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Le compliment card di Belmond by Nava Press

PRIMAVERA DIROMPENTE ED EFFETTO COBWEB

NELLE COMPLIMENT CARD REALIZZATE DA NAVA PRESS PER BELMOND ITALIA

La vera ospitalità si distingue per l’attenzione ai dettagli. Lo sa bene Belmond, catena internazionale di luxury hotel che in Italia offre soggiorni ed esperienze esclusive in destinazioni affascinanti, da Taormina a Venezia, dalla campagna Toscana alla Riviera Ligure, da Firenze alla Costiera Amalfitana. Per l’occasione delle vacanze pasquali 2022, Belmond ha commissionato a Nava Press una collezione di 7 diverse compliment card dedicate agli ospiti delle sue prestigiose strutture nella Penisola: l’hotel Cipriani a Venezia, il Caruso nella Costiera Amalfitana, il Castello di Casole in Toscana, lo Splendido e lo Splendido Mare a Portofino, Villa Sant’Andrea e Grand Hotel Timeo a Taormina. Non soltanto sette versioni diverse a tema spiccatamente primaverile – legato ai colori e alle atmosfere italiane – distingue queste eleganti card con busta abbinata, ma soprattutto il sorprendente effetto “cobweb” ottenuto con una fustella a ragnatela che le rende tridimensionali e permette, sotto la grafica floreale, di leggere un messaggio personalizzato.

Come sono fatte le Belmond compliment card Le card sono stampate in digitale con tecnologia HP Indigo con 7 grafiche differenti per fronte e retro, nobilitate poi con cliché e foil a caldo per il logo. Ecco come sono fatte: Le mattonelle in formato 19x19 cm hanno un’anima in cartoncino Sirio white da 700 gsm accoppiato a 3 plance in carta Century Cotton Wove premium white: 2 da 130 gsm, sovrapposte per la parte frontale delle card, e una da 220 gsm per il retro. Sul fronte, il primo strato è stampato in digitale a 4/0 colori; il secondo strato è stampato in bianca e volta sempre in digitale a 4 colori, con l’aggiunta di un colore argento lucido stampato a caldo e la particolare spirale fustellata ottenuta con taglio laser. L’accoppiatura è ottenuta con biadesivo fustellato con riserva centrale in modo da permettere alla parte fustellata di sollevarsi grazie alla presenza di un cordino argentato applicato in cima alla spirale. Anche il retro è stampato in digitale a 4/0 colori più un argento lucido a caldo. La carte sono accoppiate al cartoncino con biadesivo, tagliate in formato e nobilitate con una labbratura in argento lucido coordinato alle stampe a caldo delle card. Le cartoline sono poi confezionate nelle buste coordinate, realizzate con carta Century Cotton Wove premium white da 220 gsm, con dorso a 4 punte e patella triangolare con 8 soggetti diversi. La peculiarità delle buste è la grafica minimale all’esterno, impreziosita dalla stampa a caldo, e ricca e colorata all’interno, coordinata alla card che contiene. Le card sono state realizzate in set da 100 per tutte le strutture tranne che per lo Splendido di Taormina, per le quali ne sono state stampate 160.

TECH:ART SFRUTTA I VANTAGGI DI PRODUTTIVITÀ

CON ACUITY PRIME 30 DI FUJIFILM

L’investimento dello scorso settembre 2021 dello stampatore italiano nella stampante flatbed Acuity di Fujifilm ha dato il via a nuove iniziative imprenditoriali. Ci racconta tutto Davide Salvo, CEO e Direttore generale di Tech:art.

FFondata nel 2002, Tech:art ha sede a Trofarello, in provincia di Torino, ed è un fornitore di servizi di stampa completo che offre ai clienti B2B e B2C assistenza nella pre-stampa, nella progettazione, nella prototipazione, nel packaging e nella logistica. Installata lo scorso settembre 2021, la Acuity Prime 30 di Fujifilm è la new entry nel portfolio di stampanti dell’azienda. Nei pochi mesi successivi all’installazione, Tech:art ha potuto constatare l’eccellenza della stampante. Davide Salvo, CEO e Direttore generale di Tech:art afferma: «Dopo l’installazione della macchina era necessario eseguire alcune calibrazioni finali, ma poiché non vedevamo l’ora di usarla abbiamo avviato comunque la produzione di alcuni lavori. Siamo rimasti immediatamente colpiti. La produttività della macchina va ben oltre le nostre aspettative e supera di gran lunga quella di qualsiasi macchina che abbiamo visto nella stessa fascia di prezzo». «È stato un commerciale di Fujifilm a parlarci per la prima volta della Acuity Prime nell’estate del 2021 – continua Salvo – e siamo rimasti colpiti dalla semplicità d’uso della macchina e dall’eccellenza della produttività e della qualità di stampa che offre. Questo, insieme alla nostra fiducia in Fujifilm come marchio, ci ha convinti all’investimento. Usiamo in genere la macchina per applicazioni di interior design, per esempio applicazioni con legno, plexiglass, vetro e metal-

lo, nonché applicazioni di segnaletica. Prima usavamo una macchina della concorrenza, ma non era in grado di stampare con la stessa qualità e velocità della Acuity Prime 30. I nostri clienti – prosegue Salvo – sono molto esigenti. Richiedono alta qualità e tempi di produzione rapidi, e di recente hanno iniziato a richiedere lavori che prevedono l’uso di primer e vernici speciali e inchiostro bianco. Con la Acuity Prime 30, possiamo soddisfare questa domanda e molti nostri clienti hanno già espresso la loro soddisfazione in merito alla qualità di stampa e all’ampia gamma di colori offerte dalla macchina. Sono anche rimasti colpiti dall’alta adesione dell’inchiostro e dalla grande varietà di materiali che è possibile utilizzare. Con l’aggiunta di questa macchina al nostro portfolio, abbiamo acquisito nuovi clienti. Guardando al futuro, vedo una tendenza alla crescita della personalizzazione sul mercato quest’anno, e sono certo che la Acuity Prime ci permetterà di soddisfare questa domanda. Oltre che dai vantaggi tecnici, siamo rimasti colpiti anche dal design elegante, accattivante e intuitivo della macchina. Non esiterei un momento a consigliare la Acuity Prime 30: ha incrementato notevolmente la redditività della nostra azienda grazie alla combinazione di alta velocità e basso consumo di inchiostro». Davide Salvo manifesta anche il suo apprezzamento per Fujifilm. «Il servizio e l’assistenza che abbiamo ricevuto da Fujifilm durante l’intero processo di vendita e installazione sono stati eccezionali. Siamo certi di aver trovato in Fujifilm un partner a lungo termine».

Kevin Jenner, European Marketing Manager – Wide Format Inkjet Systems di Fujifilm Europe, afferma: «La Acuity Prime 30 è una delle stampanti più innovative che fa parte della strategia di Fujifilm per creare “il nuovo riferimento per il grande formato”, ridimensionando le aspettative in termini di rapporto prezzo-prestazioni, versatilità, valore e facilità d’uso. Siamo felici di vedere che Tech:art abbia sperimentato tutto ciò con le proprie mani e abbia già notato miglioramenti significativi della propria attività dall’investimento in questa macchina. Non vediamo l’ora di vedere l’evoluzione dell’azienda nell’ambito della nostra partnership».

A proposito di FUJIFILM Graphic Systems

FUJIFILM Graphic Systems è un partner stabile e di lungo termine, concentrato sulla realizzazione di soluzioni di stampa di elevata qualità e tecnicamente avanzate che consentano agli stampatori di sviluppare un vantaggio competitivo e di far crescere le loro aziende. La stabilità finanziaria della società, gli elevati investimenti in R&D consentono a Fujifilm di sviluppare tecnologie proprietarie per la stampa di eccellenza. Queste includono soluzioni per la pre-stampa, la stampa offset, la stampa di grande formato e la stampa digitale, così come software per la gestione del flusso di lavoro. Fujifilm è impegnata a minimizzare l’impatto ambientale dei propri prodotti e delle lavorazioni, operando in modo proattivo nella tutela ambientale, sforzandosi di divulgare il rispetto dell’ambiente presso i propri clienti.

Da InDesign creare un pdf per la stampa è questione di 4 clic. Pochi passaggi che possono nascondere insidie o errori in grado di compromettere tutto il lavoro. Eppure, ottenere un file perfetto per la stampa non è poi così complesso, bastano pochi accorgimenti e un paio di verifiche per non avere sorprese dopo il tanto agognato “Visto, si stampi!”

Lo spazio colore

Non tutti i colori di una foto digitale o digitalizzata possono essere riprodotti in stampa. È un dato di fatto connaturato al modo in cui la stampa riproduce i colori. A differenza di quanto avviene con lo spazio RGB in cui i colori sono rappresentati dalla luce per sintesi additiva (tutti i colori sommati danno il bianco), in offset o digitale la stampa avviene utilizzando 4 inchiostri base (Cyan, Magenta, Yellow, Key-Black) per sintesi sottrattiva (i 4 colori sommati danno il nero). Teoricamente i colori Ciano, Magenta, Giallo possono riprodurre tutti gli altri quando sono combinati tra di loro. La massima luminosità viene ottenuta dall’assenza totale di inchiostri e corrisponde quindi al bianco carta. Quando i primi tre colori vengono sommati, il risultato non è il nero puro, ma piuttosto un marrone molto scuro. Il colore K o nero viene utilizzato per rimuovere completamente la luce dall’immagine stampata, motivo per cui l’occhio percepisce il colore come nero. Il problema nasce quando dall’RGB di acquisizione (fotocamera o scanner) o di riproduzione (il monitor) in grado di rappresentare molti più colori e in gamme diverse, si deve passare allo spazio CMYK di stampa. Cose ovvie, si dirà, eppure il 50% dei problemi in pre-stampa e stampa nasce proprio da questa conversione che viene fatta spesso senza consapevolezza, come fosse solo un clic da fare. Difficilmente la conversione da RGB a CMYK avviene senza differenze. A complicare il tutto c’è il fatto che ormai la stampa è solo uno dei possibili output e l’unico che richieda questo spazio colore; il resto, tutto ciò che è digitale, resta in RGB. Si aggiunge quindi il problema di quando effettuare la conversione: a monte prima di impaginare o a valle prima dell’output finale? Il primo approccio è valido solo in teoria: se da un lato dà l’illusione di avere tutto sotto controllo, dall’altro è limitante. Se convertiamo in quadricromia una foto destinata alla stampa e ad altri canali prima di post produrla – così da ave-

re l’esatta gamma dei colori riproducibili, che comunque resta filtrata dal monitor – dovremo comunque tornare all’RGB per poter usare strumenti e filtri di Photoshop altrimenti non disponibili e per usare quella foto in ambito digitale. Allora conviene post produrre in RGB, creando una sorta di master dal quale partire per ogni canale previsto e procedere con la conversione in CMYK solo quando davvero necessario, ovvero quando la foto inizia il suo processo per essere stampata. L’immagine va considerata come parte di un processo ampio in cui non tutti gli output sono subito dichiarati e potrebbero differenziarsi notevolmente, quindi occorre essere più conservativi possibile, non perdere mai informazioni. Allo stesso modo convertire in uscita, ovvero al momento di fare il pdf può essere rischioso, perché i colori di una foto potrebbero non essere come li volevamo, e spesso non c’è tempo per rimediare. Quindi il suggerimento è di convertire prima di usci-

Non tutti i colori di una foto digitale o digitalizzata possono essere riprodotti in stampa.

re in pdf. Per uno stampato del settore moda si verificheranno tutte le foto in Photoshop una per una. Per una brochure commerciale la conversione in output sarà sufficiente, purché si abbia l’accortezza di scegliere la funzione “Converti in destinazione” e il profilo di destinazione nella finestra Output del comando “Esporta pdf” in InDesign; se non lo facciamo, quello che era in RGB arriva in stampa. Attenzione anche ai colori di tutti gli altri grafismi come fondi, filetti e testi. Prima di fare il pdf quindi uno sguardo alla palette Campioni eviterà problemi. Eliminate i colori non in uso, convertite gli RGB e, se il lavoro non ne prevede, convertite le tinte piatte in quadricromia secondo i valori più prossimi. Se il lavoro è molto complesso e vi trovate una tinta piatta in uso non visibile in pagina, ricordate che con “Anteprima selezioni colore” InDesign mostra dove è usata. Attenzione al testo nero, che deve essere in solo nero e non a 4 colori, e ai colori importati dai collegamenti. Un logo vettoriale, per esempio, si porta dietro i suoi colori nel loro spazio colore che non vengono mostrati nei Campioni di InDesign e come tali passano in pdf. Resta infine il tema di quale RGB usare, sRGB o Adobe RGB. Il confronto dei gamut ci dà la risposta, con una doverosa premessa: in nessun caso gli spazi RGB contengono il CMYK, si tratta quindi di operare una scelta ben sapendo che sarà comunque un’approssimazione. L’sRGB, pur avendo un gamut piuttosto ristretto, quindi teoricamente più conservativo rispetto al CMKY, eccede di gran lunga lo spazio di stampa in molte aree cromatiche, con una clamorosa eccezione: l’area compresa tra il verde e il ciano, tanto che il ciano di stampa non è compreso nell’sRGB. Questo significa che sRGB non permette di sfruttare appieno tutto il gamut disponibile in CMYK. Neppure Adobe RGB però riesce a inglobare completamente CMYK, ma l’approssimazione che si ottiene è di gran lunga migliore. Quindi Adobe RGB è la scelta migliore per l’offset. E per la stampa digitale? Agli inchiostri CMYK, che in digitale hanno resa migliore rispetto alla quadricromia tradizionale essendo più intensi e puri, spesso si affiancano il ciano chiaro o il magenta chiaro che ampliano la gamma dei colori riproducibili. Ovviamente nessuna macchina da stampa digitale può lavorare in RGB, per ragioni fisiche, ma il suo spazio colore è più esteso rispetto a quello della quadricromia tradizionale; per tutte queste ragioni comunque l’Adobe RGB risulta il compromesso migliore.

Il formato delle immagini

Secondo un report pubblicato quest’anno da W3Techs, società che fornisce statistiche relative alle modalità di creazione e di gestione dei siti web tramite ricerche assolutamente imparziali, l’80% delle immagini usate nei siti internet sono png o jpeg. Questi formati, al di là del loro utilizzo in rete, sono anche i più usati in generale anche per le immagini destinate alla stampa: del resto fotocamere e scanner hanno tra gli output disponibili questi formati che, oltre a essere relativamente leggeri da trasferire, elaborare e archiviare, hanno di fatto soppiantato tiff ed eps. Il problema del jpeg (o jpg nel mondo Windows) è che è un formato lossy, ovvero con perdita di dati. Tradotto: se l’unica foto che ho disponibile è in questo formato, non ho alternative e dovrò accontentarmi. Ma se ho modo di scattare con hardware professionale, non ha senso usare questo formato perché scattare direttamente in jpeg significa già in partenza rinunciare alla qualità massima possibile. Le fotocamere pro, ma anche l’iPhone, anche se impostate per scattare direttamente in jpeg, scattano in raw e convertono in automatico senza possibilità di intervento o di regolazione: operano quindi una trasformazione assoluta, corretta magari da un punto di vista matematico, ma pur sempre arbitraria. Il jpeg, per ora, ha vinto rispetto ad altri formati perché ha un livello di compressione molto elevato e riesce a trasformare immagini molto grandi in file molti più Il jpeg ha vinto rispetto ad altri formati perché ha un livello di compressione molto elevato e riesce a trasformare immagini molto grandi in file molto più piccoli con un basso consumo di spazio e memoria.

piccoli con un basso consumo di spazio e memoria, e lo fa eliminando tutte le gamme cromatiche teoricamente non visibili dall’occhio umano, sfruttando il principio dei predittori che tenta di stimare il valore di un colore a partire da quelli adiacenti o già elaborati. Così un’immagine con un fondo continuo potrà essere compressa moltissimo perché, tra un campione di colore e un altro adiacente, il campione intermedio sarà molto simile e come tale eliminabile. Attenzione al fatto che l’applicazione della compressione avviene a ogni salvataggio, quindi, anche se impercettibilmente, l’immagine perde di qualità. In generale, il jpeg non è adatto alle immagini con testo, disegni, schemi e grafici, in più non supporta i tracciati e le trasparenze, come il png. Idealmente, la cosa migliore sarebbe scattare sempre con una macchina digitale professionale, in raw e sviluppare il raw con tutte le regolazioni fuori macchina e salvare in tiff in RGB. Il raw arriva a 16.388 livelli di luminosità per immagini a 16 bit, mentre il jpeg ne ha solo 256: questo è evidente sulle immagini più scure dove è necessario recuperare le zone d’ombra. Vogliamo fare un esperimento? Scattate prima in raw e poi in jpeg con la stessa fotocamera e le stesse impostazioni un oggetto completamente nero, aprite i due file in Camera Raw e aumentate l’esposizione di 5 stop: il raw apparirà come un pattern uniforme, il jpeg mostrerà zone dello stesso colore, fasce, righe, artefatti. Infine, post-produrre e impaginare i tiff: solo in questo modo ci garantiremo di lavorare senza perdita di dati significativa, perché il tiff è esattamente l’elenco dei pixel dell’immagine. Attenzione a non usare il png che, per quanto non sia lossy, supporta il canale alfa per le trasparenze e usa tecniche di compressione che non sacrificano la qualità o il dettaglio originale (almeno il png-24), ma non è salvabile in CMYK, il che significa convertire al momento del salvataggio in pdf in base al profilo, senza nessun controllo e in modo arbitrario.

La giusta risoluzione

Diciamolo subito, i 300 dpi che tutti i tutorial consigliano per la stampa sono più una semplificazione che un’effettiva necessità. Più che di alta o bassa risoluzione bisognerebbe parlare di giusta risoluzione per quello che si deve stampare. E così, un po’ perché si stampano più brochure che manifesti, un po’ perché è meglio avere dpi in più

che in meno per evitare immagini di bassa qualità, i 300 dpi sono diventati la risoluzione che deve avere qualsiasi immagine debba essere stampata. E qui iniziano i distinguo. Senza addentrarci nel rapporto risoluzione/lineatura per la quale rimando all’ottimo articolo di Marco Olivotto “La teiera di Russell e Photoshop” facilmente reperibile online, tutto dipende dall’ingrandimento che una foto avrà in pagina: paradossalmente immagini molto grandi a risoluzioni molto alte danno effetti come il moirè. Una foto a 72 dpi, magari presa dal web, molto grande, ad esempio 2560x1600 px, ovvero 90 cm di base, diventa 21 cm se portata a 300 dpi e regge quindi senza problemi un A4 se tenuta al naturale. Senza perdersi dietro a proporzioni, il trucco per capire se un’immagine in bassa risoluzione, tra i 72 e i 96 dpi, può essere usata per la stampa è dividere la misura in cm per 3,5. Ridimensionare dai 72 ai 300 dpi però va fatto senza ricampionare: formalmente si ottiene un’alta risoluzione con misure e dpi giusti, ma qualitativamente la foto resta di bassa qualità! In InDesign ci aiuta la palette Collegamenti che riassume, oggetto per oggetto, profilo colore, dpi originali e dpi effettivi in base all’ingrandimento. Cosa succede alla nostra foto, lasciata a 72 o passata a 300 dpi, quando viene messa su una doppia pagina in formato A4? Avrà una risoluzione effettiva di 144 dpi, che sono troppo pochi. Se proprio non potete usare un’altra foto, non resta che usare la recente funzionalità di Photoshop Mantieni dettagli 2.0 che sfrutta un algoritmo progettato per rilevare e preservare i dettagli e le texture più importanti delle immagini, senza introdurre un’eccessiva nitidezza dei bordi sporgenti o lisciare i dettagli a basso contrasto, inoltre migliora la conservazione dei dettagli più difficili come il testo e i loghi senza amplificare il rumore o creare artefatti. Ovviamente non si ottengono miracoli né si farà di una bassa un’alta, ma la qualità migliora sicuramente. Così come migliorerà se si utilizza il comando Migliora/ Super Resolution disponibile in Camera Raw dalla versione 13.2 che promette di raddoppiare la risoluzione di un’immagine. Nessuna magia, solo una gestione avanzata del metodo che stava alla base dell’Enhance Detail rilasciato nel 2019. Super Resolution svolge effettivamente un buon lavoro di interpolazione, garantendo un sensibile margine di vantaggio rispetto ad altri metodi già disponibili. Ovviamente non può aggiungere dettagli che non esistono, ma sfrutta l’intelligenza artificiale e il machine learning che apprende dai dettagli circostanti per migliorare e incrementare la “risoluzione apparente”. Ma non conta solo la dimensione dell’immagine, occorre tenere in considerazione anche la distanza da cui sarà vista l’immagine: una cosa è una foto su un libro, un’altra un manifesto per strada. Dalla distanza si ricava la risoluzione per ottenere una stampa di buona qualità. La formula dice:

Super Resolution svolge effettivamente un buon lavoro di interpolazione, garantendo un sensibile margine di vantaggio rispetto ad altri metodi già disponibili.

risoluzione (ppi) = 8.733 / distanza_di_visualizzazione (cm)

Infine, fin qui abbiamo parlato di dpi, ovvero dots per inch, ma dovremmo parlare più correttamente di ppi, pixel per pollice. La teoria dice che i “dots” sono i punti d’inchiostro che una stampante deposita sulla carta e “per inch” indica quanti di tali punti la stampante è in grado di produrre lungo una linea lunga 1 pollice; ovviamente questo dipende dalla tecnologia e non è sempre vero che un dot corrisponda a 1 pixel.

Insomma sono i ppi a dirci quanti pixel per pollice un dispositivo è in grado di rappresentare o, in altre parole, quale sarà la dimensione a stampa di un’immagine di dimensioni date su un certo dispositivo caratterizzato da una certa risoluzione. Complesso? Per questo si tende a riportare tutto all’equazione:

stampa = 300 dpi, video = 72 dpi

I font

Veniamo ora ai font, croce e delizia di ogni grafico e di ogni rip. La via della standardizzazione è ancora lunga e non è raro imbattersi in font molto vecchi PostScript Type 1 che arrivano da archivi che i grafici si scambiano in barba alle licenze o da vecchi impaginati. Dopo 40 anni, nel gennaio del 2023 Adobe terminerà il supporto ai font Type 1. Sebbene l’uso dei font Type 1 sia ancora supportato da alcuni sistemi operativi, non è più supportato in molti ambienti cruciali per le piattaforme moderne, inclusi i browser web e i sistemi operativi per dispositivi mobili. A quella data le applicazioni di Adobe aggiornate non riconosceranno la presenza di font Type 1: anche se sono installati nel sistema operativo, non verranno visualizzati nel menu Font, non sarà possibile utilizzarli e gli eventuali Type 1 esistenti nel documento verranno visualizzati come “Font mancanti”. Adobe mette a disposizione la versione OpenType aggiornata per i Type 1 di cui si ha regolare licenza, mentre per i font non Adobe occorre rivolgersi agli altri produttori. È possibile effettuare una conversione con software di terze parti come TransType, FontXchange o Fontlab Studio. Attenzione solo che non sempre la conversione è perfetta: glifi, caratteri speciali o segni diacritici non sempre sono resi correttamente. Conviene quindi sempre usare font OpenType che sono gli unici compatibili con il mondo Mac e Windows, e garantiscono piena esportabilità verso i formati digitali. Anche qui InDesign con il comando Trova Font aiuta l’identificazione dei font correttamente installati sulla macchina e quindi disponibili per la creazione del pdf e la verifica della tipologia di formato. Ormai è possibile reperire in OpenType anche vecchi font e in questo formato sono disponibili tutte le librerie on-line di font free (ad esempio www.google. com/fonts). Eventualmente resta la possibilità di convertirli. In questo Conviene quindi sempre usare font OpenType che sono gli unici compatibili con il mondo Mac e Windows, e garantiscono piena esportabilità verso i formati digitali.

caso, se non è possibile la sostituzione del font con uno simile, si può ricorrere all’estrema ratio di una conversione in tracciato (Crea profili sul box di testo). È una soluzione drastica che non consente la retroversione in caso di correzioni. Eventualmente appoggiatevi una copia della gabbia di testo fuori pagina per eventuali modifiche.

Le abbondanze e la sovrastampa

Una delle sviste che ricorrono più di frequente è la mancanza di abbondanza ai grafismi che vanno al vivo e che quindi devono eccedere il taglio. L’abbondanza è indispensabile per evitare che in fase di confezione, in caso di un taglio non preciso, si vedano degli sgradevoli fili bianchi. Sono sufficienti 3-5 mm recuperabili senza problemi spostando leggermente la foto, ingrandendola di poco o solo ricordandosi di aprire la gabbia. Tutto questo senza nemmeno allungare il fondo. La dimenticanza nasce dal fatto che chi impagina preferisce vedere la pagina

esattamente come verrà per valutare i pesi e gli equilibri degli elementi. Basterebbe abituarsi, appena si crea l’impaginato, a indicare un vivo pagina di almeno 3 mm così da avere le guide per ogni lato, aprire tutte le gabbie almeno di 3 mm e impostare la visualizzazione del documento come Anteprima quando si vuole valutare la resa della pagina al vivo. Ci sarebbe, infine, un’insidiosa impostazione che può compromettere la resa di uno stampato: la modifica delle impostazioni di foratura e sovrastampa dei colori. Fortunatamente, InDesign imposta nativamente in modo corretto il modo in cui i colori devono interagire tra di loro. Se non è stata modificata la trasparenza della grafica con il pannello Trasparenza, i riempimenti e le tracce appariranno pieni, in quanto il colore superiore fora, cioè taglia via, l’area sottostante nei punti di intersezione. InDesign consente la simulazione della sovrastampa al fine di verificare l’effetto. Mentre tutti i colori forano, il nero (K 100), applicato al testo o agli oggetti di default, viene sovrastampato, per ovviare al fuori registro sui caratteri neri di piccole dimensioni posizionati sopra aree colorate. L’abbondanza è indispensabile per evitare che in fase di confezione, in caso di un taglio non preciso, si vedano degli sgradevoli fili bianchi.

Si possono modificare le impostazioni relative all’inchiostro nero nelle preferenze Aspetto del nero, ma andrebbe fatto solo se il nero lavora su un’area estesa (per esempio testo molto grande) che sta sopra un oggetto colorato, come una foto, per evitare che questa traspaia sotto: questo perché l’inchiostro nero di solito è stampato per ultimo e può non essere totalmente coprente. Per essere certi di come sarà la resa basta verificare il pdf in Acrobat con Anteprima di output. Nella finestra separazioni si può vedere come lavorano i singoli inchiostri, di cromia o pantoni, lastra per lastra e la loro coprenza. Sempre da questa palette è possibile verificare anche la corretta foratura con “Simula sovrastampa”. Ricordate di lasciare sempre attivata la simulazione a monitor delle sovrastampe dalle preferenze di Acrobat.

Verifica preliminare

Fin qui abbiamo visto piccoli accorgimenti per una corretta realizzazione di un file in modo da esportare un pdf corretto per la stampa. Ma è possibile verificare sempre, in corso di lavoro, il rispetto delle norme sfruttando strumenti di preflight come la Verifica preliminare live di InDesign o il corrispettivo di Acrobat che controlla direttamente il pdf. In entrambi i casi, lo strumento si serve di una serie di profili in base all’output cui è destinato il lavoro. Sfortunatamente in InDesign c’è solo il profilo [base] in cui colori e risoluzioni non sono controllati. Se non si vuole creare un profilo proprio, cosa per altro molto semplice, sul sito del Ghent Workgroup si possono scaricare i GWG Live Preflight profiles per Adobe InDesign (http://tiny.cc/5xaquz). La verifica preliminare così configurata controlla live il file, indicando con un semaforo alla base della finestra del programma se ci sono errori e dove in modo da poter intervenire. In Acrobat, invece, la verifica va richiamata dal menu Produzione di stampe: qui i profili preinstallati sono tanti, compresi quelli per la stampa offset con e senza tinte piatte e tutti quelli per la verifica in base alle certificazioni ISO, come pdf/x. Di norma è sufficiente controllare un pdf con il profilo Offset a fogli che verifica la compatibilità con le indicazioni del Ghent Workgroup. Il risultato sarà un report dettagliato in cui errori e alert sono elencati e linkati in modo dinamico direttamente all’oggetto in pagina. Attenzione solo che lo strumento consente anche di correggere automaticamente gli errori, cosa da fare con consapevolezza soprattutto nel caso di conversioni di spazi di colore o di settaggi di coprenza o foratura.

di CATERINA PUCCI

Camac Arti Grafiche

Raccontarsi attraverso gli abiti che si indossano è un bisogno che appartiene all’umanità da sempre. La t-shirt è l’esempio più emblematico di quest’abitudine millenaria. Capi d’abbigliamento simili esistevano già in epoca rinascimentale, ma solo con l’avvento della rivoluzione industriale, le magliette cominciarono a entrare nell’uso comune. Nel 1904, la Cooper Underwear Company commercializzò la prima maglietta girocollo, progettata sulla base di alcuni esperimenti condotti per realizzare un capo che fosse pratico, elastico, traspirante, ideale per essere indossato al lavoro.

Negli anni Cinquanta, celebrità come James Dean e Marlon Brando cominciarono a indossare t-shirt contribuendo a renderle un capo iconico. A partire dagli anni Ottanta, le magliette sono diventate uno strumento per sensibilizzare su temi politici e sociali. La designer Katharine Hamnett è nota per averne sfruttato la potenza mediatica: nel 1984 incontrò Margaret Thatcher indossando una maxi t-shirt su cui era scritto, a caratteri cubitali, “58% don’t want pershing”, un gesto di protesta contro la proliferazione di missili nucleari sul suolo britannico. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un ritorno degli slogan sulle t-shirt nelle collezioni di diversi brand, che hanno saputo coglierne il potenziale espressivo, basti pensare alla t-shirt “We should all be feminist” per Dior. Complice anche la progressiva affermazione degli e-commerce, in tanti oggi provano a farsi strada nel mondo dello streetwear. Come si mette su un progetto “che funziona”? Ne abbiamo parlato con diverse professionalità che hanno trasformato una buona idea in un lavoro: Gabriele Mancini, direttore di Camac Arti Grafiche, Eugenio Gastaldo, fondatore di Toro & Moro, Mario e Francesco Colonnese, fondatori di Creative Promotion e Chiara Meloni, illustratrice e attivista nota come Chiaralascura e co-fondatrice di Belle di Faccia.

Semplici o elaborate che siano, le t-shirt fanno parte del nostro quotidiano. Ci sono aziende che hanno perfezionato la loro esperienza nel settore arrivando a sviluppare intere linee e collezioni per prestigiose case di moda nazionali e internazionali. «Negli anni Ottanta eravamo una piccola serigrafia che si occupava di decorazione su carta, PVC adesivo e altri materiali rigidi» racconta Gabriele Mancini, direttore di Camac Arti Grafiche. «Col passare del tempo ci siamo specializzati nella stampa su tessuto. Oltre a utilizzare diverse tipologie di inchiostri (lucidi, opachi, fluo, tridimensionali, rifrangenti, termosensibili) offriamo la possibilità di abbinare a ciascun prodotto elementi decorativi come lamine, borchie, strass, patch, ricami». In collaborazione con l’ufficio stilistico, Camac si occupa di tutti i passaggi della produzione, fino al confezionamento del capo finito. Dal punto di vista tecnologico, oggi esistono diverse alternative alla serigrafia tradizionale che, comunque, resta una delle tecniche di decorazione più affidabili e apprezzate, grazie alla quale è possibile realizzare effetti tattili e tridimensionali (i cosiddetti alti spessori). La stampa digitale si adatta bene alle esigenze degli onlineprinters, perché permette di realizzare piccole tirature altamente personalizzate e ottenere risultati di elevata qualità su una varietà di fibre, naturali, miste e sinte-

tiche. La stampa sublimatica garantisce un’ottima resa cromatica, resistenza ai lavaggi, buona resa al tatto. La conditio sine qua non l’utilizzo di questa tecnologia è che il materiale su cui si stampa sia sintetico o composto da fibre miste, infatti viene utilizzata soprattutto nello sportswear, dove è richiesta risoluzione elevata ma ricambio molto veloce. «Scegliamo la tecnologia di stampa tenendo conto delle esigenze di ogni cliente. Negli ultimi anni stiamo assistendo a una progressiva affermazione delle applicazioni ricamate e dei patch termotrasferibili, adatti a customizzare velocemente piccoli lotti di produzione».

Dopo una lunga esperienza nell’ambito della serigrafia, anche Mario e Francesco Colonnese hanno deciso di puntare sul commercio online e sulla stampa digitale. Nel 2010 danno vita all’e-commerce Creative Promotion, acquistando la loro prima stampante DtG e creando il sito personalizzati.net, dove gli utenti possono scegliere il modello e i motivi decorativi con cui personalizzare i propri capi. «Quando abbiamo cominciato, la stampa diretta su tessuto era pressoché sconosciuta. Nel mondo della stampa promozionale, che all’epoca andava a gonfie vele, si tendeva a produrre grossi quantitativi a prezzi molto competitivi, mettendo da parte la componente estetica. Chi c’era ricorderà le magliette con il logo dell’azienda in bella vista, corredato da indirizzo, email e altre informazioni di servizio. Sembravano più biglietti da visita che magliette», raccontano i due fratelli. Oggi le aziende sono molto più attente a veicolare un’immagine accattivante di sé. Il merito è dato anche dal fatto che la cultura grafica è cresciuta moltissimo in Italia è che la stampa digitale si è evoluta raggiungendo standard molto elevati dal punto di vista della qualità e dell’affidabilità. «Chiunque abbia una buona idea, può creare potenzialmente un business vincente. Il nostro compito è aiutare designer, creativi e piccoli imprenditori a trovare il proprio posizionamento sul mercato, consigliando tecnologie, supporti, strategie più indicate per realizzare il loro progetto».

Avere un’identità riconoscibile è fondamentale per costruire una community di utenti che si rispecchia nei valori che l’azienda decide di promuovere. Ai consumatori piace ricevere informazioni sulla filiera, la selezione dei materiali, il confezionamento. Toro & Moro è un’azienda che riesce a farlo bene. Nata nel 2016 nelle campagne del Monferrato piemontese, si propone sin da subito come elemento di rottura rispetto ai brand dello streetwear blasonati, rivendicando la qualità artigianale del proprio prodotto e offrendo un servizio di personalizzazione in store unico nel suo genere. «Abbiamo aperto l’e-commerce puntando su quattro elementi: personalizzazione, sostenibilità, qualità e unicità del prodotto» racconta Eugenio Gastaldo, founder di Toro & Moro. «Nel 2018 abbiamo lanciato il nostro primo concept store, seguito da altri punti vendita a Genova, Torino e Milano. La Toro & Moro Experience nasce per coniugare l’esperienza di acquisto virtuale e fisica». Per rafforzare la propria presenza anche sui canali social, Toro & Moro ha collaborato con numerosi illustratori come Badi, Charlotte Le Bleu,

Cecilia Battaini, oltre che con aziende con una brand identity altrettanto forte. «Recentemente abbiamo creato capsule collection per il network di lifestyle torinese Le Strade e per My Secret Case, shop online di sex toys che è anche una community impegnata a fare divulgazione sul tema del piacere femminile».

Toro & Moro realizza la maggior parte dei propri prodotti con cotone 100% biologico certificato GOTS e OCS, prediligendo processi sostenibili attraverso l’uso di inchiostri base acqua, atossici e ftalati free. A riprova del desiderio di certificarsi come brand sostenibile, quest’anno, in occasione dell’Earth Day ha lanciato l’iniziativa #TreeShirt in collaborazione con Treedom, e-commerce online che consente di piantare alberi in tutto il mondo: per ogni t-shirt venduta sarà piantato un albero, andando a compensare la quantità di CO2 che è stata prodotta per realizzarla.

Chiara Meloni è un’illustratrice e attivista nota sul web come @chiaralascura, che per i suoi disegni si ispira alla fat liberation, al femminismo intersezionale e alla liberazione animale. «Nel 2010 mi sono ritrovata con un lavoro senza sbocchi che stava mettendo a dura prova la mia salute mentale e così ho iniziato a disegnare. E ho scoperto, quando avevo già trent’anni, che mi piaceva farlo. Ho iniziato a vendere le mie t-shirt a tema vegan su piattaforme di print-on-demand e dopo qualche mese, vedendo che c’era interesse, ho provato a farlo diventare un lavoro. Inizialmente facevo soprattutto fiere e mercatini e lo shop online aveva un peso marginale. Contemporaneamente lavoravo come grafica e video editor freelance».

Nel 2011, Meloni ha lanciato una campagna di crowdfunding su Eppela, riuscendo a farsi finanziare la prima collezione. Lo stesso anno ha cominciato a partecipare a fiere nel Regno Unito e vendere in qualche negozio. «Un paio di anni dopo ho provato ad aprire un mio personale laboratorio di serigrafia, ma questo ha coinciso con una piccola battuta d’arresto della mia creatività, perché sono rimasta schiacciata dai lavori su commissione per altri clienti e non trovavo più il tem-

Creative Promotion po per curare i miei progetti e il mio catalogo». Nel 2018 decide di dedicarsi esclusivamente alle proprie illustrazioni e fonda, insieme a Mara Mibelli, il progetto Belle di Faccia, iniziando a incorporare nei propri prodotti i temi che le stanno più a cuore: il femminismo e la fat acceptance.

Sin dalle prime mini collezioni che vendeva nei mercatini, Meloni si è subito posta il problema della provenienza delle materie prime e della loro sostenibilità, selezionando tra i fornitori di t-shirt neutre quelle certificate non solo per quanto riguarda i tessuti, il loro impatto ambientale e la disponibilità delle taglie, ma soprattutto le condizioni di lavoro della manodopera. «È complicato trovare un equilibrio tra sostenibilità e inclusività: la maggior parte dei fornitori di t-shirt wholesale biologiche e fairtrade pronte per la stampa non producono taglie plus size o le fanno solo in due colori: nero e bianco. Altri producono tutte le taglie, in qualsiasi colore, ma non sono altrettanto sostenibili», aggiunge Meloni. «Quando ho iniziato non c’era tantissima consapevolezza da parte dei clienti e dovevo spesso giustificare il costo più alto spiegandone le motivazioni. Adesso, fortunatamente, c’è molta attenzione e le persone apprezzano che un piccolo brand cerchi di ridurre il proprio impatto facendo scelte sostenibili sul fronte dei materiali e del packaging».

Esistono in questo momento storico diversi strumenti che rendono più accessibile a chiunque il lancio di un piccolo business, che normalmente sarebbe un privilegio, come il dropshipping che permette di lanciare un proprio shop senza dover prevedere un investimento di partenza troppo alto e delegando le operazioni di logistica, magazzino e spedizione. «Un consiglio che mi sento di dare è quello di non farsi intimidire da ciò che vediamo sui social: su Instagram in particolare è facile che chi seguiamo ci stia facendo vedere solo gli aspetti positivi del suo lavoro e stia nascondendo i fallimenti e le fragilità: andiamo avanti per la nostra strada senza l’ossessione di like, follower e numeri perché ogni creativ ha una sua voce e un suo modo di rappresentare la realtà e quindi c’è spazio per tutt . E ovviamente, se chi ci sta leggendo avesse bisogno di qualunque dritta, per quanto io non mi ritenga un’esperta e possa vantare più che altro l’esperienza sul campo, non esiti a contattarmi: credo nei saperi condivisi e non nel gatekeeping e sono sempre pronta a spiegare come si fa qualcosa, se ne sono in grado».

DUE EMME PACK: LA “BOUTIQUE DELLA CARTA”

CRESCE GARANTENDO SOSTENIBILITÀ E CONTINUITÀ DELLA FORNITURA

NNata nel 1990 a San Giovanni in Persiceto (BO), Due Emme Pack ricopre il ruolo strategico di raccordo tra le cartiere e gli stampatori. E in questo momento di sfide globali rafforza la propria posizione garantendo continuità nella fornitura, requisiti di sostenibilità e servizi diversificati grazie all’acquisizione di CRCArt, specializzata nella cartotecnica. Massimiliano Marchesini, fondatore e Direttore generale di Due Emme Pack, ci racconta tutto nel dettaglio.

Quali servizi offre oggi Due Emme Pack?

Con oltre 30 anni di esperienza e un’ampia rete commerciale su tutto il territorio nazionale, rappresentiamo un’eccellenza del settore cartario fornendo ai clienti un servizio di taglio a formato su carta e cartone. Il valore aggiunto è rappresentato da dinamicità, efficienza nelle fasi del processo produttivo, tempestività nell’evasione degli ordini per piccole e medie quantità con consegne entro le 72/96 ore e garanzia del risparmio sulla carta grazie all’ottimizzazione del formato e al contenimento degli sprechi. Il nostro team di esperti supporta i clienti nella scelta della carta più adatta al loro tipo di lavorazione. Due Emme Pack si distingue anche per il suo Codice Etico: l’imprescindibile attenzione all’ecosostenibilità delle materie prime controllate la cui produzione rispetta i diritti delle persone.

Stiamo vivendo un momento critico: come state gestendo l’attuale carenza di materie prime?

La pandemia ha creato non poche difficoltà nel reperimento delle materie prime a causa del rimbalzo accusato dalla ripartenza, tanto che già all’inizio dell’estate 2021, con le progressive riaperture, avevamo letto le potenzialità di crescita e creato i presupposti per poterla conseguire. Questa instabilità che permane anche nel 2022 ha accelerato il nostro vantaggio competitivo: il servizio rivoluzionario che abbiamo ideato nel 1990 oggi risulta essere vincente, funzionale e necessario in modo trasversale sia sul mercato cartario sia su quello cartotecnico. Le ragioni della crescita sono imputabili a tre fattori: accordi quadro con fornitori primari per garantirci continuità di fornitura; incremento delle scorte a magazzino per sopperire alla difficoltà di reperimento delle materie prime per effetto dell’aumento della domanda; sviluppo dei comparti editoriale e cartotecnico.

Come state sviluppando l'area dedicata alla cartotecnica?

L’acquisizione e il controllo di CRCArt, nata nel 2018 a Sala Bolognese come nostra azienda satellite specializzata nel taglio del cartone, ci ha garantito maggior presenza e flessibilità sui clienti oltre a un maggior ventaglio di prodotti a catalogo. Pur mantenendo una propria autonomia, a maggio 2020 abbiamo conformato il modello di business a quello di Due Emme Pack. A medio termine abbiamo in programma la realizzazione di un nuovo fabbricato di 13.000 mq coperti che denomineremo “Polo Industriale” che ospiterà entrambe le aziende, offrendo ai clienti un vantaggio competitivo in termini produttivi, logistici e di gestione generale. Il risultato di questo processo innovativo sarà un’azienda all’avanguardia a livello tecnologico, ambientale e produttivo, punto di riferimento nel mercato in cui operano stampatori, cartotecniche, scatolifici, accoppiatori, che sarà in grado di creare ricchezza per il territorio e per tutti i suoi lavoratori.

ELISA SEITZINGER

Elisa Seitzinger vive a Torino, dove lavora come illustratrice e artista visiva. Doppia medaglia d’oro 2021 di Autori d’Immagini, Vincitrice del Premio Illustri 2018 – categoria Design e selezionata all’omonimo Festival nel 2019, tra i dieci illustratori più influenti d’Italia, selezionata alla mostra annuale della Society of Illustrators 2021 all’Illustration Museum di New York, shortlisted per i World Illustration Awards 2021.

di MICHELA PIBIRI Elisa Seitzinger, 24h Party People, pattern ispirato all’omonimo film di Michael Winterbottom

Due creatività dirompenti che si incontrano e danno vita a un concept visivo inedito. Questa è la storia che accompagna, per ora in sottofondo, l’edizione 2022 di Brand Revolution LAB, che dal 2017 è un appuntamento fisso per i professionisti e gli appassionati della comunicazione stampata. È stata Daisy Viviani, già curatrice creativa di Brand Revolution LAB 2021 e autrice dell’allestimento dal titolo “Random Combination”, a pensare al tema “Metamorphosis” e a proporre il coinvolgimento di un’illustratrice e artista visiva del calibro di Elisa Seitzinger. «Volendo rappresentare il cambiamento in modo simbolico – dice Viviani – nessuno meglio di Elisa è in grado di sintetizzare sapientemente concetti complessi intrecciando storia e contemporaneità. La scelta è ricaduta sul suo tratto unico e proprietario, che ai fini del nostro concept rappresenta il mondo analogico e come questo sia indissolubilmente legato a quello digitale: insieme questi mondi possono amplificare il messaggio della comunicazione».

Stampa e Metamorfosi

Cambiamento, metamorfosi ed evoluzione sono concetti che per Daisy Viviani e Elisa Seitzinger ben si attagliano all’essenza stessa della stampa: «Brand Revolution Lab è il punto d’incontro ideale per gli attori della comunicazione, che è un campo in perpetua evoluzione» prosegue Viviani. «Metamorphosis vuole simboleggiare questo costante mutamento che interessa tutte le parti coinvolte (oltre che il mondo nella sua totalità) e vuole mostrare come solo grazie a questo rinnovamento oggi siamo in grado di stupirci di fronte ai progressi della tecnica applicata alla creatività».

BRAND REVOLUTION LAB SI RINNOVA E DÀ APPUNTAMENTO AL 27 E 28 OTTOBRE 2022

Brand Revolution LAB è l’iniziativa pensata e realizzata da Stratego Group in cui Brand, Agenzie e Stampatori si incontrano per creare una nuova comunicazione, focalizzata sulla stampa ma contaminata dal digitale. Brand con esigenze o sogni non ancora realizzati incontrano la creatività delle agenzie il cui compito è studiare proposte coinvolgenti, realizzate da stampatori coraggiosi e innovativi che traducono in realtà i desideri dei brand e le proposte uniche ed esaltanti delle agenzie. Brand Revolution LAB, arrivato alla sua sesta edizione, si è dimostrato finora terreno ideale per far nascere nuove idee e stimoli, dove tutti gli attori possono esplorare, liberi da vincoli e budget, la relazione tra tecnologia e creatività. È un ambiente capace di far prosperare idee e business con l’obiettivo di valorizzare tutti gli attori della filiera della comunicazione stampata. Il rinnovamento e il cambiamento sono nel DNA di questa iniziativa e anche in questa edizione sono previste molte novità: un nuovo concept, nuove collaborazioni, nuove esperienze. I risultati dei nove mesi di laboratorio saranno messi in mostra nel vernissage ed evento che si terrà a Milano il 27 e 28 ottobre 2022.

I PROTAGONISTI DELL’EDIZIONE 2022

I brand che hanno raccolto la sfida di Brand Revolution LAB sono 10 e provengono da settori molto diversi tra loro, garantendo anche quest’anno una grande diversità di soluzioni e la possibilità di contaminare linguaggi espressivi e stili diversi. Sono AISM, Associazione Italiana Sclerosi Multipla, organizzazione che si occupa dei diritti delle persone con SM; Culti Milano, azienda nota per le sue fragranze per la casa e la persona, che abbina design e qualità premium; Dynamo the Good Company, marchio di abbigliamento outdoor nato a Dynamo Camp, il primo Campus Ricreativo Terapeutico in Italia; Edenred, inventore dei buoni pasto e leader in servizi per il mondo del lavoro; Flob Flower, e-commerce specializzato nella vendita online del settore florovivaistico e arredamento green; l’Istituto Auxologico Italiano, fondazione riconosciuta come IRCCS che opera nella ricerca biomedica e nell’assistenza sanitaria di alta specializzazione; Mulino Bianco, marchio Barilla famoso per i suoi prodotti da forno; Schenker Watermakers, società leader nella produzione di dissalatori marini di nuova generazione; Stivaleria Savoia, azienda specializzata nella realizzazione di calzature artigianali su misura; TOM Unexpected Gin, premium gin italiano ispirato alle atmosfere milanesi. Le agenzie creative coinvolte quest’anno sono Advision, Artefice Group, DLV BBDO, Effige 2.0, H2H, Hello DTV, O,Nice Design, Smith Lumen e The Embassy. Anche quest’anno ci sarà la partecipazione di Brand Revolution Creative, uno speciale team di professionalità trasversali. I partner nell’ambito della stampa e dei supporti sono Eurolabel, Fontana Grafica, Grafical, ICO, Luxoro, myCordenons, Tecno Tag e Varigrafica. La possibilità di entrare a far parte dei team di lavoro è ancora aperta a fornitori di tecnologie, materiali e stampatori che volessero farne richiesta. «Il messaggio di questa edizione è che il mondo della stampa, partendo proprio dalle sue origini storiche, non si è mai fermato. Un settore in grado di adattarsi e cambiare per rispondere a esigenze diverse, a suo agio anche in un contesto contemporaneo dove si è affiancato a tutto ciò che è virtuale e in continuo dialogo con il mondo digitale. Insomma anche la stampa guarda al futuro. Con esiti anche divertenti» aggiunge Elisa Seitzinger, che ha accolto molto positivamente la proposta di collaborare a Brand Revolution LAB 2022: «Progettare key visual mi piace moltissimo: per comunicare un grande evento bisogna ideare immagini con un forte impatto visivo che catturino l’attenzione anche di chi è “di passaggio” e che stimolino curiosità del potenziale pubblico» prosegue Seitzinger.

DAISY VIVIANI

Daisy Viviani è art director, graphic designer e illustratrice: dopo aver lavorato per alcune agenzie e studi milanesi, ha deciso di intraprendere il suo personale percorso imprenditoriale perché crede fortemente che “la bellezza salverà il mondo” ed è responsabilità di tutti diffondere bellezza, ognuno nel proprio campo e con i propri mezzi. Da sempre vive il mondo della comunicazione e negli ultimi anni ha avuto la possibilità di collaborare con alcuni dei più importanti brand nazionali e globali.

Il visual

Del lavoro creativo non si può ancora svelare molto, perché oltre al key visual verrà studiato anche un allestimento coordinato che sarà una sorpresa per i partecipanti all’evento di ottobre: «Un bel lavoro di squadra che parte da un’illustrazione e diventa un ambiente immersivo grazie alle competenze di tutti», dice Seitzinger, che sull’illustrazione di partenza anticipa solo: «Per comunicare questo concetto ho scelto un testimonial d’eccezione, ma non posso ancora svelare chi è. Posso anticipare che è stato rappresentato sia in vesti passate che in chiave contemporanea».

Un tema, quello della metamorfosi, che trova forte risonanza nel suo universo creativo: «Per svilupparlo ho attinto a fonti iconografiche a me care, animali fantastici, soggetti classici contaminati con illustrazioni scientifiche e personaggi storici. Delle tre una ha vinto sulle altre due proposte. Scegliere un key visual è sempre un lavoro di squadra, crediamo di aver individuato la soluzione più efficace per veicolare il tema di questa edizione contestualizzato al settore stampa». Settore che ha, nel percorso professionale di Elisa Seitzinger, grande importanza: «Nel mio caso la stampa è quella fase finale dell’output artistico che rende reale, concrete le mie visioni. Può farlo valorizzandole al meglio, o al contrario non valorizzandole affatto. Direi quindi che si tratta di un aspetto fondamentale che va scelto e curato con la stessa attenzione con cui si curano i colori e il tratto, nel mio caso, di un disegno. Sono davvero curiosa – prosegue – di esplorare le potenzialità e le nuove frontiere di questo settore in continua evoluzione creativa e tecnologica. Sento che i nostri settori possono darsi molto a vicenda».

Collaborazione, innanzitutto

L’accento posto da entrambe sulla collaborazione è fondamentale per comprendere sia lo sviluppo del concept creativo sia l’essenza stessa di Brand Revolution LAB: «Collaborare con un’artista – dice Viviani – significa innanzitutto lasciare libertà. Il segreto (se di questo si può parlare) è trovare il giusto bilanciamento tra il dare indicazioni e guidare l’artista senza però interferire con la sua visione, perché è in questa che è racchiusa la “magia”. Per me significa approcciare il lavoro avendo chiaro l’obiettivo finale, ma lasciandomi stupire dal percorso con cui arrivarci in quanto non dipende solo da me e non può essere tracciato in anticipo. Si tratta di un’esperienza davvero unica ed emozionante».

LA RIVOLUZIONE DEL DIGITALE

TOCCA ANCHE I DISTRIBUTORI DI BENZINA

24LAB è un’azienda campana specializzata nel rebranding per i distributori di carburante. Oggi, grazie all’installazione di una stampante AGFA Jeti Mira LED 2732, può offrire ai propri clienti una comunicazione sempre più personalizzata con diverse applicazioni.

AMaddaloni, provincia di Caserta, si trova la sede operativa di 24LAB, che vanta un’esperienza ventennale nella comunicazione pubblicitaria. Negli ultimi dieci anni l’azienda campana ha scelto di dedicarsi a una nicchia di mercato molto specifica, quella degli impianti di carburante.

«Prima di entrare in questo mercato ci occupavamo di vendere spazi pubblicitari sulla carta stampata» racconta Alessandro Del Monaco, direttore marketing di 24LAB. «Un giorno ci è stato chiesto di occuparci della personalizzazione grafica e allestimento della pensilina di un distributore. L’esperienza è stata positiva e ci ha convinti a specializzarci in questo segmento, dove vedevamo nascere nuove opportunità. A darci la spinta propulsiva è stato anche il fatto che dal 2012 i gestori di impianti di distribuzione carburanti possono affidarsi a professionisti indipendenti per la personalizzazione delle stazioni di servizio, che prima era appannaggio esclusivo delle grandi compagnie petrolifere, che la gestivano dall’interno».

Il rebranding degli impianti di carburante è un’attività che consiste nel rinnovare l’immagine aziendale in caso di cambio di proprietà o del contratto di fornitura. LAB24 si occupa di progettare insieme al cliente una nuova identità visiva in ogni minimo dettaglio: dai colori ai materiali, dai fabbricati alle pensiline, dai prezzari ai fascioni. «Investire in questo servizio è importante – prosegue Del Monaco – perché l’impatto visivo che questa comunicazione esercita sui clienti condiziona le loro decisioni d’acquisto. Un impianto esteticamente ordinato e accogliente è più accattivante di una stazione con grafica obsoleta».

Del Monaco ha quindi messo il proprio know-how nell’ambito della progettazione grafica al servizio del settore dei carburanti: «Si parte sempre dalla progettazione del logo, che è il punto di partenza per la realizzazione dell’intero allestimento. Lo scopo di un logo è quello di comunicare l’identità dell’azienda in maniera semplice. Durante la sua progettazione bisogna tener conto del fatto che dovrà essere riprodotto in molteplici forme e contesti: stampato su carta intestata, cucito sulle divise, inciso sulle targhe, posizionato sulla facciata di un edificio. La progettazione creativa è chiaramente connessa alla parte tecnica, che consiste nella scelta dei materiali più adatti alle esigenze del clienti. Chiaramente abbiamo dovuto acquisire una serie di nuove competenze relative alla parte di carpenteria metallica ed elettronica che sono componenti importanti di questo lavoro. L’installazione del prezzario, la gestione del cambio prezzi da remoto sono tutte attività

inevitabilmente connesse alla parte di comunicazione. Solo chi ha saputo intuire che le due cose vanno di pari passo è riuscito a mantenere una continuità in questo settore». Oggi infatti, 24LAB opera su tutto il territorio nazionale, in particolare in Piemonte, Toscana, Abruzzo, Lazio, Campania e Puglia.

Dopo dieci anni è nata l’esigenza di differenziare ulteriormente l’offerta. «Volevamo offrire ai nostri clienti qualcosa di più delle solite pellicole traslucenti e metallizzate e in tal senso l’evoluzione delle tecnologie di stampa digitale ci è venuta incontro». Quest’anno, 24LAB ha infatti installato una soluzione per la stampa digitale UV AGFA JETI Mira LED MG2732. L’obiettivo è ottenere un ricambio veloce e costante della grafica di tutte le applicazioni presenti all’interno di una stazione di servizio (banner, affissioni per pensiline, totem etc.), assicurando qualità elevata e un’elevata resistenza agli agenti atmosferici ai quali, trovandosi all’esterno, sono continuamente esposte. Per garantire ulteriore protezione agli stampati, l’azienda ha associato alla stampa UV anche un modulo di verniciatura lucida trasparente. «È presto per fare dei bilanci sulla nostra esperienza con la stampa digitale, ma ci entusiasma sapere che siamo i primi in Italia ad aver intuito le potenzialità di questa tecnologia associata al nostro settore. E si sa: chi prima arriva…»

AGFA JETI MIRA, VERSATILITÀ IN GRANDE FORMATO

Jeti Mira è una stampante robusta, realmente “flatbed”, con piano di lavoro disponibile in due versioni. La precisa architettura a letto piano è concepita specificamente per offrire una flessibilità ottimale e una stampa di alta qualità su un’ampia gamma di supporti sia rigidi che flessibili. Estremamente affidabile e versatile, la macchina ha una larghezza di stampa di 2,69 m e una profondità di 1,6 o 3,2 m, che consente di gestire lavori di grande formato. Grazie alla modalità Print & Prepare, è possibile caricare un lato del piano di lavoro mentre sull’altro si sta stampando. Per aumentare la versatilità, Jeti Mira può inoltre alloggiare un sistema Roll-to-Roll estremamente efficiente, che viene semplicemente posizionato davanti al piano di lavoro ‘flatbed’. Gli inchiostri UV proprietari si asciugano molto rapidamente, e garantiscono inoltre un gamut colore molto ampio e un’elevata vivacità delle tinte, indicata sia per le applicazioni indoor che outdoor. La capacità di aderire a diverse tipologie di supporti e la resistenza agli agenti esterni li rendono particolarmente adatti alla stampa destinata all’applicazione in esterni.

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