sonnets in venice
01RADICI
sonnets in venice
01RADICI Ricerca sul tema realizzata da un gruppo di studenti di Architettura dell’Università IUAV di Venezia
Maria Aurora Bonomi Nicolo’ Calandrini Federica Caregnato Anna Casti Enrico Crivellari Davide Gabriele Lisa Gallina Valentina Lovisietto Marco Sartoretto Federico Tomasoni Matteo Vianello
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Sonnets In Venice-SIV sonnetsinvenice@gmail.com con il patrocinio di catalogo dell’esposizione realizzata in aprile del 2015 dal collettivo Sonnets In Venice (facebook\Sonnets In Venice) protetto da licenza
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Cosi come nel linguaggio, l’etimologia permette la conoscenza delle radici di una parola, la loro origine e il loro vero senso, cosi oggi occorre portare avanti una riflessione sempre consapevole sulla ragione ontologica e, di conseguenza, sull’essenza del mondo che ci circonda. Sono radici i quattro elementi fondamentali della realtà, aria, acqua, terra e fuoco, che hanno partecipato e permesso all uomo di elevarsi, crescere e prosperare. È radicale, in politica, ciò che vuole mutare il suo stato dai propri fondamenti. Sembra necessario, perciò, intervenire attivamente sullo spazio, anche solo per lasciare un segno, ma sarà proprio quel segno a permettere una fruizione dell eredità e della storia. Fuori Venezia, ma anche dentro Venezia, la relazione umana e il suo progresso sono essenza e processo del progetto. Lo scheletro delle questioni è proprio, forse, tornare all’ origine, alla fragilità delle cose perchè “la debolezza è potenza e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido. Cosi come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, quando è duro e secco muore. Rigidità è forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza. Ciò che si è irrigidito non vincerà” (cit. Andrej Tarkovskij, Stalker). Tornare, allora, all’origine, alle radici delle cose quando tutto il resto sembra non sostenersi più, con il dubbio e l’incertezza al nostro fianco, può mettere in luce una dinamica di rinnovamento di cui siamo tutti, in potenza, protagonisti.
MOBILIS IN MOBILI Siamo alberi oppure fiumi? Mi sono domandata se piuttosto di parlare di radici non si tratti, oggi, di domandarsi se la nostra visione dell’esistenza sia verticale od orizzontale. Verticale si da valore ad un’idea legata alla profondità, orizzontale prevede un continuo movimento e quindi rimescolamento della propria posizione (il titolo di questo progetto significa qualcosa che muta e si muove ma rimane lo stesso e nel medesimo posto, contemporaneamente). Il problema è che il mondo di oggi, in continuo progresso tecnologico ed immerso nella rete informatica, non è piu quello di una volta. O meglio, è cambiata la visione di esso che abbiamo avuto per secoli. Verticale un tempo, orizzontale oggi. Entrambe le visioni comunque sono destinate ad avere un punto di incontro, in un luogo fisico che della mente dove poter ritornare e ritrovare se stessi tra tradizione, identità e memoria. “Anche il fiume può diventare un altro luogo. Non più quindi le sue sponde, più o meno lontane fra loro, a separare due orizzonti, ma una nuova possibilità, un margine interno in continuo movimento, una frontiera fluttuante, la terza sponda di un racconto di Guimaraes Rosa. Un giorno un uomo fece costruire una canoa che già nella forma e nel legno sembrava fatta apposta per durare a lungo. Una volta terminata la canoa e salutata la famiglia, stupita dal suo comportamento, vi entrò e remando si allontanò dalla sponda. Non andò in nessun posto. «Soltanto eseguiva l’invenzione di restarsene in quegli spazi del fiume, costante nel mezzo, sempre dentro la canoa, per non saltarne fuori, mai più» . Tutti nell’intorno si chiesero il motivo di un tale comportamento: pazzia, contagio, o cos’altro?, e come facesse a resistere (forse solo per dormire approdava in qualche luogo nascosto). Certo fu che nessuno lo vide mai scendere dalla canoa, e ogni volta che qualcuno tentava di avvicinarsi egli scompariva verso l’altra sponda, dentro acquitrini che solo lui conosceva. Passarono i mesi e gli anni, sua figlia si sposò, ebbe un bambino che fu portato sulla riva; egli però non comparve. La moglie e i figli se ne andarono lontano da quel posto. Uno solo rimase, e più il tempo passava più si convinceva nell’idea di prendere il posto del vecchio padre là nel fiume. Andò sulla riva, aspettò fino a quando egli apparve e gli gridò il suo intendimento. Allora il padre drizzò la prua verso di lui, felice, e lo salutò. Ma colto dal terrore, come se l’avesse visto venire dall’aldilà, il figlio fuggì correndo, ma allo stesso tempo chiedendo perdono. Ora, nell’avvicinarsi della morte spera anche lui di venir depositato in una canoa, «in quest’acqua, che non si ferma, dalle lunghe sponde: e io, fiume in giù, fiume fuori, fiume dentro il fiume». Ecco, allora, che dalla ricostruzione del nostro rapporto con lo spazio che ci circonda, e soprattutto dalla sua frequentazione, dalla pratica dei suoi margini (fino a farli diventare parte di noi), diventa forse possibile partire per limitare, «confinare», almeno una parte della violenza che confini e frontiere sembrano catalizzare.”
Piero Zanini, saggio I contorni delle cose, paragrafo Limiti naturali da La città è nuda Volontà- laboratorio di ricerche anarchiche trimestrale anno XLIX - n. 2-3 del 10/1995
Federica Caregnato
Considerare il respiro Bramare Il nuovo Accendere il mio cammino Sentire dove mi trovo Ogni volta e’ il momento Energia naturale Respirare il movimento Potenza capillare
Davide Gabriele
«...in una rete di linee che s’allacciano, in una rete di linee che s’intersecano... ». SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE Italo Calvino
Venezia pianta le sue fondazioni, le sue radici, lignee. E prima di Venezia? Tra isole effimere e bordi incerti la laguna disegnava paesaggi mutevoli. Vento ed acqua plasmavano dune di sabbia colonizzate da vegetazione errante. Il tempo intesse le sue radici nella storia e ritorna all’origine. Un’isola di confine tra acqua e cielo, confini senza bordi. I tetti veneziani mancano. Una trama nel cielo, o nell’acqua, di linee. Le nuove radici? RIFLESSIONI RADICI LINEE ISOLA
Anna Casti
Una delle parti più importanti per un organismo vegetale consiste nelle sue radici, elemento di raccordo con il terreno a cui sono ancorate e fonte di vita. Ogni pianta non può sopravvivere e nemmeno generarsi senza di esse; mano a mano che cresce queste crescono con lei. L’apparato radicale di una pianta si dirama nel terreno, in tutte le direzioni rispetto al centro, sul quale il tronco esercita la sua funzione portante. Tutte le piante hanno radici che differiscono tra loro a seconda della tipologia di terreno in cui si sviluppano; sono perciò uniche nelle loro caratteristiche.Come gli organismi vegetali, anche le città presentano le medesime caratteristiche. Qui le radici hanno una doppia identità: una costituita dalle radici fisiche quali le fondamenta di tutti gli edifici che la compongono e l’altra immateriale, altrettanto importante, costituita dalla tradizione, dalla cultura e dalla sua memoria. Come per una pianta, anche per una città le radici sono di vitale importanza in quanto costituiscono la base d’appoggio degli edifici, senza la quale non potrebbero reggersi e nemmeno svilupparsi . Contemporaneamente costituiscono una base di sottostrato, di memoria culturale sempre in accrescimento, dalla quale i cittadini possono attingere e identificarsi. Nel caso specifico di Venezia, se si vuole comprendere quali sono le sue radici fisiche, è necessario tornare alla sua formazione e non dimenticare mai la particolarità del territorio sul quale e dal quale ha preso forma. Prima di tutto Venezia si è sviluppata come unione di più nuclei, sorti su emergenze insulari all’interno della laguna; questi inizialmente erano separati da canali e da estese superfici d’acqua, ma nel tempo si sono ampliati fino a raggiungersi. Ed è proprio con la laguna che questa città e i primi insediamenti che la componevano hanno dovuto confrontarsi. E’ il territorio che ne ha condizionato la formazione urbanistica e contemporaneamente le modalità di costruzione degli edifici e i percorsi di circolazione. Si può affermare perciò, che il suo divenire città è stato ed è tutt’ora un continuo sperimentare la tecnica dell’uomo in un ambiente che è stato definito per alcuni aspetti ostile, ma con il quale è presente una simbiosi millenaria. Tra le particolarità della formazione di tale città, bisogna tenere presente che costruire un edificio presupponeva costruire anche il suolo su cui avrebbe poggiato l’edificio stesso. Se sorgeva lungo un canale si creava il canale stesso, modellandolo dove occorreva e consolidandone le rive. Per questo motivo era prassi costruire sul già costruito, utilizzando un terreno consolidato e preparato a sopportare i carichi di un edificio. Per la natura particolare del terreno su cui sorge Venezia, le sue fondamenta sono materialmente costituite da milioni di pali sommersi che vanno a creare una sorta di foresta, a sostegno di tutti gli edifici, su cui si regge ancora l’intera città. Quest’opera di fondazione oltre che dalla terra, è circondata dall’acqua, che la protegge e la nasconde. L’ acqua che scorre nei canali nasconde alla vista quella parte di costruzione che funge sia da parete degli edifici che da argine del canale. Queste zone si rivelano solamente durante la fase di bassa marea, in cui l’acqua è richiamata verso il mare e il suo livello nei canali si riduce. L’identità culturale delle radici di Venezia rappresenta ciò che nel tempo è andato a costituire la sua unicità, come avviene per tutte le città. Le tradizioni che nel tempo si sono accumulate appaiono oggi ai nostri occhi sotto differenti forme. Alcuni aspetti si manifestano in maniera predominante come i caratteri architettonici. Questi sono legati in parte al mondo bizantino ed in parte alle caratteristiche di una città che sorge sull’acqua. Altri aspetti, invece, si celano nelle case, nelle botteghe e nei locali frequentati dai cittadini; questi ultimi forse sono i più importanti e il riscoprirli fa sì che non se ne perda la memoria. Purtroppo negli anni Venezia ha subito una grande e grave perdita di cittadini, conservatori delle sue tradizioni, a fronte di un aumento del turismo di massa che sta trasformando la città in una sorta di parco divertimenti che apre al mattino e chiude la sera. Questo preoccupante fenomeno da un lato sta privando la città e chi ancora ci risiede di una vita normale; dall’altro lato, essendo soggetta ad una fruizione sfrenata la sta portando ad un graduale deterioramento. Tutto ciò non può che culminare con l’estinzione della città stessa. Quello che tutti noi dovremmo fare è cercare di assimilare e proteggere l’unicità delle radici di Venezia, per poter continuare a convivere con questa città e in questa città.
Enrico Crivellari
x1 = A*sen (ωt), x2 = A*sen (ωt + γ) radice ‹ra-dì-ce› : Causa originaria Nelle piante superiori, organo di solito infisso nel terreno che oltre a sostenere la pianta assorbe acqua e sali minerali: - fondazione RADICI IN VENICE
Valentina Lovisetto
Tutto scorre con una velocitĂ indefinibile in questa giungla di uomini, alberi e fiumi Vietnam-Cambodia: diario di viaggio, marzo-aprile 2015
Matteo Vianello
Ho fatto un viaggio verso il punto dove la natura plasma se stessa. Mammoth cave, Kentucky, uno dei più antichi luoghi del continente americano: lì, dove tutto ebbe inizio e dove tutto sempre avrà inizio. Ho toccato la terra, è rozza, dura, ma a tratti rivela la sua natura malleabile e porosa. Tutto è così incontaminato, ma al tempo stesso il luogo, con le sue superfici, le luci, gli ambienti, pare la più stu-diata e moderna delle architetture. Ho fatto un viaggio per dimenticare per un attimo tutto ciò che non so e toccare ciò che da sempre è qui, sottoterra, incolume e presente. Ho fatto un viaggio che più che un viaggio è un ancestrale sogno lungo le radici degli Stati Uniti d’America.
Maria Aurora Bonomi
L’idea nasce dalla sensazione che mi ha dato la visione della palestra, situata in zona Arsenale. La palestra risaltava sul resto degli edifici, tipici Veneziani, che risultavano per me come una RADICE della città, un impronta di quello che Venezia è, e che non dovrebbe, come in questo caso, essere relazionato ad altre opere “casuali”. La palestra toglie spazio visivo alle case Veneziane ma allo stesso tempo dona loro un punto di vista differente che le fa apprezzare di più. Ho provato quindi a relazionare opere famose a livello architettonico per dare questa sensazione di radice che permane nonosante la forma cambi, citando quindi Mario Merz nella sua opera esposta alla Fondazione Guggenheim di Venezia:”Se la forma scompare la sua radice è eterna”. OPERE Alvaro Siza_Camargo Museum Herzog & De Meuron_Caixa Forum SAANA_ Zollverein School of Management and Design
Federico Tomasoni
PRINCIPIO / TERMINE
Marco Sartoretto
Affondare nel terreno. Sicuramente non per Venezia. Venezia volta le spalle a quella che è la realtà fisica di svariate città, tenute lontane da un ponte, il ponte della LIBERTà. Magari il suo nome è stato scelto proprio da questo suo fuggire al solito, al convenzionale e dalla definizione più attentibile. Ma la sua libertà, la sua natura,la sua radice allora, dove risiede ? Una mattina mi sono alzata, dovevo andare dal dottore. Lo so, non è un informazione di vostro interesse, ma è il motivo per il quale quel giorno ero a casa mia, nel mio paese (Maser) e per il quale sono uscita a piedi. E si, ammetto di non aver usato la macchina solo perchè Venezia mi sta un po’ sottraendo, da questa brutale abiudine “nostra”. Insomma, sono uscita. C’era il sole. Il sole d’inverno è talmente raro, che è difficile rinunciavi. Sto camminando per le vie del centro, centro... per cosìdire, viste le dimensioni del Paese. “.........” ,qualcosa non mi torna.Pare, che qualcosa manchi, che ci sia qualcosa di assolutamente sbagliato. Ma cosa? Ebbene, provate a vivere anche per un breve periodo a Venezia e capirete quanto c’è di insolito in lei. Quello che mancava era l’acqua, l’acqua che ti insegue in ogni dove. E i semafori? Le strisce pedonali? I suoni? Il suono delle automobili ? Insomma, lì ho colto quanto in lei c’è di diverso dal mio“mondo”. Allora ho iniziato a guardarla davvero. Venezia, è difficile. Non è una città per chi non ha voglia, non è una città per chi ama il facile. Lei non si fa apprezzare al primo impatto (parliamo di impatto oltre l’estetico). Ti mette alla prova. Venezia è una città che non smette mai di muoversi, dove TU non puoi mai smettere di muoverti. Non puoi viverla se non hai volontà . Venezia si fonda sulla forza che risiede in una persona di non accontentarsi ,perché non se lo può permettere. Se stai fermo lei non ti darà scampo. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono vie di fuga. La bellezza del suo essere movimento/velocità, inoltre, risiede nel “tono” delle persone che la abitano. Su questo si fonda e su questo tende le sue radici. Si differenzia dal resto , per il semplice fatto di non venirti in contro . Tu devi cambiare per lei. Anziani, donne con figli che alzano passeggini per i ponti, il modo di costruire, tutto si lega ad una forza di volontà, che dall’altra parte della “ sponda” potremo solo immaginare. L’uomo ,ormai assopito dai sistemi di trasporto, dai sistemi di comunicazione, sempre più disposti a semplificare ogni nostra azione, smette di sentire la fatica del percorrere, del viaggio, smette di riconoscere nella fatica, la vera bellezza del realizzare qualcosa. Volontà, forza di volontà, è l’essenza di questa città. Quel desiderio di non lasciarsi affondare dalle difficoltà con le quali viene a confrontarsi. Radice di una realtà, che si poi è sviluppata nel suo cittadino. E’ grazie alle altre città, che riusciamo a leggere il carattere di un luogo. Amiamo il nostro punto di partenza,perchè è coscienza di quanto di diverso possiamo incrontrare oltre. p.s: il dottore quella mattina non c’era. AFFONDARE NEL TERRENO
Lisa Gallina
Quando ero piccolo mia madre mi raccontò di come dormiamo 8/9 mesi nella pancia, più o meno nella stessa posizione e durante la notte, si tende a riposizionarsi in quel modo per poter prendere sonno. Si chiedeva continuamente come potessi dormire in quel modo strano. Non mi sono mai chiesto se fosse vera o meno questa storia. Per lei lo era, e quello che dice la mamma è vero. I primi 8/9 mesi di vita, la crescita, susseguita dalla nascita, avviene all’interno di un involucro nel quale ci si sente protetti. Rinchiusi forse, ma difesi e amati, e se qualcuno potesse chiedercelo probabilmente staremmo li per sempre. Quando penso all’Architettura, la immagino come una sorta di ritorno alle origini / un rientro nelle viscere, nell’utero materno. Inglobato nel Pantheon / all’interno della navata centrale della stazione ferroviaria di Milano / passeggiando al di sotto del Padiglione portoghese a Lisbona / diecimila tonnellate sotto la Torre Eiffel. Quando mi sono trovato in questi luoghi ne sono rimasto folgorato, ma non dalla bellezza / dalla vastità. Dalla capacità di potermi rinchiudere e farmi rivivere un qualcosa che fondamentalmente non ho mai vissuto. Dalla semplicità di questa emozione. Quando vivo questi spazi, vorrei avere tutto il tempo del mondo per starci dentro, ma come un neonato sono obbligato ad uscirne. Visitando le opere di Frei Otto / immaginando vivamente il Monumento Continuo di Superstudio sopra la mia testa / respirando l’atmosfera che riempie il Teshima Art Museum sull’omonima isola / probabilmente proverei le stesse sensazioni. Non si può tornare nell’utero materno : ma si può riabbracciare un edificio, con ogni parte del corpo, pur senza toccarlo / assuefatti dal vuoto che impone e oppone al nostro essere. Tutti tendiamo, per quanto possibile, a vivere o sopravvivere all’interno di edifici. All’interno di un’abitazione. All’interno di una città. E’ l’architettura a regolare il nostro vivere / è la madre di tutti coloro che contiene. Meglio di altre costruzioni, e con ciò intendo tutto ciò che è stato costruito dall’uomo dalla sua nascita ad oggi, penso siano le chiese ad aver perseguito in modo insistente la maternità. Per questo sono le chiese da considerarsi la radice di una città storica, come lo è Venezia, o di un Paese storico, come lo è l’Italia. Lontano da ogni pensiero religioso, penso che ogni persona interessata a sè stessa debba visitarle, poichè è il luogo più semplice in cui reperire una breve, incosciente astrazione, e breve, ma totale immersione in ciò che gli è più proprio. L’età prenatale. Un’astrazione momentanea / non macchinosa, ma profondamente umana. Abbiamo dimenticato le emozioni più semplici, le emozioni più umane / ci siamo dimenticati nelle città per le percone/ delle persone, nelle case per le persone/ delle persone. Vi sono esempi di “architettura materna” in tutta la storia architettonica, e sicuramente ci siamo entrati o passati sotto, ma se davvero siamo stati fortunati, ce ne siamo anche accorti. TEORIA DELL’UT/RO CAPITOLO / 01
Nicolò Calandrini