Bollettino n. 2

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SOS scuola Bollettino n. 2

Anno Scolastico 2006/2007 ITC “Vincenzo Cosentino”



Indice

Chi siamo

p. 1

Programmazione delle attività del secondo anno di SOS scuola

3

Gioventù bruciata

9

La Calabria secondo Duret de Tavel

16

Billy Elliot

26

La Calabria secondo Pino Stancari S.J.

32

La terra più severa e scabra che sia in Italia sorride

49

Un ragazzo di Calabria

77

Avanti SOS con coraggio, decisione e libertà

83

Appendice

93



Chi siamo Finalità e attività di SOS scuola

SOS scuola è un gruppo permanente formato da circa venti persone, tra docenti, studenti, genitori e persone esterne vivamente interessate ai temi della cultura, della formazione e dell‟educazione. Il gruppo persegue tre finalità principali: promuovere relazioni autentiche tra i componenti del gruppo e all'esterno, sviluppare e trasmettere saperi validi, suscitare e rafforzare il senso di responsabilità. Le attività che il gruppo promuove e vive sono di due tipi: la riunione mensile, durante la quale si ascolta una relazione e poi si interviene, ed esperienze "conviviali", come gite in luoghi di interesse culturale, spirituale o naturalistico. SOS è un gruppo che opera nella scuola, nell'ITC "V. Cosentino", ma non è né un organo né un progetto della scuola come istituzione. Il gruppo SOS scuola è nato dall‟esigenza di combattere l‟individualismo e il relativismo etico imperanti nella società attuale, attraverso la promozione di relazioni autentiche e responsabili tra le persone, la riflessione individuale e comunitaria su temi importanti come l‟impegno, la cittadinanza attiva o la speranza in Calabria e il confronto intergenerazionale. Per mezzo dei processi educativi e autoeducativi che il gruppo promuove si spera di attenuare il senso di smarrimento e di disorientamento che caratterizza la contemporaneità e di sviluppare nelle persone il senso di fiducia nel prossimo, la speranza nel futuro e la gioia di cooperare per un mondo migliore, sentimenti centrali nella formazione dei giovani. 1. Tommaso Cariati 2. Cosimo Mercuri 3. Alfio Moccia 4. Chiara Marra 5. Carla Careri 6. Mario Vetrò 7. Franca Nicoletti 8. Alessandra Speranza 9. Luigi Falco 10. Maria Luisa Savelli 11. Costantina Ripoli 12. Giuliano Albrizio


13. Giuseppina Barrese 14. Rosina Filippelli 15. Maria Panza 16. Emilia Florio 17. Luca Imbrogno 18. Eleonora Marino


Programmazione delle attività del secondo anno di SOS scuola (Appunti di Tommaso Cariati relativi alla riunione del 9 ottobre 2006) Cari amici, sono felice di ritrovarvi. Siamo qui per impostare l‟attività del secondo anno del gruppo. Il primo anno è stato un grande successo. Un anno fa non c‟era nulla, solo una vaga idea e un grande desiderio. Oggi dobbiamo essere felici di quanto abbiamo fatto l‟anno scorso. Ci siamo riuniti e ci siamo confrontati con grande pacatezza su molti temi importanti. Abbiamo progettato e costruito un sito che è un grande strumento di comunicazione e motivazione, oltre che motivo di orgoglio per tutti. Abbiamo partecipato alla ricerca di Famiglia Aperta sul tema dell‟idolatria nella società attuale. Abbiamo vissuto insieme tre attività esterne: a monte Cocuzzo, a monte Luta e alla Fossiata. Ricordiamo che SOS scuola è un gruppo permanente formato da circa venti persone, tra docenti, studenti e genitori o altre persone esterne vivamente interessate ai temi della cultura, della formazione e dell‟educazione. Il gruppo persegue tre finalità principali: promuovere relazioni autentiche, tra i componenti del gruppo e all‟esterno, sviluppare e trasmettere saperi validi, suscitare e rafforzare il senso di responsabilità. Le attività che il gruppo promuove e vive sono di due tipi: la riunione mensile, durante la quale si ascolta una relazione e poi si interviene, ed esperienze “conviviali”, come gite in luoghi di interesse culturale, spirituale o naturalistico. SOS è un gruppo che opera nella scuola, nell‟ITC “V. Cosentino”, ma non è né un organo né un progetto della scuola come istituzione. Tuttavia, il gruppo ha ricevuto l‟approvazione del dirigente Nardi, al quale è stato chiesto il permesso di utilizzare i locali della scuola. Inoltre, il collegio dei docenti è informato continuamente delle attività che il gruppo organizza e vive. D‟altronde, se l‟anno scorso le attività venivano organizzate in collegamento con la funzione strumentale n. 3, “Iniziative e servizi per gli studenti”, quest‟anno il gruppo opererà in sintonia, oltre con la funzione n. 3, anche con la funzione n. 2, “Sostegno al lavoro dei docenti”. Il gruppo, inoltre, cercherà delle sinergie con i progetti della scuola “Cittadinanza” e “Lettura” e con la Fondazione Rubbettino, ente calabrese senza fini di lucro che si occupa della promozione della cultura e della diffusione del libro.


Il gruppo SOS scuola è nato dall‟esigenza di combattere l‟individualismo e il relativismo etico imperanti nella società attuale, attraverso la promozione di relazioni autentiche e responsabili tra le persone, la riflessione individuale e comunitaria su temi importanti come l‟impegno, la cittadinanza attiva o la speranza in Calabria e il confronto intergenerazionale. Per mezzo dei processi educativi e auto-educativi che il gruppo promuove si spera di attenuare il senso di smarrimento e di disorientamento che caratterizza la contemporaneità e di sviluppare nelle persone il senso di fiducia nel prossimo, la speranza nel futuro e la gioia di cooperare per un mondo migliore, sentimenti centrali nella formazione dei giovani. Dopo questa premessa passiamo a definire le attività per il nuovo anno. Naturalmente nel programmare le attività del secondo anno di vita del gruppo dobbiamo tenere ben presenti i dati emersi nella riunione di “bilancio” dell‟anno scorso. Ricordo che da quella riunione erano emersi i seguenti suggerimenti: dare alle attività del gruppo maggiore risalto, sperando di ottenere più ampie “ricadute”, utilizzare più ampiamente i sistemi audiovisivi e multimediali, darsi un tema generale che sia il “filo conduttore” delle diverse attività dell‟anno. Ebbene, per quest‟anno propongo di lavorare sul tema del recupero dell‟identità calabrese e mediterranea, perché se dobbiamo lavorare per costruire l‟identità europea, come l‟Unione Europea e i governi nazionali, giustamente, ci chiedono di fare, non possiamo prescindere dalla nostra realtà di calabresi. Anzi, a mio avviso, se non recuperiamo e rafforziamo la nostra identità regionale e mediterranea potrebbe risultare vano lo sforzo rivolto a costruire qualsiasi altra identità e resteremmo smarriti nell‟“oceano della globalizzazione”, come bambini abbandonati. Perciò quest‟anno propongo di lavorare sul tema dell‟identità, come premessa necessaria per poter affrontare i temi della cittadinanza attiva, in prospettiva nazionale ed europea, sui quali potremmo lavorare i prossimi anni. In particolare propongo di leggere i seguenti quattro libri: 1. Storia della gente in Calabria, di Domenico Minuto, Qualecultura/Jaca Book; 2. Lettere dalla Calabria, di Duret de Tavel, Rubbettino; 3. La Calabria, di Corrado Alvaro, Iiriti; 4. La Calabria, tra il sottoterra e il cielo, di Pino Stancari, Rubbettino.


Abbiamo proposto questi libri anche al dipartimento di storia dell‟istituto, il quale ha accettato di farli leggere ad alcune classi, perciò il lavoro e il confronto che ne scaturiranno saranno estesi ben oltre i confini del gruppo. Inoltre, quando si tratterà di discutere sui libri di Minuto e Stancari potremo cercare di avere gli autori tra noi. I quattro libri però non bastano. Propongo di “adottare” anche quattro film, scegliendo dal seguente insieme a cui abbiamo pensato con alcuni di voi: I cento passi, Un ragazzo di Calabria, L’attimo fuggente, Nuovo cinema Paradiso, Billy Elliot, Monsieur Ibrahim, La forza del singolo, Gioventù bruciata. Le riunioni mensili, allora, potrebbero prendere spunto una volta dalla lettura di un libro e la volta successiva dalla visione di un film. Propongo, inoltre le seguenti attività “esterne”: una visita a Rossano, la più importante città “bizantina” della nostra provincia, una visita guidata da Alfio Moccia in un importante centro “albanese” di Calabria, il pellegrinaggio notturno a Paola con padre P. Stancari, dato che ricorre il quinto centenario della morte di san Francesco. Accanto a queste attività per la programmazione “ordinaria” propongo di aderire al progetto di educazione alla lettura che la Fondazione Rubbettino porta avanti da anni con il professore Jedlowski dell‟Università della Calabria, sul “filo conduttore” “impariamo ad essere”, tema che si intreccia perfettamente con il nostro tema di quest‟anno. Si tratta di leggere tre libri, romanzi brevi o racconti, che sono stati già scelti, e di discuterne, separatamente, prima tra insegnanti e poi tra studenti, in tre incontri per ciascuna delle due categorie di lettori. Infine vi informo che abbiamo preparato un progettino per il dirigente scolastico che mira ad arricchire la biblioteca della scuola di opere sulla storia della Calabria di cui riporto il testo. “Da alcuni anni questa scuola è molto impegnata, con il POF, con progetti mirati e con iniziative esterne, nell‟opera delicata e irrinunciabile di promozione della cittadinanza attiva e responsabile nei nostri giovani. Tale opera richiede una grande mobilitazione di risorse materiali, intellettuali ed emotive perché nella società dell‟individualismo di massa, quella attuale, che veicola i valori del qualunquismo e del disimpegno, c‟è bisogno di un‟idea antropologica forte dell‟uomo, del recupero e della custodia dell‟identità storicamente data e della costruzione di un‟identità multipla, che spazi dal livello regionale al livello nazionale, ma anche al livello europeo e planetario.


Quest‟anno, nell‟ambito del più ampio progetto di educazione alla cittadinanza attiva, il dipartimento di storia, d‟intesa con il gruppo SOS scuola e le funzioni strumentali 2 e 3 e con la collaborazione della Fondazione Rubbettino, ha avviato il progetto di recupero dell‟identità calabrese e mediterranea come premessa per la costruzione di una cittadinanza attiva e responsabile in prospettiva nazionale, ed europea. Il progetto prevede la lettura, la meditazione e la discussione, se possibile alla presenza dell‟autore, di quattro libri di “storia della Calabria”, con la consapevolezza che un confronto intergenerazionale sereno e democratico sulle idee che un buon libro suscita è sicuro strumento di costruzione del sé in rapporto agli altri e, dunque, di promozione umana. I quattro libri sono: 1. Storia della gente in Calabria, di Domenico Minuto, Qualecultura/Jacabook, € 15,00; 2. La Calabria, tra il sottoterra e il cielo, di Padre Pino Stancari S.J., Rubbettino, € 6,20; 3. La Calabria, libro sussidiario di Corrado Alvaro, Iiriti, € 16,00; 4. Lettere dalla Calabria, di Duret de Tavel, Rubbettino, € 6,20. Per attuare il progetto “Recuperiamo la nostra identità”, la scuola ha bisogno di dotare la propria biblioteca di nuovi libri, le quattro opere menzionate e la Storia della Calabria in otto volumi a cura di Augusto Placanica, edita da Gangemi. Considerato che l‟opera di Placanica costa 780,00 euro e considerato che per il progetto servono mediamente venti copie di ciascuno dei quattro libri menzionati la somma necessaria è (15+6,20+6,20+16)x20 + 780=43,4x20 + 780= 868+780=1.648,00 (milleseicentoquarantotto) euro”. Fatte le comunicazioni e le proposte, segue il dibattito. Viene accolta la proposta relativa al tema dell‟identità. Viene accolta la proposta relativa ai quattro libri di “storia della Calabria”. Viene discussa la proposta relativa ai film e vengono scelti Gioventù bruciata, Billy Elliot, Nuovo cinema Paradiso, Un ragazzo di Calabria. Si decide che a novembre si vedrà e si discuterà il film Gioventù bruciata. Inoltre, Tommaso, Alessandra e Maria Luisa aderiscono al progetto di educazione alla lettura della Fondazione Rubbettino.


Gioventù bruciata (Appunti dal dibattito seguito alla visione del film nella riunione di SOS scuola del 10 novembre 2006 a cura di Chiara Marra)

Gioventù bruciata è un film di Nicholas Ray con James Dean e Natalie Wood girato in America negli anni Cinquanta del secolo scorso. Il film si apre con una scena in un posto di polizia dove incontriamo una ragazza scappata di casa per conflitti con il padre, un giovane che ha sparato con una rivoltella ad alcuni cuccioli e un altro giovane, Jim, il protagonista del film, ubriaco perché “il padre non ha carattere”, la madre è apprensiva, la nonna è invadente.

Qui incontriamo anche un commissario di polizia un po‟ psicologo e un po‟ assistente sociale, comprensivo, pronto al dialogo, prodigo di consigli, ma all‟occorrenza energico. All‟inizio il film risulta lento e noioso per i gusti di oggi. Poi la vicenda si sviluppa in una scuola dove i tre giovani che abbiamo già incontrato si ritrovano e dove facciamo la conoscenza di un gruppo di altri giovani che vivono una dimensione di “branco”. Qui la storia si vivacizza. Buzz, il boss del gruppo, sfida Jim al “gioco dei coltelli”.


Buzz perde la sfida e rilancia con “la corsa dei conigli”. La corsa dei conigli finisce tragicamente con Buzz che, intrappolato per una fatalità nella macchina rubata, precipita sugli scogli dall‟alto di un dirupo. Intanto è nato un rapporto molto stretto tra Jim e Plato. Per Plato Jim è un eroe e lo identifica come il proprio padre, che gli manca. Alla fine, dopo varie vicissitudini, Plato muore ucciso dalla polizia mentre Jim, il quale ha compreso perfettamente quali sono i problemi psicologici dell‟amico, cerca di convincere la polizia a non sparare perché Plato è inoffensivo (tra l‟altro Jim aveva levato il caricatore dalla pistola). Sulla custodia del DVD leggiamo: “In uno di ruoli più autorevoli della storia del cinema, James Dean interpreta Jim Stark, l‟ultimo arrivato in città, un ragazzo la cui solitudine, frustrazione e rabbia, riflettono gli stati d‟animo dei teen-ager del dopoguerra e che troveranno riscontro anche più di quaranta anni dopo. Natalie Wood (nei panni della ragazza di Jim) e Sal Mineo (al suo debutto sullo schermo nel ruolo del fin troppo fedele amico Plato) furono candidati all‟oscar per le loro struggenti interpretazioni. Anche il regista Nicholas Ray ottenne una nomination all‟oscar per questo film considerato una pietra miliare e selezionato dall‟American Film Institute tra i migliori cento film americani.” Da parte nostra, diciamo subito che non è stata impresa facile trovare il film. Pare che i vari gestori di servizi di noleggio film non lo trattino più perché non richiesto. Anzi qualcuno di loro recentemente ha venduto la copia che possedeva a qualche appassionato. La proposta di vedere questo film era stata fatta da una professoressa ma sono stati i ragazzi del gruppo SOS ad incuriosirsi e a volerlo vedere, forse per via di quel titolo divenuto celeberrimo ed entrato nel linguaggio quotidiano. Alla proiezione hanno assistito una dozzina di persone, tra cui due giovani studenti. La visione è stata interessante per tutti i partecipanti perché la storia è ricca di spunti di riflessione su tematiche attualissime ancora oggi. Dopo la visione si svolge il dibattito. Queste le riflessioni che sono emerse. Certamente il film è datato. Rappresenta la società americana degli anni ‟50. Sia il linguaggio che le scene sono estremamente puliti. Gli adulti appaiono ipocriti rispetto ai giovani. Il film è attuale riguardo ai temi trattati. Non c‟è mai tutto il negativo da una parte e il bene da un‟altra. Alla fine Jim ha ritrovato il


padre, che finalmente non ha più paura della moglie. Questo aspetto mi pare si colga particolarmente nell‟ultima scena in cui il padre si toglie la giacca per coprire le spalle del figlio infreddolito, avendo egli dato il proprio giubbino all‟amico Plato. Il film è bello, ma è stato esposto male, non si possono verificare tutti questi avvenimenti in una sola giornata. Jim cerca la giustizia, e questo mi ha colpito. Mi ha colpito il fatto che cerca la giustizia con tutte le sue forze contro ogni ipocrisia degli adulti e alla fine ha ragione; anche se ha dovuto andare controcorrente, anche se l‟ambiente non era favorevole alla sua idea di autenticità, egli persevera e “vince”. Da un certo punto di vista il film sembra poco realistico perché tutto si realizza in un solo giorno. Ma potrebbe essere stata una scelta deliberata del regista, una “tecnica narrativa”. Per quanto riguarda i contenuti, c‟è ipocrisia da parte dei genitori. Il film rispecchia anche la gioventù di oggi. La mia prima reazione nel vedere il film è stata negativa. I problemi sono sempre presenti nella società. I dialoghi mi sono sembrati infantili, scontati, prevedibili. Il dramma della morte non viene approfondito. Mi ha colpito il fatto che a fuggire dai problemi spostandosi di città in città siano gli adulti più che i ragazzi. Trovo strano che così tanti avvenimenti accadano in un giorno solo, ma forse questo vuol dire che i rapporti veri possono nascere e rafforzarsi anche in breve tempo.

La morte di Buzz sembra che non colpisca profondamente quasi nessuno, se non Jim che si pone però, soprattutto, un problema di giustizia e di onestà nel decidere di andare alla polizia a raccontare quanto è accaduto.


Due cose mi hanno colpito. La prima: il botta e risposta tra Buzz e Jim sull‟orlo del precipizio prima della corsa dei conigli: «perché facciamo questo?», chiede Jim, «per vincere la monotonia», risponde pronto Buzz. La seconda: il tema del rapporto padre/figlio che emerge chiaramente sia nella vicenda familiare di Jim sia in quella di Plato e, forse, anche in quella degli altri giovani. Il dialogo tra Jim e Buzz è la spia di una condizione di benessere e di noia nella vita dei giovani che ritroviamo anche ai giorni nostri. Naturalmente per ammazzare la noia non basta né giocare a carte, né fare una passeggiata in campagna, ma servono attività emozionanti e pericolose. D‟altronde la domenica mattina apriamo i giornali e leggiamo dei morti del sabato notte, ma non sappiamo se la causa degli incidenti mortali è la stanchezza, la distrazione, l‟alcol o aver gareggiato pericolosamente. Il mancato incontro tra padre e figlio poi è una questione molto seria. Dovrebbe essere noto a tutti che si diventa adulti camminando nel solco tracciato da chi ci ha preceduto; e chi ci ha preceduto da molto vicino se non il proprio padre? Nella vita di un uomo affiorano continuamente segnali che rivelano in che modo egli ha vissuto il rapporto con suo padre. Bene, si è detto che in questo film sono messi in scena giovani che sprecano la vita, ma è stato detto anche che sono gli adulti a sprecare la vita o ad essere sciocchi. A me sembra che al centro della vicenda c‟è la crisi dei rapporti tra giovani e adulti, particolarmente c‟è la crisi della famiglia, che in America si manifestava già negli anni ‟50 e che in Europa stiamo vivendo cinquant‟anni dopo, i cui effetti disastrosi iniziano ora a dispiegarsi pienamente.


La Calabria secondo Duret de Tavel (Appunti di Giuseppina Barrese e Maria Luisa Savelli per l‟incontro di SOS scuola del 18 dicembre 2006 intorno al libro Lettere dalla Calabria di Duret De Tavel, Rubbettino) Contesto storico (Maria Luisa Savelli) Napoleone Bonaparte fu incoronato imperatore durante una solenne cerimonia, che si svolse il 2 dicembre 1804 nella cattedrale di Notre Dame alla presenza del papa Pio VII. La proclamazione dell‟impero non portò mutamenti di rilievo nell‟organizzazione dello Stato, in quanto i poteri personali di Napoleone erano già molto estesi durante il consolato, ma dette il via a quattro anni di successi militari, dal 1805 al 1809, che ebbero conseguenze vistose nella geografia politica dell‟Europa. L‟egemonia o il dominio diretto della Francia si arrestarono soltanto ai confini della Russia. Direttamente o indirettamente tutta l‟Italia, escluse le isole, fu posta sotto il dominio francese. Nel 1806 i Borboni di Napoli furono espulsi dal loro regno, la cui corona fu data a un fratello dell‟imperatore, Giuseppe. Anche questa volta i sovrani si rifugiarono in Sicilia, sotto la protezione inglese, e da qui tentarono inutilmente di suscitare un‟insurrezione popolare antifrancese come quella del 1799. È necessario, a mio avviso, ricordare che allora il ritorno a Napoli dei sovrani ebbe un carattere più drammatico che negli altri stati italiani, infatti la gloriosa Repubblica Partenopea non fu abbattuta dall‟esercito della seconda coalizione ma dall‟insurrezione popolare organizzata e diretta dal cardinale calabrese Fabrizio Ruffo, il quale, sbarcato clandestinamente in Calabria dalla Sicilia, rivolse un appello alle popolazioni invitandole ad insorgere in nome del re e della fede cattolica. Le masse contadine si raccolsero in grosse bande, guidate da capi locali, tra cui ricordiamo Michele Pezza, meglio conosciuto come fra‟ Diavolo, e confluirono nell‟esercito della Santa Fede comandato dallo stesso cardinale Ruffo, che entrò vittorioso a Napoli il 20 giugno 1799. Ferdinando IV, quindi, aveva riconquistato il trono anche in virtù delle bande sanfediste calabresi. Per quali motivi nel 1806 le masse contadine calabresi non hanno risposto al suo nuovo appello? È opportuno ricordare che questa volta Ferdinando e la corte furono costretti a rimanere a Palermo, sotto la protezione armata degli inglesi, fino al 1815, anno della caduta di Napoleone.


Giuseppe Bonaparte fu re di Napoli dal 1806 al 1808, quando fu chiamato dal fratello ad occupare il ben più importante trono di Spagna. L‟imperatore assegnò il regno di Napoli a Gioacchino Murat, valoroso generale e marito di sua sorella Carolina, che rimase al potere fino al ritorno dei Borboni. Le Lettere dalla Calabria vengono collocate dall‟autore Duret de Tavel tra il 1807 e il 1810, periodo veramente difficile e complesso per la nostra Calabria, per l‟Italia e per l‟Europa. Il libro (Giuseppina Barrese) Nella prima lettera del 20 novembre 1807, l‟autore fa riferimento a quelle precedenti indirizzate al padre dall‟Italia, delle quali non abbiamo notizie. Leggendo l‟opera, ci viene il sospetto che la forma epistolare sia stata scelta dal De Tavel, né letterato né artista, perché consapevole dei suoi limiti di narratore, per poter descrivere, in una specie di diario di guerra a lui più congeniale, una realtà indecifrabile, affascinante e suscitatrice di emozioni sconvolgenti. Nella I lettera la descrizione di Napoli, infatti, è volutamente ed esageratamente positiva: “grande e bella città… la più deliziosa che abbia mai visitato… temperatura meravigliosa… rumorosa come nessun quartiere di Parigi…”. Ma un ordine fatale lo strappa da questa incantevole città per catapultarlo nella parte più remota del regno: la Calabria, una regione “sulla quale si fanno racconti spaventosi. Il nostro compito si limiterà a dare la caccia a bande di briganti, attraverso le montagne e le foreste e a vegetare in squallidi villaggi abitati da una razza di uomini descritti come dei selvaggi incredibilmente perfidi e crudeli.” Per verificare simili calunnie cerca qualche descrizione della Calabria ma a Napoli non riesce a trovarne alcuna! È possibile? “Sembra che i banditi e le difficoltà delle comunicazioni abbiano impedito ai viaggiatori di penetrarvi”. Non è assolutamente vero, tuttavia questa convinzione trasforma il militare francese in un esploratore curioso di una realtà, che dovrà conoscere in prima persona per poterla poi descrivere al padre-lettore. Appena arrivato in Calabria incomincia la guerra con la natura: “tutti gli elementi si scatenano e sembrano volerne impedire l‟accesso”, e con i calabresi: “un agguato, commilitoni uccisi, villaggi squallidi, l‟ostilità degli abitanti.” Il sospetto di avere a che fare con un popolo di briganti e di assassini comincia a diventare quasi una certezza. Anche la descrizione delle località calabresi appare esagerata: “Rogliano, a cinque leghe da Cosenza, è costruita su un‟altura che domina una valle molto profonda


e nella quale le acque delle montagne circostanti si gettano con un fragore assordante. In questo abisso si scende per uno stretto sentiero fiancheggiato da precipizi… Fa molto freddo… Nei bracieri si fa bruciare della sansa che emana un odore sgradevole e soffocante.” Il suo giudizio diventa positivo in questo caso: “Io sono alloggiato in una delle migliori case del paese; il padrone è un uomo eccezionale che salvò la vita a un ufficiale francese ferito nella battaglia di Sant‟Eufemia… gli curò le ferite e lo tenne nascosto fino al ritorno delle nostre truppe. Questo comportamento ispira fiducia.” Continuiamo a nutrire seri dubbi sulla sua oggettività di giudizio! Tuttavia è comprensibile un simile atteggiamento da parte di un militare nemico, che ha trascorso tre anni in un paese per molti aspetti estraneo alla sua mentalità e soprattutto violentemente ostile, ecco perché continuamente dubita, diffida, ha paura, si difende e nello stesso tempo osserva, si interroga, registra, annota. A un certo punto riesce a comprendere la reale situazione e a confessare: “I francesi sono felici di avere a che fare in questo paese solo con volgari briganti, perché, se l‟insurrezione fosse organizzata gli abitanti, favoriti dai grandi vantaggi che offrono loro le asperità del terreno, potrebbero annientarci completamente”. Viene fuori un ritratto dei calabresi nemici di se stessi, un popolo impossibile da sottomettere, una terra paradisiaca abitata da diavoli; in conclusione una Calabria in cui ci sono di troppo gli abitanti e non soltanto i briganti, i delinquenti e gli assassini ma anche le stesse vittime. Nella VII lettera ci descrive sommariamente le atrocità commesse da un brigante, Giuseppe Rotella, detto il Boia e si sofferma soprattutto sulla vendetta che alcuni cittadini di Cosenza avevano suggerito al posto dell‟impiccagione: “volevano che si operassero su questo miserabile le stesse raffinate barbarie che aveva riservato alle sue vittime. Si voleva cioè tagliargli il naso, le orecchie, le labbra e infine martoriarlo fino all‟arrivo del caldo per poterlo esporre al sole nudo e cosparso di miele in modo da fargli espiare nei tormenti la sua criminale esistenza. Un gran numero di giovani della città ha avuto il coraggio di offrirsi per eseguire queste atrocità.” Accusa, inoltre, i calabresi di terribili macchinazioni, che i militari francesi erano riusciti spesso a smontare, come quella ordita dalla guardia civica di un comune vicino a Cosenza, che fece accusare il fornaio di aver avvelenato con arsenico il pane destinato all‟esercito francese. In seguito si riuscì a dimostrarne l‟innocenza e a scoprire che l‟accusatore era un uomo perverso, che “aveva ordito questa macchinazione per sbarazzarsi del fornaio al quale voleva corrompere la figlia.”


Conclude dicendo: “Si direbbe che la Calabria, il cui suolo si agita spesso, riposi sul fuoco dell‟inferno e che ogni scossa di terremoto vomiti sulla sua superficie una legione di demoni.” Infine, dopo aver ricevuto la notizia del suo ritorno a Napoli, dopo tre lunghissimi anni, ammette che le sue lettere hanno fatto conoscere solo parzialmente questa interessante parte d‟Italia: “Il paesaggista vi troverà dei luoghi di una bellezza sorprendente; l‟antiquario delle rovine che non sono state ancora studiate; il botanico delle piante e dei fiori poco comuni in Europa; infine, il filosofo, colpito dalla grandezza e dalla prosperità delle antiche colonie greche, potrà dare libero corso alle sue meditazioni vedendo campi abbandonati, villaggi in rovina e degli uomini avviliti dalla miseria e dall‟ignoranza. Ma il viaggiatore che cerca solo piacere e distrazioni deve fermarsi nella deliziosa capitale di questo regno; là, alla bellezza e al clima, si aggiungono i godimenti e l‟istruzione che può offrire la civiltà europea. Finisce così, dopo tre lunghissimi anni, il 19 ottobre del 1810, il lungo viaggio di Duret de Tavel fra i dannati dell‟inferno calabrese. Il racconto di un viaggio nasce sempre dall‟esperienza e non può fare a meno dell‟utopia, eccola: “… le truppe saranno impiegate solo per costringere gli abitanti a distruggere essi stessi i briganti sotto pena di essere trattati come fautori del brigantaggio.” Spunti di riflessione (Maria Luisa Savelli) L‟autore sceglie volutamente la forma epistolare per “agevolare” il suo arduo compito, ovvero tentare di raccontare la realtà di una terra allora molto poco conosciuta “la Calabria”. Questa zona definita dal De Tavel “... la più remota parte del Regno…” viene vista da quest‟ultimo con diffidenza e pregiudizio. Ma i sospetti dell‟autore si concretizzano nel momento in cui l‟ufficiale si addentra nel territorio calabrese: infatti non appena oltrepassato il villaggio di Lauria ha il suo primo incontro con i briganti. Questo sarà solo il primo di una lunga serie di barbarie, atrocità e misfatti. Nelle prima lettere la prospettiva che si intravede non lascia presagire al nostro protagonista niente di positivo. Incontra un ambiente ostile ed addirittura peggiore di quello che la sua mente era riuscita ad elaborare alla luce (o per meglio dire “all‟ombra”) delle leggende narrate su queste terre. Successivamente, nel corso del soggiorno a Nicastro e in seguito allo spostamento a Monteleone (l‟attuale Vibo Valentia) il suo giudizio sembra ammorbidirsi cominciando ad intravedere elementi gradevoli: “… Lungo i pendii della costa passammo nelle vicinanze del grazioso


villaggio di Platania i cui abitanti ci vennero incontro con aria affabile e ci incantarono con le loro maniere e con i loro vestiti eleganti. Era la prima volta che gli abitanti di questo luogo anziché fuggire ci offrivano una dimostrazione d‟amicizia…”. Ma l‟episodio appena riportato è da ritenersi un caso isolato. Infatti, come già premesso, la concezione complessiva del De Tavel riguardo alla Calabria è prettamente negativa. È da sottolineare comunque l‟ammissione finale del nostro autore e cioè che le lettere da lui scritte hanno fatto conoscere solo parzialmente questa zona dimenticata dell‟Italia. De Tavel, nell‟opera, esalta, giustamente, la superiorità francese non solo in relazione alla Calabria (che è ben poca cosa) ma relativamente al mondo intero. Nello specifico, riferendosi ai calabresi mette in evidenza l‟ignoranza di questo popolo che condizionerà il suo futuro nella storia. “… In realtà i francesi sono felici di avere a che fare in questo paese solo con volgari briganti, perché se l‟insurrezione fosse organizzata gli abitanti, favoriti dai grandi vantaggi che offrono loro le asperità del terreno, potrebbero annientarci completamente…” Personalmente credo che, nel complesso, l‟opera sia abbastanza veritiera (in quanto i fatti accaduti corrispondono effettivamente agli eventi storici); ma nelle varie note dell‟autore chiunque si accorgerebbe delle evidenti contraddizioni con ciò che riporta la storia a noi nota. Ribadisco che la forma epistolare è stata scelta perché ha reso più semplice la narrazione, ma l‟autore ha rispettato fedelmente comunque l‟andamento cronologico degli accaduti. Il suo viaggio termina nel 1810 e l‟opera viene pubblicata solo nel 1820, ben dieci anni dopo! Questa constatazione mi induce a pensare che l‟autore ha avuto tutto il tempo di rivisitare, modificare e rendere più interessante o accattivante il suo lavoro. In definitiva sostengo che il De Tavel abbia fatto certamente bene a trascrivere questo “diario” che effettivamente l‟ha reso celebre. Paradossalmente il racconto di questa terra così poco amata gli ha donato la fama. Dibattito Alfio: Si sofferma sulla lettura del racconto nella parte riguardante i disagi di Longobucco (p. 112). I Longobucchesi sono poco graditi a De Tavel in quanto si opponevano al dominio francese. Rosa: Parla di un episodio nel quale i Longobucchesi fanno un‟accoglienza particolare ai francesi attendendoli armati su una


collinetta. Alfio: Parla della differenza tra storia ufficiale e storia reale, effettiva. Tra la storia nascosta e quella conosciuta, e dice che questo libro serve proprio per testimoniare che la Calabria non è senza storia… Rosa: Questo libro è uno dei primi ad essere pubblicati sulla storia della Calabria, una terra aspra e poco conosciuta con il 93% di abitanti analfabeti, dove il divario tra ricchezza e povertà è enorme, dove la viabilità era del tutto assente e le risorse materiali non sono ancora state utilizzate. Luca: Io ritengo che questo libro sia molto attuale. Dopo 200 anni la situazione della Calabria non è cambiata molto: basti pensare a tutti gli episodi di mafia e „ndrangheta. Giuseppina: Per quanto riguarda la lingua la prof. Barrese ci fa notare che De Tavel paragona il calabrese al provenzale. Cosimo: Ci fa notare che noi lettori cadiamo in un grande errore ritenendo questo libro “storico”, ma di storico ha solo il fatto di essere collocato in alcuni periodi tramite le date. Circa gli abitanti De Tavel si contraddice molto; in quanto una delle cose più positive del sud è proprio l‟ospitalità che di certo non è una qualità sviluppata nei 200 anni di storia che vanno dalla data del libro a oggi. Un esempio di questa contraddizione è la descrizione dei costumi e del carattere delle donne di Rogliano. Chiara: I calabresi hanno il vizio di parlare della propria terra come se la vedessero dall‟esterno. Come si sentono i giovani calabresi a sentirsi descritti in questo modo in questo libro? Maria Luisa: In realtà la situazione non è così catastrofica e c‟è da ricordare che la Calabria è caratterizzata da un popolo che è sempre stato conquistato ma non sottomesso! Luigi: Cerco di giustificare, nel mio intervento, De Tavel in quanto è un francese che scende da Parigi a Napoli e poi si ritrova in Calabria, e le differenze tra Parigi e la Calabria sono enormi sia a livello paesaggistico che a livello culturale.


Eleonora: Ci fa notare che rispetto ai paesi limitrofi Cosenza viene messa in risalto a livello paesaggistico e culturale anche se in modo poco rilevante ma più positivo rispetto ai paesi vicini. Tommaso: Ribadisce che i dati utilizzati dal De Tavel non sempre sono corretti: c‟è il caso dello Stromboli ritenuto più alto del Vesuvio (citato da Chiara), ma c‟è anche il caso del dialetto calabrese ritenuto una corruzione della lingua italiana, e non una lingua neolatina vera e propria, e il caso della Sila ritenuto un tratto degli Appennini, quando invece si tratta di un massiccio a sé. Costantina: Ci fa notare che De Tavel non è l‟unico autore a fare una descrizione catastrofica della Calabria. Maria: Nel suo intervento sottolinea che anche fino a poco tempo fa la Calabria non era in buone condizioni. Alfio: Ci fa notare che De Tavel ha una pessima considerazione delle donne calabresi, in quanto prive di fascino e segregate dalla gelosia dei mariti. Continua il suo discorso con la lettera della descrizione delle minoranze in Calabria. In un tratto De Tavel dice che gli albanesi dovrebbero essere un modello per tutti i Calabresi. Per quanto riguarda gli zingari, De Tavel ha anche per loro una considerazione pessima, che si può notare nella dettagliata descrizione a p. 150-151. Proseguendo Alfio ci parla delle diverse realtà che si sono create in Italia: al nord, al centro e al sud. E il nostro sud è sempre più svantaggiato perché non ha avuto l‟esperienza, o meglio, la possibilità di autogoverno con i Comuni (come al nord), al contrario è sempre stato sotto il dominio di stranieri che non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. Coniugi Vetrò: Secondo loro, il libro mette in risalto il fatto che il Sud sia molto ottuso e chiuso alla novità.


Billy Elliot (Appunti dal dibattito seguito alla visione del film nella riunione di SOS scuola del 24 gennaio 2007 a cura di Maria Luisa Savelli e Costantina Ripoli) La vita di Billy Elliot, figlio adolescente di un minatore dell‟Inghilterra del Nord, cambierà per sempre grazie all‟imprevista scoperta, durante una lezione di boxe, della sua speciale inclinazione: il ballo.

Billy decide, all‟insaputa del padre vedovo, del fratello e dei suoi amici, di unirsi alla classe di danza dove l‟insegnante, la sig.ra Wilkinson, scopre presto che il ragazzo possiede un raro talento e lo incoraggia a provare l‟audizione per la prestigiosa Royal Ballet School di Londra.


Billy si troverà quindi a dover scegliere tra la responsabilità verso la sua famiglia e l‟irresistibile desiderio di seguire la sua passione. Dopo la visione del film si svolge il dibattito. Queste le riflessioni che sono emerse. Fabio: Sono rimasto un po‟ deluso dal finale. L‟ho trovato piuttosto scontato! Maria Luisa: A mio avviso credo che sia principale la figura della maestra che spinge Billy alla scoperta del suo talento ed in seguito a coltivarlo. La maestra, la cui aspirazione non era certamente quella di finire ad insegnare in una misera palestra, vede in Billy una forma di riscatto per il successo che non è riuscita a conseguire! Il nostro protagonista si rende conto di ciò e le è grato. Bisogna ricordare, inoltre, che è grazie a lei che Billy riesce ad ottenere l‟audizione! Luca: Mi è piaciuta particolarmente la figura della nonna; infatti senza quest‟ultima il film non sarebbe stato lo stesso. Rappresenta l‟unico affetto al quale Billy, inizialmente, si aggrappa. Alessandra: Secondo me nel film non prevale la danza in sé, bensì i valori. Punta principalmente sugli obiettivi che ognuno di noi vuole perseguire nella propria vita!


Cosimo: Non sono particolarmente entusiasta del film. Sinceramente non mi è piaciuto nessun personaggio. Credo che la vera anima del film sia la passione verso qualcosa: ovvero la fiamma che arde dentro ognuno di noi per ottenere qualche risultato. Gaëlle: Ciò che rende particolare il film è la comunicazione, o per meglio dire l‟assenza di comunicazione! In casa, dopo la morte della madre che costituiva il collante della famiglia, i vari componenti: il padre, il fratello, la nonna e lo stesso Billy non dialogano più. Billy, che si trova disorientato, grazie alla danza ritrova la sua strada. Il padre, gradualmente, comprende la sua aspirazione e infine la sostiene. Costantina: Mi ha colpito molto la figura del padre che, nonostante la situazione economica precaria, fa avverare i sogni del figlio sostenendo gravosi sacrifici! Secondo me la danza rappresenta per Billy la sua valvola di sfogo. Eleonora: Secondo me il padre non è poi così incoraggiante, in quanto inizialmente non accetta le sue ambizioni. Lo appoggia, infatti, solo quando si accerta con i propri occhi delle capacità del figlio. Fabio: Anch‟io sono un ballerino e attraverso la danza riesco a provare delle emozioni indescrivibili. Inoltre questa passione mi dà la possibilità di mettermi alla prova verificando le mie potenzialità! Tommaso: Il film ci propone quasi in contemporanea l‟immagine di Billy che si esercita da solo in casa e un‟altra in cui Billy si allena nella palestra con la maestra. Trovo, personalmente, che questa tecnica cinematografica sia molto interessante perché mette in evidenza una realtà multipla. Inoltre credo che la figura della maestra abbia una funzione essenziale; in quanto se non l‟avesse incontrata il protagonista non avrebbe seguito quella strada. È evidente che Billy ha una grande passione: la danza; ma non è il solo! Infatti ogni membro della sua famiglia ha una passione (intesa come energia) che per il fratello è la musica, per il padre la boxe, per la madre era il pianoforte. Per cui possiamo dire che la banalità non era di casa!


Cosimo: Ăˆ stata significativa una delle ultime scene, durante la quale si vede Billy che parte per la realizzazione del suo sogno ed in contemporanea il fratello e il padre che scendono in miniera.


La Calabria secondo Pino Stancari S.J. (Stralcio della relazione SUBSILIRE IN COELUM EX ANGULO LICET di T. Cariati e C. Marra utilizzate da Chiara Marra per l‟incontro di SOS scuola del 23 febbraio 2007 intorno al libro di Pino Stancari S.J., La Calabria, tra il sottoterra e il cielo, Rubbettino) Premessa Il libro di padre Pino Stancari La Calabria, tra il sottoterra e il cielo è un piccolo gioiello. Esso tratta della Calabria, della storia dell‟evangelo in Calabria, dei calabresi come noi. Il suo contenuto esplicito è stato la molla che ci ha fatto accettare di rileggerlo, con la segreta speranza che ci avrebbe svelato misteri sempre nuovi sulla nostra identità di calabresi apprendisti alla scuola dell‟evangelo. Pur nella sua semplicità, La Calabria di Pino Stancari è un‟opera dalle molteplici sfaccettature, caleidoscopica, che obbedisce a una logica interna molto particolare e stringente, alla quale il lettore spesso non è preparato. In effetti il libro è molto di più di quello che promette di essere. Negli ultimi decenni molti valenti ricercatori si sono impegnati su diversi fronti in un lavoro paziente di scavo e di ricostruzione della storia millenaria della nostra regione e della sua identità. Citiamo soltanto Guzzo, Rholfs, Mosino, De Leo, Burgarella, Fantozzi, Lombardi Satriani, Alvaro. Ebbene, La Calabria, tra il sottoterra e il cielo di p. Pino Stancari, per validità scientifica, per ampiezza degli orizzonti e per risultati conseguiti può stare accanto alle opere scientifiche più serie e significative degli ultimi trent‟anni sulla Calabria. Certo, ci sarebbe da chiarire con quali metodologie di ricerca e strumenti d‟indagine padre Pino operi. Quale approccio adotta il nostro autore? Quali modelli impiega? Fa indagini sul campo? A quale centro di ricerca scientifica appartiene? In questo libro troviamo solo due riferimenti bibliografici e tanti, tanti riferimenti alle Sacre Scritture, particolarmente al Nuovo Testamento; nessun altro “connotato” scientifico. Padre Pino appartiene alla scuola di Sant‟Ignazio di Loyola e di San Paolo, il quale nella prima lettera ai Corinti spiega che Dio ha confuso i potenti e i sapienti con la debolezza della croce. Ecco chiariti i motivi, tra cui non sono secondari l‟amore per la


Calabria e la stima per l‟autore, che ci sostengono, noi che siamo lettori senza meriti scientifici, nel compito di rileggere il libretto. La nostra presentazione si suddivide in quattro parti: il libro e l’autore; la Calabria e i calabresi; profezia, pietà, radicamento; irradiazione dell’evangelo. Il libro e l’autore Il libro, pubblicato da Rubbettino nel 1997, raccoglie alcune riflessioni di p. Pino Stancari sulla Calabria. I primi sei contributi sono la trascrizione di altrettante comunicazioni svolte da padre Pino in diversi ambiti ecclesiali (alle religiose, ai seminaristi, ai gesuiti, all‟assemblea dei cattolici calabresi), l‟ultimo è una preghiera alla Madonna del Pilerio, patrona della diocesi e della città di Cosenza. P. Pino Stancari, gesuita, nato a Bologna nel 1946, vive dal 1975 a Castiglione Cosentino Scalo, in una piccola residenza nota con il nome di Casa del gelso. La presenza dei gesuiti nella diocesi di Cosenza è dovuta all‟iniziativa pastorale di Mons. Enea Selis che, nel 1971, «si rivolse ad alcune famiglie religiose per ottenere collaborazione nei vari ambiti della vita diocesana, mirando con particolare impegno alle nuove e complesse urgenze pastorali, determinate dalla istituzione, in quegli stessi anni, dell‟Università della Calabria». Padre Donato Petruccelli S.J. – superiore provinciale di quella che si chiamava “Provincia Napoletana della Compagnia di Gesù” – accolse l‟invito dell‟Arcivescovo e inviò p. Pino Stancari e p. Rodolfo Benevento. Essi, tra l‟autunno del 1974 e la primavera del 1975, svolsero alcune ricognizioni in Calabria per definire meglio la loro missione e determinarono la loro disponibilità «ai ministeri della Parola e dello Spirito, secondo la tradizione di povertà della Compagnia di Gesù». Dal luglio del 1975, poi, si stabilirono definitivamente a Castiglione Scalo e tra l‟altro p. Rodolfo «chiese ed ottenne il trasferimento di un incarico d‟insegnamento in discipline matematiche, che già sosteneva presso l‟Università di Napoli. L‟inserimento nell‟ambiente universitario – dice p. Pino – è valso soprattutto come retroterra d‟appoggio per favorire l‟aggancio alle diverse realtà della Chiesa locale». Nel 1980 i due vennero raggiunti da p. Alberto Garau, il quale svolse per anni un servizio pastorale per i Rom presenti a Cosenza. Oggi la comunità – fino al 1997 l‟ultima nuova fondazione compiuta dalla Compagnia di Gesù in Italia nel dopo-Concilio – è formata da due padri (p. Pino Stancari e p. Vitaliano Rogolino) e da un


coadiutore (fr. Alessandro Trevisan). Padre Pino si dedica, in forma capillare e itinerante, a molteplici ministeri della Parola e dello Spirito. Le sue occasionali pubblicazioni sono normalmente il frutto diretto del suo servizio pastorale, raccolto mediante registrazioni e successive trascrizioni. Padre Pino ha scelto di stare in Calabria, radicandovisi a tal punto da sentirsi parte della nostra gente. Risiedere in Calabria, per i gesuiti, significa imparare a vivere innanzitutto nel sottoterra come in un grembo che tutto raccoglie in un paziente esercizio di fecondità. E, dice padre Stancari, «il sottoterra calabrese è in grado di esprimere un qualificatissimo magistero nella compassione per il mondo […] e insegna “la sapienza dell‟ultimo posto”, spiegando come questo sia il posto adatto per amare senza misura, nella novità dell‟evangelo». In secondo luogo significa «imparare a dimorare sotto il cielo per ammirare l‟orizzonte universale che contiene ed avvolge l‟intera famiglia umana». La Calabria, i calabresi Nelle prime pagine de La Calabria incontriamo alcune affermazioni sulla conoscenza superficiale che gli italiani hanno del mezzogiorno d‟Italia e della Calabria. Padre Pino scrive: «È frequente che gli italiani siano molto ignoranti in geografia. […] gli italiani considerano la Calabria una specie di appendice semidesertica dell‟Africa settentrionale. […] Non sanno che la Calabria è terra di montagna; non sanno che la Calabria è una delle regioni più verdi e più boscose d‟Italia». E ancora: «Molto spesso ho l‟impressione che quando noi parliamo della Calabria, ci esprimiamo sempre come se la guardassimo da fuori. Basta partecipare a qualche manifestazione in cui si parli della Calabria, basta leggere i nostri giornali o ascoltare la televisione, o più semplicemente basta ascoltare una conversazione tra amici. La Calabria è sempre vista da fuori». Questo purtroppo, a volte, accade anche quando lo sguardo è quello dei suoi uomini. Scrive in proposito Corrado Alvaro: «Prospera qui, non si sa come, in una contrada semplice, vera, scabra, una inaspettata retorica […]. Quasi tutto quello che si legge qui della Calabria, a parte la letteratura dialettale, è rivolto in genere a magnificare una Calabria che non esiste più, e cioè le colonie greche, e Sibari, e Locri». Sembra che, come per un sortilegio, chiunque pensi alla Calabria e ai calabresi sia condannato a una visione deformata: gli uni sognano una mitica età dell‟oro magnogreca, gli altri vedono solo inciviltà, barbarie, brigantaggio.


La Calabria La Calabria è una terra di attracco, periferica, di confine, estrema; una penisola, lunga circa 220 km, larga da 30 a 95 km circa, con ben 850 km di costa. Essa è solcata da profonde incisioni corrispondenti ai corsi dei suoi fiumi e dei suoi torrenti; presenta rupi, promontori, anfratti e grotte; la Catena Costiera sembra la lama di un‟immensa sciabola; e la catena delle Serre-Aspromonte sembra il dorso di un gigantesco cetaceo. La Calabria, come ha ben visto p. Pino Stancari, è una terra di montagne: solo il 9 % del suo territorio è pianura – piana di Sibari, piana di Lamezia e piana di Gioia Tauro –, mentre il resto è colline (49,2 %) e montagne (41,8 %). La nostra regione è una terra in cui, come ha scritto Corrado Alvaro: «[…] la stessa natura prende atteggiamenti d‟architettura». In Calabria burroni, balze, dirupi, monti, serre, gole, fiumare disegnano un paesaggio naturale, poco manipolabile da parte dell‟uomo, in cui a parlare per primi sono i dati orografici e geologici. E occorre saperli cogliere, decifrare e amare se non vogliamo rimanere disorientati e minacciati da una natura che può apparire ancora oggi, per molti aspetti, inospitale. I colori della Calabria sono il verde dei boschi e dei prati; l‟azzurro dei mari e dei cieli, quando le giornate sono belle, trasparenti; il grigio dei giorni nuvolosi; il grigio, il rosso, il marrone delle terre e delle rocce; il bianco delle nevi; il rosso acceso dei tramonti; il giallo delle distese di ginestre; il rosso dei campi di papaveri; il grigio chiaro delle spiagge e dei greti dei torrenti; il verde chiaro, argenteo dei boschi di faggi, di querce, di castagni quando spuntano le gemme; e c‟è il colore della campagna arsa e brulla, orientale, quando d‟estate è abitata da grilli e cicale. In Calabria l‟aria risente dovunque, anche in Sila, dove la penisola ha la massima ampiezza e dove le montagne raggiungono notevole altezza, dell‟influenza delle brezze marine. Corrado Alvaro ha scritto: «L‟aria è un profumo fluido che si respira come un‟atmosfera sensibile. Per questi due mesi l‟anno [la primavera, ndr], la terra più severa e più scabra che sia in Italia sorride. È il tempo che bisogna visitarla, varia, orientale e boreale, mediterranea e interna». L‟aria è satura del profumo delle ginestre, delle zagare, delle eriche, del timo e della maggiorana; nei boschi della Sila è sempre intenso il profumo stupefacente delle essenze dell‟abete e del pino. E i suoni? Il mare sugli scogli e sulla battigia; i torrenti in piena;


i campanacci di greggi e armenti; il canto del vento tra gli aghi dei pini; il canto delle donne nei campi; il frinire assordante delle cicale; i dialoghi dei cani tra opposti crinali nella notte; le voci della gente nelle valli e sui colli. Sembra che la morfologia della Calabria sia tale che anfratti, valli e dorsi di monti raccolgano i suoni come grandi padiglioni auricolari o specchi acustici, li amplifichino e li trasmettano a distanza. I calabresi P. Pino Stancari scrive: «[…] nella nostra piccola realtà regionale, noi abbiamo questa ricchezza: nella nostra piccolezza, nutriamo la disponibilità ad accogliere tutti e a guardare più lontano. Non solo guardare quello che avviene in altre regioni d‟Italia, d‟Europa, o del pianeta, ma guardare più lontano ancora, verso la novità assoluta, quella che si prepara: cieli nuovi e terra nuova!». Come è possibile ciò in una regione dove a parere di molti non funziona niente? Per esempio, parlando di una strada incompleta tra S. Demetrio ed Acri, Norman Douglas scrive: «Forse, un giorno o l‟altro, la strada verrà completata – speriamo!, come dicono gli abitanti della regione quando parlano di qualcosa al di là di ogni ragionevole aspettativa. O forse no; e in tal caso – pazienza!, il che significa che si possono abbandonare le ultime speranze». Il fatto è che i calabresi, nei secoli, hanno conosciuto invasioni, violenze, peste, malaria, emigrazioni; incendi, alluvioni, franamenti, terremoti; pirati, briganti. Sono stati sfruttati, tenuti nell‟analfabetismo, senza una classe dirigente vera e propria, senza una lingua – e pensare che la lingua calabrese, nelle sue varietà, è essenzialmente una lingua neolatina esattamente come il toscano, specialmente nella Calabria settentrionale. I calabresi si sono adattati per secoli all‟ambiente, manipolandolo pochissimo, e alle dominazioni. Ancora nella metà del secolo scorso i calabresi vivevano in mezzo alla natura con una sorta di sottomissione, come se essa fosse una bestia di cui non si conosce la forza, e non si sa se sia amica o nemica. Del resto, il calabrese può essere un grandissimo raccoglitore, oltre che allevatore, agricoltore, cacciatore, intellettuale, visionario, mistico; raccoglie, conserva e consuma tutto ciò che la natura, all‟apparenza inospitale, offre: cicorie, asparagi, funghi, capperi, cipolline selvatiche, ortiche, finocchi, lapriste, vitalbe, more, carciofi


selvatici, gagummari (corbezzoli) e forse anche cocumili (cocumeli), piraini (pere selvatiche) e pumariesti (mele selvatiche). Il sentimento della piccolezza ha fatto sviluppare nel calabrese il senso del limite e una buona dose di umiltà. Accanto a queste virtù poi troviamo il rispetto dell‟autorità e il senso della famiglia. Sull‟autorità Alvaro nel 1941 scrive: «[…] chi comanda ha il diritto di comandare e il comando è una funzione indiscutibile»; però in uno scritto di una ventina di anni dopo scrive della «[…] diffidenza dei poteri costituiti, che è un altro lato del carattere dei calabresi». Se prestiamo attenzione alle ricerche sociologiche più recenti, le istituzioni in Calabria sono deboli e spesso piegate a interessi particolari, mentre i giovani non hanno percezione dell‟importanza delle istituzioni. Sul senso della famiglia padre Stancari scrive: «Chi viene in Calabria dal di fuori si accorge che i vincoli di parentela sono, in questa nostra terra, molto più significativi e vigorosi di quello che non avvenga altrove». E più avanti: «Questa situazione presenta delle contraddizioni: certamente essa conferisce una forte sicurezza emotiva e una grande stabilità affettiva, ma può diventare anche una prigione che cattura il cuore e le intenzioni più profonde, facendo sì che talvolta non si diventi nient‟altro che i tutori degli interessi del parentado». Però il carattere e i sentimenti in Calabria sono tanto vari quanto sono vari i paesaggi e le genti che l‟hanno abitata. Il calabrese può essere allegro, estroverso e generoso ma può essere anche introverso, taciturno, difficile, diffidente, volubile. Alvaro racconta un aneddoto che ha per protagonista un industriale del Nord che cerca di impiantare qualcosa in Calabria e ha bisogno di attraversare delle proprietà. Dopo molti tentativi falliti ne parlò con una persona anziana del luogo. «Il vecchio gli disse – scrive Alvaro –: “Voi non avete capito un fatto: che il calabrese „vuole essere parlato‟. Bisogna parlargli come a un uomo che ha sentimenti, doveri, bisogni, affetti: insomma come a un uomo”». Il calabrese sa essere semplice e raffinato, primitivo e pensatore squisito, terrestre e contemplatore sublime, carnale e spirituale, lavoratore e intellettuale di grande statura. Che cosa non era capace di fare il calabrese con un‟ascia, una zappa e un coltello! Il massaro costruiva da sé arnesi e ordigni, i sistemi usati per arare con i buoi: aratro, giogo, cinghia. Ancora Alvaro scrive che sentirsi ricchi avendo olio, frutta secca e salsicce «permette di star fermi,


guardare, contemplare, pensare, che è poi la libertà suprema dell‟uomo». Ecco perché la Calabria ha conosciuto la miseria, la violenza e l‟emigrazione ma può annoverare tra i suoi figli uomini come Campanella, Gioacchino da Fiore, Nilo da Rossano, Francesco da Paola, frate Barlaam, che a Napoli insegnò il greco al Petrarca, Leonzio Pilato, che tenne la prima cattedra di greco a Firenze, Telesio, Corrado Alvaro, capace di osservare uomini e cose con grande partecipazione umana e con quella sapienza della pietà che p. Pino Stancari riconosce ai calabresi. «Si pensi che umanità preziosa si può cavare da gente siffatta», scrive l‟intellettuale calabrese. Ed è ancora Corrado Alvaro che ci soccorre con una formula che fa la sintesi di orografia, geologia e natura e, insieme, psicologia, antropologia e storia della Calabria quando scrive: «Questo spiega pure il carattere dei calabresi, primitivo e raffinato, patriarcale e avventuroso, suscettibile di ogni perfezionamento, di ogni slancio verso l‟inconoscibile e il cielo, come spiega le feroci passioni e insieme il discettare più filosofico e cavilloso, e la loro antica tradizione monacale». Profezia, pietà, radicamento Il calabrese, dunque, è semplice e primitivo ma anche visionario, raffinato, filosofo; sopporta pazientemente e umilmente calamità e dominazioni ma aspira alla libertà; sopporta ma è combattivo; sta nella sua piccola regione, nel suo piccolo paese ma anela a viaggiare e conoscere; rispetta l‟autorità e la gerarchia ma combatte a costo della vita il sopruso; anela all‟auto-realizzazione ma si sottomette alla famiglia; abita in una grotta e guarda al cielo; è uomo ed è figlio; discetta su ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, studia, medita, discerne. P. Pino Stancari scrive giustamente: «[…] i secoli dell‟evangelizzazione in Calabria vedono la nostra regione configurata come una fetta d‟oriente […]. Il mondo orientale ha segnato in profondità l‟animo, i costumi, le abitudini, i sentimenti, e addirittura l‟esperienza religiosa e la fede di questo popolo». E ancora: «[…] è certo che l‟impianto complessivo della Chiesa calabrese porta in sé il segno evidentissimo di una evangelizzazione che è avvenuta nel corso del primo millennio, secondo i metodi tipici della presenza monastica. Si è trattato di una presenza capillare, che ha davvero tracciato, per quanto concerne l‟irradiazione dell‟evangelo, la mappa della nostra regione. La presenza monastica di cui parlo ha avuto spesso un


carattere anacoretico; altre volte si è configurato nella forma di piccoli nuclei di poche persone, dedite a un‟intensa ricerca spirituale». Padre Stancari precisa che, a dispetto di quello che appare a un osservatore esterno: «Nella storia della Chiesa spesso la vita solitaria ha dimostrato di essere molto meglio introdotta nel tessuto vivo della popolazione locale di quanto non lo sia la vita di un grande cenobio, ossia di una grande comunità. […] Per quanto possa apparirci strano, proprio là dove un eremita si è ritirato, lentamente ma infallibilmente, gli si stringono attorno dei rapporti solidi, profondi ed intensi, che coinvolgono tutta la realtà circostante». Ancora: «[…] in Calabria l‟evangelo è stato mostrato, proposto e annunciato mediante la diffusione di una testimonianza monastica così assoluta, così radicale così solitaria: si è trattato, ovviamente, di una solitudine fecondissima, di una ricerca di spazi per la preghiera e per l‟incontro con Dio che è diventata capacità di incontro con i fratelli». Padre Pino a questo proposito cita Sant‟Elia, San Nilo, San Luca e poi San Francesco di Paola. E aggiunge: «C‟è una figura molto bella di santo contemporaneo: don Francesco Mottola di Tropea. Si tratta di un personaggio davvero splendidamente dotato di sapienza nella carità e di profondissima pietà per tutti. Pensate: un uomo colpito nella carne, che per ventisette anni è rimasto semiparalizzato; eppure in questi ventisette anni ha compiuto grandissime cose. […] quest‟uomo, farfugliando ha evangelizzato la sua città con la forza pura della sua intensa testimonianza di carità. La gente andava a confessarsi da lui, che pure non era in grado di esprimersi bene a causa della malattia!». «I calabresi hanno la sapienza della pietà, sanno che cosa vuol dire amare dal basso. Sono abituati a stare all‟ultimo posto; sono abituati a non contare nulla». «Si ama dal basso! Con tanta pietà […]. Quante cose crescono, si sviluppano, maturano, quanti frutti straordinariamente abbondanti, amando dal basso! È una delle sorprese che la Calabria riserva a coloro che avranno la pazienza di parlarle, di ascoltarla, di amarla, che avranno la fedeltà di rimanere». Valorizzando la forza dei legami familiari, padre Stancari scrive: «Ciò che l‟ambiente ha di vero, di impegnativo, è proprio quella certa ricchezza di relazioni umane e di spinte emotive che aprono alla vita dell‟altro. Questo riferimento immediato alla persona, in quell‟ambito particolare che è la parentela, costituisce un‟occasione precisa e privilegiata per dare testimonianza all‟evangelo; diversamente si rischia di rimanere sempre degli estranei. È da intendere come “ricchezza”, non in quanto vi chiude, ma in quanto apre per voi l‟orizzonte che, in forza di una chiamata assoluta, si allarga fino a


rivelare in ogni creatura di Dio un parente da incontrare, da visitare, da amare». «La nostra gente ha bisogno di essere amata pazientemente, umilmente, nel silenzio; ha bisogno di essere ascoltata. È forse necessario che passi tempo, spesso anni, perché si possa stabilire un rapporto che sia credibile». «Il calabrese chiede pazienza: non chiede discorsi forbiti, interventi puntuali e rigorosi […] Soltanto con molta capacità di ascolto ci si accosta ai silenzi. Lo ripeto sempre. È una delle cose che mi colpirono di più quando arrivai in Calabria e presi contatto, nel primo periodo, con tante realtà e con tante persone: i silenzi. Ebbene, i calabresi, per quel che io sono riuscito a comprendere, amerebbero che proprio i loro silenzi fossero presi sul serio; essi chiedono a coloro che li avvicinano di aspettare, di rimanere, di stare». Padre Pino spiega, dunque che la Calabria e i calabresi vogliono essere amati, amati come sono e riconosciuti per quello che sono: «Rimane il sottoterra della Calabria: quello rimane. Rimangono i segreti dei cuori, rimangono le passioni nascoste, rimangono le attese a cui non è stata data risposta, rimangono le tensioni profonde e non esplicitate, rimangono i silenzi, rimane l‟esperienza forte della vanità delle cose, rimane la sapienza della morte. Rimane il sottosuolo, inesplorato, a prima vista inospitale ed inabitabile; eppure proprio là sono scesi coloro che ci hanno preceduto nella testimonianza evangelica, coloro che hanno evangelizzato questa terra: proprio là da dove questa terra può ancora essere evangelizzata. Se ci muoviamo a partire da un‟altra provenienza, non otteniamo frutti». «La vita cristiana nella nostra terra ha la prerogativa di essere sottoterra. […] Il sottoterra conta enormemente di più di quanto la superficie della terra manifesti. Bisogna rifarsi allora ai movimenti delle viscere, ai segreti del cuore; si intravede una profondità abissale, nella quale sono custoditi i significati che contano, e dalla quale provengono i veri progetti che danno contenuto alla vita. Di là scaturiscono sentimenti, desideri, affetti; là si radicano il valore e la qualità di ogni relazione familiare e sociale. In questa profondità sotterranea risiedono i grandi motivi da cui prende spunto la stessa vita cristiana, quando l‟evangelo vi si è insediato; da quel sottoterra, d‟altra parte, provengono anche istanze negative: i grandi odii, le cupe tristezze, le feroci disperazioni. […] È l‟evangelo che ha fatto – e fa – del sottoterra calabrese un luogo singolarmente capiente, capace di ospitare, di contenere, di abbracciare il mondo, senza che nulla e nessuno si perda; tutto vi si scarica, tutto vi è custodito e sopportato». L‟altra dimensione che fa da contrappunto al


sottoterra, secondo padre Pino, è il cielo. «C‟è quasi una corrispondenza speculare tra l‟abisso, che si spalanca nelle viscere nascoste e oscure, e l‟immensità, che si espande nella larghezza del cielo. Intendo il cielo come grande prospettiva, come capacità di slancio, come prontezza nell‟andare altrove, come proiezione verso altri mondi ed altre storie.» Padre Pino poi aggiunge che la dimensione del sottoterra è una dimensione femminile e materna e la preghiera dal sottoterra è una preghiera di intercessione; mentre la dimensione del cielo è una dimensione che implica una responsabilità paterna e la preghiera secondo quella dimensione è da intendere come preghiera di benedizione. Irradiazione dell’evangelo Per concludere vorremmo presentarvi, tra i tanti, due punti, o esperienze, di irradiazione dell‟evangelo presenti e vivi oggi nella città di Cosenza, variamente intrecciati con il ministero di padre Pino, che si configurano come esperienze di radicamento in un sottoterra che guarda al cielo, come esperienza di quella profezia della pietà che permette a chi mette radici nel sottoterra di abbracciare il mondo, ancora oggi, e sempre. Don Michele Fortino, dopo essere stato presbitero diocesano e per cinque anni certosino a Serra San Bruno, vive da qualche tempo in un piccolo eremo a Donnici superiore. Per facilitare l‟accoglienza, l‟eremo è stato scelto vicino alla città, ma anche sufficientemente distante per potervisi raccogliere. Don Michele ha fatto voto di vivere in castità, povertà e obbedienza; si dedica alla preghiera, celebra la messa ogni giorno nella cappellina dell‟eremo e, la domenica e nelle solennità di precetto, dove viene richiesto. Inoltre, come si legge nella sua “Regola di vita”, accoglie «chiunque avverta il bisogno di aprire il proprio cuore a un fratello in un dialogo spirituale, voluto per celebrare il sacramento della Riconciliazione, per avviare un cammino di accompagnamento spirituale, o anche solo per un occasionale confronto». Quest‟ultimo punto è considerato particolarmente importante «visto il grande bisogno di discernimento personale che oggi c‟è». Don Michele precisa: «Custodire il cuore alla presenza del Signore, e vivere tutto quanto espresso fin qui [nella Regola, ndr], sarà possibile solo a condizione di ricercare e preservare il silenzio e la solitudine. In quest‟ottica la scelta di vivere in un eremo si pone come imprescindibile necessità».


Scrive ancora don Michele: «Per custodire maggiormente la solitudine ed il silenzio rinuncio all‟uso della televisione e del computer, come anche al possesso di mezzi propri di trasporto.[…] Anche l‟uso del telefono va posto nei limiti dell‟utilità e della necessità; evitando l‟intrattenimento in dialoghi inutili e superficiali». L‟Associazione di volontariato “San Pancrazio” nasce come naturale sviluppo dell‟attività portata avanti, a partire dal 1989, da un gruppo di volontari all‟interno di alcuni quartieri del Centro Storico di Cosenza. L‟Associazione si propone di creare occasioni concrete di solidarietà per cercare di superare situazioni di emarginazione e di prevenire l‟insorgere di forme di devianza. Essa opera particolarmente nei campi della dispersione scolastica; nell‟animazione di strada e di quartiere; nell‟accoglienza, nell‟animazione e nell‟integrazione dei disabili; nell‟accoglienza di persone in difficoltà e senza fissa dimora. Alcuni membri dell‟Associazione da alcuni anni hanno stabilito profondi contatti con due comunità di Suore Minime della Passione, piccola congregazione sorta a Cosenza agli inizi del ‟900 ad opera di madre Elena Aiello, che svolgono la loro missione da circa venti anni in Brasile. Si tratta di due comunità che hanno scelto fin dall‟inizio di radicarsi nei contesti sociali in cui vivono, ponendosi accanto ai più poveri. Il contatto con queste suore è servito ai volontari a verificare insieme a loro la possibilità di progettare percorsi di collaborazione intesi a ritessere relazioni significative là dove più lacerato è il tessuto sociale. Le suore, presenti a Rio dal 1985, vivono nelle favelas cercando un radicamento capace «di far entrare in relazione viva con contesti, ambienti, gruppi, persone, che sono colpiti dalla povertà, dalla disuguaglianza, dall‟esclusione sociale». Agli inizi la comunità di Rio è costituita da suore italiane, arrivate in Brasile dalla Calabria, e quando essa cresce di numero per l‟ingresso di alcune ragazze brasiliane e colombiane, l‟esperienza di radicamento e di vicinanza ai più poveri, induce le suore ad allargare gli spazi della missione, e a cercare di individuare un altro posto dove poter vivere accanto a chi ha bisogno. Nasce così, nel 1997, l‟opportunità di aprire una seconda comunità a Pancas, nello stato dello Espirito Santo. I volontari della “San Pancrazio”, in occasione di due viaggi compiuti in Brasile nel 2002 e nel 2003, si sono dati da fare con le suore all‟organizzazione di un corso di preparazione vestibular, che è l‟esame di ammissione all‟università, prova quasi proibitiva per la


stragrande maggioranza dei giovani che provengono dalla scuola pubblica. Questa iniziativa di collaborazione tra volontari e suore «si è rivelata preziosissima per capire che tentativi di questo genere non possono essere calati dall‟esterno, ma devono necessariamente inserirsi nel solco tracciato da presenze – ed esperienze – radicate». Concludiamo con le parole di Padre Pino: «Stando all‟ultimo posto, nel sottoterra, si può amare. Anzi, è proprio la discesa in questo sottoterra che rende l‟amore credibile, che rende l‟amore pastoralmente efficace». Dibattito Giuseppina: Mi hanno colpito alcune cose: che i due terzi delle suore che operano in Calabria non sono calabresi, che nel sottosuolo scendono gli uomini e non le donne, che i calabresi hanno santi monaci, ma non santi vescovi. Perché le suore d‟origine calabrese se ne vanno in Africa? Perché non restano qui? Rosa: Ho notato, nella prima parte, un aspetto che mi fa venire in mente il libro di Duret De Tavel: si parla della Calabria con stereotipi; i calabresi stessi, poi, accettano questo punto di vista esterno e ciò è aberrante. Un‟altra cosa che mi ha colpito è come è vista la famiglia. La famiglia si è formata così perché evidentemente era l‟unica istituzione protettiva. Ancora oggi c‟è questo retaggio. Luca: Mi ha colpito, nella relazione, i riferimenti ai colori della Calabria e ho pensato alla costa Viola. L‟altra cosa che mi ha colpito è la definizione di Mezzogiorno come di un Sud uniforme e in chiave negativa. Maria Luisa: Anche i calabresi accettano di vedersi dall‟esterno. È vero che il Mezzogiorno non è uniforme. Mi ha colpito la presenza degli eremiti e la possibilità che la vita solitaria possa essere arricchente più della vita in mezzo agli altri. Iole: Sono venuta a questo incontro perché ammiro padre Pino come acuto osservatore. Alfio: Apparentemente questo libro ha una discontinuità, però c‟è un filo conduttore, cioè la visione dell‟autore, cioè come la Calabria può essere una terra dalla quale ci si può elevare.


Ho trovato interessante la parte dedicato alla casa. Le generazioni attuali non hanno più presente il valore della casa come memoria. Se la casa non è il luogo dell‟identità, allora è albergo. Se non abbiamo memoria, non abbiamo radici e viviamo in un presente senza bussola. Giuseppina: La Calabria è terra di transito. Stare sottoterra vuol dire mettere radici. Leonardo: La Calabria la scoprono meglio gli estranei, quelli che vengono da fuori. Noi potremmo stare in Calabria anziché emigrare. Eleonora: Mi è piaciuto molto il discorso sulla casa. Gessica: Sono d‟accordo con Alfio quando dice che la Calabria ha tanti aspetti, tante icone.


La terra più severa e scabra che sia in Italia sorride (Relazione di Tommaso Cariati per l‟incontro di SOS scuola del 31 marzo 2007 intorno al libro di Domenico Minuto, Storia della gente in Calabria, Qualecultura/Jaca Book)

«… Nella nostra piccola realtà regionale, noi abbiamo questa ricchezza: nella nostra piccolezza, nutriamo la disponibilità ad accogliere tutti e a guardare più lontano. […] Guardare verso la novità assoluta, quella che si prepara: cieli nuovi e terra nuova». Pino Stancari s.j., La Calabria, tra il sottoterra e il cielo «Nessun paese d‟Italia […] mi sembra così atto a dare, come la Calabria, in questa sua immensa piccolezza smembrata e senza centralità di visione, la sensazione continua dell‟infinito, dell‟irraggiungibilmente lontano e dell‟ignoto». Giuseppe Isnardi, Frontiera Calabrese «Voi non avete capito un fatto: che il calabrese “vuole essere parlato”. Bisogna parlargli come a uno che ha sentimenti, bisogni, affetti: insomma come a un uomo». Corrado Alvaro, Un treno nel sud 1. Il libro «Questa terra [la Calabria] parla spesso per illuminazioni improvvise e il cuore talvolta fa fatica a capire da dove esse siano provenute con tanta veemenza». Questa frase è tratta dalla premessa del libro di Domenico Minuto, Storia della gente in Calabria. Nella premessa l‟autore spiega che ha resistito a lungo alla tentazione di scrivere una storia della Calabria, ma alla fine ha ceduto e ha lavorato scegliendo «le fonti che offrono un varco per capire e contemplare» dato che «questa terra parla spesso per illuminazioni improvvise», appunto. Noi siamo grati a Minuto perché ci ha regalato un libro che offre nuovi varchi per capire e contemplare la storia e l‟identità della nostra


gente. Un libro sulla Calabria, scritto con la mente e con il cuore, anzi con la sapienza del cuore, con quel sentimento della pietà che abbiamo incontrato nel grande calabrese Corrado Alvaro, ma anche nel piemontese Giuseppe Isnardi e nel bolognese Pino Stancari, quando parlano della nostra terra e dalla nostra gente. Minuto ha intitolato la sua premessa “Spiegazione” ma di spiegazione non c‟era alcun bisogno, dato che non c‟è opera dell‟uomo che sia frutto della pura ragione, senza che questa sia sostenuta da “illuminazioni improvvise”. Per noi questa qualità è una garanzia, perchè segnala che questo libro chiedeva di esistere, obbedendo a una necessità interna, e che Minuto è pervenuto a quella sapientia di cui Roland Barthes parla nel suo libricino intitolato Lezione; sapientia che significa – spiega Barthes – nessun potere, un po‟ di sapere, un po‟ di saggezza e quanto più sapore possibile. Domenico Minuto, insomma, in questo libro, da calabrese, parla ai calabresi come a uomini che vogliono essere parlati, con modi e parole capaci di toccare e far vibrare le loro corde profonde, come si parla a «uno che ha sentimenti, doveri, bisogni, affetti: insomma come a un uomo», secondo la sentenza del celebre racconto riportato da Corrado Alvaro in Un treno nel sud. Domenico Minuto è nato a Reggio Calabria nel 1931. Ha lavorato nella scuola per quarant‟anni, prima come docente e poi come preside. Ha studiato a lungo la civiltà bizantina in Calabria e ha pubblicato molti scritti su questo argomento. È socio della Deputazione di Storia Patria calabrese e dell‟Istituto Siciliano di Studi bizantini e neoellenici “Bruno Lavagnini”. Il libro che presentiamo, edito nel 2005 da Qualecultura/Jaca Book, presenta un corpo suddiviso in quindici capitoli che abbracciano le vicende della nostra terra e della gente che l‟ha abitata, o l‟ha attraversata, dalla preistoria ai giorni nostri. Il corpo è preceduto da una “Spiegazione” ed è seguito da un capitolo, il sedicesimo, intitolato “Il futuro”, che spiega il sottotitolo del libro, “dal passato al futuro”, appunto. Ogni capitolo è suddiviso in due parti, una sezione narrativa, in cui l‟autore presenta i fatti, li interpreta e li valuta; e una griglia cronologica degli eventi con le date e i personaggi più rilevanti del periodo al quale il capitolo si riferisce. La griglia si conclude con un paragrafo che si intitola “Particolarità” contenente ulteriori informazioni, curiosità, aneddoti. I primi tre capitoli della parte che ho chiamato “corpo” sono: “La preistoria”, “La protostoria”, “La Magnagrecia”; gli altri dodici si intitolano: “I Romani”, “I Romei”, “I Normanni”, e via elencando i


dominatori che si sono avvicendati nella nostra terra, fino a quello intitolato significativamente “Gli Italiani”, non l‟Unità d‟Italia, e neppure il Risorgimento. Il capitolo conclusivo “Il futuro” è un amaro divertissement. In esso leggiamo: «Sarà severamente proibito scavare per terra, affinché non fuoriescano i liquami tossici seppelliti dalla mafia del passato». «Gli arabi si opporranno alla mafia, perché il loro modo di fare violenza sceglie forme differenti, ma, con i cinesi, lo stile mafioso tradizionale tornerà in auge…» Leggiamo oltre: «Forse ci sarà ancora qualche anfratto solitario, in mezzo al frastuono dei villaggi turistici e dei congressi organizzati per finanziarli. Naturalmente, tutta quella che un tempo era montagna sarà come una coltre perfettamente pelata e lisciata col cemento…» «Resteranno nel cuore dei calabresi […] la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e quelle evangeliche, forse in comunione tra loro…» La griglia del capitolo “Il futuro”, al posto di date e personaggi, contiene un brano tratto dal libro dell‟Apocalisse, uno tratto dalla Lettera agli Ebrei e uno tratto dalla Lettera di san Paolo ai Romani. Tra le “Particolarità” di questo capitolo troviamo un testo tratto da Belmoro di Corrado Alvaro e uno da La rosa nel bicchiere di Franco Costabile, che dice «La terra / che attraverso / prima del gallo / è del padrone. // Il grano / che mi cresce / sotto gli occhi / mattina per mattina / è del padrone. // I colpi di fucile / che vengono dal fiume / sono del padrone. // Le donne, / le risate sull‟aia / a mezzogiorno / sono sempre del padrone. // Ma il sole che mi scalda / non è del mio padrone». Storia della gente in Calabria presenta altri tre elementi apparentemente insignificanti, ma importanti perché racchiudono come in una cornice il lavoro di Minuto e anche le tesi che egli sostiene. Il primo elemento è questo: il libro si apre con un versetto del Magnificat: «Di generazione in generazione la sua misericordia / si stende su quelli che lo temono». Il secondo: l‟opera è dedicata a Maria Mariotti, un‟anziana donna, simbolo della Chiesa cattolica di Reggio Calabria, direttrice della “Rivista storica calabrese”. Il terzo elemento è questo: il corpo del libro si conclude menzionando l‟opera pastorale di «un solerte reggino, Giorgio Barone che, divenuto monaco ortodosso a Vatopedi, nell‟Athos, ha assunto il nome di padre Nilo Vatopedino». 2. La tesi


Per rintracciare la tesi del Minuto e cogliere l‟essenza dell‟opera che egli ci ha consegnato, iniziamo la nostra ricerca da una frase di Andrè Guillou riportata nel libro: «Bisanzio aveva svegliato alla vita l‟Italia del sud ed aveva foggiato i quadri per le acquisizioni future: i Normanni, gli Svevi, gli Angioni li distrussero a poco a poco». Passiamo dalle parole di Guillou a quelle di Minuto. «La storia della tradizione [in Calabria] cessò di vivere soltanto verso la seconda metà del XX secolo, quando la cultura italiana dominante convinse la maggioranza dei calabresi a credere di essere gente senza storia e che ciò che era stato loro tramandato fosse ignobile e spesso frutto di colpevole ignoranza». Ma di quale tradizione si tratta? A quali caratteristiche culturali e spirituali faceva riferimento questa tradizione, cioè qual era, in base ad essa, la visione del mondo e dell‟uomo? Come ha potuto giungere fino a noi? Partiamo dall‟ultima domanda: “come ha potuto giungere fino a noi la tradizione?” Minuto sostiene che quando i Normanni, nel corso dell‟XI secolo, si incunearono nell‟Italia meridionale – scacciando i Longobardi e i Bizantini dall‟Italia meridionale peninsulare, e i Saraceni dalla Sicilia – fra la storia degli eventi che riguardano i dominatori e la storia della gente di Calabria si registra una frattura. Mentre la storia dei dominatori evolve trascurando la gente, alla quale essa si impone come una necessità, la storia della gente, fedele alla matrice della civiltà bizantina, tende a perpetuare forme e tradizioni; mentre la cultura “ufficiale” accetta le ideologie ed imita le forme culturali della società che detiene il potere, la gente continua a vivere umilmente come ha imparato dalle generazioni precedenti. E così, paradossalmente, a poco a poco, le classi più emarginate, senza alcuna consapevolezza riguardo al prezioso deposito che tramandavano, si trovarono a conservare e tramandare le radici culturali e spirituali autenticamente calabresi. Approfondiamo la questione: “di quale tradizione si tratta?” e “a quali caratteristiche culturali e spirituali faceva riferimento?” Procediamo con ordine. Intorno alla fine dell‟VIII secolo a.C. sulle fasce costiere della Calabria iniziano a insediarsi coloni greci, i quali scacciano o assimilano le popolazioni indigene quali gli Enotri. Sorgono così nella nostra regione fiorenti città come Sibari, Crotone, Locri, Reggio. Queste città sono dedite all‟agricoltura e al commercio ma anche all‟industria, per esempio, quella collegata con le attività marinare, della pesca o di servizio alla navigazione. Gli italioti, cioè gli abitanti


della Magnagrecia, vivono prevalentemente nella città ma anche in borghi rurali intorno alla città dove praticano l‟agricoltura e l‟allevamento. Essi impiegano l‟aratro leggero simmetrico a punta, utilizzato dai nostri massari fino alla metà del XX secolo, e tecniche per la molitura delle olive e per la spremitura delle uve. Queste città, che si mantengono in continuo e stretto contatto con le città della Grecia, raggiungono presto un elevato sviluppo, anche intellettuale. Nelle città della Magnagrecia «una delle attività più significative per il mondo dello spirito – scrive Minuto –, correlata con il culto religioso, l‟invenzione artistica, l‟impegno intellettuale e l‟uso civile del tempo libero, è quella teatrale». Tra i nomi più insigni ricordiamo Nosside, Pitagora, Ibico, Teagene. Purtroppo queste città-stato erano spesso in lotta tra di loro: Crotone contro Sibari, Reggio contro Locri e, ad esempio, nel 510 a.C. Sibari viene distrutta da Crotone. La città viene ricostruita e di nuovo distrutta, e, in seguito, ricostruita ancora come Thurii. Intanto, nell‟entroterra dell‟Italia Meridionale nel corso del V secolo vengono a stanziarsi i Lucani, i quali entrano presto in contatto con le città magnogreche. Nel corso del IV secolo a.C. dai Lucani si distaccano i Brettii che, come i lucani, parlano la lingua osca, una lingua indeuropea come il greco e il latino, e vengono ad abitare l‟entroterra della Calabria settentrionale, a sud del massiccio del Pollino. I Brettii vivono in piccoli gruppi sui colli, praticando prevalentemente la pastorizia, ma nel 356 a.C. costituiscono una propria confederazione con capitale Cosenza. Altra città brettia famosa è Petelia, nei pressi dell‟odierna Strongoli. I Brettii sono anche guerrieri coraggiosi. Frattanto cresce la potenza di Roma. Il Mezzogiorno, in quel torno di tempo, diventa teatro di aspre lotte tra Italioti, Lucani, Brettii, i tiranni di Siracusa. A queste lotte sono molto interessati i Romani ma anche altre potenze. Infatti nella grande confusione che lo travaglia, dalla seconda metà del IV secolo alla fine del III secolo a.C., nel sud Italia registriamo la presenza di condottieri come Alessandro il Molosso, Pirro, Annibale. Tra il 218 e il 202 a.C. si svolge la seconda guerra punica. Dopo la battaglia di Canne vinta in maniera schiacciante da Annibale, i Brettii si alleano con i cartaginesi, ma questi non riescono a coalizzare tutte le forze del Mezzogiorno contro Roma e la guerra si conclude con la battaglia di Zama, alle porte di Cartagine, vinta da Scipione l‟Africano. Dopo la seconda guerra punica, Roma colonizza la Calabria, che chiama il Bruzio, punendo i Brettii – pur senza annientarli – e


imponendo il latino. Nella Calabria meridionale la grecità sopravvive fino a i nostri giorni, nel sostrato linguistico e in molte manifestazioni della vita quotidiana, specie nei paesi grecanici. Nel corso del I secolo d.C. in Palestina si verificano le note vicende che riguardano Gesù di Nazareth e i suoi discepoli. Il cristianesimo si irradia lungo le rotte e le vie dell‟impero e giunge fino a Roma. I cristiani subiscono violente e continue persecuzioni. Ad esempio, i papi vissuti prima dell‟editto di Milano del 313 d.C., con il quale si sancisce la libertà di culto e si pone fine alle persecuzioni, muoiono quasi tutti martiri. Probabilmente il cristianesimo si irradia anche in Calabria già nei primi secoli ma non c‟è nessuna certezza a riguardo – dagli Atti degli Apostoli sappiamo che san Paolo, in viaggio verso Roma, nel 61 d.C. fa scalo a Reggio –, così come non c‟è certezza se l‟evangelizzazione della Calabria sia avvenuta da Roma o dall‟Oriente. Certamente la Chiesa è attestata in Calabria dalla fine del IV secolo. Nel 381 l‟imperatore Teodosio vieta ogni culto pagano, dunque la nuova religione diventa religione di Stato, e nel 395 l‟impero viene suddiviso in impero d‟Oriente con capitale Costantinopoli, l‟antica Bisanzio, a capo del quale è Arcadio, e impero d‟Occidente a capo del quale è l‟undicenne Onorio, affidato alla tutela di Stilicone, un generale barbaro. L‟impero d‟Occidente, di cui la Calabria fa parte, non resiste che per circa ottant‟anni, cioè fino al 476, anno in cui Odoacre, capo di truppe mercenarie al servizio dell‟imperatore d‟Occidente Oreste, si ribella e ne depone il figlio Romolo Augustolo, assumendo il titolo di re d‟Italia, con capitale Ravenna. L‟impero d‟Oriente, invece, prospera per altri mille anni circa, fino al 1453, anno in cui i turchi espugnano Costantinopoli. Odoacre, che ha deposto Romolo Augustolo, viene sconfitto da Teodorico; questi si insedia a Ravenna come re d‟Italia e viene riconosciuto da Costantinopoli. Il re ostrogoto, anche grazie all‟opera del calabrese Cassiodoro, cerca di fondere l‟elemento barbaro con quello latino, ma il compito è difficile. Nel 527 a Costantinopoli sale al potere l‟imperatore Giustiniano e nel 535, con lo sbarco del generale Belisario in Sicilia inizia la guerra gotica, che dura circa venti anni, al termine della quale – scrive Minuto – l‟Italia è restituita all‟impero dei romani. La Calabria, dalla deposizione di Romolo Augustolo, avvenuta nel 476, per meno di un secolo ha visto il passaggio di Alarico e forse


di altri barbari, è stata amministrata da Ravenna e ha conosciuto l‟irradiazione capillare del cristianesimo. Ha conosciuto qualche scorreria barbarica ed alcuni episodi della guerra gotica, registrando il passaggio di condottieri come Totila, Belisario, Narsete. Ma i calabresi continuano la vita di sempre: parlano la stessa lingua, lavorano la terra come prima e orientano sempre più saldamente la propria vita secondo i nuovi valori della religione cristiana. Quando, pochi anni dopo la guerra gotica, in Italia arrivano i Longobardi, la Calabria rimane quasi interamente bizantina, cioè romea – come scrive Minuto –, e rimane bizantina o romea per cinque secoli, cioè fino alla metà dell‟XI secolo. I Longobardi giungono fino ad Amantea, occupano Cosenza, arrivano forse anche a Reggio, fondano gastaldati a Cassano, a Laino e forse a Bisignano, ma controllano in modo stabile soltanto la parte settentrionale della regione, l‟area delimitata dalla linea che va dal nord di Amantea, sul Tirreno, passa per la valle del Crati e giunge sullo Ionio al nord di Rossano. Per tutto questo tempo, fino all‟inizio della conquista normanna della regione, la Calabria resta bizantina, anche se subisce numerose incursioni e razzie, e anche l‟occupazione di alcune città come Amantea, Tropea e Santa Severina, da parte dei Saraceni, i quali dall‟827 iniziano la conquista della Sicilia, e, in seguito, anche dall‟isola portano attacchi alla Calabria. Le incursioni saracene non cessarono mai del tutto fino all‟inizio dell‟XI secolo. La Calabria, dopo essere stata magnogreca per diversi secoli e aver visto fiorire una civiltà raffinata, che ha lasciato molte tracce profonde nella vita della gente, almeno al sud della regione, come testimonia la presenza di varie comunità alle pendici sud orientali dell‟Aspromonte, che hanno conservato tenacemente il greco antico, diventa parte di un teatro di guerra e precipita in una grande confusione. Dopo la seconda guerra punica la regione è stabilmente e interamente inserita nell‟orbita dei Romani e vi rimane, sotto quelli d‟Occidente – se si trascura il periodo gotico – o sotto quelli d‟Oriente, fino allo scisma del 1054, cioè per circa tredici secoli. A questo lungo arco di tempo, secondo gli studiosi, vanno aggiunti due o tre secoli di “Bisanzio dopo Bisanzio”. Infatti, anche dopo la partenza dei bizantini, a seguito della conquista della regione da parte dei Normanni, questa terra rimane impregnata dei valori culturali e spirituali veicolati dalla buona novella dell‟evangelo e dall‟impero d‟Oriente. Perciò per altri secoli, nonostante la politica di latinizzazione della Chiesa di Calabria portata avanti con grande determinazione e successo dai Normanni, e


avallata dal papa, in questa terra restano presenti il rito bizantino e la lingua greca, e quella che Minuto chiama “la tradizione”, che, pur affievolendosi, non viene mai meno del tutto nei secoli successivi. Durante 1500 anni, secondo Minuto, si sedimenta un insieme di valori talmente forti e radicati che non scompariranno mai del tutto fino alla metà del secolo scorso, anche perché, grazie alla presenza di monaci anacoreti o eremiti, cioè che vivono in totale solitudine e praticano il più severo ascetismo, esicasti, cioè che vivono in gruppetti di due o tre in celle separate, e lavrioti, cioè riuniti in comunità, cenobi, con possibilità di appartarsi in regime eremitico, questa terra è stata evangelizzata in profondità, fin nelle sue viscere, come sostiene padre Pino Stancari nel suo libretto intitolato significativamente La Calabria, tra il sottoterra e il cielo. 3. I Romei Leggiamo adesso alcuni brani tratti dal capitolo “I Romei”. «Il Bruzio, ben presto denominato Calabria, fu inteso in maniera chiara e definitiva come la terra d‟Italia per eccellenza romaica, con tutti i risvolti sociali, culturali e anche sentimentali». La realtà storica della Calabria determina «la formazione di una fisionomia civile prettamente romana, secondo l‟aspetto orientale della romanità, quello, appunto, romaico, dal momento che i cinque secoli bizantini, sommati ai sette secoli di Roma repubblicana e tardo antica ed almeno ad altri tre da assegnare al fenomeno sociale e culturale della presenza di “Bisanzio dopo Bisanzio”, cioè della continuazione di questa civiltà nella memoria collettiva, ci danno un‟epoca lunga un millennio e mezzo». «La storia della Calabria Bizantina, coerentemente con quella dell‟impero dei Romei, è caratterizzata da due aspetti fondamentali: le vicissitudini drammatiche di lotte per la difesa dagli invasori (prima longobardi, poi saraceni e infine normanni) e l‟aspirazione ad un tenore di vita pacifico, fecondo di scambi e commerci con popoli diversi». «Il comportamento militare bizantino, oggetto di secolari e sprezzanti dileggi, rispondeva in effetti a quella fondamentale ispirazione a cui più sopra si è accennato. Nei trattati militari bizantini si ripete spesso che la guerra è il male peggiore, che va scongiurato con tutti i mezzi […] Infatti il nerbo della società bizantina era formato


da agricoltori e da commercianti, non da guerrieri». «L‟organizzazione amministrativa e fiscale bizantina faceva riferimento alla riforma voluta da Diocleziano […] La regolarità fiscale infondeva rispetto e forse anche fastidio, perché era severa, ma l‟amministrazione dello stato ispirava fiducia, perché era sentita presente e vigile. Per questo motivo, annota Andrè Guillou in un suo saggio divenuto famoso, i cittadini dell‟Italia romaica si sentivano nei confronti dello stato sia sudditi che familiari…» «La difesa del territorio, che è il principio generale della trattatistica militare romana dall‟età tardo imperiale a quella bizantina, divenne in Calabria particolarmente importante, sia perché questa regione era l‟unica terra rimasta interamente e costantemente bizantina in Italia, sia per l‟incalzante minaccia degli Arabi di Sicilia». «La tendenza a raccogliere la popolazione sparsa in centri abitati perdurò, ma […] la distribuzione della popolazione nei chorìa [cioè i borghi rurali che troviamo già nella Calabria magnogreca, n.d.r.] e nelle masserie ci permette di parlare di un accentramento sparso». «Ritengo, che nel secolo VIII, e anche un po‟ prima e dopo, quasi tutte le dimore in Calabria siano state ricavate scavando, non innalzando muri; l‟aspetto rupestre per quella età è attestato in tutte le principali città bizantine della Calabria: Gerace, Rossano, Santa Severina, Umbriatico e altre» «A parte i pascoli che costituivano un uso civico, cioè libero, ma regolamentato nello spazio e nel tempo, predominavano i giardini, con frutteti, ortaggi e coltivazioni per il consumo domestico. […] Per il commercio, predominavano le colture del gelso e della vite. L‟arte della seta era pervenuta in Calabria dall‟Oriente tramite la civiltà bizantina, che l‟aveva impiantata e incrementata. Essa fu la principale fonte di guadagno fino a tutto il XVII secolo e anche oltre» «Come dal gelso e dal baco si ricavava la seta, così dalle risorse del territorio, nella flora, nella fauna e nei giacimenti minerari, si traeva la materia per un numero assai grande e variegato di attività produttive, che non apportavano ricchezza traboccante, ma garantivano una povertà dignitosa e vivibile per la grande maggioranza della popolazione e mantenevano un uso della natura ben rispettoso dei suoi equilibri [ecocompatibile, diremmo noi, n.d.r.]».


Dai documenti risulta «una condizione diffusa di povertà senza miseria, in una società ordinata e serena [una vita sobria, n.d.r.], a parte le incursioni degli Arabi». «Fra il VI e il VII secolo crebbero di intensità le influenze culturali della Siria, della Palestina, dell‟Egitto e dell‟Africa con una notevole affluenza di persone e anche di sacerdoti […] Un esempio notevole degli apporti culturali con il bacino meridionale del Mediterraneo è il Codex Purpureus, uno splendido evangeliario miniato di provenienza siriana oggi custodito a Rossano». «I monaci creavano cultura e la diffondevano capillarmente. Il loro modo di vivere, ammirato da tutti, era un validissimo esempio dei rapporti liberi e senza timori reverenziali fra le persone, condizione espressa nel linguaggio bizantino con il termine parresìa che significa libertà e franchezza di espressione» «Verso l‟anno 730 della nostra era, un provvedimento dell‟imperatore Leone III [siamo all‟epoca della lotta iconoclasta, n.d.r.] staccò tutta l‟Italia meridionale dalla giurisdizione ecclesiastica del papa di Roma e la sottopose a quella del patriarca di Costantinopoli. […] Certamente, dall‟VIII secolo fino alla prima metà dell‟XI, tutte le diocesi calabresi furono bizantine […] Ma una diffusione più capillare, e grandemente convincente, fu opera dei monaci, portatori non soltanto di conoscenza ed esperienza religiosa, e nemmeno soltanto di quel tono culturale e intellettuale che da Costantinopoli e, dal X secolo in poi, anche dalla Santa Montagna dell‟Athos, si irradiava per tutto il monachesimo sparso nell‟ecumène bizantina, ma anche, e forse soprattutto, di quel modo di vedere le cose, di quel gusto del bello, [di quell‟attrazione della vita spirituale e contemplativa, n.d.r.]» che rimasero nel carattere dei calabresi. 4. Osservazioni Abbiamo trovato interessante l‟impresa compiuta da Domenico Minuto di raccontare la storia della gente della Calabria, anziché quella delle vicende della grande storia che hanno via via coinvolto i popoli che hanno dominato la regione, allo scopo di ricostruire l‟identità della nostra gente. Certamente l‟impresa è riuscita quando l‟autore, più che narrare puntualmente le vicende storiche, per le quali rimanda alle apposite


griglie che concludono ogni capitolo, si dilunga in un lavoro di interpretazione e di valutazione di quegli avvenimenti storici, allo scopo di cogliere caratteri di persistenza che possano gettare luce sull‟identità del calabrese. Naturalmente i titoli dei capitoli “I Romani”, “I Romei”, “I Normanni”, ecc. dovrebbero essere intesi così: “I calabresi al tempo dei Romani”, “I calabresi al tempo dei Romei”, “I calabresi al tempo dei Normanni”, ecc., mettendo in risalto la presenza nella regione di dominatori stranieri. In verità Minuto sostiene espressamente, in questo libro ma anche altrove, che la gente di Calabria al tempo dell‟impero bizantino si sentiva, e forse era considerata, parte della grande casa di Costantinopoli, forse anche perché molte persone che vivevano nella regione provenivano dall‟Oriente. Non c‟è dubbio che l‟opera Storia della gente in Calabria ci aiuta a capire meglio come è venuto sedimentandosi il patrimonio culturale, umano e spirituale dei calabresi, e di ciò, lo ripetiamo, siamo veramente grati a Minuto. Alcune domande però sorgono spontanee. 1) Perché il capitolo sulla Magnagrecia non è stato intitolato “Gli Italioti e i Brettii”, oppure semplicemente “Gli Italioti”, trattando in un capitolo a parte i Brettii? 2) Perché i Longobardi sono trattati nel capitolo “I Romei”, alla stregua dei Saraceni? Dopo tutto mentre i Saraceni non hanno mai occupato stabilmente parti consistenti della Calabria, i Longobardi, pur colloquiando sempre con l‟impero di Costantinopoli, di cui subivano il fascino e forse anche l‟influenza, hanno occupato per un periodo piuttosto lungo una parte considerevole della regione. 3) Perché si fa riferimento alla lingua, riportando parole greche, termini dialettali, toponimi, antroponimi presi quasi sempre dalla lingua della Calabria meridionale, quando, dagli studi del Rohlfs, del Mosino e di altri, noi sappiamo che la lingua della Calabria settentrionale è, invece, fondamentalmente una lingua neolatina? 4) È proprio vero che i calabresi, ad esempio quelli del X e XI secolo, erano parte della famiglia di Costantinopoli? Perché allora non hanno opposto resistenza alla penetrazione dei Normanni? Ciò è dovuto solo al desiderio dei calabresi di vivere in pace? 5) Che dire del capitolo “Gli Italiani”? Certamente con gli Italiani nasce la Questione meridionale, ma si poteva evitare il processo storico risorgimentale? Queste domande possono valere come primi spunti per il dibattito che seguirà. Concludo con un omaggio, l‟“Inno alla carità” di s. Paolo tradotto nella mia lingua madre.


5. Conclusione: ’A carità (1Cor 13,1-7) Puru ca canuscera ttutte ‟e lingue ‟e ru munnu, parrate ‟e l‟uomini e dde l‟angiuli, ma unn avera ra carità, sugnu cumu na campana rutta o cumu na catarra šcasciata. E ppuru s‟avera ra grazzia ‟e fare prufezzie e ppuru ca canuscera ttutte ‟e cose e ttutta a scienzia, er avera na fira perfetta ppe pputire špustare puru ‟e muntagne, ma unn avera ra carità, un sugnu nenta. E ppuru ca rigalera add‟atri tuttu chiddu ca tiegnu e gghiettera ru cuorpu mia ‟ntru fuocu pper essare vrusciatu, ma unn avera ra carità, nente m‟aggiova. ‟A carità tena ppacienzia, è benigna ‟a carità; unn è mmiriusa ‟a carità, un s‟avanta, un s‟unchia, unn offende, u bba ‟ncerca e guaragnu, un s‟arraggia, un sa pigghia ppe ru malu ricivutu, u ggora ppe ll‟ingiustizzia, ma li piacia ra verità. Cummogghia ttuttu, crira a ttuttu, špera ttuttu, cumporta ttuttu, ‟a carità.

Riflessioni delle classi III DM, IVDM, VDM, IIIFM, coordinate da Giuseppina Barrese, lette da Iolanda Coscarelli Nel 1806 i Borboni di Napoli furono espulsi dal loro regno, la cui corona fu data a Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, imperatore dei francesi. Anche questa volta i sovrani si rifugiarono in Sicilia, sotto la protezione inglese, e da qui tentarono inutilmente di suscitare un‟insurrezione popolare antifrancese come quella del 1799. È necessario, a mio avviso, ricordare che allora il ritorno a Napoli dei sovrani ebbe un carattere più drammatico che negli altri stati italiani, infatti la gloriosa Repubblica Partenopea non fu abbattuta dall‟esercito della seconda coalizione, ma dall‟insurrezione popolare organizzata e diretta dal cardinale calabrese Fabrizio Ruffo. Sbarcato clandestinamente in Calabria dalla Sicilia, rivolse un appello alle popolazioni invitandole ad insorgere in nome del re e della fede cattolica. Le masse contadine si raccolsero in grosse bande, guidate da capi locali, tra cui ricordiamo Michele Pezza meglio conosciuto come fra‟ Diavolo, e confluirono nell‟esercito della Santa Fede comandato


dallo stesso cardinale Ruffo, che entrò vittorioso a Napoli il 20 giugno 1799. Ferdinando IV, quindi, aveva riconquistato il trono anche in virtù delle bande sanfediste calabresi. Per quali motivi nel 1806 le masse contadine calabresi non risposero al suo nuovo appello? È opportuno ricordare che questa volta Ferdinando e la corte furono costretti a rimanere a Palermo, sotto la protezione armata degli inglesi, fino al 1815, anno della caduta di Napoleone. Giuseppe Bonaparte fu re di Napoli dal 1806 al 1808, quando fu chiamato dal fratello ad occupare il ben più importante trono di Spagna. L‟imperatore assegnò il regno di Napoli a Gioacchino Murat, valoroso generale e marito di sua sorella Carolina, che rimase al potere fino al ritorno dei Borboni. Negli otto anni di regno Gioacchino cercò di avvicinarsi alla gente di Calabria, di conoscere le condizioni di vita, le abitudini e le esigenze dei Calabresi, dai quali era stato accolto con feste ed onori. Il suo potere, tuttavia, era legato indissolubilmente alle sorti del cognato, infatti dopo la caduta di Napoleone il Congresso di Vienna nel 1815 restituì il trono a Ferdinando IV di Borbone, che divenne Ferdinando I del Regno delle Due Sicilie. Gioacchino, l‟8 ottobre del 1815, sbarcò a Pizzo Calabro nel disperato tentativo di rioccupare il Regno, ma venne arrestato da un capitano borbonico. Il generale Vito Nunziante e i militari borbonici che lo giudicarono con un processo sommario e lo condannarono a morte, gli manifestarono il loro rispetto mentre alcuni contadini lo insultarono come risposta all‟invito di battersi per nobili ideali. Fu fucilato il 13 ottobre del 1815. La restaurazione pose sotto l‟egida austriaca il Regno, riconquistato dai Borboni. Il nuovo corso durò per quarantacinque anni con quattro re: Ferdinando I fino al 1825, Francesco I fino al 1830 (soltanto cinque anni di regno!), Ferdinando II, che aveva vent‟anni e rimase al potere fino al 1859 ed infine Francesco II, che il 21 ottobre del 1860 fu spodestato dal plebiscito in favore dell‟annessione al Piemonte. Ferdinando I, nei primi anni di regno, si dimostrò benevolmente aperto alle istanze del popolo, adottò “la politica dell‟amalgama” per sanare le lacerazioni del tessuto sociale e concesse la costituzione. In seguito però cambiò atteggiamento, sciolse il Parlamento e abolì la Costituzione. Gli ultimi anni di re Ferdinando e del suo governo assolutista furono impegnati, senza riuscirvi, a sollevare le sorti dell‟economia. Francesco I, nei suoi cinque anni di regno, continuò con la politica assolutistica del padre, resa ancora più pesante dalla grave depressione economica, aggravata dalle spese di


mantenimento di truppe straniere, prima austriache, di occupazione, e poi svizzere arruolate dal governo. Il terzo re, Ferdinando II, appena ventenne, s‟ispirò alla politica del nonno, suscitando grandi speranze. Egli acquistò grande popolarità impegnandosi a ridurre le spese parassitarie, a cominciare da quelle della corte ed affrontò opere pubbliche di rilievo come la tratta ferroviaria Napoli-Caserta e in Calabria la ferriera della Ferdinandea e la creazione di una via per il disbrigo del servizio postale, che consentiva alle “Regie Poste” di raggiungere le contrade calabresi. In questo periodo le condizioni di vita della gente calabrese erano alquanto arretrate e precarie, era abituata ai Borboni e rispettava con grande religiosità le autorità pastorali. Considerato tutto ciò, viene spontaneo chiederci: “Come si diffusero le idee risorgimentali?”. La spiegazione potrebbe essere la seguente: i calabresi accettarono il movimento risorgimentale per “rispetto” verso gli ambienti clericali e i signori benestanti, aperti alle nuove idee liberali, non per convincimento, infatti alcuni non sapevano nemmeno cosa fosse l‟Italia e quando inneggiavano alla “calia” pensavano si trattasse dei ceci abbrustoliti che si mangiavano durante le festività religiose. I garibaldini che nel 1860 portarono l‟Italia nel Sud e la promessa di maggiore giustizia sociale furono accolti in Calabria con fiduciosa curiosità. Ma le attese che avevano indotto la gente a sperare in Garibaldi vertevano sulla giustizia distributiva delle terre, ma anche questa volta i calabresi rimasero delusi, come era accaduto precedentemente. Poi nel 1866 ci fu la terza guerra d‟indipendenza italiana, in seguito ci furono tentativi di espansione coloniale in Africa e nel 1912 le autorità italiane governarono il Dodecanneso del mare Egeo. A queste guerre la gioventù calabrese partecipò per obbligo senza che gran parte della popolazione fosse informata e consapevole. Soltanto con le due guerre mondiali la Calabria fu coinvolta pienamente e a vari livelli. La prima guerra mondiale creò l‟unità d‟Italia con la mescolanza del sangue versato da tutti gli italiani, compresi i calabresi, animati da un profondo amor di patria. In Calabria il sacrificio dei soldati caduti ebbe soltanto il dono delle tabelle commemorative e anche questa volta le masse non ebbero quella giustizia distributiva dei beni demaniali che sentivano di meritare. La cocente delusione, tuttavia, invece di sfociare nell‟avvento del socialismo al potere, fu insieme coartata e gestita dalle classi che lo detenevano fin dall‟unità d‟Italia e nacque la dittatura fascista (19221945). A partire dagli anni Venti del XX secolo ci fu una forte ondata di emigrazione soprattutto di contadini calabresi verso l‟America del


Nord e verso i paesi anglosassoni d‟Europa. Dopo la seconda guerra mondiale, ancora una volta, la Calabria fornì lavoratori affamati, e quindi a buon mercato, ma non più agli Stati Uniti, bensì alle industrie italiane del Nord ed alle nazioni europee. Dopo il cosiddetto boom economico degli anni ‟70 Ë continuata l‟emigrazione verso l‟Italia settentrionale, ma non in maniera massiccia come un tempo e con una novità in più: questa volta ad emigrare non sono stati soltanto i braccianti ma sempre più numerosi studenti, laureati e professionisti hanno dovuto lasciare la loro terra. Attualmente nella nostra regione si sta verificando un fenomeno paradossale. La Calabria, infatti, che per le sue attuali condizioni economiche potrebbe essere considerata un “terzo mondo” in Europa, è vista dai nuovi poveri come “una terra promessa”. Tutto ciò dipende dal fatto che la Calabria, in questo momento, fa parte di quella minoranza che nel mondo sta schiacciando la maggioranza dei popoli che stanno diventando sempre più poveri per l‟egoismo di pochi. Ma il problema più grave è che i calabresi, pur facendo parte di quella minoranza dei padroni del benessere, non godono appieno degli stessi vantaggi degli altri cittadini europei e forse un giorno saranno costretti a pagare il conto per il loro cieco egoismo nella stessa misura o forse più degli altri. Attualmente la vita economica mondiale è diretta sempre più dalle multinazionali, che tendono a trasformare la comunità mondiale in un unico mercato, in cui la categoria dei consumatori è allargata a dismisura, mentre la distribuzione dei beni, compresi quelli di prima necessità, è del tutto diseguale perché dipende dal potere economico delle singole comunità e dal loro peso nell‟equilibrio delle forze che governano il mondo. Queste forze sono guidate da un‟unica ed inflessibile legge: la ricerca del guadagno. Tutto è subordinato al “dio denaro”, all‟altare del quale anche il valore della persona umana e dei suoi diritti fondamentali deve essere devotamente sacrificato. Il pregevole ed interessante libro del preside Domenico Minuto, termina, per quanto riguarda il presente, con una data che potrebbe diventare fatidica per i posteri: il 15 gennaio 2005. Cosa è avvenuto di così importante? “Una sonda terrestre si è posata sul suolo di Titano, satellite di Saturno, mostrando un ambiente che sembra favorevole ad ospitare la vita”. Potrebbe essere l‟ultima speranza dei calabresi, ossia la loro terra promessa, un luogo che faccia dimenticare tutte le delusioni storiche patite dalla gente di Calabria? Cosa dobbiamo augurarci, preside?


Riflessioni della classe IIIAM, coordinata da Alfio Moccia, lette da Eleonora Miracco Quando il nostro insegnante di storia ci ha proposto l‟iniziativa del gruppo, noto nel nostro Istituto come SOS scuola, molti di noi alunni accolsero la proposta con un certo distacco e qualcuno forse anche con un po‟ di fastidio. Che noia, che seccatura, ancora un libro di Storia! Come se non bastasse quel mattone di testo che ci dobbiamo sorbire 2 volte la settimana! Poi, un po‟ per la capacità del nostro insegnante di risvegliare in molti di noi l‟interesse per l‟argomento proposto, cioè la Storia della gente in Calabria, un po‟ per la curiosità suscitata dal tema, abbiamo iniziato il breve percorso attraversando idealmente alcuni secoli di questa nostra regione, di cui proprio noi calabresi non conosciamo né la storia né la geografia e tanto meno molti aspetti della sua articolata vicenda storico-culturale del passato e della realtà presente. D‟altra parte chi mai si è preoccupato di farci conoscere la storia vera e integrale della gente in Calabria? Ci pensa forse la grande informazione mass mediatica più preoccupata di informare su fatti e misfatti di cronaca nera riferibili alla “ndrangheta” alle sciagure quotidiane naturali e no? Con i gusti del nostro tempo non conviene più impegnarsi a spettegolare sui vizietti privati e le pubbliche virtù dei nostri politicanti e dintorni che non a informare e formare la gente a prendere coscienza della propria storia e del recupero della propria identità culturale? Ma questo è un altro discorso. Tornando al tema la nostra classe, con l‟aiuto del nostro insegnante, ha incominciato a leggere il libro del prof. Minuto, affezionato figlio della nostra terra, come egli stesso afferma. E man mano che la lettura procedeva ci accorgevamo che la storia della nostra Calabria è ricca di eventi collegabili con tutta la storia d‟Italia e d‟Europa. Abbiamo conosciuto la storia di una Calabria che non sempre corrisponde a quella dei nostri testi ufficiali di storia, dove perfino il nome appare raramente, preferendo gli autori dei testi scolastici parlare genericamente di Magna Grecia, di Regno di Napoli o delle due Sicilie. Nel libro del prof. Minuto abbiamo trovato notizie e informazioni originali a noi sconosciute che hanno destato in noi molto interesse per la storia della nostra terra. Il contenuto del libro per la ricchezza delle informazioni e per la profondità delle riflessioni pare contrasti con le dichiarazioni fatte dall‟autore nella premessa del libro, sulla sua presunta ignoranza di molti aspetti della storia della Calabria. Sappiamo, anche per le notizie bio-bibliografiche fornite dal nostro insegnante, che il prof. Minuto non solo è studioso della Calabria ma ne è anche un figlio devotissimo. Infatti l‟autore, seppur


con efficace sintesi, nel libro presenta tutta la storia della nostra regione, abbraccia tutto l‟arco cronologico degli eventi, a partire dalla preistoria fino ai giorni nostri. Ottima ci è parsa la scelta dell‟autore di proporre alla fine dei sedici capitoli del libro sedici tavole sinottiche che condensano con testo sobrio e sintetico la successione cronologica degli eventi riferibili al periodo storico trattato nel capitolo. Il lettore dispone così di un riassunto degli eventi e può effettuare tutti i collegamenti possibili sia in ordine sincronico che diacronico. Il testo principale guadagna in questo modo in semplicità e chiarezza, non essendo condizionato dalla serie di nomi e di date, riportate invece nelle griglie. Per motivi diversi, ma soprattutto per scelta del nostro docente, abbiamo curato in modo particolare la lettura dei capitoli 6, 7, 8 e 9 relativi ai periodi storici dall‟anno 1000 circa fino al sedicesimo secolo e riferiti alla presenza in Calabria di normanni, svevi, angioini e aragonesi. La scelta è stata motivata dalla coincidenza degli argomenti con la programmazione modulare di storia per la nostra classe per questo anno scolastico. Leggendo le pagine del libro relative a questi periodi storici abbiamo potuto capire il ruolo della nostra regione nel contesto storico-culturale italiano ed europeo. Abbiamo finalmente capito perché in Calabria ci sono tanti castelli, tante chiese, tanti monasteri e santuari, tante lingue e tante testimonianze del passato ancora ben visibili anche a chi non sa o fa finta di non sapere. Ma per merito del prof. Minuto, abbiamo anche capito perché la nostra regione è rimasta indietro nel processo di sviluppo economico e stenta ancora a riscattarsi da una complessa eredità culturale fatta di alti e bassi, di grandi contraddizioni, di luci e di ombre, di promesse e di tradimenti, spesso in balia di pirati di ieri e di oggi. A farne le spese è stata sempre la gente comune, laboriosa e fiduciosa in Dio, ma spesso anche tradita e sfruttata dalle oligarchie di potere di turno, ma nobili veri e falsi ai quali si rivolgeva sempre col cappello in mano ma con tanta rabbia dentro. Nella conclusione del libro, l‟autore con un po‟ di velata malinconia ma con una segreta speranza, auspica un giorno in cui anche la Calabria troverà il suo riscatto etico e socio-economico e i calabresi non saranno più sudditi o clienti di politicanti improvvisati e disonesti, di padroni vecchi e nuovi. E come già fu nei secoli suoi più illustri ancora una volta la luce verrà dall‟oriente! E se il futuro dovesse riservare alla Calabria difficili prove sicuramente ci saranno tanti figli di questa terra che, come Domenico Minuto, ne difenderanno l‟onore e la memoria storica.


Dibattito Professore Mario De Bonis: Inizia con il dare il benvenuto all‟autore del libro, Domenico Minuto, ringraziando la scuola per l‟iniziativa che la vede impegnata, stimolando e invitando i ragazzi a leggere, in quanto si legge poco e mal volentieri. Una citazione che il professore riporta è quella di Cicerone; lui diceva di aver paura di chi compra i libri perché i libri si comprano, ma non si leggono. Il professore continua dicendo: «Nelle scuole i libri di testo rimangono intatti, dopo mesi e mesi rimangono ancora nel cellophane come se non fossero stati mai utilizzati, come se non fossero utili per comprendere meglio le dinamiche sociali. Ricordate che chi legge non è mai solo, la lettura è un confronto. San Tommaso diceva “ho paura di un uomo che legge”. Infatti è meglio essere speciali in poco e superficiali in tutto. Le statistiche ci dimostrano quanto l‟Italia, sia ancora oggi sotto la media per quanto riguarda la lettura, infatti si legge molto, molto poco. Foscolo diceva “io di un solo libro mi nutro”, utilizza il termine nutrire perché attraverso i libri, come attraverso il nutrimento, si cresce. Il nostro istituto tra 37 scuole ha partecipato al progetto di invito alla lettura». Il professore inoltre continua con il ringraziare il professore Minuto, perché è un esperto conoscitore della nostra terra, appartenuta alla Magna Grecia e della quale dobbiamo esserne fieri. Alla fine sottolinea il fatto che l‟autore ha un velo di tristezza intravedendo un orizzonte non molto positivo. Ma è necessario, ribadisce conoscere il passato per conoscere il futuro. Dott.ssa Chiara Marra (Fondazione Rubettino): Dopo aver ringraziato la scuola afferma che la Fondazione Rubbettino si limita a cogliere l‟invito nel collaborare da dieci anni con le scuole di Cosenza. La Fondazione Rubbettino promuove una serie di attività di educazione alla lettura rivolte a tutti e in particolare agli studenti. Si dice lieta di mettere a disposizione le forze della Fondazione Rubbettino per collaborare con la scuola in questo progetto di invito alla lettura. Ieri a Bisignano si è tenuto un incontro con l‟autore Minuto ed ha decretato un certo successo. Nella premessa del libro l‟autore spiega che ha resistito nello scrivere la struttura della Calabria, ma alla fine ha ceduto regalandoci un libro che offre nuovi scenari e scorci della nostra terra. L‟autore spiega inoltre che non c‟è opera dell‟uomo che sia priva di ragione e parla ai calabresi come uomini che vogliono essere parlati.


Domande degli studenti all’autore: Minuto: Vi ringrazio per la presenza e la relativa attenzione che un‟aula grande come questo auditorium ha limitato. Grazie soprattutto per la grande pazienza di ascoltare mostratami. Le domande che mi sono state presentate sono molto serie e per potervi dire quello che penso nel mio cuore dovrei impegnare altre ore del vostro tempo. Ringrazio inoltre il professore Cariati che con tanta pazienza ci ha letto qualche passo del libro. Alessio: Come ha scelto le informazioni della griglia dove sono riportate date e luoghi? Minuto: secondo le mie possibilità di conoscitore. Dovete sapere che io non amo, non conosco spesso, le date. Io ho voluto fornirvi un servizio cercando di distinguere le date del libro da tutte le date che possono esserci nel mondo riguardante la Calabria. Il problema di porre delle date diventa particolarmente sentito quando il passato diventa significativo per conoscere il presente. Per cui potremmo dire che contemporaneamente il tempo è un concetto concreto e astratto. Il passato non esiste ma neanche il presente ed il futuro. Però il tempo esiste perché noi viviamo nel tempo. Alessandra: Ancora oggi noi giovani possiamo trovare la gioia di ritrovare ciò che ci è stato lasciato? Minuto: Sono reali ancora oggi voi giovani potete trovare la gioia di rinvenire, scavando, ciò che ci è stato lasciato. La nostra terra è piena di reperti, scavi. Sibari e Crotone ne sono un esempio: qui troviamo cocci, case, resti che ci fanno sognare. Abbiamo conosciuto dalle notizie dei tg gli utilizzi del sottosuolo e i fondi marini per il deposito dei rifiuti: ciò rappresenta l‟inizio della fine. Elisa: Come vede gli italiani: colonizzatori (greci) o come gli stati europei? Minuto: Sono italiano, l‟Italia è come l‟aria e siamo contenti della nostra terra. Da un altro punto di vista c‟è un popolo che ha avuto i suoi organismi e i suoi capi; che ha una condizione di vita in cui ogni strato sociale può porsi da interlocutore con lo Stato. Nel corso della storia i vari governi che si sono succeduti di volta in volta ci hanno fatto soffrire e ci fanno soffrire ancora oggi. Ma abbiamo sempre avuto una tendenza che ci chiama alla vigilanza e alla libera civiltà costituzionale.


Francesco: Come vede il futuro della nostra terra? Minuto: Voi siete la speranza del futuro però avete ricevuto da noi problemi e questioni che preannunciano un avverso futuro. Nella mia visione penso che voi dovete credere nel futuro ma sono molte le difficoltà che le generazioni precedenti vi hanno lasciato, ma la generazione della speranza per me non c‟è. Marialuisa: Secondo lei è ancora presente in noi giovani questo sentimento di appartenenza alla propria terra che ha dimostrato di avvertire ardentemente nel suo libro? Minuto: Esiste la Calabria? Esiste un cuore che dice che c‟è! Ma, come il tempo, la Calabria non esiste, noi stiamo nel mondo però è anche vero che noi apparteniamo all‟Unione Europea, che sta creando un sacco di difficoltà agli altri popoli. Noi però siamo popoli del benessere. Quando penso ai calabresi non posso non commuovermi anche se siamo molto feroci perché sentiamo che viviamo in Calabria ma la realtà è molto complessa. Chiara: Come possiamo conservare le nostre tradizioni? Minuto: La tradizione resta tale perché si trasforma, restando fedele a se stessa. Però mi contraddico perché alle volte anche la forma è bene conservare. Noi calabresi siamo gente pacifica, perché se possiamo non reagiamo violentemente. Giovanni: Com‟è la condizione dei calabresi nell‟età spagnola? Minuto: Migliore della nostra per un semplice fatto perché era costituita da tutti gli aspetti della società che dovevano subire le oppressioni delle persone più potenti. L‟età spagnola è considerata un‟epoca terribile perché dovevano fare i conti non solo con i potenti, ma anche con i corsari. Ma la dominazione spagnola ha comunque cambiato il volto paesaggistico della nostra Calabria apportando nuovi elementi della terra. Mario: Quali sono i rapporti tra mafia, economia, politica, intellettuali? Minuto: Quasi tutti oggi siamo intellettuali, la società ci chiede un servizio tramite la testa. Mi auguro che voi siate intellettuali coscienti. La gente della mia generazione ha fatto schifo. L‟adulazione del lucro ha tramutato gli uomini in carnefici. Oggi si comincia a riflettere sull‟esistenza della persona umana.


Un ragazzo di Calabria (Appunti dal dibattito seguito alla visione del film nella riunione di SOS Scuola dell‟8 maggio 2007 a cura di Eleonora Marino). Giorno 8 maggio alcuni componenti del gruppo SOS scuola si sono riuniti nella sala video dell‟ITC “V. Cosentino” di Rende per la visione del film Un ragazzo di Calabria. All‟incontro erano presenti circa dieci studenti. Due parole sul film: In un paesino agricolo della provincia di Reggio Calabria vive la famiglia di Mimì, un ragazzo tredicenne con la passione per la corsa. Suo padre Nicola, ex contadino attualmente guardiano in un ospedale psichiatrico, è un uomo dai modi bruschi e con la passione per la caccia, che vorrebbe che il primogenito studiasse, si facesse strada nella vita e quindi ostacola in ogni modo le aspirazioni sportive del ragazzo. Sua madre, dolce e riservata, cerca di proteggere il figlio dalle ire paterne e di nascosto lo asseconda nei suoi sogni di gloria. A spronare Mimì e a spingerlo a credere in sé c'è anche la simpatia che nutre per Crisalinda, una bella ragazza del paese che gli sorride durante le sue corse nel verde della campagna calabrese. Ad incoraggiare maggiormente Mimì e a dargli consigli tecnici veri e propri c'è anche Felice, l‟autista della vecchia corriera del paese, zoppo dalla nascita, solo, emarginato e malvisto dalla gente del luogo per le sue idee comuniste, che nelle aspirazioni sportive del ragazzo rivede i suoi sogni e i suoi ideali giovanili miseramente irrealizzati. Mimì però deve vincere tante difficoltà: infatti le prime gare si risolvono in un fallimento poiché non è abbastanza allenato e non sa ancora ben utilizzare le sue energie. A scuola ha uno scontro violento con l‟insegnante di italiano per cui è costretto a ritirarsi. Il padre “padrone” è sempre più arrabbiato con lui per la sua ostinazione di voler correre a tutti i costi, per cui lo porta a lavorare duramente da un cordaio. Però la mamma, dopo essere stata convinta da Felice che il ragazzo ha veramente la stoffa del maratoneta, si reca da zio Peppino, il capo indiscusso del paese, rispettato da tutti, e gli propone di persuadere Nicola a far correre Mimì. Il vecchio è d‟accordo; se Mimì si classificherà fra i primi sarà lui stesso poi ad aiutarlo anche in


seguito a diventare un vero campione. Il giovinetto vince le qualificazioni in Calabria e a Roma, alle gare nazionali arriva addirittura primo. Finalmente il suo sogno è realizzato: Felice esulta poiché era sicuro delle sue potenzialità; la madre è commossa perché quasi non crede che suo figlio sia così in gamba; il padre è pentito e senza parole, convinto ormai che Mimì aveva ragione.

Alla visione del film segue un breve dibattito nel quale sono intervenuti tutti coloro che hanno partecipato a questo incontro. Ecco le opinioni di ognuno: Tommaso: È un film particolarmente sentito da noi calabresi, non solo per la vicenda, ma anche per l‟ambiente, prettamente calabrese, dove si svolge la storia di questo giovane maratoneta. È facile notare che il dialetto degli attori non è del tutto calabrese ma c‟è una mescolanza di dialetti stretti delle varie regioni del Sud. Giuseppina: Gian Maria Volontè è un attore eccezionale ma sono rimasta incantata dalla bravura dei protagonisti in generale. Vorrei evidenziare inoltre la figura della mamma che dai suoi atteggiamenti si rispecchia la tipica mamma calabrese, tenera, dolce e decisamente protettiva nei confronti dei propri figli!” Maria Luisa: Mi ricorda Billy Elliot! Ci sono diversi punti simili tra i due film come la figura del padre ad esempio, in entrambe le storie allo stesso modo essi si scontrano con le ambizioni dei figli, ma allo stesso


modo si ritrovano a non essere più convinti delle loro opinioni quando cominciano a vedere il concreto nei sogni dei due giovani protagonisti. Farei un confronto anche per la funzione della maestra, mentre in “Billy Elliot” la sua presenza è indispensabile, in “Un ragazzo di Calabria” si confonde con una donna prepotente che attraverso un tema non riesce a cogliere i sogni e le speranza di un giovane studente. Sono rimasta colpita particolarmente da alcune parole di Felice: “qui la gente non sogna, le persone se hanno qualcosa in più o qualcosa in meno vengono comunque giudicate”. Costantina: Rispecchia la nostra società calabrese. Mi piace il finale positivo, ma avrei preferito vedere la reazione del padre di Mimì quando si sarebbero trovati l‟uno di fronte all‟altro. Ho notato che in questo film e probabilmente a quei tempi lavoravano solo le donne! Maria: La scuola mi pare che venga vista essenzialmente come riscatto sociale. Vorrei fare un confronto sulle ambizioni che ogni persona riserva in sé: mentre in quegli anni il talento per essere portato avanti bisognava coltivarlo con fatica, e soprattutto lottare contro la famiglia, oggi i genitori sembrano ostinati a voler cercare del talento nei propri figli. Luca: Io non giustificherei il padre di Mimì come colui che si costruiva una maschera. Non condivido assolutamente la violenza in generale e qui vediamo proprio il papà picchiare il figlio nelle gambe per impedirgli di continuare a correre. Non mi piace nemmeno come il capofamiglia tratti la moglie. Ricorderei la riforma del 1975 che a mio parere ancora non è stata del tutto attuata in tutti i suoi punti. Esistono purtroppo ancora oggi le classi sociali emarginate, i disaggi economici, la violenza e la eccessiva autorità dei padri sulla famiglia. Mario: Penso che Felice sia l‟unico che ha creduto dall‟inizio nelle capacità di Mimì. Felice non lo giudica per i buoni voti a scuola, ma per quello che Ë lui come persona, come sognatore. Mi è sembrato che in tutta la vicenda il padre parlasse del figlio solo per la scuola e non per altro. Ricordo che questo film è stato prodotto dal regista ispirandosi alla storia di Francesco Panetta, un giovane di Siderno, che amava correre. Roberta: Condivido la speranza nel riuscire a realizzare i propri sogni. Mi pare di aver visto che in quegli anni ognuno avesse un compito ben preciso da svolgere, la mamma era la donna di casa che accudiva la


famiglia, il papà l‟uomo che badava alla famiglia, o meglio, il capofamiglia che vigilava sulla famiglia e così via. Penso che tutti debbano avere la possibilità di dimostrare ciò che si è capaci di fare. Cosimo: Gian Maria Volontè è uno degli attori più noti dei nostri tempi. Il film si presta ad una moltitudini di spunti pedagogici. Vengono messi in risalto la famiglia calabrese e gli ambienti socioculturali. Vorrei ricordare alcune frasi dei vari personaggi che mi hanno colpito: “il primo devi essere non il secondo” (il papà a Mimì); “tu devi sognare, hai diritto di sognare” (Felice a Mimì); “io non so fare niente, studia che zio Peppino ti aiuterà”; “io così ci sono nato, mia madre era bellissima ma anche questo è un disagio perché comunque sarai guardato con sospetto”. Eleonora: Come diceva Luca non condivido per niente i modi prepotenti e autoritari del padre. Penso che Felice, l‟emarginato del paese, sia in realtà la figura di un padre da voler bene e da essergli grati. Come Mimì, credo nei sogni e nelle speranza che un giorno quest‟ultimi si avverino.


Avanti SOS con coraggio, decisione e libertà (Appunti di Rosa Filippelli dalla riunione di bilancio del gruppo SOS scuola del 7 giugno 2007) Per la riunione di bilancio del secondo anno di vita del gruppo SOS scuola le persone sono state invitate a riflettere utilizzando le seguenti domande: 1) Come giudichi, ora, il grado di coesione del gruppo e le relazioni interpersonali al suo interno? 2) Quale attività quest‟anno ha contribuito a farti crescere maggiormente sotto il profilo umano, culturale e spirituale? 3) Quanto le attività realizzate quest‟anno hanno incontrato i bisogni e le aspettative del gruppo? 4) Quali frutti maturano nella comunità (classe, scuola, famiglia, altro) grazie alla presenza del gruppo? Premessa di Rosa Filippelli Questo è stato il secondo anno che il gruppo SOS scuola ha operato. Il motivo per il quale è nato è quello di rispondere alle istanze che provengono dal mondo giovanile e da quello della scuola che dovrebbe sostenere e curare il primo. Siamo in un periodo storico di smarrimento, di “crisi dei valori”, non si hanno più punti di riferimento precisi, non esistono figure guida che ci sostengano nei momenti di crisi. Nella nostra società è cresciuta la litigiosità, l‟insofferenza, l‟isolamento, la confusione dei ruoli in maniera direttamente proporzionale alla crescita del benessere, del consumismo, del divertimento, del “tutto e subito”. Ecco, il gruppo SOS scuola è nato per cercare di fare chiarezza in tutto quello che ci sta succedendo, per essere, nella nostra scuola, quel punto di riferimento che a volte ci manca. La scuola, che opera nella società, deve essere capace di filtrare la realtà che da questa proviene, accogliendo e sostenendo le istanze di cambiamento in positivo, ma deve, nello stesso tempo, essere un baluardo di difesa da quei condizionamenti che ci snaturano. Bisogna essere capaci di discernere “quello che ci fa bene” da “quello che ci fa male” e gli operatori scolastici, immersi anch‟essi nel sistema società, non sempre riescono a farlo. Da qui nasce la necessità di un punto di aggregazione dove


cominciare a riflettere sulle “cose che non tornano”, dove insegnanti, alunni e genitori, invece di addossarsi vicendevolmente le colpe, in una sorte di “gioco dello scaricabarile”, finalmente si confrontino sui problemi, che prima bisogna riconoscere, per poi affrontare con adeguatezza di mezzi. Non a caso il primo problema che SOS scuola ha affrontato è stato quello degli “idoli” che imperversano nella nostra società, promuovendo una serie di incontri su questo argomento e sulla ricerca alternativa di valori veri e liberanti. È stato un primo passo, ma ha attirato l‟attenzione di tutti, soprattutto dei ragazzi che hanno raccontato tante cose a questo proposito sorprendendoci per la ricchezza delle riflessioni. È caduto un muro. Abbiamo capito che giovani e adulti hanno tante cose da dirsi e da scambiarsi se solo superano le convenzioni che li vorrebbero eterni antagonisti. Alla luce di quanto detto, penso di poter affermare che un gruppo si è costituito, seppure tra mille problemi organizzativi e logistici, e che al suo interno le persone hanno potuto esprimere le loro considerazioni con la certezza di essere ascoltati e che ognuno si sia avvalso della testimonianza dell‟altro per riflettere e così comprendere meglio. Non mi sembra poco in una società che ci vorrebbe “monadi” isolate e facilmente influenzabili. Quest‟anno le attività di SOS scuola sono state indirizzate alla crescita culturale, umana e spirituale del gruppo con l‟invito alla lettura e alla visione di produzioni cinematografiche. È stata proposta la lettura di tre libri scelti al fine di offrire ai lettori una conoscenza approfondita delle origini e delle problematiche della realtà calabrese:  Lettere dalla Calabria di Duret de Tavel – Rubbettino;  La Calabria, tra il sottoterra e il cielo di Pino Stancari – Rubbettino;  Storia della gente in Calabria, dal passato al futuro di Domenico Minuto – Qualecultura/Jaca Book. Sono risultate letture molto gradite, anche ai ragazzi, che hanno imparato che la storia non è una materia scolastica alquanto noiosa, ma che è storia delle persone che la hanno vissuta e che noi, oggi, siamo il risultato delle scelte e delle azioni di quelle persone. Anche la visione dei film:  Gioventù bruciata;  Billy Elliot;  Un ragazzo di Calabria; è stata seguita attentamente, in particolare dai ragazzi. Le


pellicole sono state scelte con l‟intento di stimolare il dialogo su tematiche che li riguardassero da vicino, come: la ricerca di approvazione da parte del gruppo di coetanei; la ricerca di affermazione personale; il rifiuto dei condizionamenti culturali e sociali che ci impediscono di crescere. Dai dibattiti che hanno seguito sia le attività di lettura, sia di visione dei film, è emerso che nella nostra realtà ci sono delle forze assopite che vanno ridestate, che i giovani sono pieni di energie che però disperdono perché non sono abituati ad affrontare le difficoltà giacché nessuno li ha educati alla fiducia in se stessi e alla perseveranza. Le attività intraprese da SOS scuola hanno sicuramente offerto ad ognuno dei partecipanti delle opportunità di riflessione, una presa di coscienza dei pericoli che ci insidiano e che ci impediscono di realizzarci come persone e come educatori. Ci hanno mostrato che il dialogo e l‟ascolto sono strumenti per costruire un mondo dove c‟è posto per tutte le istanze, dove ognuno possa liberamente e proficuamente trafficare i propri talenti. Dibattito Apre il dibattito Tommaso che ricorda quanto programmato e quanto realizzato quest‟anno. Il bilancio risulta nettamente in attivo, in quanto, sebbene non sia stato possibile leggere il libro di Alvaro né vedere il film Nuovo cinema Paradiso, si è riusciti a svolgere molte altre attività non programmate, quali:  Incontro sulla legalità;  Collaborazione con la Fondazione Rubbettino che ha permesso di incontrare l‟autore Domenico Minuto;  Incontri all‟UNICAL tra Fondazione Rubbettino e il prof. Jedlowski;  Varie relazioni e articoli scritti dai partecipanti a SOS scuola;  Iniziative varie, come la partecipazione all‟intitolazione dell‟auditorium dell‟istituto a Giovanni Paolo II;  Escursioni in montagna, anche se ne è riuscita solo una, ad aprile sulle montagne di Longobucco. Tommaso, al termine delle sua introduzione, ricorda che il gruppo sta preparando il bollettino che anche quest‟anno divulgherà all‟esterno le attività portate avanti e contribuirà a mantenere la memoria del gruppo.


Primo quesito: Come giudichi, ora, il grado di coesione del gruppo e le relazioni interpersonali al suo interno? Interviene Emilia con la seguente dichiarazione: “Quest‟anno, per motivi non dipendenti dalla mia volontà, non ho potuto partecipare che dall‟esterno alle attività di SOS scuola. Ho sempre saputo la data e il contenuto degli incontri ed in qualche modo me ne sono fatta carico, ma niente di più. Perciò non mi sento di rispondere alle domande che sono molto precise e presuppongono una partecipazione interna. All‟inizio di questo anno mi ero posta il problema, e lo avevo anche esternato, se fosse il caso o meno che io partecipi al gruppo, da più parti mi era stato detto di sì. In realtà a me è dispiaciuto non esserci e ho vissuto con piacere i momenti in cui ci siamo visti e reciprocamente riconosciuti. Il fatto stesso, comunque, che SOS scuola esista e continui a funzionare è una cosa molto positiva”. Su quest‟ultima affermazione sono d‟accordo Alfio e Maria secondo i quali condividere interessi porta a stringere rapporti di stima e di elezione e questo ha una ricaduta nella didattica. Anche Iole concorda: frequentare il gruppo l‟ha portata a un arricchimento personale. Costantina interviene dicendo che anche se quest‟anno si diploma spera di continuare a frequentare il gruppo anche in futuro. Maria Luisa risponde al quesito dicendo che il gruppo è coeso nonostante le notevoli differenze esistenti tra i partecipanti e che grazie all‟azione del gruppo instaura relazioni significative sul piano umano. Luca risponde così: “Per me questa è stata una nuova esperienza che mi ha fatto scoprire che è bello socializzare e stare insieme anche facendo cultura, discutendo sulla vita in generale. Negli incontri pomeridiani anche i professori ci sembrano più simpatici e disponibili, perché ci danno sempre la possibilità di esprimere molti spunti di riflessione”. Aggiunge, infine, che ha scritto molti articoli per il sito. Cosimo dice che il gruppo offre un‟opportunità per incontrarsi tra generazioni e dà la possibilità di accogliere le considerazioni dei ragazzi. Giuseppina solleva il problema del pendolarismo che ostacola l‟azione del gruppo per ovvi problemi logistici. Luigi dichiara: “Avendo compiuto un percorso abbastanza lungo, con tanti incontri in due anni di vita del nostro gruppo SOS scuola posso dire che c‟è chi dall‟inizio lavora nel gruppo con entusiasmo e senso di appartenenza”. Eleonora conclude la tornata sulla prima domanda con questo intervento:


“Giunti a quest‟ultimo incontro penso che ormai il gruppo sia abbastanza unito e non solo per fini scolastici o culturali, ma anche a livello umano si accettano consigli e si cerca di rendersi utili ai „colleghi‟ del gruppo. C‟è la possibilità di esprimersi e il piacere di ascoltare e confrontarsi con gli altri”. Chiara ritiene che il livello di coesione nel gruppo sia aumentato e vede come molto proficue la attività di revisione dei testi perché la costringono a rileggere tutto ciò che viene prodotto prima della pubblicazione. Secondo quesito: Quale attività quest‟anno ha contribuito a farti crescere maggiormente sotto il profilo umano, culturale e spirituale? Maria ha trovato particolarmente interessante il libro di Duret de Tavel Lettere dalla Calabria che ha letto con il marito. Alfio ha trovato particolarmente interessante il libro di Domenico Minuto Storia della gente in Calabria, dal passato al futuro. Cosimo ha trovato particolarmente interessante il libro di Duret de Tavel Lettere dalla Calabria, anche se è in disaccordo con alcune affermazioni dell‟autore. Costantina ritiene che sono diverse le attività che hanno contribuito a farla crescere, tra queste le attività portate avanti con la Fondazione Rubbettino nelle quali ha potuto esprimere le proprie idee di fronte a tante persone. In particolare l‟hanno interessata gli incontri con Minuto e con Jedlowski, e la visione dei film e i dibattiti che sono seguiti. Luca dichiara: “Le attività di lettura dei libri e di visione dei film, mi hanno aiutato nella crescita umana e culturale, i libri e i film proposti, visti da molteplici punti di vista, mi hanno anche aiutato a relazionarmi con diversi modi di pensare. Grazie al tema „ricerca delle radici‟ è aumentato in me l‟orgoglio di essere calabrese perché conosco meglio la Calabria”. Giuseppina dichiara che è stato per lei molto piacevole partecipare a tutte le attività del gruppo, che l‟hanno attirata come una “calamita”. Luigi ha risposto al secondo quesito dicendo: “Hanno contribuito maggiormente ad accrescere il mio livello umano, conoscitivo e spirituale le innovazioni riguardanti la visione dei film e la lettura dei libri”. Eleonora ha preferito la visione dei film. “In ognuno ci sono state parole, atteggiamenti, culture, personaggi che hanno


particolarmente attirato la mia attenzione, vedi ad esempio le aspirazioni di Billy Elliot, il coraggio di Gian Maria Volonté, la determinazione di Mimì. La lettura dei libri non è stata da meno … di sicuro il mio bagaglio culturale è cresciuto di qualche centimetro. Questo grazie anche ai professori che ci hanno proposto di partecipare a questi incontri”. Terzo quesito: Quanto le attività realizzate quest‟anno hanno incontrato i bisogni e le aspettative del gruppo? Emilia invita i componenti di SOS scuola alle attività di lettura svolte presso l‟UNICAL e propone per il prossimo anno le seguenti attività:  Vedere film di Totò;  Uscite finalizzate sia all‟evasione che alla conoscenza della Calabria;  Attività di diffusione e di studio della musica calabrese. A questo proposito Cosimo ricorda che il 20 agosto a Caulonia si esibiranno i Taranta Power. Tommaso informa che ha inviato al Ministero il progetto di lettura di SOS, il quale potrebbe essere incluso in una pubblicazione che ha lo scopo di diffondere le migliori esperienze di lettura organizzate dalle scuole, e fruttare mille euro da spendere per l‟acquisto di libri per la biblioteca. Alfio, riguardo alla visibilità del gruppo, ritiene che dovrebbe esserci maggiore ricaduta sulle classi e maggiore coinvolgimento di alunni e genitori. Lancia l‟idea di progettare qualche evento importante. Cosimo Mercuri vorrebbe coinvolgere il Dirigente scolastico. Chiara esorta i presenti a essere più puntuali quando si effettuano le uscite. Riguardo alla visibilità, ritiene soddisfacente che l‟esistenza di SOS scuola sia evidenziata in molte attività fatte quest‟anno nella scuola. Luca ha dichiarato: “le attività realizzate quest‟anno sono state migliori delle mie aspettative. Penso che anche il gruppo in generale ha partecipato con entusiasmo, se permettete un po‟ d‟ironia, anche ai “monologhi” di Alfio Moccia”. Luigi ritiene che le attività realizzate abbiano soddisfatto le aspettative del gruppo “in modo forte perché le varie attività diversificate hanno saziato l‟appetito conoscitivo di ognuno”.


Quarto quesito: Quali frutti maturano nella comunità (classe, scuola, famiglia, altro) grazie alla presenza del gruppo? Maria Luisa ha detto che con sua madre leggono insieme i libri e poi si scambiano pareri. Cosimo sostiene che questa è un‟esperienza che rimarrà impressa nella mente dei ragazzi. Iole è rimasta catturata dall‟interesse destato dalle attività. E aggiunge: “è piacevole la sensazione di essere ascoltati”. Chiara pone l‟accento sul sito di SOS scuola che è un modo di mettere insieme tanti pensieri. Luca dichiara: “Imparare insieme è più semplice e bello. Personalmente sono meravigliato dalla capacità di sintetizzare che ho acquisito nello scrivere alcuni articoli su materie umanistiche e letterarie, e, siccome sono appassionato di psicologia, anche di questa disciplina ho scritto dovendo commentare il comportamento dei protagonisti dei film e dei libri. Dagli studi sulla Calabria ho tratto anche un po‟ di arricchimento culturale di geografia locale e su tutte le meraviglie che non dobbiamo cercare lontano ma cha abbiamo intorno a noi”. Luigi dice: “La socializzazione e il senso di appartenenza alla nostra terra sono senz‟altro frutti del nostro gruppo”. Eleonora dichiara: “Credo maturino diversi aspetti; principalmente migliorano i rapporti con chi ci sta accanto qualunque posto egli occupi nella nostra vita di tutti i giorni. E migliora la comunicazione con i nostri coetanei, con la famiglia che con gli anni ha perso un bel po‟ di quel valore che invece anni fa le si attribuiva; con la classe, senza distinzione tra bravi e vagabondi, tra ricchi e meno ricchi. Penso che il gruppo sia un modo valido e giusto di vivere tutto ciò che è cultura e che aiuta l‟uomo a vivere in sintonia con la società del nostro Paese”. La riunione si è conclusa in pizzeria.


Appendice


Incontro di lettura organizzato dalla Fondazione Rubbettino presso l’Unical per gli studenti delle scuole superiori (Appunti di Luca Imbrogno per conto di SOS scuola) Il 1 marzo 2007 alle ore sedici presso le strutture del polifunzionale dell‟Unical si è tenuto un incontro al quale hanno partecipato circa cento studenti, accompagnati dai loro professori, delle scuole del comprensorio di Cosenza e dintorni che avevano precedentemente letto il libro Monsieur Ibrahim e fiori del Corano. Fra gli studenti erano presenti anche alcuni componenti di SOS scuola. L‟incontro è stato mediato dal docente universitario di sociologia Jedlowski; il quale rifacendosi alle parole di Pennac ha sottolineato che alcuni verbi come “leggere” e “amare” non possono essere coniugati con l‟imperativo in quanto la passione per la lettura non può essere imposta. Una scheda sul libro (e qualche immagine del film che ne è stato tratto) Titolo: Monsieur Ibrahim e i fiori del corano. Autore: Eric Emmanuel Schmitt. Casa editrice: I super e/o. Personaggi principali: Mosè; un ragazzo undicenne che deve badare a sé, a suo padre e deve occuparsi della casa.

Il padre di Mosè; un avvocato senza affari e senza moglie, che nasconde una forte depressione.


Monsieur Ibrahim; un saggio cinquantenne, di religione musulmana, che possiede una bottega a rue Bleu.

Personaggi secondari: la madre di Mosè, Popol presunto fratello di Mosè, l‟amico di monsieur Ibrahim. Luogo: Parigi Tempo: anni „60 Genere letterario: romanzo Tema: Nel quartiere di Montmartre, a Parigi, negli anni ‟60, dove le vie hanno il sapore delle favole, le prostitute si accontentano di un peluche in cambio dei loro favori, abita l‟adolescente ebreo Mosé che passa il suo tempo libero spendendo tutti i suoi risparmi per andare con le prostitute che passeggiano sotto la sua abitazione, fantasticando il giorno in cui potrà diventare uomo. Mosé vive con il padre, un tetro funzionario abbandonato dalla moglie che sbarca il lunario come meglio può e non ha alcun rapporto affettivo con il figlio. Quest‟ultimo perciò stringe amicizia con il vecchio Ibrahim, che, per tutti è “l‟arabo” del quartiere, ma arabo significa aperto fino a mezza notte e anche la domenica… In realtà m. Ibrahim proviene dalla mezzaluna d‟oro (regione che va dall‟Anatolia alla Persia) ed è sufi cioè ha un modo particolare di concepire la religione musulmana. Egli è proprietario di una bottega d‟alimentari proprio di fronte la casa di Mosè. A poco a poco quel bizzarro personaggio che dispensa i suoi saggi consigli al giovane Momo (così lo ha soprannominato), invitandolo a sorridere alla vita, diventa un punto di riferimento importante. A tal punto che quando suo padre, dopo essere stato licenziato, si uccide sotto un treno, Mosé chiede ad Ibrahim di essere adottato. I due, divenuti padre e figlio, partono infine per un viaggio in Turchia alla ricerca delle radici di Ibrahim, un itinerario che si rivelerà iniziatico per Momo. Ma durante il viaggio muore anche m. Ibrahim. Mosè diventa adulto, adesso è lui l‟arabo del quartiere, si


costruisce una famiglia e ritrova la figura della madre. Dal dibattito tra gli studenti moderato con molta competenza dal professore Jedlowski sono emerse le seguenti osservazioni:  il libro è scritto con un linguaggio molto chiaro e schietto ma l„intreccio del romanzo non è altrettanto semplice. Momo per potersi “salvare” si allontana dal padre con lui infatti ha un rapporto mortifero, il padre inoltre soffre di disturbi mentali ne è esempio la figura di Popol da lui inventata.  Per Momo monsieur Ibrahim è il papà ideale ma alla sua morte come reagisce il ragazzo?  Momo è un ragazzo insicuro, ma non fragile perché riesce a cavarsela sempre... da monsieur Ibrahim Momo non riceverà solo una ricca eredità morale ma anche un eredità materiale.  Il ruolo di monsieur Ibrahim nella vita di Momo è molto importante ma c‟è da dire che anche Momo è importante per monsieur Ibrahim perché con lui trova la paternità che non aveva mai avuto.  Dire “papà” non è scontato in quanto assume significato diverso per ogni persona alla quale si attribuisce.  Nel libro viene evidenziato un modo molto strano che permette di capire il livello economico di una città attraverso la sua spazzatura.  Quando il papà di Momo decide di suicidarsi non a caso sceglie Marsiglia; perché da lì partivano i treni dello sterminio degli ebrei.


Incontro di lettura organizzato dalla Fondazione Rubbettino presso l’Unical per gli studenti delle scuole superiori (Appunti di Luca Imbrogno per conto di SOS scuola) Il 30 marzo 2007 alle ore sedici presso le strutture del polifunzionale dell‟Unical si è tenuto un incontro al quale hanno partecipato circa sessanta studenti, accompagnati dai loro professori, delle scuole del comprensorio di Cosenza e dintorni, che avevano precedentemente letto il libro “Un ragazzo”. Fra gli studenti erano presenti anche alcuni componenti di SOS scuola. L‟incontro è stato mediato dal docente universitario di sociologia Paolo Jedlowski. Una breve scheda sul libro Titolo: “Un ragazzo” Autore: Nick Hornby Personaggi: Will Freeman, il protagonista, 35 anni, vive bene con i diritti di autore di una canzone natalizia per bambini che il padre, aspirante musicista serio, gli ha lasciato; Marcus, coprotagonista, 12 anni, va alle scuole medie in una nuova scuola e in nuovo quartiere; Fiona, madre di Marcus, separata dal marito, vuole crescerlo nel rispetto dei valori in cui crede; lavora come musicoterapista, è una tipica liberal-hippy; Suzie, amica di Fiona, conosciuta da Will nella organizzazione SPAT (Single Parenrs, Alone Together); Clive, padre di Marcus, lavora nei servizi sociali fuori Londra, è un classico tipo “alternativo” cresciuto; Lindsay, fidanzata del padre di Marcus; Rachel, nuovo amore di Will; Alistair (Ali), figlio dodicenne di Rachel; Ellie, amica di scuola di Marcus, grande fan dei Nirvana e di Kurt Cobain; Zoe, amica di Ellie. Tempo:anni ‟90 Genere letterario: romanzo Tema: Will è un ricco single londinese che vive dei proventi di una canzone di natale composta dal padre e, quindi, non fa nulla nella sua vita se non conoscere nuove ragazze. Will scopre che le ragazze-madre sono un ottimo “campo di caccia” in quanto sono subito disposte a trovare nuovi amori ma, spesso, sono loro stesse a mollare, senza difficoltà. Will, si dà da fare a cercare belle donne abbandonate, soprattutto con prole. Partecipa quindi ad un gruppo di aiuto per


genitori soli fingendosi padre di un bambino di nome Ned. Qui, però, trova solo brutte donne complessate; a parte Susie. Will è determinato a conquistarla e tenta vari trucchetti, ma un giorno, ad un pic-nic, trova sulla propria strada Marcus, il figlio dodicenne dell'amica hippy di Susie: Fiona. Comincia l‟avventura tra uno sventato suicidio e Marcus che chiede e ottiene di frequentare Will, persona che, uscendo dalla sua vita piatta e insignificante, darà a Marcus la possibilità di crescere e di accettarsi. Il rapporto tra i due è casuale, distaccato da parte di entrambi, utilitaristico, Will acquista via via il ruolo, più che di fratello maggiore, di guida nei meandri e nelle regole non scritte del mondo esterno. Diventa l‟amico-padre-fratello che trasmette, quasi casualmente, informazioni fondamentali sui vestiti, la musica, i miti che a Marcus, figlio di una donna impegnata, intellettuale e naturista, sono del tutto sconosciuti. La leggerezza di tocco di Hornby e il realismo dei personaggi, la assoluta mancanza di malizia di Marcus, che quindi prende tutto alla lettera, con sicuro effetto comico, e la singolarità di Will, completano uno dei libri migliori di questi ultimi anni. Dal dibattito tra gli studenti moderato con molta competenza dal professore Jedlowski sono emerse le seguenti osservazioni:  Nella società odierna è meglio essere se stessi o omologarsi alla massa? Essere se stessi può andare incontro a delle conseguenze negative, come ad esempio non sentirsi accettati dagli altri, per questo spesso si preferisce seguire lo “standard” e non sentirsi emarginati.  Nel libro emergono le figure di due personaggi: Marcus e Will. Marcus è un adolescente figlio di genitori separati, che non veste alla moda, ascolta vecchia musica, ed è quindi anticonformista alla società. Will è un trentenne dichiarato single, molto superficiale che vive grazie ai diritti d‟autore di una canzone che era del padre. Ma entrambi i personaggi sono accomunati da una sofferenza.  Sia Marcus che Will ricavano tanto dal rapporto che hanno insieme perché per crescere hanno bisogno l‟uno dell‟altro.  L‟adolescenza è il periodo in cui il sentirsi adattati e adatti è molto importante.  La musica,una passione che è presente nella maggior parte di noi giovani, spesso è anche espressione dell‟io, da essa si traggono molto insegnamenti.


 Un elemento particolare del libro e che alla fine della “crescita-maturazione” di Marcus, egli è un bambino, cioè diventa quello che normalmente dovrebbe essere.  Un episodio che ha attirato l‟attenzione di molti ragazzi è quello dell‟anatra uccisa dalla baguette.


Incontro con l’autore del libro Il mosaico del tempo grande presso l’ITC “V. Cosentino” (Appunti di Luca Imbrogno per conto di SOS scuola) Il 13 aprile 2007 alle ore diciotto presso le strutture dell‟ITC “V. Cosentino” si è tenuto un incontro con l‟autore del libro Il mosaico del tempo grande, Carmine Abate, al quale hanno partecipato circa cento studenti, accompagnati dai loro professori, delle scuole del comprensorio di Cosenza e dintorni che avevano precedentemente letto il libro, inoltre erano presenti diversi rappresentanti delle istituzioni locali. Fra gli studenti erano presenti anche alcuni componenti di SOS scuola. Una scheda sul libro Titolo: Il mosaico del tempo grande Autore: Carmine Abate. Tempo: il romanzo è ambientato ai giorni nostri, ma il racconto si snoda avanti e indietro Genere letterario: romanzo Anno di pubblicazione: 2006 Il romanzo affronta temi di grande attualità come ad esempio i problemi che si incontrano in un nuovo paese nel quale si va in cerca di fortuna … il tutto è raccontato con l‟allegria e la serenità di una storia d‟amore; tutte le vicende sono descritte e impresse in un mosaico da qui il titolo Il mosaico del tempo grande. L‟incontro è iniziato con il saluto del preside del liceo classico “G. da Fiore” Vincenzo Ferraro che ha passato poi la parola al professore Mario Nardi preside della scuola ospitante, successivamente sono intervenuti i rappresentanti delle vari istituzioni: la presidente dell‟associazione ARS-ENOTRIA Angela Martire Cerigliano, l‟assessore alla provincia di Cosenza Stefania Covello e infine l‟avvocato Serena Arcuri, assessore alla P.I. e alla cultura e vice sindaco di Rende. Dopo gli interventi vi è stata una rappresentazione musicale di un gruppo che propone musiche calabresi. L‟incontro è continuato con il dibattito tra Carmine Abate e gli studenti.


Dalle risposte di Abate agli studenti è emerso che:  Abate ritiene che la vita sia già abbastanza difficile e quindi lo scrivere deve renderla migliore, per questo scrive in modo gioioso e allegro e parla di temi esistenziali come l‟amore e la vita.  Abate si definisce: germanese, italiano, trentino, meridionale, arbereshe e ritiene di essere un po‟ tutto, di avere le radici in tutti i posti in cui vive o ha vissuto, ma dice che il grido più forte di integrazione è: RIMANERE SE STESSI.  Nei libri di Abate sono sempre presenti alcune figure: i giovani, i vecchi, i cani e spesso è ricorrente anche la figura di una ragazza bionda. Abate scrive per tutti non per un pubblico scelto, in alcuni suoi libri come appunto Il mosaico del tempo grande si possono cogliere alcune note autobiografiche.  Abate è nato in provincia di Crotone in un paese arbereshe, ritiene che l‟albanese sia la lingua del cuore e l‟italiano la lingua del pane.  La tecnica narrativa di Abate è molto particolare, parte da immagini iniziali, non sa come va a finire la storia, ma la scopre scrivendola gradualmente. Egli dice che la parte più bella di un racconto è quella che non viene detta cioè lasciata alla fantasia del lettore e la paragona allo spazio bianco che vi è fra le tessere del mosaico. Concludo con alcune parole che nel libro vengono dette da Bocca D‟oro, ma che a mio parere rappresentano il pensiero di Abate: “le storie le abbiamo dentro e attorno a noi, io non faccio altro che raccoglierle e fissarle nel mosaico. Perché questo hanno di buono i mosaici, durano più dei quadri, più degli affreschi, più di noi”.


Incontro di lettura organizzato dalla Fondazione Rubbettino presso l’ITC “V. Cosentino” per gli studenti delle scuole superiori (Appunti di Luca Imbrogno per conto di SOS scuola) Il 27 aprile 2007 alle ore sedici presso le strutture dell‟ITC “V. Cosentino” si è tenuto un incontro al quale hanno partecipato circa cinquanta studenti, accompagnati dai loro professori, delle scuole del comprensorio di Cosenza e dintorni che avevano precedentemente letto il libro Lessico famigliare. Fra gli studenti erano presenti anche alcuni componenti di SOS scuola. L‟incontro è stato mediato da Emilia Florio, direttrice del centro di orientamento di Cosenza. Una scheda sul libro Titolo: Lessico famigliare Autore: Natalia Ginzburg Tempo: anni „50 Genere letterario: romanzo Anno di pubblicazione: 1963 Trama: Natalia viveva in una famiglia molto particolare, una famiglia ebrea antifascista. La sua famiglia cambiava spesso casa, e alla fine si trasferì a Torino. Spesso tutti insieme andavano in montagna, e Natalia veniva obbligata dal padre a fare lunghe passeggiate, e spesso si incontravano con gli amici di suo padre, i Lopez e gli Olivetti. Natalia aveva una sorella, Paola, e tre fratelli, Gino, Mario e Alberto. I suoi genitori, essendo uno comunista, Giuseppe, e l'altra, Lidia, socialista, durante il periodo fascista soffrirono molto e ospitarono anche Turati, ricercato dalla polizia, per qualche mese. I suoi fratelli ormai grandi cominciarono a odiare il fascismo. Infatti Gino fu arrestato come cospiratore e Mario si salvò rifugiandosi in Francia, dove visse in seguito per molti anni. Alberto invece non era un cospiratore, ma era un loro confidente perché ne aveva molti tra i suoi amici. Poi la Paola si sposò e così tutti i suoi fratelli tranne Natalia che ancora viveva con i suoi genitori. Poi anche lei si sposò con Leone Ginzburg ed ebbe, come gli altri dei figli. Si trasferì così in un'altra casa. Poco dopo


Leone morì lasciandola sola con i suoi due figli. Natalia conobbe delle ragazze che in breve divennero sue amiche, tra cui Lola, che pochi anni prima le era in odio. Poi decise di trasferirsi definitivamente a Roma, dove passò tutta la sua vita. Anche se il racconto segue uno svolgimento ben preciso nel tempo, esso presenta una struttura ad intreccio. Infatti all'inizio del testo, quando la narratrice dice, "quand'ero ragazzina", fa capire che racconta dei fatti avvenuti in precedenza. Inoltre, durante la narrazione, vengono spesso raccontati dei fatti avvenuti nel passato. Dal dibattito tra gli studenti, moderato con molta competenza dalla professoressa Florio, sono emerse le seguenti osservazioni:  Lessico famigliare è un romanzo che racconta la storia di una famiglia ebraica antifascista trapiantata a Torino tra i primi anni Trenta e i primi anni Cinquanta. Il racconto nasce dal vero.  Lessico famigliare, la scrittrice riesce attraverso l‟uso di queste due parole a racchiudere ciò che è il libro stesso!  Un personaggio notevole è il padre di Natalia, Giuseppe Levi. Particolare è il rapporto tra genitori e figli, la figura di Giuseppe Levi è descritta in modo dettagliato. Egli è un docente universitario molto rigido e forse un po‟ superficiale, ma certo molto orgoglioso. Il racconto inizia con il lessico della famiglia Levi proprio attraverso gli oggetti che usa il padre di Natalia.  Il romanzo non ha capitoli. È un libro che va letto più volte, perché non è di facile comprensione, attraverso questo libro si può capire anche la storia d‟Italia, ma la particolarità è che non è raccontato da uno storico, ma è vissuta: descrive un periodo storico molto importante e parla anche di persone che hanno fatto la storia. È un libro che non ha fine perché la storia si ripete attraverso il lessico delle generazioni future dei Levi, quasi come fosse un ciclo.  Questo libro è definito un classico moderno della letteratura italiana. Anche i libri sono di moda, e Lessico famigliare non può essere definito come un libro passato, è ancora fresco, ancora di grande attualità. L‟incontro si è concluso con le parole di Emilia Florio la quale ci ha fatto notare che Lessico famigliare: non è un romanzo, ma è un racconto romanzato; non è un romanzo storico, ma è un racconto di storia vissuta; non è un diario, ma racconta la storia di una famiglia.


L’ITC “V. Cosentino” intitola l’auditorium a Giovanni Paolo II (di Luca Imbrogno per conto di SOS scuola) L‟iniziativa si è svolta in due giornate, il 5 e il 7 maggio. Giorno 5 maggio 2007 nell‟auditorium dell‟istituto si è tenuta una conferenza su Giovanni Paolo II alla quale erano presenti anche alcuni componenti di SOS scuola. Tommaso Cariati ha presentato e introdotto la professoressa Maria Intrieri, docente dell‟Università della Calabria, la quale ha tenuto una relazione dal titolo: “Giovanni Paolo II: il coraggio e la speranza”. Maria Intrieri è calabrese, originaria di San Pietro in Guarano; vive a Rende. Ha compiuto i suoi studi al liceo classico “Telesio” e all‟Università della Calabria dove si è laureata in storia. Attualmente è professore associato di storia Greca presso la medesima Università e si occupa anche di storia della Chiesa. Dall‟adolescenza fa parte del movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich e proprio in questo ambito ha avuto l‟occasione di seguire da vicino Papa Wojtyla e di incontrarlo personalmente. Perciò la sua comunicazione, basata su testi e immagini, è stata oltre che una bella dissertazione su un uomo complesso come Giovanni Paolo II anche una testimonianza di vita e di fede. La relatrice ha esaminato i momenti cruciali della formazione e del ministero del grande Papa, soffermandosi sui punti di svolta della sua esistenza e consegnandoci due parole che a suo parere sono emblematiche in quest‟uomo: “il coraggio” e “la speranza”. La cerimonia di intitolazione vera e propria si è svolta il 7 maggio nello stesso auditorium ed è stata molto complessa. Hanno partecipato i rappresentanti di diverse istituzioni: l‟avv. Serena Arcuri, vice sindaco di Rende e assessore alla P.I. e cultura; Umberto Bernaudo, sindaco di Rende; Stefania Covello, assessore alla provincia di Cosenza e Monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano e Mario Nardi, preside dell‟I.T.C. Ha fatto da moderatrice Barbara Marchio. Dai vari interventi è emersa la figura di Giovanni Paolo II, un papa che ha dedicato molto spazio ai giovani. Fra gli interventi molto significativo è stato quello del preside Nardi, il quale ci ha ricordato che l‟uomo possiede spirito, intelligenza e coscienza; quindi somiglia più a Dio che all‟intero creato. Ha fatto seguito la visione di un video, preparato da A. Clausi, che ha illustrato con le immagini la vita del Santo Padre. Successivamente le autorità


sono salite sul palco per scoprire la targa che porta il nome di Giovanni Paolo II ed è intervenuto brevemente monsignor Salvatore Nunnari. Dal suo intervento una frase è emersa in modo particolare: “La Croce non è solo il simbolo della sofferenza, ma è anche il simbolo dell‟amore vero, perché non c‟è amore vero se non c‟è sofferenza”. L‟incontro è stato allietato dalla piacevole musica dai pezzi di un gruppo di giovani sassofonisti di Cosenza. La cerimonia si è conclusa con l‟intervento di alcuni studenti dell‟istituto ai quali monsignor Nunnari ha risposto. Due parole tratte da un discorso di Giovanni Paolo II in vista della giornata mondiale della gioventù: “Cari giovani, la Chiesa ha bisogno di autentici testimoni per la nuova evangelizzazione: uomini e donne la cui vita sia stata trasformata dall‟incontro con Gesù; uomini e donne capaci di comunicare quest‟esperienza agli altri. La Chiesa ha bisogno di santi. Tutti siamo chiamati alla santità, e solo i santi possono rinnovare l‟umanità. Su questo cammino di eroismo evangelico tanti ci hanno preceduto ed è alla loro intercessione che vi esorto a ricorrere spesso”.


Giovanni Paolo II (Discorso del Dirigente scolastico Mario Nardi pronunciato il 7 maggio 2007 all‟intitolazione dell‟auditorium) Oggi sette maggio 2007 procediamo all‟intitolazione dell‟Auditorium a Giovanni Paolo II. Avevamo maturato questa idea, giusto un anno fa, con due motivazioni di fondo: 1. Il pontificato di Giovanni Paolo II può essere definito il “Pontificato dei giovani”; 2. L‟Auditorium dell‟ITC “V. Cosentino” è un luogo frequentato prioritariamente da giovani. La nostra decisione è stata condivisa da chi doveva esprimere un parere e oggi siamo orgogliosi di dedicare uno spazio della nostra scuola ad uno dei più grandi Papi della storia della Chiesa. Uno dei pochi Papi in grado di commuovere e di toccare il cuore di tutti. Karol Wojtyla è stato il primo pontefice non italiano dopo quattro secoli e mezzo, dopo l‟olandese Adriano VI. Era il 16 ottobre 1978, le ore 17,15, quando Karol Wojtyla venne eletto 264° Sommo Pontefice scegliendo il nome di Giovanni Paolo II. Alla domanda “Accetti?” rispose: “Obbedendo nella fede a Cristo, confidando nella madre di Cristo e della Chiesa, nonostante le così grandi difficoltà, io accetto”. Da quel momento ha avuto inizio uno dei papati più coraggiosi e più impegnati. Oggi, quello che più preme è sottolineare il legame inscindibile che legava Karol Wojtyla ai giovani. Tantissimi sono i discorsi, le lettere, le omelie, gli Angelus ad essi dedicati. Grande è stato l‟amore che egli ha dimostrato verso di loro, ampiamente ricambiato dalle manifestazioni oceaniche delle Giornate Mondiali della Gioventù, dal fiume straripante di giovani accorsi da tutte le parti del mondo per rendergli l‟estremo saluto. Nessun altro Pontefice ha avuto con i giovani un legame così forte. Un rapporto fatto di stima e di amore. Alla domanda: Perché si è venuto a creare questo feeling?, possiamo rispondere con le parole del Sommo Pontefice: “Il Papa vuole bene a tutti, ad ogni uomo e a tutti gli uomini, ma ha una preferenza per i giovani, perché essi avevano un posto


preferenziale nel cuore di Cristo” “Il Papa conta molto sui giovani. I giovani sono il conforto e la forza del Papa, il quale desidera vederli tutti per far sentire loro la sua voce di incoraggiamento in mezzo a tutte le difficoltà che l’inserimento nella società comporta” “Il Papa, che rappresenta la giovinezza di Cristo e della Chiesa, è sempre lieto di incontrarsi con coloro che sono l’espressione della giovinezza della vita e dell’umanità” “Desidero assicurarvi che seguo i vostri problemi, le vostre difficoltà; condivido le vostre attese; desidero accompagnarvi nel vostro cammino” “C’è sempre una speciale attrattiva in voi giovani, per quella vostra istintiva bontà non contaminata dal male, e per la vostra particolare disposizione ad accogliere la verità e a praticarla”. “Tu non mi cercheresti affatto, se non mi avessi già trovato”, dice B. Pascal nei Pensées. Giovanni Paolo II cercava i giovani perché li aveva già trovati. La sua vita in Polonia prima e durante i primi anni del sacerdozio era stata difficile ma ricca di passioni, di speranze, di impegno, come è appunto al vita dei giovani. In ogni udienza, era solito dare il benvenuto ai giovani confessando la grande gioia che gli recava la loro presenza, numerosa, cordiale, significativa, affettuosa, entusiastica, vivace, festosa, esultante, esuberante, che dà delizia: “Dove ci sono giovani, adolescenti, bambini, c’è la garanzia della gioia, in quanto c’è la vita nel suo fiorire più spontaneo e più rigoglioso. Voi possedete abbondantemente e donate generosamente questa gioia di vivere a un mondo che talvolta è stanco, scoraggiato, sfiduciato, deluso”, ed era solito ringraziarli per avergli portato “il dono prezioso della [loro] giovinezza, dei [loro] occhi pieni di gioia e di vita, dei [loro] volti splendenti di ideali”. “Voi siete la promessa del domani. Voi siete la giovinezza delle nazioni, la giovinezza di ogni famiglia e dell’intera umanità. Voi siete la speranza della Chiesa e della società. Gli adulti, genitori maestri professori e tutti coloro che collaborano alla vostra crescita e maturazione fisica e intellettuale, vedono in voi coloro che realizzeranno quanto essi forse non hanno potuto attuare” “Essere giovani significa vivere in sé un’incessante novità di spirito, alimentare una continua ricerca del bene, sprigionare un impulso a trasformarsi sempre in meglio, realizzare una perseverante volontà di donazione”


Nel messaggio per la XVIII Giornata Mondiale della pace, invitò i giovani a non avere paura della giovinezza e dei profondi desideri che si provano in questa età: “Si dice qualche volta che la società ha paura di questi potenti desideri dei giovani e che voi stessi ne avete paura. Non abbiate paura! Quando io guardo a voi, giovani, sento una grande gratitudine e speranza. Il futuro a lungo termine nel prossimo secolo sta nelle vostre mani. Il futuro di pace sta nei vostri cuori. Per costruire la storia, come voi potete e dovete, è necessario che la liberiate dai falsi sentieri che sta percorrendo. Per far questo dovete essere persone con una profonda fiducia nell’uomo ed una profonda fiducia nella grandezza della vocazione umana, una vocazione da perseguire nel rispetto per la verità, per la dignità e per gli inviolabili diritti della persona umana”. I giovani, l‟uomo, la storia, il futuro, la speranza, la verità, la dignità, i valori sono stati i temi dominanti del suo apostolato. “Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dietro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione” “È vano lamentarsi della malvagità dei tempi. Come gia scriveva San Paolo, bisogna vincere il male facendo il bene. Il mondo stima e rispetta il coraggio delle idee e la forza della virtù. Non abbiate paura a rifiutare parole, gesti, atteggiamenti non conformi agli ideali cristiani. Siate coraggiosi nel respingere ciò che distrugge la vostra innocenza o incrina la freschezza del vostro amore a Cristo” “la storia viene scritta non solo dagli avvenimenti, che si svolgono in un certo qual senso dall’esterno, ma è scritta prima di tutto dal di dentro: è la storia delle coscienze umane, delle vittorie e delle sconfitte morali” Due domande dovete porvi, era solito dire ai giovani Giovanni Paolo II: qual è la mia idea di uomo? Che cosa devo fare perché la mia vita abbia valore, abbia senso? “Qualunque risposta [troverete, questa segnerà] il resto della vostra vita, [il vostro modo di rispondere] alle grandi sfide”. “L’interrogativo sul valore, l’interrogativo sul senso della vita, la domanda sulla verità, sul bene e sul male fanno parte della giovinezza”. La vita dell‟uomo è un susseguirsi di scelte e ogni scelta ingloba valori, personali e sociali.


“Non è possibile creare una dicotomia tra valori personali e sociali. Non si può vivere nell’incertezza: essere esigenti con gli altri e con la società, e decidere poi di vivere personalmente una vita basata sulla permissività”. Giovanni Paolo II ha sempre esortato i giovani a preparasi alla vita con serietà e con costanza, ad impegnarsi nella partecipazione, ad essere forti e temperanti, perché l‟espressione biblica “Dio creò l‟uomo a sua immagine” vuol dire che l‟uomo possiede spirito, intelligenza, libertà e coscienza, perciò egli somiglia più a Dio che al mondo creato. “Ma che cosa vuol dire esattamente partecipazione? Vuol dire: essere insieme con gli altri, e allo stesso tempo, essere se stessi mediante quell’essere insieme. Ciò che unisce gli uomini fra loro, ciò che li fa partecipare gli uni alla vita degli altri, è la condivisione dei beni, è la comune accettazione dei valori” “Perciò voi giovani siete chiamati a partecipare al vero e autentico sviluppo, che, mediante il giusto equilibrio tra essere e avere, deve diventare sempre di più progresso nella giustizia nei vari ambiti e sotto i diversi profili; deve diventare progresso nella civiltà dell’amore”. Partecipare è “Costruire l’uomo [che è in ognuno di noi] e adoperarsi perché si costruisca negli altri”. Partecipare è desiderare, è essere parte nelle decisioni. La fortezza. poi, che “permette di affrontare i pericoli e di sopportare le avversità, è quella virtù che consente all’uomo di combattere coraggiosamente, di agere contra per gli ideali della giustizia, dell’onestà e della pace… non si può pensare di costruire un mondo nuovo senza essere forti e coraggiosi nel superare le false idee di moda, i criteri di violenza del mondo, le suggestioni del male”. “Non si può essere uomo veramente prudente, né autenticamente giusto, né realmente forte, se non si possiede la virtù della temperanza…. L’uomo temperante è colui che non abusa, che è padrone di se stesso; colui nel quale le passioni non prendono il sopravvento sulla ragione, sulla volontà, e anche sul cuore. Anche negli ultimi istanti della sua vita terrena il pensiero del Santo Padre andò ai giovani. Durante la sua agonia essi sono accorsi numerosissimi in piazza San Pietro e Giovanni Paolo II informato della loro presenza così si espresse:“Vi ho chiamato, adesso voi siete venuti da me e per questo vi ringrazio”. Vorrei concludere questo mio breve intervento, utilizzando


ancora una volta le parole di Sua Santità, rivolgendo ai tanti giovani qui presenti lo stesso augurio che egli aveva indirizzato alla gioventù di tutto il mondo nel 1985: Siate “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” “La speranza è l’attesa dei beni futuri, è l’attesa dei beni che l’uomo si costruirà utilizzando i talenti a lui dati dalla Provvidenza. In questo senso a voi, giovani, appartiene il futuro”. Dall‟11 al 15 aprile 1984, viene celebrato il Giubileo internazionale dei giovani. Giovanni Paolo II rivolge il suo invito ai giovani dopo la recita del Regina Coeli dal balcone del Duomo di Milano il 22 maggio 1983. Sarebbe stato il primo raduno internazionale dedicato interamente a loro: “Un incontro di preghiera, di condivisione, di conversione, di letizia”. Il 30 e 31 marzo 1985 il Papa accoglie a Roma i partecipanti al raduno internazionale dei giovani. È la seconda volta, da che è iniziato il suo pontificato, che avviene un incontro di massa dedicato interamente ai giovani. Il 1985 è stato proclamato Anno Internazionale della Gioventù per iniziativa dell‟ONU. Questi eventi sono considerati da molti la genesi delle Giornate Mondiali della Gioventù. Il segno itinerante delle GMG è la croce conosciuta come la “Croce dell‟anno santo”, la “Croce del Giubileo”, la “Croce delle GMG”, la “Croce pellegrina”; molti la chiamano la “Croce dei giovani” perché è stata data ai giovani affinché la portassero in tutti il mondo, in ogni luogo e in ogni tempo. Era il 1984, Anno Santo delle Redenzione, quando Giovanni Paolo II decide di mettere una croce vicino all‟altare della Basilica di San piretro, in una posizione in cui tutti potessero vederla; era una grande croce di legno, alta quasi 4 metri. Alla fine dell‟Anno Santo, nella Domenica della Resurrezione, dopo aver chiuso la Porta Santa, il Papa affidò quella stessa croce alla gioventù del mondo, rappresentato dai giovani del Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo di Roma, con queste parole: “Carissimi Giovani, al termine dell’Anno santo affido a voi il segno stesso di quest’Anno Giubilare: la Croce di Cristo! Portatela nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità e annunziate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione”. La I GMG si tenne nella diocesi di Roma nel 1986.


Legalità: crisi o cultura diffusa? (di Debora Bottino e Iolanda Palermo) Il 20 aprile 2007 nell‟auditorium dell‟ITC “V. Cosentino” si è tenuto un convegno su legalità, „ndrangheta e cittadinanza attiva con la partecipazione e l‟intervento di due magistrati di Cosenza: Claudio Carrelli e Biagio Politano. L‟incontro è stato organizzato con la collaborazione del gruppo SOS scuola nell‟ambito del progetto “Educare alla legalità e alla cittadinanza attiva” che l‟istituto porta avanti da tempo come parte essenziale del suo progetto educativo e formativo. Sono state invitate a partecipare tutte le terze classi dell‟istituto. Il convegno si è aperto su questa domanda: “Che cos‟è la legalità e perché se ne parla tanto da almeno vent‟anni?”. Uno dei due magistrati, il dottor Curreli, ha espresso il suo pensiero su questo punto, dicendo che secondo lui la legalità è la filosofia del rispetto delle regole. Le regole, che sono obbligatorie per tutti servono a tutelare i diritti dei cittadini e per assicurare la funzione sociale per il benessere di tutti. Il rispetto dei diritti altrui deve provenire da tutti, da qualsiasi cittadino, al fine di convivere civilmente ed evitare di ricorrere al diritto penale che ha, appunto, il compito di punire chi viola queste regole. Molte sono le persone che ancora non hanno capito il concetto delle rispetto delle regole, e scelgono strade apparentemente più semplici da percorre, come il facile guadagno, invece che seguire le dure e faticose salite nell‟onestà più assoluta. Tra quelli che hanno deciso di vivere nell‟illegalità sicuramente figurano coloro che sono affiliati alla mafia, nelle diverse forme: Camorra, „Ndrangheta, Cosa nostra e la Sacra corona unita. Queste sono tutte organizzazioni a struttura verticistica, cioè hanno al vertice un capo che si avvale di una serie di collaboratori più vicini a lui. Ognuna di queste organizzazioni ha proprie caratteristiche e precisi radicamenti regionali come ad esempio: la „Ndrangheta in Calabria, Cosa nostra in Sicilia, etc. Datare le origini di queste potenti organizzazioni criminali nel nostro Paese è un‟impresa ardua se non impossibile. Più semplice definire la natura che rappresenta la peculiarità italiana. Le analisi moderne definiscono il fenomeno mafioso come “un‟organizzazione di potere” dove vi è una garanzia di funzionari dello stato in particolare i


politici. Fra tutte queste organizzazioni criminali il convegno si è concentrato sul problema della „Ndrangheta che ci tocca personalmente proprio perché ha origini in Calabria. La „Ndrangheta si è sviluppata nella provincia di Reggio Calabria, dove oggi è fortemente radicata. La „Ndrangheta è considerata una delle più forti e pericolose organizzazioni criminali in Italia con una diffusione della presenza anche all‟estero. Nella regione Calabria la „Ndrangheta svolge un profondo condizionamento sociale fondato sia sulla forza delle armi che sul ruolo economico attualmente raggiunto attraverso il riciclaggio di denaro sporco che le permette di controllare ampi settori economici. Dopo l‟intervento del dottor Curreli, il dottor Politano si sofferma sulla situazione della legalità a Cosenza. In particolare egli si interroga per sapere se tanto parlare di legalità ha fatto nascere una cultura diffusa improntata a buoni comportamenti o se oggi ci troviamo nel bel mezzo di una crisi. Il problema della legalità da noi si intreccia con quello della disoccupazione, con quello della cattiva amministrazione della cosa pubblica, con quello della gestione degli appalti, con quello delle raccomandazioni, con quello della scarsa qualità della classe politica. A Cosenza per tanti anni in passato abbiamo avuto due città parallele, sovrapposte, intrecciate: quella legale e quella illegale; due città che coesistevano senza scandalo di nessuno. Purtroppo per risolvere il problema legato alla mafia a Cosenza le possibilità sono limitate in quanto le risorse umane a disposizione sono poche, le carceri non funzionano perché non riescono a rieducare i detenuti. Le risorse sono limitate e i processi sono lenti. Per questo i cittadini hanno sempre meno fiducia nelle istituzioni e, purtroppo, non avere fiducia in queste ultime significa rinunciare ad essere cittadini di “serie A”. I due magistrati con il titolo impegnativo “Legalità: crisi o cultura diffusa?” hanno affrontato tante altre domande con gli studenti, come questa: “Che cosa deve fare ogni cittadino affinché si diffonda la cultura della legalità?”. A questa domanda hanno risposto senza esitazione: la legalità non è affare che riguardi soltanto i magistrati, la polizia, i carabinieri, gli istituti carcerari. La legalità riguarda tutti i cittadini, adulti e ragazzi, uomini e donne. La cultura della legalità si costruisce innanzitutto nella famiglia e nella scuola. Gli studenti sono i primi interlocutori di chi vuole diffondere semi di legalità e di cittadinanza attiva. Per questo i magistrati sono particolarmente sensibili ad accogliere inviti come quello che il nostro istituto ha


rivolto loro. Per questo hanno anche apprezzato che il Piano dell‟offerta formativa della nostra scuola abbia da anni un progetto trasversale di educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva. La giornata è stata molto intensa e interessante. Speriamo che in futuro avremo altri incontri come quello di oggi per capire meglio in che mondo viviamo e a quali responsabilità saremo chiamati tra qualche anno quando, lasciata la scuola, cercheremo le opportunità per una vita degna di essere vissuta.



Finito di stampare: giugno 2007 Impaginazione a cura di Chiara Marra

Per saperne di pi첫: www.sos-scuola.it


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