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INSIDE THE STORE

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LA NUOVA MODA SEGUE LA VIA BIO-BASED

I materiali alternativi più innovativi derivano da frutta, piante e miceli. Dalle griffe alle start-up, la corsa verso il green si gioca sul terreno delle biotecnologie. Con risultati davvero sorprendenti di Simona Airoldi

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Se il comparto fashion è tra i grandi responsabili delle emissioni di Co2 globali, con un valore tra il 2% e il 10%, è anche vero che si annovera tra i più attivi nella ricerca di alternative sostenibili, sia in quanto a metodi produttivi che per materiali utilizzati. Sempre più brand mettono al bando pellicce e pelli esotiche dalle loro collezioni, impegnandosi contingentemente a ridurre sprechi energetici, impiego di prodotti chimici e di risorse idriche, promuovendo economie circolari virtuose e performanti. Uno dei focus più interessanti delle ultime

In alto: una campagna pro-ambiente di Stella McCartney A partire da sinistra, Desserto e i suoi accessori in pelle di cactus e la borsa Victoria di Hermès in pelle Mycelium

In alto in senso orario: raffigurazione degli scarponcini della linea GreenStride di Timberland, le sneakers con tomaia ottenuta dall’uva e dai residui della produzione vinicola by Pangaia, Salvatore Ferragamo e la bag in sughero Earth Top Handle

stagioni è la nuova via bio-based che ha intrapreso il fashion system, con investimenti crescenti nelle tecnologie legate allo sfruttamento degli scarti della filiera agro-alimentare e nella creazione di fibre 100% vegetali. Se i filati organici come cotone, seta, lino, canapa, juta e materiali come paglia, raffia, midollino, bambù e sughero sono già da tempo una certezza assodata, la sintesi di pelli derivate da frutta, piante e miceli sembra ancora un qualcosa di fantascientifico. Sia le grandi maison che le piccole start-up stanno investendo con lungimiranza in questo settore, raggiungendo risultati davvero sorprendenti, sia in termini estetici che di vendite. Qualche esempio? Stella McCartney, tra le designer antesignane in quanto ad attivismo ambientale, e la casa di lusso francese Hermès, puntano sulla pelle derivata dai funghi, biodegradabile e incredibilmente resistente, mentre Pangaia, allo stesso modo delle bag di Vegea, costruisce sneakers con tomaie ottenute dall’uva e dai residui della produzione vinicola. Timberland, invece, monta sui suoi boots suole composte al 75% di canna da zucchero e gomma naturale eco-responsabile ricavata dagli alberi, e ha progettato giacche impermeabili con membrane ottenute da olio di semi di ricino. Interessante anche il progetto del marchio messicano Desserto, che scommette su accessori in pelle di cactus, o dell’italiano Miomojo, con le sue borse “gentili” made in Bergamo, rigorosamente cruelty free, che oltre ai fusti delle piante grasse impiega mele e pannocchie. Sempre in appleskin, ovvero pelle di mela, le ginniche di Woomsh, mentre tra le proposte di Veja si possono trovare modelli in eco-leather ottenuti dal mais. La lista è potenzialmente infinita: dalle t-shirt fatte con le alghe alle stringate in foglie di ananas, passando per la lingerie in viscosa derivata dalle fibre del latte. Secondo i dati rilevati dallo studio Future Wardrobe stilato dal Conscious Fashion Report 2021 di Lyst, sono proprio i consumatori a richiedere questa tipologia di prodotti, con un aumento esponenziale del 178% nelle ricerche online con discriminante “pelle vegana” solo lo scorso anno. L’attenzione nei confronti delle etichette che non si adeguano a queste pratiche o millantano di adottarle, ma poi si rivelano colpevoli di greenwashing, ovvero strategie di facciata che però non sfociano in azioni concrete. Perché non basta più il solo riciclo con tessuti derivati dalla conversione delle plastiche marine o dalle bottiglie usate, e nemmeno solo l’upcycling, con collezioni realizzate usando gli scarti di produzione di quelle precedenti, ma si cerca un guardaroba che sia letteralmente naturale, dalla testa ai piedi.

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