Perugia Social Photo Fest 2014

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“Resisto” è il concept su cui ruota il PSPF 14. Una parola semplice ma di forte impatto che si basa sul concetto psico-sociale della “resilienza”. La resilienza viene vista come la capacità dell’uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e trasformato positivamente. Le persone resilienti non sono dei supereroi, ma solo individui che hanno trovato in se stessi, nelle relazioni umane, nei contesti di vita, gli elementi e la forza di continuare a progettare il proprio futuro a dispetto di avvenimenti destabilizzanti, di condizioni di vita difficili, di traumi anche importanti. Nell’ambito della prospettiva psicosociale il concetto di resilienza è utilizzato anche in riferimento ai gruppi e alle comunità per indicare una condizione che amplifica la coesione dei membri fortificando le risorse vitali di coloro che ne sono coinvolti. Per coltivare l’umanità bisogna essere legati agli altri esseri umani e riconoscerli.

La fotografia di copertina è di Myriam Meloni

orari di apertura delle mostre martedì domenica ore 10:00 19:00 biglietti intero € 6,50 ridotto a € 5,00 (ragazzi da 14 a 25 anni, gruppi sopra le 15 unità, convenzionati Touring Club Italiano, ICOM, FAI) ridotto b € 3,00 (ragazzi da 6 a 13 anni) gratuito (disabili e un accompagnatore, giornalisti accreditati) Il biglietto comprende l’accesso a tutte le collezioni e le mostre di Palazzo Penna e l’accesso alla sede espositiva Ex Fatebenefratelli dove è allestita la mostra “Sensational Umbria” di Steve Mc Curry.

info palazzo della penna: 075.5716233 - palazzopenna@sistemamuseo.it info pspf: info@perugiasocialphotofest.org


VENERDÌ

14

NOVEMBRE

ore 18:00 palazzo penna salone di apollo

vernissage � presentazione del festival e aperture mostre Saranno presenti Irina Popova e Jay Sullivan ore 19:30 palazzo penna salone di apollo

foto: Gina Alessandra Sangermano

VI PRESENTO GINA - narrazione per voce e immagine fotografie Gina Alessandra Sangermano voce Loredana De Pace con la collaborazione di vocabolomacchia teatrostudio, verdecoprente festival, leo scagliarini e gilles dubroca

Gina Alessandra Sangermano

è una vulcanica fotografa di origine calabrese. Dal mondo dell’immagine, nel corso della sua vita ha preso tutto, ma ha anche dato tutto. In questa narrazione per fotografia e voce i suoi scatti, i suoi scritti ci condurranno alla scoperta del densissimo rapporto instaurato dall’autrice con il mondo e con se stessa, attraverso la fotografia.

Loredana De Pace

Giornalista pubblicista specializzata in fotografia, scrive per testate di settore e per diversi media on-line come artapartofculture.net e themammothreflex.com. Come fotografa ha al suo attivo numerose esposizioni collettive e personali. Fra queste ultime il progetto Ecuador: il piccolo gigante. Membro di giurie di premi nazionali e internazionali, partecipa alle letture di portfolio, cura progetti fotografici ed espositivi. È sua la curatela della mostra fotografica A Flower Revolution di Paolo Belletti (dal 10 al 28 settembre 2014, Palazzo Incontro, Roma). Da alcuni mesi si occupa dell’archivio di Gina Alessandra Sangermano. Cittadina del mondo, non può fare a meno di cercare sinergie con Madre Natura e costruire connessioni culturali in ambito fotografico. Info: www.loredanadepace.it


SABATO

15

NOVEMBRE

ore 10:00 13:00 palazzo penna salone di apollo

L’arte di resistere

foto: Antonello Turchetti

La resilienza è la capacità dell’uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e trasformato positivamente. Le persone resilienti non sono dei supereroi, ma solo individui che hanno trovato in se stessi, nelle relazioni umane, nei contesti di vita, gli elementi e la forza di continuare a progettare il proprio futuro a dispetto di avvenimenti destabilizzanti, di condizioni di vita difficili, di traumi anche importanti. Nell’ambito della prospettiva psicosociale il concetto di resilienza è utilizzato anche in riferimento ai gruppi e alle comunità per indicare una condizione che amplifica la coesione dei membri fortificando le risorse vitali di coloro che ne sono coinvolti. L’arte di resistere o resistere attraverso l’arte?

INTERVENTI Dott.ssa Rosella De Leonibus Psicologa – Psicoterapeuta Dott.ssa Alessandra Clemente Assessore alle politiche sociali Comune di Napoli Mario Gelardi Fabio Venditti Dott. Salvatore Bruno

Dott. Luca Bizzarri Ufficio Servizio Giovani Ripartizione Cultura della Prov. Autonoma di Bolzano Silva Rotelli Fotografa e Psicologa Don Tonio Dell’Olio

La resilienza e l’arte Il Clan degli artisti

Autore, regista teatrale e direttore artistico del Nuovo Teatro Sanità (Teatro) Giornalista e regista, fondatore di Socialmente Pericolosi (Cinema) Pedagogista, Coordinatore del centro di educativa territoriale di Scampia e fondatore di Terra ‘e Scampia (Musica) Festival delle Resistenze Contemporanee – Bolzano

Presentazione progetti fotografici per il Festival delle Resistenze contemporanee di Bolzano Associazione Libera


DOMENICA

16

NOVEMBRE

ore 18:00 20:00 palazzo penna salone di apollo

Evoluzione del reportage. Dall’approccio alla costruzione

foto: Paolo Marchetti

Il reportage è un genere fotografico tra i più conosciuti. La parola “reportage”, di origini francese, significa letteralmente “riportare”, nel senso di “raccontare”.

INTERVENTI Fausto Podavini Paolo Marchetti Giovanni Cocco

Tre visioni diverse della fotografia di reportage

Umberto Verdoliva Vinicio Drappo

Collettivo Spontanea. La Street Photography


martedì

18

NOVEMBRE

ore 18:00 20:00 sala dei notari piazza iv novembre

Emergency – When the others go away

foto: Simone Cerio

Nella sua terza edizione il Perugia Social Photo Fest vuol dare voce e sostanza ad un tema quanto mai attuale, la resilienza intesa come capacità di sostenere il peso di situazioni avverse unita alla volontà di uscirne mai sconfitti ma addirittura rinforzati. La preziosa partecipazione di EMERGENCY ci permette di portare all’attenzione del pubblico, attraverso il racconto dei protagonisti, la forza delle persone colpite dalla guerra di recuperare la propria dignità di individui grazie al sostegno medico e progettuale degli operatori impegnati nelle zone dei conflitti. Resistere alle mutilazioni, alle perdite, al dolore ed avviare un nuovo cammino di vita, questo il percorso delle vittime; resistere alla fatica, ai disagi, ed accettare consapevolmente di mettere a disposizione se stessi e la propria professionalità, questo il percorso degli operatori di EMERGENCY. Siamo certi che entrare in quel mondo, sospeso tra il quotidiano e l’inimmaginabile, permetterà a tutti noi di comprendere, seppur solo in parte, quanto lo sforzo degli uni e degli altri attribuisca alla resilienza il suo più profondo significato quale condizione che amplifica la coesione dei membri di una comunità fortificando le risorse vitali di coloro che ne sono coinvolti.

EMERGENCY

w w w . e m e r g e n c y. i t

INTERVENTI Carla Casciari Paolo Grosso

Simone Cerio

Assessore Welfare e Istruzione Regione Umbria Anestesista, direttore del dipartimento di emergenza e urgenza e del dipartimento di anestesia e rianimazione del Policlinico di Monza, ha svolto numerose missioni per EMERGENCY in Afghanistan, Iraq, Sierra Leone, Sudan, Libia e Cambogia. È membro della Medical Division – Board di Anestesiologia e Terapia Intensiva. In questo ruolo si occupa della formazione degli anaesthesia nurses dell’organizzazione e della gestione delle attività di Anestesia e Terapia Intensiva negli ospedali di EMERGENCY. Nato a Pescara nel 1983. è un giovane reporter italiano rappresentato dall’agenzia di fotogiornalismo Parallelozero dal 2010, specializzato in fotografia documentaria e linguaggi multimediali, con cui realizza soprattutto progetti a lungo termine. Vincitore del Perugia Social Photo Fest 2014, collabora con importanti riviste nazionali ed internazionali. Ha esposto in Italia e all’estero.


MERCOLEDÌ

19

NOVEMBRE

ore 18:00 20:00 palazzo penna salone di apollo

E corrono ancora. Storie di donne, maternità e fotografia

foto: Gisella Congia

Nella vita di una donna la maternità rappresenta un momento di profondi cambiamenti nel suo assetto mentale, psicologico, fisico e relazionale. La fotografia come strumento per indagare le esperienze e le difficoltà legate all’essere madre

INTERVENTI Dott.ssa Tiziana Luciani

Dott.ssa Gisella Congia Giovanni Presutti e Dott.ssa Claudia Ravaldi psichiatra psicoterapeuta Camilla Urso

Psicoterapeuta e autrice del libro “E corrono ancora – storie italiane di donne selvagge” Presentazione del progetto “Chiaroscuri nella maternità” Presentazione del progetto “Piccoli principi” Presentazione del progetto “Esilio – Genealogia della madre”


giovedì

20

NOVEMBRE

ore 18:00 20:00 palazzo penna salone di apollo

European Dream | Road to Bruxelles

foto: Alessandro Penso

Centinaia, migliaia. Nascosti nelle aree industriali abbandonate che circondano il porto di Patrasso, nella vecchia stazione in disuso nel centro di Corinto, nei ‘buchi urbani’ che punteggiano il paesaggio di Atene ferita dalla crisi. Sono i ragazzi, alcuni giovanissimi, che ho seguito in questo lavoro. Arrivano dopo viaggi disperati dalle guerre che negli ultimi anni hanno martoriato i loro paesi. La guerra però, per loro, non è stata che l’inizio della tragedia. Coloro che provengono dal Medio Oriente e dall’Asia centrale tentano di raggiungere l’Europa attraverso la sua porta orientale, la Grecia. Qui restano bloccati, tra controlli di sicurezza sempre più aspri e un razzismo dilagante che spesso degenera in violenza neonazista. Per molti c’è la speranza di poter ricostruire una vita impossibile da vivere nel paese d’origine. I ragazzi afgani, giovanissimi, che ho incontrato, fuggono dalla militarizzazione forzata praticata dai talebani in Afghanistan, successivamente dalla guerra che ha coinvolto il paese nel 2001. Molti altri, in fuga dal rovente Nordafrica in rivolta, con l'obiettivo di potersi vedere riconosciuti i diritti negati dalla radicalizzazione della violenza nei paesi di provenienza. Persecuzioni a causa di motivi religiosi, etnici, di opinione politica potrebbero far ottenere loro lo status di rifugiati nei Paesi dell’Unione, ma certamente non in Grecia. Per questo motivo sono costretti a nascondersi, perché un’eventuale schedatura da parte della polizia greca significherebbe la fine del sogno di un’accoglienza sicura in Europa. Lo dice il regolamento di Dublino, la legge Ue sulla competenza in materia di concessione dell’asilo, secondo cui il primo Stato in cui si viene identificati è quello a cui spetta il diritto e il dovere di decidere se concedere lo status di rifugiato o meno, indipendentemente da dove viene presentata la domanda.

INTERVENTI Alessandro Penso

Antonio Carloni

Alessandro Penso è profondamente impegnato nel sociale, e negli ultimi anni si è concentrato sul tema dell’immigrazione nel Mediterraneo, in particolare sui centri di detenzione a Malta, sulla situazione dei lavoratori migranti nel settore agricolo nel sud Italia, e sui giovani bloccati in un limbo in Grecia. Vincitore di numerosi premi tra cui PDN Photo Student Award, il PDN Photo Annual Award, Px3, il Project Launch Award in Santa Fe nel 2011, il Terry O’ Neill TAG Award nel 2012 ed il Sofa Global Award nel 2013. Nel 2013 Alessandro ha vinto il primo premio General News Singles al World Press Photo e ha ricevuto un finanziamento dalla Magnum Foundation Emergency Fund per il progetto “Refugees in Bulgaria”. Fondatore e direttore del festival “Cortona on the move”


VENERDÌ

21

NOVEMBRE

ore 09:00 18:00 sala dei notari piazza iv novembre

Experiencing Photography #3 usare le fotografie per migliorare il benessere e ridurre l’esclusione sociale PROGRAMMA 09:00-09:15 LuceGrigia 09:15-10:15

Judy Weiser (Canada)

10:15-10:45

Oliviero Rossi (Italia)

10:45-11:00 11:00-11:45 11:45-12:30

12:30-13:00

Break Lucia Cumpostu (Spagna) Matej Pelijan, Jure Kravanja, Anita Zelić Istituto di fotografia terapeutica (Slovenia) Felipe Alonso NosWhyNot (Spagna)

13:00-14:30 14:30-15:15 15:15-15:45 15:45-16:15

17:00-17:30

17:30-18:00

Strumenti pratici di fotografia terapeutica: il coaching game e punctum Diversa Prospettiva e Prospettiva di Differenza

Proud, Strong, Visibility Break

Eric Ebarra – Las Fotos Project (USA) Pamela Mastrilli (Italia) Chiara Digrandi (Italia)

16:15-16:30 16:30-17:00

Saluti e presentazione della giornata di studio e relatori Fotografia di Azione Sociale, Fotografia terapeutica, e fototerapia: quali sono le loro differenze – e perché questo è importante? L’Istante che cura

Fabrizio Perilli, Silvia Liberati, Francesco Dentici FERMAimmagini (Italia) Francesca Belgiojoso, Chiara Gusmani – Studio ArteCrescita (Italia) Pascale Darson (Francia)

Sviluppare un cambiamento positivo PhotoVoice. Dallo scatto fotografico all’azione sociale. Percorsi di fotografia partecipata Raccontarsi ed esplorare nuovi aspetti di sé attraverso il video e la fotografia. Mátame si Puedes e Backups: due esperienze in ambito clinico e sociale Break “Lasciami guardare” la fotografia e l’ipovisione

Trasformare le difficoltà in arte: le fotografie di Arno Minkkinen e Moira Ricci The Unpublished blog

Per partecipare alla Conferenza è consigliato iscriversi. email: conferenza@perugiasocialphotofest.org Si rilascia attestato di partecipazione


GIOVEDì

20

NOVEMBRE

SPAZIO LAB

ore 17:00 19:00 hotel la rosetta sala convegni

L’album di famiglia della replicante a cura della dott.ssa Tiziana Luciani

È una scena importante del film “Blade runner”. Rachael, la bella replicante, mostra a Rick Deckard, il cacciatore, le sue foto di famiglia. Lui commenta sarcastico: quale famiglia può avere un replicante! Che altro non è se non un “lavoro in pelle”, un’effimera copia dell’umano. Ma Rachael, in lacrime, fugge via. Anche un replicante, sembra dire, ha diritto alle sue fotografie, a una sua famiglia, a una sua memoria, una sua identità. Perché tutto questo c’è dentro alle nostre foto… Nel workshop sceglieremo, fra tante foto di sconosciuti/e, quelle che più ci intrigano. Da quelle fotografie ricostruiremo: legami, relazioni, vicende, storie, memorie. Il workshop è aperto a chiunque voglia sperimentare l’utilizzo del linguaggio fotografico come strumento di indagine del Sè.

partecipanti: minimo 6 massimo 20 info e prenotazioni: workshop@perugiasocialphotofest.org costo: €20,00 (include la tessera associativa all’ass.ne LuceGrigia).

foto: Antonello Turchetti

Il pagamento della quota sarà effettuato il giorno stesso del workshop.

tiziana luciani

Psicologa-psicoterapeuta, arte terapeuta, formatrice. Tiziana Luciani è da anni impegnata nell’attività di cura e sostegno delle donne: per i suoi gruppi di lavoro, utilizza come riferimento i libri di Clarissa Pinkola Estés e in particolare "Donne che corrono coi lupi". Svolge la sua attività soprattutto a Roma, Milano e Perugia, ma è spesso invitata in altre città italiane.


SPAZIO LAB

22

SABATO

NOVEMBRE

ore 09:00 17:00 hotel la rosetta sala convegni

Experiencing Photography – SPAZIO.LAB Tre workshop esperienziali su tre diversi modi di utilizzare il linguaggio fotografico nell’ambito delle relazioni d’aiuto e come strumento di conoscenza del sé. I workshop hanno una durata di due ore e sono aperti a tutti. Il costo di un singolo workshop è di € 20. Per chi partecipa a tutti e tre i workshop il costo è € 50. Il costo comprende la quota di iscrizione all’associazione LuceGrigia.

info e prenotazioni: workshop@perugiasocialphotofest.org specificando il titolo del workshop.

ore 09:00 11:00 WORKSHOP # 1 – Lucia Cumpostu Numero massimo di partecipanti: 25

“riflesso e prospettiva: l’uso dell’immagine e della parola nel coaching game”

Questo workshop è dedicato a tutti coloro che desiderano conoscere in prima persona il Coaching Game, uno strumento di grande versatilità ampiamente utilizzato a livello internazionale nell’arteterapia, nel coaching e nei training socioeducativi, e presentato per la prima volta in Italia in occasione del PSPF 2014. Il Coaching Game si basa sull’uso di 65 fotografie, ciascuna delle quali è accompagnata da una parola e corredata da un racconto e da una serie di citazioni e spunti di riflessione. Partendo da una domanda o dall’analisi di una qualsiasi situazione, il Coaching Game consente di stimolare il passaggio dalla logica all’emozione, dalla razionalità alla creatività, in una sfida che consiste nel riuscire a individuare punti di vista diversi da quelli che ci sono familiari e, dunque, ad osservare le cose da nuove prospettive. L’espansione e il diverso orientamento dei punti di vista consentono di formulare nuove intenzioni e di definire azioni concrete in risposta alle più diverse situazioni di vita, personali e professionali. Un gioco di immagini e parole che si associano, si dissolvono e si ricompongono, a volte svelando in modo ameno, ma sempre in profondità, aspetti e percorsi alternativi guidati da nuovi punti di vista.

lucia cumpostu

Team Coach, certificata come International Trainer dalla Points of You. Lucia Cumpostu lavora come coach in centri per il reinserimento socio-lavorativo.


22

SABATO

NOVEMBRE

SPAZIO LAB

ore 11:30 13:30 WORKSHOP # 2 – Oliviero Rossi Numero massimo di partecipanti: 25

“l’azione delle immagini”

Il workshop si propone d’iniziare i partecipanti all’utilizzo di modalità teatrali e video terapeutiche in consonanza con la base esistenziale e umanistica propria della psicoterapia della Gestalt. L’utilizzo del teatro e della videocamera diventa mezzo terapeutico di crescita individuale in un setting di gruppo e offre potenzialità per mettere a frutto le abilità nascoste in ognuno. Si facilita l’espressione dei vissuti dei partecipanti legati ad alcune tematiche che li riguardano stimolando contemporaneamente la creatività e la socializzazione. I tre postulati gestaltici: essere nel presente, responsabilità e consapevolezza vengono stimolati in un contesto in cui prendono forma visiva la drammatizzazione del proprio copione di vita.

oliviero rossi: psicologo, psicoterapeuta, Direttore del Master “Video, fotografia, teatro e mediazione artistica nella relazione d’aiuto” Pontificia Università Antonianum, Direttore Istituto di Psicoterapia della Gestalt espressiva - I.P.G.E.

ore 15:00 17:00 WORKSHOP # 3 – Judy Weiser Numero massimo di partecipanti: 25

“See what I mean?” Esplorare come le immagini possono raccontare di più su noi stessi Apprendere la “vita segreta” delle immagini attraverso l’interazione con fotografie portate dall’insegnante; imparare come le fotografie creino significato, mettano in relazioni con i sentimenti, contengano segreti, attivino ricordi e raccontino le proprie storie. Ed è proprio la parte emotiva nascosta nelle immagini che spiega il grande successo del loro uso in attività fotografiche “terapeutiche” o di “azione sociale”, la possibilità che offrono di aiutare le persone a esaminare la propria vita, di ottenere “Insight” che portino a creare cambiamenti positivi personali o sociali . Il workshop è in inglese con traduzione consequenziale.

judy weiser

psicologa, arte terapeuta, fondatrice e direttrice del PhotoTherapy Center di Vancouver (Canada). Judy Weiser è considerata la massima esperta mondiale nelle tecniche di FotoTerapia.


SPAZIO LAB

SAB

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e DOM

NOV

ore 10:00 13:00 e 15:00 18:00 open space for arts” – via dei priori, 77 VITTORE BUZZI “Raccontare storie, vivere la vita” Numero partecipanti: minimo 6 massimo 25 Costo: € 150 info e prenotazioni: workshop@perugiasocialphotofest.org

foto: Vittore Buzzi

In caso di annullamento della prenotazione una volta effettuato il pagamento, la cifra NON verrà rimborsata, se non in assenza dell’insegnante o del non raggiungimento minimo di studenti.

Il workshop, della durata di due giorni, affronterà i seguenti argomenti: - Reportage: un po’ di storia fra documento, ricerca, giornalismo - Gli elementi fondanti di un reportage: come raccontare - Il fotografo come tramite “politico” fra chi ha esigenze di rappresentazione e il pubblico - Costruire un reportage: la fase progettuale, lo studio, la ricerca e i contatti - L’organizzazione logistica - L’organizzazione personale cosa portare: meno è meglio - Lo scatto, lavorare sul campo fra empatia e progettualità un solo mantra devi amare ciò che stai fotografando - L’editing e la post produzione - Veicolare un lavoro fotografico:social media, libri, riviste, concorsi, mostre i dubbi deontologici - Lettura portfolio dei partecipanti sulla base di un progetto e di 15 foto Il workshop è aperto a tutti coloro che si avvicinano alla fotografia di reportage o che vogliono approfondire le tematiche del reportage grazie all’esperienza di Vittore Buzzi.

vittore buzzi: Nato nel 1968 a Milano.

Laurea in Economia Commercio e Diploma di Fotografia triennale presso il CFP Riccardo Bauer. Ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali fra cui la “Menzione d’onore” allo Yann Geffroy Award e il 3°posto nella categoria “Sport Stories” al World Press Photo. Ha studiato fotografia con Roberta Valtorta.


MOSTRE

Marika Delila Bertoni

“la fotografia mi cura, mi consola, mi coccola, mi guarisce” Progetto vincitore “Call for entry 2014"″

La fotografia mi aiuta a dare un senso alle cose, a comprendere come funziono dall’interno, a vedere i miei sogni, i miei incubi, le mie ossessioni, le mie passioni e lacerazioni del tempo. Mi guardo, ricomponendomi sul monitor. Ho chiamato spesso questi progetti, progetti medicina, perché è un modo di operare che mi cura, mi consola, mi coccola, mi guarisce. È come un sogno lucido, e l’inconscio si presta a non scappare. Si svincola dall’illusione dell’atto creativo per diventare un processo creativo. Queste immagini sono per me come processi di guarigione, nati dalla ricomposizione su un piano visuale dell’universo interiore e della complessità della mente, in chiave di racconto. Avendone sperimentato io stessa i benefici (oggettivando un pensiero o un ricordo lo posso elaborare meglio) è seguita l’esigenza di trovare il modo di trasmettere anche agli altri il mio fare fotografia. È nata così l’idea di realizzare dei servizi fotografici che permettano anche ad altri di vedersi o ri-vedersi attraverso il mezzo fotografico. Tra le immagini proposte sono allegate alcuni creazioni nate da un servizio fotografico condiviso con mia sorella. Questi servizi fotografici sono delle esperienze creative condivise, dove, dopo una chiacchierata iniziale nella quale viene stabilita insieme una tematica da affrontare e interpretare in chiave fotografica, è seguita una sequenza di scatti e un lavoro personale di post produzione durante il quale le immagini vengono ricomposte in chiave narrativa. Il risultato sono delle immagini, nate dall’ incontro del mio sguardo con le parole del soggetto rappresentato (una sorta di “autoritratto relazionale”). Attraverso quest’esperienza mi è stato possibile comprendere che gli stessi benefici che io stessa sperimentavo, potevano essere condivisi attraverso l’azione del fotografare o del mettere insieme frammenti visivi della vita di altre persone, dando cosi la possibilità agli altri di raccontarsi fotograficamente, essendo soggetti dei propri racconti, oppure solo registi nella creazione di un racconto visuale che prende forma in una creazione fotografica. Il mio compito, in quanto fotografa, è quello di diventare testimone di questo racconto, e attraverso la fotografia e le intuizioni che possono nascere, metterne insieme i pezzi, per poter riconsegnare la propria storia a chi mi ha fatto dono di raccontarmela. È un modo di fare fotografia fondato sullo scambio generoso, reciproco, di sé, dove fotografo e soggetto diventano collaboratori e co-creatori di quella che non è più solo un’immagine fotografica. È esperienza. Processo di crescita.


Simone Cerio (Parallelozero)

“when the others go away”

Progetto vincitore “call for entry 2014"″

Il 2014 segnerà il ritiro definitivo delle truppe americane dall’Afghanistan dopo 12 anni di guerra. Nel frattempo l’ONG Emergency ha avviato un percorso con le università italiane che prevede la possibilità di terminare una specializzazione di medicina d’urgenza e chirurgia generale in un ospedale gestito dall’organizzazione stessa. Mentre inizia il piano di ritiro dall’Afghanistan, c’è chi si prepara a raggiungerlo. Davide Luppi è il primo specializzando italiano in chirurgia generale ad andare in un ospedale di guerra per terminare il proprio percorso di studi. Un viaggio di 6 mesi, da Modena a Kabul, per completare un percorso professionale difficile da attuare in Italia. Un percorso di vita verso una terra lacerata da troppi anni di guerra. L’approccio al progetto è mirato al racconto di guerra tralasciando il linguaggio usuale foto-giornalistico e virando invece verso una linea maggiormente interpretativa: “ho scelto questo tema perché volevo affrontare un argomento di attualità, in un paese molto difficile e fotograficamente già approfondito, cercando però un punto di vista nuovo. Solitamente siamo abituati a leggere l’Afghanistan sempre dal punto di vista della vittima, paziente, abitante. Io ho deciso di raccontare l’altra faccia della medaglia, sottolineando la scelta di un operatore che decide di mettersi in gioco in un territorio a lui sconosciuto, svelando l’emotività e le difficoltà incontrate”. È un nuovo approccio all’Afghanistan che l’autore ci mostra, Emergency è sempre presentata dal punto di vista delle vittime, questa volta, invece, è chi le cura ad essere il soggetto della narrazione.

EMERGENCY

w w w . e m e r g e n c y. i t


Mandra Stella Cerrone

“Silent Family – la famiglia di Stella”

Nel XXI secolo l’opera d’arte è passata da site-specific a time-specific e da in situ a in socius. In alcuni casi si può parlare di vera e propria “relazione di scambio” tra l’artista e le persone chiamate a partecipare ad un progetto creativo. Alla base di questa “relazione” ci sono interessi diversi: l’artista, solitamente, cerca il risultato estetico, mentre le persone si fanno coinvolgere in un’esperienza creativa per motivi differenti: ludici, ricreativi, ma anche economici, pubblicitari e persino terapeutici. Sul fronte terapeutico gli esempi non sono molti e tra l’altro le notizie che giungono dal mondo dell’arte non riportano dati relativi i benefici prodotti dalla pittura, dalla scultura e dalle performances sull’essere umano. Il valore terapeutico interessa solo relativamente l’arte e di solito l’artista non pensa al suo lavoro in relazione ad un’azione curativa. L’artista Mandra Cerrone, come i suoi colleghi, persegue nel suo lavoro un intento prevalentemente estetico e non concepisce il suo progetto, denominato Silent Family, da un punto di vista esclusivamente terapeutico. Silent Family, infatti, non è la soluzione ai problemi relazionali che il tempo ha sedimentato nel palinsesto esperienziale delle persone. Ciò nonostante sono sempre in molti a partecipare ai tableaux vivants resi possibili da Mandra Cerrone la quale cerca di cogliere dalla rappresentazione delle storie umane uno scatto fotografico che va oltre la superficie per giungere nell’immateriale. Mandra Cerrone “scolpisce il tempo” attraverso il flash; il risultato è una sinfonia visiva diafana, eterea, impalpabile. Il lavoro esprime una particolare tensione espressiva e formale creata attraverso la messa in scena di profonde e inquietanti meditazioni visive relative a questioni esistenziali e metafisiche fondamentali. L’artista, attraverso il coinvolgimento delle persone nelle Family, si interroga sulla vita, la morte, la trascendenza, la rinascita, il destino individuale e collettivo, il rapporto fra la realtà esterna e quella interiore. In Silent Family la materia umana è contenuta in un mandala in cui sono custoditi la psiche, le azioni inconsapevoli, i segreti, le paure e gli episodi più incisivi della vita delle persone. In questo “labirinto relazionale” Mandra Cerrone coglie la bellezza più profonda delle persone e queste, attraverso la fotografia che racconta la propria famiglia, sono invitate ad interpretare i gesti “messi in scena”. L’aspetto terapeutico del progetto, se così può essere inteso, diventa inequivocabile nel momento in cui l’artista chiede alle persone di interrogarsi sulla qualità dei legami parentali rappresentati. In questo frangente Mandra sollecita i partecipanti delle family a guardare con attenzione la propria immagine di famiglia per comprendere gli eventuali impedimenti che condizionano la loro esistenza. Le Silent Family sono azioni silenziose: “composizioni sceniche” dove la parola è sostituita da “istantanee gestuali”. Potremmo definire il risultato “tele virtuali”, in cui i colori e le forme sono soppiantate da “pesanti catene” familiari. Nel momento in cui i partecipanti individuano i limiti e gli impedimenti ricorrenti nella loro genealogia possono “lavorare” per far sì che tali dinamiche non si ripetano più nel proprio presente ed evitino d’incidere ancora sul proprio futuro. Ivan D’Alberto


Nadia Cianelli

“ti sopravvivo”

Solo il sogno rende reale ciò che ormai non esiste più. Ma poi arriva il risveglio. Sempre. ‘Ti sopravvivo” racconta il dolore devastante che sconvolge la vita quando la morte ci tocca troppo da vicino. È il vuoto. È la storia della mia famiglia, la mia storia. È l’assenza di Diego, morto a 23 anni. Scatti realizzati in casa o al cimitero, foto piccole che parlano sottovoce, per pudore, o perché parlare di morte è sempre difficile. Nella nostra cultura la morte è quasi un tabù, e allora succede che si rimane soli a cercare risposte che non ci sono. Tutto viene scardinato dalle fondamenta: le abitudini, le amicizie, la tua stessa vita. Il nostro tempo si ferma al momento della perdita e vediamo invece con stupore il tempo degli altri scorrere davanti ai nostri occhi: tutti continuano a fare la vita di sempre, le cose di sempre. Con stupore guardiamo anche la nostra vita andare avanti, come se ne fossimo al di fuori, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Gli oggetti che ci circondano non sono più banale quotidianità, ma ingombranti presenze che testimoniano quell’assenza. Diego ora è una foto, un libro, una musica, una stanza vuota, un biglietto di buon compleanno. Dobbiamo imparare a sopravvivere, riprogrammare tutto dall’inizio, trovare nuovi stimoli e motivazioni. Ma è davvero difficile: noi abbiamo bisogno di fisicità, di vedere, di toccare i nostri cari. Ci vuole tempo, tanto tempo. Io ho incontrato la fotografia, e oggi questa condivisione è la mia resilienza.


Giovanni Cocco

“Monia”

Anteprima Nazionale “È lì, immobile, trattiene il respiro. E punta gli occhi, come se non volesse perdersi niente. Cerco di avvicinarmi per capire cosa vede che io non vedo. Lo faccio da quando era bambina. La guardo, mia sorella, che si ferma, e sembra che fermi il tempo. E se la guardo per un po’ lo vedo che qualcosa in lei si muove dentro, come una forza che la spinge, e la fa andare verso le cose. Le tocca, le cose, senza sapere bene come fare, come fosse sempre la prima volta. Con meraviglia, con esitazione. Come se sapesse che appartenere alle cose rende più felici che possederle, che toccare non è sempre bello come desiderare di farlo, che quello che la attira è meglio che resti lì dov’è. Deve essere per questo che le piacciono tanto la luce, l’acqua, le ombre, le cose che cerca continuamente di toccare. Le piace tutto quello che le sfugge“. Questo lavoro è iniziato sei anni fa, in silenzio. Le fotografie sono venute prima, prima di qualsiasi storia, o della storia a cui appartengono. Sono frutto di un’esperienza e della voglia di raccontarla. Monia è disabile dalla nascita. Vive di abitudini, gesti semplici e lunghi momenti in cui non c’è parola né azione. Un mondo distante da tutto, solitario, confinato, ma non vuoto; dove il tempo è fatto di attimi, un presente che non ha bisogno di proiettarsi nel futuro. Fotografarla è un atto di conoscenza e di ricerca. Un modo per capirla, di domandarmi cosa pensi e cosa desideri. Dalla vita, da me. Presto non sarà più soltanto un avvicinarsi attraverso la fotografia, quello che mi porta a lei, per ricordarne i gesti e gli sguardi con cui sembra toccare e guardare il mondo. Presto sarà parte della mia vita, sarà con me che dovrà confrontarsi, ogni giorno, con il mio modo di vederla e di amarla. Raccontare lei e la sua vita è il primo passo per entrare uno nella vita dell’altra, con la gioia e la fatica dell’incontro.


Lorenzo D’Amore – Francesco Matarazzo

“whoami”

L’atto di riconoscere la propria immagine allo specchio è il segno distintivo dell’autocoscienza, il punto di osservazione privilegiato della realtà. L’esperienza del riconoscimento è dunque all’origine dell’identità di ciascun individuo: qualsiasi perturbazione che alteri i punti di vista è vissuta dall’osservatore come uno strappo alla logica ordinaria e lineare della percezione del proprio io. WHOAMI, mediante uno specchio interattivo che conserva memoria del visitatore, riproduce la confusione generata da tale esperienza in cui l’inatteso fa irruzione sulla scena dei sensi. L’applicazione Python rileva la presenza della persona attraverso computer vision, c atturando il volto e memorizzandone posizione e movimento. L’utente avvicinandosi interagisce con l’installazione, mutando la propria immagine riflessa in quella di passati visitatori, diventando egli stesso parte di WHOAMI e delle sue future interazioni.


FERMAimmagine

“lasciami guardare”

Fotografi ipovedenti nella città eterna “Lasciami guardare”. Non c’è titolo più adatto di questo per descrivere l’esperienza vissuta da ciascuno quando spinti dal desiderio vogliamo fermarci a guardare qualcosa da cui siamo stati colpiti, sotto la pressione di un tempo tiranno che sembra non concedersi mai. Tutti noi percorriamo i luoghi del quotidiano come dei forestieri frettolosi, spinti dalla impellente necessità di raggiungere la nostra destinazione senza darci la possibilità di fermarci a guardare. Sei fotografi ipovedenti hanno chiesto alla loro inafferrabile e caotica città, Roma, proprio questo, di lasciarsi guardare. Lo hanno chiesto con l’umiltà di colui che sa quanto sia necessario avere un tempo per poter mettere a fuoco e di quanto sia importante ascoltare e cogliere le diverse sfumature con cui una città si presenta a colui che improvvisamente decide di fermarsi. Le sessanta fotografie raccolte in questo catalogo sono il risultato di questa richiesta ed hanno preso la luce grazie alla collaborazione dell’Associazione FermaImmagine con l’U.I.C.I. di Roma. Qualcuno ha detto che una fotografia è in primo luogo uno spazio dove un pensiero trova dimora. Queste fotografie mostrano una città come una dimora possibile, dove un quartiere diventa qualcosa di intimo, con un proprio ritmo che cambia continuamente, attraversato da voci, suoni, rumori, luci ed ombre, sagome e figure, odori delle botteghe, colpito dalla pioggia, dal vento, dove tante sono le tappe, alcune care e familiari altre sconosciute e cariche di mistero. Il valore di queste opere sta nella capacità di mostrarci il riflesso di una città, che ci giunge come se fosse un’eco capace di evocare l’immaginario intimo di ciascuno, dove le forme assumono i tratti indistinti dell’onirico, dove quello che conta non è vedere ma guardare e mettersi in ascolto.


Emer Gillespie

“picture you, picture me” Picture You, Picture Me è un progetto ritrattistico di collaborazione ed esplorazione con mia figlia Laoisha. Nata a Galway, Irlanda, nel 2002, Laoisha ha la sindrome di Down. In quanto soggetto costante del mio lavoro, questa serie di ritratti ha naturalmente subito un’evoluzione a partire dalla curiosità e dal desiderio di lei di mettersi dall’altra parte della macchina fotografica, assumendo il controllo su di me, come soggetto, e sulle immagini scattate. Dirigendoci a vicenda per mezzo di giochi di ruolo e istruzioni, decidiamo come si mette l’altro, che posa assumere, in che direzione guardare e perfino le espressioni facciali, creando così un ambiente giocoso in cui la macchina fotografica diventa uno strumento di divertimento più che un mezzo artistico. Le immagini sono quasi secondarie rispetto all’esperienza, il fortunato risultato di una sessione condivisa. Attraverso la cessione parziale del controllo autoriale, il risultato determina la creazione di un ambiente in cui esplorare temi come la creatività collaborativa, l’autonomia infantile, la fiducia e il rapporto tra soggetto e fotografo. La capacità tecnica è un requisito del controllo creativo? La partecipazione del fotografo come soggetto influenza la narrazione? Un’esperienza reciproca può consentire la creazione di un soggetto più sicuro di sé e autentico? Queste sono solo alcune delle possibili considerazioni nate da questa serie. “Picture You, Picture Me” è iniziato nel 2008, come un curioso viaggio per me e mia figlia – all’epoca aveva sei anni – che continua nel presente. E’ il nostro album di famiglia, in cui posso vedere Laoisha che cresce e diventa padrona della sua vita e della macchina fotografica. Il progetto evolverà di pari passo con lo sviluppo naturale del linguaggio visuale di Laoisha, e continuerà finché non perderà il desiderio di essere il soggetto, o non mi vorrà più nelle foto. La fotografia, in quanto mezzo visivo, mostra solo la superficie di relazioni complesse e realtà soggettive. Esiste un desiderio di esaminare e documentare rapporti delicati nel modello rinnovato di vita familiare contemporanea. Come osservatore partecipe, queste immagini sono la mia analisi dell’apparenza e dell’esistenza, della percezione e del pensiero attraverso l’esplorazione visiva della mia famiglia moderna.


IORESISTO

progetto di arte sociale partecipata

“IORESISTO” è un progetto di arte sociale partecipata ideato dall’ass.ne LuceGrigia di Perugia che ha coinvolto i sostenitori del Perugia Social Photo Fest edizione 2013 alla creazione di una mostra collettiva sul concetto della “resilienza”. IORESISTO è una visione collettiva, intima e partecipata che unisce il linguaggio fotografico e la scrittura. Le immagini verbali che affiancano quelle visive dimostrano come ogni foto rappresenta, come scriveva Julio Cortazar, lo sforzo di “restituire alle cose la loro sciocca verità”.


Sara Naomi Lewkowicz

“shane and maggie: a portrait of domestic violence” La violenza domestica è un crimine largamente invisibile. Solitamente ne sentiamo parlare solo in modo fioco tra le mura di casa e lo vediamo solo manifestato dal giallo e viola sbiadito dei lividi di una donna che “ha sbattuto contro il muro” o “è caduta dalle scale”. Raramente si limita a un solo evento, e raramente si ferma. Il mio progetto “Shane and Maggie” cerca di rappresentare l’abuso domestico come un processo, piuttosto che come un singolo incidente, esaminando come il modello dell’abuso si sviluppa ed eventualmente culmina, ma vuole anche far vedere gli effetti che provoca a breve e a lungo termine sulle vittime, i loro famigliari e l’abusatore. I nostri unici incontri con questi abusi avvengono vedendo le vittime durante il giorno, dopo aver sofferto. Questo progetto è un punto di partenza perché ho testimoniato l’intera relazione di Maggie e Shane, da un mese dopo l’inizio del loro corteggiamento, fino alla sua fine, che ha lasciato lei coi lividi e lui con le manette. Ho continuato a seguire Maggie, visto che la sua storia non si conclude con l’arresto di Shane. Maggie si è trasferita in Alaska, nella speranza di riunirsi col marito Zane, che è il padre dei suoi due figli, un soldato. Il mio secondo obiettivo è di esaminare gli effetti a lungo termine degli abusi che lei ha subito sulla sua nuova relazione, sui figli e sulla percezione che lei ha di se stessa. Osservando le similitudini tra il disturbo post-traumatico da stress di cui Maggie soffre, e quello che sente il marito, anche lui affetto dalla stessa nevrosi, è possibile esplorare le similitudini tra la Guerra che combattiamo all’estero, e quella che invece combattiamo tra le mura domestiche.


Myriam Meloni (Picturetank)

“behind the absence”

Progetto vincitore “Call for Entry 2014″ “La maggior parte dei giovani della mia generazione é cresciuta senza uno o entrambi i genitori. È triste che sin da bambini, dobbiamo accettare l’assenza come un male necessario.” Ioana, 19 anni, entrambi i genitori vivono e lavorano in Italia. Nella Repubblica Moldava, piccolo paese dell’Europa Orientale, circondata da Romania e Ucraina, oltre 100.000 bambini e adolescenti crescono senza i loro genitori. Sono orfani sociali i cui padri e madri sono emigrati in cerca di un lavoro. Secondo un recente rapporto della OIM (Organizzazione Internazionale per la Migrazione), il flusso migratorio coinvolge un quarto della popolazione in età lavorativa: mentre la maggior parte degli uomini moldavi emigrano verso Russia e Ucraina, la maggior parte delle donne migranti scelgono come loro destinazione l’Europa Occidentale, prevalentemente l’Italia,Padri e madri, lasciano indietro le loro radici, la loro professione ed i loro parenti, spinti dalla speranza di garantire alla propria famiglia un futuro migliore. La conseguenza silenziosa di questa migrazione massiva é che migliaia di bambini troppo piccoli per crescere da soli, vengono affidati a nonni spesso troppo anziani per compiere nuovamente il ruolo di genitore, o vengono cresciuti in orfanotrofi fatiscenti costruiti nel secolo scorso per ospitare gli orfani dalla seconda guerra mondiale. Questo marcato flusso migratorio, é il risultato di due crisi strutturali: da un lato, la crisi di questo paese della ex Unione Sovietica, che con un reddito pro capite di 150 euro al mese non è in grado di garantire alla propria popolazione i mezzi per sopravvivere; e d’altro canto la crisi di paesi europei come l’Italia e la Spagna, che con un continuo aumento dell’età media, un sistema economico che impone lavorare sino ad una età sempre più avanzata, e la mancanza di servizi sociali hanno sempre più bisogno di lavoratori stranieri che si occupino a tempo pieno dei loro bambini e dei loro anziani. Se è vero che il denaro che gli emigrati mandano alle loro case di origine, generando circa 1 miliardo di dollari all’anno, è la forza trainante dell’economia moldava, l’altro lato della medaglia è una profonda lacerazione del suo tessuto sociale. Lo scopo del mio progetto fotografico “Dietro l’assenza” è quello di aiutare a costruire una nuova coscienza sulle conseguenze della migrazione in un paese in cui le istituzioni postcomuniste pur di mantenere un precario equilibrio economico, fanno della manodopera a basso costo il principale “prodotto di esportazione” dell’economia nazionale. La Comprensione circa l’entità del problema dell’emigrazione e l’impatto negativo a lungo termine che può avere sullo sviluppo di un paese, è essenziale per costruire nuove politiche sociali in grado di dare alle generazioni future la possibilità di emigrare in condizioni migliori ed in grado di offrire loro la possibilità di scegliere di rimanere nel proprio paese, senza dover rinunciare al proprio sviluppo personale ed economico.


Mimi Foundation

“if only for a second”

Photographer Vincent Dixon | Agency: Leo Burnett France “If only for a second” (“anche solo per un secondo”) è un progetto che ha coinvolto venti pazienti a cui è stato diagnosticato il cancro. Sono stati invitati presso uno studio fotografico dove un gruppo di professionisti si è occupato del trucco e delle acconciature. Gli è stato chiesto di tenere gli occhi chiusi. Alla fine della trasformazione, si sono seduti davanti a uno specchio, uno dopo l’altro. Dietro allo specchio c’era un fotografo. I ritratti di seguito sono stati realizzati nell’istante in cui hanno aperto gli occhi. In quel preciso istante, per una frazione di secondo, hanno tutti dimenticato la loro malattia e ritrovato la spensieratezza. Scoprire di avere il cancro è terrificante. Improvvisamente, la vita è scossa fin nel profondo. La Fondazione Mimi è nata dalla convinzione che il cancro debba essere affrontato da ogni angolazione, non solo medica. La nostra azione fa da complemento alla medicina. Aiutare i pazienti a trovare sicurezza, coraggio e forza per affrontare la propria malattia con maggiore serenità. La Fondazione regala un momento di benessere: con trattamenti di bellezza, massaggi, supporto psicologico o solo con la condivisione di un momento. La nostra missione è offrire ai pazienti un modo di dimenticare la malattia, per un’ora o anche solo per un secondo.


Matej Peljhan

“the little prince”

Chi tra di noi non conosce “Il piccolo principe”, opera dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry? Tutti ci siamo affezionati al piccolo principe, che con l’innocenza tipica dei bambini solleva le più profonde domande esistenziali. A dispetto dell’infinità della sua costellazione, egli è incredibilmente solo. Come il nostro piccolo principe, che per una serie di circostanze, benché circondato da tante persone, vive nel proprio piccolo mondo. Questa è la vera storia di un bambino di 12 anni, Luka, affetto da distrofia muscolare, una malattia che indebolisce rapidamente il corpo, per cui la forza e i pochi movimenti di cui è capace sono estremamente limitati. Anche le attività giornaliere basilari come lavarsi, vestirsi e mangiare, sono possibili solo con l’aiuto di qualcun’altro. Tutto ciò di cui è fisicamente capace sono piccoli, debolissimi movimenti delle dita. Per mezzo di essi, Luka riesce a manovrare il joystick della sedia a rotelle, oppure a impugnare un pennarello con cui disegna con pervicacia e accuratezza su piccoli pezzi di carta, disegni che traboccano di idee frutto della sua fervida immaginazione. E’ perfettamente conscio del proprio destino, ciò nonostante non si arrende. Non desidera essere compatito, ma vuole rimanere positivo e concentrato sulle cose che può (ancora) fare nella sua vita. Si avvicina con un approccio ingegnoso e alternativo a tutto quelle attività che l’handicap sembra rendere impossibili. Spesso avvalendosi dell’aiuto di quella brillante immaginazione e di quella creatività smisurata da cui nascono mondi virtuali che gli permettono perfino di dimenticare i limiti e le costrizioni fisiche. Una volta, durante una delle nostre conversazioni, Luka ha espresso il desiderio di vedere se stesso in una foto in cui se ne andava in giro a fare tutte le birichinate possibili. D’impatto un desiderio irrealizzabile, in particolare visto che il montaggio e “PhotoShop” non rientrano nelle opzioni prese in considerazione. Però, si può fare! Basta cambiare prospettiva. Luka sa come fare. E ci sfida a fare altrettanto. Il piccolo principe ha uno specchio in mano. Quelli riflessi siamo noi?


Irina Popova

“another family”

La prima volta che ho visto Lilya è stato fuori da un famoso club underground a San Pietroburgo. Era accucciata a terra, pisciava. “Posso fotografarti?” Un punk che badava alla carrozzina mi apostrofò “Fanculo!”, ma Lilya si mise a posare per me con grande entusiasmo. Era fiera della propria bellezza, del suo look estremo, e della sua bionda, angelica bambina. Poi mi invitò a casa loro – una stanzetta in una casa popolare. Odori nauseabondi e gente ubriaca. Il suo ragazzo Pasha, che lei chiamava “Dente di Leone” per i suoi capelli ricci era un punk e un drogato molto aggressivo. Ascoltavano pessima musica, guardavano film horror, e la loro stanza sembrava più un club cyber-punk che un’abitazione. La bimba gattonava per tutta la stanza, toccando bottiglie vuote, lenzuola sporche e cacca di gatto … e la madre ogni tanto la tirava via: “Anfisa!” Vivevano nell’oscurità, confondendo notte e giorno, pesanti tende chiuse alle finestre, scendendo in strada solo per elemosinare i soldi necessari a comprare alcolici scadenti (non avevano abbastanza soldi per la droga). La figlia stava con loro tutto il tempo, osservando tutto con occhi sbarrati, cercando di toccare e assaggiare di tutto. La nutrivano con latte artificiale molto costoso, la proteggevano dai pericoli, le cambiavano il pannolino … “Anfisa, basta! Anfisa, a letto!” Anfisa dormiva nonostante la musica terribile e il frastuono. Era molto tranquilla e educata, non piangeva quasi mai. Per sette giorni ho fatto avanti e indietro con la macchina fotografica: più tardi, avrebbero ricordato di quei momenti come la fine di un periodo in cui avevano toccato il fondo. Poco dopo avevano cacciato via tutti gli ospiti, pulito la casa, e ricominciato a vivere come gente normale … Beh, più o meno (ma dopotutto, cosa vuol dire “gente normale”?). Questo è durato solo fino al successivo brutto periodo. Sono trascorsi due anni dalla realizzazione degli scatti. Ho fatto visita alla famiglia altre volte. Non avevano cambiato stile di vita, facevano ancora uso di droghe ma sembravano vivere in una felice dimensione bohemien, prendendosi cura della bambina, riconoscendola come parte della propria esistenza, a volte con umorismo. Il quartiere si era popolato di altri che condividevano lo stesso stile di vita, in un’atmosfera pacifica e amichevole. Ma circa sei mesi fa, Lilya ha lasciato la famiglia, e nessuno sa dove si trovi. Pasha porta la figlia all’asilo e va a fare lavoretti saltuari. La piccola ormai parla e sembra crescere normalmente. Solo lo sguardo è più serio di quello degli altri coetanei. Pasha è disperato e aggressivo, e rifiuta ogni tentativo di interessamento e aiuto alla sua famiglia.


Silva Rotelli

“r-esistenze per un dialogo costruttivo tra coscienza e inconscio” R-esistenze è un progetto che si propone di utilizzare la fotografia come mezzo di dialogo e trasmissione di valori tra culture e generazioni. “Tu come fai a resistere?” è la domanda che, come un lungo filo rosso, ha condotto i partecipanti a riflettere e stimolare le risorse cognitive ed emotive più profonde. Le fotografie in mostra testimoniano le “vie di resistenza” che ogni persona concretamente, giorno dopo giorno, mette in atto alla ricerca di un personale e autentico progetto di vita. Un’indagine che mira, in un’ottica junghiana, a valorizzare l’essere umano, in quanto unico, irripetibile e indispensabile occasione di vita per l’Altro. La fotografia si presenta come occasione di recupero della dimensione dell’essenzialità. R-esistenze è un progetto di fotografia a cura di Silva Rotelli, realizzato con gli abitanti della città di Bolzano.


Jay Sullivan

“glove”

Progetto vincitore “Call for Entry 2014″

“Ho odiato mio padre per gran parte della mia vita”. Avevo appena cinque anni quando mio padre ebbe un crollo dovuto al disturbo bipolare e venne mandato in una clinica psichiatrica. Gli eventi traumatici che ne seguirono furono determinanti per la mia relazione con lui: attacchi violenti seguiti da intere giornate passate a dormire sul divano, doverlo recuperare e mettere a letto dopo l’ennesima sbronza, le telefonate nel cuore della notte quando non sapeva dove andare, i soldi per pagare la cauzione e tirarlo fuori di galera. Per gran parte della mia vita ho provato rabbia, imbarazzo e vergogna per chi e cosa era diventato. E’ morto nel 1992. Ho messo le sue ceneri dentro un armadio e mi sono lasciato tutto alle spalle – o almeno, questo è ciò che pensavo. Nel 2011 ho dato il via a un progetto fotografico intitolato Glove (Guanto), cercando di riuscire a ricreare un rapporto con mio padre esplorando quello che sarebbe potuto essere un rapporto normale, da adulti, con lui. Ho iniziato immaginando che lui vivesse con me, fotografando gli oggetti in casa mia che gli appartenevano: un portafogli sul comodino, il rasoio sul lavandino in bagno, un guanto da baseball nello sgabuzzino. Li ho fotografati in grande e direttamente, nel tentativo di dissolvere i ricordi nella mia testa di un uomo fragile, fallito, sostituendoli con immagini forti e mascoline. Un passo dopo l’altro, il processo si è integrato sempre più alle immagini create. Ho scavato nel suo passato professionale, scoprendo un uomo diverso da quello che avevo conosciuto – un uomo di cui potevo essere fiero: capitano della sua confraternita, miglior venditore a IBM e 3M, Presidente dei NY Jacees, MBA a Seton Hall (preso diversi anni DOPO il suo crollo psicologico). Ho fotografato un anello del college, un libro intitolato “Come farsi degli amici e influenzare gli altri”, una valigia. Immagini che hanno colmato un vuoto enorme con una storia ammirevole.


Camilla Urso – Ekin Bayurgil

“le mie stanze”

Tutti siamo abitati da stanze che non conosciamo. Stanze che per paura, istinto di sopravvivenza, fedeltà alle origini, teniamo chiuse. Ignorate ma sorvegliate. In questo conflitto antico tra la necessità di proteggere il passato e quella di vomitarlo, ci siamo incontrate. E quest’incontro ci ha permesso di trovarle quelle stanze, e di farle respirare, abitando geografie emotive dove la parola, l’affanno, eredità di dolori irrisolti, ci impedivano di entrare. Ciò che ne è scaturito è un autoritratto relazionale: un autoritratto che è al contempo narrazione dell’una, dell’altra, e dell’impronta con cui ci muoviamo nel mondo. Un’esperienza fotografica di re-esistenza che ci ha permesso di ri-scattare la nostra storia grazie allo spazio-immagine contenitivo offerto dalla nostra relazione, e di sviluppare i nostri negativi in una nuova narrazione intelligibile e consapevole da cui finalmente potersi separare.



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