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Comunicare chiaro per salvarci

È la cultura

fa parlare e scrivere con chiarezza, proteggendoci anche dalle mode negative - come il ricorso agli acronimi - che degradano la nostra prosa

Irischi sono tanti. Oltre a quelli noti, giustamente temiamo fenomeni come la guerra nucleare, lo strapotere delle elite, droga, e poi fedi mal poste, razzismo, lassismo, giochi perditempo, dittature, ignoranza, cattivo gusto, errori nostri e altrui. Da questa olla potrida globale ci possono salvare solo idee e conoscenze, che vanno meditate e comunicate con chiarezza seguendo norme ben note (l’ho detto con chiarezza, ad esempio, nel mio saggio “Comunicare come”, pubblicato da Garzanti). Queste norme ci proteggono anche dalle mode negative che degradano la nostra prosa. Fra le mode antiche sono deleteri l’uso eccessivo di termini astratti e quello di aggettivi e avverbi sopranumerari che rendono i testi difficili da leggere.

La mansione dell’editor che rivede e corregge uno scritto da pubblicare, è anzitutto quella di eliminare le parole inutili. Poi farà bene a sostituire le parole troppo lunghe con sinonimi più brevi.

Una brutta abitudine di saggisti e pubblicisti (antichi e moderni) è il ricorso ad acronimi. Enti, aziende, istituti, associazioni si possono ben citare con la loro ragione sociale. Invece va evitata la costruzione di nuovi acronimi per indicare discipline o strumenti di analisi o elaborazione. La lettura di articoli su quotidiani, riviste e siti web ne risulta disagevole e, talora, incomprensibile. Chi, comunque, cita acronimi deve sapere bene a chi o a che cosa corrispondano per poter fornire dettagli a chi li chieda. Da vari anni quasi tutti noi sappiamo interpretare l’acronimo LGBTQ [Lesbian Gay Bisexual, Transgender, Queer], anche se qualche volta siamo incerti su come rendere uno dei termini in italiano. Io leggo spesso saggi e articoli sulle variazioni del clima e risento le continue ripetizioni degli acronimi IPCC (International Panel on Climate Change) e NIPCC (Nonintergovernmental International Panel on Climate Change).

Dal 1909 è attiva negli Stati Uniti la National Association for the Advancement of Colored People, che organizza corsi e iniziative culturali per neri e altre minoranze e conduce azioni per garantire uguaglianza dei diritti. Utilizza l’acronimo NAACP. Recentemente sono usati talora anche gli acronimi BIPOC (Black Indigenous People of Color) e AAPI (Asian American & Pacific Islanders). So di una simpatica signora - competente in statistica e probabilità - che partecipa a un gruppo di lavoro interessante, ma eterogeneo. Ogni volta che parla di un valore atteso (la somma dei possibili valori di una variabile ciascu- no moltiplicato per la probabilità che si verifichi), lo chiama concisamente con le iniziali “VA” – pronunciate “Vu-a”. Spesso non viene capita e deve spiegare questa sua abitudine.

Per rilanciare l'economia dopo la pandemia di COVID-19, il Governo italiano ha definito e adottato nel 2021 il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che dovrebbe favorire coesione, protezione della salute pubblica e creazione di infrastrutture ottimizzate permettendo lo sviluppo verde e digitale del Paese. Il piano viene citato spesso con l’acronimo PNRR. Chi lo discute non sempre ricorda il significato di quelle quattro iniziali, né il contenuto delle 270 pagine che lo costituiscono.

Usando le sole iniziali di un acronimo, si rischia inoltre di trarre in inganno il lettore: perché la stessa sequenza di lettere è usata come codice per riferirsi ad altri enti o sequenze di parole. Ho trovato Howard Hayden, emerito dell’Università del Connecticut, citato come esperto in AMO – Atomics, Moleculars e Optics. Però l’acronimo AMO è usato anche da: un istituto olandese che stabilisce definizioni di termini di legge, economia, business, politica; da uno studio belga di ricerche di architettura; da una scuola superiore di perfezionamento medico di New York e a Praga da un’associazione di studi di affari internazionali. Anche Elon Musk dal 2010 impone ai dipendenti delle sue aziende Tesla e Spacex di usare solo acronimi che lui abbia formalmente approvato. Sostiene, infatti, che “Acronyms Seriously Suck” (= gli acronimi rompono seriamente le palle) e quindi chiama ASS la sua regola. – ma “ass” in inglese è “asino” e, volgarmente abbreviato da “arse”, anche “culo”.

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