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I Corfù - Grecia
from Running Mag 01 2022
by Sport Press
Quando la meta è più importante del viaggio
Il grande scrittore e reporter Tiziano Terzani, amava uscire a correre in tutti i posti in cui soggiornava ed era solito dire che nulla è meglio della corsa per vedere tanto e bene. E noi abbiamo seguito il suo insegnamento
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_ testo e foto di Dino Bonelli
ACorfù, l’unica realtà urbana della splendida e omonima isola della Grecia ionica, alloggiamo in uno dei tantissimi hotel del centro nord. Da qui, seguendo l’insegnamento di Terzani, a noi caro, indirizziamo le nostre gambe verso sud. La tenuta, sia per me che per il mio giovane compagno di viaggio, Marco Liprandi, è quella classica della corsa su strada con l’aggiunta, apparentemente fuori luogo, dello zainetto da trail running. Ma la differenza è in quello che vi mettiamo dentro.
Nessun telo termico, nessuna maglia di ricambio, nessuna giacca anti vento, nessun paio di guanti ma solo un telo mare, un costume e una crema protettiva. Adesso la destinazione della nostra corsa è alquanto evidente. I primi 5 km li corriamo in un misto di asfalto trafficato, marciapiedi su cui fare slalom tra la gente e un rilassante lungomare semi desertico, poi, attraverso una lunga e stretta passerella in cemento attraversiamo una baia dalle acque placide.
Verso la metà dell’attraversamento, il rombo di qualcosa di grosso richiama i nostri sguardi verso l’alto. Un enorme aeroplano di linea ci “spettina” volando a poche decine di metri dalle nostre teste. Lo seguiamo con lo sguardo: ed ecco che appare la pista d’atterraggio dell’aeroporto internazionale di Corfù che, a 200 metri dalla passerella, si allunga verso l’entroterra. Oltre la stretta lingua di cemento, ricominciamo a correre su stradine d’asfalto e marciapiedi, questa volta fortunatamente vuoti.
Sulla sinistra s’intravede il color smeraldo del mare nascosto dietro a una vegetazione mista. Marco opta per scendere da una scalinata affogata in un canneto, continuando a correre in riva al mare, mentre io dall’alto della strada tengo il suo ritmo e lo immortalo nel suo gesto tecnico (ora appesantito dalla battigia ghiaiosa). Finalmente troviamo la meta del nostro cercare, il Garmin dice che abbiamo fatto qualcosa di più di 10 km, per ora può bastare.
Ci spogliamo degli abiti del runner e in quattro e quattr’otto siamo in costume, con i piedi nelle meravigliose acque dal tepore tropicale. Qualche bracciata a stile libero, tanto da constatare la poca salinità dell’acqua che permette di nuotare a occhi aperti senza occhialini, e un paio d’ore a rosolare al sole sono il proseguo della nostra giornata.
Poi, a stomaco pieno, rimessi i panni da runner e dopo un’ultima immersione delle gambe nello splendore acquoso che stiamo per abbandonare, ripercorriamo a ritroso la stessa via dell’andata. Sulla passerella che incrocia la linea d’atterraggio dei tanti aerei, ci fermiamo a fare qualche foto con la mia personale illusione di poter immortalare, nello stesso scatto, sia il runner che l’aereo. Quadretto fattibile con un obiettivo grandangolare, ma quando corro fotografo “solo” con una fotocamera compatta, che mi stia nella tasca anteriore dello zainetto, e il risultato dell’esperimento, che ci ha bloccati sul pontile per almeno tre quarti d’ora, è quello che è. Ugualmente soddisfatti da una giornata da sogno, rientriamo in hotel, ci cambiamo e usciamo a goderci la vita notturna che riempie le mille viuzze intrecciate in un centro storico, bello, pulito, ordinato ed estremamente vivace. Sul prossimo numero andremo a correre in Armenia
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