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Bollettino n. 8

Bollettino di SOS scuola n. 8 A.s. 2012/2013

ITE “V. Cosentino”

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Per saperne di pi첫 http://www.sos-scuola.it

Finito di stampare: settembre 2013

Impaginazione a cura di Francesca Scanga e Angela Salerno, IVBM

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Indice

Informatica, mezzi e sistemi d’informazione digitale Dibattito relativo all’incontro di Sos scuola del 25 gennaio 2013 Sulle orme di san Francesco Consumo critico e libertà nella società dell’informazione Dibattito relativo all’incontro di Sos scuola del 25 marzo 2013 Sistemi digitali di comunicazione, produzione e diffusione delle conoscenze tra i giovani Dibattito relativo all’incontro di Sos scuola del 2 maggio 2013 Trent’anni d’informatica e Ict in Calabria. Speranza, delusioni, digital divide Appendice Quattro settimane nella Locride Nella Locride sulle tracce dell’economia sociale e civile La pedagogia della costruttività gioiosa e responsabile di Sos scuola con Meet no Neet Tirocinio in informatica all’ITE “Vincenzo Cosentino” di Rende Informatica e Sistemi Informativi Avanzati al Cosentino Sos scuola: finalità e metodo di lavoro

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Informatica, mezzi e sistemi d’informazione digitali (appunti di Tommaso Cariati, per la riunione del 25 gennaio 2013, giorno della conversione di san Paolo) Avviso innanzitutto che la materia è ampia e complessa e sarò costretto a essere sintetico, per esempio le sigle non sempre saranno sciolte e qualche volta i concetti saranno appena accennati. Il lettore interessato, utilizzando parole chiave e sigle, potrà approfondire tramite il web le questioni trattate. 1. Premessa Paul Valéry, un intellettuale francese con radici italiane, molto stimato come studioso e poeta, in uno studio del 1928, La conquista dell’ubiquità, scriveva: «Il sorprendente sviluppo dei nostri mezzi, la duttilità e la precisione che hanno raggiunto, le idee e le abitudini che hanno introdotto ci garantiscono cambiamenti imminenti e assai profondi nell’antica industria del bello. … Le opere acquisteranno una sorta di ubiquità». Ancora Valéry, in un altro passo posteriore, forse del ’34, profeticamente scrive: «Come l’acqua, il gas o la corrente elettrica, entrano grazie a uno sforzo quasi nullo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così saremo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano». Se pensiamo alla televisione, alla tv via cavo, al digitale terrestre, alla televisione satellitare, ai canali tematici; se pensiamo a Skype, a Facebook, a Youtube dobbiamo ammettere che Valéry è stato un grande visionario: ha immaginato e forse previsto il flusso continuo di informazioni che oggi ci bombarda perfino durante il sonno. Walter Benjamin nel 1936 ha pubblicato un piccolo saggio destinato a divenire famoso nell’ambito della critica della modernità, L’opera d’arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica, nel quale riprende le idee di Paul Valéry. Successivamente nel solco degli studi sui mezzi d’informazione o di comunicazione sociale abbiamo avuto Mc Luhan, inventore della famosa metafora del “villaggio globale”. In Italia nello stesso ambito di ricerca abbiamo avuto Homo videns di Sartori e La terza fase di Raffaele Simone, ma soprattutto gli studi di Umberto Eco sui mass media. Recentemente uno studioso molto ascoltato a livello internazionale è Derrick De Kerckhove, allievo di Mc Luhan, del quale si può leggere, per esempio, Dall’alfabeto a Internet. 5


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Noi, già l’anno scorso, avevamo avvertito l’esigenza di orientare la nostra ricerca sui temi delle applicazioni dell’informatica, della democrazia, e della produzione, diffusione e fruizione della cultura, intesa nel senso più alto e lato. Finalmente oggi ci caliamo nelle viscere della scienza che in poco più di mezzo secolo ha prodotto la più grande rivoluzione sociale che l’umanità abbia conosciuto, e forse non siamo che ai primordi. Nella relazione di avvio dei lavori di Sos scuola l’anno scorso citavamo alcuni sistemi, prodotti e mezzi, o possibilità e servizi disponibili sul mercato che sembra utile tenere d’occhio. Partiamo da lì: riprendiamo ed arricchiamo quell’elenco. Oggi si parla di: 1. posta elettronica, chat e messaggerie varie, Facebook; 2. Twitter, Wikipedia, Treccani online, vocabolari online, quotidiani online, tv e radio online, Youtube, Ansa.it, la Crusca online, Dop on line; TED, Livestation, Blackberry, Servizio pubblico via Internet, Ipod, Ipad, Iphone, wordreference; 3. musica in podcasting, juke box online, e-book, spazi liberi per e-book online (in uno di questi abbiamo pubblicato i bollettini del nostro gruppo e sono accessibile dal sito di Sos scuola proprio come e-book); 4. web o Internet 3.0, Augmented reality, Virtual reality, Quick read; 5. web marketing, e-commerce, e-government, business intelligence, GPS, work flow management, office automation, DSS, business process reengineering, smart city, democrazia digitale, robotica, domotica; 6. elaborazione parallela, multitasking, multiprogrammazione, basi di dati e di conoscenza distribuite, cloud computing (Aruba, Dropbox, Googledrive), Wi max; 7. Papertab, qbit, computer al grafene, esoscheletri, stampa in 3D. Come si vede, ce n’è per tutti i gusti. Derrick De Kerckhove però in un’intervista ha detto: «Uso l’iPhone, Facebook; e il mio bigliettino da visita contiene il codice QR (Quick read) per la realtà aumentata. Ma la sera preferisco avere in mano un libro anziché un e-book». In Treccani on line, alla voce “calcolatore”, leggiamo tra l’altro: «Si parla spesso di quinta generazione di c. perché la miniaturizzazione dei componenti ha aperto nuovi orizzonti e reso possibili nuove applicazioni dei c., ormai integrati in una miriade di dispositivi e utilizzati per le funzioni più disparate: si parla di ubiquitous computing o pervasive computing (“elaborazione molto diffusa” ed “elaborazione dilagante”)». Notate: si parla di “ubiquità”, proprio come ne parlava Paul Valéry negli anni Trenta del Novecento, nel suo studio La conquista dell’ubiquità. Questo è uno dei fenomeni prodotti dai mezzi digitali: l’annullamento dei concetti di spazio e di tempo; un altro fenomeno è la progressiva perdita di consistenza fisica che i prodotti e i servizi offerti e venduti presentano nella “information society”, o 6


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nella società della conoscenza, o nell’“era digitale” (o nell’era post-umana, secondo i gusti e la visione dell’uomo e del mondo dei futurologi di turno). Per cominciare la nostra ricerca, poniamoci alcune domande fondamentali: qual è l’“essenza” del computer? Perché il calcolatore ha prodotto in breve tempo le più grandi innovazioni sociali che l’uomo abbia conosciuto? Qual è l’“essenza” di ciò che qualifichiamo come “digitale”, come il computer e la tv digitale? Queste domande e le relative risposte dovrebbero aiutarci a comprendere qualcosa circa questioni molto semplici ma importanti, per esempio, per la nostra scuola e per la nostra vita quotidiana: 1. che cosa vuol dire “seguire un corso di informatica”, “essere esperti di informatica”? 2. che cosa vuol dire organizzare l’offerta formativa, come la nostra scuola deve fare, attuando la riforma Gelmini, per formare tecnici economici con profilo d’esperti di Sistemi informativi aziendali? 3. che cosa sta accadendo ai concetti di libertà, democrazia, cittadinanza in un mondo alluvionato continuamente da innovazioni che oggi rendono obsoleto ciò che appena ieri era valido, utile, d’avanguardia? 2. Il calcolatore, scatola magica o macchina particolarmente versatile Il calcolatore è una macchina di concezione rivoluzionaria, si basa su un alfabeto povero: “0” e “1”. La scrittura alfabetica ha una flessibilità superiore alla scrittura ideografica, perché combinando un numero limitato di segni possiamo costruire un’infinità di parole. Il calcolatore non si basa su ventuno segni diversi come la lingua italiana, né su dieci come i numeri arabi, ma sui due del sistema binario: “0” e “1”. Questi due segni sono i valori dell’unità elementare di informazione, il bit (da binary digit, cioè cifra binaria, da cui l’aggettivo “digitale”). Una combinazione di otto bit, nel codice Ascii esteso, forma un byte, cioè un carattere dell’alfabeto o un segno di punteggiatura. Per esempio, “a” ha codice binario “01100001”, “A” ha codice “01000001”, “1” ha codice Ascii “00110001”. Il byte, una sequenza di otto bit, è l’unità di misura della memoria. Il colore, per esempio, invece, nel sistema RGB (red, green, blue) viene rappresentato mediante tre byte, uno per il red, uno per il green e uno per il blue, perciò ogni pixel, cioè ogni punto di immagine richiede ventiquattro bit. Il secondo elemento di versatilità del computer è la scomposizione della macchina in una parte hardware, per così dire, estremamente semplice, e una parte software strutturata in diversi strati, come una cipolla, in cui ogni livello di macchina virtuale offre servizi al livello più esterno. Il software è la parte immateriale, logica, astratta, priva di consistenza fisica della macchina, di gran lunga più importante della parte materiale. Che il calcolatore sia una macchina che non assomiglia a nessuna di quelle costruite precedentemente si intuisce dall’assenza di una forma obbligata, come ne ha l’auto, un altoforno, un aereo. Il computer si incorpora in ogni “aggeggio”, 7


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dal forno a microonde, al telefonino, all’automobile, ai missili perché esso non ha forma obbligata. Infatti, mentre le macchine precedenti erano specializzate per svolgere una particolare funzione, il computer è una macchina general purpose, adattabile a qualsiasi scopo, che all’occorrenza può essere forzata a svolgere un compito particolare, come nel caso di computer di bordo o per il controllo di centrali nucleari o per il controllo della traiettoria dei missili o per il funzionamento dei droni. La potenza rivoluzionaria del computer è paragonabile solo alla potenza che si sprigiona dalla fissione atomica, per nulla paragonabile a quella del carbone in una macchina a vapore, o a quella del petrolio. Questa potenza è ancora largamente inesplorata, visto che l’informatica è una scienza giovanissima, ma nell’ultimo quarto di secolo ne abbiamo cominciato ad intuire la portata. Bisogna riconoscere, col senno di poi, che i francesi sono stati più lungimiranti degli anglosassoni, perché “computer” significa “macchina per calcolare”, e “computer science” è la “scienza della macchina per calcolare”; mentre “hardware” e “software” non significano praticamente niente. I francesi hanno inventato “logiciel” per “software”, “matériel” per “hardware”, “ordinateur” per “computer” e “informatique” per “scienza dei calcolatori”. Insomma, i francesi hanno colto subito alcuni aspetti dei computer che si stanno svelando soltanto in questi ultimi anni: la loro versatilità come mezzi per l’elaborazione dell’informazione di qualsiasi natura (testi, immagini, suoni), oltre che come mezzo di calcolo. [L’approccio linguistico dei francesi al calcolatore è stato davvero interessante. Vale la pena darvi uno sguardo, anche perché gli italiani avevano fatto qualcosa di simile a cavallo tra la fine dell’800 e i primi anni del ’900 a proposito dell’automobile. Riportiamo, senza traduzione, un testo che abbiamo trovato nella rete in ambito francese. Si tratta della storia della parola “ordinateur” scritta all’IBM ma anche alla Sorbona da un filologo come Perret, ispirandosi al pensiero di un linguista insigne come il Littré. «En 1954, la société IBM France voulait trouver un nom français pour sa nouvelle machine électronique destinées au traitement de l’information (IBM 650), en évitant d’utiliser la traduction littérale du mot anglais “computer” (“calculateur” ou “calcolatrice”), qui était à cette époque plutôt réservé aux machines scientifiques. Aux États-Unis, les nouvelles machines de traitement automatique de l’information (capables de faire aussi du traitement de texte, du dessin, etc.) étaient appelées “electronic data processing systems” (EDPS) ou “data processing machines”. Un cadre de la société conseilla de consulter un de ses anciens professeurs, Jacques Perret, titulaire de la chaire de philologie latine à la Sorbonne. Le professeur Perret répondit par une lettre du 16 avril 1955, dont la lecture donne un exemple intéressant de recherche terminologique :“Que diriez vous d’’ordinateur’? C’est un mot correctement formé, qui se trouve même dans le 8


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Littré (Emile) comme adjectif désignant Dieu qui met de l’ordre dans le monde. Un mot de ce genre a l’avantage de donner aisément un verbe, ’ordiner’, un nom d’action, ’ordination’. L’inconvénient est que ’ordination’ désigne une cérémonie religieuse ; mais les deux champs de signification (religion et comptabilité) sont si éloignés et la cérémonie d’ordination connue, je crois, de si peu de personnes que l’inconvénient est peut-être mineur. D’ailleurs votre machine serait ’ordinateur’ (et non ordination) et ce mot est tout a fait sorti de l’usage théologique”»]. In informatica, vista la natura del mezzo, qualsiasi problema che possa essere schematizzato con una procedura di calcolo, un modello di elaborazione di dati, un algoritmo, potrà essere sottoposto al computer; ciò dal tempo di Alan Touring e John Von Neumann, due dei più grandi tra i padri della scienza informatica. Ma qual è la magia che rende possibile tutto ciò? Diremmo che vi sono due elementi magici: uno è il progresso nel campo dei “materiali” impiegati per costruire l’hardware: valvole, transistor, circuiti integrati, microchip ad alto livello di integrazione, computer quantistici, computer al grafene, un ritrovato di questi anni che ha fruttato il premio Nobel ai suoi inventori. L’altro elemento di magia è il “dialogo”, rapido e preciso, che si instaura, durante il funzionamento della macchina, tra le parti che formano il computer al livello dell’hardware, in particolare tra la Cpu, il processore, e la memoria centrale. La memoria centrale svolge il compito di conservare le istruzioni che devono essere eseguite per risolvere un determinato problema (si tratta del programma) e i dati da elaborare con quel programma. La Cpu preleva un’istruzione dalla memoria centrale, la porta presso di sé (fetch), la decodifica (decode) e la esegue (execute), prelevando anche i dati necessari per l’esecuzione, e ponendo i dati parziali in memoria centrale. Ripetendo più volte questo lavoro “elementare”, grazie all’unità di controllo, all’unità aritmetico-logica e ad alcuni semplici elementi di memoria detti “registri”, la Cpu esegue il programma, un’istruzione alla volta, dall’inizio alla fine e così risolve il problema. Non si creda però che ogni problema possa essere facilmente risolto con un click. C’è una branca dell’informatica che si occupa della complessità di calcolo e divide i problemi in classi di complessità in base all’efficienza dei migliori algoritmi noti per ciascun problema di ogni classe, in termini di risorse di calcolo necessarie per eseguirli. Ebbene, ci sono problemi considerati “difficili” o “duri” da risolvere. La crittografia si basa su questi problemi NP-hard. 3. La logica e i linguaggi del computer La logica di funzionamento del calcolatore, al livello della macchina, può apparire astrusa agli occhi di chi oggi usa il computer con estrema facilità, senza una formazione di informatica di base. Tuttavia, occorre sapere che ogni volta che svolgiamo un compito con l’ausilio del computer effettuando uno o più click 9


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noi chiediamo alla Cpu di eseguire programmi. Ogni programma è stato progettato e scritto da un programmatore, o sviluppato automaticamente, proprio per svolgere una funzione utile per l’utente. Ogni programma contiene un algoritmo, cioè un procedimento, come quello per calcolare una percentuale, o quello per risolvere le equazioni di secondo grado (descritto in matematica dall’apposita formula risolutiva), o quello per tenere i conti mediante la “partita doppia”, che, se eseguito dall’inizio alla fine dal computer, e se ben congegnato, permette di risolvere il problema dato. Il programma o software si presenta come un insieme di “ordini” opportunamente organizzati, impartiti al computer, in particolare alla Cpu; insieme che traduce un algoritmo in un linguaggio in qualche modo comprensibile dal calcolatore. Anche se gli utenti non ne hanno consapevolezza, di norma un programma si presenta sotto la forma di un testo (un file ascii) scritto in una “strana lingua”, uno pseudo inglese: cioè in un linguaggio di programmazione. Un semplice programma che permette di introdurre dieci numeri e di calcolarne la somma, utile per esempio per controllare l’esattezza dello scontrino della spesa, è il seguente “testo” scritto in linguaggio Pascal: Program somma; var i: integer; som, num: real; begin som:=0; i:=1; repeat read(num); som:=som+num; i:=i+1 until i>10; write(som) end. In Wikipedia leggiamo: «Un linguaggio di programmazione è un linguaggio formale, dotato (al pari di un qualsiasi linguaggio naturale) di un lessico, di una sintassi e di una semantica ben definiti. È utilizzabile per il controllo del comportamento di una macchina formale […] o in fase di programmazione di questa attraverso la scrittura del codice sorgente di un programma ad opera di un programmatore». Insomma, un linguaggio di programmazione assomiglia a una lingua, ma una specie di lingua artificiale, perciò formale e più rigida di quelle naturali. Però, come le lingue, con riferimento alla scrittura, naturalmente, perché, come abbiamo visto, di scrittura si tratta, ha un alfabeto, un lessico, una sintassi e una se10


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mantica, definiti a priori dall’inventore-sviluppatore del linguaggio: il programmatore, se vuole comunicare correttamente con il computer, deve seguire scrupolosamente le regole “grammaticali” del linguaggio. I primi computer venivano programmati con il linguaggio binario, nel quale, lo ricordiamo, dati ed istruzioni da eseguire, ancora oggi, sono espressi mediante sequenze di “0” e “1”, proprio come la lettera “a” vista sopra, o in un linguaggio binario semplificato detto “short code”. Il linguaggio binario, difficile da usare da parte degli uomini, è, per così dire, il “linguaggio naturale” del computer, nel quale risiede una parte della grande versatilità e dell’“essenza” di questa strana macchina. Una gran parte dello sviluppo dell’informatica, dall’Eniac, uno dei primi computer, ai nostri giorni, può essere letta come il tentativo, riuscito, di rendere sempre più facile per gli utenti l’accesso alle risorse di elaborazione presenti nei calcolatori. Ma come fa il computer a comprendere i linguaggi di programmazione come il Pascal se il suo linguaggio naturale è quello binario? Quale logica è stata seguita dai tecnici e dagli scienziati per risolvere questo problema? Spieghiamo meglio qual è il problema: se la macchina comprende il linguaggio binario, “0” e “1”, “0” e “1” ecc., mentre l’utente si esprime facilmente in italiano o in russo o in francese, o mediante schematizzazioni non troppo dissimili dalla sua espressione in lingua naturale, oppure mediante schemi grafici, come avviene la comunicazione? Ecco la soluzione: gli scienziati hanno pensato di far fare più lavoro possibile al computer, colmando l’abisso che si apre tra il linguaggio umano e il linguaggio binario, attraverso programmi che traducono in linguaggio binario gli ordini, le istruzioni, i programmi espressi dagli utenti o dai programmatori in schematizzazioni che sono abbastanza naturali per loro, al limite espressi nella propria lingua madre. L’inventore-sviluppatore di un linguaggio per calcolatore, chiamiamolo “L”, allora deve fornire ai programmatori le regole grammaticali ma anche l’opportuno software con cui gli utilizzatori tradurranno in linguaggio binario i programmi da essi scritti con il linguaggio “L”. Questi programmi di traduzione sono di due tipi fondamentali (anche se recentemente le cose si sono complicate un poco): compilatori ed interpreti. I compilatori e gli interpreti, in quanto programmi, sono anch’essi scritti in qualche linguaggio di programmazione. Esistono moltissimi linguaggi di programmazione. Vediamo un elenco di nomi suddiviso in sottogruppi: Algol, Basic, Cobol, Fortran; Ada, C, Modula-2, Pascal; Attack, Clarion, C++, Delphi, Java, Modula-3, Python, Simula, Smalltalk, Visual Basic; Lisp, Logo, Scala, Scheme; Curry, Mercury, Prolog; SQL, QBE; Befunge, Brainfuck, FALSE, Malbolge; Occam, Linda, Axum; Applescript, Actionscript, Hyper talk, Java script, Lingo, Perl, VBscript. 11


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I linguaggi per computer possono essere classificati in base a diversi criteri. Un criterio è il “grado di evoluzione” sulla scala che dal linguaggio binario porta alla lingua madre di ognuno di noi. Un secondo criterio è la logica che il programmatore deve seguire per descrivere col suo programma la procedura di risoluzione del problema. I due criteri non sono indipendenti l’uno dall’altro. In base al grado di evoluzione crescente, abbiamo linguaggi Assembly, linguaggi di alto livello o di terza generazione, linguaggi di quarta generazione o productivity tools, e anche linguaggi di quinta generazione. I linguaggi Assembly sono diversi da macchina a macchina e vengono utilizzati per ottimizzare l’efficienza nel software di base come il sistema operativo, il DBMS e il compilatore, o per garantire adeguati tempi di risposta nei sistemi in tempo reale, o nei videogiochi. Nei linguaggi di terza generazione, a una istruzione corrispondono più azioni dell’Assembly. I linguaggi Pascal, Cobol, Fortran, Visual Basic e moltissimi altri menzionati sopra sono di terza generazione. I productivity tools, i diversi programmi di Office automation come Word ed Excel sono linguaggi di quarta generazione; così come i linguaggi dichiarativi Prolog e Datalog, e anche SQL e QBE, specifici per le basi di dati relazionali, sono linguaggi di quarta generazione. I linguaggi di quinta generazione riguardano i sistemi esperti e i prodotti di intelligenza artificiale, con i quali, al limite, si arriva a interagire con la macchina direttamente mediante il linguaggio naturale o con il pensiero. Diamo due esempi di “programmi” SQL: Select nome, cognome From Impiegato where titolo-studio=”laurea in lettere”; Select nome, cognome From Fornitore Where Exists (Select * From Fornitura, Prodotto Where Fornitura.codicef=Fornitore.codicef and Fornitura.codicep=Prodotto.codicep and Prodotto.nome= “vino”). In base alla logica che il programmatore deve seguire per descrivere il problema da risolvere, abbiamo i seguenti paradigmi di programmazione, cioè delle classi di linguaggi simili: imperativi, orientati agli oggetti e dichiarativi, come già visto sopra. In verità l’elenco può essere più lungo: linguaggi imperativi, strutturati, orientati agli oggetti, funzionali, logici o dichiarativi, dichiarativi per data base, esoterici, paralleli, di scripting. Algol, Basic, Cobol, Fortran, PL/1 sono imperativi; Ada, C, Modula-2, Oberon, Pascal sono strutturati; Attack, Clarion, C++, Delphi, Eiffel, Java, Modula3, Python, Simula, Smalltalk, Visual Basic sono orientati agli oggetti; Lisp, Logo, Scala, Scheme sono funzionali; Curry, Prolog sono logici o dichiarativi; SQL e QBE sono dichiarativi per data base; Befunge, Brainfuck, FALSE, Malbolge, Whitespace sono detti esoterici; Occam, Linda, Axum sono paralleli; Apple12


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script, Actionscript, Hyper talk, Java script, Lingo, Perl, VBscript sono di scripting. Diamo esempi di programmi in Prolog e in C, e uno object oriented in Visual Basic. Esempio di programma Prolog che calcola il quadrato di numeri letti dall’esterno: quadrato(X,Y) :Y is X * X. start :write(’Dai un numero: negativo per terminare’), nl, read(X), quadrato_ripeti(X). quadrato_ripeti(X) :X < 0, write(’Arrivederci!’). quadrato_ripeti(X) :X >= 0, quadrato(X,Q), write(’Il quadrato di ’), write(X), write(’ e’’ ’), write(Q), nl,nl. Programma scritto in C che stampa la tabellina: main() { int i, j; /* per I che va da 1 a 10*/ for( i = 1 ; i <= 10 ; i = j + 1 ){ /* per J che va da 1 a 10*/ for( j = 1 ; j <= 10 ; j = j + 1 ) /* stampare I * J stampare uno spazio*/ printf("%3d ", i*j); /* andare a capo*/ printf("\n"); } } Il programma che segue determina l’area e il perimetro di un rettangolo ed è scritto in Visual Basic, seguendo l’approccio object oriented. Esso è diviso in due parti, la prima, fino a quando non si incontra il secondo “option explicit”, rappresenta il modulo di classe, la seconda rappresenta il codice relativo al form dell’interfaccia: Option Explicit 13


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Private mbase As Single Private maltezza As Single Public Property Get base() As Single base = mbase End Property Public Property Let base(ByVal vbase As Single) mbase = vbase End Property Public Property Get altezza() As Single altezza = maltezza End Property Public Property Let altezza(ByVal valtezza As Single) maltezza = valtezza End Property Public Function area() As Single area = mbase * maltezza End Function Public Function perimetro() As Single perimetro = 2 * (mbase + maltezza) End Function Option Explicit Private Sub Cmdesegui_Click() Dim r1 As rettangolo Set r1 = New rettangolo r1.base = Val(Txtbase.Text) r1.altezza = Val(txtaltezza.Text) MsgBox ("area" + Str(r1.area) + " " + "perimetro" + Str(r1.perimetro)) End Sub Per concludere questa parte sui linguaggi, diciamo qualche parola riguardo ai sistemi software particolari che prendono il nome di sistemi operativi, perché anch’essi, come sistemi software, devono essere scritti con qualche linguaggio di programmazione. Il sistema operativo è il software più importante del calcolatore, senza il quale il computer non può funzionare. In Wikipedia leggiamo: «È un insieme di componenti software che garantisce l’operatività di base di un calcolatore, coordinando e gestendo le risorse hardware di processamento e memorizzazione, le periferiche, le risorse/attività software (i processi) e facendo da interfaccia con l’utente, senza il quale quindi non sarebbe possibile l’utilizzo del computer stesso e di altri software più specifici, come applicazioni o librerie software». I sistemi operativi, di norma, vengono scritti con linguaggi di basso livello come sono i linguaggi Assembly. 14


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Noi tutti usiamo Windows o Linux o Mac OS, ma ci sono tantissimi sistemi operativi. Dell’IBM menzioniamo OS/2, OS/360 e OS/390. Citiamo ovviamente anche UNIX, Linux, GNU, Ubuntu, che hanno a che fare con il software libero. È il caso qui di citare il free software, per il quale Richard Stallman con la Free Software Foundation, distributrice di GNU, combatte in nome della democrazia una guerra senza quartiere contro i colossi dell’informatica come Apple, Microsoft, Google: emblematica è stata la polemica che egli ha innescato alla morte di Steve Jobs e l’altra, recentissima, su Android, del quale avrebbe detto che si tratta di un “cavallo di Troia”. La Free Software Foundation ha definito quattro livelli di libertà per poter parlare di software libero. Livello 0: libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo. Livello 1: libertà di studiare il programma e modificarlo. Livello 2: libertà di distribuire copie del programma in modo da aiutare il prossimo. Livello 3: Libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio. Oltre a Stallman, anche altri hanno definito criteri in base ai quali parlare di software libero. Per esempio, il cosiddetto progetto Debian stabilisce dieci principi. 4. La frontiera delle applicazioni dei computer e dei sistemi informatici In questo paragrafo esploriamo alcuni ambiti di ricerca o di applicazione dell’informatica. Office automation Sotto questo nome vanno tutti quei programmi, metodi e sistemi che mirano ad aumentare la produttività dell’ufficio, migliorando possibilmente la qualità dei risultati del lavoro. Microsoft Office è un insieme di programmi di Office automation, come pure Open office. Rientrano in questa categoria anche programmi di gestione progetti come Project e di Cad come Autocad. Naturalmente fa parte dell’automazione d’ufficio anche l’infrastruttura hardware, come la rete locale, che permette di collegare tutte le apparecchiature di un ufficio. Potremmo considerare parte di un sistema d’automazione d’ufficio anche la posta elettronica e i sistemi di collegamento remoto al nostro computer installato in un ufficio situato da un’altra parte, nonché i recenti sistemi di archiviazione di ogni tipo di file in “nuvole” o “pseudo nuvole” come Dropbox e Googledrive, e i sistemi che permettono tutte le forme di telelavoro o “distance working”. Rientrano in questa classe di applicazioni anche tutti gli strumenti di comunicazione che permettono di lavorare stando in treno o in aeroporto, come portatili, black berry, smart phone ecc. Ricordiamo che l’obiettivo dell’Office automation era quello di realizzare l’ufficio senza carta, ma ha realizzato l’ufficio senza ufficio (Google pare che a riguardo abbia intrapreso un percorso a ritroso). Pensate al modo di lavora15


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re di Ryanair e di tante aziende di cui non si trova più un ufficio dove mettere piede ed essere ascoltati, come Enel e Telecom. Basi di dati e basi di conoscenza Una base di dati è un sistema integrato di archivi elettronici progettato in modo unitario e gestito mediante un software speciale detto DBMS (Data Base Management System). Tutti i sistemi informativi basati sul computer praticamente comprendono una base di dati. Quasi tutti i sistemi web, specialmente quelli per l’e-commerce, contengono anche una base di dati, così come i sistemi informativi bancari, compreso il sistema Bancomat. Il sistema di archivi che è la base di dati viene “interrogato” mediante linguaggi particolari come l’SQL per estrarre dati utili all’utente. Più frequentemente però la base di dati viene creata come “infrastruttura” di base su cui appoggiare il funzionamento di programmi particolari detti “transazioni”. In questi casi, il sistema integrato base-di-dati più sistema-delle-transazioni costituisce un sistema informatico prezioso, per esempio, per una banca o per un ente pubblico. Una base di conoscenza è un tipo particolare di base di dati, non tanto orientata alle transazioni, cioè allo svolgimento di operazioni continue di aggiornamento, ma mirata alla gestione della conoscenza relativa a una organizzazione o a un ente. In una base di conoscenza non si archiviano solo dati strutturati come “nome”, “cognome”, “sesso” e “data di nascita” delle persone, ma tutto il materiale informativo che riguarda l’ambito operativo di un’organizzazione o di un ente, proveniente anche dal funzionamento di uno o più database. La conoscenza, per essere utile, viene costruita, per esempio, con tecniche di data mining, classificata e strutturata opportunamente e reperita grazie a motori di ricerca, quando serve, per esempio per prendere decisioni. Accanto ai Data Base Management Systems, da alcuni anni si impiegano sistemi software detti Content Management Systems, concepiti per progettare e sviluppare in modo agevole siti web interattivi e complessi di aziende e altre istituzioni. Data mining e Big data Le tecniche di data mining mirano a estrarre non solo dati, ma un sapere o una conoscenza da grandi quantità di dati (Big data). Per esempio, in statistica non interessano soltanto le serie di dati, ma anche le informazioni sintetiche che possiamo ottenere dai dati, quali medie, varianze, massimi, minimi, tendenze ecc. Ebbene, l’attività di data mining, letteralmente estrazione di dati come da una miniera, è simile a quello che la statistica fa con le serie storiche di dati, salvo che questo nuovo campo di attività si misura con montagne di dati di ogni tipo, come abbiamo visto a proposito delle basi di conoscenza. Quest’approccio persegue due finalità: estrarre da dati strutturati informazioni nascoste o implicite, oppure esplorare in modo automatico o semiautomatico grandi quantità di dati per scoprire in essi “pattern”, cioè schemi significativi presenti in quei dati. In Wikipedia leggiamo: «Questo tipo di attività è cruciale in molti ambiti della ricerca scientifica, ma anche in altri settori (per esempio in quello delle ricer16


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che di mercato). Nel mondo professionale è utilizzata per risolvere problematiche diverse tra loro, che vanno dalla gestione delle relazioni con i clienti, all’individuazione di comportamenti fraudolenti, fino all’ottimizzazione di siti web». Ancora Wikipedia avverte che “cercare un numero di telefono in un elenco” o cercare in Internet “Vacanze alle Maldive” non è fare data mining, mentre lo è “scoprire che Benetton, Troncon, Cavasin, Trevisan sono cognomi comuni in particolari aree d’Italia” o “scoprire i clienti che hanno maggiore propensione all’acquisto di certi prodotti o che sono più sensibili a certe campagne pubblicitarie”. Pare che le tecniche di data mining, associate al concetto di “big data”, promettano di prevedere e forse evitare eventi umani come rapimenti, assassinii, attentati terroristici e stragi, perciò sono molto gradite alle forze dell’ordine e ai servizi segreti. Certamente sono molto impiegate dalle imprese commerciali, le quali anche per questo distribuiscono carte con cui i clienti accumulano punti o hanno diritto a sconti. Nel film “A beautiful mind” c’è un genio della matematica, un poco picchiatello, che pratica senza mezzi, tutto a mente, il data mining. Reti neurali Le reti neurali, per certi versi, sono un modello di calcolatore, basato su un gran numero di elementi semplici ma interconnessi tra loro, alternativo a quello di Von Neumann. Esse si basano sul concetto di “neurone” come unità elementare di calcolo, similmente a quello che accade con i neuroni del cervello: si tratta di simulazioni del comportamento del neurone umano. Una rete neurale potrebbe essere simulata mediante una o più strutture di dati come vettori e matrici, persino in Pascal. L’unità “neurone” riceve uno o più segnali d’ingresso provenienti da altri neuroni ed emette un solo segnale d’uscita, eventualmente diretto ad altri neuroni della rete. Questi segnali assumono valori compresi tra 0 e 1. A ogni segnale il neurone associa un “peso” come fattore moltiplicativo. La somma pesata di tutti i segnali costituisce l’“attivazione interna” del neurone, mentre il suo segnale di uscita è detto “attività”. Un segnale uscente da un neurone e diretto a un altro neurone costituisce una sorta di sinapsi. Nelle reti neurali è importante l’apprendimento. Queste reti neurali e i cosiddetti algoritmi genetici vengono impiegati nelle basi di conoscenza e nell’attività di data mining. Data warehouse Un data warehouse è, letteralmente, un magazzino di dati, per esempio, di un’azienda, e rappresenta una estensione del concetto di base di dati e di base di conoscenza. Il data warehouse descrive il processo di acquisizione, trasformazione e distribuzione di informazioni presenti all’interno o all’esterno delle aziende come supporto per il processo decisionale, il quale deve tenere conto di sempre più importanti quantità di fatti e variabili. Si tratta di un archivio contenente tendenzialmente tutti i dati di un’organizzazione, di qualsiasi natura essi siano. In Wikipedia leggiamo che William H. Inmon, colui che per primo ne ha parlato esplicitamente, definisce un data warehouse come “una raccolta di dati inte17


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grata, orientata al soggetto, variabile nel tempo e non volatile di supporto ai processi decisionali”. Il data warehouse può essere solo interrogato dall’utente, non aggiornato: dell’aggiornamento si occupano i responsabili. Un elemento molto importante del data warehouse è il “metadato”, cioè dati aggiunti ai dati veri e propri che permettono di specificarne la provenienza, l’utilizzo, il valore e la funzione. DSS (Decision Support Systems) Un sistema di supporto alle decisioni viene concepito per aiutare i “decision maker” aziendali che si misurano quotidianamente con i processi decisionali. Il DSS permette di sintetizzare e presentare in modo semplice grandi masse di dati, di simulare situazioni e scenari tra i quali i decisori poi sceglieranno quello che riterranno più conveniente. Il DSS si appoggia su un database o su una base di conoscenza o sul data warehouse. Inoltre, contiene una base di modelli tipici dei sistemi esperti e applicazioni di business intelligence. Nei DSS un ruolo importante gioca l’attività di data mining, mirata a estrarre, per esempio grazie a reti neurali o a algoritmi particolari, informazioni come relazioni e associazioni tra i dati presenti nel data base, precedentemente sconosciute all’utente. Robotica e robotica umanoide È una classe di applicazioni che trovano spazio nell’industria, dove ormai il lavoro manuale è stato sostituito dai robot, ma anche in casa o sul campo di battaglia, e perfino nella didattica. I robot soldato insieme ai droni, velivoli senza pilota, e forse gli esoscheletri, permettono di cambiare totalmente il modo di fare la guerra guerreggiata. L’altra frontiera della guerra, a metà strada tra lo spionaggio e la guerra vera e propria, è la cosiddetta cyber war, cioè quella combattuta a distanza da hacker e pirati informatici. Domotica Si tratta di applicazioni dei computer alla gestione della casa, per esempio al fine di ottimizzare i consumi energetici e rendere più gradevole la vita. Sistemi esperti Con i sistemi esperti si cerca di emulare il comportamento degli esperti umani. Per esempio, un sistema di questo tipo può permettere di fare la diagnosi a un paziente a partire dai sintomi, come farebbe un medico. Questo è possibile grazie a una base di conoscenza comprendente regole deduttive e procedure tipiche dell’ambiante in cui il sistema deve operare, e grazie a un motore inferenziale. Intelligenza artificiale Le applicazioni di intelligenza artificiale sono quelle che mirano a dotare un computer di abilità che lo rendano capace di svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana. Questa branca dell’informatica cerca di rispondere alla domanda: “I computer possono pensare?”. Gli esperti di intelligenza artificiale si occupano di apprendimento automatico, di rappresentazione della conoscenza e di ragionamento, di cooperazione, di linguaggio naturale, di simulazione della visione e di riconoscimento di immagini. 18


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Un ricercatore dell’Unical, nostro conterraneo, ha ottenuto un premio perché «i proponenti avevano evidenziato gli straordinari risultati di ricerca in Intelligenza Artificiale conseguiti … che spaziano dalla teoria degli ipergrafi, al “constraint satisfaction” ed alla logica computazionale, sottolineando la notevole combinazione della ricerca di base con la ricerca applicata ed il trasferimento tecnologico, che ha coniugato la dimostrazione di teoremi e proprietà fondamentali con lo sviluppo di sistemi complessi ed innovative applicazioni dell’Intelligenza Artificiale». Altre applicazioni comuni dei computer sono: il web marketing, l’e-commerce e l’home banking, delle quali tutti noi facciamo ormai esperienza. L’e-government, invece, è l’applicazione dei computer all’amministrazione della pubblica amministrazione, la quale in questo modo digitalizza i documenti e trasferisce online i procedimenti. Inoltre, le aziende usano correntemente applicazioni di Business intelligence. In Internet leggiamo: «Con la locuzione business intelligence (BI) ci si può solitamente riferire a: 1. un insieme di processi aziendali per raccogliere ed analizzare informazioni strategiche, 2. la tecnologia utilizzata per realizzare questi processi, 3. le informazioni ottenute come risultato di questi processi». Le tecniche di business intelligence sono strettamente collegate a quelle di data mining, di data warehouse, di OLAP (on line analytical processing) ecc. Altre applicazioni che riguardano le imprese, ma anche la pubblica amministrazione sono quelle dei Workflow management systems, che permettono di razionalizzare l’organizzazione, molto utilizzate nelle banche e nelle assicurazioni. E-learning fa riferimento, invece, alla possibilità di apprendere mediante i computer, grazie a sussidi multimediali, anche online. Del resto è esperienza comune apprendere mediante canali tematici, mediante Youtube, o mediante le molte reti televisive che permettono di praticare la full immersion nelle lingue straniere. Recentemente, la fondazione “Mondodigitale” di Roma, in collaborazione con Microsoft ha proposto alle scuole superiori del nostro paese una modalità originale di apprendimento, basata non su contenuti ma su processi: ogni gruppo -classe è invitato a escogitare un’idea progettuale di innovazione sociale, di pianificarla e di realizzarla. I progetti vengono raccolti sulla piattaforma “Phyrtual.org”, messi a confronto e sostenuti. In questo modo si spera di fare acquisire agli studenti alcune competenze considerate importanti per la loro vita, come saper lavorare in gruppo, saper apprendere e risolvere problemi cooperando, saper elaborare un progetto e realizzarlo, saper utilizzare i nuovi mezzi digitali d’informazione. 19


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Altri fronti aperti della ricerca informatica riguardano: l’elaborazione parallela, il cloud computing, la realtà virtuale, i sistemi di quick read, la realtà aumentata, il web 3.0, lo studio di interfacce a campo sensibile, senza dispositivi fisici, fino ai sistemi di interazione basati sul pensiero. Nella scheda biografica di un altro ricercatore dell’Unical, dunque un altro calabrese, leggiamo che egli si occupa di: «Workflow e Process Mining: modellazione di processi utilizzando strategie (chiamate workflow mining) …; Data Warehouse, Sistemi OLAP (online analytical processing) ed Integrazione dei Dati …; gestione di dati continui da sensori in griglie computazionali …; linguaggi basati sulla logica e non-determinismo: introduzione di meccanismi di punto fisso inflazionario, di gestione di eventi ed altre estensioni per la rappresentazione di basi di conoscenza ed ontologie …». 5. Il computer nei sistemi di comunicazione e nei processi di produzione e diffusione della conoscenza Questo argomento richiede una riunione a parte. Nei prossimi mesi metteremo a confronto tre o quattro studenti e un giovane insegnante su questi temi specifici. Qui ci limitiamo a ribadire che alcuni servizi e strumenti ormai di uso quotidiano, e alcune idee e altri dispositivi che stanno per essere lanciati sul mercato, da considerare, sono i seguenti: 1. posta elettronica, distance work, chat e messaggerie varie, Facebook; 2. Twitter, Wikipedia, Treccani online, vocabolari online, quotidiani online, tv e radio online, Youtube, Ansa.it, la Crusca on line, Dop online; TED, Livestation, Blackberry, Servizio pubblico via Internet, Ipod, Ipad, Iphone, wordreference; 3. musica in podcasting, juke box on line, e-book, spazi liberi per e-book online; 4. smart city, e-book, Papertab, qbit, computer al grafene, esoscheletri, Vine, smartwatch, stampanti 3D, Google glass, interfacce senza dispositivi fisici. Gli studiosi ormai parlano di “era post-umana”, di un tempo cioè in cui gli uomini saranno molto diversi da come li abbiamo conosciuti finora, giacché gli apparati biologici, psichici, sensoriali, mentali e percettivi della creatura propriamente umana, ormai antiquata, saranno manipolati e integrati con “protesi” sempre più potenti e sofisticate, tali da rendere minima, in queste creature (simbionti dotati di intelligenza e facoltà connettive, iperuomini, pseudo uomini o androidi), la parte riconducibile alla natura. Non si tratta di fantascienza. I mezzi e le conoscenze ci sono o stanno per essere messi a punto dai neuroscienziati, dai biotecnologi e dagli ingegneri genetici oltre che dagli informatici, e il desiderio di onnipotenza dell’uomo è ben noto dal tempo di Adamo ed Eva. Da questo punto di vista, la visione di Paul Valéry con la quale abbiamo iniziato circa la conquista dell’ubiquità è profetica, se si considera il tempo in cui fu concepita, ma oggi è ampiamente superata; chi vivrà vedrà orrori e meraviglie. Il sogno è sempre lo stesso: sogno faustiano di immortalità e di onnipotenza. 20


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Dibattito relativo all’incontro di Sos scuola del 25 gennaio 2013 (appunti a cura di Angela Salerno) Francesca: Il linguaggio informatico lo stiamo studiando a scuola, da questa relazione abbiamo scoperto che esistono tantissimi linguaggi. Anna: Mi pare che con l’informatica siamo in continua evoluzione. Fabiola: A scuola studiamo le cose basilari, abbiamo ancora tanto da studiare. Mattia: Non sapevo che esistevano tutti questi linguaggi. Maria: Ho trovato un’analogia con l’atomo, una struttura che ritorna sempre. Alfio: Darwin dice che alcune specie si adattano e trovano il modo per sopravvivere. Il linguaggio informatico è un mezzo di comunicazione. La maggior parte delle persone che non conosce questi nuovi linguaggi rimarrà analfabeta, e avrà sempre bisogno degli altri, un po’ come succedeva negli anni in cui non si doveva frequentare obbligatoriamente la scuola. Grazia: Abbiamo ascoltato cose interessanti. Federica: Ma l’evolversi dell’informatica limita noi ragazzi? Maria: Chi sa usare il computer spesso non è consapevole delle conseguenze, di quello che c’è dietro. Rosa: Il problema è come usiamo le cose, basti pensare alla stampa, censurata inizialmente perché ritenuta qualcosa di diabolico. Maria: È qualcosa di diverso dalla stampa. Serafina: A me non piace molto usare il computer perché ho paura che mi crei delle dipendenze. Vincenzo: È stato interessante quest’incontro oggi, mi sono più chiare molte cose. Mattia: Sono rimasto soddisfatto perché ho imparato nuove cose. Angela: Questo è il secondo anno che partecipo al progetto di Sos scuola. Quello che abbiamo fatto oggi lo ritengo molto interessante, ho scelto l’indirizzo Mercurio proprio perché mi interessava il mondo dell’informatica. Francesco: Dopo quest’incontro ho scoperto nuove cose, però penso che quando noi leggiamo sappiamo come è fatto un testo, il computer, invece, come è stato costruito? Tommaso: Il computer è stato costruito sull’alfabeto “0” e “1”; con meno di due simboli non si riesce a fare nulla; all’inizio le valvole servivano a questo. Dopo 60-70 anni arriviamo per tentativi ai qbit . 21


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Dominique: Io credo che Internet sia una cosa diversa dall’informatica. La conoscenza è a disposizione di tutti, ma c’è il pericolo di essere continuamente “controllati” attraverso lo studio dei dati che immettiamo in rete. L’altro pericolo è quello di perdere la socialità. È stato studiato che, comunque, un contatto umano ha ancora un valore aggiunto. L’e-book non ha le sensazioni tattili, olfattive di un normale libro. Ma in più l’e-book reader ha uno schermo che riproduce quasi fedelmente l’effetto dell’inchiostro. Inoltre ha una memoria enorme. Può memorizzare 2500 libri. Ci sono i dizionari, c’è la possibilità di fare ricerche, prendere appunti, mettere segnalibri. Iole: Il libro rimarrà sempre. Questi strumenti sono soggetti a modifiche, trasformazioni, che magari li renderanno inutilizzabili. Io ho conosciuto le schede perforate, ma ho paura che questi sistemi si autogenerino in modo incontrollato. L’ignoranza su questi aspetti aumenterà. Rosa: Non bisogna avere timore delle innovazioni, forse siamo un po’ pigri. Riguardo alla democratizzazione portata da Internet, basta pensare a quello che è successo nei paesi arabi. La gente può informarsi di più. E lo vediamo in questo momento di campagna elettorale. Maria: Non mi fido di tutta questa diffusione dell’informatica, perché ci vuole prudenza. Non ho paura degli strumenti, ma bisogna insegnare ai ragazzi ad avere spirito critico. America: Mi è stata rubata l’identità su Facebook e qualcuno ha usato il mio account chiedendo aiuto economico ad una mia amica. Emilia: Una nota di metodo: la relazione non si può esaminare in poco tempo perché ha messo insieme aspetti sulla informazione e aspetti etici, inoltre bisogna intervenire con ordine. Noi siamo liberi di fronte al computer perché non può essere la macchina a decidere cosa devo o posso fare. Ma qual è il prezzo di questa libertà? I cittadini dei paesi in via di sviluppo hanno la stessa libertà nell’accesso all’informazione? E la ricerca? Chi possiede “il sistema computer” resta sempre più avanti. Chiara: La relazione mi è sembrata molto interessante e ci ha chiarito le idee su diversi aspetti. Credo però, che, soprattutto per quanto riguarda l’uso della rete, ci sia bisogno di esercitare un sano spirito critico. Noi insegnanti, a mio avviso, dobbiamo guidare i nostri studenti a vagliare le fonti, (anche quelle trovate su Internet) e a selezionare le informazioni, perché non basta avere a disposizione fonti di conoscenza per aumentare la nostra cultura. Don Milani diceva ai suoi ragazzi che “è la lingua che ci fa eguali”, intendendo non solo la conoscenza letterale della lingua, ma la comprensione dei concetti in modo sempre più attento e profondo. Ecco, anche l’informatica, il mondo dei computer, la Rete deve essere “letta” in maniera opportuna, senza fermarci solo alla superficie. Nunzio: Un tempo si parlava di EDP (Electronic Data Processing), poi siamo passati a parlare di IT (Information Technology), ora, da un po’ di tempo, si parla di ICT (Information & Communication Technology). Insomma, si è passati 22


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dell’informatica alla comunicazione. La comunicazione prevede un rapporto trasmissione e ricezione. Ci sono problemi con cui dobbiamo fare i conti. Esempio: l’amministrazione pubblica che impone per molte delle pratiche la gestione online: bisogna imparare a cavarsela. È difficile eliminare i danni. Io diffido dall’affidare i propri dati ad altri (CLOUD), specie per quel che riguarda l’ecommerce. Bisogna essere coscienti dei vantaggi e rischi della navigazione in rete. Alfio: Sono incompetente e con il computer non mi sento molto a mio agio. Arriva tutto per e-mail, ma io non ci sono abituato. Dobbiamo imparare, non possiamo restare fuori. Tommaso: Riprendo alcune idee che sono emerse in questo dibattito e le collego con le domande che formulavo in premessa come “che cosa è l’informatica?” e “quale percorso formativo per apprendere l’informatica?”. Purtroppo dalla metà degli anni ’90 nell’opinione pubblica si è affermata l’idea che studiare informatica significhi imparare a usare il personal computer, e che gli informatici in fondo sanno come far funzionare un personal, magari collegato a Internet. Questo luogo comune nella scuola ha causato grandi danni, e oggi, che, per esempio, in questa scuola, la riforma Gelmini impone di formare figure professionali esperte di Sistemi informativi aziendali, molti sono disorientati. Ebbene, un informatico dovrebbe innanzitutto conoscere tre o quattro linguaggi di programmazione, almeno uno per ognuna delle classi più importanti di linguaggi: uno procedurale, uno orientato agli oggetti, uno logico o funzionale, uno dichiarativo per basi di dati, come SQL. Un informatico dovrebbe fare una valida esperienza di sviluppo software in qualche progetto di tipo scientifico, gestionale o orientato al web. Chi conosce i linguaggi di programmazione, sa di software engineering, di basi di dati, di sistemi operativi e di reti di computer, imparerà anche che le applicazioni dell’informatica all’organizzazione e alla gestione delle aziende va comunemente, con qualche semplificazione, sotto il nome di Sistemi informativi aziendali. Insomma, come per le automobili ci sono i progettisti, i costruttori, i meccanici-manutentori, figure professionali da tenere distinte dagli utentiautomobilisti, nel settore informatico ci sono coloro che progettano sistemi a livello hardware o a livello software, coloro che producono dispositivi e sistemi, coloro che li riparano e, infine, gli utenti delle macchine. Come gli automobilisti, prendendo la patente, vengono abilitati a usare l’auto, non certo a ripararla, a costruirla o a progettarla, gli utilizzatori di computer, mediante appositi corsi, imparano ad usare la macchina, non certo a progettare e sviluppare software, realizzare basi di dati, sviluppare sistemi operativi, costruire sistemi informativi aziendali. Bisogna comprendere che anche se in banca tutti gli impiegati usano il computer, probabilmente nessun impiegato è esperto di basi di dati e sistemi informativi bancari; se le imprese che producono scarpe praticano l’e-commerce e il 23


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business intelligence e i loro dipendenti usano quotidianamente il computer, non vuol dire che gli impiegati sono esperti di sistemi informativi sofisticati; se le aziende che operano nel settore dell’informazione (giornali, case editrici, reti televisive o radiofoniche, aziende del web ecc.) ormai si avvalgono in modo esteso di sistemi informatici avanzati e i “lavoratori” svolgono la loro attività usando computer, palmari, i-pad, e-book reader, quei lavoratori non sono più “informatici” di quanto un qualsiasi utente-automobilista sia un “meccanico” o un “ingegnere meccanico”.

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Sulle orme di san Francesco (appunti di Martina Semprevivo, foto di Maura Bruno) Il gruppo Sos scuola il 10 marzo ha fatto un’escursione a Paola. Un drappello di persone, tra le quali una buona parte della III B Sia del “Cosentino” di Rende, è partito dalla stazione di Castiglione Cosentino poco dopo le 10.00 ed è rientrato intorno alle 20.00. Appena scesi dal treno, intrattenuti da Alfio Moccia, abbiamo appreso molto sui santi d’Italia. Poi abbiamo iniziato la salita verso il santuario. Neanche a metà percorso, noi studenti eravamo sfiniti, a differenza dei professori che proseguivano con un ritmo sostenuto. Dopo una salita che sembrava infinita, nei pressi della strada statale, abbiamo fatto una digressione per visitare un mulino tradizionale ad acqua. Esplorando l’esterno e l’interno, abbiamo potuto vedere la macina del mulino e gli strumenti antichi che servono per macinare la farina. Abbiamo scoperto con sorpresa la semplicità e l’ingegnosità del sistema che aziona la macina grazie al getto dell’acqua prelevata dal torrente e canalizzata verso l’impianto. L’altra sorpresa è stata quella di vedere che il mugnaio è un giovane poco più grande di noi studenti adolescenti, il quale, avendo rimesso in sesto il mulino di famiglia, prova a guadagnarsi da viver e onestamente. Salutati il mugnaio e la sua fidanzata, non prima di aver fatto scorta di farina da usare in casa per la pizza o per le lasagne, abbiamo compiuto l’ultimo tratto di ascesa al santuario, affrontando i famosi cento gradini dove è rappresentata la Via Crucis: da qui si può ammirare il bellissimo 25


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paesaggio, un po’ scosceso e accidentato, ma che apre anche un affaccio bellissimo sul mar Tirreno. Dopo la scalinata, arriviamo al piazzale antistante l’ingresso del santuario, dove si intravede la facciata principale dell’edificio. La prima visita l’abbiamo riservata alla basilica antica del santuario, dove sono conservate le spoglie del Santo. Abbiamo acceso un cero per i nostri cari, e subito dopo ci siamo incamminati nei cunicoli sotto terra. Nel frattempo un gruppetto faceva una breve pausa, discutendo della magnifica vita del Santo, che si è svolta dal 1412 al 1507. Successivamente abbiamo visitato la basilica nuova, dalle bellissime vetrate, inaugurata solo nel 2000, e siamo andati a riempiere le nostre bottigliette alla Fonte della Cucchiarella. Andando avanti, abbiamo visto la Grotta della Penitenza, dove il Santo andava a rifugiarsi e a pregare. Prima di ciò abbiamo attraversato il famoso Ponte del Diavolo, chiamato così per un’orma che si pensa sia stata lasciata dal demonio. Intorno alle 14.00 ci avviamo verso il centro della cittadina per andare a pranzare. Nel frattempo ci inoltriamo tra monumenti e vicoli che la città ci offre, come la bellissima fontana dei sette canali. Andando verso il centro della cittadina troviamo uno dei luoghi di ritrovo chiamato Piazza del Popolo, dove possiamo ammirare l’arco di San Francesco. Proseguendo arriviamo alla villa comunale, un parco interamente verde che si affaccia sul mare. Finalmente, stanchi ma contenti, ci sediamo a tavola davanti a un bel piatto di pasta fumante. La comitiva intanto si è arricchita di altri amici e siamo diventati una ventina. Durante il pasto, Alfio ci allieta con chitarra e organetto e qualcuno ne approfitta per fare quattro salt i. L’ ott imo past o, insomma, viene accompagnato dal vino del prof. Cariati e dalle belle canzoni tradizionali del nostro Paese. Uscendo dal 26


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ristorante, abbiamo avuto la bella idea di fare un giro sulla spiaggia, prolungando cosÏ la nostra gita di qualche ora per vedere il sole tramontare nel mare. Un pomeriggio fantastico passato sulla spiaggia in compagnia e nel tramonto, allietato dal suono della chitarra. La giornata si è conclusa con il nostro rientro alle ore 20.00.

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Consumo critico e libertà nella società dell’informazione (appunti di Giovanna Iantorno e Chiara Marra per la riunione del 14 marzo 2013) 1. Premessa Tutti noi siamo consumatori. Leggiamo da Wikipedia: «Per consumo si intende qualsiasi attività di fruizione di beni e servizi da parte di individui, di imprese o della pubblica amministrazione che ne implichi il possesso o la distruzione materiale o la distruzione figurata (nel caso dei servizi)». Attraverso i nostri consumi possiamo, senza dubbio, determinare il “successo” e l’arricchimento di certe aziende a discapito di altre. Possiamo, dunque, esercitare una forma di “potere”. A nostro avviso, esercitare un “potere” esige, sempre, contestualmente, una assunzione di responsabilità, affinché si possa essere quanto più è possibile cittadini liberi e consapevoli. Per questo abbiamo proposto ad Sos scuola una riflessione su consumo critico e libertà nella società dell’informazione. Leggiamo ancora da Wikipedia: «Per consumo critico o consapevole si intende la pratica di organizzare le proprie abitudini di acquisto e di consumo in modo da accordare la propria preferenza ai prodotti che posseggono determinati requisiti di qualità differenti da quelli comunemente riconosciuti dal consumatore medio. Alcuni dei requisiti sono: la sostenibilità ambientale del processo produttivo, l’eticità del trattamento accordato ai lavoratori, le caratteristiche dell’eventuale attività di lobbying politica dell’azienda produttrice. La possibilità di utilizzare la propria posizione di consumatore per perseguire fini politici o etici presuppone il diritto di poter scegliere tra diversi prodotti nonché la conoscenza di tutte le informazioni necessarie a compiere una scelta consapevole. Volendo fare uso di una analogia tra il consumatore ed il lavoratore, questi diritti corrisponderebbero al diritto di sciopero e alla sindacalizzazione. Una analogia viene spesso proposta anche tra il consumatore e l’elettore, per cui uno dei possibili slogan del consumo critico è “voti ogni volta che vai a fare la spesa”. Il termine in genere non fa riferimento, riduttivamente, solo agli acquisti di beni materiali: il consumo critico può anche riguardare le scelte inerenti al risparmio (finanza etica) e all’uso di servizi come ad esempio i trasporti o le telecomunicazioni». Nel preparare questa comunicazione abbiamo fatto riferimento al volumetto 28


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di Francesco Gesualdi, del Centro nuovo modello di sviluppo, dal titolo Manuale per un consumo responsabile. 2. Il Centro nuovo modello di sviluppo Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo è composto da tre famiglie che hanno deciso, alla fine degli anni Settanta, di andare a vivere insieme in un casolare, in provincia di Pisa, perché accomunate dal medesimo impegno civile, sociale e politico. Leggiamo dal loro sito: «Abbiamo cominciato la nostra attività ponendoci una domanda angosciante: come mai un mondo tanto ricco produce tanta povertà. Che il mondo sia ricco lo sperimentiamo tutti i giorni. Basta che guardiamo come ci vestiamo, come viaggiamo, cosa mettiamo nei nostri piatti. Ci sfugge, invece, che questa condizione è riservata a pochi. Solo il 20% della popolazione mondiale vive secondo il nostro standard di vita. L’altro 80% vive in condizioni di miseria. Un 50% vive addirittura in condizione di povertà assoluta, una situazione che non consente di soddisfare neanche i bisogni fondamentali come il cibo, l’acqua potabile, la medicina di base, l’istruzione minima. Per capire le ragioni di tanta ingiustizia ci siamo buttati a capofitto nello studio dell’economia mondiale ed abbiamo capito che la povertà non è una fatalità, ma il risultato di un’economia assurda organizzata per servire esclusivamente l’interesse dei mercanti. Più in particolare è il frutto dello scambio ineguale, del debito, dello sfruttamento del lavoro. Ma aver capito non ci è bastato, perché noi non siamo un centro di ricerca fine a se stesso. Noi siamo militanti e facciamo ricerca per indicare a noi e agli altri come possiamo opporci ai meccanismi ingiusti a partire dalla quotidianità. In altre parole concepiamo il sapere solo se è orientato all’azione. Per questo abbiamo cercato di sciogliere un altro nodo. Abbiamo voluto capire che ruolo giochiamo all’interno della macchina oppressiva perché solo così possiamo intervenire là dove siamo più determinanti. Per trovare la risposta ci è bastato mettere la testa dentro all’armadio e constatare che la nostra dispensa è ricolma di prodotti che vengono dal Sud del mondo. Oggi che siamo nell’epoca della globalizzazione perfino i nostri guardaroba traboccano di camicie, canottiere, scarpe provenienti dall’Asia, dall’America latina, dall’Africa del nord. Così abbiamo capito l’importanza strategica del consumo ed abbiamo cominciato a chiederci come potevamo trasformare questo momento da strumento di complicità con gli oppressori a strumento di liberazione per gli oppressi. […] Scegliendo cosa leggere, come, cosa e quanto consumare, da chi comprare, come viaggiare, a chi affidare i nostri risparmi, rafforziamo un modello economico sostenibile o di saccheggio, sosteniamo imprese responsabili o vampiresche, contribuiamo a costruire la democrazia o a demolirla, sosteniamo un’economia solidale e dei diritti o un’economia animalesca di sopraffazione 29


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reciproca. In effetti la società è il risultato di regole e di comportamenti e se tutti ci comportassimo in maniera consapevole, responsabile, equa, solidale, sobria, non solo daremmo un altro volto al nostro mondo, ma obbligheremmo il sistema a cambiare anche le sue regole perché nessun potere riesce a sopravvivere di fronte ad una massa che pensa e che fa trionfare la coerenza sopra la codardia, il quieto vivere, le piccole avidità del momento. Ciò spiega perché la nostra attività si concretizza nella stesura di guide per informare i consumatori sul comportamento delle imprese, nell’organizzazione di campagne, in suggerimenti sugli stili di vita. Un piccolo contributo per un grande cambiamento». 3. La denuncia Negli anni il Centro Nuovo Modello di Sviluppo ha raccolto e sostenuto diverse campagne di denuncia nei confronti di imprese che mettono in pratica comportamenti non etici e non rispettosi dei criteri di qualità. Segnaliamo solo due esempi: 1. il caso Chicco avviato in seguito ad un incendio in una fabbrica cinese di giocattoli che produceva per la Chicco durante il quale rimasero uccise 87 ragazzine perché erano state chiuse nello stabilimento. In soli cinque mesi di pressione da parte dei singoli consumatori e di alcune associazioni di consumatori italiani, il Centro è riuscito ad ottenere da Artsana, proprietaria del marchio Chicco, un fondo di risarcimento per le famiglie delle vittime dell’incendio e l’adozione di un codice di condotta in favore dei lavoratori. 2. il caso Levi’s, che agli inizi degli anni Novanta trasferì la sua produzione dagli Stati Uniti in Messico e a Saipan, un’isoletta del Pacifico, dove gli operai venivano tenuti in condizioni subumane. A seguito della denuncia, non solo la Levi’s interruppe l’operazione Saipan, ma si dotò di un codice di comportamento che fissa i principi che devono essere rispettati dalle imprese estere a cui viene trasferita la produzione. Tredici sono le caratteristiche del comportamento delle imprese che ne determinano, secondo il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, l’eticità:  trasparenza: disponibilità a fornire informazioni veritiere;  abuso di potere: iniziative per condizionare l’opinione pubblica e il potere politico;  Terzo Mondo: modo di gestire i rapporti produttivi e commerciali con il Sud del Mondo (diritti dei lavoratori, equità negli scambi, rispetto ambientale);  ambiente: osservanza delle leggi di tutela ambientale (risparmio energetico, riduzione degli imballaggi, depuratori ecc.);  armi ed esercito: produzione di armi e vendita di prodotti alle forze armate; 30


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 vendite irresponsabili: vendita di prodotti potenzialmente dannosi (farmaci con pesanti effetti collaterali, tabacco, superalcolici, prodotti che presentano pericoli nel loro uso);  organismi geneticamente modificati (OGM): produzione e utilizzazione di tali organismi, di cui non si conoscono gli effetti a lungo termine sulla salute e sull’equilibrio ambientale;  sicurezza e diritti dei lavoratori: misure adottate per la sicurezza dei lavoratori ed il rispetto dei diritti sindacali e di legge;  regimi oppressivi: possesso di attività economiche in paesi (e corrispondente sostegno finanziario ai loro regimi) che non rispettano i diritti umani;  illeciti e frodi, nei confronti della clientela e della concorrenza, ma anche corruzione e finanziamenti illeciti;  animali: allevamenti in condizioni spregevoli, sperimentazioni su animali;  etichette e pubblicità: pubblicità scorretta, etichette poco chiare nelle informazioni o nella leggibilità;  paradisi fiscali: si riferisce alla registrazione della società (o di parte importante di essa) in paesi che garantiscono segretezza e regimi fiscali convenienti, con danno finanziario per tutta la collettività e incentivazione della criminalità. 4. Il boicottaggio Il boicottaggio è un’azione individuale o collettiva coordinata avente lo scopo di ostacolare e modificare l’attività di una persona, o quella di un gruppo di persone, una azienda o un ente o anche di uno stato, in quanto ritenuta non conforme a principi etici o ai diritti universali o a convenzioni sociali. Oltre che a tali fini moralizzatori l’azione di boicottaggio può essere posta in essere anche a scopi economici. Vi sono almeno tre tipi di boicottaggio: di “coscienza”, “strategico” ed uno “etico-strategico”.  Il boicottaggio di coscienza risponde allo scopo di compiere azioni volte a correggere un’attività considerata contraria ai principi morali o dannosa. Un esempio in questo senso è il boicottaggio degli OGM o di prodotti e servizi di una società che adotta comportamenti ritenuti scorretti.  Il boicottaggio strategico ha invece finalità politiche o economiche e viene intrapreso da gruppi organizzati o anche da stati o organizzazioni internazionali al fine di modificare comportamenti in atto presso altri gruppi o stati usando ritorsioni economiche e commerciali sugli stessi. Un esempio in tal senso è il boicottaggio statunitense dei prodotti cubani. 31


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Il boicottaggio definito come “etico-strategico”, condivide in qualche maniera entrambe le posizioni. Consiste in una forma di ribellione e rifiuto di quei prodotti “eticamente scorretti”, ma in maniera “strategica”, vale a dire un boicottaggio che porti dei danni economici alle aziende incriminate. Con tale espressione si intende il modo che molte persone hanno per evitare di comperare (e quindi sostenere) prodotti derivanti dall’inaccettabile sfruttamento umano o del pianeta: prodotti direttamente fabbricati da persone (spesso bambini) in condizioni di lavoro estremamente disumane e, spesso, indotte dal sistema economico; marche che, pur di raggiungere il maggior profitto, non rispettano la dignità umana ed il valore del lavoro; prodotti altamente inquinanti, pericolosi per la saluta del pianeta o per la salute umana, creati nel nome del “libero mercato” e del "massimo profitto" che, pur essendo lesivi ed in più difficilmente degradabili, vengono comunque commerciati. Questo modo di boicottare è la maniera che ogni singolo soggetto possiede per ribellarsi al contingente sistema economico ed è la maniera che ogni singolo soggetto possiede per non sovvenzionare marche o prodotti derivanti da tale logica di mercato. Il successo di un boicottaggio, come movimento non strutturato, dipende dalla sua capacità di diffondere il messaggio. Grazie all’avvento di Internet con i siti web, i blog ed i forum la capacità di comunicazione dei movimenti di boicottaggio è aumentata consentendo di raggiungere un numero maggiore di potenziali aderenti. Negli anni sono state avviate diverse campagne di boicottaggio. Ne citiamo solo alcune per capire quanto è vasto il fenomeno del mancato rispetto, da parte delle aziende, di comportamenti etici, e quanto può essere importante, da parte dei consumatori, essere informati e decidere liberamente e consapevolmente dei propri acquisti. UNILEVER (proclamata da Animal Aid per esperimenti su animali) Comportamenti non etici segnalati: abuso di potere, sfruttamento Terzomondo, danni all’ambiente, ogm, diritti lavoratori, regimi oppressivi, illeciti, sfruttamento animali, pubblicità scorretta, paradisi fiscali COSA COMBINA NEL MONDO LA UNILEVER Regimi oppressivi: ha filiali in Brasile, Colombia, Egitto, El Salvador, Guatemala, Honduras, India, Indonesia, Kenya, Messico, Marocco, Perù, Filippine, Senegal, Sri Lanka, Turchia e Uganda. Relazioni sindacali: nel giugno 1989 i lavoratori della Gessy Lever a San Paolo, Brasile, occuparono la fabbrica per rivendicare paghe e condizioni di lavoro migliori; 87 di loro furono licenziati. Sebbene poi i lavoratori ricevettero un aumento di paga, la direzione mancò di riconoscere il consiglio di fabbrica eletto dai lavoratori. Salari e condizioni di lavoro: nel 1988 membri del sindacato dei lavoratori nella fabbrica Elida Gibbs in Sudafrica scioperarono per il salario minimo. La direzione aziendale ottenne un ordine dalla Corte Suprema che reprimeva i 32


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membri del sindacato dall’interferire con la produzione e distribuzione di merci. (Comunque, il sindacato ultimamente ha vinto la sua rivendicazione per un salario minimo mensile di R 195). Diritto alla terra: Unilever ha una grande fabbrica di tè a Pazar nella Turchia Orientale, un’area dalla quale la gente, la maggior parte Kurdi, è stata espulsa secondo uno schema di sviluppo deciso dal Governo Turco. Ambiente: la compagnia è stata multata per 5.000 sterline nel 1990 per il rilascio di 50 tonnellate di acido solforico concentrato dalla sua fabbrica Crossfield Chemicals a Warrington (Gran Bretagna). Secondo il Registro dell’Autorità Nazionale dei Fiumi, nel periodo Gennaio-Marzo 1991 la compagnia ha superato gli scarichi consentiti tre o più volte. Inoltre, tra l’1-9-1989 e il 31-8-1991 la compagnia fu dichiarata colpevole di inquinamento delle acque. Commercializzazione irresponsabile: Unipath, filiale della Unilever, è stata criticata da Maternity Alliance per l’offerta di una fornitura mensile di un complesso vitaminico insieme ai kit per il test della gravidanza. I gruppi fanno notare che nel 1990 il Dipartimento della Sanità consigliò alle donne gravide di evitare di prendere integratori dietetici che includono la vitamina A, a causa dei pericoli di difetti nel nascituro. Campagna di boicottaggio: nel febbraio 1992 Mid Somerset Earth First! lanciò il boicottaggio della Unilever e dei suoi prodotti dietetici integrali, alla luce dei test sugli animali e del comportamento globale verso l’ambiente. I prodotti: Detersivi: Coccolino, Omo, Bio Presto, Svelto, Vim, Cif, Lysoform, Surf Saponette: Lux, Dove, Rexona Spazzolini: Gibbs Dentifrici: Durban’s, Benefit, lose-up, Pepsodent, Mentadent Creme: Leocrema, Cutex Shampoo: Clear, Elidor, Axe, Denim, Dimension, Dove, Timotei Cosmetici: Atkinson Profumi: Fabergè, Brut 33 Alimentari: Milkana, Gradina, Rama, Maya Marmellata: Althea Gelati: Algida, Carte d’Or, Eldorado, Magnum, Solero, Sorbetteria di Ranieri Surgelati: Findus, Genepesca, Igloo Olio: Bertolli, Dante, Friol, Maya Maionese: Calvè, Mayò, Top down The: Lipton, the Ati. NESTLÈ (proclamata da Baby Milk Action per violazione codice OMS) Comportamenti non etici segnalati: abuso di potere, sfruttamento Terzomondo, danni all’ambiente, vendite irresponsabili, ogm, diritti lavoratori, regimi oppressivi, illeciti, pubblicità scorretta, paradisi fiscali. COSA COMBINA NEL MONDO LA NESTLÈ: 33


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Regimi oppressivi: Nestlè ha filiali in Brasile, Cina, Colombia, Egitto, El Salvador, Guatemala, Honduras, India, Indonesia, Kenya, Libano, Messico, Papua Nuova Guinea, Filippine, Senegal, Sri Lanka, Turchia. L’Oreal è presente anche in Perù e Marocco. Relazioni sindacali: nel 1989 i lavoratori di una fabbrica di cioccolato a Cacapava, Brasile, fecero sciopero. I lavoratori si lamentavano delle misere condizioni di lavoro, compresa la discriminazione verso le donne, la mancanza di indumenti protettivi e le inadeguate condizioni di sicurezza. Entro due mesi dall’inizio dello sciopero la compagnia aveva licenziato 40 dei suoi operai, compresa la maggior parte degli organizzatori dello sciopero. Commercializzazione irresponsabile: recenti mosse della Nestlè nel campo del latte in polvere per neonati comprendono un’ulteriore violazione del Codice dell’OMS, cioè la pubblicità del suo nuovo latte ipo-allergenico, Good Start, negli USA. Si è saputo che alcuni neonati hanno sofferto di shock ’anafilattici’, con pericolo per le loro vite, dopo essere stati nutriti con questo prodotto. Test su animali: L’Oreal è attualmente oggetto di boicottaggio per il suo uso continuato di test sugli animali. La stessa Nestlè è stata recentemente criticata dalla BUAV (antivivisezionisti inglesi) per aver fatto test di cancerogenicità del suo caffè su topi. Campagna di boicottaggio: la Nestlè è attualmente oggetto di un boicottaggio mondiale per la pubblicità irresponsabile del latte in polvere, e L’Oreal per i test sugli animali. I prodotti: Bevande: Nescafè, Nesquik, Nestea, Orzoro, Belte’, Chino’, Mirage, Nestea, One-o-one, San Bitter Acqua minerale: Claudia, Giara, Giulia, Limpia, Lora Recoaro, Pracastello, Sandalia, Tione,Perrier, Vittel, Acqua Vera, San Bernardo, S. Pellegrino, Panna, Levissima, Pejo, Ulmeta Dolci: Smarties, Kit Kat, Galak, Lion, After Eight, Quality Street, Toffee, Polo, Rowntree, Motta, Alemagna, Nesquik, Fruit Joy, Fruttolo Cioccolato: Perugina, Baci, Nestlè Salumi: Vismara, King’s Olio: Sasso Conserve: Berni, Condipasta, Condiriso Formaggi: Locatelli Pasta: Buitoni, Pezzullo Dadi per brodo: Maggi Surgelati: Surgela, Mare Fresco, La Valle degli Orti Gelati: Motta, Alemagna, Antica Gelateria del Corso Cibi per animali: Friskies, Buffet Cosmetici: L’Oreal, Lancome. NIKE 34


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COSA COMBINA NEL MONDO LA NIKE Regimi oppressivi: tutte le scarpe Nike sono prodotte in Asia, in particolare in Indonesia, Cina, Thailandia, Taiwan, Corea del Sud, Vietnam. Relazioni sindacali: in Indonesia i sindacati liberi sono illegali e vengono repressi dall’esercito, i dirigenti sindacali sono licenziati, imprigionati, torturati, ed anche uccisi. Salari e condizioni di lavoro: i lavoratori della Nike ricevono un salario da fame, inferiore al salario minimo stabilito dalla legge indonesiana. Lavorano esposti ai vapori delle colle, ai solventi, alle vernici, per 12 ore al giorno. Commercializzazione irresponsabile: la Nike spende circa 180 milioni di $ all’anno in pubblicità, quando sarebbe sufficiente l’1% di questo bilancio per migliorare le condizioni di 15.000 lavoratori indonesiani. Campagna di boicottaggio: nel 1990 Operation Push, un gruppo per i diritti civili, ha lanciato il boicottaggio della Nike perché, nonostante venda il 45% dei suoi prodotti ai neri, non vi sono afroamericani ai vertici dell’azienda; essa inoltre non concede sufficienti benefici sociali alla comunità nera. Lista delle banche legate al commercio d’armi: Ubae Arab Italian Bank, Credito Italiano, Istituto San Paolo di Torino, Banca Commerciale Italiana, Banca Nazionale del Lavoro, Banco di Napoli, Banca di Roma, Cassa di Risparmio di La Spezia, Monte dei Paschi di Siena, Banca Nazionale dell’Agricoltura, Banco Ambrosiano Veneto, Banca Toscana, Banca Popolare di Brescia, Banco do Brasil, Cariplo, Credit Agricole Indosuez, Banca Popolare di Bergamo – Credito Varesino, Banca Popolare di Novara, Banca San Paolo di Brescia, Cassa di Risparmio di Firenze, Banca Carige, Barclays Bank, Unione Banche Svizzere, Banco di Chiavari e della Riviera Ligure, Unicredito Italiano, Banca Popolare di Intra. 5. Il consumo alternativo Da quello che abbiamo detto finora, emerge chiaramente quanto tutti abbiamo a disposizione strumenti che possono, con il tempo, ottenere risultati importanti per indurre le imprese ad avere comportamenti migliori. La forma più importante di commercio alternativo è il commercio equo e solidale, che diventa una risposta alle gravi forme di sfruttamento internazionale messe in atto dalle multinazionali. Il commercio equo e solidale afferma che lo scopo del commercio sta nel rendere un servizio reciproco al produttore e al consumatore. Il produttore deve garantire al consumatore prodotti sicuri, ottenuti nel rispetto delle persone, dell’ambiente e della sostenibilità. Il consumatore deve garantire al produttore prezzi equi. Purtroppo, nella nostra zona, le piccole esperienze di commercio equo e solidale hanno dovuto chiudere perché non si riusciva a coprire le spese per mantenere la bottega. Altre piccole forme di consumo alternativo sono i gruppi di acquisto solidale 35


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e la spesa a chilometro zero. La prima è un’esperienza di acquisti in comune tra due o più famiglie. I criteri che guidano la scelta dei fornitori (pur differenti da gruppo a gruppo) in genere sono: qualità del prodotto, dignità del lavoro, rispetto dell’ambiente. In genere i gruppi pongono anche grande attenzione ai prodotti locali, agli alimenti da agricoltura biologica od equivalenti e agli imballaggi a rendere. Il documento base dei GAS fa riferimento a quattro filoni per indicare motivazioni e linee guida per gli acquisti:  Sviluppare e mettere in pratica il consumo critico  Sviluppare e creare solidarietà e consapevolezza  Socializzare  L’unione fa la forza Nella nostra piccola esperienza quotidiana, infine, cerchiamo, quanto più è possibile, di acquistare prodotti “a chilometro zero”, coltivati o prodotti, cioè, vicino ai luoghi di commercializzazione. Questo contribuisce da un lato a ridurre l’impatto ambientale determinato dal trasporto su gomma, dall’altro a sostenere la già precaria economia della nostra terra di Calabria.

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Dibattito relativo all’incontro di Sos scuola del 14 marzo 2013 (appunti a cura di Serafina Conforti) Maria: la consapevolezza nel consumo è molto difficile, proprio per la fitta rete di filiali che ogni azienda produttrice possiede. È molto difficile, inoltre, trovare prodotti sicuri anche tra quelli lavorati in zona. Tanto consumo ma veramente poco controllo, poca fiducia anche nella produzione industriale a causa dei vari scandali che hanno travolto questo campo. Addirittura alcune aziende si stanno “auto-boicottando” proprio per la loro disonestà! Giovanna: a parere mio, un’altra lotta che dovremmo combattere è quella per gli sprechi di imballaggi, inutili e dannosi per l’ambiente poiché causano forte immissione di CO2. Chiara: in questa lotta potremmo intervenire direttamente noi, scegliendo prodotti riciclabili o comunque ricorrendo a prodotti “alla spina”. Federica: uso prodotti alla spina per comodità, perché risparmio e anche per dare il mio contributo alla salvaguardia della natura. Siamo, continuamente, influenzati dalla pubblicità che ci spinge a consumare determinati prodotti, ma nonostante ciò dobbiamo usare la testa, non lasciarci influenzare e capire quale prodotto sia più adatto alle nostre esigenze. Ma la mia domanda è: cosa è realmente buono e salutare? Cosa compriamo di “vero”? Dobbiamo essere consapevole dei nostri acquisti. Alfio: i nostri consumi sono talmente tanto condizionati da essere “obbligati” a consumare determinate cose. Stiamo assistendo a vere e proprie guerre non sanguinose ma comunque terribili; scontri finali tra aziende produttrici. Stiamo vivendo un’economia lacerata. Serafina: dobbiamo prestare attenzione alla qualità dei prodotti che consumiamo. Ci sarebbe bisogno di nuovi piani economici capaci di promuovere i veri prodotti agricoli, quindi salutari. Si deve “lavorare” con le nuove generazioni migliorando l’informazione. Tommaso: credo che bisognerebbe fare un passo indietro chiedendoci se consumiamo per soddisfare bisogni oppure consumiamo per appagare desideri, guidati da capricci come bambini. Ci sono beni e servizi inutili o addirittura dannosi: il fumo, le bibite gassate e iperzuccherate, la pornografia, le scommesse. Dobbiamo parlare di consumo critico, perché parlare di “senso critico”, di “astrazione”, di “esercizio del raziocinio” non è più di moda neppure nelle aule scolastiche. È dunque ottimo rimettere al centro un concetto che ci caratterizza come essere umani: la facoltà critica, ma è anche importante imparare a distin37


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guere tra bisogno e desiderio. Alcuni decenni fa gli studiosi si erano accorti che c’erano bisogni reali e bisogni fittizi creati dalla pubblicità. Oggi gli studiosi ci mettono in guardia segnalando che siamo usciti dall’era dei bisogni e siamo entrati in quella dei desideri e forse dei capricci: occorre chiedersi se questa trasformazione, strettamente connessa con la società dell’informazione, ci rende più o meno liberi, se ci rende più o meno umani. Chiara: sì, segnalo che il libro sul consumo responsabile, al quale abbiamo fatto riferimento, alla fine presenta un capitolo intitolato significativamente: “Il dovere della sobrietà”.

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Sistemi digitali di comunicazione, produzione e diffusione della conoscenza tra i giovani (appunti di Giuliano Albrizio, per la riunione del 2 maggio 2013)

Sette anni. Sembra trascorso molto più tempo da quando il nostro gruppo si riunì in un pomeriggio del dicembre 2005 per parlare per la prima volta di tecnologie e comunicazione. All’epoca focalizzammo la nostra attenzione sul mondo della telefonia mobile - che offriva servizi come gli sms e gli mms - e su quello informatico - che ci proponeva strumenti ampiamente collaudati quali le e-mail e la chat. Si trattava di servizi saldamente ancorati alla logica della trasmissione differita dei dati in cui tutto aveva una latenza legata alla velocità della connessione della rete e alla sua copertura sul territorio. Giunti al 2013 ci chiediamo: da allora cos’è cambiato? Cos’è successo nel frattempo? È arrivato il momento di fare il punto sullo “stato dell’arte” (un’espressione ormai d’uso comune con la quale si intende il più alto livello di sviluppo raggiunto fin qui dalla tecnologia). Ebbene, basta guardarsi intorno per vedere quali e quanti mezzi sofisticati, performanti e semplici da usare ci offra oggi il progresso tecnologico. Macchine intelligenti con le quali possiamo dialogare e interagire, prodotti innovativi che ci semplificano la vita, marchingegni futuristici non più inaccessibili ma ben presenti nella nostra quotidianità. Così, nel rileggere quanto io stesso scrissi nella relazione che riassumeva i temi di quell’incontro, ci si accorge che tante cose sono cambiate, che il mondo ci ha offerto nuove opportunità, nuovi canali e, appunto, altri sistemi digitali di informazione. Internet e la trasmissione delle informazioni Tutto si evolve grazie al web e verso il web. La stessa informatica ha dovuto in fretta cambiar pelle negli anni spostando il proprio campo di ricerca e sviluppo decisamente verso Internet. Se la tecnologia “sforna” periodicamente prodotti nati per interagire con la rete, automaticamente tutto deve convergere verso la produzione di applicativi che consentano, ad esempio, di trasformare un semplice cellulare in un micro computer col quale poter fare praticamente tutto. Dobbiamo questa crescita nel campo delle comunicazioni anche all’improvviso sviluppo delle reti che finalmente sono state potenziate e rese più veloci. L’ADSL, anche se viviamo ancora in tempi di digital divide, ha raggiunto molti luoghi prima ritenuti inaccessibili e trasmette bit a velocità sempre più sorprendenti. 39


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Contestualmente, provano a farsi spazio la FIBRA OTTICA (che è già presente in tutte le metropoli italiane) e la WiMAX che consente l’accesso a reti, in modalità wireless, di telecomunicazioni a banda larga. Questo vuol dire che siamo e nel tempo saremo sempre più facilmente raggiungibili grazie a degli strumenti che non necessiteranno più di postazioni fisse e di cablaggi. Potremo navigare a velocità maggiori rispetto ad un tempo e questo ci consentirà di trasmettere flussi audio/video in streaming e di condividere file sempre più corposi. La telefonia mobile (tra iPad, iPhone e smartphone) Qual è il mercato più appetibile per chi produce tecnologia? La risposta è scontata: quello della telefonia. Un settore in perenne espansione con una vasta platea di “consumatori”, in gran parte giovane, che tende a rottamare il semi nuovo per il nuovissimo, per l’ultimo prodotto di grido che consente di fare cose strabilianti. Questi strumenti che sono a tutti gli effetti dei PC in miniatura vengono sviluppati con un loro autonomo sistema operativo (alcuni esempi: Apple iOS, Android e Windows Phone) che attraverso la tecnologia touch consente all’utente di avere un dispositivo potente, dalla forte connettività, dotato di molteplici strumenti multimediali. Un navigatore satellitare? Una macchina fotografica intelligente dalla notevole risoluzione e dagli infiniti effetti grafici? Una console per videogame di ultima generazione? Un lettore di file mp3 (per ascoltare musica), di file mp4 (per guardare un film) ma anche di file per elaborare un testo o un foglio elettronico, per eseguire un montaggio video o un fotoritocco? Tutto questo e molto altro ancora (comprese le videochiamate) è il pane quotidiano di uno smartphone di nuova generazione. Il caro “vecchio” Personal Computer… E il PC? L’elaboratore domestico, così come il comodo notebook, sta vivendo un forte ridimensionamento nello sviluppo tecnologico. I prodotti da tavolo, ritenuti ormai ingombranti, gradualmente stanno uscendo dal mercato, ritenuti – forse a ragione – ormai obsoleti. La tecnologia ha avviato da tempo un lungo processo di smaterializzazione eliminando strumenti che solo fino a qualche anno fa erano indispensabili. Pensiamo alle periferiche degli scorsi decenni. Scanner e stampanti, ad esempio, non trovano più spazio sulle nostre scrivanie giacché sono stati sostituiti da strumenti di acquisizione e di output che ci consentono di produrre documenti universali (in formato PDF) che comodamente possiamo trasmettere oppure riprodurre su appositi lettori. In un futuro ormai prossimo scompariranno anche il mouse e la tastiera soppiantati oggi dai touch screen (sistema già presente tra l’altro nel nuovo sistema operativo della Microsoft, il 40


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Windows 8) e domani dai comandi vocali che impartiremo al nostro computer. Ci stiamo avvicinando a grandi passi verso l’era del cloud computing, della nuvola informatica fatta non già di goccioline d’acqua, bensì da milioni di hard disk potenti che ospiteranno di tutto, dai sistemi operativi agli applicativi (quali quelli di Microsoft Office). Ci basterà avere nelle mani, a nostra disposizione, uno strumento capace di connettersi al WEB per poter interagire con altre persone oppure creare/modificare/conservare i nostri documenti in uno spazio tutto nostro (chi non ha sentito parlare di DROPBOX?). Le comunicazioni nel terzo millennio Sette anni fa eravamo qui a chiederci: come comunichiamo? Ebbene oggi è fin troppo semplice pensare che basta avere una piccola webcam per poter, tramite SKYPE, colloquiare “de visu” con persone che vivono a migliaia di chilometri di distanza da noi. È quasi banale pensare ad un video girato fra le mura domestiche o registrato in esterna ad immortalare un qualsiasi evento e subito caricato e condiviso su YOUTUBE. Oppure documentare un fatto di cronaca da poter far girare sul canale di YOUREPORTER. Anche la chat, con applicativi quali WHATSAPP, ormai avviene senza uso di computer tramite un potente telefonino. Per le ricerche basta affidarsi all’onniscienza di GOOGLE (che tramite il nostro browser ci rifila con nonchalance qualche “delizioso” cookie per meglio indicizzare i risultati) oppure a saccenti enciclopedie o dizionari on line (TRECCANI, WIKIPEDIA, solo per fare qualche nome celebre) per trovare ciò che desideriamo, a patto di prendere con le molle informazioni che spesso vengono elargite - con troppa generosità - da utenti fieri di contribuire alla diffusione dei saperi. E la cultura e le informazioni? Viaggiano su internet grazie ai siti che anche in differita, grazie ai podcast, offrono le registrazioni di commenti, approfondimenti e notiziari (anche in formato audio/video) riepilogativi, oppure che ripropongono in digitale la secolare versione cartacea dei quotidiani o ancora sugli E-BOOK READER che consentono di sfogliare intere biblioteche senza che venga per questo abbattuto un solo albero. Anche l’intrattenimento ovviamente si è spostato sul web. Non esiste film o album musicale che non si possa visionare, ascoltare e scaricare a pochi giorni dal suo lancio. Apposite piattaforme on line (il famosissimo iTUNES Store e il recente CHILI.tv) consentono l’acquisto, il download e lo streaming dei vari contenuti. Proprio lo streaming pare essere diventata la parola chiave dei nostri tempi. Tutti gli eventi politici, economici, religiosi, sportivi, di stretta attualità, viaggiano tramite server capaci di ritrasmettere, in tutto il mondo e in presa diretta, miliardi di filmati. È la nuova frontiera del video non più strettamente connesso al vecchio TV ma ormai fruibile da chiunque disponga di un mezzo capace di deci41


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frare flussi di immagini. Tutto viene ripreso e ovviamente registrato così da formare una vasta videoteca di contenuti che possono essere richiesti on demand dall’utenza. È logico a questo punto fare una digressione verso un argomento caro soprattutto ai giovani. Perché non si può parlare nel 2013 di comunicazione, di strumenti di connessione (non solo fisici ma anche virtuali) senza menzionare gli onnipresenti SOCIAL NETWORK. “Mi piace”ergo condivido Da quasi dieci anni a questa parte, ovvero da quando è stata lanciata la primissima versione di Facebook, non si fa altro che parlare di condivisioni, di apprezzamenti e di commenti. I ragazzi (in media la fascia 15-25) hanno gradito immediatamente uno strumento che gli dava modo di avere un proprio spazio su Internet dove poter dar sfogo alla loro esuberanza e anche al loro esibizionismo. In una epoca, qual è la nostra, fortemente basata sull’immagine e sull’apparenza chi non è su Facebook è out, non esiste (solo in Italia si contano 30 milioni di utilizzatori dei social network, nel mondo siamo arrivati ad un miliardo). Così tutti scrivono (commentano, condividono) qualcosa, quotidianamente, anzi più volte al giorno, colti da un impulso irrefrenabile. Lo possono fare dal PC come dal cellulare in qualunque momento consapevoli che qualcuno apprezzerà, che qualcuno seppur di passaggio leggerà. Anche le aziende, i brand, le società si sono tuffate nel mondo social abbandonando siti web ritenuti ormai poco fruibili e così tutto inevitabilmente passa da lì, da quel mondo variegato nato come un passatempo e divenuto in pochissimi anni un immenso calderone di informazioni da cui si può attingere continuamente. Gli altri network... più o meno social Cos’è Twitter? La definizione ufficiale recita più o meno così: un servizio gratuito di microblogging che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo con una lunghezza massima di 140 caratteri. Il nome “Twitter” deriva dal verbo inglese to tweet che significa "cinguettare". Se sei interessato ai miei cinguettii puoi diventare un mio follower, cioè seguace. Un termine che suona male ma che, almeno apparentemente, risulta essere più sincero di friend, amico, usato dalla concorrenza. Twitter non è il fratello minore di Facebook, semmai ne è un lontano parente, viste le sostanziali differenze d’uso. Soprattutto le limitazioni legate al numero di caratteri utilizzabili per comunicare (meno di un SMS) e la quasi impossibilità di condividere immagini, lo rendono uno strumento magari meno empatico, ma certamente più acuto. Rispetto agli altri social network di cui finora abbiamo parlato e che sono più 42


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affermati, Google+ include importanti novità specie per quel che riguarda la multimedialità. Infatti offre ai suoi utilizzatori la possibilità di avviare sessioni audio/video, tramite gli hangouts che sono stanze virtuali dove è possibile condividere video e parlare allo stesso tempo con tutti i componenti presenti all’interno, tramite microfono e webcam (una sorta di videoconferenza fra amici). Sempre attraverso questo sistema gli utenti hanno anche la possibilità di scambiarsi file. Altra peculiarità di Google+ è quella della suddivisione dei propri contatti in "cerchie", liberamente creabili e modificabili dall’utente. In modo predefinito sono già presenti cerchie denominate amici, conoscenti, lavoro, famiglia. Pinterest è un social network dedicato alla condivisione di foto e video. Basato sull’idea di creare un “catalogo on-line delle ispirazioni” (il nome deriva dall’unione delle parole inglesi pin (appendere) e interest (interesse), Pinterest consente agli utenti di creare bacheche con le quali gestire raccolte di immagini in base a temi predefiniti o da loro generati. Gli utenti di Pinterest possono caricare, salvare, ordinare e gestire immagini, attraverso puntine, e altri contenuti multimediali (come i video) collezionandoli in bacheche, che fungono da contenitori. Qualche considerazione a latere È logico a questo punto aggiungere alla nostra discussione una nuova domanda: cosa comunichiamo oggi grazie a questi nuovi sistemi? Com’è cambiato il modo di interfacciarci con il nostro prossimo? Ebbene, viviamo in un mondo che tende a rendersi fin troppo digitale degradando i rapporti personali a mero scambio di byte. Non è facile moralismo, è piuttosto osservazione di quello che ci sta accadendo. Non distinguiamo più informazioni importanti da altre futili e banali così tendiamo a comunicare troppo, senza filtro alcuno. Poniamo noi stessi, il nostro corpo, le nostre idee e le nostre emozioni in una vetrina virtuale condividendo la nostra vita a 360 gradi, consapevoli di partecipare ad un grande gioco (a volte pericoloso, se usato male) che si svolge in una piazza virtuale dov’è più facile mettersi a nudo, dov’è più semplice mostrarsi senza temere il giudizio altrui. Così costruiamo legami sulla base di “richieste di amicizia” oppure sull’impellenza di dover diventare “seguaci” di qualcuno. E’ vero, tutto sembra uscire dalla logica del reale per trasformare (banalizzare?) i rapporti in qualcosa di virtuale, come se il conoscersi attraverso un filtro fornito dalla tecnologia potesse surrogare le relazioni autentiche. Uno sguardo al futuro Cosa ci attende nell’immediato futuro? Impossibile esprimersi, difficile fare previsioni a corto raggio. Magari nel 2020, fra sette anni, torneremo ancora 43


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sull’argomento, per aggiornarci, per commentare cos’altro è successo nel frattempo. Già adesso però possiamo osservare – fra ammirazione e sgomento –cosa quotidianamente la tecnologia propone e mette a nostra disposizione. Avremo presto fra le mani computer leggerissimi (anche se più resistenti dell’acciaio) e molto potenti grazie alla scoperta di un nuovo materiale, il grafene, che sostituirà gradualmente il “vecchio” silicio. Stringeremo, senza temere di romperli, i nuovissimi Paper Tab, flessibili e sottili come la carta, che manderanno prematuramente in pensione i nostri rigidi tablet garantendoci prestazioni e utilizzi finora inimmaginabili. Creeremo, grazie a stampanti 3D, oggetti precedentemente modellati tramite un software specifico per il disegno (tipo CAD). Oggetti che magari potremo vendere oppure condividere. Può darsi che vivremo in una realtà che molti oggi definiscono “aumentata” e che a pensarci bene potrebbe rivelarsi decisamente inquietante. Probabilmente indosseremo occhiali speciali (tipo i Google Glass di cui si parla sempre più spesso) che faranno vedere in tempo reale ai nostri amici quel che noi vediamo oppure ci faremo impiantare dei chip sottocutanei che interagiranno con il nostro cervello. Saremo simili ai droni e avremo una connettività garantita 24 ore su 24, vivremo con la consapevolezza di essere localizzabili dai GPS rinunciando definitivamente alla nostra cara privacy. Parleremo da soli ipotizzando che qualcuno ci sta ascoltando e magari stia apprezzando e condividendo i nostri pensieri.

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Io e il magico mondo dei computer (di Francesco Marrelli, 4 BM) Sin da bambino sono sempre stato affascinato dall’informatica. Quella “scatola magica” che mi permetteva di passare il mio tempo libero quando non avevo la possibilità di uscire di casa mi affascinava sempre di più. Forse sarà stata l’influenza di mio padre, che ha sempre utilizzato il computer per lavorare, ma io guardavo quello strano aggeggio chiedendomi come facesse a risolvere così tanti problemi. Più sono cresciuto e più è cresciuta in me la passione per il computer. Da quando avevo 3 anni ho iniziato ad utilizzare il computer autonomamente, per lo più per giocare, sul vecchio Windows 95. Fortunatamente sono riuscito a seguire passo passo tutte le evoluzioni informatiche degli ultimi anni, e con il passare del tempo ho imparato ad utilizzare al meglio tutte le funzioni che potevano servirmi. Ed ecco il boom di Internet! Quel mondo virtuale con cui si è fatto davvero il salto di qualità con l’uso dei computer. Dato l’eccessivo costo della navigazione con l’obsoleta linea ISDN a consumo, non mi era permesso di utilizzare Internet per più di un’ora a settimana. Pensandoci bene ora, non riesco a rendermi conto cosa facessi per passare tutto quel tempo davanti al computer senza navigare, ma allora era uno dei miei passatempi preferiti. Alla domanda che mi ponevo, sempre con più insistenza, non avevo ancora trovato risposta: “Come fa a funzionare questo coso?”. Ora ho quasi 18 anni, e posso vantarmi di aver assemblato il mio primo computer, partendo da zero, a quasi 16 anni! È stata un’emozione incredibile veder funzionare la “scatola magica” che avevo costruito con le mie mani. Con questa esperienza ho capito una cosa molto importante del “mercato informatico”: la componente più costosa che paghiamo quando acquistiamo un computer non è il processore, né la scheda madre... ma il marchio! Ho paragonato i prezzi di alcuni computer con componenti simili al mio, anche di minore qualità, visti in negozi di elettronica molto importanti, e sono giunto alla conclusione che ho risparmiato quasi il 70% acquistando i singoli componenti e assemblandoli. Con una spesa di 200€ ho assemblato un computer non solo di ottime prestazioni per gli standard attuali, ma che con pochi euro, mi permetterà in futuro di migliorarlo adeguandolo all’evoluzione della tecnologia. Mentre acquistandolo già pronto avrei speso intorno a 700€. Posseggo smartphone di (quasi) ultima generazione, tablet, netbook e qualsiasi altro dispositivo che possa navigare, e a dire la verità, mi sento parecchio dipendente da Internet. Faccio parte dei più famosi social network, ho un piano Internet sul mio cellulare che mi permette di stare sempre connesso e uso Internet per risolvere la maggior parte dei miei problemi. Ciò è assurdo se pen45


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siamo che solo 15 anni fa la realtà era completamente diversa. Quel che oggi è entrato a far parte della nostra normalità, allora era considerata pura fantascienza! Adesso non mi pongo più la domanda: “come funzionano questi oggetti?”, dato che ho una buona conoscenza della parte hardware di qualsiasi tipo di dispositivo; ora il mio chiodo fisso è diventato un altro: “Se in 15 anni siamo arrivati ad avere degli occhiali che ci permettono di vivere una realtà virtuale, dove arriveremo quando al mio posto ci saranno i miei figli, i miei nipoti?”

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L’informatica fra curiosità e differenza (di Francesco Fazio, 4 BM) È trascorso ormai molto tempo da quando cominciai ad appassionarmi al mondo dell’informatica, ne è passato ancora di più dalla prima volta che vidi quel marchingegno che ha semplificato esponenzialmente la vita in questi anni al mondo intero: il PC. Non ricordo precisamente il momento in cui ho cominciato ad avvertire questa crescita d’interesse, avrò potuto avere all’incirca 6-7 anni. In quegli anni non avevo la minima idea di come funzionasse un PC, di cosa ci fosse dentro quella scatola: il solo pensiero di esplorare questo nuovo pianeta, però, mi intrigava molto. A mano a mano che il tempo passava, in modo del tutto spontaneo cominciai un percorso di rafforzamento delle mie conoscenze. Recentemente questo processo mi ha portato, con conseguente euforia e felicità, all’arrivo ad un traguardo che non avrei mai immaginato di poter raggiungere: l’assemblaggio del mio attuale PC. Oltre appunto alla riuscita dell’operazione, posso riconoscere un miglioramento nel mio rapporto con l’e-commerce, con cui ho potuto acquistare gli elementi necessari alla messa in funzione della macchina; nonostante ciò, nutro tuttora un sentimento di diffidenza nei confronti del commercio elettronico: è molto facile, se non si ha la giusta esperienza, incorrere in truffe molte volte abbastanza pesanti. A proposito, credo che debba maturare in tutta la popolazione informatica, anche in coloro che si accingono a muovere i primi passi in questo sconfinato mondo, la capacità di sapere sempre ciò che si fa: per un occhio poco allenato e attento, siti web tutt’altro che affidabili possono sembrare illusorie miniere d’oro. È evidente che siamo tutti a conoscenza delle azioni necessarie all’uso di un computer, ad esempio l’accensione, lo spegnimento; molti di meno sono quelli che si spingono all’avventura, cioè alla scoperta di ciò che si nasconde dietro un computer, sia a livello hardware che software. È un po’ come avere tra le mani uno sterzo e non sapere a cosa serve: si rischia di andare ad infrangersi contro ostacoli mille volte più grandi di noi. A tal proposito vorrei citare una frase che mi accompagna da molto tempo e rispecchia, secondo me, la realtà: “Non esiste antivirus migliore che il nostro cervello.” Già, proprio così: non c’è niente di alternativo alla nostra intelligenza in questi casi, la vera arma contro le angherie che si celano dietro fantomatici voli lowcost, sconti impensabili per il miglior ristorante della città o programmi rivoluzionari con tanto di file infetti al loro interno!

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Le mie esperienze con la rete (di Mattia Cava, 3BSia)

Io utilizzo molto spesso le nuove tecnologie perché, grazie ad Internet, posso informarmi, studiare, divertirmi e comprare oggetti che normalmente non si trovano nei negozi. Gli strumenti che utilizzo di più sono il computer, per giocare ai videogiochi e studiare, e l’iPad, che uso soprattutto per leggere libri. I servizi che utilizzo più frequentemente su Internet sono: Wikipedia, dove cerco qualsiasi cosa, anche la più banale; Youtube, che mi consente di guardare video divertenti per passare il tempo o anche tutorial per imparare a fare cose che potrebbero essermi utili, soprattutto per risolvere vari problemi sul PC; Facebook, che uso solo per mettermi in contatto con parenti ed amici stretti o per guardare link divertenti. Inoltre, grazie ad Internet posso scaricare videogiochi, libri a costi ridotti e programmi utili per lo studio.

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Considerazioni sull’impatto dei nuovi mezzi di comunicazione e condivisione sulla società (di Francesco Pantani e Fabrizia Molinaro, giovani ingegneri, aspiranti docenti di informatica) L’intervento di Francesco È facilmente osservabile come l’evoluzione dei mezzi di comunicazione degli ultimi anni ha enormemente velocizzato e facilitato i processi di comunicare e di scambio e condivisione di informazioni da qualsiasi parte del mondo e attraverso diversi tipi di dispositivi. In pochissimi anni si è passati dalle semplici email ad una molteplicità di software e applicazioni che permettono agli utenti di comunicare tra di loro con diverse modalità o di recuperare una quantità di informazioni pressoché illimitata da fonti di informazioni facilmente accessibili da tutti. Basti pensare alla semplicità con la quale da uno smartphone è possibile videochiamare qualcun altro in qualsiasi parte del mondo e per di più in modo totalmente gratuito. In questa evoluzione dei mezzi di comunicazione un fenomeno socialmente rilevante che ha influito enormemente sul modo di vivere le relazioni interpersonali è stato la nascita di tutta una serie di piattaforme pensate per connettere gli utenti fra loro in modo da creare una vera e propria “rete sociale” (social network). La vera novità introdotta dai social network non sta tanto nella facilità di comunicazione tra utenti, la quale indubbiamente ne viene potenziata da essi ma è già comunque preesistente alla loro comparsa, il vero valore aggiunto apportato può essere racchiuso in una sola parola chiave che da questo momento acquista un ruolo primario nel mondo della comunicazione, ovvero “condivisione”. Ciò che prima era possibile fare in modo molto ristretto e in rapporti limitati a pochi individui, ora diventa un processo estendibile ad un numero molto più elevato. Vengono messi a disposizione di tutti strumenti che permettono di fare ciò che prima era solo possibile a chi avesse le capacità di creare un proprio sito Internet; ma anche quella era comunque una condivisione quasi a senso unico che andava nella direzione di chi creava un sito verso chi ci navigava dentro, e settorializzata visto che ogni sito Internet si occupa in genere di un particolare settore di interesse. Con i social network quindi viene offerta la possibilità di condividere facilmente qualsiasi tipo di informazione a chiunque lo volesse e, essendo l’essere 49


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umano un essere sociale, tale opportunità viene accolta molto positivamente fin da subito. In pochissimi anni i social network hanno una diffusione a livello planetario e creano una rete sociale mondiale che ha avuto enormi ricadute anche nella vita reale della società, basti ad esempio pensare alla serie di rivoluzioni innescate nel 2010 conosciute come “primavera araba” nelle quali i social network hanno avuto un ruolo fondamentale. Viene quasi creata una vita virtuale dove la facilità con la quale è possibile condividere esperienze, pensieri, stati d’animo, finisce inevitabilmente per influenzare e cambiare anche i rapporti interpersonali nella “vita reale”. Ciò ha determinato tutta una serie di ricadute positive in molti ambiti della vita sociale di ognuno e anche se è indiscutibilmente vero che i rapporti umani “fisici” e le occasioni di vita sociale “reale” non sono assolutamente sostituibili da “rapporti virtuali” che tutti questi ambienti offrono, è altresì indiscutibile il vantaggio che da essi ne scaturisce. Più in generale è possibile osservare come i rapporti umani esistenti al di fuori delle “reti virtuali” ne possano risultare enormemente facilitati, rinforzati, arricchiti e molti addirittura recuperati da tutta una serie di opportunità offerte dall’uso di tali mezzi di comunicazione, inimmaginabili fino a qualche anno fa. Basti semplicemente pensare alle opportunità che offrono a chi per le esigenze più diverse ha dovuto lasciare la propria terra e i propri affetti. Solo qualche decennio fa ciò poteva molte volte significare tagliare completamente i legami con le proprie radici, e sopratutto noi del meridione d’Italia siamo stati purtroppo testimoni in passato della crudeltà di tale fenomeno. Logicamente l’utilità di tali mezzi raggiunge il massimo della valenza quando essi vengono utilizzati in modo positivo, equilibrato e a supporto della vita reale, ma mai a sostituzione di essa. Il rischio che si corre facendone un uso sconsiderato ed esasperato è quello di venirne inghiottiti e quindi divenire incapaci poi di affrontare il mondo reale e di godere appieno delle meraviglie che esso ci offre. In molti casi patologici essi diventano quasi l’unica prova dell’esistenza in vita di un individuo altresì assente nella vita sociale reale. L’uomo non deve mai diventare schiavo delle proprie creazioni, esse devono invece esse messe a disposizione di tutti in modo da riuscire a rendere la vita di ognuno sempre più equilibrata in un ottica di sviluppo sostenibile e solidale per l’intera specie umana. L’intervento di Fabrizia Oggi Internet ci consente di avere il mondo a portata di mano: qualsiasi informazione oggetto della nostra curiosità, passione o interesse può essere facilmente recuperata. Basta qualche click e molto probabilmente riusciremo a trovare tutto quello che ci serve, forse anche di più! A volte anche troppo. Infatti a fronte di una ricerca sottoposta al nostro motore di ricerca veniamo letteralmente inve50


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stiti da una marea di link in cui la qualità e l’attendibilità dell’informazione contenuta è sicuramente discutibile. Sì, perché Internet è simile a un grande contenitore dove tutti possono inserire quello che vogliono e tutti possono trovare quello che cercano, senza controllo. Chiunque di noi può rendere visibile agli altri informazioni di qualsiasi natura tramite social network, blog e siti Internet. Quindi la domanda sorge spontanea: quanto è vero quello che sto leggendo? È un fatto oggettivo o è descritto in modo fazioso? È veramente importante oppure sono solo i toni clamorosi con cui è raccontato che lo rendono tale? Per rispondere a queste domande è necessario non assumere passivamente tutto quello che i media tentano di imporci come verità assoluta ma bisogna aprirsi con spirito critico a tutto ciò che ci circonda. Formulare un giudizio personale sulla base dei propri ideali e con uno spiccato senso di amore per la verità aiuta a crescere e a diventare persone libere! Inoltre l’esplosione dei social network e delle chat ci consentono di avere a portata di mano anche le persone. La distanza segnata da mari, monti e oceani ormai sembra essersi annullata. Ma le relazioni fondate su un social network o su una chat quanto sono autentiche? Non lasciamoci ingannare dalle apparenze, la vera amicizia non è virtuale ma è basata sull’incontro personale e sulla comunione. Il mondo reale ci consente di realizzarci pienamente come persone perché un sorriso, un abbraccio e la voce dei nostri amici incontrati dal vivo riempiono il nostro cuore come nessun altro social network sa fare!

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Dibattito relativo all’incontro di Sos scuola del 2 maggio 2013 (appunti a cura di Angela Salerno) Alfio: in questo periodo come siete messi sul piano del lavoro? Vi corrono dietro? Francesco: dobbiamo prendere noi l’iniziativa. C’è stato anche in questo settore un calo dovuto alla crisi che stiamo vivendo, ma comunque ancora si trova qualche occasione di lavoro. Alfio: il vostro lavoro si può definire precario? Fabrizia: la sicurezza non esiste, secondo me tutti oggi sono precari. Tommaso: vi è mai capitato di trovare occasioni di lavoro su Internet? Francesco: sì, negli anni precedenti. Chiara: io volevo raccontarvi degli episodi che mi sono accaduti. Stamattina mi sono collegata a Facebook e mi ha chiesto se gli davo il mio numero di telefono nell’eventualità che perdessi la password. Mi sono chiesta: ma perché devo dare il mio numero di telefono se quando mi sono iscritta ho lasciato la mia posta elettronica? Secondo voi, l’informazione che troviamo in Internet è sempre vera? Un nostro amico ha linkato su Facebook un articolo della «Stampa». Io ho letto questo articolo e le informazioni che venivano riportate erano sbagliate, allora io ho commentato dicendo che l’articolo era sbagliato. Però ho potuto fare questo commento perché conosco la realtà, un altro che non la conosce prende per buone queste notizie. Si pensa che tutto quello che si trovi in rete sia giusto e vero, ma in realtà non è così. Francesca: sono d’accordo con tutti coloro che sono intervenuti. Io uso tanto i social network e soprattutto Facebook. Mi piace Facebook perché mi mette in contatto con i miei amici. Giuliano: un po’ di tempo fa una vostra amica mi disse che per lei Facebook era come una vetrina. Mettere in mostra i vostri sentimenti e le vostre emozioni, può essere buono a patto che si condividano delle emozioni reali. Francesca: io, ad esempio, non accetto coloro che non conosco. Giuliano: ma secondo voi, essendo on-line quasi in tempo reale (ad esempio con foto), interessa veramente a tutti i vostri amici sapere quello che state facendo? Chiara: se a me fanno una foto e poi la mettono su Facebook io li denuncio, ma non perché sono cattiva, ma perché invadono la mia privacy, e questo non è legale. Giuliano: qualcuno di voi usa Twitter? Questo social network non ha avuto, ad esempio, lo stesso successo di Facebook. Twitter è nato come scambio veloce di 52


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parole. Francesca: io uso anche Twitter ma è molto diverso e più difficile di Facebook. Federica: io non sono molto tecnologica. Marianna: anche io sono poco tecnologica. Uso Internet per fare qualche ricerca. Uso poco Facebook perché non ho tempo poiché lavoro. Giuliano: quanto è realmente attendibile, ad esempio, Wikipedia per voi? Marianna: per me poco. Francesca: per me tanto. Giuliano: sono certo che Wikipedia sia uno strumento attendibile visto che ogni inserimento viene attentamente controllato da una équipe che verifica i contenuti inseriti. Alfio: in genere tra la mia generazione e quella vostra ci sono molti punti di conflitti. Secondo noi, voi perdete molto tempo per utilizzare cellulari, computer ecc. Dovete capire che il tempo è prezioso e non si deve perdere dietro a questi strumenti inutilmente. Qualcuno di voi ritiene che usando questi mezzi si perda tempo oppure no? Laura: per me stando al telefono si perde tempo. Federica: parlando di Facebook se una persona non ha niente da fare impegna il suo tempo utilizzando questi social network, mentre chi lavora, sicuramente non usa o usa poco tali strumenti. È soggettivo secondo me. Gianmarco: io ci sono nato con queste tecnologie e per questo le uso. Tommaso: il 10 aprile scorso il «Corriere della sera» ha pubblicato, con la firma di Armando Torno, due interviste su scuola e dispositivi elettronici. La prima intervista, rilasciata da Giovanni Reale, studioso di filosofia greca, di area cattolica; la seconda da Francesco Antinucci, ricercatore del Cnr. Reale ha pubblicato recentemente un libro intitolato Salvare la scuola nell’era digitale, il secondo nel 2001 ha pubblicato Computer per un figlio. Giovanni Reale dice: «Il digitale può annullare la cultura della scrittura e i vantaggi che ha dato in due millenni e mezzo. Qualche informatico ha già detto che i docenti dovranno trasformarsi in tecnici multimediali. Ma la scuola ha un valore etico che aiuta a diventare uomini». Insomma, Giovanni Reale, grande conoscitore della cultura greca e romana da una parte e di quella giudaica e cristiana dall’altra, sostiene che bisogna salvare la scuola, non solo nell’era delle tecnologie, ma dalle tecnologie. Antinucci dice invece: «Quello che le tecnologie cambieranno è qualcosa che i ragazzi già conoscono e che praticano ogni giorno. Le tecnologie hanno la capacità di modificare il modo di apprendere, e si arriva a scuola già con una lunga esperienza». Insomma, da scienziato del Cnr, Francesco Antinucci vorrebbe una “macchinizzazione” massiccia della scuola, confidando totalmente nella potenza salvifica della tecnologia. Il «Corriere» ha fatto bene a mettere a confronto due posizioni diametralmente opposte su questi temi. Probabilmente la verità sta nel mezzo. La verità è che in questi anni sta cambiando tutto. Oggi il professore non è più l’unica fonte di conoscenza e il libro di testo sta sparendo (basterebbe guar53


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dare la confusione che regna tra autori ed editori di libri per la scuola: un confronto approssimativo tra i titoli di una certa materia sarebbe sufficiente per rendersene conto). Nella scuola non c’è autorità cui fare riferimento e si vuole sostituire il docente con i dispositivi elettronici. Non oso immaginare quello che succederà nei prossimi anni. Ovviamente non vogliamo demonizzare le macchine, ma il troppo è troppo. Quale vantaggio avrà la persona umana quando tra gli uomini avremo messo dovunque le macchine? Io ritengo che il problema della scuola non sia quello della carenza delle macchine, come dice Antinucci; il problema è invece quello del disorientamento etico, quello dello smarrimento della via, del senso della vita umana, come probabilmente pensa Reale. Per questa ragione i mezzi elettronici serviranno a poco, anzi potrebbero essere dannosi. Personalmente trovo molto saggio e lungimirante il progetto “Meet no Neet” lanciato a livello nazionale dalla fondazione di Roma “Mondodigitale” in collaborazione con Microsoft. L’iniziativa mira a coniugare l’uso dei mezzi e dei servizi digitali con l’innovazione sociale, che spesso deve prodursi concretamente in un territorio e con delle persone in carne ed ossa. Ogni classe deve collaborare, anche usando i mezzi digitali, per realizzare un proprio progetto che lasci dei segni tangibili di cambiamento nei fruitori: il progetto parte da un problema concreto che si vuole risolvere o da un’opportunità che si vuole offrire alla gente. Si tratta di un vero connubio tra il piano fisico della realtà e quello virtuale, con l’ambizione di far vivere ai partecipanti un’esperienza coinvolgente e completa che faccia acquisire, in un approccio attivo, collaborativo e laboratoriale, conoscenze, competenze e abilità utili in un mondo in cui tutto cambia rapidamente. Da questo punto di vista, è emblematico che gli studenti siano invitati a utilizzare una piattaforma digitale che funziona come un social network che si chiama “Phyrtual”, termine ottenuto attraverso la contrazione dei due termini physical e virtual.

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Trent’anni d’informatica e Ict in Calabria. Speranze, delusioni, digital divide. (appunti dall’incontro-dibattito del 1 giugno 2013, di Cristina Bucalo, 5BM) Abbiamo iniziato ad affrontare la tematica attraverso i nomi di diverse aziende del settore informatico, le quali operano, o hanno operato, nel territorio calabrese, specialmente nella Valle del Crati e nei pressi dell’Università della Calabria in particolare. I nomi presi in considerazione sono i seguenti: Exeura, Pluribit, Platonet, Sirfin, Tesi, Crai, Cud, Pitagora, Intersiel, Maise-Cies, Calpark, Tron, Finsiel, Esperia, Telcal, Caliò, CMSistemi, Thematica, Methodi, T&S, Confor, Herzum, Sirinfo. Il primo ad intervenire nel dibattito è stato Antonio Terracina. Egli si è laureato all’Unical negli anni Novanta. All’inizio studiava ingegneria industriale. In seguito al riordino degli studi nella facoltà di ingegneria si iscrisse al corso di laurea in ingegneria informatica, dove poi si è laureato. Antonio Terracina ha iniziato la sua carriera come ingegnere informatico all’interno del gruppo Finsiel (un’azienda a partecipazione statale) e più precisamente nell’Intersiel, la quale aveva un collegamento con la Telecom s.p.a. Verso gli anni Novanta del secolo scorso, furono erogati molti soldi per far sì, appunto, che realtà ’informatiche’ si sviluppassero un po’ ovunque in Italia. Un tale esempio è la Telcal, la quale era un consorzio che si occupava del “Piano telematico Calabria”. L’azienda madre era, però, l’Intersiel. Il piano Telcal coinvolse diversi enti e si occupava, principalmente, di realizzare infrastrutture, attraverso le quali erogare diversi servizi. Uno dei principali servizi era chiamato “Informativa cittadino”, cioè portare in un certo numero di comuni calabresi diverse infrastrutture Telecom. Non dimentichiamo, tuttavia, che siamo ancora negli anni Novanta, anni nei quali Internet era conosciuta, ma non era come oggi. Così un certo numero di professionisti, tra i quali Antonio Terracina, della Finsiel, furono incaricati di creare un sistema, una base di dati centralizzata da offrire ai comuni. La piattaforma, una volta create le pagine, le quali erano statiche, offriva diversi servizi, quali: gestire i contenuti, senza preoccuparsi di cosa vi fosse dietro, e creare delle aree riservate. Il progetto pilota fu adottato da 103 comuni calabresi. Tuttavia, una volta avviato il progetto e una volta che esso fu adottato da molti comuni, arriva la delusione, e cioè: nessun comune fu disposto a portare 55


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avanti autonomamente l’iniziativa. Bisogna ricordare, però, che neanche la politica fu una buona ’amica’ del progetto, in quanto furono stanziati soldi ed erogati fondi ad altri soggetti per mettere su di nuovo le infrastrutture che aveva realizzato la Finsiel. Dopo la testimonianza di A. Terracina interviene Fabrizia Molinaro, la quale, invece, nel 1997 ha iniziato a lavorare per la Thematica, che forniva consulenza esterna per Pitagora. In altre parole: la società Pitagora creò piccole aziende satelliti, come, appunto, Thematica e T&S, le quali assumevano personale che, però, lavorava offrendo consulenza a Pitagora. Pitagora ha due funzioni: sviluppare programmi che erogano servizi online alle aziende, e creare banche dati da cui estrarre informazioni da vendere alle stesse aziende. Che cosa faceva Pitagora, in pratica? Quando una qualsiasi impresa individuale o collettiva apre i battenti deve fornire tutti i dati dell’impresa appena creata alla Camera di Commercio della provincia. Tutte le informazioni che le Camere di Commercio, delle varie province, raccolgono, fanno capo ad InfoCamere, la quale è una figura istituzionale che raccoglie tutte le informazioni di tutte le aziende d’Italia. Perché fa questo? A chi interessano tali informazioni? Alle banche, ovvio. Nel momento in cui un’azienda chiede un fido, la banca per prima cosa andrà a ricercare informazioni su quell’azienda, soprattutto farà riferimento al bilancio di quella precisa azienda. Qua entra in gioco Pitagora, la quale, non solo trasforma i dati che raccoglie in informazioni, ma elabora ancor di più le informazioni che prende da InfoCamere. Tuttavia, qual è la differenza, a questo punto, tra un documento del Pitagora e uno stesso documento che arriva da InfoCamere? Tale differenza sta nella qualità e nella quantità di informazioni, parametri sui quali anche la concorrenza tra le diverse imprese, che operano nello stesso settore in cui opera Pitagora, si fonda. Pitagora non faceva altro che rielaborare i dati grezzi, magari creando parametri ad hoc, basati su dati veri, per offrire ai clienti, più informazioni. Il terzo ad intervenire nella tematiche dei trent’anni della informatica in Calabria è Nunzio Bilotta. Egli ha iniziato la sua carriera nel 1978, lavorando in un centro servizi di nome Co.me.r. e facendo tirocinio di programmazione presso quella che attualmente è la “Caliò Informatica”. All’epoca, Internet non si sapeva neanche cosa fosse, si cominciavano a vedere i primi mini-computer per uso commerciale ed il personal computer, così come lo conosciamo oggi, era ben lungi dal venire. Le elaborazioni, allora, erano di tipo batch: i clienti fornivano i dati già codi56


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ficati su modelli cartacei. Gli operatori di terminale li inserivano e, successivamente, venivano elaborate da programmi appositamente allestiti dai programmatori/analisti, figure professionali, queste ultime, che proprio in questo periodo iniziano a diffondersi. Tuttavia, già in quegli anni, se si voleva intraprendere la carriera di ’informatico’, si doveva sfatare il mito del posto fisso: ed è proprio questo mito che spiega molte delle delusioni di cui oggi parliamo. C’era chi lo sfatava quel mito, chi inventava qualcosa e il giorno dopo presentava le dimissioni all’azienda in cui lavorava per intraprendere una carriera autonoma, c’era chi si metteva in proprio. C’erano, però, anche persone che non pensavano minimamente di lasciare il loro posto, magari anche ben retribuito, per rischiare un po’. E, anche per questo, chi ne pagò le conseguenze fu, appunto, lo sviluppo dell’informatica nella nostra regione. Dopo i tre interventi, inizia il dibattito. T. Cariati: Avete avuto a che fare con altre aziende? N. Bilotta: Assolutamente sì, alcune delle quali (specializzate nella creazione, distribuzione e implementazione del software nonché della produzione dell’hardware) furono: Infarma spa, Pbm Informatica, Sirinfo, Sied Spa, Honeywel Inc, Ibm. A livello aziendale, invece, le esperienze più significative furono svolte presso la Jorio Farmaceutici e Valentini International. A. Terracina: Sì, con Thematica, Tesi, Exura e CMSistemi. T. Cariati: Come giudichi la presenza dell’Unical in questo campo? N. Bilotta: Il mio è un pensiero positivo, perché molte iniziative e proposte sono partite proprio dalla realtà universitaria. L. Volpintesta: Come mai la Calabria, che all’inizio era “messa bene” per quanto riguarda l’informatica, è andata via via peggiorando? N. Bilotta: Alcune cause le abbiamo menzionate: l’inadeguatezza del management, il legame a filo doppio con la politica e la dipendenza dalle risorse pubbliche. Poi sono venute le proposte di lavoro ’fasulle’, perché per lavorare nelle aziende era necessario possedere la partita iva. L. Volpintesta: Perché molte aziende sono fallite? N. Bilotta: Nel campo aziendale gli aspetti tecnici ed economici iniziavano ad essere troppo complessi e i direttori o i dirigenti, o chi per loro, erano incapaci di adeguarsi, perché non avevano l’adeguata preparazione, come già detto. Non va, però, dimenticata la politica, che ha rovinato molte realtà informatiche. Infatti molti direttori e dirigenti venivano assunti in base alla “tessera di partito”. 57


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F. Molinaro: L’incapacità gestionale è sicuramente la principale causa del fallimento, tuttavia ve ne sono molte altre, una delle quali è la mentalità meridionale. Prendiamo in esame l’azienda ’madre’ per la quale ho lavorato per sette anni, e cioè Pitagora. Pitagora inizialmente fu creata da alcune banche del Nord che decisero di creare l’azienda in questione al Sud, appunto perché il personale poteva essere retribuito di meno. E quando Pitagora fu creata ci fu un’impennata di giovani al lavoro. Tuttavia, per ben dieci anni, l’azienda seguì la politica del body-rental: cioè creavano diverse aziende satelliti, le quali assumevano personale che forniva consulenza esterna per Pitagora. Dopo ben dieci anni, Pitagora venne acquistata da un Fondo Monetario, il quale capì in quale situazione lavorava il personale e decise di chiudere tutte le aziende satelliti. In più, v’era lo Stato che, se prima erogava fondi e servizi, poi ha iniziato a stringere i cordoni della borsa, anche quando le aziende erano in credito per servizi già prestati. Tutto questo ha strangolato molte aziende. M. Garofalo: Hai lavorato per sette anni per Pitagora/Thematica, perché sei andata via? F. Molinaro: Per intraprendere un altro percorso di vita. M. Garofalo: Lei ha lavorato per qualcuna delle aziende calabresi nel settore informatico? T. Cariati: Io ho collaborato con alcune di queste aziende, come il Cud, e ho anche contribuito a fondare una cooperativa di servizi informatici. G. Filippo: Tu, invece, Francesco Pantani, dove hai lavorato? F. Pantani: Io lavoravo nel mio paese per un’azienda di Bologna, la quale aveva una sede proprio nel posto in cui vivevo, e lavoravo con una modalità che era una sorta di telelavoro. L’azienda in questione si chiama Edigit, si occupava della creazione di software gestionali: vi ho lavorato per ben sei anni. G. Filippo: Qual è, se c’è, la differenza tra un’azienda calabrese ed un’azienda di Milano che operano nello stesso settore? F. Pantani: Al Nord era più facile lavorare grazie ad una mentalità imprenditoriale che, sia allora che adesso, è assente qui in Calabria. A concludere il dibattito è Nunzio Bilotta, il quale, fermamente, ribadisce che a livello di capacità e di preparazione la Calabria e la sua università non hanno nulla da invidiare al resto dell’Italia, ma, aggiunge, è necessario cambiare la mentalità altrimenti saremo sempre subalterni.

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Quattro settimane nella Locride (di A. Carbone, D. De Luca, F. Fiumara, M. Leone, V. Pasqua, F. Scarcello)

Nell’ottobre del 2012 una quarantina di studenti del Cosentino, accompagnati da un gruppo di docenti, hanno trascorso quattro settimane nella Locride per un progetto di alternanza scuola-lavoro. Gli studenti hanno fatto esperienza nel settore turistico-alberghiero di quel territorio. Settore alberghiero e turismo Nel mese di ottobre abbiamo vissuto una bellissima esperienza in un’agenzia di viaggi nella Locride, e più specificamente a Siderno. Esperienza sicuramente utile e significativa, in quanto si capiscono i vari “meccanismi” per organizzare un viaggio. In agenzia svolgevamo varie attività, soprattutto di ricerca di alberghi e di pacchetti turistici con prezzi proponibili. Abbiamo imparato ad usare il programma Galileo, conoscere il sito di Trenitalia; e infine abbiamo imparato a prenotare, tramite il sito Costa, le offerte per una crociera. L’albergo che ci ha ospitato, come azienda, sfrutta molto le potenzialità offerte dalle tecnologie digitali e dalla rete, praticando il web-marketing. Il receptionist è la figura-chiave delle strutture ricettive. Egli è colui che oltre a dare il benvenuto agli ospiti, deve rispondere al centralino dell’albergo per risolvere eventuali problemi; deve dare informazioni al cliente riguardo ai pacchetti turistici, ai pernottamenti o ai congressi; deve controllare la disponibilità delle camere, registrare e aggiornare i nuovi arrivi e le partenze dei clienti; deve ricevere un cliente, assegnargli la stanza, informarlo sulle varie attività che si svolgono all’interno della struttura e i vari orari da rispettare per accedere alla ristorazione.

Territorio Il tratto costiero compreso tra Brancaleone e Punta Stilo è meglio conosciuto come Riviera dei Gelsomini. Il paesaggio che circonda questo tratto di costa presenta una incredibile varietà. Siamo nel cuore del Mediterraneo con ampie e in60


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contaminate spiagge e fondali pittoreschi e prevalentemente sabbiosi. Il paesaggio è caratterizzato da rocce sedimentarie ed è solcato da torrenti.

In questo territorio si trovano alcune delle cittadine più belle e importanti dal punto di vista storico della provincia di Reggio. La cittadina di Gerace, per esempio, si trova all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Il centro urbano, in particolare il borgo antico, è ricco di chiese, palazzi d’epoca e abitazioni scavate nella roccia. Vi si possono ammirare un castello ed una splendida cattedrale, entrambi di epoca normanna, oltre a numerose costruzioni di varia natura e genere architettonico. Tra le numerose chiese presenti nella cittadina, oltre alla cattedrale, il più grande edificio sacro della Calabria, v’è da ricordare quella di San Francesco. Un’altra cittadina importante è Roccella Jonica. Ha un territorio pianeggiante sul mare e collinare nell’entroterra. Il territorio urbano è caratterizzato da un borgo medievale nella zona collinare, sormontato dall’imponente castello dei principi Carafa. La cittadina è ricca di palazzi ed edifici nobiliari. Roccella è divenuta famosa per il suo Festival del jazz. Siderno è il centro più importante di tutto il comprensorio. Il vecchio nucleo abitativo è chiamato Siderno Superiore, mentre quello sviluppatosi a ridosso della costa è conosciuto come Siderno Marina. I sismi del 1783 e del 1908 hanno seriamente compromesso gli elementi architettonici più antichi della città, ma è ancora possibile ammirare i palazzi in stile barocco abbelliti da portali finemente lavorati. Il borgo antico ospita la Chiesa Matrice dedicata a san Nicola di Bari. Da vedere anche quello che rimane della chiesa di San Carlo Borromeo. Un’ampia spiaggia e le favorevoli condizioni climatiche hanno fatto di Siderno un’importante meta del turismo balneare.

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Archeologia La storia di Locri Epizefiri è una storia millenaria che inizia tra l’VIII ed il VII secolo a.C. È una storia costellata di avvenimenti: dallo splendore dell’età arcaica e l’alleanza con Siracusa, al duro impatto con il mondo romano; dalla nuova dimensione positiva di Municipium, fino all’inevitabile declino a causa delle sempre più violente invasioni saracene. Cooperative e riscatto sociale Nel territorio della Locride sono state messe in piedi una serie di iniziative sociali che fanno scuola forse a livello nazionale. Recentemente i vari soggetti sociali sono stati consorziati sotto il nome di Goel. Tutta la filiera di produzione è composta da cooperative che “abitano il proprio territorio”, si prendono cura delle comunità di appartenenza, si battono contro le mafie e creano lavoro per le persone svantaggiate. Di seguito alcuni ambiti di attività di questo originale consorzio. Goel Multimedia è il centro di produzione web e multimediale di Goel, dove si combinano creatività e impegno per il cambiamento, offrendo servizi come ad esempio costruzione di siti e portali dinamici, servizi web, applicazioni web ed e -commerce. La cooperativa sociale Aracne è provvista di telai artigianali per la tessitura tradizionale. Si occupa della produzione di pregiati tessuti che riprendono motivi tradizionali dell’arte grecanica e bizantina. I tessuti prodotti sono interamente fatti a mano. Cangiari è un marchio di alta moda del consorzio Goel ed è collegato con l’imprenditore Santo Versace. “Cangiari” vuol dire “cambiare” e sottolinea l’anelito al riscatto sociale che anima i promotori. Il Consorzio propone “I Viaggi del Goel”, per offrire una immagine nuova della Locride e della Calabria, per valorizzare il territorio visitato, ma anche per

far conoscere l’esperienza di un popolo e di tanti giovani che lottano contro le ingiustizie, le mafie e l’emarginazione sociale. Gli itinerari possono essere organizzati per una vacanza senza pensieri, oppure personalizzati in base alle proprie esigenze.

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Cultura In un testo sulla Locride non può mancare un cenno ad alcune figure della cultura italiana ed europea. Corrado Alvaro è stato uno scrittore, giornalista e poeta italiano originario di San Luca. Nella sua vita ha collaborato al resto del Carlino, con il Corriere della Sera e si è laureato in lettere all’università di Milano. In seguito diventa corrispondente a Parigi de Il Mondo di Giovanni Amendola. Nel 1925 è tra i firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti. Successivamente collabora con La Stampa e L’Italia letteraria. Dal 25 luglio all’8 settembre del 1943 assume la direzione del Popolo di Roma. Costretto alla fuga dall’occupazione tedesca di Roma, si rifugia a Chieti. Nel 1945 fonda il Sindacato Nazionale Scrittori, e la Cassa Nazionale Scrittori. Muore l’11 giugno nella sua casa di Roma a causa di un tumore. Mario La Cava, scrittore italiano nasce a Bovalino. Terminati gli studi superiori si trasferì a Siena dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Le sue opere si ispirano all’ambiente contadino calabrese, e parlano di emigranti e di emarginati. Nel 1935 pubblicò su L’italiano degli aforismi tipici della cultura contadina, che raccolse poi nella sua prima opera, Caratteri. In seguito collaborò con numerose riviste e giornali come Corriere della Sera, L’Unità, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Mattino. Tommaso Campanella da Stilo (Giovan Domenico Campanella) decise di entrare nell’Ordine domenicano per il desiderio di seguire corsi regolari di studi. Assume il nome di Tommaso (in onore di san Tommaso d’Aquino), e poi, a vent’anni, a Cosenza, affrontò lo studio della teologia. L’istruzione ricevuta dai domenicani non gli fu sufficiente. Fu in particolare il De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio una rivelazione. Savino Nucera nasce a Chorio di Roghudi il 2 marzo 1952. Poeta in lingua grecanica e animatore culturale nel dialogo fra Greci dell’Ellade e Greci di Calabria. Ha pubblicato per esempio Agapào na graspo e Dialoghi greci di Calabria con Domenico Minuto e Pietro Zavattieri. Folklore La Locride è ricca anche di folklore e tradizioni popolari. Segnaliamo alcuni brani come Bella Figghiola di Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea. Segnaliamo anche le pagine web del Kaulonia Tarantella Festival e Roccella Festival Jazz. Così come i video di Youtube relativi alla Festa di S. Rocco di Gioiosa Jonica e la Festa della Madonna di Polsi. Esperienze religiose Chi si reca nella Locride spesso lo fa per nutrire la propria spiritualità. Segnaliamo tre religiosi dei giorni nostri. Fratel Cosimo ha dato vita a un centro di spiritualità noto come “Madonna dello scoglio”. In anni di annuncio del Vangelo, fratel Cosimo ha invocato, per 63


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molti peccatori, il prodigio della conversione e per tanti sofferenti la guarigione. Frédéric Vermorel è un francese di circa cinquant’anni. Da alcuni anni vive nell’eremo di sant’Ilarione. Padre Frédéric è approdato in questo luogo grazie al prete illuminato Giancarlo Bregantini, per molti anni vescovo di Locri-Gerace. Mirella Muià è una iconografa originaria di Siderno ma francese di adozione, da alcuni anni vive all’eremo di santa Maria di Monserrato, a Gerace. Vive un tipo di apostolato che mira a recuperare le radici spirituali della Calabria e a gettare un ponte tra la Chiesa d’occidente e quella d’oriente.

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Nella Locride sulle tracce dell’economia sociale e civile (racconto di viaggio di Tommaso Cariati) Oggi si giunge nella Locride per lo più percorrendo la strada dei due mari Rosarno-Gioiosa Ionica, correndo lungo il Torbido. Un tempo, prima che questa importante arteria fosse aperta, il bel lembo di territorio compreso tra Punta Stilo e Capo Bruzzano era tanto isolato quanto solo le località di montagna lo erano in Calabria. Di fatti, Locri e Siderno, baricentro della fascia costiera, sono equidistanti da Reggio e da Catanzaro. E la distanza non era tale da favorire, a quel tempo, gli spostamenti. Un’altra possibilità era rappresentata dai passi di montagna, come quello dello Zòmaro, da raggiungere inerpicandosi su per Gerace, per discendere poi nella piana di Gioia Tauro. Insomma, le infrastrutture viarie non erano il massimo dell’efficienza e della comodità. Non parliamo del tempo in cui mancavano pure la statale 106 e la ferrovia ionica: queste opere per un certo tempo sono state, per la gente di qui, la liberazione. Di recente, però, ci dicono, in treno si viaggia molto peggio di alcuni anni fa, perché il taglio dei rami secchi ha comportato amputazioni dolorosissime; e sulla 106, specialmente d’estate, si transita a passo d’uomo. Per fortuna, a dare un po’ di respiro a un territorio costretto, come isola, tra il mare e le serre d’Aspromonte, c’è, dalla fine del XX secolo, l’asse trasversale dei due mari Rosarno-Gioiosa Ionica. Invero, anche se all’apparenza le contrade sembrano delle lande desolate, con fianchi di colline e alture sfregiati dalle frane e dai calanchi, con i greti delle fiumare che ne accentuano l’aspetto lunare, questo è un territorio a modo suo ridente. Il mare è stupendo; la pianura è fertile; le colline hanno un fascino orientale; i monti sono lussureggianti; la gente è accogliente ed allegra e i ragazzi vengono su con pane, organetto e tamburello. Il sole, poi, bacia questa terra dall’alba al tramonto, e la corona di monti la difende da venti molesti. Anzi, la stretta cimosa costiera è difesa pure dalle rare intemperanze del mare, grazie al terrapieno sul quale si rincorrono paralleli il nastro d’asfalto e la ferrovia. Qui piove raramente, e ancor più raramente fa freddo. L’estate dura da febbraio-marzo a ottobrenovembre, e in inverno non mancano le giornate luminose e calde. Non per caso, questa è la Costa dei gelsomini. Dalle parti di Roccella, c’è chi è riuscito a impiantare anche il bergamotto, benché si collochi più a sud, oltre Capo Spartivento, il suo habitat. Vi chiederete: «Perché mai uno dovrebbe andare nella Locride, specialmente se ai margini delle strade ci sono cumuli d’immondizia tali che ti sembra di essere in Campania? Per prendere parte a una manifestazione contro la ’ndrangheta, 65


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con i ragazzi del movimento “Ammazzateci tutti”?». Rispondiamo che ci si può venire da ogni regione d’Italia per partecipare a un campo per capi scout che, in piena estate, ti costringe a salire a piedi da Locri a Gerace, lungo sentieri semi-abbandonati, passando in mezzo agli orti e nel mare del frastuono delle cicale, e, l’indomani, dalla marina di Siderno a Siderno superiore. Per esempio, i canadesi e i russi vengono perché spinti dalla curiosità e attratti dagli itinerari eno-gastronomici o dal mare, ma anche dal cosiddetto turismo religioso, in una sorta di moderna erranza. Si può venire per partecipare alla processione di san Rocco, a Gioiosa Ionica, animata da strumenti tradizionali e balli, o a vedere, a Roccella, il festival del jazz o, ancora, a sentire Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea al Kaulonia tarantella festival. O semplicemente per visitare Stilo e la sua Cattolica, o Gerace che monta la guardia, arroccata in un fortilizio al sommo di un pane di arenaria, e chi viaggi lungo la statale, di notte, crede che si tratti di una navicella spaziale sospesa tra le nuvole. Questa volta, noi siamo venuti a cercare le tracce dell’economia sociale e civile, guidati da Linarello e Muià, e abbiamo fatto scoperte veramente interessanti. Antonio Muià è l’animatore dell’agenzia di viaggi e tour operator “Diano viaggi” di Siderno. Si tratta di un nodo importante di una rete di operatori turistici ed economici che costituisce un vero e proprio distretto nella Locride. Operando in collaborazione con altri operatori come alberghi, artigiani, diving center, frantoi oleari e aziende vitivinicole, agenzie di animazione e di organizzazione di eventi, “Diano viaggi” mette con successo a frutto le principali risorse che il territorio offre: mare, parchi archeologici, centri storici, chiese, sedimentazioni umane e antropologiche, folclore. L’azienda alberghiera, la struttura ricettiva o il “resort”, come dicono in gergo, può avere un proprio mercato, articolato peraltro in più filoni, come soggiorni tradizionali, matrimoni, eventi vari, e può avere la propria strategia di marketing per attirare turisti provenienti da diverse parti del mondo, per esempio, dal Canada, dalla Germania o dalla Russia. In questo caso, il tour operator e l’agenzia di servizi di animazione forniscono pacchetti turistici completi di itinerari, mezzi di trasporto, pasti “fuori sede”, accompagnatori turistici e guide, servizi di animazione e, perfino incontri con famiglie e comunità locali. Quando invece l’agenzia di viaggi e tour operator, che normalmente comunque vende ai clienti locali biglietti ferroviari o aerei, e pacchetti turistici da fruire in altre regioni e paesi del mondo, “porta” gruppi di turisti in zona, il protocollo di collaborazione prevede che l’hotel metta a disposizione le proprie strutture per fornire i servizi necessari al completamento del pacchetto di soggiorno, principalmente il pernottamento e la ristorazione. Insomma, si tratta di diversi soggetti giuridici ed economici, ciascuno dotato di finalità istituzionale, autonomia di gestione, contabilità, strategia imprenditoriale, personalità giuridica propria, ma tutti impegnati a collaborare per creare un livello di servizio che nessuno da solo potrebbe raggiungere, mantenendo dimensioni ridotte ma flessibili, e, al contempo, sfruttando le sinergie che si ottengono grazie all’azione di 66


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una rete di imprese. Bisogna vederli all’azione gli operatori turistici della Locride. Ognuno è specializzato in un segmento limitato del servizio che viene offerto ai gruppi, ma tutti agiscono in modo singolarmente coordinato perché la soddisfazione del cliente sia buona, e, il cliente stesso, una volta rientrato nel proprio luogo d’origine, si faccia, anche involontariamente, promotore presso amici e conoscenti dei servizi turistici fruibili in questa terra di Calabria. La cura dei gruppi è tale che il processo di accoglienza e soggiorno prevede che all’arrivo ci sia il “briefing di benvenuto”; durante il soggiorno vi sia la serata di tarantella, animata dal gruppo folk in costume con “cumpari” Cicciu, messo in piedi ad hoc per i turisti, e la visita a un centro storico come quello di Mammola, organizzata come un grande gioco scout con danze, canti e spuntino offerti in collaborazione con “cumpari” Cosimo; la sera prima della partenza ci sia l’incontro di “saluto ed arrivederci”. A volte, i turisti vengono invitati a trascorrere un pomeriggio o una serata in una casa privata del luogo per far conoscere loro, dall’interno, il calore delle famiglia calabrese e fare sentire al viaggiatore il profumo e il sapore di “capocollo” e “soppressate”, “melanzane ripiene”, “sardella salata” e “piparieddi fritti”. I turisti interessati possono comprare souvenir vari, come, per esempio, oggetti ceramici che ricordano il vasellame e le figurazioni dell’antica Locri Epizefiri, dipinti a mano da due artigiane-artiste locali. A Roccella, i turisti invece possono gustare e comprare dolciumi variamente impastati con prodotti tipici del comprensorio, come mandorle ed essenze di bergamotto. Gli operatori economici della Locride giurano che una certa quota di mercato è costituita da persone che hanno risposto a un messaggio ricevuto mediante il sistema “boccaorecchio”, cioè parlando con amici e parenti che vi erano venuti precedentemente. Tutto ciò si comprende bene, visto che quello turistico è un settore in cui gli operatori non offrono “prodotti”, ma “servizi”, perciò beni altamente immateriali, per lo più delicati quanto tutti i “servizi alla persona”, come quelli dell’assistenza sanitaria, i quali, tra l’altro, nascondono, nonostante la carta dei diritti del turista e tutte le leggi, insidie e fregature. In tutti questi casi, soltanto dopo avere fruito del servizio, acquistato diversi mesi prima, il cliente potrà sapere, quando ormai è troppo tardi, se ne valeva la pena: perciò, il fatto di potersi fidare di chi ha già vissuto un’esperienza positiva può essere un fattore di decisione determinante. Certo, questi operatori turistici non disdegnano di attingere alle sovvenzioni pubbliche. Per esempio, arredi e suppellettili di qualche albergo, o “resort” che dir si voglia, recano scritto “patto territoriale della Locride”. Così come non disdegnano di accompagnarsi agli amministratori pubblici che organizzano al santuario di San Francesco a Paola, in cooperazione con la Cei, la borsa del turismo religioso e delle aree protette, che vede, in una sorta di “fiera” del turismo, la presenza di più di cinquanta tour operator stranieri, e di proporre “pacchetti religiosi e culturali” basati sulla visita a fratel Cosimo, allo “Scoglio” di Placanica, 67


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dove avverrebbero apparizioni della Madonna, e a Paravati, luogo della mistica Natuzza Evolo. Molti dicono: «Ben venga anche questo turismo religioso, simil spirituale o pseudo culturale, se attira turisti transumanti e contribuisce a creare ricchezza». Il tg regionale del 31 gennaio 2013 ha fatto sapere che la Regione Calabria ha firmato un accordo con istituzioni russe, in base al quale nei prossimi anni potrebbero venire in Calabria con trentotto voli charter, proprio nei luoghi di fratel Cosimo, di Natuzza Evolo e di Gaetano Catanoso, seimilacinquecento turisti, per un totale di sessantacinquemila pernottamenti; mentre la Regione si impegna a investire in un biennio tre milioni di euro. Noi ci auguriamo che il film “Aspromonte”, il quale vuol far conoscere il volto bello di questa parte di Calabria, riesca nell’intento più di quanto fanno certi operatori turistici di qui che dicono ai clienti: «In Calabria there are three big mountains: Aspromonte, Serre e Sila». Possibile che questi illuminati venditori “del territorio e della cultura” dei loro padri abbiano una conoscenza così superficiale della montuosa Calabria da non sapere che, accanto alle tre “big mountains”, occorrerebbe menzionare la Catena costiera, il gruppo dell’Orsomarso e il possente Pollino? Forse la dimenticanza è dovuta, per così dire, a un difetto di prospettiva riassumibile così: chi guarda dalla meridionale Locride non riesce a vedere tutte le montagne che si ergono nella Calabria settentrionale; comprendiamo ma non giustifichiamo. Non comprendiamo però perché le proposte di alcuni operatori turistici della Locride, i quali pure affermano di offrire ai clienti la possibilità di conoscere il patrimonio culturale ed umano della loro terra, manchino totalmente di tracce e segni relativi a due “argomenti”: Corrado Alvaro, la fondazione che presso San Luca porta il suo nome, Gente in Aspromonte e Sussidiario della Calabria; e Mario La Cava, il suo I misteri della Calabria e i Racconti di Bovalino. Non parliamo di Nicola Zitara, meridionalista di Siderno; di Salvino Nucera, poeta in lingua grecanica originario di Chorìo di Roghudi; di Pasquino Crupi, originario di Bova, studioso della letteratura calabrese; né di Leon Panetta, americano originario di Gerace, capo di gabinetto con Clinton e capo della Cia con Obama; né dei tanti santi italo-greci che nel Medioevo hanno abitato gli anfratti di queste contrade, i quali pure contano molto di più della pagana Locri Epizefiri nella formazione del genius loci: parliamo di Corrado Alvaro, scrittore di questa terra di Calabria ma di statura europea, colui che meglio di altri ha saputo esprimere nella sua opera la calabresità, e può “parlare” ai turisti intelligenti, non perdigiorno, delle luci e delle ombre di questa terra e di questa gente. I turisti che desiderano conoscere davvero la terra e la gente di Calabria potrebbero interessarsi alla festa di san Rocco di Gioiosa Ionica, con i suoi suonatori di tamburi e le sue danze, riuniti in una singolare commistione di sacro e profano, al festival del jazz di Roccella e allo stoccafisso di Mammola, ma non dovrebbero trascurare il museo all’aperto di arte moderna di Nik Spatari, né i canti etnici di Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea, come Bella figghiola, 68


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Tarantella d’amuri, Stilla chjara, comprando qualche disco, magari dopo averli ascoltati dal vivo al Kaulonia tarantella festival mentre suonano chitarra battente, lira calabrese, ciaramelle, organetti e tamburelli. Ecco, i turisti intelligenti potrebbero contattare da vicino tutto questo patrimonio, partendo però da Gente in Aspromonte e da Racconti di Bovalino, e facendo un’escursione al santuario della Madonna di Polsi, oltre a divertirsi facendo tuffi nel bel mare Ionio, svagarsi abbrustolendosi al solleone e amoreggiando appartati lungo le spiagge dell’arco che va da Punta Stilo a Capo Bruzzano, o a Capo Spartivento, e a gustare bibite ghiacciate masticando capocollo. Certo alle scuole della Locride specializzate in tecniche turistiche, frequentate da Muià adolescente e da molti suoi collaboratori, va riconosciuto un ruolo nella nascita e nello sviluppo del cosiddetto distretto turistico sidernese, però tutto è perfettibile. Nel prendere congedo dagli amici di Siderno, ora che le imprese a loro volta fanno scuola in vari modi, sia tenendo seminari negli istituti del territorio, sia offrendo tirocini agli studenti, sia realizzando progetti di alternanza scuola-lavoro, e le autorità pubbliche redigono piani turistici strategici e volano a Mosca per fare marketing territoriale, auspichiamo che si punti in alto, e, prima di rientrare, ci accingiamo a narrare un’altra esperienza, veramente forte, della Costa dei gelsomini. Il perno della storia è Vincenzo Linarello. Egli è l’animatore di un “consorzio sociale” denominato “Goel” che raggruppa cooperative sociali e associazioni della Locride. Il progetto è germinato e si è sviluppato per la spinta impressa dalla diocesi e da mons. Bregantini, ma anche grazie al “sostegno e all’accompagnamento” di diversi enti importanti a livello nazionale. “Goel” è un nome biblico che significa pressappoco “colui che riscatta qualcuno che è caduto in disgrazia”, e infatti alcune delle parole chiave con cui il consorzio definisce le proprie finalità sono: “rimotivazione etica”, “formazione”, “riqualificazione”, “crescita”. Il consorzio mira a riscattare la Locride dal ritardo sociale ed economico che ha accumulato nei secoli, liberare la gente dal giogo della ’ndrangheta e delle logge massoniche deviate, promuovendo la democrazia e il bene comune. La vera sfida che Linarello e i suoi amici hanno raccolto, e sostenuto con successo, è quella di ricostruire un patrimonio di fiducia individuale e sociale, purtroppo dilapidatosi a causa della persistente presenza nel territorio di processi sociali ed economici distorti o aberranti. Si tratta di un delicato lavoro di cura e promozione sociale di grandissimo valore, portato avanti con la passione e la dedizione che scaturisce dalla consapevolezza di vivere esattamente all’altezza della propria vocazione. Il consorzio “Goel” pone al centro del proprio operare la persona, e la persona svantaggiata in primis, con priorità per i problemi dell’emarginazione; lavora per radicare nel territorio le iniziative sociali, con professionalità e motivazione. Altri elementi importanti del metodo che “Goel” ha adottato sono: rispetto della legalità, trasparenza degli atti, democrazia interna, equità, cooperazione e mutua69


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lità tra i soci della singola cooperativa o associazione, indipendenza dal potere politico e qualità dei prodotti e servizi offerti. L’originalità del progetto risiede nello studio sistematico delle cause del ritardo di questo territorio e nella loro piena comprensione, nel desiderio ardente dei promotori di compiere un’opera coerente con l’evangelo, sapendo di essere chiamati a vivere a un’altezza che non è possibile con le sole forze umane, assolutamente consapevoli che il male arretrerà certamente davanti all’avanzare inesorabile del bene, che è anche giustizia, bellezza, solidarietà e pace. Il consorzio “Goel” è una fitta rete di iniziative diffusa in tutta l’area della Costa dei gelsomini, e configura un vero e proprio distretto di lavoro e promozione sociale, giacché le priorità dell’iniziativa non sono di ordine materiale, ma sono la crescita della fiducia, la motivazione a essere protagonisti, il superamento dell’emarginazione, l’empowerment dei partecipanti, la promozione della democrazia e della libertà. “Goel” è un soggetto sociale attivo che opera a tutto campo pur di perseguire con efficacia le proprie finalità, e le persegue con successo. Tra le svariate iniziative portate avanti, alcune, per la loro originalità, hanno colpito particolarmente la nostra fantasia. Pensiamo all’“Agenzia di viaggi o tour operator”, che propone “i viaggi del Goel”; a “Cangiari” che è, come dicono i protagonisti, un “fashion brand” etico e sociale che opera nel settore dell’alta moda; a “Goel bio”, cioè la società del gruppo che opera nel settore agroalimentare; a “Goel multimedia” che è il centro di produzione web e multimediale di “Goel”, dove creatività e impegno per il cambiamento si coniugano insieme. Come si vede, si tratta di un ventaglio ampio ed eterogeneo di iniziative imprenditoriali e di cooperazione che copre una vasta gamma degli ambiti del lavoro umano. Un vero e proprio mosaico fatto di molte tessere sorprendenti, delle quali, a chi si fermi alla superficie delle cose, sfuggono le motivazioni di fondo che ne hanno determinato la nascita, e il significato profondo. Sì, effettivamente la sorpresa è grande quando nell’ambito della cooperazione sociale spunta l’alta moda, l’impresa di servizi multimediali o la banca virtuale. Ciò accade perché, in genere siamo abituati a sentir parlare di imprese o cooperative sociali che si preoccupano degli emarginati attraverso la raccolta di indumenti usati, stracci e carta da riciclare, i cui membri, tutt’al più, sopravvivono con gli aiuti della Caritas e delle persone di buona volontà, o con improbabili elargizioni pubbliche aperiodiche, ma sempre nella precarietà e ai margini della società, in condizioni igienico-sanitarie da bidonville. Invece no, il progetto “Goel” mira, non a sfamare, come accattoni, con un tozzo di pane le persone, ma a riscattarle veramente e in forma duratura, attraverso il lavoro e l’impegno, partendo dalla dignità della persona umana. Sentir parlare Linarello ci sorprende continuamente, per la passione che ci trasmette ma anche per la competenza che cogliamo attraverso il suo lessico e i concetti che egli esprime: qui c’è gente che ha studiato veramente, anche l’economia aziendale, il marketing, la finanza, l’analisi dei costi, la comunicazione d’impresa, i sistemi organizzativi e il management, assieme alle sen70


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tenze dei processi contro la ’ndrangheta e all’evangelo. Appena conosciamo meglio la strategia di “Goel”, la sorpresa si dissipa e si fanno strada in noi lo stupore e la meraviglia. Sapevamo che nella valle del Bonamico, dalle parti di Platì, a sud di Gerace, operano da tempo attività di cooperazione, promosse dall’ufficio per la pastorale del lavoro della diocesi di Locri, che producono formaggio locale e frutti di bosco, come lamponi e more. Molti sanno anche che i frutti di bosco vengono commercializzati fuori dalla Calabria. Fin qui è tutto normale, tutto nel pieno rispetto del cliché: quattro persone precarie, aiutate da un prete, e da qualche benpensante che, a tempo o a soldo perso, dà una mano, riescono a sbarcare il lunario. Ma il consorzio “Goel” esce dal cliché. Intanto bisogna sapere che le piantine di lamponi del Bonamico sono generosissime: grazie a un innocente inganno, danno il loro frutto due volte all’anno. Infatti, dopo il primo raccolto, le piantine vengono portate in montagna dove, anche se si è in estate, “credono” di essere in inverno, e quando in autunno vengono riportate a valle, in un luogo riparato e caldo, “credono” che sia ritornata la primavera e permettono un secondo raccolto. Ecco la magia del connubio della Costa dei gelsomini e della creatività dell’umano ingegno. Vi chiederete: «Sì, ma come nasce nella testa di gente che si nutre di pane e vangelo l’idea di operare nel settore dell’alta moda con Cangiari? Per contribuire a solleticare la vanità dei ricchi?». È semplice: a Gerace ci sono donne che producono tessuti, per esempio, dalla ginestra, mediante i tradizionali telai a mano; il lavoro richiede pazienza e tempo e il prodotto finito, anche se bello, non è competitivo; allora si pensa di utilizzare quei tessuti confezionando capi di alta moda, il cui prezzo di vendita permetterà non di fare arricchire oltre misura i “creativi”, ma di remunerare adeguatamente il lavoro certosino delle donne di Gerace che approntano il semilavorato. Lo stupore si fa traboccante quando si apprende che Cangiari, parola in dialetto il cui significato è “cambiare” e all’orecchio ha un suono dolce e bello, ha il suo show room a Milano, vicino al Duomo, in un miniappartamento confiscato alla ’ndrangheta; altro che economia da straccioni. Si comprende, a questo punto, che tutte le tessere del mosaico “Goel” sono ben armonizzate e saldamente incastrate le une con altre. Per esempio, “Goel multimedia” può anche avere avuto il suo avvio in un’iniziativa che mirava innanzitutto a curare il sito web, la pubblicità, il marketing e il commercio elettronico dei soci del gruppo, e soltanto in un secondo momento a fornire anche servizi a terzi, ma più tardi “Goel”, grazie alle competenze informatiche e ai servizi di “Goel multimedia”, potrebbe aver concepito l’idea, altamente ambiziosa, di creare una sorta di “banca della compensazione del lavoro”, con moneta virtuale, allo scopo di favorire lo scambio di prestazioni lavorative e servizi, azzerando il costo del denaro e il problema del finanziamento. Certamente il tour operator di “Goel” nasce, non per offrire servizi turistici generici a generici viaggiatori, ma itinerari di viaggio rivolti a coloro che, sensibili al richiamo dei valori del progetto sociale del consorzio, desiderano vivere 71


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un periodo in modo alternativo in questo territorio, con gente straordinaria: ebbene, costoro non devono fare sforzi, devono soltanto affidarsi a “Goel”, che li accompagnerà in un viaggio dell’“umanità alla riscossa”. “I viaggi del Goel” permettono alle persone intelligenti di fare esperienza di turismo responsabile grazie agli itinerari “della legalità”, “della spiritualità”, “dell’artigianato e delle tradizioni”, della “natura e del movimento”, “della gastronomia e dell’agricoltura biologica”. Ecco come tout se tien. Questi itinerari si snodano attraverso le località più rinomate della Locride, come Gerace e Stilo, ma anche attraverso le esperienze più vive e palpitanti della gente del “Goel”. Essi permettono di conoscere le geracesi di “Aracne”, una cooperativa che produce arazzi e tessuti con i telai in legno, secondo il metodo della tessitura manuale; di incontrare Frédéric, un francese che ha scelto di vivere qui la sua vocazione religiosa, il quale nell’antico monastero di Sant’Ilarione invita a partecipare alla sua esperienza di contemplazione e preghiera; di scoprire l’esperienza artistica di “Cuntrascenzia”, una cooperativa sociale di artisti che “intendono veicolare il messaggio di cambiamento e di lotta per la legalità e la giustizia sociale attraverso diverse forme d’arte”; di consumare il pranzo tipico presso la cooperativa “Arca della salvezza”, nata da un centro di accoglienza per minori in difficoltà. Che cosa non può fare un uomo? Che cosa non può fare un calabrese? Corrado Alvaro, quel grande calabrese originario di queste parti, che aveva compreso meglio di tutti i sociologi lo spirito di questo popolo, sapeva che un calabrese, anche se di umili origini, quando trova la via può raggiungere vette inusitate. E sapeva anche, Alvaro, che “il calabrese vuole parlato”, come si parla a un uomo, a uno che ha famiglia, che ha dignità. E Linarello, dal canto suo, non ci ha detto che un uomo che dà tutto di sé, senza trattenere nulla, può fare ben più di cento uomini che danno, sì, ma trattenendo sempre qualcosa? Buona fortuna a questa gente semplice, creativa e coraggiosa; buona fortuna ai viaggiatori del turismo solidale, non perdigiorno. Noi portiamo tutti nel cuore, mentre, risalito il Torbido, percorriamo il lungo traforo della Limina e puntiamo decisi alla via maestra Salerno-Reggio.

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La pedagogia della costruttività gioiosa e responsabile di Sos scuola con Meet no Neet (di Tommaso Cariati) Il progetto Meet no Neet Il progetto Meet no Neet è stato ideato dalla fondazione “Mondodigitale” di Roma e viene realizzato in collaborazione con Microsoft, coinvolgendo diciotto scuole con seimila studenti delle diverse regioni d’Italia. Il senso del progetto è tutto contenuto nel titolo. La sigla“Neet” significa “Not in Education, Employment or Training” ed indica i giovani che si trovano ai margini della società, mentre Meet è semplicemente il verbo “incontrare” in inglese. Perciò la locuzione “Meet no Neet” contiene un messaggio e una sfida. Il messaggio: “Attenzione perché tutti possiamo finire tra i Neet”. La sfida: “Per non finire tra i Neet bisogna incontrare gli altri, fare squadra liberando la creatività di ciascuno e cooperando in modo sinergico, al fine di realizzare un’opera che produca innovazione sociale e abbia valore economico”. L’iniziativa è particolarmente interessante innanzitutto perché invita ogni gruppo di studenti a concepire un’idea o un progetto, a partire da un problema concreto individuato nell’ambiente sociale dove gli studenti vivono, o da un’opportunità che essi vogliono offrire alla gente che vive in quell’ambiente; pianificare tutte le attività che dovranno essere svolte per realizzare il progetto, individuando punti di forza e punti di debolezza e definendo un bilancio di previsione, in cui mettere a confronto le spese che dovranno essere affrontate e le fonti di finanziamento che potranno sostenere il progetto. È interessante, in secondo luogo, perché propone di utilizzare tutti i mezzi digitali disponibili per comunicare, cooperare e lavorare. A questo riguardo, la presenza della Microsoft, come partner dell’iniziativa, segnala la spinta a utilizzare gli strumenti di comunicazione che rendono possibile ciò che fino ad alcuni anni fa non lo era, come per esempio seguire un corso di formazione via teleconferenza, quale quello offerto proprio da Microsoft alle scuole, o come lavorare in gruppo stando ognuno a casa propria. Infine è interessante perché la metodologia del progetto Meet no Neet mira a combinare efficacemente la dimensione fisica della realtà con la dimensione virtuale. Non è un caso che i progetti degli studenti, affinché possano essere valutati, discussi ed eventualmente imitati da persone che vivono in luoghi molto lontani le une dalle altre, verranno pubblicati su una piattaforma web che si chiama Phyrtual (www.phyrtual.org), dalla contrazione dei due termini “Physical” e “Virtual”. 73


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Sos scuola e Meet no Neet Poiché il gruppo Sos scuola, realizzando attività, processi di apprendimento e prodotti in cui ognuno è invitato a portare liberamente il proprio contributo originale, pratica da anni una pedagogia della costruttività gioiosa e responsabile, e l’opera che ne risulta è ad un tempo costruzione sociale e della persona, quando siamo stati invitati ad aderire al progetto Meet no Neet abbiamo compreso che avremmo potuto fare un pezzo di strada con Mondodigitale. Due aspetti dell’iniziativa ci hanno attratto in modo particolare: primo, la possibilità di coinvolgere gli studenti in gruppi di lavoro creativi, autonomi e responsabili, offrendo loro l’opportunità di confrontarsi con altri gruppi di altre scuole e regioni; secondo, l’invito a coniugare il piano fisico della realtà con quello virtuale, avviando processi di innovazione sociale che lascino nel mondo segni tangibili e duraturi del nostro passaggio, anche grazie alle tecnologie digitali. Questo secondo aspetto ci è sembrato particolarmente interessante in questo momento della vita di Sos scuola perché da due anni il gruppo si interroga sui problemi che scaturiscono dall’intreccio tra mezzi di comunicazione digitali, produzione e diffusione della conoscenza, e democrazia. Il “Cosentino” di Rende, grazie anche alla disponibilità della dirigenza, siglata la convenzione con Mondodigitale, ha inviato un docente a Roma al work shop di lancio dei lavori e ha iscritto quattro terze e quattro quarte. Dopo circa due mesi di incontri, discussioni, riflessioni e lavoro, abbiamo ottenuto un primo risultato: nella scuola si è prodotta una innovazione sociale che ha liberato energie e creatività nuove, e i processi nei quali siamo coinvolti lasceranno un segno indelebile nelle nostre vite. Nella pratica, alcune classi hanno già individuato un progetto e lo stanno pubblicando sulla piattaforma sociale Phyrtual.org, altre si stanno organizzando intorno a un’idea, altre ancora sono alla ricerca dell’idea. All’indirizzo www.sos-scuola.it si può vedere il quadro completo della situazione. Il lavoro vero e proprio è stato preceduto da un’attività di gruppo preliminare e prolungata mirata a creare coesione e a suscitare motivazione e spirito di iniziativa. Le tecniche utilizzate sono state: la disposizione in cerchio e l’invito a parlare uno alla volta; l’alternanza tra momenti di brain-storming e giochi di interazione; l’individuazione, in ogni classe, di due capigruppo e di due responsabili della comunicazione e della documentazione multimediale; l’alternanza tra valutazione dei pro e dei contro delle idea prodotte e coinvolgimento dei partecipanti in canti e giochi di gruppo; la definizione di un motto e di un nome per il gruppo. Mondodigitale al Cosentino I gruppi del Cosentino il 4 giugno 2013 hanno ricevuto una forte spinta a proseguire sulla strada intrapresa grazie alla visita di Ana Lain di Mondodigitale e 74


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all’intenso lavoro svolto con lei durante l’intera mattinata. I ragazzi hanno potuto rendersi conto che l’iniziativa Meet no Neet non è un castello fantastico messo su da un professore visionario, ma qualcosa di concreto, portato avanti da persone concrete che hanno una storia, passioni e competenze precise. Ana Lain, dopo la giornata di lavoro del 4 giugno, ci ha scritto: «In generale ho trovato gli studenti ben disposti, ben sensibilizzati alle tematiche sociali e con grande desiderio di impegnarsi e rendersi utili. […] La modalità di lavoro è ben cadenzata e strutturata, basata sul dialogo e il lavoro cooperativo. Queste cose messe insieme […] mi portano a pensare che almeno [alcune] classi sono già a un buon punto e hanno tutte le carte in regola per fare un ulteriore passo avanti». Alcuni consigli che Ana Lain ha dato ai ragazzi sono: «Guardare in prospettiva facendo in modo che queste giornate di beneficenza e azioni positive sul territorio possano avere un seguito anche in futuro. Ad esempio destinando parte dei soldi raccolti all’organizzazione di un’edizione successiva dell’iniziativa, prevista da subito. […] la continuità dell’azione nel tempo fa parte dell’innovatività della stessa. Importante, anche perché in futuro altri studenti più giovani potrebbero prendere in consegna l’iniziativa». La dottoressa aggiunge: «Individuare chiaramente i destinatari del progetto (chi, quale fascia di età, territorio di riferimento, come entrare in contatto con loro ecc.) e circoscrivere chiaramente il territorio interessato dalla loro azione (una zona definita, un quartiere preciso ecc)». Suggerisce: «Utilizzare le potenzialità della rete: è una risorsa veloce e gratuita in caso abbiano bisogno di consulenze di esperti o soltanto pareri di altri studenti, magari anche di altre scuole che partecipano a Meet no Neet. Questo è un modo per dimostrare a se stessi e alla comunità che i giovani sanno utilizzare Internet non solo per svago ma anche per usi costruttivi. È già un messaggio forte in se stesso. Eventualmente, provare anche a esporre l’idea a qualcuno che non la conosce e in base alle osservazioni, raccogliere spunti per migliorarla, se necessario». I progetti delle classi di Rende Alcune delle idee-progetto dei gruppi di Rende sono: “Adottiamo gli spazi esterni del Cosentino”, della IV C, che mira a valorizzare i giardini della scuola, da tempo trascurati; “Festa di paese al Cosentino”, della III B che ha il motto “Un passo alla volta diamo la svolta”, con lo scopo di organizzare un ciclo di feste in costume al Cosentino con giochi vari, come tiro alla fune, corsa nei sacchi, gara con le pignatte; “Spettacolare per il sociale”, della IV B che ha il motto “Non arrendiamoci, attiviamoci”, con l’obiettivo di trasformare la classe in una compagnia teatrale che realizzi uno spettacolo su temi di contenuto sociale, come la disoccupazione giovanile e gli incidenti sul lavoro, da portare in tour, per ora, in diversi teatri del territorio. L’iniziativa Meet no Neet ha potenzialità che permettono di sperimentare 75


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contemporaneamente processi e tecniche di didattica attiva e per progetti, di didattica laboratoriale, di cooperative e distance learning, di apprendimento autonomo attraverso l’attuazione di processi di problem solving e di problem solving di gruppo, di enpowerment. I singoli processi innescati da ogni progetto, se vissuti con impegno e senso di responsabilità, possono essere palestra per la costruzione della cittadinanza attiva e responsabile e per acquisire le competenze necessarie nel mondo digitale e della conoscenza, globalizzato, liquido e in rapidissimo e continuo cambiamento. Ana Lain suggerisce altresì agli studenti di: «Prevedere un budget, anche minimo, che copra le spese vive ed evitare soluzioni in cui si impegnano economicamente loro stessi o i loro familiari (non garantisce la replicabilità del progetto). Trasformare la ricerca di fondi in opportunità: contattare aziende, attività commerciali del territorio, Enti, Associazioni, Istituzioni, ecc. che possano trarre beneficio dalla loro idea (pubblicità, visibilità). Anche questo aspetto è importante perché i ragazzi abbiano un contatto concreto con il mondo del lavoro e imparino a rapportarsi anche con nuovi soggetti sociali. Questo tema è sempre difficile per i più giovani, ma è bene che imparino a prevedere le spese in anticipo per non rischiare di avere sorprese al momento della realizzazione. […] Questo li introduce all’imprenditoria sociale. Inoltre, se il progetto verrà selezionato tra i finalisti deve prevedere un obiettivo economico da raggiungere per il crowdfunding su Phyrtual. I ragazzi possono organizzare il budget utilizzando semplicemente un file excel». […] La dottoressa Lain aggiunge, entrando nel vivo delle attività da mettere in cantiere e dei mezzi utili a portarle avanti: «Utilizzare fortemente le tecnologie per promuovere le iniziative e per mantenerle vive nel tempo, prima e dopo: social network, blog, video promo ecc. Anche comunicare è una competenza che devono esercitare per poter imparare. Ricordarsi sempre di utilizzare musiche e immagini libere da diritto di autore, citando le fonti da cui sono state prese. Alcuni siti dove si possono trovare: per le musiche www.jamendo.com, per le immagini www.flickr.com e www.google.com impostando “immagini pubblico dominio” come filtro di ricerca. Verificare la legalità di ogni singola azione prevista dal vostro progetto (es. permessi necessari per un evento in piazza, per la vendita di oggetti/alimenti, per la pubblicità ecc.)». La dottoressa Lain conclude con l’invito pratico a valutare l’idea progettuale alla fine del processo di creazione, «assicurandosi che risponda a precise caratteristiche: - fattibilità: essere effettivamente realizzabile; - replicabilità: esportabile in altro contesto simile con aggiustamenti minimi; - sostenibilità: in grado di produrre e assicurare le risorse economiche per il proprio sostentamento per la durata prevista del progetto; - efficacia: essere la soluzione funzionale per risolvere il problema affrontato in quel specifico contesto; - innovazione: quale miglioramento lascia questa azione rispetto alle condizioni di partenza del contesto di riferimento». 76


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Speranze e prospettive Meet no Neet è un progetto capace di promuovere veramente alcune delle competenze che i cittadini, secondo studiosi, autorità e legislatori a livello europeo, dovrebbero possedere in questi primi decenni del Terzo millennio, per essere protagonisti attivi e proattivi nella società, e per non diventare Neet. Tra queste ci sono: sapere imparare in modo continuo con gli altri, sapere cooperare usando altre lingue oltre alla lingua madre, sapere affrontare situazioni nuove e impreviste mettendo in atto processi di problem solving cooperativo, sapere usare in modo libero e creativo i vari mezzi informatici e di comunicazione disponibili, saper collaborare con gli altri in modo costruttivo gestendo efficacemente i conflitti. Il mondo soffre e geme come nelle doglie di un parto, scriveva san Paolo nel I sec. dell’Era cristiana. Questo è vero in qualsiasi Era, anche in quella digitale o post umana, ma ogni generazione dispone delle risorse e delle energie che le permettono, se essa sa scoprirle, valorizzarle e impiegarle efficacemente, di costruire un mondo che sia precisamente all’altezza dell’umano.

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Tirocinio in informatica all’ITE “V. Cosentino” di Rende (Tratto della relazione che Fabrizia Molinaro ha scritto alla fine del tirocinio formativo attivo) Il tirocinio diretto è stata la fase più entusiasmante del percorso di tirocinio formativo attivo. L’esperienza con i ragazzi ha avuto risvolti molto positivi nella mia formazione di insegnante. Innanzitutto ho avuto modo di mettere in pratica le nozioni acquisite durante i corsi di scienze dell’educazione e di didattica disciplinare, opportunamente adattate al contesto in cui ho esercitato il tirocinio. Inoltre è stata un’opportunità per sperimentare me stessa e le mie capacità empatiche con gli studenti. Di seguito vengono riportate le mie esperienze didattiche svolte nelle classi V B e IV B, indirizzo programmatore - Mercurio, e III B, indirizzo SIA, sistemi informativi aziendali. Oltre alle classiche lezioni frontali, il nostro docente tutor, il prof. Tommaso Cariati, ha dato la possibilità a noi tirocinanti di intervenire a scuola in altre due iniziative molto interessanti. Nella classe V B Mercurio abbiamo partecipato ad una tavola rotonda dal titolo “Trent’anni d’informatica e Ict in Calabria. Speranze, delusioni, digital divide”, di cui nel sito del gruppo Sos Scuola all’indirizzo http://www.sos-scuola.it/ Relazioni/30anni.doc è pubblicata una relazione dettagliata. Con le classi IV B Mercurio e III B Sia, invece, siamo stati coinvolti in un progetto molto interessante, denominato Meet No Neet, che si può liberamente consultare all’indirizzo web http://www.sos-scuola.it/neet/. La classe V B La mia esperienza di tirocinio in questa classe comincia quando ormai i ragazzi sono giunti quasi al termine di un duro anno scolastico, non solo perché scandito da lezioni, verifiche, simulazioni d’esame, scoperta delle commissioni e delle materie d’esame, ma anche perché l’anno corrente chiude una fase importante della loro vita, che comporta fare delle scelte che segneranno il loro futuro. La classe è composta da 9 maschi e 15 femmine. La loro provenienza è eterogenea: Rende, Cosenza, Taverna di Montalto e altri piccoli paesi limitrofi alla città di ubicazione della scuola. C’è anche un ragazzo cinese, in Italia da 4 anni perché coinvolto in un progetto di alternanza con la Cina, che è integrato molto bene con la classe nonostante le forti difficoltà linguistiche ancora presenti. La classe appare unita e solidale, senza particolari sottogruppi, tanto da condividere anche svaghi e diverse attività extra-scolastiche. 78


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Sui muri arancioni e verdi dell’aula campeggiano gli striscioni della festa dei 100 giorni e una serie di caricature dei professori. Gli studenti e i banchi non hanno una posizione standard nell’aula, ma la tendenza è quella di una disposizione semicircolare attorno alla cattedra. I ragazzi appaiono subito entusiasti dell’arrivo di noi tirocinanti: l’accoglienza è molto solare e calorosa. Sono molto curiosi di conoscere la nostra storia, i nostri studi, le nostre esperienze professionali e del perché abbiamo scelto di diventare professori. Al termine di un faticoso anno scolastico siamo stati per loro quella novità che li ha un po’ scossi. Durante le nostre chiacchierate sono emerse anche le loro ansie e le loro preoccupazioni non solo per quanto riguarda l’esame di stato, ma soprattutto per il percorso universitario da scegliere, che si ripercuoterà sul loro futuro. Il nostro tutor, persona molto sensibile alle problematiche e all’orientamento degli studenti, ci ha dato ampio spazio, creando più occasioni propizie per dare agli studenti la possibilità di fare tutte le domande desiderate. L’insegnamento della disciplina di informatica non ha avuto continuità didattica poiché l’attuale docente è stato assegnato alla classe a decorrere dall’anno scolastico in corso. Eppure i pochi mesi intercorsi a partire da settembre sembra che abbiano colmato la distanza studente-professore che si instaura tipicamente all’arrivo di un nuovo docente. Nonostante l’informatica sia una disciplina oggetto della prova scritta all’esame di stato, l’interesse per la materia non è uniforme nella classe, tanto che è possibile individuare due sottogruppi. Il primo nutre un interesse medioalto per la materia, sia per passione che per ansia da prestazione alla prova di maturità. Gli studenti di questa fascia sono mediamente molto preparati anche nelle altre discipline, intervengono durante le lezioni con domande e osservazioni, e promuovono uno studio autonomo usando molto Internet per approfondire gli argomenti. Usare la rete per approfondimenti personali senza accontentarsi dei libri di testo è in realtà un atteggiamento maturato grazie anche agli stimoli che offre il loro professore, il quale spesso concede ai ragazzi l’ultima mezz’ora di lezione per ricerche personali nel laboratorio d’informatica. La restante parte della classe mostra qualche segno di insofferenza nei confronti della materia, che però, va ricordato, nel secondo quadrimestre assume connotati fortemente teorici (sistemi operativi, tecniche di allocazione della memoria, tecniche di schedulazione dei processi etc.). Tuttavia i ragazzi di questa seconda fascia dimostrano degli interessi di nicchia, come le reti, le memorie e i sistemi operativi per smartphone. I ragazzi si entusiasmano di fronte ad approcci alla materia interattivi e coinvolgenti e non è difficile innescare dinamiche di questo genere durante una lezione perché l’informatica è, per sua natura, una materia che si presta molto bene alla logica e al ragionamento. Poiché ogni soluzione, sia hardware che software, porta intrinsecamente con sé vantaggi e svantaggi, basta porre la domanda giu79


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sta, far cadere qualche indizio per tenere alta la “tensione” quando lo scoraggiamento comincia a prendere piede e in classe scoppia un bel brainstorming! Questo aiuta molto lo studente a sviluppare il senso critico, a non assumere un atteggiamento passivo, a pensare a soluzioni sempre nuove davanti ai problemi, senza riciclare quelle vecchie. Quanto appena descritto è quello che ho sperimentato con i ragazzi nel laboratorio di informatica durante due lezioni sull’SQL: in particolare, una sul DML e l’altra sul DDL, ciascuna della durata di un’ora. Concordato lo scopo delle due lezioni e considerato che la classe aveva già dedicato alcuni mesi allo studio delle basi di dati e dell’SQL, argomenti centrali nella programmazione di informatica per la quinta, il mio docente tutor mi ha conferito ampia libertà sulle modalità e sui contenuti delle lezioni. Ho preferito che queste fossero svolte in laboratorio con l’ausilio di una LIM, per configurare così quel contesto sperimentale che tanto stimola i ragazzi. Per quanto riguarda la parte sul DML, visualizzare le query e i rispettivi risultati alla lavagna ha aiutato i ragazzi a percepire la natura dichiarativa del linguaggio e la potenza di calcolo degli operatori aggregati. Durante la lezione sul DDL invece è stato messo molto in rilievo la delicatezza e l’importanza della fase di progettazione delle tabelle, che merita lunghi tempi di riflessione. Solo in seguito si è passati alla disamina dei comandi DDL e si è mostrato ai ragazzi come una progettazione robusta della base di dati garantisca l’integrità e la consistenza dei dati e di quanto una buona progettazione possa incidere sulle performance delle query. Anche la scelta di un DBMS alternativo, quale MySQL, non è stata casuale ma opportunamente ponderata. Innanzitutto per aprire i ragazzi al mondo dell’open source, a cui appartiene la distribuzione gratuita che ho usato e il cui eseguibile ho provveduto a caricare sui pc della scuola affinché gli studenti più interessati potessero usufruirne. Poi per dimostrare ai ragazzi che lo studente che sa padroneggiare bene l’SQL standard è indipendente dalla conoscenza di uno specifico DBMS relazionale, perché a prescindere dall’interfaccia grafica, potrà sempre sottoporre gli script al prompt dei comandi. Infine si è anche accennato il fatto che i linguaggi di programmazione come java, C etc. permettono di interagire con le basi di dati specificando determinate istruzioni formulate in SQL standard. La classe IV B La classe è composta da 23 studenti, 13 femmine e 10 maschi. I banchi sono disposti in tre file allineate di fronte alla cattedra. La provenienza degli studenti non è solo Rende e Cosenza ma si estende anche ai paesi limitrofi della città di ubicazione della scuola. È una classe in cui è piacevole lavorare perché formata da studenti vivaci, sorridenti e molto aperti al dialogo. L’informatica non è la materia di spicco per tutti, ma sono presenti alcuni soggetti con propensioni alla disciplina molto accentuate. La mia esperienza di tirocinio con loro ha inizio 80


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quando durante le lezioni viene spiegata la gestione dei file in Visual Basic. Vista la mia trascorsa esperienza lavorativa da sviluppatore software, il docente tutor ed io abbiamo deciso di stuzzicare i ragazzi con java, illustrando loro prima il paradigma di programmazione ad oggetti e proseguendo con i fondamenti del linguaggio. Durante la lezione non è stato difficile stimolare la loro attenzione, gli studenti erano molto interessati all’argomento. La classe possedeva già le basi della programmazione strutturata e modulare e le conoscenze essenziali relative all’ingegneria del software e ai paradigmi di programmazione. Alcuni hanno avvertito semplicemente il fascino della novità, altri, soprattutto quelli con spiccate doti per la disciplina, hanno colto l’opportunità di ampliare l’orizzonte delle proprie conoscenze informatiche. La nostra speranza, mia e del mio collega tirocinante, per questi ultimi è di aver suscitato un interesse tale da promuovere uno studio autonomo e indipendente del linguaggio per trovarsi poi maggiormente preparati in eventuali futuri studi di carattere informatico. Lo scopo delle mie lezioni non è stato solo quello di munire i ragazzi di meri strumenti tecnici, ma di far emergere ciò che l’informatica veramente è: una disciplina che apre la mente al ragionamento, alla riflessione e alla creatività. Che l’informatica sia in continua evoluzione e che per stare al passo siano necessari passione e studio costante, perché incessantemente protagonista di piattaforme emergenti e nuove tecnologie, risultava già chiaro da un mio precedente intervento durante il quale ho descritto ai ragazzi la mia esperienza lavorativa in azienda. Spiegare uno dei linguaggi più recenti come java e il paradigma ad oggetti ad esso correlato penso che sia stata per i ragazzi la prova più lampante di quanto appena detto. Tuttavia durante la presentazione del linguaggio ho voluto sottolineare anche come non esiste il linguaggio migliore in assoluto: è risaputo infatti che ogni linguaggio porta intrinsecamente con sé punti di forza e punti deboli, contrariamente a quello che le “mode informatiche” vogliono farci pensare. Ogni problematica, ogni contesto e ogni situazione richiama la sua soluzione, il suo linguaggio di programmazione, la sua tecnologia. Sembra un discorso scontato, ma in realtà ho voluto contrastare una tendenza molto diffusa, e cioè “incollare” una strategia, una soluzione o un’idea a tutti problemi che si presentano loro davanti. L’invito che ho voluto porgere, in linea con lo stile di insegnamento del docente-tutor, è stato quello di educarsi alla riflessione. Penso che sia una delle competenze più importanti che lo studente debba maturare nel corso degli studi. Ho messo soprattutto in risalto che ogni problema è un mondo a parte, che può differire da uno già trattato anche solo per un dettaglio. Ma è quel dettaglio che spesso fa la differenza e che rende una soluzione precedentemente adottata inutile o non ottimale. Infine ho voluto far riflettere i ragazzi anche sulle soluzioni, che più o meno coscientemente trovano e applicano per fronteggiare una difficoltà, di qualsiasi natura. Le soluzioni di per sé hanno sempre un duplice aspetto: comportano vantaggi e svantaggi. Per questo lo sforzo consiste spesso nello scegliere il compromesso ottimale, ossia quella soluzione i cui 81


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vantaggi almeno superino gli svantaggi che inevitabilmente procura. Ho concluso la mia esperienza con questa classe con un paio di ore di esercitazione in laboratorio durante la quale è stato presentato agli studenti l’ambiente di sviluppo NetBeansIDE e sono stati implementati dei semplici programmi in java. La classe III B Sia La classe è composta da 20 alunni, 11 maschi e 9 femmine. La disposizione dei banchi e dei ragazzi all’interno dell’aula non è fissa. La preparazione nella disciplina è mediamente bassa, pochi elementi si distinguono per il livello di conoscenza medio della materia, mentre in un paio di ragazzi emerge uno spiccato interesse e propensioni naturali per l’informatica. In alcuni soggetti si evince l’interesse praticamente nullo per la materia dovuto alla mancata realizzazione delle loro aspettative circa i contenuti delle lezioni. Complice di questa “illusione” è anche la mancanza di un adeguato servizio di orientamento per gli studenti che pensano che l’informatica sia solo imparare ad usare il computer. La mia interazione con gli studenti si è svolta soprattutto nel corso delle lezioni in laboratorio, dove i ragazzi erano chiamati ad implementare in Visual Basic gli esercizi sui vettori svolti in classe, alla lavagna. Ho notato che l’apprendimento che insieme allo studente si comincia a costruire in aula, si consolida soprattutto in laboratorio. Questo contesto di per sé è fortemente sperimentale perché lo studente implementando un programma in un ambiente di sviluppo fa un’esperienza diretta con quei concetti che se rimanessero solo sulla lavagna assumerebbero nella mente una consistenza molto aerea e fumosa. È indispensabile quindi porsi nella zona prossimale di sviluppo del ragazzo sottoponendo esercizi opportunamente calibrati. Ho notato Infatti che se il programma “fila troppo liscio”, lo studente assume un atteggiamento passivo e quasi annoiato. Quando invece il programma comincia ad assumere comportamenti disattesi, lo studente interessato sente la sfida! Ed ecco il momento più delicato: guidare, far cadere l’indizio, suggerire dei debug manuali per far emergere l’anomalia: girare intorno alla soluzione, ma senza svelarla subito. Quello di cui ha bisogno un ragazzo oggi è di essere educato alla riflessione e il docente in questo ha un ruolo fondamentale. Paradossalmente quando lo studente sbaglia, soprattutto davanti al programma, impara meglio, perché la ricerca della soluzione lo coinvolge personalmente e lo fa uscire da un eventuale stato di passività. E quando tocca con mano, anzi con la sua mano, un problema e riesce a risolverlo in maniera consapevole è una grande vittoria per la didattica e, ancor di più, per il discente stesso. Una lezione molto alternativa: esperienze a confronto Penso che lo scambio di esperienze più prezioso per i ragazzi della classe V 82


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B Mercurio sia stato durante una tavola rotonda dal titolo: “Trent’anni d’informatica e Ict in Calabria. Speranze, delusioni e digital divide”, al quale siamo intervenuti tre tirocinanti, il nostro docente tutor e un pioniere dell’informatica in Calabria. Ognuno di noi ha raccontato ai ragazzi la propria esperienza lavorativa, in che contesto storico e geografico è maturato, con quali tecnologie si è misurato, le difficoltà incontrate e superate, ma anche quelle non superate, perché di una natura tale da non poter essere sormontate. Non sono mancati gli aspetti positivi del lavoro, di come si può trasformare e di come ci ha trasformato e realizzato. Poiché ognuno di noi ha apportato la propria esperienza lavorativa in Calabria nel periodo in cui l’ha vissuta, ed essendo le nostre età anagrafiche abbastanza distanti, il risultato è stato quello di offrire ai ragazzi una finestra storica dell’ict in Calabria, lunga trent’anni. Quello che sicuramente è emerso mettendo le esperienze a confronto è che il modo di lavorare oggi è profondamente cambiato ma che le situazioni possono anche mutare in meglio se si ha il coraggio di rischiare e la voglia di cambiare le cose, insieme, magari mettendosi in società. Ho apprezzato molto questa iniziativa e anche gli studenti ne sono stai veramente entusiasti: forse perché è stata una di quelle lezioni che non si trova stampata su alcun libro e che ha provato a preparare i ragazzi al mondo del lavoro, renderli partecipi del passato per dare loro la possibilità di cambiare il futuro. E tutto questo nella loro terra. Il progetto Meet No Neet con Mondodigitale e Microsoft Un’esperienza che mi ha coinvolto e interessato molto è stata quella relativa al progetto Meet No Neet nel quale sono impegnate, tra altre, le classi III B Sia e IV B Mercurio del “Cosentino”. Riporto di seguito alcuni stralci della relazione intitolata “La pedagogia della costruttività gioiosa e responsabile di Sos scuola con Meet no Neet” del prof. Tommaso Cariati, promotore dell’iniziativa nell’istituto. L’intero testo è disponibile all’indirizzo web http://www.sosscuola.it/neet/MeetNeet.doc. “Il progetto Meet no Neet è stato ideato dalla fondazione Mondodigitale di Roma e viene realizzato in collaborazione con Microsoft, coinvolgendo diciotto scuole con seimila studenti delle diverse regioni d’Italia. Il senso del progetto è tutto contenuto nel titolo. La sigla “Neet” significa “Not in Education, Employment or Training” ed indica i giovani che si trovano ai margini della società, mentre Meet è semplicemente il verbo “incontrare” in inglese. Perciò la locuzione “Meet no Neet” contiene un messaggio e una sfida. Il messaggio: “Attenzione perché tutti possiamo finire tra i Neet”. La sfida: “Per non finire tra i Neet bisogna incontrare gli altri, fare squadra liberando la creatività di ciascuno e cooperando in modo sinergico, al fine di realizzare un’opera che produca innovazione sociale e abbia valore economico”. L’iniziativa è particolarmente interessante innanzitutto perché invita ogni 83


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gruppo di studenti a concepire un’idea o un progetto, a partire da un problema concreto individuato nell’ambiente sociale dove gli studenti vivono, o da un’opportunità che essi vogliono offrire alla gente che vive in quell’ambiente; pianificare tutte le attività che dovranno essere svolte per realizzare il progetto, individuando punti di forza e punti di debolezza e definendo un bilancio di previsione, in cui mettere a confronto le spese che dovranno essere affrontate e le fonti di finanziamento che potranno sostenere il progetto” Non so come quanto appena descritto si possa imparare dai libri di scuola, per questo reputo questo progetto una valida opportunità che permette agli studenti di maturare e completare la propria formazione di uomini e cittadini. In una società in cui impera l’individualismo che porta gli uomini a ripiegarsi su sé stessi e ignorare l’esistenza degli altri, gli studenti sono “sfidati” a guardarsi intorno, percepire le esigenze del prossimo e a rispondere a queste esigenze! Una delle cose che il ragazzo dovrebbe maturare è che un problema della società è anche un suo problema e che per risolverlo non basta analizzarlo o giudicarlo, non basta aspettare che siano sempre gli altri a risolverlo ma che il cambiamento dipende anche da lui, da quanto è disposto a mettersi in gioco. In una società che impone cosa pensare, come vestirsi, che cosa leggere e che genere di programmi guardare; in cui la competizione e il primeggiare sembrano la cosa più importante, tanto da superare ogni altro valore umano, i ragazzi sono chiamati a esprimere la loro creatività, a collaborare, a confrontarsi, ad accettare anche le idee degli altri. Una volta lanciato il progetto sotto la supervisione del docente promotore, i ragazzi sono chiamati a portarlo a compimento in maniera autonoma e responsabile. Gli studenti quindi sono messi al centro dell’attività perché le decisioni sono prese da loro, congiuntamente con il docente-animatore. Devono utilizzare le proprie capacità organizzative per pianificare l’attività, imparare a fronteggiare gli imprevisti, e devono impegnarsi anche a capire la fattibilità del progetto stesso, a valutarne le risorse necessarie e pensare a come procurarsele. Inoltre lo studente per comunicare e cooperare con gli altri è spronato ad usare anche i mezzi digitali, che ormai sono imprescindibili in ogni ambiente di lavoro. Ecco cosa scrive al riguardo il prof. Tommaso Cariati: “È interessante, in secondo luogo, perché propone di utilizzare tutti i mezzi digitali disponibili per comunicare, cooperare e lavorare. A questo riguardo, la presenza della Microsoft, come partner dell’iniziativa, segnala la spinta a utilizzare tutti gli strumenti di comunicazione che rendono possibile ciò che fino ad alcuni anni fa non lo era, come per esempio seguire un corso di formazione via teleconferenza, quale quello offerto proprio da Microsoft alle scuole, o come lavorare in gruppo stando ognuno a casa propria. Infine è interessante perché la metodologia del progetto Meet no Neet mira a combinare efficacemente la dimensione fisica della realtà con la dimensione virtuale. Non è un caso che i progetti degli studenti, affinché possano essere valutati, discussi ed eventualmente imitati da persone che vivono in luoghi molto lontani le une dalle altre, 84


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verranno pubblicati su una piattaforma web che si chiama Phyrtual (www.phyrtual.org), dalla contrazione dei due termini “Physical” e “Virtual”.” La parte più interessante del progetto a cui ho partecipato, in cui emergono le dinamiche che ci sono all’interno della classe, è la seguente: “Il lavoro vero e proprio è stato preceduto da un’attività di gruppo preliminare e prolungata mirata a creare coesione e a suscitare motivazione e spirito di iniziativa. Le tecniche utilizzate sono state: la disposizione in cerchio e l’invito a parlare uno alla volta; l’alternanza tra momenti di brain-storming e giochi di interazione; l’individuazione, in ogni classe, di due capigruppo e di due responsabili della comunicazione e della documentazione multimediale; l’alternanza tra valutazione dei pro e dei contro delle idea prodotte e coinvolgimento dei partecipanti in canti e giochi di gruppo; la definizione di un motto e di un nome per il gruppo.” Ciò che mi piace molto di questa fase preliminare sono i modi di essere che il ragazzo inconsapevolmente matura partecipando attivamente all’attività di gruppo guidata come appena descritto. Innanzitutto ci si deve attenere a delle regole, parola che a volte sembra sparire dal dizionario della società odierna. Inoltre sprona il coraggio di esporre le proprie idee, frutto anche della sensibilità personale, ma invita anche al rispetto del prossimo, lasciandolo parlare senza giudicarlo e soprattutto lasciandolo concludere. Tutti hanno diritto di esporre il proprio parere, anche se controcorrente. Sviluppa anche la capacità di presentare la propria idea nel modo più convincente, per riscuotere maggiore consenso! Abitua alla convivenza democratica all’interno di una micro-società come la propria classe, poiché le scelte più importati vengono messe ai voti e quindi fa maturare anche all’umiltà quando la propria idea viene scartata. Abitua alla responsabilità e all’autonomia, perché il progetto più votato poi deve essere realizzato mediante l’impegno e la partecipazione attiva di tutti. Per quanto mi riguarda sono state anche delle bellissime occasioni durante le quali osservavo ammirata la loro intraprendenza, il loro entusiasmo e la loro creatività. Ma sono anche delle preziose opportunità per conoscere meglio lo studente, le sue capacità e propensioni extra-scolastiche, le sue sensibilità, e il modo di approcciarsi con l’intera classe. I progetti in cantiere sono: “Festa di paese al Cosentino”, della III che ha il motto “Un passo alla volta diamo la svolta”, con lo scopo di organizzare una serie di feste in costume al Cosentino con giochi vari, come tiro alla fune, corsa nei sacchi, gara con le pignatte. “Spettacolare per il sociale” è il progetto della IV che ha il motto “Non arrendiamoci, attiviamoci”, con l’obiettivo di trasformare la classe in una compagnia teatrale che realizzi uno spettacolo su temi di contenuto sociale, come la disoccupazione giovanile e gli incidenti sul lavoro, da portare in tour in diversi teatri del territorio. Per concludere riporto un ulteriore stralcio dell’articolo che rileva i punti di forza del progetto, che condivido pienamente: “Meet no Neet è un progetto capace di promuovere veramente alcune delle 85


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competenze che i cittadini, secondo studiosi, autorità e legislatori a livello europeo, dovrebbero possedere in questi primi decenni del Terzo millennio, per essere protagonisti attivi e proattivi nella società, e per non diventare Neet. Tra queste ci sono: sapere imparare in modo continuo con gli altri, sapere cooperare usando altre lingue oltre alla lingua madre, sapere affrontare situazioni nuove e impreviste mettendo in atto processi di problem solving cooperativo, sapere usare in modo libero e creativo i vari mezzi informatici e di comunicazione disponibili, saper collaborare con gli altri in modo costruttivo gestendo efficacemente i conflitti. Il mondo soffre e geme come nelle doglie di un parto, scriveva san Paolo nel I sec. dell’Era cristiana. Questo è vero in qualsiasi Era, anche in quella digitale o post umana, ma ogni generazione dispone delle risorse e delle energie che le permettono, se essa sa scoprirle, valorizzarle e impiegarle efficacemente, di costruire un mondo che sia precisamente all’altezza dell’umano.”

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Informatica e Sistemi Informativi Avanzati al Cosentino. Una nuova visione per l’Istituto (abstract del progetto ideato da Tommaso Cariati nel mese di maggio 2012 per l’anno scolastico 2012/2013 e rimasto nel cassetto, ma ancora attuale)

Il progetto mira alla piena attuazione della “riforma Gelmini”, la quale nei prossimi anni vede il Cosentino di Rende impegnato a realizzare il profilo professionale previsto dall’articolazione Sistemi Informativi Aziendali dell’indirizzo Amministrazione Finanza e Marketing. Esso si baserà sull’impiego di un docente di informatica avente comprovata esperienza didattica, scientifica e professionale, arricchita da una pluriennale collaborazione con l’università, per 6-8 ore settimanali, e di un ITP, dotato di particolare esperienza nell’implementazione di sistemi web, per 3-4 ore settimanali, e sfrutterà le tecniche di problem solving e project management e la didattica laboratoriale come leve di motivazione e di partecipazione attiva e proattiva degli studenti. Il progetto, in pratica, anche coinvolgendo alcune personalità del mondo accademico e delle imprese, mira a mettere a punto e offrire un corso integrativo di Sistemi Informativi Avanzati, basati su applicazioni di Web Marketing, Distance Work, E-commerce, Home Banking, E-Government, Business Intelligence, Decision Support Systems, attraverso i quali le aziende moderne competono con successo nella New Economy globalizzata e nella Information Society (l’urgenza di intraprendere questo percorso appare tanto più evidente se si pensa che dal mese di settembre 2014 l’istituto dovrà essere in grado di fornire l’insegnamento di materie come informatica in inglese). Il percorso progettato sarà contemporaneamente di ricerca, didattico ed editoriale. Infatti, accanto alla messa a punto e all’erogazione del corso attraverso progetti didattici di gruppo e tecniche di cooperative work, si realizzerà un’intensa attività di condivisione e di disseminazione dei risultati dell’esperienza e dei progetti degli studenti, attraverso Internet e attraverso seminari rivolti al collegio dei docenti e agli studenti delle classi che non hanno partecipato attivamente al percorso; infine, il materiale didattico relativo al corso realizzato si rielaborerà in un e-book che verrà pubblicato in Internet e messo a disposizione di tutta la comunità scolastica.

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Sos scuola: finalità e metodo di lavoro

SOS scuola è un gruppo permanente formato da circa venti persone, tra docenti, studenti, genitori e persone esterne vivamente interessate ai temi della cultura, della formazione e dell’educazione. Il gruppo persegue tre finalità principali: promuovere relazioni autentiche tra i suoi componenti e all’esterno, sviluppare e trasmettere saperi validi, suscitare e rafforzare il senso di responsabilità. Le attività che il gruppo promuove e vive sono di due tipi: la riunione mensile, durante la quale si ascolta una relazione, si visiona un film, si parla di un libro e poi si interviene, ed esperienze “conviviali”, come gite in luoghi di interesse culturale, spirituale o naturalistico.

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