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QUANDO LA MODA INCONTRA LA MONTAGNA

Il talk “Outdoor & Fashion: come cambia il consumatore e come rispondono i brand?” ha fornito una prospettiva unica sulla tendenza emergente di unire questi due mondi

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_ di Susanna Marchini

In tempi ormai non troppo recenti, si è iniziato a sentir circolare una nuova parola legata al mondo moda: Gorpore. è un termine che deriva dalla combinazione delle parole “gorp” (snack energetico da escursionismo) e “core” (nucleo o fondamento) e si riferisce a uno stile che abbraccia l’estetica e la funzionalità dell’abbigliamento e dell’attrezzatura da outdoor. Il concetto di Gorpcore è basato sull’idea di adottare capi e accessori tipici dell’abbigliamento tecnico da montagna o da escursionismo nella vita quotidiana, senza necessariamente impegnarsi in attività all’aperto. È un modo per esprimere uno stile di vita attivo, pratico e avventuroso, anche nelle situazioni urbane.

L’abbigliamento Gorpcore si caratterizza per l’utilizzo di materiali resistenti, funzionali e impermeabili e per la presenza di dettagli come tasche multiple, cinture regolabili e zip. Le tonalità di colore spaziano dalle sfumature neutre ai colori vivaci e audaci, richiamando l’ambiente naturale e le palette dell’abbigliamento da alta quota. È uno stile che abbraccia l’attenzione per la sostenibilità e l’ecologia, incoraggiando l’utilizzo di materiali riciclati e prodotti eco-friendly.

Il Gorpcore è diventato popolare negli ultimi anni come una reazione all’abbigliamento eccessivamente formale o alla moda streetwear. Rappresenta una sorta di ribellione contro i canoni tradizionali della moda, abbracciando uno stile più funzionale, pratico e senza fronzoli. È una dichiarazione di individualità, di un atteggiamento rilassato e informale che celebra l’amore per l’avventura e l’esplorazione, sia che ci si trovi in montagna o in città.

I Cultural Pioneers

Remo Morretta, brand partnership director di Highsnobiety e apripista del talk, ha apostrofato così questa nuova generazione di utenti che seguono uno stile Gorpcore. “Il cultural pioneer vuole uno spazio in cui attività e selfexpression possano interagire. Il 58% sostiene di essere più interessato ai brand dell’outdoor di quanto non fosse prima che diventassero un trend, l’80% è incuriosito dai brand tradizionali che prendono direzioni creative o collaborano in modo inaspettato tra di loro e il 68% dichiara che il contatto con la natura è parte integrante della propria creatività”. Questi dati sono significativi, se si pensa che entro il 2026, il 61% del mercato del lusso sarà composto da Millennials e Gen Z, le generazioni che più si affiliano a questo stile.

SPIRITO

Di Adattamento

C’è un altro dato estremamente significativo emerso dallo speech di Remo: il 67% di questi utenti confermano che i performance fabric e gli ingredient brand dell’outdoor, quando applicati ai capi, rappresentano una forma di lusso. Quindi, come rispondono i brand a questa esigenza? Ce lo hanno raccontato Matteo Morlacchi, ceo di HDry, Nicoletta di Vita, global sales director di Vibram e Matteo Tolio, sales & marketing manager Italy, UK and cycling Europe di Polartec. Tutti questi marchi hanno attivato da tempo delle collaborazioni con grandi nomi al di fuori del ristretto campo outdoor. Per citarne alcuni: Vibram con Balenciaga, Ermenegildo Zegna, New Balance. Polartec con Moncler, Nike, Palace, Prada e HDry con Canada Goose.

A chiudere l’incontro, Claudio Marenzi, presidente di Herno e Montura, che ha posto l’attenzione su una peculiarità di questo nuovo filone: la sostenibilità etica. “Se l’outdoor va verso il fashion, non bisogna mischiare i due tipi di produzione e stare sempre attenti sia al prezzo, che a garantire comunque la performance”.

Se l’outdoor va verso il fashion, non bisogna mischiare i due tipi di produzione e stare attenti sia al prezzo, che a garantire la performance.

UNA NUOVA DIREZIONE: ISPIRARE IL CONSUMATORE

Lo speech di Davide Cavalieri ha offerto una panoramica sui format di vendita sempre più ibridi, sulle sfide che aspettano i negozianti nell’era della digitalizzazione e sulle strategie da adottare per agire sui comportamenti dei potenziali clienti

_ di Davide L. Bertagna

“Come si evolverà il negozio del futuro tra spazi fisici e omnicanalità: rischi e opportunità” è stato il titolo del workshop che Davide Cavalieri ha tenuto nel pomeriggio di domenica. Cavalieri nel corso dell’intervento ha esplorato il modo in cui il mondo del retail si evolverà, sottolineando il mix di esperienze offline e online. In particolare, ha evidenziato il ruolo cruciale che il negozio fisico continuerà a giocare, soprattutto per prodotti che richiedono una consulenza dettagliata (secondo uno studio dell’EOG State of Trade l’87% dei consumatori prediligono acquisti in store per tutti quegli articoli che richiedono una spiegazione tecnica). Il contatto diretto quindi rimarrà irrinunciabile e insostituibile.

Tuttavia, nonostante la crescente digitalizzazione e la maggiore consapevolezza dei clienti, ci si trova di fronte a una nuova sfida: la confusione e il sovraccarico d’informazioni che ci affliggono. Attualmente, i touch point prima d’acquistare un prodotto sono molteplici: l’utente si informa su internet, chiede agli amici, cerca sui social network. Questo si traduce in un solo modo: è diventato più difficile riuscire a conquistare un cliente rispetto al passato perché ci si perde nel mare magnum delle informazioni online.

Come fare quindi a stimolare l’acquisto? La soluzione risiede nell’arte di utilizzare un linguaggio semplice e persuasivo, che catturi l’attenzione e guidi i clienti lungo una coinvolgente “selling ceremony”.

È importante far sentire ogni consumatore come il protagonista assoluto, offrendo un supporto personalizzato per trovare i prodotti che soddisfano al meglio le sue esigenze. I negozi devono cambiare in termini di modello d’interazione con il cliente, avendo allo stesso tempo sia un’attitudine online, sia offline. Ciò che è sicuro è che i consumatori hanno molte più finalità quando entrano in uno store rispetto a quando si rivolgono all’e-commerce: si attendono esperienze, informazioni e personalizzazione.

Entrare in un punto vendita può aprire a infinite connessioni e scenari. Cavalieri ha fatto ruotare parte del suo intervento intorno al tema della customer experience per due motivi precisi: la confusione che regna tra i clienti e la velocità con cui il mondo digitale contribuisce a modificare i loro comportamenti. Siamo nell’era del caos cognitivo. Davanti a persone che non sanno cosa scegliere, il retailer deve assumere un ruolo fondamentale. Ma come fare? Incanalando le emozioni negative del consumatore (diffidenza, aggressività o stress) verso sensazioni positive, stimolando entusiasmo, interesse e desiderio. Il negoziante deve essere in grado in un certo senso di ispirarlo. Una delle sfide più grandi oggi è riuscire a incuriosire il cliente. Risulta quindi importante conoscere e sfruttare i bias (distorsioni) cognitivi in cui cade la mente del consumatore nella fase di acquisto per concretizzare la vendita. È fondamentale quindi lavorare sulle percezioni dei clienti, modificando in questo modo i loro comportamenti.

Cavalieri, infine, si è soffermato sulle tipologie di parole che un negoziante deve utilizzare nella scelta di una campagna vendite o per catturare l’attenzione di un potenziale acquirente. Bisogna limitare l’utilizzo di frasi, verbi o espressioni definite “energivore”, concentrandosi su quelle “energetiche”. L’obiettivo per riuscire a conquistare davvero il consumatore è quello di semplificare il più possibile l’esperienza d’acquisto, elaborando messaggi e codici di comunicazione semplici e convincenti.

PREFERENZE D’ACQUISTO PER CATEGORIA il peso delle vendite in store sul totale del fatturato

A sinistra, i tre soci fondatori Silvia Poggi, Massimiliano Pedroni e Massimo Rinaldi.

Al centro, Marco Rocca mentre fa provare le scarpe all’ultramaratoneta

Giorgio Calcaterra.

Sopra, la mascotte di Ulysses

Questa la filosofia alla base di Ulysses, nuovo brand di scarpe e abbigliamento da running che ha scelto la magica cornice degli ORBDAYS per presentarsi al mondo

_ di Manuela Barbieri. Foto: A. Cagnazzo (RecMedia)

“Che questi pochi minuti passati insieme possano essere ricordati come la prima volta di un qualcosa che è appena successo: la nascita, proprio qui a Riva del Garda in occasione degli ORBDAYS, di un nuovo marchio running. Noi questa data ce la ricorderemo per sempre, spero anche voi”. Con queste parole Marco Rocca ha aperto la conferenza stampa per il lancio mondiale di Ulysses, brand fondato nel 2020 in Texas da tre lungimiranti imprenditori, nonché amici di lunga data: Massimiliano Pedroni, Massimo Rinaldi e Silvia Poggi. Marco Rocca, con la sua passione e il suo irrefrenabile entusiasmo che da anni riversa in questo settore, coordinerà il brand a livello marketing su tutti i mercati mondiali. Con lui anche Pietro Zarlenga nel ruolo di global sales manager e Federico Pistilli, sales&mkt assistant, che si sono aggiunti al team proprio durante la due giorni di Riva del Garda.

MASSIMILIANO PEDRONI - NEGOZIANTE DA 30 ANNI, PODISTA DA 40

Titolare di uno storico negozio di corsa, triathlon e ciclismo ad Albinea, Reggio Emilia, Massimilano Pedroni è stato, prima di tutto, un grande triatleta. “Max è uno di voi che oggi è qui in un’altra veste”, l’ha presentato così Marco Rocca rivolgendosi al pubblico di negozianti presenti in sala. “È uno di voi che ha messo a frutto un’esperienza di più di trent’anni in quello che oggi è questo progetto”. Una nuova avventura, anche un po’ “romantica”, la cui genesi Massimiliano Pedroni ce l’ha raccontata così: “È trent’anni che sono uno dei vostri, ma è più di quarant’anni che sono un podista. Io vengo dalla corsa e di questo sport ne ho fatto un lavoro. L’aspetto romantico di questo progetto è legato al nome del brand che è quello del cane mio e di mia moglie che ora purtroppo non c’è più. Con lui abbiamo condiviso avventure incredibili e momenti sportivi bellissimi. Quando pronuncio il suo nome e penso a lui, mi viene ancora la pelle d’oca perché era un cane maltrattato che siamo riusciti a salvare. Ulysse è diventato così il nostro compagno di corsa ed è lui che mi ha ispirato anche nell’aspetto tecnico che ho voluto poi condividere con Massimo quando abbiamo deciso di buttarci in questo nuovo progetto. Osservando il mio cane quando andavamo a correre insieme, mi sono accorto che i suoi ped adattivi non risentivano mai di nessuna problematica. Per studiare i nostri modelli di scarpa, siamo quindi partiti dalla zampa di un lupo che, a differenza di altre razze di cani, è appunto adattiva”.

MASSIMO RINALDI - LA MENTE VULCANICA

Massimo Rinaldi è un ingegnere che vive da più di 20 anni in America, ma è italianissimo dentro. “Ho conosciuto poche persone che in così poco tempo sono riuscite a sviluppare una competenza come quella che oggi ha Massimo. Una competenza che mi fa sentire uno ‘scolaretto’ dopo 30 anni in questo settore. A lui ci affidiamo principalmente per l’aspetto tecnico, ma ci aiuterà anche nello sviluppo del mercato nord-americano”, ha commentato così Marco Rocca presentandolo al pubblico degli ORBDAYS. Massimo, ci hanno raccontato i suoi soci, ha la fortuna di essere un ricettivo immediato e di avere una mente vulcanica. Vergine dal punto di vista dell’atletica e del podismo, ha iniziato questo studio da zero, ottenendo risultati sorprendenti, il cui esito sono tre modelli di scarpe: una per superfici più dure come l’asfalto; una calzatura da trail con una tomaia in nylon più resistente all’usura e un battistrada più aggressivo predisposto per i chiodi per chi volesse correre sul ghiaccio; e, infine, una scarpa “da criceto” (per il tapis roulant), come scherzosamente la definiscono loro, con un last maggiorato e una suola microporosa pensata per le persone sovrappeso che in America purtroppo sono tante. La parte in comune è l’intersuola di 6 mm in EVA Supercritical iniettata all’azoto che ha una marcia in più rispetto all’anidride carbonica. Grazie alle bollicine più piccole, la struttura che si ottiene è infatti più omogenea. “Abbiamo in cantiere anche una scarpa con il carbonio e una da trail alta, adatta anche al trekking”, ci ha svelato Massimo Rinaldi a chiusura del suo intervento.

SILVIA POGGI - IL TRAIT D’UNION ITALIA-CINA

Silvia ha vissuto gran parte della sua vita professionale in Cina, lavorando a stretto contatto con i produttori locali per conto di multinazionali importanti. Nel corso degli anni ha sviluppato un’esperienza e un modo di relazionarsi con la realtà cinese che sarà di enorme aiuto per il futuro di Ulysses. “Anche io, come Massimo, non provengo da questo settore, ma sono molto sportiva. Nel 2020, durante la pandemia, i miei due attuali soci erano in una fase gestazionale del progetto. Il mondo della produzione, dalle materie prime fino alle innovazioni tecnologiche, già da tanti anni si è trasferito in Cina e di conseguenza l’idea di avere una pedina che fosse sostanzialmente localizzata e riuscisse a muoversi senza difficoltà nel paese li ha portati a contattarmi. È stato un piacere ricominciare a collaborare con Max, di cui ero collega 23 anni fa nella prima azienda dove lavoravamo entrambi. Ho iniziato così a viaggiare attraverso le diverse province dove negli anni tutte le multinazionali si sono spostate, trasferendo conoscenze e innovazioni e facendo crescere i produttori che sono poi i micro partner che nessuno conosce. In tanti sono convinti che i brand abbiano una loro linea verticalizzata di produzione, ma non è così. Piano piano abbiamo costruito un puzzle e, in funzione di quello che abbiamo visto e toccato con mano, abbiamo selezionato ciò di cui avevamo bisogno per il progetto che abbiamo concepito insieme. Dopo diverse campionature, abbiamo scelto un fornitore che ci ha offerto una combinazione di materiali e soluzioni a nostro avviso efficiente e che speriamo vengano apprezzate anche dal mercato che negli anni è cresciuto molto, diventando sempre più diversificato ed esigente”.

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