentimenti. Usando piante e i fiori come specchio dell'anima, uomini e donne iniziano a ricamare un linguaggio silenzioso, che fino ad epoche non troppo remote permetteva di esprimere pensieri ed emozioni umane in modo aggraziato e senza necessità di «sporcarsi le dita d'inchiostro» (Charlottede Latour, Il linguaggio dei fiori, Firenze, Leo S.Olschki, 2011). Dall'inizio del Settecento, donne e uomini imparano e mettono in pratica la grammatica dei fiori, contornandola di suggestioni ispirate ai cicli stagionali. La timida violetta annuncia la primavera e con essa i suoi amori, voluttuosi se contornati di rose o puri come il verginale candore dei gigli, a volte non corrisposti come ricorda il malinconico nnarciso. L'estate conduce poi all'inverno e a quel particolare stato d'animo che assume l'aspetto e l'odore delle foglie morte. Esse «coprono il sole di una veste vacillante» lasciandoci solo il ricordo dei primaverili amori. Nel 1835 Pietro Bortolotti profumiere e aromatario, inventore dell'Acqua di Felsina, diede alle stampe un libello intitolato Modi di farsi intendere senza esprimersi. La profumeria divenuta il telegrafo del cuore umano. Dalla simbologia del fiore alla simbologia delle essenze, l'arte del profumo si presta a dare espressione sensibile alla natura insostanziale dei sentimenti, e a guidare l'animo umano verso le più nobili virtù. Rivolgendosi in particolar modo alla «bolognese gioventù», Bortolotti elenca alcuni effetti benefici degli aromi come quello del tornasole che, dilettando con il suo odore, invita alla cortesia, o del giacinto

rosa che suscita un sentimento di tenerezza, o ancora della ruchetta odorosa che fa risovvenire al giovinetto uno dei pregi più belli del cuore umano: la sincerità. Un'aromaterapia del cuore e delle emozioni umane, che ha il suo fondamento in una conoscenza così profonda della natura da assumere contorni persino spirituali. Dando un eco religioso alla retorica talvolta assai frivola dei fiori parlanti, Mirra Alfassa (1878 - 1973), mistica francese nota con il nome di Mère, svolse nel corso della sua esistenza una meditazione che la portò a comprendere il significato spirituale di circa 800 tipi diversi di fiori legandoli a diverse sfumature dell’amore e della devozione verso il divino. Per compilare questo nuovo lessico floreale, Mère si basò sulle sensazioni profonde che le venivano ispirate da ciascuno fiore preso nella sua interezza fatta di colore, forma e fragranza. Quando le chiesero se riteneva ci fosse una relazione specifica tra profumo e significato del fiore, rispose che certamente doveva esserci, benché lei non lo avesse ancora esplorato a fondo. Ogni profumo racchiude il desiderio di prolungare l'essenza del fiore oltre il suo decadimento stagionale, celebrando una perpetua primavera, il prolungamento dell'estasi amorosa e quindi della vita. Ogni profumo ha perciò una doppia vocazione, divina e terrena. Nel suo uso “verticale”, come lo definisce Marcel Detienne (I giardini di Adone, Milano, Cortina 2009), è un indispensabile mezzo per celebrare riti religiosi divenendo un linguaggio di comunicazione dal basso all'alto, dall'umano al divino, dal finito all’infinito, dal mortale all’eterno. Nel suo utilizzo “orizzontale” il profumo diventa invece un alleato dei sentimenti e del gioco della seduzione, il suo impiego permette di creare legami grazie alla capacità degli aromi «di unire gli esseri normalmente separati, di congiungerli con la forza del loro profumo». Un’ars amandi terrena che rispecchia l'invisibile corteggiamento degli atomi del nostro universo, da cui hanno origine inattese connessioni, innumerevoli molecole, infiniti odori.


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ambini CLARA CAVINATO

Educatrice per l’infanzia specializzata sul tema dell’olfatto nella formazione dei più piccoli con una tesi di laurea conseguita alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Milano Bicocca. Ha svolto laboratori olfattivi con le scuole e durante Smell Festival.

Durante il periodo della prima infanzia i bambini sperimentano, conoscono il proprio corpo e la realtà esterna attraverso l’uso integrato dei sensi. Secondo Vittorio Bizzozero (L’Univers des odeurs, 1997) la prima percezione che il neonato ha del suo mondo è sotto forma di odori, quelli della culla, della camera, del suo corpo e della madre. Poco per volta egli sposterà il centro delle sue attenzioni dal seno materno agli oggetti che lo circondano portandoli al naso e alla bocca: questa azione dà inizio all’esplorazione dell’ambiente circostante. Solo in seguito subentrerà anche l'uso della vista e dell'udito. La credenza comune per cui l’olfatto sia uno dei sensi meno sviluppati non è in realtà vera. La sua precocità ontogenetica, ovvero nello sviluppo biologico dell’individuo, si fa risalire al periodo tra l’ottava e l’undicesima settimana di gestazione e questa sensibilità olfattiva diventa la chiave della comunicazione intrauterina del feto con la madre e il mondo esterno. Recenti studi (per approfondimenti cfr Cavalieri, Il naso intelligente, Laterza, Bari 2009, e Righetti, Elementi di Psicologia Prenatale, Magi 2003) dimostrano come il feto modifichi i suoi comportamenti al variare degli stimoli sensoriali, dando prova della capacità di discriminare, memorizzare e riconoscere. Queste abilità presenti già nella vita intrauterina, permettono al feto di sviluppare una primitiva rappresentazione della realtà e di costruire significati preverbali. Nelle scuole spesso il tema della sensorialità diventa una delle tante “cose da fare” inserite nei progetti di sezione o di classe, traducendosi in un elenco di attività banali sui cinque sensi, dove l’olfatto è sfiorato in modo marginale perché ritenuto poco interessante o forse semplicemente perché non si sa bene come affrontarlo. In realtà, se l’adulto si documenta e soprattutto prova a prestare attenzione al proprio naso, non è difficile proporre ai bambini esperienze significative.

Innanzitutto bisogna fornire un contesto non statico dal punto di vista sensoriale, ma che muta con il passare del tempo, muta e si tinge di nuovi elementi che invitano i bambini all’esplorazione. Questo perché dopo un certo lasso di tempo il nostro naso va incontro al fenomeno dell'assuefazione che porta ad abituarsi al contesto olfattivo perdendo la capacità di discriminare e rilevare lo stimolo olfattivo. Per riaccendere l’attenzione sugli odori possiamo allora cambiare luogo, uscendo e rientrando nell'aula dopo un breve lasso di tempo. Anche introdurre nuovi odori e profumi stimola l'attenzione e permette di sollecitare ulteriori associazioni, ricordi e interessi da condividere. Inizialmente è preferibile portare oggetti concreti che odorano, come la frutta, le erbe aromatiche perché i più piccoli sono portati a conoscere in modo polisensoriale la fonte dell’odore, toccando, ascoltando, osservando, annusando. Successivamente si potrà passare a un'esplorazione più “da grandi” giocando proprio con la caratteristica dell’invisibilità e impalpabilità degli odori. La percezione olfattiva è estremamente soggettiva, non possiamo aspettarci che tutti annusino le fragranze, ne siano attratti e disposti a condividere le proprie sensazione e ricordi. È importante rispettare uno spazio e un tempo individuale di percezione che diventerà poi naturalmente uno spazio e un tempo collettivo di condivisione e confronto. Lo sviluppo di una expertise olfattiva durante l’infanzia, consente al bambino di incrementare la qualità del rapporto con il mondo. Solo un’esperienza strutturata che stimola l’uso di diversi canali comunicativi porterà i bambini a integrare numerosi linguaggi tra loro arrivando a comprendere in modo autentico la complessità dei messaggi che provengono dall’esterno. Elaborare molteplici percezioni, aiuta a sviluppare un senso critico e un gusto personale superando gli stereotipi percettivi. «I bambini – diceva Bruno Munari – non smetterebbero mai di giocare, di scoprire nuove cose, attraverso tutte le loro potenzialità sensoriali». Annusando odori diversi, anche puzzolenti, attraverso la sfida a spingersi sempre un po' oltre nell’esplorazione, essi imparano a sondare continuamente i propri limiti e ad aprirsi all'idea di un mondo più grande e variegato. La conoscenza polisensoriale sperimentata sin da piccoli in un contesto adeguato di crescita, diventa così, da adulti, una vera e propria competenza, un modo di pensare duttile e creativo, un’attitudine a integrare informazioni diverse per affrontare stimoli sempre nuovi.


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opyright CHRISTOPHE LAUDAMIEL

Profumiere con una forte formazione in chimica (vincitore delle Olimpiadi francesi di chimica nel 1986), ha fondato la DreamAir (new York) ed è presidente dell’Academy of Perfumery and Aromatics. Ha creato, in collaborazione con Carlos Beniamin, i bestseller Polo Blue for Men (2002) e Fierce (Abercrombie & Fitch, 2002).

Che cosa pensa della possibilità di usare il copyright, ovvero il diritto d'autore al posto del segreto di fabbrica, per tutelare le formule delle fragranze? Sarebbe corretto che i profumi, come creazioni intellettuali, fossero protetti dalla legge così come accade per il design, per la musica, i dipinti, la scrittura, eccetera. Una volta che il profumo è sul mercato, dovremmo essere in grado di pubblicarne la formula. So che molte persone non sono d'accordo con questo, ma se sei un creativo, sei sempre un passo avanti. La gente potrà imitare il tuo lavoro ma tu precorrerai sempre i tempi, sempre impegnato a inventare qualcosa di nuovo. Inoltre mi affascina molto vedere che cosa gli altri possono combinare manipolando le cose che ho fatto. Mi piace per esempio vedere architetti che elaborano in modo personale idee che ho lanciato. Mi piace anche vedere che cosa possono fare altri profumieri con la formula di una mia fragranza. Ma è necessario un riconoscimento, una protezione intellettuale. Se non sbaglio lei è uno dei pochi creatori di fragranze mainstream a non avere particolari paranoie rispetto alla protezione dei propri segreti e formule. Certo. Se davvero vuoi educare le persone lo devi fare indirizzandole fin da subito alla verità e alla realtà. Non puoi formare le persone mantenendo la scatola oscura. Devi spiegare il meccanismo. Credo che anche i docenti e i teorici del profumo dovrebbero studiare di più le formule. Per questa ragione all'Università di Berna, che è sponsorizzata dalla Fondazione Nazionale Svizzera per la Scienza, ho lavorato apertamente con le formule dei miei profumi (togliendo solo il nome dei clienti), per mostrare agli studenti come funzionano esattamente.

C'è un'organizzazione, un'istituzione o un gruppo di interesse che potrebbe farsi promotore attivo dell'introduzione del copyright in profumeria? Forse la Société Française des Parfumeurs, d'altra parte chi è a conoscenza delle formule? Solo i creatori di fragranze. Persino nelle case di profumo, chi dirige il lavoro non vede le formule, solo i profumieri le conoscono. Per arrivare al riconoscimento del diritto d'autore nell'ambito della profumeria c'è moltissimo da fare. È processo che dovrebbe legarsi a qualche interesse economico, ma non possiamo partire da questo, il percorso dev'essere fatto al di fuori dell'industria. Quali sono i cambiamenti più importanti che ha potuto notare nel suo settore negli ultimi anni? Il profumiere è sempre stato un compositore. Come il musicista che scrive le note sulla carta, il compositore di fragranze scrive una storia, una poesia usando le note olfattive. Questo non è mai cambiato, anche se ci sono oggi molti più ingredienti a nostra disposizione rispetto a un secolo fa. Pensando a che cosa è cambiato, direi che vent'anni fa la maggior parte dei maestri profumieri erano francesi. Quando sono arrivato a New York per lavorare in questo settore, le riunioni si svolgevano in francese. I dirigenti e lo staff erano tutti francesi. Ero scioccato. Venivo da un'azienda che non era francese per ritrovarmi in un contesto totalmente francese all'interno di un'azienda americana. Oggigiorno tutto lo staff dei profumieri è molto più internazionale e, se nel passato gli uomini prevalevano di gran lunga sulle donne, oggi l'ambiente è molto più misto. Un'altra cosa che è cambiata è che il pubblico è molto più educato. Pensa che l’educazione del pubblico sia importante? Assolutamente si. Un pubblico ben educato fa una grande differenza. Con questi presupposti, il profumiere può davvero concentrarsi sul proprio stile senza dover seguire modelli standardizzati, perché sa che fuori c'è qualcuno in grado di comprendere e apprezzare la sua ricerca. In profumeria siamo trecento anni indietro rispetto l'arte visiva. Abbiamo avuto il Rinascimento ma non siamo passati ancora per l'Illuminismo, un periodo in cui l'interesse si focalizza sulle tecniche e sulla scienza. Oggi abbiamo splendide materie prime e ottime conoscenze tecniche, ma per arrivare all'Illuminismo, a una cultura del profumo davvero informata e veritiera, dobbiamo impegnarci a insegnare.


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esign FRANCESCA GOTTI Product e visual designer di nu_be perfume

«Lasciarsi sorprendere..., lasciare il sensibile liberarsi e affascinare, esperire dal profondo della propria carne la carne dell'oggetto, lasciare l'oggetto dischiudersi e dispiegare il mondo che porta con sé, lasciarsi andare fino a diventare lui.» Etienne Souriau


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den MICHEL ROUDNITSKA

Creatore di fragranze, artista interdisciplinare, pioniere degli spettacoli olfattivi, fondatore del laboratorio Art&Parfum che fornisce supporto a numerosi compositori indipendenti di profumo, è autore di fragranze artistiche per Frédéric Malle e Parfums DelRae.

Quali sono gli dori del giardino della sua infanzia? Il giardino creato da mio padre nella nostra residenza di Cabris, era all'epoca un luogo di gioco e di iniziazione agli odori. Avevo il mio mucchio di sabbia proprio di fianco al laboratorio dove venivano composti i profumi, sono quindi stato del tutto impregnato dagli effluvi delle materie prime che mi arrivavano ogni giorno! In modo particolare dall'odore della resina di galbano che veniva fusa e che non trovato per nulla gradevole all'epoca. Nel giardino c'erano anche numerose piante odorose, come il famoso pavimento di mughetti che mio padre aveva piantato mentre lavorava a Diorissimo e che era un vero incanto olfattivo. Sono stato particolarmente segnato dal profumo della rosa Etoile de Hollande (di Meilland) che anche mio padre adorava soprattutto per il suo aspetto fruttato che ricorda il liquore di prugna e di pera. Il suo profumo mi ha a lungo ispirato nella rappresentazione della rosa ideale. Ho continuato a curare questo giardino fino ad oggi, sviluppando nuovi spazi di ispirazione giapponese e allargando la tavolozza delle specie vegetali per avere tutto l'anno piante in fiore e variazioni infinite di colori a seconda delle stagioni. Questo luogo magico permette ora di ospitare piccoli laboratori di risveglio sensoriale, di yoga e di meditazione per i quali il giardino gioca un importante ruolo. Potrebbe descriverci i profumi del suo giardino interiore? Il mio giardino interiore, e in particolare il mio giardino dell'Eden, non potrebbe esistere senza la nota sublime del gelsomino di Grasse che per me rappresenta davvero l'odore del Paradiso. Lo sposerei al profumo del giacinto che amo per la nota verde e fresca, e a quello della magnolia i cui effluvi generosi, con nuance esperidate che ricordano il pompelmo, hanno cullato i nostri pranzi di famiglia sul bordo della piscina. Infine, avendo vissuto per circa 10 anni ai tropici, non potrò mai dimenticare

l'odore squisito e soave dello zenzero a giglio bianco (Hedychium coronarum) che ha ispirato il mio profumo Amoreuse per il marchio DelRae, ma soprattuto il fiore di tiarè (Gardenia Tahitiensis) che mi riporta subito all'intenso momento vissuto durante l'offerta delle ghirlande di fiori all'aeroporto di Papeete la prima volta che sono atterrato a Tahiti. Che ruolo ha la Natura nella creazione delle fragranze? Resta chiaramente la grande ispiratrice, talvolta ineguagliabile, a volte superata. L'olio essenziale naturale è sempre il punto di riferimento, ma non ci deve imprigionare. Bisogna stabilire un dialogo vero con la natura, a monte di tutte le estrazioni e le modificazioni psico-chimiche. Preferisco farmi ispirare dall'odore del petalo della rosa piuttosto che dall'assoluta, per quanto bella sia. Mi fa scoprire nuove piste olfattive e creare composizioni innovative che sono alla base stessa dell'arte del profumo. Come può l'industria del profumo diventare più etica? Per superare la seria crisi economica, ecologica ed etica che sta affrontando, dovrebbe introdurre nuovi principi: 1) Preservare la biodiversità e creare un commercio equo con le popolazioni indigene coinvolte nella produzione delle materie prime. 2) Riconoscere chi sono i veri profumieri dietro ai brand e introdurre il copyright anche per il profumo. 3) Rispettare i consumatori dando informazioni chiare sulle qualità e i rischi delle materie usate, ma anche difendere i capolavori del passato dalle eccessive restrizioni dell'IFRA. 4) Ridurre il numero di cloni di profumi che stipano il mercato, per focalizzarsi su composizioni creative e di qualità, premiando un approccio autentico, che dia un significato vero e un valore spirituale alle fragranze. Altrimenti il profumo non sarà più un’arte, ma solo un'altro accessorio di tendenza in mezzo agli altri. Quali sentimenti e sensazioni le hanno ispirato la creazione di Bois de Paradis per Parfums DelRae? Creato nel 2002, è tra tutti i miei profumi quello in cui ho messo più il cuore, perché incarna la mia donna interiore ideale. Lo portavo in me da molti anni ed è stato un parto difficile. Ci sono state tante sfide tecniche e olfattive, specialmente a livello delle note di rosa e fruttate. Il profumo evoca boschi di cedri e sequoie attraversati da effluvi di petali di rose, su un fondo gourmand di spezie, di fichi secchi e di frutti esotici. Incarna anche l'immagine che ho del Paradiso: così vicino alla Natura e al tempo stesso sofisticato nella sua eleganza senza tempo.



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uturo JENNY TILLOTSON

Insegna Sensory Fashion alla Central Saint Martins, l’Università delle Arti di Londra e si occupa di progettare nuovi dispositivi che mettono in relazione il senso dell’olfatto con le più recenti tecnologie. Dirige i progetti eScent® e Scentsory Design®.

Ci può parlare del suo lavoro? Lo Scentsory Design è la disciplina da me fondata che riguarda l’espansione della sfera olfattiva mediante tecnologie interattive. Metto a punto sistemi computerizzati di emissione di profumi, per migliorare la salute e lo stato d’animo di chi li indossa. I profumi sono personalizzati e i dispositivi realizzati on-demand, perciò mi occupo anche di regolare le reti di sensori e i sistemi di diffusione per far sì che le essenze entrino in risonanza con le attività cerebrali di ogni singola persona: una sorta di modulazione intelligente del profumo applicata a una realtà intelligente! In questi anni abbiamo visto abiti che incorporavano iPods e LEDs, ma finora c’è stata poca attenzione per la stimolazione di altri sensi attraverso le tecnologie indossabili. Tutto cambierà quando vedremo questo settore incontrare discipline come l’Aromacologia, la scienza che si occupa di studiare gli effetti degli odori sul nostro comportamento. Faremo tanti più progressi quanto più conosceremo a fondo il potere degli odori e come influiscono sui nostri livelli di stress, ansia, rilassamento e sul sonno. Quali sono i vantaggi di indossare abiti che creano una bolla di profumo modulabile intorno a noi? Oggi l’industria del profumo sta cambiando per via delle pressioni sociali dovute a una maggior consapevolezza della salute e del benessere che si sta diffondendo nelle persone. Le tecnologie di cui mi occupo permettono di superare i profumi a base alcolica che causano secchezza della pelle, garantendo anche una riduzione della carbon footprint, cioè la quantità di anidride carbonica utilizzata per creare i prodotti. Queste applicazioni prevedono meno packaging, nessun flacone, minor impiego di materie prime, meno rifiuti, meno impatto con il nostro organismo. Credo che in futuro spruzzare sulla pelle un

profumo a base di solventi ci sembrerà qualcosa di alieno, considerando anche che la maggior parte dell’alcol contenuto nel flacone va sprecato perché evapora. Nell’industria delle fragranze sono tre i fattori che stanno incidendo sulla creatività dei profumieri: l’aumento del prezzo delle materie prime, l’abbattimento dei costi legati all’ideazione e alla progettazione, i paletti delle nuove leggi e regolamentazioni sull’uso delle sostanze. Tutto ciò porta l’industria a focalizzarsi sull’impiego di poche molecole ad alto impatto odoroso che possono essere usate a bassi dosaggi dando un potente apporto alla fragranza. Una valida alternativa potrebbe essere invece quella di ottimizzare il sistema di propagazione del profumo adottando tecnologie in grado di diffonderlo a piccole dosi, in modo intermittente e direzionato alle nostre narici. I dispositivi che sto progettando, per esempio, sono inseriti in collane, orecchini e spille. Quali saranno le più interessanti tecnologie connesse al senso dell’olfatto che potremo utilizzare nel prossimo futuro? Davanti a noi vedo un futuro in cui i nostri abiti, provvisti di speciali nasi elettronici miniaturizzati, ci permetteranno di intercettare una malattia prima che degeneri, o di catturare un odore e trasformarlo in informazione digitalizzata da trasmettere ovunque, sempre attraverso la nostra maglietta, o la nostra felpa tecnologica. Potremo anche acquistare profumi stampabili in 3D grazie a speciali cartucce biodegradabili o sotto forma di microchip accessori che costeranno molto meno rispetto al tradizionale flacone. Avremo la possibilità anche di scaricare fragranze da Internet e stamparle a piacimento. Mi esalta l’idea delle stampanti di profumo che creano e diffondono “bolle sensoriali di realtà” per farci vivere una nuova esperienza corporea direttamente dal web. Che importanza ha il risveglio dell’olfatto nella nostra cultura? Trovo suggestiva l’affermazione di una grande attivista politica degli anni Sessanta, Susan Sontag: «Tutte le condizioni della vita moderna – la sua abbondanza materiale, il suo affollamento – congiurano a ottundere le nostre facoltà sensorie. Ciò che oggi è importante è recuperare i nostri sensi. Dobbiamo imparare a vedere di più, a udire di più, a sentire di più».


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ourmand MARCO VALUSSI

Laureato in Fitoterapia a Londra, è ricercatore associato presso l’Unità di Biostatistica, epidemiologia e salute pubblica dell’Università di Padova. Autore, tra gli altri libri, de Il grande manuale dell’Aromaterapia (Tecniche Nuove, 2013) scrive su riviste professionalied è consulente per le aziende del settore erboristico e alimentare.

Uno dei primi autori a pensare al sapore (flavour) come un sistema funzionale che integrasse olfatto e gusto fu il gastronomo francese Brillat-Savarin che nel 1826, nel suo testo Fisiologia del gusto, scriveva: «Di per me, non solo sono convinto che non vi sia pienezza del gusto senza la partecipazione del senso dell’olfatto, ma sono anche tentato di credere che olfatto e gusto formino un unico senso». Questa intuizione riceve però solo nel secolo successivo una serie di formalizzazioni teoriche e conferme sperimentali. Nel 1966 lo psicologo James Gibson, nel suo testo The senses considered as perceptual systems, propone una teoria ecologica delle percezioni, distinguendo tra sensi (che danno la qualità dell’esperienza) e sistemi percettivi; egli propone che olfatto e gusto si articolino nel sistema percettivo del sapore che avrebbe la funzione di valutare olisticamente ciò che viene messo in bocca. Il terzo autore da richiamare è Paul Rozin che nel 1982 mostra in una serie di studi che quello che chiamiamo olfatto è in realtà un senso duale, composti da olfatto ortonasale, ossia l’odorare classico che effettuiamo quando usiamo il naso per odorare il mondo esterno, e l’olfatto retronasale, ovvero il senso che valuta gli odori che si sviluppano nella cavità orale, esattamente la modalità di olfatto che più entra in gioco nella formazione del sapore. Da questi studi si sviluppa l’ipotesi che i diversi recettori per i composti volatili (i recettori olfattivi, dedicati all’identificazione del cibo) e quelli per i composti solubili (i recettori per il gusto, dedicati alla valutazione sulla pericolosità o utilità del cibo) siano integrati in uno stesso sistema percettivo, e che a questi due sistemi si aggiunga la percezione del tocco e delle temperature nella cavità orale, responsabile per la valutazione di dimensione, forma, consistenza e struttura del cibo.

Gli esempi delle interazioni tra vari sensi per comporre il sapore di un cibo si sono moltiplicati negli ultimi decenni. È esperienza comune che chiudersi il naso (o averlo bloccato) mentre si mangia rende quasi impossibile riconoscere il cibo, e questo evidenzia che quello che noi pensiamo essere il gusto di una sostanza è in realtà per l'80% odore. Ma è anche vero che è importante l’accordo percepito tra odori e gusti: odori e gusti congruenti si rinforzano tra loro (interazione positiva tra vaniglia e dolce), mentre l’incongruenza indebolisce la percezione (interazione negativa tra vaniglia ed aspro). L'identificazione degli odori viene resa più difficile se essi vengono presentati senza indizi di colore o con indizi incongruenti; infatti l'aroma di certi vini bianchi colorati artificialmente di rosso viene descritto usando un lessico tipico dei vini rossi. Questo potrebbe discendere dal fatto che fin da piccoli apprendiamo che esiste un legame tra colore e proprietà organolettiche, ossia che colori più intensi sono di solito legati a odori più intensi. Dato che la vista è un senso che domina sugli altri l’indizio visivo diviene più saliente di quello olfattivo. Tatto e propriocezione nella cavità orale forniscono informazioni su irritazione, temperatura, consistenza e struttura del cibo, e queste informazioni influenzano la percezione del sapore, per cui il freddo viene a volte “letto” come salato, e l’irritante inibisce la dolcezza percepita ma aumenta la percezione di altri sapori. La freschezza e croccantezza percepite di un cibo sono legate agli stimoli uditivi presentati, in particolare crescono al crescere in intensità ed acutezza del suono, come nel caso delle patatine percepite come più fresche se causano rumori acuti. Alcuni autori parlano, per queste interazioni, di esperienza sinestetica del sapore, ma altri hanno suggerito l’esistenza di un senso addizionale, un sistema somato-sensorio integrato del sapore che si evidenzia quando gusto, olfatto, tatto, trigemino si combinano in un singolo percetto unificato dall'atto di mangiare. Si è anche parlato di una fusione percettiva, dove più stimoli non vengono associati a formare una nuova sensazione, ma si combinano a formare una nuova percezione. In questa prospettiva la percezione non significa “avere le sensazioni”, ma ottenere informazioni, non per creare una rappresentazione interna del mondo esterno, ma per permettere all’organismo di funzionare nell’ambiente. La percezione sarebbe quindi un atto dinamico, intrapreso da tutto l’organismo. Una vera e propria esplorazione dell’ambiente guidata dalle percezioni.


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and made ROBERTO DARIO Chimico di professione e profumiere per passione cura il blog Esperienze Olfattive divenuto anche il marchio delle sue fragranze artigianali.

Sebbene circondati da tecnologia sofisticatissima, alla fine qualsiasi cosa venga costruita, modellata, impastata, miscelata, è fatta tramite le mani. Interagire fisicamente con la materia, qualsiasi essa sia, usando utensili e non, trasformandola a nostro piacimento, è stata la costante in tutti i campi in cui l'uomo si è cimentato: arte, scienza, ingegneria o architettura. Chi lavora con le mani è definito artigiano: egli tramuta il suo pensiero, il suo progetto mentale in una forma tangibile o intangibile mediante un sapiente lavoro manuale continuo ed esperto. Per antonomasia gli artigiani dell'intangibile sono i profumieri, costruttori di mondi legati all'effimero il quale riesce a penetrare e svegliare le nostre emozioni più recondite. Le prime testimonianze sull'ottenimento ed uso delle essenze naturali risalgono all'età del bronzo: a Pyrgos (Cipro) è stata scoperta la prima officina essenziera, con la sua sezione di distillazione a vapore e di macerazione in olio delle essenze. La mano dell'uomo non solo utilizza con sapienza la natura, ma forgia anche le macchine con cui si impossessa dei prodotti della natura, sviluppa tecnologie e conoscenza. I primi a mettere nero su bianco, o meglio, a scolpire sui muri degli antichi templi un procedimento completo per realizzare un prodotto profumato sono gli Egizi: il Kyphi, l'incenso sacro che veniva bruciato di sera nei loro templi (la mattina si bruciava franchincenso e a mezzodì la mirra), viene prodotto secondo procedure che erano talmente preziose e sacre da meritare di essere tramandate all'eternità: la scelta delle piante e il loro trattamento, la loro miscelazione, cottura, tutto è regolato minuziosamente. Se in antichità ottenere le essenze e usarle era un mestiere unico, con la fine dell'impero romano si crea uno spartiacque tra i paesi produttori di essenze e i paesi che le consumano: i profumieri in occidente cominciano a miscelare essenze che acquistavano grazie al commercio con l'Oriente, la principale porta di accesso di materie prime.

I prodotti profumati acquisiscono nuovo vigore a Venezia dove si sviluppa una profumeria che trae giovamento dai commerci privilegiati della Serenissima: i nuovi artigiani delle essenze, i Muschieri, profumieri ante-litteram, diventano richiestissimi per i loro prodotti. La storia riparte quindi con la comparsa di questi nuovi personaggi che sapevano “maneggiare” le essenze, modificare le misture odorose in base ad una conoscenza profonda dei materiali. Confezionare fragranze sarà per lungo tempo ancora un affare manuale, intimo, laborioso nel vero senso del termine, in un'epoca non ancora incline a sottomettersi alla legge dei numeri grandi, delle vendite stellari. Se il valore del “fatto a mano” era implicito, il valore del lavoro del profumiere era sottomesso a un unico fattore: il tempo. Tempo per valutare le caratteristiche come la potenza o la fragilità di un odore, capire come questo si comporterà in miscela, se perde o piuttosto allunga la vita invisibile del profumo. Il parametro “tempo” e il valore “fatto a mano” si accompagnano, si incrociano, si fondono. Il “fatto a mano” della profumeria oggi è riassunto, a mio avviso, nella stesura da parte del profumiere della ricetta della sua miscela, nelle continue prove e negli esperimenti che deve effettuare per trovare le dosi giuste di materie prime, il giusto rapporto fra gli odori, affinché il suo progetto mentale prenda forma nel mondo materiale per poi ritornare intangibile nel momento in cui la persona che si abbandona alle emozioni che quell'odore suscita, lo fa evaporare sulla sua pelle.


I

nvisibile RENATA ASHCAR

Esperta di fragranze, giornalista, scrittrice, ha curato il Museo de Profumi a São Paulo ispirato al suo libro Brasilessencia: A cultura do perfume. È attualmente promotrice e coordinatrice del Curso de Avaliação Olfativa, una scuola per valutatori di fragranze dedicata a persone non vedenti e ipovedenti.

Il Curso de Avaliação Olfativa è un programma dedicato a persone non vedenti o con problemi di vista che si propone di promuovere la loro inclusione nel mondo del lavoro e, in particolare, nel contesto dell'industria del profumo. Ho creato questa scuola basandomi sulle necessità reali delle principali aziende di profumo del Brasile che ci hanno aiutato anche nella valutazione dei risultati ottenuti finora. Gli argomenti che affrontiamo durante il percorso di formazione sono numerosi: storia del profumo, linguaggio olfattivo, fisiologia dell'olfatto, metodi di valutazione del profumo, chimica degli aromi, materie prime, marketing, project management, regolamentazioni e controllo qualità. Tutto ciò di cui c'è davvero bisogno per lavorare nel mondo del profumo. I partecipanti sono persone non vedenti o ipovedenti di età compresa tra i 16 e i 28 anni che stanno frequentando le scuole superiori o si sono già diplomate. Devono avere sufficiente capacità di muoversi in modo autonomo per partecipare alle attività di formazione. Il Corso dura un anno e prevede 600 ore di lezione. Gli studenti che lo superano sono ammessi a un programma di tirocinio di 200 ore in azienda al termine del quale ottengono il diploma. Quest'anno stiamo portando avanti il terzo gruppo di studenti che sono undici in tutto. Dei sedici studenti che si sono già diplomati nove stanno lavorando presso le nostre aziende partner: IFF (3), Jequiti (2), Symrise (1), Firmenich(1), Tania Bulhões (1) e Mon Absolu (1). Le aziende stanno riconoscendo l'importanza di questo percorso di formazione che permette di aprire nuove opportunità di carriera professionale. Sono davvero fiera della qualificazione dei nostri studenti e non ho dubbi che abbiano le capacità per aver successo in qualsiasi azienda. Spesso mi chiedono perché nessuno aveva mai pensato di creare una simile opportunità prima d'ora.

Sono certa che qualcuno l'ha fatto, ma per realizzare questa idea c'è bisogno di una qualità “invisibile”. Non si tratta solo di denaro o di tempo, ma di qualcosa che riguarda l'amore e la dedizione e che può davvero cambiare molte cose, dalle prospettive di vita delle persone fino al pregiudizio. Tutto questo è possibile! Dopo essermi occupata di tanti progetti nella mia vita, libri, guide, musei, questo è decisamente il modo più bello per condividere le mie conoscenze con gli altri. Alla fine di ogni anno lavoriamo insieme ai ragazzi ad un progetto particolare. Gli studenti che si sono diplomati nel 20013 hanno realizzato per esempio una fragranza d'ambiente che si può usare con i diffusori o sotto forma di incenso. Con questo profumo hanno voluto comunicare l'amore in tutte le sue forme. Per loro l'amore inizia in casa, il primo posto dove le persone di solito imparano a vivere ed elaborare i sentimenti. Il profumo ruota intorno alla nota del fiore di ciliegio, che in Giappone è considerato un simbolo d'amore, le ragazze lo usano nei capelli o mettono i rami fuori dall'abitazione per far sapere che stanno cercando marito. Il fiore di ciliegio (Sakura) è anche usato come metafora della vita, è luminoso e bellissimo, ma anche effimero, proprio come le nostre esistenze. Il brief che gli studenti hanno preparato per la casa di profumo, richiedeva una fragranza fiorito-fruttata con una connotazione elegante, sofisticata, e capace di sprigionare a lungo la freschezza che tanto piace al pubblico brasiliano. Il nome del profumo è Amor e per lanciarlo abbiamo giocato con uno slogan ironico: “L'amore è cieco”.


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usso BERNARD BOURGEOIS

Ha lavorato per trent’anni presso Hermès Parfums partecipando attivamente alla creazione di celebri fragranze come Eau d’Orange Verte, Bel Ami, 24 Faubourg, Rocabar e Rouge Hermès. Collabora alle attività di Osmotheque contribuendo a valorizzare e diffondere il patrimonio storico ed estetico della profumeria.

Che cos'è il lusso, perché ne abbiamo bisogno? L'essenza del lusso risiede nella cultura e nel culto di ciò che è bello. Il bello che nasce dal lusso fa appello ad abilità artigianali unite a fierezza, esigenza e volontà di trasmissione. Il lusso si appoggia su forti valori artigianali, estetici ed etici. Senza alcun compromesso. Associa qualità percepita, eccellenza, creatività nutrita di tradizione e di innovazione, poesia e seduzione. Suscita desiderio. Il vero lusso sta dentro la qualità estrema e la selezione accorta delle materie prima, nella ricerca di una creazione senza tempo, nel rigore della finitura, nel senso acuto del dettaglio, nell'evocazione di uno stile. Ma il vero lusso è più nella sostanza che nell'apparenza. Implica il gusto e il senso profondo del lavoro ben fatto, dell'opera compiuta. Il lusso è una quiete del piacere e uno stato dello spirito. Esprime un'arte di vivere, un'aspirazione a vivere meglio. Quali sono le principali qualità di una fragranza di lusso? Un'identità affermata e certa. Una forma olfattiva estetica, poetica e onirica. Una singolarità e un'audacia creativa. Una sensualità percepibile. Un forte potere emozionale. Una bellezza senza tempo. Una scia sconcertante e seducente. Una selezione esigente di materie prime. Un'alchimia di qualità tecniche e artistiche. Che ruolo ha dunque l’uso delle materie prime naturali nella creazione di un simile prodotto? Essere esigenti verso la qualità e la selezione rigorosa delle materie naturali, considerando il loro territorio di origine, la loro singolarità e la loro sensualità, contribuisce a definire l'identità e la bellezza della forma olfattiva. Questi presupposti creano una forma, sottolineano una ricchezza percettibile e uno stile che acquisice la patina del tempo.

La nostra concezione del lusso cambia nel corso del tempo o rimane sempre la stessa? L'idea della fragranza di lusso si è evoluta da diversi decenni. Il profumo è diventato a tutti gli effetti una scommessa commerciale talmente importante, in un contesto così concorrenziale, che la parte dell'investimento dedicato alla fragranza è ormai esiguo rispetto a quanto si investe per altri elementi che creano il prodotto. La sostanza, l'essenza, in una parola, la fragranza ha ceduto il passo all'apparenza, alla volgarità, alla conquista del mercato attraverso la pubblicità e la scorciatoia di usare celebri muse come testimonial. Anche le fragranze difettano sempre più di creatività e di personalità. Il profumo detto “di lusso” è oggigiorno un prodotto di consumo totalmente banalizzato e democratizzato sotto l'influsso di un marketing totalitario. Alcuni marchi hanno iniziato a capirlo e a proporre quindi le loro collezioni private. Dior, Guerlain, Chanel, Hermès, Armani e altri offrono una serie limitata di fragranze rese elitarie, singolari, distinte, dove è privilegiato l'uso delle belle materie prime. Alcune di queste creazioni si nutrono di una storia, di una passione, di una spinta verso la materia. Anche i profumi di nicchia confermano questo ritorno alla tradizione e all'artigianalità della fragranza, dove si dà un posto di primo piano a ciò che è bello senza artifici e compromessi. Con un'intenzione forte di seduzione. Quali sono a suo parere le tre più emblematiche fragranze di lusso di tutti i tempi? Scelta delicata e senz'altro molto personale. Nel 1912 Jacques Guerlain, compositore immenso, ha creato l'Heure Bleue senza dubbio influenzato dall'approccio orientale di François Coty, altro compositore di genio, nell'Ambre Antique e ne L'Origan. Quello di Guerlain è capolavoro assoluto, di una bellezza senza tempo. Sillage di una sensualità magistrale. Nel 1947 lo stilista Jacques Fath ha proposto Iris Gris, creato da Vincent Roubert. Questo soliflore è la quintessenza del lusso espresso attraverso l'Iris di Firenze. Una fragranza singolare, d'una eleganza ineguagliabile, dalla femminilità senza tempo. Nel 1970 Chanel, dopo il mitico N°5, ha lanciato il N°19 creato da Henry Robert. La fragranza deve la sua bellezza all'audacia della scrittura, alla nobiltà delle sue materie prime, alla sensualità raffinata del suo sillage. Questi tre profumi riuniscono tutti i tratti di una creazione di lusso. Identità forte, singolarità, potere emozionale, sensualità che crea turbamento, bellezza senza tempo.



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usica FRANCESCA FARUOLO

Il linguaggio del profumo ha preso a prestito molti termini da quello musicale. Fu Edmond Roudnitska, creatore di fragranze e filosofo che, insofferente verso l'odiosa identificazione del profumiere con il suo organo di senso, il “naso”, nel tentativo di far comprendere l'alto livello di cognizione e astrazione richiesto nel suo mestiere, scelse e impose la definizione elegantissima di “compositore di fragranze”. Secondo Roudnitska il profumiere che compone a tavolino una formula è come il musicista che scrive le note senza bisogno di suonarle perché le ha già tutte nella propria testa. L'idea non era inedita, già Septimus Piesse nel 1857 aveva creato una trasposizione delle note musicali in note olfattive con cui creare partiture per un ipotetico “organo del profumiere”. Ancora oggi si chiama con questo nome la consolle che contiene i flaconi delle materie prime odorose, divise per tipologia e funzione, di cui si serve il profumiere per comporre. Questo mobiletto, provvisto di una serie di mensole degradanti, ricorda in effetti un organo con le tastiere disposte su diversi livelli. Ma è mai esistito uno strumento vero e proprio in grado di suonare i profumi? Nell'Ottocento, quando sinestesia diventa una parola d'ordine in tutte le arti, lo scrittore Huysmans racconta l’esecuzione di una composizione odorosa ad opera di Des Essenintes, l'eroe decadente tormentato dal desiderio incessante di novità, protagonista del suo romanzo À rebours (1884). Sarà però Aldous Huxley in Brave New World (1932) a raccontare un vero e proprio concerto olfattivo eseguito con uno strumento specifico: «L'organo odoroso eseguiva un Capriccio d'Erbe deliziosamente fresco. Arpeggi gorgoglianti di timo e lavanda, di rosmarino, basilico, mirto, artemisia; una serie di audaci modulazioni attraverso tutti i toni delle spezie sino all'ambra grigia, e una lenta marcia inversa sino al legno di sandalo, la canfora, il cedro e il fieno tagliato di fresco (con tocchi sottili qua e là di note discordanti: un'ondata di pasticcio di rognone, il più leggero accenno di concime di porco) per ritornare agli aromi semplici coi quali il pezzo aveva cominciato. Le ultime note di timo si spensero; seguì un fragore di applausi; le luci si riaccesero».

Ai nostri giorni sono stati messi a punto diversi prototipi di “organo odoroso”, forse il più interessante è lo Smeller 2.0 realizzato da Wolfgang Georgsdorf che, per quest'opera, ha ricevuto la nomina al premio Arte Laguna 2014. Per giustificare l'esistenza di strumenti di questo tipo, ci vogliono compositori e musicisti che abbiano un'adeguata sensibilità olfattiva. Anche se non sono diventati celebri per questo, possiamo comunque creare una piccola genealogia di personaggi, alcuni realmente esistiti altri nati dalla fantasia degli scrittori, che aprirono le porte della musica all’universo degli odori. Il capostipite è senz'altro Johannes Kreisler, il maestro di cappella protagonista della Kreisleriana, la trilogia di novelle scritte da Ernest Theodor Amadeus Hoffman nel 1814. Ecco alcune sue considerazioni: «Il profumo dei garofani color rosso-scuro agisce su me con una straordinaria forza magica: senza volerlo mi sprofondo in uno stato di sogno e sento allora come da una grande lontananza suoni di clarinetto che crescono lentamente e poi lentamente si dileguano.» Robert Schumann rimase così colpito da quest'opera da dedicare alla figura di Kreisler un ciclo di brani per pianoforte intitolato proprio Kreisleriana (1838); mentre il suo collega Johannes Brahms fece di Kreisler un proprio alter ego romantico in una serie di scritti dove, a partire dal 1853, rielaborava brani letterari che lo avevano suggestionato (Album letterario o lo scrigno del giovane Kreisler, Edizioni di Torino, 2007). Come far percepire attraverso la musica le note di un profumo? Si cimenta in questo compito Gabriel Fauré che nel 1897 mette in versi “Le parfum impérissable”, poesia scritta dal poeta parnassiano Charles Marie René Leconte de Lisle: «Quando il fiore del sole, la rosa di Lahore / della sua anima odorosa ha riempito goccia a goccia / la fiala d'argilla o di cristallo o d'oro / essa può essere versata tutta sulla sabbia bollente...» Il profumo entra nella musica mediante la poesia anche in Les pafums de la nuit di Claude Debussy. La composizione poetica a cui l’opera si ispira è “Correspondances” di Charles Baudelaire. In conclusione vorrei ricordare l'iscrizione che Rossini fece apporre sulla facciata esterna della sua casa di Bologna, situata proprio a due passi da quel Museo della Musica che, con spirito sperimentale e amor di sinestesia, ospita ogni anno le iniziative di Smell Festival. Si tratta di un solo verso musicale e odoroso tratto dall'Eneide di Virgilio e riferito al dio delle arti Apollo: «Accompagna i versi con le sette note musicali in mezzo a un profumato boschetto d'alloro».


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atura GIOVANNI SAMMARCO

Profumiere artigiano e ricercatore di materie prime rare. Ama il Liechtenstein, la Svizzera (dove vive), Topolino e le donne con i capelli rossi.

La natura è il maestro profumiere del mondo. Gli odori e i profumi che ci offre sono ineguagliabili e alla base delle nostre memorie olfattive, della comunicazione attraverso gli odori e dell’attrazione fra i sessi. Forse anche un po’ dell’amore. In profumeria le materie prime naturali costituiscono una ricchezza irrinunciabile. Spesso si assiste a una contrapposizione forzata tra l’utilizzo delle materie prime naturali e quelle sintetiche. Contrapposizione per molti versi priva di senso. La profumeria esiste da molto prima dell‘arrivo delle materie sintetiche e dire che non si possa fare un buon profumo senza usare la sintesi è, come minimo, un po’ azzardato. Ma questo non vuol certo dire che la sintesi non vada usata o che non possa dare buoni risultati. Oli essenziali, assolute e anche gli estratti sono la gioia di ogni profumiere, donano vita e ricchezza alle fragranze, emozionano, intrigano, raccontano storie e paesi lontani. I metodi di estrazione si sono evoluti col tempo e se il procedimento di distillazione è rimasto pressoché immutato, per l’estrazione delle assolute al tradizionale enfleurage è venuta sostituendosi l’estrazione con solventi. Uno dei procedimenti più recenti è l’estrazione con fluidi supercritici (come la C02) che consente di ottenere caratteristiche olfattive differenti. Con questo metodo è possibile estrarre a basse temperature evitando la perdita di composti volatili dovuta alla temperatura. Si mantengono così inalterate alcune note olfattive che con altri sistemi scomparivano. A estrazione ultimata, il solvente può essere completamente separato dall’olio e non ne rimane più traccia nel prodotto. Anche se le esigenze industriali della profumeria contemporanea spesso impongono un utilizzo molto ampio della sintesi, è difficile trovare un profumiere che non ami lavorare con naturali di qualità. È possibile realizzare un ottimo profumo utilizzando solo materie prime naturali? Certo.

Questo significa che i profumi che contengono materie prime sintetiche siano, solo per questo, scadenti? Ovviamente no. Il bello del naturale è anche la variabilità delle caratteristiche olfattive che possono cambiare da una produzione all’altra conferendo unicità e anima alle fragranze. Il naturale è vivo e vibrante, ha un’anima, ha una storia. Non solo odora, ma racconta e parla con il nostro io più profondo. Esiste anche l’affascinante mestiere del cacciatore di materie prime naturali, uomini che girano il mondo alla scoperta di nuove materie prime da utilizzare contrattando con le popolazioni locali e portando nuova ricchezza al mondo delle essenze. E del cacciatore di ambra grigia che batte le spiagge degli oceani in attesa di trovare pezzi di oro galleggiante. Un discorso a parte meritano, infatti, le materie prime animali, lo zibetto, l’ambra grigia, il castoreum, il muschio di cervo e l’hyraceum. Esse richiamano le nostre emozioni più selvagge e primordiali e, ad eccezione dell’hyraceum di utilizzo più recente, dai tempi più antichi sono sempre state irrinunciabili nella composizione delle fragranze. Nonostante si creda spesso il contrario, a parte il muschio di cervo, usato anche come afrodisiaco e strettamente limitato e controllato per proteggere la specie, le altre materie prime di origine animale sono liberamente utilizzabili in profumeria e capaci di regalare emozioni rare e profonde. Lo zibetto, sia puro che in estratto, ricade nella regolamentazione della Convenzione di Washington, ovvero ha bisogno di viaggiare accompagnato da un certificato Cites (relativo alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie in via di estinzione di flora e fauna selvatiche, n.d.r.) che ne attesti la provenienza autorizzata, e questo comporta delle spese aggiuntive sia di certificazione che doganali. Ma esistono anche delle materie prime vegetali soggette alla Cites, si pensi ad esempio all’oud (essenza ricavata dal legno dell’Aquilaria Agallocha, n.d.r. ) molto di moda negli ultimi anni e che, quando naturale, ha bisogno della stessa tipologia di certificati dello zibetto. Una volta che la documentazione è in regola, non ci sono particolari limiti all’utilizzo. Ambra grigia, castoreum ed hyraceum invece non sono soggette a limitazioni, ma l’ambra grigia può aver bisogno di un certificato veterinario per l’importazione doganale. Il metodo tradizionale di utilizzo delle materie prime animali è la tintura in alcool, anche se, in tempi più recenti, si sono iniziate a produrre assolute di zibetto, castoreum e anche hyraceum.


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lfatto ANNA D’ERRICO

Ricercatrice presso Max Planck Research Unit of Neurogenetics di Francoforte, studia fisiologia dell’olfatto, lavora come giornalista scientifica freelance e cura il blog Il senso perfetto.

Onirico, opulento, oltraggioso, ottundente, onnipresente. Ecco, più di tutto, onnipresente. È l’olfatto. Sono tanti gli aggettivi che potrebbero descrivere questo senso che, da sempre, ci affascina e ci sfugge. Ci avvolge, ci segue, anche quando non ce ne accorgiamo. Difficile farne a meno, pensiamo di riuscirci, ma poi basta un raffreddore: anestesia totale, l’aria, il cibo, le persone che amiamo non sanno più di nulla. Certo si evita anche qualche puzza, ma a costo di un effetto “campana di vetro” che ci isola da tutto. Tendiamo a sottovalutarlo perché agisce su di noi in modo più istintivo, senza parlare, un odore ci si stampa nella testa molto prima che riusciamo a dargli un nome e un’identità anzi, spesso non sentiamo neanche l’esigenza di darglielo un nome: è una presenza. Difatti, se ci concentriamo sulla descrizione di un profumo spesso fatichiamo a trovare le parole adeguate, eppure è lì, lo sentiamo. È così che l’olfatto ricama il sottotesto delle nostre esperienze, senza parlare. E, tuttavia, di un posto o di una situazione l’odore è una delle cose che meglio ricordiamo, e che meglio resistono al tempo. Bizzarria di un senso antico, che ci tiene ancorati a una dimensione terrena e ci ricorda, più di altri sensi, quanto la materia di cui siamo fatti sia importante. È l’odorato che ci riporta al corpo attraverso le emozioni. Non a caso Balzac descrive l’olfatto come il senso capace di «cagionare invisibili sussulti agli organi di pensiero». Le connessioni nervose tra i recettori olfattivi, nel naso, e il cervello sono organizzate in modo diverso rispetto a quelle degli altri sensi, seguono se vogliamo una via più rapida e vanno dritte al nostro sistema limbico. Ecco perché le sensazioni olfattive sono capaci di provocare reazioni tanto forti e immediate: un odore può dare un brivido di piacere inebriante oppure essere così rivoltante da provocare il vomito. L’olfatto è, insieme al gusto e al sistema trigeminale, un senso chimico, cioè sono le molecole chimiche a fare da stimolo, così

come la luce stimola la vista, e le onde sonore l’udito. E siccome spesso le reazioni in risposta agli stimoli chimici sono viscerali, ecco in parte spiegato, semplificando certo, perché ci scuotono così tanto ma facciamo fatica a descriverle. C’è di più: mentre per gli altri sensi i ricercatori sono riusciti a ricostruire una mappatura della corteccia cerebrale che rispecchia l’organizzazione funzionale dei corrispondenti recettori sensoriali, nel caso dell’olfatto non se ne viene a capo. Di fatto capire come uno stimolo odoroso viene elaborato nella corteccia olfattiva – come fa il cervello ad “annusare” un odore – e descrivere la rete neuronale responsabile di questo processo, rappresenta una grossa sfida per molti scienziati. Un senso insomma sfuggente sotto tanti punti di vista. Particolarmente sfuggente, e intrigante, è poi il filo che lega l’olfatto a memorie e emozioni. Un’ipotesi possibile è che visto lo stretto legame, e parziale sovrapposizione, tra i circuiti cerebrali che codificano gli odori e quelli che processano le emozioni e la memoria, un evento venga “fissato” nella nostra testa in associazione all’odore percepito e, quindi, è facile che annusare nuovamente quell’odore non solo faccia ricordare l’episodio, ma rievochi lo stato d’animo ad esso associato. Di fatto accade più facilmente che quelle evocate siano sensazioni che, appunto, è poi difficile descrivere a parole. Questo legame è talmente forte che, secondo recenti studi, gli odori possono influenzare il tono emozionale perfino dei nostri sogni. D’altra parte «Il mondo è pesante e opaco senza sogni», diceva la scrittrice Anaïs Nin, e anche senza odori, aggiungerei.



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elle FRANCESCA FARUOLO

Le note di pelle, cuoio, camoscio in profumeria hanno una grande importanza e contribuiscono a creare una famiglia olfattiva vera e propria. Fanno parte di una macro-famiglia di odori detti “animalici” (non sono necessariamente di origine animale) e hanno tantissime sfumature, dall'odore di pelliccia, alla pelle umana, fino all'odore ambrato o a sfumature più torbide e fecali. Sospesi sulla sottilissima linea di demarcazione tra gradevolezza e disgusto, questi odori fanno parte da sempre della tavolozza dei profumieri, che come gli alchimisti trasformano il vile metallo in oro. Come ha brillantemente mostrato Alain Corbin (Storia Sociale degli odori, Mondadori 1986), la profumeria affonda le sue radici nella strenua lotta della nostra civiltà contro i cattivi odori. Ma in realtà l’arte del profumiere non consiste nell’eliminare un odore sgradevole, bensì nell’“acculturarlo” fino a renderlo in qualche modo apprezzabile, anche solo da fini intenditori e amanti delle cose meno ovvie. In Francia quest’arte si sviluppa parallelamente alla lavorazione delle pelli a cui si affianca per la necessità di placare l’intenso odore della concia. Nel XVI secolo nella zona di Grasse, in Provenza, si insediarono alcuni artigiani italiani che lavoravano le pelli e in seguito si riunirono nella fortissima Corporazione dei Maestri Profumieri e Guantai specializzandosi nella produzione di guanti profumati per l'aristocrazia parigina. Come racconta Annick Le Guérer in Le parfum: Des origines à nos jours (Odile Jacob, 2005) la lavorazione delle pelli si raffina a tal punto che i guanti francesi, in particolare quelli di Vendome, diventano così sottili da poter essere racchiusi in un guscio di noce. Il procedimento per la preparazione prevedeva il lavaggio del pellame in acqua pulita e poi diverse volte in acqua profumata di rose o di fiori d'arancio. In seguito la pelle veniva asciugata e tirata. Si procedeva quindi alla tintura e infine alla profumazione. I guanti, così si diceva, venivano “messi in fiore” in apposite cassette su letti di giunchiglie, giacinti, violette, rose, tuberose, mughetti. I fiori dovevano essere cambiati ogni 12 ore, e tra un cambio e l'altro i guanti erano messi a seccare per un'ora. Questo trattamento durava otto giorni consecutivi. Sulle pelli veniva anche stesa una miscela di gomma adragante

stemperata con acqua di fiori d'arancio e una spolverata di zibetto, muschio o ambra. Dopo questo trattamento i guanti profumavano come il fiore naturale. Alla vigilia della Rivoluzione Francese questo tipo di produzione viene messa in crisi dal costo sempre più alto del pellame e dalla moda dei guanti in tessuto. L'arte profumiera inizia così il proprio cammino di emancipazione dalla pelletteria mettendo a punto la tecnica dell'enfleurage per estrarre l'essenza dai fiori più delicata. La memoria dell’antico connubio con l’industria conciaria rimane però impressa nella profumeria che da allora non può più far a meno delle note associate al cuoio. Esse sono usate prima nelle fragranze maschili per sottolineare una certa virilità, l'amore per i cavalli e la vita all'aria aperta come in Royal English Leather di Creed (1781) inizialmente nata per profumare la pelle dei guanti di Re Giorgio III, o in Cuir de Russie di Guerlain (1878) che riprende l'odore della pelle impermeabilizzata con catrame di betulla usata dai soldati russi per i loro stivali, arrivando al raffinatissimo Knize Ten (1924) fragranza che porta il marchio della celebre sartoria viennese meta di tutti i gentleman degli anni folli. Successivamente, accenti di cuoio entrano nell'universo femminile, dapprima con Tabac Blond di Caron (1912) dove la nota cuoio, ottenuta con una sostanza di sintesi chiamata isobutilchinolina, contribuisce a evocare l'odore del tabacco virginia. E poi grazie a Cuir de Russie (1924) creato da Ernest Beaux per Chanel. Gli stivali da cosacco ora li indossano le donne. Sono gli anni dei balletti russi che portano in scena una nuova fisicità, brutale, sensuale, disturbante. La psicanalisi e il surrealismo fanno scalpore mostrando alla società benpensante richiami alla sessualità, al nostro lato istintivo, ai tabù e ai contenuti dell’inconscio. L'Africa Nera ha da tempo contagiato l'arte e la cultura, infiltrandosi tra le maschere di Picasso e i balletti di Joséphine Baker. Mentre le donne odorano più che mai di pelle e cuoio, grazie a profumi che interpretano il loro desiderio di sbarazzarsi di ogni stereotipo. E non è che l’inizio della storia. L’odore della pelle umana è da sempre soggetto a quel processo di travestimento, trasformazione e maquillage che investe la sfera del corpo. Il profumo, in questo senso, rappresenta una forma ancestrale ma anche molto contemporanea di body art funzionale non soltanto alle pratiche di seduzione, come spesso si crede, ma di esplorazione ed estensione dei propri confini corporei. È un sogno di metamorfosi attraverso cui possiamo sempre rinnovarci, cambiare pelle.


Q

preparazione di profumi da bruciare sotto forma di coni, conosciuti in passato, nei manuali dell’Ottocento, come “pastiglie odorifere”. Questa è la formula base:

uintessenza LUIGI CRISTIANO

Erborista fitopreparatore e profumiere è redattore della rivista “Erboristeria Domani” e autore di La nota gradevole. Storia naturale del profumo (Studio Edizioni, 2001). Per Apogeo-Urra ha pubblicato Viaggi e profumi (con Gianni De Martino, 2007), Prontuario per il corretto uso delle piante officinali (con Pedro Benjamin, 2008) e Piante cosmetiche. Guida all’uso, alla conoscenza e alla creazione di prodotti di bellezza naturali (Milano, 2011).

Nella filosofia greca e poi in alchimia, il termine rimanda a un principio intermedio tra anima e corpo, ben rappresentato dalla natura sottile e volatile degli odori e dei profumi. È come se il profumo fosse il portatore invisibile dell’essenza delle esperienze vissute e dei ricordi. Proust, ad esempio, nella sua sterminata Recherche sul filo dell'odore della famosa madelaine, racconta come in una fredda e grigia giornata d'inverno, portando alle labbra un cucchiaino di tè in cui aveva inzuppato un pezzetto di biscotto, nel momento in cui esso toccò il suo palato e ne percepì il profumo, avvenne in lui qualcosa di straordinario: si sentì invadere da un piacere delizioso, senza nozione della sua causa, che lo aveva colmato di un'essenza preziosa. In profumeria quintessenza è la denominazione usata in passato per indicare gli olî volatili, e in particolare gli olî essenziali ottenuti specialmente dai fiori per doppio processo di estrazione con solventi diversi (chiamati essenze assolute). Si parte da un’estrazione con solventi volatili (come, ad esempio, l’esano) e si ottiene la concreta. Successivamente questo prodotto subisce una seconda estrazione tramite alcool per ricavarne l’assoluta. Le assolute non contengono solo olî essenziali puri, ma anche sostanze varie non volatili in piccola parte. Il buon risultato del lavoro del profumiere-creatore consiste nell’uso di sostanze di qualità e nel loro trattamento. È consigliabile conoscere le materie prime anche dal punto di vista botanico e dei luoghi di provenienza, viaggiando nei paesi produttori di piante da profumo, anche per trarne suggestioni e ispirazioni nella composizione delle proprie fragranze. In un recente workshop presso l’Atelier di Smell Festival, riprendendo il genere più antico dell’arte profumatoria, ho proposto la

Resine in polvere 25 gr Erbe, legni, spezie 30 gr Carboncino (di legna più salnitro) 100 gr Essenze 5 gr Gomma arabica o adragante q.b. Queste invece sono le sostanze usate nell’ambito della formula base per comporre un accordo tipo Cypre: resine di benzoino Siam, mirra e lentisco ireos, licheni vesuviani, thuya berbera, storace nero, macis neroli, gelsomino, rosa, bergamotto, opoponaco, vaniglia, ylang-ylang. Il tutto va reso in polveri alle quali aggiungere poi la miscela di essenze e gomma arabica o adragante in soluzione acquosa. Si lavora la pasta così ottenuta e vi si dà la forma di conetti di 2 o 3 cm. circa. Si lascia asciugare per qualche giorno. Questa formula è alla portata di tutti perché al posto del carbone di legna e del salnitro (al 5%) delle formule tradizionali abbiamo utilizzato i carboncini per bruciare l’incenso facilmente reperibili in erboristeria.


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icerca GIOVANNI PADOVAN

Dopo una lunga attività nel settore dell'abbigliamento dove è stato anche ideatore di marchi e collezioni, dal 1990 si dedica alla selezione delle migliori fragranze artistiche per l’Antica Profumeria Al Sacro Cuore di Bologna che ha fondato insieme alla moglie Lia Lo Brutto.

Come definirebbe la profumeria “di ricerca”? Lo spiego con una storia. Alla fine degli anni Settanta era tornato di moda lo stile classico inglese e alcuni negozi usavano i profumi genere “Old England” come Penhaligon's, per le loro vetrine. Un mio cliente ebbe l'idea di allestire un corner dedicato ad alcune fragranze selezionate. Ho così potuto sentire il mio primo Creed: Zest Mandarine Pamplemousse. Sono stato pervaso da una sensazione magnifica: sentivo il profumo amaro e pungente del mandarino e del pompelmo con la loro buccia come se fossero stati davvero nella bottiglia. In quel momento ho capito che cos'è il profumo: un fluido che provoca emozioni. Lo scopo della ricerca nel settore del profumo (o lo scopo della profumeria di nicchia, se preferisci) è valorizzare prodotti di qualità che abbiano alle spalle creatività, impiego di materie prime di prima scelta e una buona etica di distribuzione. Da dove le viene la sua attitudine alla qualità e il suo rigore nella selezione dei prodotti? Come dicevo, il mio background è nel mondo dell'abbigliamento. Ancora mi piace tenere in tasca il contafili, uno strumento ottico che permette di analizzare la struttura della trama di un tessuto. Contando I fili puoi sapere se il tessuto è un Cotton Poplin 40x40 o 40x50, se è un Canvas o un Twill. Dietro questa lente di ingrandimento c'è un piccolo universo. Da qui il mio forte interesse per i dettagli. Nei primi anni '80 alcuni imprenditori iniziavano a riscuotere molto successo importando brand stranieri. Così fece Giancarlo Cei, per esempio, un cacciatore di tendenze e fondatore di WP Lavori in Corso, che scoprì grandi marchi storici come Barbour, e li rese celebri in Italia. Lavorare nel settore dell'abbigliamento era molto entusiasmante: da una parte grandi buyers ci permettevano di conoscere nuovi prodotti, dall'altro fronte c'era chi si occupava di ricerca tessile e innovazione nel design di abiti. Come produttore andavo spesso

ai docks di Montecarlo dove un americano stoccava montagne di abbigliamento vintage, prima che il vintage diventasse una moda. Rovistando in quelle pile, sfiorando il rischio di essere letteralmente sepolto vivo da una montagna di abiti, scoprivo modelli interessanti e motivi, come ad esempio la tasca interna di una giacca, che poi adattavo ai miei modelli. Da qui la mia passione per la ricerca. Come è avvenuto il passaggio alla profumeria? Alla fine degli anni '80 stava iniziando l'era della globalizzazione e sentivo che in pochi anni i piccoli negozi non specializzati sarebbero stati facilmente spazzati via dalle grandi catene di distribuzione. Nel 1985 a Londra avevo scoperto un bellissimo negozio che vendeva esclusivamente prodotti da bagno e soltanto per uomo. Mia figlia poi mi parlò di un negozio a NY dove si potevano trovare solo scarpe décolleté in centinaia di forme e colori diversi. Fui molto ispirato da questi modelli e convinsi mia moglie a trasformare la sua profumeria in un negozio specializzato dove non ci sarebbero stati cosmetici, ne' trucchi, ne' altri tipi di prodotto se non fragranze selezionate. Abbiamo iniziato con alcuni brand storici, prima di tutto Santa Maria Novella per la sua antica tradizione, ma anche Casswel Massey con la sua Colonia n.6, la preferita di George Washington. Presto scoprimmo che, nel 1984, Carlo Facchetti aveva aperto Profumo in via Brera, a Milano, che fu la prima profumeria di nicchia in Italia, a cui seguì la nostra. A differenza di noi, però, non vendeva un'ampia selezione fragranze, ma solo quelle che distribuiva: Comptoir sud Pacifique, Czech & Speake, Royall Lyme Bermuda e Mary Chess. Ho riconosciuto subito in Facchetti un maestro in questo settore. Lui ci ha presi per mano – e non soltanto noi – e ci ha accompagnati sulla strada della profumeria di nicchia. O di ricerca, come a me piace definirla. Lucio Dalla: lei lo conosceva e so che era un suo cliente assiduo. Si, amava le emozioni forti e spesso scherzavamo sull'idea di una nuova fragranza da realizzare insieme. La voleva chiamare Landra che in dialetto bolognese significa “sporco”. Provai a modificare il nome dandogli una sonorità francese tipo Landre, ma non ne voleva sapere. Se un giorno farò davvero il profumo, me lo immagino carico di forti contrasti. Era solo un gioco tra noi, ma d'altra parte, gliel'avevo promesso. (N.d.r. Padovan ha poi realizzato il profumo “Dallandra” per l’esposizione “Mai it come true: cinque sogni che si avverano” al Museo della Musica di Bologna nell'ambito della 5a edizione di Smell Festival.)


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ogni FRANCESCA FARUOLO

Una mattina di alcuni anni fa ho sognato di regalare a mio padre dell’essenza di neroli il cui profumo si sprigionava meravigliosamente intorno a noi nell'aria. Ricordo che la sensazione di essere avvolta da quella fragranza mi riempiva il cuore di gioia. Aprendo gli occhi, ancora immersa in quell’atmosfera, ho subito cercato di capire se per caso il sogno fosse stato condizionato da un profumo presente nella stanza. Invece non c’era alcuno stimolo reale, quella sensazione così vivida era stata provocata dalla mia immaginazione onirica. Qualche giorno dopo ho avuto il piacere di incontrare Michel Roudnitska e la sua compagna Paula in visita a Bologna in occasione di Smell Festival. Ci conoscevamo per la prima volta di persona e subito mi dissero di aver appena vissuto un'esperienza molto particolare. Camminando sotto i portici, verso il luogo del nostro appuntamento, entrambi avevano avvertito nell'aria un intenso profumo che sembrava venire dal nulla. Si trattava di Bois de Paradis, la fragranza creata da Michel per Parfums DelRae. Ecco un altro caso “fantosmia”, apparizione di odori che non esistono, stavolta non in sogno ma nella veglia. Un analogo episodio di fantasia odorosa mi è stato raccontato da una giornalista che da tempo segue le attività del Festival. Subito dopo aver appreso la brutta notizia del crollo di una palazzina a New York, forse per effetto di un istintivo coinvolgimento emotivo, questa persona ha avvertito in modo nitido l'odore di un bagnoschiuma alla mirra che era solita usare durante il periodo in cui aveva vissuto nella Grande Mela. Leggendo i libri di Oliver Sacks, come ad esempio Allucinazioni, ci si convince facilmente che cose del genere capitino solo in casi eccezionali e che vadano a iscriversi in una condizione patologica. Dalla mia esperienza, noto invece che le percezioni extrasensoriali sono più frequenti di quanto non si creda. E a volte sono chiaramente messaggi lanciati dal nostro inconscio. Mi sono interessata così al sogno olfattivo che rappresenta la forma più insolita di fantasia sensoriale. D’altra parte, se la mente rielabora nel sonno tutte le informazioni recepite durante la veglia, perché non anche gli odori e i profumi?

Nell’Interpretazione del sogni Freud si chiede come gli stimoli sensoriali possono influenzare l’attività onirica. Cita quindi l'unico studio fino ad allora compiuto in materia, quello di Alfred Maury passato alla storia per aver coniato il termine "allucinazione ipnagogica". Nel libro Il sonno e i sogni (1865) Maury riporta un esperimento compiuto su se stesso. Chiese a un assistente di fargli annusare dell'Acqua di Colonia durante il sonno e, una volta sveglio ricordò di aver sognato di trovarsi al Cairo nella bottega di Giovanni Maria Farina, il produttore dell'Acqua di Colonia. Nella realtà Farina non aveva una bottega al Cairo, ma l'Egitto è “terra d'aromi” perciò l'associazione è molto interessante. Dalla sua esperienza personale Maury trasse la conclusione che gli odori percepiti mentre dormiamo possono effettivamente influenzare i contenuti dei sogni. Questa ipotesi non è però avvallata dalla scienza. Alcuni ricercatori ritengono che l'olfatto si addormenti insieme a noi durante il sonno (Carskadon M., Herz R.S., 2004) e perciò la percezione degli odori è debolissima. Un altro studio (Stuck et al. 2007) dimostra invece che i profumi possono addirittura “colorare” i nostri sogni. Per quanto riguarda la capacità di sognare gli odori, una ricerca del 1999 (Hurovitz C., Dunn S., Domhoff G. W., Fiss H.) rileva come che i sogni olfattivi sono più ricorrenti in soggetti ciechi, specie in quelli che hanno perso la vista da piccoli. Lo studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Dresda (Weitz H., Croy I., Seo H. S., Negoias S., Hummel T., 2010) si è concentrato invece sull'apparizione di fantasie olfattive durante il sonno dimostrando che i sognatori di odori sono quelli che nella vita di ogni giorno sono più sensibili a questi stimoli, e hanno anche una capacità maggiore di riconoscere e nominare gli odori. Questi risultati sembrano contraddire il parere di chi sostiene che: «Non possiamo richiamare odori con la nostra volontà in assenza dello stimolo reale così come facciamo con le immagini visive o uditive» (Engen T., Odor, sensation and memory, 1991). I sogni olfattivi testimoniano dunque la capacità della nostra mente di richiamare la sensazione di odori non presenti qui e ora. Sono convinta che tutti noi possiamo sognare profumi, oltre che immagini e suoni ma, proprio come alcuni studi hanno evidenziato, lo sviluppo di questa facoltà dipende dalla nostra attitudine a sentire e processare gli odori nella vita di ogni giorno. Man mano che acquisiamo una maggior sensibilità olfattiva, ci accorgiamo di poter percepire i profumi anche “con il naso della mente”, presupposto essenziale per iniziare a sognare “in odorama”.


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rance GIANNI DE MARTINO

Giornalista e scrittore, ha esordito nella narrativa con Hotel Oasis (Arnoldo Mondadori Editore 1988). Ha pubblicato in seguito i saggi Odori (Urra-Apogeo 1997, 2006), I Capelloni (Castelvecchi 1997), Arabi e noi (DeriveApprodi, 2002), Viaggi e profumi (Apogeo, 2007), Capelloni & Ninfette (Costa & Nolan, 2008).

Negli studi sui rituali sciamanici e della liturgia di varie religioni, l’attenzione degli studiosi di solito è posta sulla funzione che vi svolgono invocazioni, danze, suoni e colori, meno sull’uso dei profumi tramite fumigazioni. In numerosi casi sono veri e propri vapori allucinogeni in grado di provocare stati modificati di coscienza. La pratica di bruciare vegetali aromatici, legni o resine intorno al focolare e poi altari sacrificali separati, evoluti per consentire rituali sempre più formalizzati centrati sui misteri delle fiamme, è un culto attestato in tutte le civiltà. Plutarco, ad esempio, attribuisce le estasi profetiche dei preti di Delfo alla presenza dello pneuma enthusiastikon, descritto come «un odore fragrante». Probabilmente nel manteion (camera profetica) venivano usate solanacee come Datura stramonium, o forse Cannabis, il cui impiego tramite fumigazioni in apposite tende era già attestato presso gli Sciti. Per gli antichi Egizi il paradiso è descritto come un mondo impregnato di profumi e sostanze cosmetiche. E la divinità dei profumi era Nefertum, verdeggiante signore degli oli e degli unguenti, descritto come «l'anima invisibile e fragrante della vita», ovvero la “parte pura” di Osiride, che era invece “il corpo delle piante”. L’emblema posto sul capo del Divino Adolescente Nefertum (Nefer-Tem, o Nefer-Atum o Nefer-Ra), personificazione del profumo della Ninfea Primordiale (sšn) attraverso la quale sorge la luce della prima aurora, era il loto blu (Ninphea caerulea). Questa pianta aromatica è visibile anche nelle scene di spremitura, in un panno di lino che viene torto strettamente da alcune fanciulle con l'aiuto di due bastoni, sopra un vaso destinato a raccoglierne il succo profumato, come si faceva anche con i gigli e altri tipi di fiori premuti come uva. Proprio tale metodo di estrazione dell'essenza di Ninphea caerulea, a differenza della distillazione, conserva e fa precipitare nel profumo anche gli alcaloidi contenuti nel fiore stesso e nei

rizomi di loto (la nufarina, la nufaridina e la nucoferina), che poteva provocare allucinazioni e sogni vividi, specialmente se aggiunto in piccole quantità a una coppa di vino. «Non c’è fumo senza dei», osserva Roberte Hamayon in uno studio sui rituali di fumigazione con vegetali aromatici presso gli sciamani Buriati (“L’Ethnographie” n. 74-75,1977). L’etnologo francese citava specialmente fumigazioni di serpillo (una specie di timo), scorze dell’abete rosso, bacche di ginepro. Questi vegetali aromatici svolgono un ruolo di purificazione nello sciamanesimo siberiano. Svolgono anche un ruolo di emblema e possono rendere esseri e cose atte a stabilire un contatto con il sovrannaturale. La purificazione tramite fumigazioni di serpillo, bacche di ginepro, scorze di abete e altri legni, si trova anche nei rituali del buddhismo del Tibet, il vajrayana. Il ginepro usato come un incenso induttore di trance è il Juniperus recurva, un arbusto diffuso in Medioriente e in Asia centrale. La pianta era tenuta in alta considerazione da Zoroastro che la chiamava theopnoen, cioè “soffio, respiro divino”. Anche l’incenso ricavato dalla Boswellia e in uso ancora oggi nella liturgia della chiesa cattolica e ortodossa ha effetti psicoattivi dovuti all’incensolo acetato, i fitosteroli e altre molecole sprigionate nei vapori che si formano durante la pirolisi della resina di Boswellia. Nel mio studio I profumi della notte Ghnaua per la rivista “Altrove” n.3, ho individuato per la prima volta, grazie all’erborista-profumiere Luigi Cristiano e al compianto Georges Lapassade, noto all’Università di Parigi VIII come “il professore della trance”, i vegetali aromatici che vengono usati ancora oggi in un rituale di possessione nordafricano: la derdeba dei Ghnaua del Marocco. Oltre alla resina di benzoino, vengono bruciati in un braciere chiamato ajajà i semi di ruta siriaca (Peganum harmala) il cui fumo produce un effetto leggermente ipnotico. Le fumigazioni segnano il passaggio dalla fase profana a quella sacra del rituale. Solo dopo le fumigazioni, la harraba, lo spazio in cui si verificheranno le possessioni, è considerato “aperto”. Oltre a danze e suoni, sono dunque i vapori allucinogeni a favorire la trance e ad evocare la strana sensazione del “paradiso in terra”. Quando si studiano i vegetali in uso nei rituali, prima o poi spunta qualche pianta aromatica che porta altrove, cioè a una zona intermedia tra uomini e dei, terra e cielo, corpo e spirito, dando l’impressione, se non la concreta e lampeggiante percezione, della presenza di qualcosa di bello, di buono, di fragrante e di eternamente giovane e integro, fuori del tempo e dello spazio.



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nguenti ERIKA MADERNA

Laureata in Etruscologia e Archeologia Italica, si è appassionata alla storia della cosmesi antica e agli aspetti simbolici degli aromi, pubblicando Antichi segreti di bellezza (Aldo Sara Editore, 2005) e Aromi sacri Fragranze profane (Aboca Edizioni, 2009). L’ultimo libro, Medichesse (Aboca Edizioni, 2012), è un omaggio al contributo straordinario delle donne al sapere medico, erboristico e cosmetico.

Nell’immaginario comune il profumo è materia evanescente: per la sua natura volatile è messaggero dell’ineffabile, metafora di ciò che è fuggevole, impalpabile, inesprimibile. Nell’antichità tuttavia il profumo, inteso come prodotto cosmetico, non era nulla di tutto ciò: era invece, a tutti gli effetti, un unguento. Dalla consistenza più o meno pastosa, ma spesso una vera e propria pomata odorosa. Questo vale per il Mediterraneo preclassico e classico, in epoche che ancora ignoravano la tecnica della distillazione, che sarà introdotta in Europa dagli Arabi solo intorno al IX secolo. Le fonti in realtà ci raccontano di come rudimentali forme di distillazione fossero state sperimentate già dagli Egizi, che sottoponevano erbe officinali e fiori ad ebollizione all’interno di un contenitore ricoperto di tessuti impregnati di grasso. L’aroma, rilasciato per evaporazione durante la cottura, veniva “catturato” e fissato nel tappo untuoso, che al termine della bollitura veniva raschiato via e conservato in vasi chiusi, pronto per l’uso. Accanto alla fragranza vera e propria, ricavata da fiori, erbe, frutti o resine, l’ingrediente fondamentale del profumo era la base grassa. Questa poteva avere origine animale (grasso di bue, d’oca, di pecora, più adatti per confezionare pomate dense), tuttavia gli unguenti più raffinati richiedevano di preferenza oli vegetali. Accanto a quelli di mandorle amare, di ricino, di semi di lino e di sesamo, all’olio d’oliva spettava senza dubbio un ruolo d’elezione. In particolare quello detto omphacium, frutto della spremitura di olive ancora immature, colte nel pieno dell’estate, che aveva la resa migliore in profumeria. Il metodo più comune prevedeva la macerazione delle fragranze in olio, riscaldato a fiamma dolce a bagnomaria o semplicemente esposto ai raggi del sole. Un procedimento simile, chiamato infioraggio, permetteva di raggiungere la saturazione aromatica a

freddo, tramite la messa a bagno di fiori che venivano sostituiti in un avvicendamento di nuove immersioni, fino a conseguire la “gradazione odorosa” desiderata. In presenza di materie prime di consistenza succosa era inoltre possibile applicare la tecnica della spremitura, per ricavare il succo di frutti o fiori tramite strizzatura all’interno di un panno avvolto. Al prodotto ottenuto si aggiungevano gomme o resine quali la mirra, l’incenso o la resina di pino, che fungevano da fissatori, rallentando il processo di evaporazione delle essenze. La presenza di sale, infine, consentiva una migliore conservazione. Proprio in virtù della sua densità, il profumo antico è stato protagonista di una ricchissima semantica che ruota intorno alla sua presunta valenza incantatoria e protettiva, che è parte fondamentale della storia antropologica e sociale degli aromi. Nella mentalità arcaica esso era in grado di isolare l’individuo dai pericoli esterni, fisici e psichici, creando, come una pellicola protettiva, una sorta di campo magnetico tale da sollecitare il vigore corporeo, moltiplicandone le potenzialità. Dopotutto, la funzione del profumo fu cultuale prima ancora che cosmetica. Utilizzato in origine per allietare i nasi degli dèi nei riti sacri, in una dialettica di corrispondenze divenne solo in un secondo momento strumento di salute e di bellezza per il corpo, al quale era in grado di offrire beneficio attraverso l’attivazione delle specifiche azioni magiche e farmaceutiche proprie degli aromi. Nella dimensione del corporeo prendeva sostanza la metafora del “luogo sacro”, che si rispecchiava in una riproposizione fisica del tempio. L’unzione come rito di consacrazione, che sopravvive ancora oggi nella liturgia cristiana dei principali sacramenti, affonda le sue radici in questa antichissima storia simbolica.


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eleno ERMANO PICCO

Da sempre affascinato dal senso dell'olfatto, nel 2003 è stato uno tra i primi membri italiani di Basenotes, per poi avviare una collaborazione con Perfumecritic.com. Nel 2010, inaugura il blog La Gardenia nell'Occhiello riscuotendo consensi sia dagli operatori del settore che tra gli appassionati italiani ed esteri.

L'origine della parola, dal latino venenum, è legata a Venere e fa capire subito quale sia il suo immenso potere seduttivo. Decotto di piante magiche, il veleno era inizialmente un filtro amoroso i cui effetti, come la passione labilmente sconfina in gelosia, presto da benefici diventano venefici. Così il profumo, respiro degli dei per gli antichi egizi, estrae la dolcezza suadente dei fiori per promettere bellezza a chi lo porta, e per celare, come fa l’oleandro dietro ai suoi petali fragranti di costiera, la linfa intossicante del desiderio. Eros e Thanatos abbracciano veleni ed essenze in un’illusione pericolosa che per secoli ha avvinto profumieri e alchimisti con la stessa curiosità con cui, sulla scena del crimine, si indaga se l’odore di mandorle amare sia imputabile al cianuro o alla scia di benzaldeide lasciata da una donna. Nel dubbio, cherchez la femme! Profumi e veleni infatti sono indissolubilmente legati a due donne, Lucrezia Borgia e Caterina de Medici che hanno contribuito a diffondere nelle corti europee del Rinascimento l’arte, fino ad allora tutta italiana, della profumeria. Proprio quel Renato Bianco, noto come René le Florentin, volle porre a Grasse la culla della profumeria dove si trova ancora oggi. Alimentata dalla penna di Dumas e Balzac, la leggenda nera di Caterina narra che fu lui a creare dei guanti avvelenati di pelle profumata da donare a Jean d’Albret, Regina di Navarra. Il fascino crudele di questo regalo molti secoli dopo ispirerà Jean Laporte con Maître Parfumeur et Gantier, Pierre Guillaume con il profumo Cuir Venenum, o Guerlain e Artisan Parfumeur coi loro guanti profumati. Una duplice natura celeste e demoniaca scorre anche nelle preparazioni di Giovanventura Rosetti di gran voga durante la Serenissima. Nel suo Notandissimi Secreti dell’Arte Profumatoria (Venezia, 1555), fra acque, ogli e paste, troviamo gli antidoti per

ogni sorta di veleno e la descrizione della natura dicotomica delle piante, del curativo affidato alle parti esposte alla luce, opposto al velenoso elaborato dall’apparato radicale, il cui equilibrio è l’essenza della vita stessa. Ancora oggi questa malia del sottosuolo distilla sentori da funghi mortali come il Musc di Bruno Acampora, sottili veleni come Ormonde Jayne Man basato sull’essenza di cicuta e filtri intossicanti come Sulphur di NU_BE. Il XIX secolo vede la nascita della profumeria contemporanea con la scoperta delle molecole di sintesi fra cui proprio la benzaldeide. Ciò che darà grande impulso però alle creazioni sarà la scoperta degli iononi dall’odore di violetta. Le sfumature verdi e viola che un secolo dopo vestiranno un celebre profumo, tingono il cuore di composti sintetici come l’Iralia di Firmenich. Così ad inizio ‘900 lo stesso aroma di viole che uccide Adriana Lecouvrier mentre canta Poveri Fiori rende vezzosa la Violetta di Parma di Borsari e tinge d'impertinenza L’Origan di Coty. Oggi potremmo immaginare Adriana cadere per la violetta malvagia e ben candita di Feminité du Bois (Serge Lutens) ma, suggestioni olfattive a parte, nell'ultimo ventennio l'attenzione per la possibile tossicità delle materie prime usate in profumeria è diventata maniacale. Il legislatore europeo e l'IFRA (International Fragrance Association) hanno imposto misure preventive così stringenti che rischiano di diventare il vero veleno alla creatività. Il paradosso è che questo allarmismo ha spinto il mercato a cavalcare il mito della profumeria naturale, ignaro del fatto che la natura stessa ci dona i veleni più potenti e meravigliosi. Solo l'arte, combinando natura e artificio, ha potuto regalarci il veleno che ha cambiato radicalmente l'estetica del profumo: Poison di Christian Dior. Il profumiere Edouard Flechier ha saputo iniettare in quella mela fiabesca tutta l'ispirazione di Paul Valéri per cui «il profumo è il veleno del cuore» mischiando l'edonismo anni '80 ed un pizzico di volgarità alla tuberosa, altro fiore venefico il cui odore per Elisabeth de Feydeau «è potente, ossessivo e perciò sgradevole. È un odore di corruzione elaborato attraverso l’acidità, un odore di umidità candita, di nettare velenoso, un odore feroce e affascinante ed i profumieri se ne servono con parsimonia».


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en ANTONIO GARDONI

Architetto con studio a Brescia, Londra e Pechino ha creato il progetto BOGUE-profumo che consolida l'attività dei profumi su misura. Eau d'E, Cologne Reloaded e MAAI sono i suoi primi profumi in edizione limitata. Ha creato la BOGUE-mask, innovativo oggetto per annusare, e installazioni dedicate al rapporto fra olfatto e spazio.

Che cos'è lo Zen? Una risposta: Inayat Khan racconta una storia indù di un pesce che andò dalla regina dei pesci e domandò: «Sento sempre parlare del mare, ma che cos'è e dov'è questo mare?». La regina dei pesci rispose: «Tu vivi, ti sposti e hai la tua esistenza nel mare. Il mare è dentro di te e fuori di te, e tu sei fatto di mare, e finirai nel mare. Il mare ti circonda come il tuo proprio essere». Un'altra risposta: non basta guardare la natura, non basta conoscerla ed estrarne i fluidi più preziosi, bisogna essere natura. Questo sembra insegnarci lo Zen dell'olfatto: essere l'aroma, sentire sé parte del processo nel quale il profumo si manifesta, diventare un unica cosa con ciò che si è, con ciò che chi si usa e con la materia di cui siamo fatti e dalla quale siamo circondati. Ho imparato a conoscere le piante e gli alberi maneggiandone gli esemplari più piccoli e fragili. La conoscenza dell'arte del Bonsai mi ha fatto scoprire il significato di avere letteralmente in mano un albero in tutte le sue parti, ognuna con un senso e ognuna con un odore specifico (Mumon, La porta senza porta, Milano, Adelphi, 1987). Un discepolo chiese al suo maestro come raggiungere l'illuminazione. «È molto semplice – rispose il maestro – Per raggiungerla devi fare esattamente quello che fai ogni mattina per far sorgere il sole». Il discepolo dopo lunga riflessione concluse che in fondo non faceva assolutamente nulla. «Ma allora a che scopo studiare la calligrafia, il Kendo, il tiro con l'arco, l'Ikebana, la preparazione dei bonsai e tutto il resto?» chiese al maestro. «Affinché, quando sorge il sole, tu abbia realmente gli occhi ben aperti» (Alejandro Jodorowsky, Il dito e la luna, Milano, Mondadori, 2009). È il fiore di questa rosa che profuma così? O questo profumo nasce da tutta la rosa, dal luogo in cui si trova e cresce, dal suo avere foglie, spine, rami e radici?

Da questa curiosità ho cercato di ricostruire le piante attraverso il loro odori. Dallo Zen cerchiamo di imparare l'enigma del processo in quanto fine e dimentichiamo lo scopo che è punto morto e termine. «Coglierla, che peccato! Lasciarla, che peccato! Ah, questa violetta!» (Haiku giapponese del diciannovesimo secolo). Dal Kendo ho imparato che cosa significa Via (Via della spada) e ho imparato il significato di vuoto come tutto e come totalità. L'esercizio nella sua ripetizione, la relazione con sé, con le cose e con l'altro, la fatica che si dimentica attraverso la fatica. Ho conosciuto un cipresso, un cespuglio di rose, un albero di magnolia e un cedro del Libano. Li ho trovati nel giardino dell'antica casa di campagna dei miei nonni e sono entrato in relazione con loro nel tempo e con il tempo. Ho distillato le loro radici, la corteccia, i rami e le foglie, ho estratto il profumo dei fiori e lasciato in infusione semi e bacche. Ogni pianta, ogni albero ha per me un nome e la conoscenza, la relazione è diventata così profonda da non aver più bisogno di chiamarsi per nome. Ho ricostruito ognuna di queste piante cercando di capire le proporzioni delle parti, quante radici vi ancorano al suolo e vi nutrono, quanti rami sono cresciuti sulle vostre braccia, quali foglie vi hanno abbandonato e nutrito, quali vi sono rimaste fedeli? La magnolia è diventata più verde, la rosa è anche l'odore della sua terra, il cipresso ha conosciuto l'acqua e il grande cedro si confonde con gli uccelli che lo visitano. «Ciò che viene definito desiderio non comporta semplicemente l'amore per la ricchezza o la cupidigia d'oro e d'argento. Desiderio è vedere i colori con l'occhio. Desiderio è udire i suoni con l'orecchio. Desiderio è odorare i profumi con il naso. Desiderio è far nascere anche un solo pensiero» (Takuan Sôhô, Lo zen e l'arte della spada, Milano, Mondadori, 2001). Il termine giapponese Ki viene solitamente tradotto in italiano come “energia”, ma preferisco la traduzione tedesca con il termine fluidum e indica il soffio vitale, l'animazione o l'energia propria di qualsiasi ente. In ogni arte per raggiungere la maestria è necessario cogliere l'essenza del Ki ed esercitarsi a dirigerlo, incrementarlo e raffinarlo. Così nell'arte del profumo il fluidum. Non si può parlare dello Zen e se lo si conosce la risposta è muta. Se esiste una relazione fra Zen e profumo questa è forse la relazione che esiste fra un sasso e un fiume. «Quando il pesce è nell'oceano, l'oceano è infinito. Quando l'uccello è nel cielo, il cielo è infinito.» (Haiku giapponese del diciannovesimo secolo)



INDICE Prefazione

MUSICA

ARS AMANDI

NATURA

BAMBINI

OLFATTO

Francesca Faruolo

Francesca Faruolo Giovanni Smmarco

Clara Cavinato

Anna d’Errico

COPYRIGHT

PELLE

Christophe Laudamiel

DESIGN

Francesca Gotti

EDEN

Michel Roudnitska

FUTURO

Jenny Tillotson

Francesca Faruolo

QUINTESSENZA Luigi Cristiano

RICERCA

Giovanni Padovan

SOGNI

Francesca Faruolo

GOURMAND

TRANCE

HAND MADE

UNGUENTI

Marco Valussi

Gianni de Martino

Roberto Dario

Erika Maderna

INVISIBILE

VELENO

Renata Ashcar

LUSSO

Bernard Bourgeois

Ermano Picco

ZEN

Antonio Gardoni

E




L

o Smellavolario è un libro imbevuto di odori,

essenze, aromi che trova la sua ragion d’essere nel piacere di attraversare una materia affascinate e ancora poco conosciuta. Questo insolito dizionario del profumo vi trascinerà in un volo “pindarico” da un argomento all’altro, dall’Ars amandi allo Zen, esplorando i confini, le pratiche, le potenzialità creative di una sfera sensoriale, quella olfattiva, che avrà un ruolo sempre più importante nella cultura del XXI secolo.

E

Smell

FESTIVAL DELL’OLFATTO


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