Speciale NEW YORK CITY MARATHON by Soul Running

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EDITORIALe

Un Soul Runner a New York Quando una grande azienda, un grande marchio come Asics ti invita come giornalista-runner al più grande evento al mondo nel suo genere, alla più famosa maratona di sempre, quando ti invitano alla New York Marathon è facile che anche un runner da montagna come me, si possa far prendere dall’entusiasmo e dire si. Poi iniziano i pensieri. Poi cominci a chiederti cosa potrai mai scrivere di nuovo, di inedito su qualcosa che esiste da 45 anni e che è stata corsa da oltre due milioni di persone nella sua storia, da centinaia di giornalisti, blogger, scrittori. Quando, poi, arrivato nella grande mela, ti presentano i tuoi compagni di viaggio e appartengono ai più grandi quotidiani al mondo: Le Figaro, Telegraph, El Mundo, etc. Allora si che un po’ d’ansia da prestazione cresce, ma nel senso positivo. Mi sono sentito felice d’esserci e ho vissuto in modalità “cinque o sei, forse anche sette sensi accesi e attenti” tutta la manifestazione. Ho portato a casa con me tante sensazioni, non una negativa! Alcune molto personali, mi perdonerete certamente se di queste non parlerò qui. Altre perfette per essere raccontate a tutti voi “soul runners” che mi seguite! Inizio dalla fine, dagli ultimi pensieri che atterrando a Malpensa mi giravano in testa: − New York Marathon è una delle 10 cose da fare nella vita. Ma non delle 10 cose che un runner deve fare. Vale per tutti! (le altre nove rientrano tra le personali di cui sopra). − New York Marathon è un’immensa lung-ta. Cos’è? È una bandierina tibetana di preghiera. Avete presente quei piccoli rettangoli di stoffa sfilacciati dal vento che, sventolando nei luoghi più alti del mondo, portano ovunque il loro messaggio? Ecco! NYCM porta nel mondo e oltre, il suo messaggio di positività, di fiducia. Potente! − New York Marathon è il più lungo party al mondo. 26,2 miglia di festa! Da non perdere! Qua già potreste fermarvi, riflettere (poco). Aprire il vostro PC. Collegarvi al web. Rintracciare uno dei tour operator che portano gli oltre 2000 italiani ogni anno nella grande mela e unirvi a loro per il 2016... poi, se ne avrete piacere e voglia, leggete fino in fondo questa NY in versione Soul! Davide Orlandi


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PREQUEL

NYCM La Macchina Perfetta Uno show, un grande show, come un concerto, tanto per fare un esempio inossidabile, di Paul David Hewson, alias Bono, e compagni, ha un programma preciso, una linea d’azione, un business plan definito, un iter che si deve rispettare. Chissà perchè questo mi sembra assolutamente normale, non mi stupisce per nulla, forse perchè avviene in una location ben delimitata, con un orario concordato, con mesi di prove, centinaia di addetti pagati per portare a termine le loro mansioni. Non mi sembra invece minimamente normale che questo avvenga alla stessa stregua in un’area urbana immensa, tra

le più grandi e caotiche al mondo, con un numero infinito, e non è un eufemismo, di possibili imprevisti, che sulla carta renderebbero ingestibile qualsiasi manifestazione. Un miracolo assoluto che si gioca sull’esile confine, che regge a fatica qualsiasi rapporto interpersonale, dal più piccolo al più grande: la fiducia. Questo sentimento, sensazione, la diamo per scontata tutti, sempre. Invece si nasconde in ogni piccolo gesto quotidiano che facciamo. L’uomo, nella sua evoluzione, l’ha posta alla base di tutto, ma lo dimentichiamo tutti con estrema facilità.


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SEQUEL

La linea della fiducia La mattina dell’evento mi alzo al trentasettesimo piano di un palazzo. Abbigliato come Dan Aykroyd in “Una poltrona per due”, con tanto di cartone per sedersi, suggerito dall’amico Gouillaume giornalista de Le Figaro, e felpona “I Love NY”, entro in una scatola di metallo rivestita di marmo, appesa a dei cavi che precipita per quasi 200 metri nel vuoto fino a portarmi sano e salvo a terra. Primo atto di fiducia verso il genere umano della giornata espletato. Mi incontro con gli altri runner, tutti rigorosamente abbigliati nei modi più assurdi per ripararsi dal freddo nella lunga attesa che ci aspetta, circa 6 ore; con gli occhi ancora semi chiusi mi sembra di intravedere degli scaldamuscoli… no, no, no! devo essermi sbagliato. Per forza!! Questo andrebbe ben oltre la linea della fiducia verso il genere umano, mi sentirei tradito. Invece è così. È il look “disagio” scelto da Alessandra, giornalista di Glamour Italia, alla sua prima maratona, non allenata, ma sempre sorridente. Lei si fida. Io mi fido, per forza. Proseguiamo! Dato che nessuno dorme in questa città o tanto meno si siede per mangiare, ci rechiamo, in gruppo, verso uno strano market che prepara di tutto alle “non so più che ore sono ma è buio”. Porridge, bagel, cheddar, salami, acqua. Sbaglio tutte le ordinazioni, mangio quello che c’è, prendo dell’acqua con un sapore orribile, mi accorgo che è o dovrebbe essere al cedro. Non muoio. Terzo atto di fiducia di oggi.

Bus. Un’ora e mezza. Manhattan che si allontana dal finestrino. Inesorabile. Poi Queens, Brooklyn, ponte di Verrazzano verso Staten Island. Penso che tutti gli “sbirri” vivono nel Queens, gli italiani a Brooklyn, dove se non stai attento finisci mangiato dai granchi a largo di Red Huuk e a Staten Island ci sono i boss delle famiglie emergenti che gestiscono il mercato della droga, ma questo il Padrino non lo gradisce! Questo viaggio nella cinematografica “mafia style” degli ultimi 40 anni del grande schermo, mi diverte da impazzire, devo dire che è uno dei motivi che mi ha spinto a fidarmi venendo qui. Questa gradevole pausa mentale, stile carosello, non mi ha distratto però dal concetto portante della giornata. Il quarto atto di fiducia globale: 1 - Verso l’autista del bus; 2 - Verso tutti gli autisti di tutti gli altri mezzi circolanti nella grande mela a quell’ora (non pochi) e nel loro senso del rispetto per il codice della strada; 3 - Potrei trascendere e arrivare a coloro che il suddetto codice della strada l’hanno impostato, organizzato. A chi ha posizionato i segnali, a chi ha costruito la rete di follia che scorre sotto il manto stradale, ma ci avete mai pensato, tutti voi che come me abitate in città, che camminiamo sopra un’enorme bomba di gas, acqua, elettricità, fogna e lo facciamo con un’enorme serenità?


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Non è, questo, un immenso atto di fiducia collettivo? E non mi soffermo oltre parlando dell’esercito di persone che ha costruito l’immenso ponte sul quale siamo in coda…

gnale di sfiducia, di smarrimento, c’è la sicurezza che tutto sarà perfetto, che tutto andrà bene. Quinto atto di fiducia del giorno più lungo.

Scaricati dal bus, ringrazio l’autista e mi incanalo con i miei compagni di viaggio nel flusso infinito di runner che si dirige verso il nulla. Non ho ancora capito oggi, esattamente dove ci hanno mandati e come logisticamente era organizzato il tutto, so solo che circa 100.000 persone tra runner, volontari, addetti alla sicurezza, spedizionieri, giornalisti, poliziotti, commercianti, speaker, addetti alle pulizie, trasportatori, si trovano con me in “the middle of nowhere” e ognuno si affida per forza a qualcun’altro. Chiedendo informazioni, condividendo il giaciglio di paglia o cartone, confidando preoccupazioni, ascoltando storie di altre persone in altre lingue, mangiando e bevendo cose che ti vengono date dalle mani di angeli vestiti di blu. Non esiste un minimo se-

Le sei ore passano veloci. Me l’avevano detto, non mi fidavo. Avevano ragione... Sei. Con i miei amici di Barletta con cui oggi condividerò tutto, ci avviciniamo al nostro cancello, lasciamo i nostri “tutoni” nelle casse destinate a chi ha più bisogno di noi di fiducia. Sto per dare anche la mia “bag” e dico fiero e indottrinato dal mitico Asics Team: Cherry Hill!! Risposta: “Not here! Behind the bridge… overthere!” Il braccio e l’indice del volontario mirano un obbiettivo a una distanza siderale dal punto dove mi trovo. Guardo Mariella. Partiamo di corsa, insieme, con un ritmo da keniano al rush finale di una 10K raggiungo l’UPS e affido loro tutto ciò che ho ripetendo la formula


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magica: “Cherry Hill” Questa volta ci siamo. Arriva Mariella con ciò che ho seminato per strada: un guanto, un paio di occhiali, un cappello. Grazie! Come saette ripercorriamo il chilometro e ci fiondiamo nel nostro settore pronti a partire. settimo atto di fiducia multiplo e collettivo, anche bilaterale! Si cammina sempre più vicini gli uni agli altri. La start line è lì. Inno americano. (loro si fidano, noi impareremo mai?) Frank, immortale, sguinzaglia le note di New York New York. Emozione. Start! Corro, fotografo come un nippo-meneghino, qualunque cosa, siamo nella parte inferiore del ponte e in effetti da fotografare non ci sarebbe nulla, ma da due ore a questa parte mi sembra tutto notevole, bello, unico! Corriamo sereni sull’immenso ponte a buon ritmo: io, la mia amica Mariella e il mitico Nelly. Con noi si alterneranno Andrea organizzatore della maratona di Pisa, alla sua undicesima presenza qui, Il fiorentino “renziano” Pietro che mi ha parlato anche di politica nel Queens… mah! Due romagnoli incantati da tutto, e un amico di Barletta con il suo grande obiettivo nel cuore, in bocca al lupo! Terminato il tratto sospeso sull’Oceano, tutto cambia. Facciamo il nostro ingresso trionfale a Brooklyn. È un party!!! sempre più incredibile a ogni miglio, la comunità multi etnica di New York ama questo evento e festeggia, grida, gioisce. Molti sono superstiti della sera prima: halloween! Sono ancora scatenati! Le band suonano ovunque, la mia passione per la musica e la cinematografia americana e non lo nascondo, anche per i party, prendono il sopravvento, la maratona nel puro senso sportivo del termine non ricordo esattamente a che civico dell’immensa avenue l’ho perduta. Insieme ai mie inseparabili nuovi fratelli inizia una festa che non portò mai dimenticare.

Il party più lungo del mondo. 26 miglia di gioia, abbracci, festa, baci, foto, incitamento, amore e NON e ovviamente tanta fiducia! Tutto andrà bene! La finirete! Non può essere che così! Arriverete in fondo! Tutti lo dicono. Specialmente gli oltre 10.000!!!! volontari. Già! È qui che si manifesta l’ottavo immenso, atto di fiducia, il più miracoloso, il più grande, unico che abbia mai visto. Lavorano sodo, sorridono tutti e sempre, incoraggiano. Amano ciò che stanno facendo. Lo fanno nel completo anonimato, senza ricompensa alcuna. Apparentemente. Tutto, grazie a loro, funziona egregiamente, esattamente come il concerto degli U2 dove i più grandi professionisti del settore vengono pagati profumatamente per far si che tutto vada bene. Allora si può fare! Allora si può davvero realizzare tutto! Si, ma è noto che ero, sono, rimango e sarò sempre un sognatore, gente più pragmatica mi dice che qui siamo a New York, che è la maratona più grande del mondo, che è un evento miliardario, un business, è ovvio, tutto ovvio che sia così! Ma a volte i numeri, poche volte per la verità, vengono a sostegno dei sogni. 1970 - 127 - 55 Giocateli al lotto, se volete o se ci riuscite, oppure riflettete, rimurginateci sopra: il 1970 è la data della prima edizione, 127 gli iscritti, 55 i primi finisher della storia della NYCM. Sempre i pragmatici, di cui sopra, risponderanno: “si vabbeh, ma erano altri tempi, si poteva fare tutto” Ma siete pragmatici o disfattisti? Siete gente che vuole fare qualcosa o gente che sa solo giudicare l’operato altrui dalla finestra? Siete e sarete sempre spettatori o inizierete a fidarvi un giorno anche voi? Be a part of it! PS: Alessandra di Glamour, una volta abbandonato il look “disagio”, ha concluso la sua prima maratona da sola, non allenata. Fiduciosa! Davide Orlandi


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La spettacolare partenza della maratona con i top runner pronti a darsi battaglia


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soul friends

NYCM - Babele Marathon Ogni viaggio, ogni gara, ogni soul experience ci ha sempre messo in contatto con altri giornalisti, blogger, appassionati ma soprattutto runners. NY ci ha lasciato un’eredità d’eccezione. Firme internazionali, da Germania, Spagna, UK hanno regalato al nostro magazine le loro emozioni da pubblicare. Le abbiamo volute lasciare in lingua originale. New York è una babele e la maratona accentua ancor più questa sua caratteristica. Le sonorità linguistiche e dialettali di tutto il mondo si danno appuntamento lungo le 26 miglia della maratona. La corsa azzera le diversità. Tutti si capiscono. Tutti comprendono. Tutti comunicano! „Meine Vagabunden-Schuhe sehnen sich danach, mitten durch das Herz von New York zu streunen.“ Man könnte meinen, Frank Sinatras Hymne auf die Stadt, die niemals schläft, wäre für diesen Moment geschrieben worden. Nach gut zwei Stunden des Wartens stehe ich mit

vielen tausend Läufern vor der Verrazano Narrow Bridge auf Staten Island. Vor mir kramt eine Läuferin einen Zettel aus ihrem Hüftgurt, als der Klassiker aus den Boxen dröhnt. „Start spreading the News. I am leaving today. I want to be a part of it. New York, New York…. Ich bin tatsächlich ein Teil der „Masse“, die sich langsam über die riesige Brücke schiebt. Schon nach wenigen Metern bin ich im Laufschritt, links öffnet sich der Blick Richtung Manhatten. Winzig wirken die riesigen Wolkenkratzer im Herzen New Yorks, die vom neuen One World Trade Center überragt werden. Einmal kneifen – ja ich bin wirklich dabei. Erst vor wenigen Wochen hat sich die Chance ergeben, über Asics, einen der Hauptsponsoren des TCS New York Marathon, noch eines der begehrten Tickets zu ergattern. Wer kann dazu schon nein sagen? Die Form ist mäßig, aber wen interessiert das hier schon.

Rund die Hälfte der rund 50.000 Läufer im Ziel wird am Ende länger als 4:40 Stunden durch die Straßen New Yorks unterwegs sein. Ich auch. Etliche Male habe ich die Marathon-Ziellinie herbeigesehnt, nicht hier. Den New York Marathon musst du genießen. Jeder Meter ist Emotion, ist gute Laune. Weil die New Yorker und Menschen aus der ganzen Welt stolz auf jeden sind, der diese Strecke auf sich nimmt. Die Leute am Streckenrand haben Respekt vor jedem einzelnen auf der Strecke. Wahnsinn. In diesem Ausmaß habe ich das noch nirgendwo erlebt. Wenn es einen Marathon auf der Welt gibt, den man einmal in seinem Leben finishen sollte – dann ist es der New York City-Marathon. Norbert Hensen Editor of laufen.de German Magazine and Website for Event-Running


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I did it! I ran my first marathon. And, so everyone tells me, the New York marathon is the best in the world - so a good one to start andend a marathon career on, I think. I was one of more than 50,000 runners from 100 countries - including 1,746 Britons who ran in the 45th New York marathon. And although I didn’t set any course records, I have come away feeling incredibly proud that I kept running for 26.2 miles (and believe me that last 0.2 was a struggle). I finished in 4 hours 28 minutes, six minutes under the race average, and totally can’t fathom how the winner, Stanley Biwott of Kenya, managed to finish in 2 hours 10 minutes and 34 seconds - something the New York Times describes today as a ‘conservative pace hastened towards a decisive conclusion). It was an incredible day, from the early 5am start to get over to Staten Island (even though my wave didn’t start until 11am), to the American national anthem being sung before two blasts of a Howitzer to signal the start of our race to the crowds, the pain of the unexpected hills (should have done more hill training in retrospect) and the final dash to the finish line. I made mistakes - as well as lack of hill

training, I ran the first half too fast. Buoyed by the crowds in Brooklyn (who were incredible; it was like being part of the world’s biggest street party), I raced along as people called my name, telling me ‘You got it’. I really did. Until 13 miles, when my steam started to run out. At mile 15 I started over the mile-long Queensboro bridge, which felt like the greatest uphill slog I’d ever encountered. There were two more bridges to go, plus the final undulating

stretch down Fifth avenue where I just tried to make it to the next traffic light (it was a battle not to stop then) and then the final two miles, leading into Central Park were also uphill - thanks New York! But as well as the million-strong crowd who were out on the streets supporting us, I was running alongside some extraordinary people. I saw a blind man making his way around the course with a guide, a man hunched over a zimmerframe and two people missing limbs and on crutches. Their efforts put mine to shame. Then everyone who had a personal message on their backs, such as, ‘I’m running for dad’, made me well up; every person who saw a supporter in the crowd and ran over to hug them gave me a lump in my throat too - especially near the end. The best part was walking back to my hotel, through the streets of New York, with my medal around my neck and race poncho on, one of the 50,000 survivors trudging home through the streets of New York. Everyone we passed congratulated us, everyone seemed proud. And I am too. Jessica Salter Commissioning editor telegraphmediagroup


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...Il tempo passa, passa, passa, e inizia a fare buio. Attraverso Harlem, poi giù per la Fitfh Avenue, e finalmente arrivo a Central Park. Faccio meno di un km in venti minuti, sono veramente stanca. Manca poco, ma è proprio adesso che inizia la parte più faticosa. A ogni passo credo di essere arrivata, e invece no. Ci sono parecchie salite, non mi sento le gambe. Non funziona neanche più il mantra. Sono

stanca, sudata, sporca, ho freddo, il gelo mi entra nelle ossa. Ormai non corro più, semplicemente mi trascino. “Almost done girl, Amost done! Go, go, goooo!!!“, mi urla la gente. E va bene, va bene, dannazione! Quest’ultima parte della corsa è una sfida con me stessa. Tu, piccola schiappa dai capelli rossi, non puoi mollare adesso. Sei a New York per la Maratona e contro ogni aspettativa sei quasi arrivata al traguardo. Corri, e porta a casa questa medaglia, a costo di arrivare strisciando. Sento un formicolìo che parte dal braccio sinistro e arriva fino alla coscia, e per un attimo penso che sto per svenire. Rallento, respiro con tutto il fiato che ho. Sono a meno di un kilometro dal traguardo. Se crollo adesso, non me lo perdonerò per il resto dei miei giorni. Non chiedetemi come diamine abbia fatto, ma sono arrivata alla Finish Line. Ci ho messo una vita, ma il tempo a un certo punto non conta più quando sei un principiante e fai 42 km e mezzo. Una corsa catartica, incredibile, emozionante, una delle esperienze più belle della mia vita. No, non ho visto la Madonna all’arrivo, ma ho abbracciato sconosciuti che mi hanno fatto sentire a casa avvolgendomi in una coperta termica, dandomi

da bere, come fossi figlia loro. È stato bellissimo, e ringrazio Asics per avermi fatto vivere un’esperienza che ricorderò per sempre. Da oggi in poi la corsa sarà parte di me. Pensavo fosse una cavolata, e invece: non saprete mai quanta forza avete finché non vi metterete alla prova. Sfidatevi, provate a conoscervi fino in fondo, abbiate fegato, trovate il coraggio, e date del filo da torcere a chi sottovaluta il vostro potenziale. A partire proprio da voi stessi. Che arrivassi al traguardo non ci credeva nessuno, nemmeno io. Da questo momento, quando qualcuno mi dirà “non ce la farai mai!”, sarà mandato a quel paese. Contateci. Alessandra Pellegrino Vice caporedattore moda Glamour Collegatevi con il vostro device per leggere l’articolo completo di Alessandra Pellegrino su Glamour


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El sueño de correr en Nueva York. Nunca pensé que sería capaz de correr un maratón. Completar los 42 kilómetros de la distancia reina era, para mí, un sueño lejano. Pero lo hice. Atravesar la línea de meta de Central Park fue uno de los momentos más increíbles de mi vida. No podía parar de llorar. Una voluntaria me cogió del brazo en la meta y me preguntó si estaba bien con cara de preocupación. Lo estaba. Apenas era capaz de caminar. Mi estómago era una especie de lavadora en pleno centrifugado de geles, plátanos, chocolate y agua… Y algo, que luego resultó ser la ampolla más grande que había visto en mi vida, palpitaba en el dedo gordo de mi pie izquierdo. Pero estaba bien. Más que bien. Y, a pesar del agotamiento y el dolor muscular, mi llanto era de pura de felicidad. De éxtasis. Lo había conseguido. Había logrado cumplir uno de esos sueños que uno piensa que jamás logrará hacer realidad: ser ‘finisher’ en Nueva York. Atrás quedaban 42 kilómetros de emoción, de felicidad y de sufrimiento. 42 kilómetros en los que la cabeza se impuso al cuerpo. En los que el espíritu de superación venció al cansancio. 42 kilómetros que creo que sólo podría haber corrido en Nueva York, arropada por las gentes de una ciudad que se vuelca en el mayor espectáculo ‘runner’ del mundo.

42 kilómetros en los que te asaltan multitud de pensamientos. 42 kilómetros de dolor y gloria en los que unas veces te sientes volar y otras, apenas logras levantar los pies del suelo. 42 kilómetros de un sueño que arrancó mucho antes de aterrizar en Nueva York, en el momento en el que ASICS me propuso cubrir la carrera para la revista, TELVA (http://www.telva.com/2015/11/03/ fitness/1446552055.html) y yo dije “sí, quiero”. Y acepté el reto deportivo más apasionante que jamás se me había planteado con una mezcla de felicidad, respeto y afán de superación personal. Con menos horas de entrenamiento de

las que me hubiera gustado, me embarqué rumbo a esta gran aventura con una maleta cargada de ilusiones y los ‘amuletos’ de mi familia: un mineral de Samuel, un dibujo de Laura, un pijama de Iván y el ipod con la selección musical que me había preparado Sami, mi marido. Como manda el manual del perfecto corredor de maratón, seguí cada paso del ritual. La noche anterior a la carrera, preparé mi ropa, mi dorsal y las zapatillas con el mismo deleite que lo hace una novia antes de la boda. Apenas dormí. Me aterraba la idea de que no sonara el despertador, de no llegar a tiempo a la cita en el vestíbulo del hotel. Embadurnada de vaselina y feliz como una niña, arranque uno de los días más especiales de mi vida. Nueva York nos regaló la jornada perfecta para correr, sin lluvia y con la temperatura ideal. Springsteen, Sinatra y Keys me erizaron el vello de todo el cuerpo mientras caminaba hacia la línea de salida. Y el himno americano me hizo aflorar las primeras lágrimas de un día plagado de ellas. A partir del pistoletazo de salida, mi corazón empezó a latir con más fuerza que nunca. Mis piernas querían volar. Pero mi mente las frenaba. Sabía que la única manera de llegar a la meta era dosificar las fuerzas y lo hice. Corrí con la cabeza. Respirando. Sin ponerme los cascos para poder disfrutar a tope del


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ambiente de las calles. Los vecinos de Brooklyn me llevaron en volandas hasta más allá del kilómetro 20. Sus ánimos, sus palmas, la música de los grupos que tocaban en cada esquina me cargaron las pilas. El espectáculo continuó en Queens. No podía creer lo que lo que veían mis ojos. No cabía ni un alfiler en las aceras. Sus voces acallaban el dolor de mis articulaciones. Hasta que, al llegar al kilómetro 30, me llegó el temido muro. Las piernas me pesaban como losas y la combinación de geles energéticos me había provocado tal revoltijo en la tripa que apenas podía controlar las náuseas. Pero lo hice. Y seguí. Paso a paso. Por mi cabeza pasaban las imágenes de mi familia. De mi madre que acababa de superar una durísima enfermedad. Y pensé en su fuerza. En su sonrisa ante la adversidad. Y en la fidelidad con la que mi padre la había acompañado en el trance. Y seguí. Paso a paso. La Quinta Avenida se me hizo interminable. Intenté escuchar a Springsteen pero ni él fue capaz de tirar de mí. Era una cuestión de dos: la ciudad y yo. Y me salí con la mía. Cruce la meta alzando mi puño al aire en señal de victoria sin saber que, a miles de kilómetros de distancia, mi marido y mis hijos estaban contemplando mi llegada en directo a través de web. Gema G. Marcos @gemagmarcos Madrid

Stanley Biwott (Kenia) vincitore della NYCM 2015 con il crono di 2h10’34”


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La vincitrice Mary Keitany (Kenia) in 2h24’25” e la terza classificata Tigist Tufa (Etiopia) in 2h25’50”


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la favola

Il fantastico viaggio di Davide

Succede che ti trovi su di una città volante a due piani, abitata da alieni. Si perchè Davide sono io e anch’io sono un alieno, un marziano. Succede che questa immensa astronave possa volare sull’Oceano per ore e ore. Tutti i suoi abitanti, me compreso, sono tranquilli, mangiano, lavorano, guardano film, leggono, ridono, discutono. Vite sospese a 11.000 metri. Normalità aliena. La notte insegue l’enorme macchina volante, cercando di sorpassarla. La raggiunge ormai quando tocca terra, in un deposito gigante di tante altre città volanti, è pazzesco! Sono centinaia e continuano ad arrivare e partire. Il pianeta dove sono atterrato è diverso da quello dove vivo. Sembra molto organizzato. Sembra che tutti abbiano un compito ben definito e lo svolgano in maniera meticolosa. Una piccola astronave nera, col suo pilota, mi aspetta per trasportarmi in una dimensione nuova. Piccole luci ovunque, sopra, sotto, scorrono rapide in ogni direzione, rilassato mi


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guardo intorno fino a spalancare prima le labbra, poi piano piano, la mandibola. Resto attaccato all’oblò fissando, in silenzio, torri di ogni colore che si sfidano verso il nero della notte che ora circonda tutto. Quando mi fermo davanti all’immensa costruzione nera che mi ospiterà, mi rendo conto che tutto intorno a me è in perenne movimento come in preda a una maledizione di una strega cattiva e in effetti oggi è proprio la notte delle streghe! È halloween! Ma chi avrebbe potuto immaginare che proprio in una notte così minacciosa, una polverina magica, dal cielo, scendesse scintillante per depositarsi ovunque. Mentre cercavo di dormire, agitato, calava lenta e inesorabile tra le piramidi di cristallo, sui mattoni rossi di Brooklyn, scorreva nei canali, si univa al corso dell’Hudson, creava una coltre luminosa ad Harlem, ricopriva il Bronx si infiltrava ovunque nel Queens, ma soprattutto si posava su ogni persona, abitante di questo folle pianeta chiamato New York, che, senza accorgersene, la respirava nel sonno fino a ricoprire ogni ventricolo, ogni valvola del proprio cuore. La mattina, l’immensa città si risveglia. Decine di migliaia di persone, che fino a ieri si ignoravano prendendosi a spallate nella bolgia per arrivare primi da nessuna parte in preda alla maledizione, iniziano a correre, si abbracciano, ridono, si amano sinceramente. Per ore. Tante ore. Infinite. Arriva veloce la sera e migliaia di esseri dal poncho blu caracollano felici per i canyon di Manhattan, con al collo un simbolo magico che sembra unirli tutti. Io ero tra loro. Ero uno di loro. Con un sorriso ebete e l’adrenalina a mille i maratoneti, così si chiama questo popolo alieno che ha invaso New York, cercano a fatica di prendere sonno. Ormai è di nuovo buio. L’emozione è troppa per

dormire sereni. La notte è breve. La luce del sole della east coast irrompe nelle finestre sospese tra le torri, doloranti e felici tutti scendono per le strade, ma… Nulla! Nulla è come ieri. Tutto è finito, anzi scomparso. La netta sensazione che non sia stato reale pervade tutti. La città continua indifferente la sua vita nel folle caos di tutti i giorni. È stato senza dubbio un sogno. Non può essere stato vero. NYCM è uno splendido sogno che non potrà mai realizzarsi. Così mi rituffo in un alternarsi di avenue e street infinito, tra gente che mangia in piedi, camminando e beve caffè a litri, in cartone, ma soprattutto urla sempre. Non vedo più poncho blu, pantaloncini. Non vedo più amore per le strade. Cammino a testa alta, scrutando le porzioni di cielo che mi sono concesse, affascinato e stordito allo stesso tempo, finchè, nel caos, inizio a sentire un suono, sottile, acuto, breve. Lo percepisco nitido. Continua a ripetersi, non ha un’unica sorgente, sembra arrivare da… da ovunque. Non so definirlo, forse un tintinnio. Non riesco più a far finta di nulla, continuo a sentirlo. Abbasso lo sguardo e vedo due ragazze. Si abbracciano, il suono si fa più netto, sincero, arriva dai loro petti, all’altezza dei loro cuori, si diffonde proprio da lì. Sono i simboli magici che tutto il popolo alieno ieri aveva al collo!! Cerchi di metallo dorato, ricchi si simboli. Sono ovunque, al collo di tutti, appoggiati su migliaia di cuori che battono forte e li fanno risuonare a ogni abbraccio, a ogni incontro, ogni volta che qualcuno le tocca, le osserva, li rigira tra le mani ancora con grande emozione. Tutto è stato reale! Sono felice! …e ora so a cosa serve una medaglia… a non svegliarsi mai!


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Special Thanks -

New York Road Runners 10.000 Volontari Giorgio uno & Giorgio due Mereille, Allister, Mike & Jacques. Ruth & Matt. Marcella & Giacomo Stephen, Il cinematografico e poliglotta facchino del Lotte Palace di Manhattan - 2 Milioni di cuori che battevano col mio. - Gema, Alessandra, Jessica, Thamar, Norbert. - Tutto l’incredibile staff Asics!!!

COLOPHON Speciale NYCM - The Soul Marathon allegato a Soul Running Magazine n.20 A cura di: S.P.M. Publishing Srl - Società a socio unico Via F. Sforza 1 – 20122 Milano Direttore Responsabile Marcella Magliucci Progetto grafico e impaginazione Mirko Mottin Testi Davide Orlandi hanno contribuito: Norbert Hensen, Gema Garcia Marcos, Alessandra Pellegrino, Jessica Salter Illustrazioni Andrea Valsecchi Foto Davide Orlandi, Courtesy NYRR Stampato in Italia da Tipolitografia Pagani Srl Via Divisione Acqui, 10 -12 Lumezzane – BS


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