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I Patagonia: il profitto al servizio dell’ambiente
IL PROFITTO AL SERVIZIO DELL’AMBIENTE
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Con un annuncio a sorpresa, lo scorso 14 settembre il proprietario e fondatore di Patagonia Yvon Chouinard ha deciso di cedere l'azienda. Con l'obiettivo di investire gli utili annuali in iniziative a favore del pianeta
Che Patagonia fosse una realtà fuori dagli schemi, già si sapeva. Il suo fondatore, Yvon Chouinard, detesta essere considerato un imprenditore tradizionale e la sua strategia non ha mai ricalcato quella delle tipiche aziende in corsa per il successo. Da quando è stata istituita, Patagonia ha fatto di tutto per prendersi cura del Pianeta e ridurre l’impatto ambientale generato dalla sua attività; basti pensare che già nel 1970 Chouinard e il suo primo socio Tom Frost, nonostante fossero i più grandi fornitori di ferramenta per arrampicata e alpinismo negli Stati Uniti, decisero di ridurre al minimo il business dei chiodi poiché danneggiavano e deturpavano le crepe della roccia delle falesie.
Lo scorso 15 settembre, dopo quasi 50 anni di attività e attivismo, la dedizione di Yvon verso il business responsabile ha raggiunto il suo culmine, sfociando in un annuncio rivoluzionario: “Il nostro unico azionista è ora il pianeta”. Ma cosa significa esattamente? La famiglia Chouinard ha deciso che ogni dollaro non reinvestito nell’azienda sarà distribuito sotto forma di dividendi per proteggere la Terra. Per fare ciò, ha trasferito tutta la sua proprietà a due nuove entità: il Patagonia Purpose Trust e l’Holdfast Collective.
Il Patagonia Purpose Trust possiede ora tutte le azioni con diritto di voto della società (il 2% di quelle totali) ed è stato istituito per creare una struttura legale permanente che protegga lo scopo e i valori di Patagonia. Questo aiuterà a garantire che non ci sia mai una deviazione dagli intenti del fondatore e a facilitare ciò che il marchio continuerà a fare al meglio: dimostrare, come azienda a scopo di lucro, che il capitalismo può essere messo al servizio del pianeta. L’Holdfast Collective detiene tutte le azioni senza diritto di voto (il 98% del totale) e utilizzerà ogni dollaro ricevuto da Patagonia per
di Susanna Marchini
proteggere la natura e la biodiversità, supportare le comunità e combattere la crisi ambientale. Ogni anno, i profitti in eccesso, ovvero quelli non reinvestiti nel business aziendale, saranno distribuiti da Patagonia sotto forma di dividendi all’Holdfast Collective. Secondo le proiezioni, potrà mettere a disposizione un dividendo annuale di circa 100 milioni di dollari, a seconda dell’andamento del business.
“L’attuale sistema capitalistico ha ottenuto i suoi guadagni a un costo enorme, tra cui l’aumento delle disuguaglianze e i danni ambientali su larga scala non compensati”, ha dichiarato dopo la pubblicazione della notizia Charles Conn, presidente del consiglio di amministrazione. “Il mondo è letteralmente in fiamme. Le aziende che creano un nuovo modello di capitalismo grazie a un profondo impegno verso gli obiettivi ambientali e sociali non solo attireranno più investimenti, dipendenti migliori e una maggiore fedeltà dei clienti. Queste aziende sono il futuro del business, se vogliamo costruire un mondo migliore. E questo futuro inizia con quello che Yvon sta facendo ora”.
Sono passati quasi 50 anni da quando abbiamo fondato Patagonia e abbiamo iniziato il nostro esperimento di business responsabile, ma siamo solo all'inizio. Se vogliamo sperare di avere un pianeta vivo e prospero, e non solo un'azienda viva e prospera tra 50 anni, è necessario che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo. Questo è un nuovo modo che abbiamo trovato per fare la nostra parte. Nonostante la sua immensità, la Terra non ha risorse infinite ed è chiaro che abbiamo superato i suoi limiti. Ma il nostro pianeta è anche resiliente. Se ci impegniamo, possiamo ancora salvarlo
Yvon Chouinard, fondatore Patagonia
DON’T BUY THIS JACKET
Quello che da sempre contraddistingue Patagonia è il suo impegno verso un nuovo modello di produzione, consumo e possesso di capi di abbigliamento. A oggi, i punti chiave dell’attivismo del brand possono essere riassunti in quattro grandi categorie
1. CONTROLLO SULLE EMISSIONI Secondo i dati di Quantis, l'industria dell'abbigliamento è responsabile del 6,7% delle emissioni dei gas serra globali e del rilascio nell'atmosfera da 2 a 3,29 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno. Qualsiasi attività aziendale, dall'illuminazione dei negozi alla tintura dei tessuti, è parte del problema. Patagonia utilizza il 100% di energia rinnovabile per i suoi negozi, uffici e centri di distribuzione del Nord America (il 76% a livello globale). Ha installato più di 1,5 megawatt di energia rinnovabile nei suoi campus e finanziato l'installazione di più di 1.000 pannelli solari su edifici residenziali in tutto il paese. Inoltre ha collocato più di 600 kilowatt di pannelli solari a sbalzo su terreni agricoli in tutto il mondo, favorendo la coltivazione responsabile. Il brand si è posto l’obiettivo di raggiungere entro il 2040 il target zero emissioni in tutta l’attività. A oggi, rispetto all'impronta ambientale della sua catena di fornitura, le emissioni associate alle strutture detenute o gestite da Patagonia sono molto basse e l'impronta ecologica delle strutture rappresenta solo il 3% del totale.
_lo store Patagonia di Berlino
2. USO DI MATERIALI SOSTENIBILI La vera sfida per Patagonia viene dalla produzione dei materiali. Solo questa rappresenta il 95% delle emissioni. Dal 1996, il brand utilizza cotone organico in tutti i suoi prodotti in cotone vergine e continua ad aumentare l’uso di materiali a basso impatto ambientale. L’azienda è passata a impiegare questi materiali per l’intera linea di prodotti, dal 43% nel 2016 all'88% nel 2022. I buoni propositi per il futuro? Entro il 2025 Patagonia vuole eliminare la fibra vergine derivata dal petrolio nei suoi prodotti, dicendo no alle grandi compagnie petrolifere, e utilizzare imballaggi 100% riutilizzabili e compostabili. Ma perché utilizzare questa base per i propri capi? Facciamo alcuni esempi: il poliestere riciclato ottenuto da bottiglie di plastica permette di ridurre le emissioni di CO2 del 59%, mentre l’impiego di lana e piume riciclate del 44%. Il nylon riciclato aiuta a riutilizzare parte delle 700.000 tonnellate di reti da pesca che ogni anno vengono perse in mare. Il cashmere riutilizzato infine, evita lo sfruttamento senza controllo dei pascoli in Mongolia, che sono stati già distrutti per il 65% della loro estensione.
_le reti da pesca recuperate nel Bureo Net Warehouse in Cile
_il furgoncino Worn Wear 3. ALLUNGARE LA VITA DEI PRODOTTI Realizzare il miglior prodotto è importante per salvare il pianeta. I criteri per farlo si basano su funzionalità, riparabilità e, soprattutto, durabilità. Uno dei modi più diretti attraverso cui si possono limitare gli impatti ecologici è creare capi che durino per generazioni o che possano essere riciclati, affinché i materiali continuino a essere utilizzati. Per fare questo, Patagonia ha messo in campo alcune strategie, primo fra tutti il programma Worn Wear. Dal 2013 infatti, un team equipaggiato con macchine da cucire e un furgoncino appositamente progettato viaggia sulle Alpi per offrire riparazioni gratuite oltre che a insegnare come prendersi cura della propria attrezzatura. Un’altra attività interessante promossa dal brand è Take-Back, programma lanciato nell'estate 2021 che supporta la catena del riciclo dei capi di abbigliamento. Quando le magliette di cotone, canapa o lino vengono dismesse dagli utenti, possono essere riconsegnate in un negozio Patagonia per poi essere inviate a Infinited Fiber, azienda finlandese che si occupa di trasformarle in una nuova fibra che è alla base della collezione Tee-Cycle.
4. SCENDERE IN PRIMA LINEA A partire dal 1985, il brand ha devoluto l'1% delle proprie vendite alla tutela e al ripristino dell'ambiente naturale. Più di 110 milioni di dollari sono stati destinati a gruppi di attivisti a sostegno dell'ambiente, sia a livello nazionale che internazionale, che lavorano per fare la differenza nelle rispettive comunità locali. Nel 2002, Yvon Chouinard e Craig Mathews, proprietario di Blue Ribbon Flies, hanno creato un'organizzazione no-profit per incoraggiare anche altre aziende a fare lo stesso. Nasce così 1% for the Planet, un’alleanza fra brand che hanno compreso la necessità di proteggere l’ambiente. Più recente, invece, Patagonia Action Works, una piattaforma digitale per collegare le comunità alle organizzazioni ambientaliste che si battono per salvare il pianeta. Questo strumento digitale permette agli utenti di offrire volontariamente tempo e competenze, partecipare a eventi, firmare petizioni e donare a favore della conservazione ambientale.
_la campagna "Save the Blue Heart” di Patagonia per il fiume Vjosa in Albania