SPECIALE HALL OF FAME VIOLA 2024

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LA HALL OF FAME VIOLA

Nel 2012 il Museo Fiorentina ha creato la Hall of Fame Viola, la prima Galleria degli Onori in assoluto per una squadra di calcio italiana. La Hall of Fame Viola nasce per celebrare le glorie che hanno fatto la storia della Fiorentina. Con questo prestigioso riconoscimento il Museo Fiorentina rende indelebili nel tempo le gesta dei grandi protagonisti della storia gigliata, costruita grazie al loro impegno e alla loro passione. Ogni anno si tiene una nuova edizione con una cerimonia nella quale nuovi membri vengono accolti nella Hall of Fame Viola, il nostro glorioso passato sarà l’esempio migliore per costruire il nostro futuro. I premiati ricevono l’onorificenza del Marzocco Viola, statuetta disegnata per il Museo Fiorentina dall’artista Marco Cantini e realizzata dall’argentiere Federico Sassoli.

La Hall of Fame Viola si distingue da ogni altra nel mondo per illustrare coloro che vi entrano a far parte non con delle foto, ma con i mirabili ritratti realizzati dal maestro Claudio Sacchi, il migliore allievo di Pietro Annigoni. La Hall of Fame Viola nasce per onorare la memoria di chi ci ha preceduti, convinti che ricordare i protagonisti della storia viola equivale a raccontare la storia di ciascuno di noi. Dietro ogni vittoria non ci sono solo i campioni che godono delle luci della ribalta, ma anche tanti protagonisti silenziosi che lavorano ogni giorno per costruire la Storia Viola. La Hall of Fame Viola ha ricevuto l’apprezzamento ed il patrocinio dei massimi enti sportivi (CONI, FIGC e Lega Calcio Serie A) e delle istituzioni (Regione Toscana, Comune di Firenze, Città metropolitana di Firenze)

David Bini

Presidente del Museo Fiorentina

Questa pubblicazione è stata realizzata in collaborazione con Massimo Cervelli (commissione Storia Museo Fiorentina)

Editore e pubblicità SPORT MANAGER GROUP info@brividosportivo.it

N° ROC 26744

direttore editoriale Luca Calamai direttore responsabile

Mario Tenerani

Caporedattore Tommaso Borghini

redazione redazione@brividosportivo.it

Grafica e impaginazione

Rossana De Nicola Stampa: Baroni e Gori

IL FIOrEntInO dELLA FIOrEntInA

MAurILIO PrInI

Nato il 17.08.1932 a Le Sieci - Pontassieve (Firenze) Centrocampista

Acquistato dall’Empoli nel 1952. Ceduto alla Lazio nel 1958

Esordio ufficiale in maglia viola Serie A: 14.09.1952

Fiorentina-Spal 1-1

Palmares: 1 Scudetto 1955-56

1 Coppa Grasshoppers 1952-57

Nazionale in viola: Nazionale A: 3 presenze esordio 24.06.1956 Argentina-Italia 1-0

Maurilio Prini, nato alle Sieci il 17 agosto 1932, arrivò alla Fiorentina nel 1952, acquistato dall’Empoli. Era un attaccante e, come tale, aveva trovato poco spazio nella prima squadra viola, giocando principalmente nelle riserve che allora disputavano un proprio campionato nazionale. Fu l’incidente subito da Bizzari nella prima gara del campionato 1955-56 a cambiare il corso della sua carriera. Bizzarri era una vera ala sinistra, un attaccante puro. I gigliati non avevano un giocatore simile in quel ruolo e il suo infortunio provocò una piccola crisi tecnico-tattica. Dopo qualche esperimento Bernardini puntò deciso su Prini, conoscendone la versatilità, l’attaccamento alla maglia e la generosità. L’allenatore romano aveva già provato ad impostarlo come centromediano per avere un’alternativa pronta nel caso dovesse sostituire Rosetta. All’inizio sembrava un accorgimento già utilizzato nel calcio di quegli anni: l’ala “tornante” che rientrava a sostegno dei propri compagni a centrocampo e in difesa. Era stato Alfredo Foni, allenatore dell’Inter ad usare Gino Armano in quel modo ed a vincere due scudetti consecutivi nel 1952-53 e nel 1953-54. Bernardini spiegò che lui, con Maurilio, aveva trovato molto più che di tornante: aveva messo in campo un terzino-mediano-attaccante. Prini era l’uomo ovunque, che non si limitava a presidiare la fascia sinistra, un giocatore prezioso in ogni parte del campo, capace di segnare anche gol storici come quello a Belgrado, in semifinale di Coppa dei Campioni, che qualificò la Fiorentina alla finale di Madrid.

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MAURILIO PRINI

Prini, umile e sempre pronto al sacrificio per il bene comune, rappresentava l’uomo in più, come se la squadra disponesse di dodici giocatori. Giornalisti importanti del suo tempo, Bruno Roghi su tutti, dipinsero Maurilio come un gregario, o una riserva, di lusso. Sbagliavano.

Prini era diventato un giocatore imprescindibile in quella squadra, costruita da Befani e guidata da Bernardini, che incantò critica e pubblico italiano facendo gridare “è tornato il Grande Torino”. L’innovazione tattica di Bernardini aveva equilibrato la squadra, evitando lo sbilanciamento offensivo. Una mossa simile a quella, già utilizzata nei campionati pre-

Umile e sempre pronto al sacrificio Fu l’uomo in più del primo Scudetto

cedenti, di utilizzare Chiappella in chiave quasi esclusivamente difensiva che aveva reso la difesa della Fiorentina impenetrabile. Equilibrando la squadra Prini fu fondamentale per la conquista dello scudetto del ‘56, divenendo, anche negli anni immediatamente successivi, un titolare di quel favoloso undici che ancora oggi i tifosi più anziani scandiscono come

la migliore delle poesie. La crisi della squadra scudettata nel 1956-57 dipese molto dal suo infortunio e dall’impossibilità di sostituirlo. Maurilio, anche grazie alla sua modestia e serietà professionale, era diventato un giocatore totale, una figura unica in quei tempi. Questa caratteristica lo portò ad accompagnare i suoi compagni in Nazionale, toccando, in azzurro e viola, i vertici del calcio internazionale del suo tempo. E questo, nonostante due gravi infortuni al menisco subiti in pochi anni. Quando, nell’estate del 1958, Bernardini e la Fiorentina si separarono, il tecnico portò Prini alla Lazio con se. E fu proprio lui a segnare il gol decisivo nella finale di Coppa Italia Lazio-Fiorentina del 28 settembre 1958, vinta dai romani...

Nella Fiorentina Campione d’Italia Maurilio aveva portato anche l’orgoglio della fiorentinità, la tremenda voglia di portare la squadra, trent’anni dopo la sua fondazione, a vincere lo scudetto. Prini, come fu sottolineato anche dalla stampa nazionale, rappresentava l’identità locale del club, il legame profondo con il territorio.

MAurILIO PrInI

IL “durO” dELLA dIFESA VIOLA

BErnArdO rOGOrA (Foto Fiorenza )

LBErnArdO rOGOrA

Nato il 08/11/1938 a Solbiate Olona (provincia di Varese) difensore

Acquistato dal Padova nel 1965 - Ceduto al Brescia nel 1970

Esordio ufficiale in maglia viola Coppa Italia 29.08.1965

Genoa - Fiorentina 0-3

Esordio in serie A 05.09.1965 Atalanta - Fiorentina 1-1

Palmares: 1 Scudetto 1968-1969 1 Coppa Italia 1965-1966 1 Mitropa Cup 1966

uglio 1965. Siamo alle ultime battute del calciomercato, il primo della gestione Baglini che ha promesso risanamento e scudetto suscitando la facile ironia del pubblico viola: “questi vendono anche i pali delle porte”. La campagna acquisti della Fiorentina ha avuto due momenti salienti: l’acquisto di Giancarlo De Sisti, dalla Roma, e la cessione del capocannoniere Orlando al Torino – in cambio del terzino Buzzacchera e soldi. La Fiorentina cede al Brescia il capitano Robotti che lascia Firenze dopo otto anni a causa di dissidi economici con la società. La situazione sembra chiara: Buzzacchera sostituirà Robotti. In extremis, la Fiorentina acquista Rogora dal Padova in cambio del terzino prelevato dal Torino e di una sostanziosa somma di denaro. La notizia lascia increduli: sostituiscono un nazionale trentenne come Robotti con un ventisettenne come Rogora, che non ha ancora debuttato in Serie A. Bernardo Rogora nasce l’8 novembre 1938 a Solbiate Olona, in una famiglia operaia. Ha dovuto lasciare presto la scuola per lavorare, a causa di una grave malattia del babbo. Nonostante le dieci ore di lavoro giornaliere, il suo sogno è fare il calciatore. La sera si allena da solo in casa, e la sua determinazione lo porta alla Castellanzese, nonostante il parere contrario del medico sociale, che lo ritiene troppo gracile, diagnosticandogli anche un soffio al cuore. Nel settembre 1952, il suo cartellino viene falsificato per farlo sembrare quattordicenne. Dopo alcuni anni tra i dilettanti, la Pro Patria lo acquista per la stagione 1959-60 in Serie C.

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Rogora gioca solo una partita in prima squadra come ala destra. Il fisico non lo aiuta: alla visita militare risulta alto 1,66 metri e pesa meno di 60 kg. La sua trasformazione avvenne alla Gallaratese in serie D, dove l’allenatore Kaffenig lo impostò come stopper. Nel 1962 fu acquistato dal Padova. A ventiquattro anni sembrava un punto d’arrivo, con uno stipendio di ottantamila lire al mese, ma la speranza di sfondare nel calcio stava tramontando. Il Padova era retrocesso dalla serie A e lui partiva come riserva di difensori storici del club come Scagnellato ed Azzini. Bernardo s’impose subito diventando, per tre anni un pilastro della difesa padovana trasformandosi da stopper a terzino. Il 28 giugno 1965 si sposò con Rosanna; radiomercato lo dava ormai certo al Brescia, neopromosso in Serie A.

Marcatore implacabile della Fiorentina del secondo

Scudetto

Il 16 luglio, la mattina dopo la chiusura del calciomercato, scopre dal giornale di essere stato acquistato dalla Fiorentina, una squadra che ogni anno puntava allo scudetto. La notizia provocò una grande gioia, ma anche molto timore. I primi mesi a Firenze furono difficili: alcune brutte prestazioni, culminate in un clamoroso autogol a Vicenza, lo resero bersaglio della stampa, ma Chiappella continuò a schierarlo. Rogora raccontò che una sera era deciso a fare le valigie e a lasciare il calcio, ma Rosanna lo convinse a rimanere. Il 9 febbraio giocò una partita straordinaria contro

l’Inter, marcando Mazzola nella semifinale di Coppa Italia, una vittoria che aprì la strada al trionfo nella finale del 19 maggio a Roma. Un mese dopo la Fiorentina conquistò anche la Mitropa Cup nella finale a Firenze contro lo Jednota Trencin. Rogora non era più un’incognita: era il “duro” della difesa viola e Firenze era diventata la sua casa. A lui toccavano sempre gli avversari più temibili, a partire da Gigi Riva. La soddisfazione più grande arrivò pochi anni dopo, il 18 maggio 1969, quando la Fiorentina scese in campo contro il Varese per l’ultima partita della stagione. I viola erano già campioni d’Italia, e il boato d’accoglienza del pubblico provocò sensazioni indimenticabili, ripagando Bernardo dei tanti sacrifici sostenuti per diventare un calciatore.

AL SErVIzIO dELLA SQuAdrA

eBrunO BEAtrICE

Nato il 05/03/1948 a Milano

Centrocampista

Acquistato dalla Ternana nel 1973

Ceduto al Cesena nel 1976

97 presenze totali in maglia viola con una rete realizzata

Esordio in Coppa Italia 29.08.1973 Palermo-Fiorentina 2-0

Palmares: Coppa Italia 1974-75

Coppa di Lega Italo-Inglese 1975

state del 1973. La Fiorentina presenta il nuovo allenatore. È un esordiente in serie in A, ha solo 38 anni ed è stato protagonista di un’impresa sportiva: ha portato, per la prima volta, il Cesena in serie A. L’idea di calcio di Gigi Radice guarda al di là dei confini nazionali. Come Tommaso Maestrelli è stato stregato dalla rivoluzione arancione, dalla capacità di attaccare gli spazi mostrata dalle squadre olandesi e dall’Ajax vincitrice di tre Coppe dei Campioni. Fa buon viso alle operazioni di mercato che portano tanti soldi nelle casse della Fiorentina cedendo Orlandini, Scala e Clerici, ma chiede giocatori che siano in grado di sostenere pressing e manovra a tutto campo. Beatrice ha questi requisiti. Tenuta atletica e duttilità tattica sono fra le sue migliori caratteristiche. Bruno, nato a Milano il 5 marzo 1948, si era formato nelle giovanili dell’Inter ed aveva esordito in serie A nel campionato 1972-73. Era stato uno dei giocatori migliori della Ternana allenata da Corrado Viciani, altro assertore convinto del calcio totale, ma che lo modulava con un maggior possesso, passato alla storia come “il gioco corto”, caratterizzato da una fitta ragnatela di passaggi con cui conquistare posizioni in campo.

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BrunO BEAtrICE (Foto Fiorenza)

Viciani sosteneva che si doveva inseguire il calcio migliore: giocare come il Brasile con la velocità degli inglesi. La Ternana, specie nel girone d’andata, diede filo da torcere a tutte le avversarie, ma era destinata a retrocedere. Troppo grande la differenza di valori tecnici e la penuria offensiva, basta pensare che Beatrice fu uno dei cannonieri degli umbri con due gol all’attivo...

Bruno arrivò a Firenze in una squadra che affiancava molti giovani (Antognoni, Roggi, Guerini, Della Martira, Pellegrini, Caso, Speggiorin, Desolati) ad esperti giocatori che avevano vinto lo scudetto (Superchi, Brizi, Merlo, De Sisti). A cinque giornate dalla fine la Fiorentina è terza in classifica, ma il passaggio

Punto fermo del centrocampo

In viola vinse la Coppa Italia del 1975

a vuoto finale la condanna al sesto posto, complice un rigore sbagliato nell’ultima partita, e la lascia fuori dall’Europa. Beatrice è un punto fermo della squadra, utilizzato come marcatore del centrocampista più avanzato della squadra avversaria. Radice viene sostituito con Rocco, a fine carriera. Le cose non migliorano, anzi, ma a fine stagione i viola, con Mario Mazzoni in panchina, vincono la Coppa Italia in finale contro il Milan (3-2), dove Bruno deve lasciare il

campo al termine del primo tempo. Carletto Mazzone, il nuovo allenatore lo impiega inizialmente come terzino. Il 1975-76 è un anno difficile per la Fiorentina, che conclude il campionato al nono posto, e terribile per Bruno che, colpito da una pubalgia viene “curato” con una terapia a base di raggi Roentgen per accelerare la ripresa agonistica. È la sua condanna. Beatrice continuerà a giocare per qualche anno (Cesena, Taranto, Siena, Montevarchi) ma il suo destino è segnato. Bruno muore il 16 dicembre 1987, a soli 39 anni, per una leucemia linfoblastica acuta, lasciando la moglie Gabriella e due figli piccoli Alessandro e Claudia. Da allora la famiglia Beatrice è in attesa di giustizia. E noi con loro.

L’IMPOSSIBILItÀ dI ESSErE nOrMALI

AdrIAn Mutu

Nato il 08/01/1979 a Calinesti (Romania)

Attaccante

Acquistato dalla Juventus nel 2006

Ceduto al Cesena nel 2011

143 presenze totali con 69 reti realizzate

LEsordio ufficiale con la Fiorentina in Coppa Italia: 19.08.2006

Fiorentina-Giarre 3-0

uglio 2006, Adrian Mutu viene acquistato dalla Fiorentina e ritrova Cesare Prandelli, l’allenatore che lo ha “esaltato” a Parma, facendone emergere le enormi qualità che lo avevano portato ad essere acquistato dal Chelsea – dal 2003 di proprietà dell’oligarca russo Abramovich.

MUTU E PRANDELLI (Fotocronache Germogli)

La carriera di Adrian non è mai stata lineare. In Romania, è nato a Calinesti l’8 gennaio 1979, si affermò nell’Arges Pitesti, da dove lo prelevò la Dinamo Bucarest con cui, nel 1999-2000, segnò 22 gol in 33 gare vincendo campionato e Coppa nazionale. L’Inter batté tutta la concorrenza e se lo aggiudicò quando aveva 21 anni, ma il club nerazzurro non ebbe la pazienza di aspettarlo e lo girò al Verona. Nel secondo campionato con gli scaligeri segnò 12 reti ed incantò il pubblico, ma i gialloblu retrocessero. Fu acquistato dal Parma, dove disputò un solo campionato (2002-03), realizzando 18 gol ed imponendosi all’attenzione internazionale. Il Chelsea sborsò una ventina di milioni di euro per portarlo in Premier League. Ebbe un inizio al fulmicotone, ma, progressivamente si spense. La vita londinese lo portava fuori dal campo di gioco: “Era veramente facile sbagliare. Ero molto famoso, a Londra tutti mi trattavano come un re, ed io sono stato un ingenuo”. All’inizio della seconda stagione nei blues, settembre 2004, risultò positivo alla cocaina.

Spero di essere

degno del 10 di Antognoni”

Il Chelsea lo licenziò e la Football Association lo squalificò per sette mesi (scadenza 18 maggio 2005), oltre a multarlo. La Juventus, retta dalla triade (Moggi, Giraudo, Bettega) fiutò l’affare e, non potendo tesserare in quel momento altri giocatori extracomunitari, trovò l’escamotage: Mutu venne acquistato dal Livorno che passò immediatamente in prestito ai bianconeri, ricevendo in cambio, successivamente, il prestito di Raffaele Palladino (?!). Adrian dovette aspettare la fine della squalifica e fece il suo esordio nell’ultima partita di campionato, subentrando nel secondo tempo contro il Cagliari, prima della passerella scudetto.

Nella stagione successiva trovò il suo spazio (44 presenze totali e 11 gol) nella squadra di Capello che rivinse il titolo, poi revocato dalla giustizia sportiva in seguito all’inchiesta Calciopoli.

Calciopoli cancellò la dirigenza juventina e la retrocessione dei bianconeri in Serie B impose l’addio dei giocatori più famosi, a partire da Ibrahimovic e Thuram. Fra loro c’era anche Mutu, acquistato dalla Fiorentina in un’operazione che coinvolse anche Bojinov, prestato alla Juve.

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A Firenze lo accolse Prandelli, il tecnico con cui ha avuto il suo rapporto migliore, ma per Adrian la normalità non esiste: il Chelsea pretende un risarcimento di circa venti milioni e, come se non bastasse, anche la Fiorentina è sanzionata da Calciopoli – inizialmente con la retrocessione in serie B. Che fare? Mutu fa la cosa giusta, dà fiducia a Prandelli e ai fratelli Della Valle. Cesare, oltre alle capacità tecniche, possiede un’umanità superiore ed è pro-

babilmente quella che ha fatto breccia con Adrian che si è sentito sostenuto, coccolato e soprattutto capito, ripagandolo con prestazioni eccellenti.

L’iNCHiNO DeL FeNOMeNO

Adrian prese la maglia numero 10, “Spero di essere degno di indossare quel 10 che è stato di Antognoni”, e la onorò da fuoriclasse quale era. Lui e Toni formarono una coppia offensiva da favola e, dopo

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Leggendarie

la doppietta di Eindhoven e il tris di Marassi

ADRIAN MUTU (Fotocronache Germogli)

le difficoltà iniziali, trascinarono la squadra (partita con una penalizzazione di 19 punti, ridotti poi a 15) al quinto posto che, senza l’handicap, sarebbe stato il terzo. La stagione, iniziata con mille paure, terminò con la qualificazione alla Coppa UEFA. Tra Mutu e i tifosi viola fu subito amore. I colpi da genio calcistico e la sua classe stregarono il pubblico e dalla Curva Fiesole si alzava sempre il coro “Oh il Fenomeno”...

Segnava, correva verso la sua Curva e si piegava allargando il braccio destro … Adrian celebrava ogni suo gol con un inchino alla Curva, una gestualità che simboleggiò il legame speciale creato con i tifosi e con la città.

Zitti e Mutu

Nella Fiorentina di Prandelli Mutu era un giocatore imprescindibile. Nel campionato 2007-08 condusse la squadra alla semifinale di Coppa UEFA (che doppietta ad Eindhoven!) ed al quarto posto in campionato, qualificandosi per il preliminare di Champions League. Segnò 17 reti in serie A e 6 in Europa. Giocava senza limiti, conquistando tutti. L’anno successivo Mutu giocò meno, ma con una media di realizzazione altissima: 29 partite complessive in tutte le competizioni e 15 reti. Il 15 feb-

braio, quando la Fiorentina stava perdendo 3-0 a Marassi, decise che i viola avrebbero giocato la Champions League anche l’anno successivo. Realizzò la sua prima tripletta: un, due, tre, con il terzo sul filo del fischio arbitrale di chiusura. Il Genoa, che arriverà a pari punti con la Fiorentina, perse la grande occasione per andare in Champions, aveva trovato sulla sua strada un “Fenomeno”.

Nel 2009-10 la squadra pensò più alla Champions che al campionato, purtroppo a Monaco di Baviera l’arbitro era Ovrebo…, ma la stagione viola si era incrinata prima. Il 10 gennaio 2010, a seguito di un controllo antidoping su Adrian, venne riscontrata la presenza di metaboliti della sibutramina, uno stimolante vietato. Adrian fu squalificato per nove mesi.

La sua esperienza, bellissima, con la maglia della Fiorentina finisce qui.

“Firenze mi ha amato più della Romania. Ho dato il meglio di me, ho trovato la maturità calcistica e tantissime persone speciali. Sono stato riconosciuto come il miglior attaccante dopo Batistuta, ringrazierò sempre i tifosi viola, un popolo caldo, affettuoso ma soprattutto rispettoso, che non mi ha mai impedito di andare in giro per la città o nei ristoranti”.

QuEL rAGAzzO

Ato, una di famiglia, una presenza continua che si sposta dal tavolo di cucina al divano. In casa Picchi lo era ancora di più. Il babbo di Alessandro, Scipione, era stato uno dei più fidati collaboratori del marchese Ridolfi e, quando, nel bel mezzo della guerra (agosto 1942), fu chiamato a diventare presidente della FIGC, incaricò Scipione di prenderne le redini. Un’esperienza durata solo una stagione (1942-43), ma

fosse la migliore possibile: insieme al Campo di Marte

che accompagnava una passione maturata da tanti anni e mai spenta. Sandro cresce al Campo di Marte, convinto che la sua abitazione in via Manfredo Fanti fosse la migliore possibile: vedeva lo stadio dalla finestra, “anzi da due finestre e un terrazzo”. Lo stadio era parte della piazza giochi, insieme al Campo di Marte vero e proprio. Ragazzi che sciamavano, divertendosi con il pallone e con i tappini, aspettando la partita casalinga. La Fiorentina degli anni Cinquanta non faceva solo sognare, vinceva. Erano i loro eroi. Li incontravano tutti i giorni e loro si fermavano. L’unico ostacolo che quei ragazzi dovevano aggirare erano le maschere ai cancelli d’ingresso. Si rifiutavano di farli entrare fino all’ultimo quarto d’ora prima della fine della partita.

Il ragazzo, diventato uomo, ha mantenuto le sue grandi passioni, il gioco del calcio e la Fiorentina. Ha imparato la professione di giornalista, in una fucina di grandi penne come la redazione sportiva de “La Nazione”, e l’ha interpretata magistralmente. Sandro ha sviluppato un suo stile, molto diretto, dove il giornalista fa parlare l’avvenimento sportivo, il suo svolgimento e le dinamiche che lo hanno caratterizzato. Un lavoro vissuto come un privilegio e svolto con una straordinaria bravura e semplicità. Il ragazzo del Campo di Marte è diventato un maestro di giornalismo per intere generazioni. Per questo lo vogliamo salutare con le parole da lui scritte per descrivere (nel libro Campioni 195556 del Museo Fiorentina), gli accorgimenti tattici di Bernardini: “Ma torniamo alla questione principale, al Mezzo Sistema con cui la

Fiorentina vinse lo scudetto. Bernardini, dal punto di vista tattico, non era così candido come voleva apparire. Nella sua bellissima Fiorentina che vinse lo scudetto nel 1955-56 c’erano il libero, lo stopper e l’ala tornante, tre ruoli da calcio difensivo che venivano interpretati sotto copertura, nel senso che si notavano poco. Cosa succedeva in quella Fiorentina? Chiappella, di professione mediano e in origine addirittura mezzala nel Pisa, aveva inventato un ruolo senza accorgersene, nella squadra campione d'Italia di Bernardini. Quando i viola si difendevano, andava per istinto, e non per ordine dell’allenatore, in marcatura sul centravanti, rendendo quindi il centromediano (prima Rosetta, poi Orzan) un vero e proprio libero.

Bernardini lasciava che accadesse tutto ciò che lui non aveva ordinato”.

SANDRO PICCHI

CI PENSA LA GABRIELLA...

Il Museo Fiorentina ha istituito nel 2022 un premio speciale denominato “Ordine del Marzocco”, l’onorificenza è assegnata per il contributo dato, nella carriera, per la Fiorentina e per Firenze.

Nella undicesima edizione della Hall of Fame questo prezioso riconoscimento viene conferito a Gabriella Pierani, per oltre trent’anni segretaria di direzione della Fiorentina.

Per lei e per altre ragazze, il calcio rappresentò una via di emancipazione da una società che voleva tenerle relegate in casa. L’occasione fu creata nel 1967 da Giovanni Mazzetti, presidente del Viola Club “Giovani Viola,” che, con il sostegno di Nello Baglini, dette vita alla squadra delle Giovani Viola.

Gabriella indossava la maglia numero sette, considerata all’epoca la più importante a Firenze. Quella maglia, in omaggio a Julinho e Hamrin, aveva ispirato la nascita di uno dei Viola Club più importanti: il 7B, il Settebello.

Gabriella e le sue compagne furono delle vere pioniere del calcio femminile che oggi, finalmente, si è affermato.

Dietro

la scrivania per oltre 30 anni al servizio

dell’amata

Fiorentina

Lei la Fiorentina l’aveva conosciuta fin da piccola, respirando la passione che viveva in casa sua, con il babbo e i suoi amici tra cui lo stesso Baglini e Alfredo Mano-

elli, riferimento storico del tifo gigliato.

elli, riferimento storico del tifo familiare si complicò, accettò fisegreteria della Fiorentina. Aveva di andare a lavorare in un ambiente esclusivamente maschile… teristiche del presidente o del direttore sportivo di turno. Dai

Quando, ad un certo punto della sua carriera professionale nel mondo dell’editoria, la situazione familiare si complicò, accettò finalmente di essere assunta nella segreteria della Fiorentina. Aveva resistito per anni alla prospettiva di andare a lavorare in un ambiente esclusivamente maschile… Cominciò un’attività intensa, senza orari, con il lavoro che cambiava a secondo delle caratteristiche del presidente o del direttore sportivo di turno. Dai misurati presidenti (Ugolini, Melloni, Martellini) alle esplosioni del Conte Pontello; dall’amicizia con Tito Corsi alla classe di Italo Allodi; dalla sobrietà di Mario Cecchi Gori al fragore di Vittorio e della sua corte, fino ad arrivare a Gino Salica e i fratelli Della Valle.

Dietro la scrivania, per dar mano a risolvere tutti i problemi che spuntavano come i funghi, c’era sempre la Gabriella.

Dietro la scrivania, per oltre trent’anni, ma sempre con la maglia viola nel cuore!

GABRIELLA PIERANI

IL BuOnGIOrnO

nOn SI VEdE dAL MAttInO

settembre 1961 stadio comunale di Firenze, sesta giornata del campionato di serie A 1961-62. La Fiorentina, reduce da due sconfitte, ma intenzionata a lottare per lo scudetto e che finirà terza a fine stagione, incontra l’Udinese. Negli ospiti fa il suo esordio un giovane portiere friulano, Dino Zoff, raccogliendo per ben cinque volte il pallone in fondo alla rete. Furono quattro le presenze nel suo primo campionato, terminato con la retrocessione dell’Udinese in serie B dove Dino, nato a Mariano del Friuli il 28 febbraio 1942, diventò titolare. Nel 1963-64 lo stesso allenatore che lo aveva fatto esordire, Luigi Bonizzoni detto “Cina”, lo volle al Mantova, in serie A, come secondo portiere dietro Santarelli che s’infortunò e lasciò la difesa della porta a Zoff. Giocherà quattro campionati nel Mantova (tre in A ed uno in B). Furono anni di grande crescita tecnica e professionale, ma anche umana: nella città virgiliana conobbe Annamaria che diventerà sua moglie. L’ultima partita in Lombardia è quella del 1° giugno 1967, quando il Mantova sconfisse inopinatamente (1-0) l’Inter di Helenio Herrera regalando lo scudetto alla

quel

Juventus. Qualcuno già insinuava, ma quel nome Zoff è un onomatopea? È il rumore di una parata in tuffo che è diventata cognome?

A NAPOLi e iN NAZiONALe

te 1967. Il suo arrivo al Napoli è già ceduto al Milan; in extremis

natore Pesaola assieme al diret“Il Roma”, rilanciano, offrendo 130

ri (Juliano, Altafini, Sivori, Bianchi)

Dino è uno dei grandi protagonisti del calcio mercato dell’estate 1967. Il suo arrivo al Napoli è rocambolesco. Il Mantova lo ha già ceduto al Milan; in extremis i partenopei, con un’operazione condotta direttamente dall’allenatore Pesaola assieme al direttore del quotidiano napoletano “Il Roma”, rilanciano, offrendo 130 milioni e il cartellino di Claudio Bandoni: affare fatto. Il Napoli schierava grandi giocatori (Juliano, Altafini, Sivori, Bianchi) con l’intenzione di puntare allo scudetto, ma arrivò soltanto secondo dietro il Milan. Zoff conquistò la Nazionale, facendo il suo esordio proprio a Napoli il 20 aprile 1968 contro la Bulgaria, gara valida per la qualificazione alla fase finale dei campionati europei. L’infortunio di Albertosi, e di Lido Vieri, lo promosse titolare degli azzurri che diventarono campioni d’Europa battendo la Jugoslavia.

Furono anni di grande rivalità con Enrico Albertosi. Sia lo

stile che il temperamento erano opposti: plateale ed estroso Enrico che era esplosivo anche nel parlare; Dino era maestro nel senso della posizione e nell’integrarsi col movimento dei difensori. Riservato nella vita e, per certi aspetti, anche in porta...

Nel Napoli disputò cinque stagioni, con un rendimento in costante crescita.

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DINO ZOFF

La sua ultima partita con i partenopei sarà un manifesto di quei cinque anni: finale di Coppa Italia, 5 luglio 1972, Milan-Napoli 2-0.

A

tReNtANNi

ALLA JuVeNtuS e titOLARe DeLLA NAZiONALe

All’inizio degli anni Settanta Gianni Agnelli andò sul sicuro per riportare la Juve sul tetto del calcio italiano. Ordinò a Boniperti di prendere i migliori giocatori, senza badare a spese. Ne aveva bisogno anche politicamente. Gli stabilimenti FIAT era l’epicentro di quel terremoto sociale che scosse l’Italia tra la fine degli anni Sessanta e Settanta. La classe operaia impose aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro, mettendo alle corte il modello FIAT (la democrazia si deve fermare ai cancelli della fabbrica, al cui interno comanda il padrone). I cinque scudetti vinti dalla Juventus dal 1972 al 1978 ebbero anche questa motivazione e Zoff ne fu uno dei maggiori protagonisti.

Portiere di riserva alla Coppa del Mondo in Messico, Dino diventò titolare della Nazionale nel 1971 e, dopo la fine della carriera azzurra di Facchetti, capitano, partecipando ad altri tre mondiali. Nel 1974, con l’eliminazione nel girone eliminatorio; nel 1978 con il quarto posto finale e le polemiche per i due gol presi da fuori area contro Olanda e Brasile. Nel 1982 arrivò la grande rivincita: fu lui a sollevare, l’11 luglio al termine della finale con la Germania, la Coppa del Mondo.

La sua carriera da calciatore si concluse nella stagione 1982-83, disputando tutte e 30 le partite della serie A e indossando la maglia azzurra per l’ultima volta (112 presenze) il 29 maggio 1983 in Svezia per una gara di qualificazione al campionato europeo 1984.

ALLeNAtORe e DiRiGeNte

Dopo una prima esperienza da allenatore dei portieri nella Juventus, nel gennaio 1985 entrò nella schiera dei tecnici federali. Assistente di Bearzot nella Coppa del Mondo 1986, dopo i Mondiali divenne selezionatore della Nazionale Olimpica che lasciò dopo aver raggiunto la qualificazione alle Olimpiadi di Seul (1988). Venne chiamato dalla Juventus, che allenò per due anni con (ahinoi!) la vittoria della Coppa UEFA 1990. La sua carriera proseguì alla Lazio, tre anni in panchina seguiti dall’assunzione di responsabilità dirigenziali, compresa la Presidenza, con il ritorno in panchina nel 1996-97, quando venne esonerato Zeman. Zoff ha svolto anche l’inedito ruolo di Presidente-allenatore… Nel luglio del 1998 fu chiamato ad allenare la Nazionale, conducendola alla finale di Euro 2000 persa al golden gol. L’attacco frontale ricevuto da Berlusconi provocò le sue dimissioni e il ritorno alla Lazio, esperienza conclusa nel settembre 2001. Tornò ad allenare nel gennaio 2005, chiamato da Diego Della Valle per salvare la Fiorentina che, stritolata da

arbitraggi negativi, era finita nell’ingranaggio Calciopoli. Al termine della terza partita, finita con la terza sconfitta e con la Fiorentina rimasta in nove dopo dieci minuti, Zoff parlò duramente: “La gara è finita dopo otto minuti. Certamente abbiamo sbagliato, i miei giocatori hanno avuto delle reazioni scomposte, non voglio sminuire le nostre responsabilità ma le prese di posizione dell'arbitro sono gravi. Ho pensieri cattivi, politicamente la mia presenza non ha aiutato nessuno anzi ha ancora acuito questa situazione politica”. Quella affermazione, “ho cattivi pensieri”, è rimasta nella memoria collettiva del popolo viola.

La Fiorentina si salvò all’ultima giornata, grazie alla classifica avulsa, ma la società fu pesantemente sanzionata. Nel teorema accusatorio di Calciopoli la vittima fu associata agli aguzzini, proprio per dimostrare la natura criminale del disegno messo in atto. Dino sedette 20 volte sulla panchina viola: 18 in serie A (quattro vittorie, sette pareggi e sette sconfitte) e 2 in Coppa Italia (una vittoria e una sconfitta).

Il 29 maggio 2005, Fiorentina-Brescia (3-0), Zoff terminò la sua carriera di allenatore allo stadio di Firenze, proprio dove 44 anni prima aveva cominciato quella di calciatore professionista.

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