FILM SU CARTA DIPLOMANDA: ELISA MERINO VAZQUEZ | RELATORE: STEFANO MOSENA
TESI DI DIPLOMA TRIENNALE | A.A. 2013/2014 | GRAFICA EDITORIALE | DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE | SCUOLA DI PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA | ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI ROMA
Film su Carta
Elisa Merino Vazquez
Introduzione
07.
Manifesti, pubblicitĂ , tecnologia
09.
breve storia del marketing del cinema.
PerchĂŠ vediamo i film horror?
16.
Il manifesto
20.
La comunicazione nel cinema di genere
27.
35. 36 40 44 42
. . . .
Compagnie e artisti Mondo Ignition Creative Drew Struzan Graham Humphreys
47.
Conclusione
50.
Dizionario
52.
Fonti
Introduzione
Questa ricerca vuole soffermarsi sulla funzione e la forma del manifesto nella comunicazione e nel mercato cinematografico dell’horror. Nel campo del cinema, il manifesto è la forma di comunicazione più longeva, ma ancora largamente presente- e infestante- per strade di tutto il mondo e, nonostante la diffusione capillare di pubblicità su altri media(radio, televisione e internet), ancora fondamentale nella pubblicizzazione di un film, grazie alla sua economicità di produzione e capacità di diffusione. A differenza degli altri media, il manifesto è privo della dimensione del tempo, proprio quella che contraddistingue il cinema come forma espressiva. Si trova nella difficile posizione di dover catturare il potenziale spettatore istantaneamente, in un ambiente spesso già sovraccarico di messaggi concorrenti.
A poster is a single communication on a plane. A film is a temporal sequence of pictorial communications. The film is all about “sequence”. The poster is all about a short-lived flare-up ideas. Il grafico, o il cartellonista ha quindi l’arduo compito di riassumere e interpretare il film e di fare da ponte fra la produzione e il pubblico. Per questo motivo, ma più in passato rispetto ad oggi, film distribuiti internazionalmente sono pubblicizzati in diversi paesi con manifesti diversi, spesso opera di grafici locali, cercando di attrarre il pubblico attraverso l’immaginario e il linguaggio visuale e verbale del posto. Questa distanza dal mezzo cinematografico come media ha dato la possibilità al manifesto di sviluppare una voce molto più indipendente, come mezzo.
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L’attenzione va in particolare all’uso di questo linguaggio per il cinema horror, relegato in una ideale scala di importanza dei generi a cinema di serie B, e dipendente da logiche di mercato parzialmete differenti; tale differenziazione ha influito e influisce anche sul design dei manifesti degli stessi, che normalmente non ostenta grandi nomi nel cast, ma punta ad attirare l’attenzione del pubblico in maniera diversa.
B movie poster designers were expected to produce the more graphically compelling, lurid, eye-popping imagery that was needed to sell the movies to the public.
A causa dell’assenza dell’uso della firma nelle locandine per decenni, ma anche per meccanismi interni al mercato, gli autori di molti di questi manifesti di qualità tecnica e artistica non inferiore rispetto agli altri, sono rimasti nell’ombra per anni, o del tutto anonimi. Questo tipo di comunicazione ha tuttavia subito importanti cambiamenti nel corso degli ultimi anni: prima la fotografia ha preso il sopravvento sull’illustrazione nella creazione dei poster; soprattutto con l’avvento del fotoritocco e design digitali, il processo di composizione dei manifesti si è velocizzato eccezionalmente, estremizzando la tendenza ritrattistica; questo processo ha ridotto il campo di lavoro degli illustratori, le cui opere si vedono prevalentemente nel campo del cinema alternativo e di genere, oppure di grandissime produzioni, a volte anche solo grazie all’insistenza del regista (come nel caso delle locandine, dei manifesti e di buona parte del materiale illustrato per la serie di Guerre Stellari, disegnata da Drew Struzan, anche per una questione di continuità stilistica). In altri casi invece la produzione di poster alternativi e “d’arte” è parallela alla campagna pubblicitaria, anche se quasi del tutto legata al campo del collezionismo. La mia scelta di studiare la comunicazione per il cinema dell’orrore è in parte guidata da un gusto personale: fin da
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(troppo) giovane mi sono avvicinata al genere, attraverso la letteratura e l’illustrazione, e in seguito attraverso il cinema. E i manifesti più iconici, che tanto mi impressionavano nei videonoleggi e per le strade, mi tornano ancora alla mente un decennio dopo, provando la propria efficacia. Questa ricerca non vuole essere un’elegia nostalgica all’illustrazione per il manifesto cinematografico, o un’accusa alla grafica digitale per l’omologazione che ha portato, ma vuole ripensarlo, in rapporto ad essa e in rapporto ai due mondi in cui gravita (l’anticipazione del film e del ricordo) e riflettere sul suo futuro e le sue possibili evoluzioni e potenzialità, sperimentando anche diversi formati, materiali e media.
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Manifesti, pubblicità, tecnologia: breve storia del marketing del cinema.
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er giungere alla complessità dei suoi codici contemporanei, sono stati necessari anni di comunicazione; l’evoluzione linguistica ed estetica del manifesto si muove di pari passo a quella del del cinema e della stampa e riflette i cambiamenti della società e della tecnologia. Nel XV secolo la stampa a caratteri mobili rende possibile l’affissione e pubblicazione di proclami e fogli di avviso per privati e istituzioni. L’impiego rimane limitato fino al XVIII secolo quando, con le rivoluzioni, si moltiplicano i manifesti di carattere politico. L’invenzione della tecnica litografica, e in seguito della cromolitografia, rende possibile la stampa di composizioni più elaborate, anche a colori. I due elementi del manifesto, quello scritto-verbale e quello visuale, inizialmente distanti e scollegati, raggiungono l’equilibrio compositivo nel corso del XIX secolo. Già nel 1890 sono documentate le prime esposizioni di manifesti e compaiono i primi collezionisti. Nel 1894, insieme alla nascita del cinematografo, compaiono i primi manifesti cinematografici, tuttavia del tutto focalizzati sull’apparecchio, portato come attrazione nelle esposizioni universali e fiere, e non sui brevi filmati da esso proiettati. Su uno dei manifesti,
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dipinto da Marcellin Auzolle, è riconoscibile il film proiettato: si tratta de L’arroseur arrosé, un corto slapstick di cinquanta secondi diretto e prodotto da Louis Lumière. La prima produzione di manifesti è quindi interessata a pubblicizzare la tecnica; con la crescente lunghezza e complessità dei film, anche i manifesti si sviluppano, in un primo momento ricalcando il linguaggio di quelli per il teatro e il circo; risalgono ancora al 1915 delle suggestive locandine generiche volte a pubblicizzare il cinema, stampate parzialmente per permettere l’aggiunta manuale di informazioni. I manifesti in questo periodo cominciano ad essere concepiti per coprire le facciate dei cinema, col formato 320x240 cm, in quattro fogli litografati. All’inizio del secolo, gli attori erano i registi stessi, altri addetti ai lavori, ma anche attori teatrali. Se all’inizio i volti nei filmati erano anonimi, la serializzazione di alcune produzioni ha reso alcuni di questi attori riconoscibili al pubblico, e apprezzati. Da una parte questo fenomeno viene osteggiato dai produttori, interessati a mantenere i prezzi di produzione il più bassi possibile, ma dovranno poi cedere, dando il via al fenomeno del divismo. Il divismo si rivelerà poi positivo per la nascente industria del cinema, per cui i volti e i nomi degli attori sono importanti nella commercializzazione di una pellicola. Per decenni gli attori più famosi saranno legati a
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rigidissimi contratti, interessati a mantenere un’immagine pulita e coerente con quella dei ruoli interpretati, anche nella vita privata. Nel secondo dopoguerra, con il boom economico, le sale cinematografiche fioriscono. La tecnica della fotocomposizione, che permette di maneggiare elementi trasparenti e sovrapponibili su grandi fogli di pellicola, rende l’affiancamento e la sovrapposizione di testi e immagini, soprattutto fotografie, molto più semplice. Per questi motivi, al fianco dei manifesti, destinati agli ambienti esterni, si diffondono fotobuste e locandine, per l’affissione agli ambienti interni del cinema. La crescente diffusione della televisione nel corso degli anni ‘40, con l’introduzione di nuovi tipi di informazione e intrattenimento in casa, ha obbligato il cinema ad evolversi ancora, velocizzando l’introduzione del colore (i primi esperimenti, con la colorazione a mano dei fotogrammi, risalgono addirittura all’inizio del secolo), ed esasperando la spettacolarità con effetti speciali e storie epiche. Infatti ai primi anni ‘50 risalgono anche i primi film in 3d e sporadicamente anche in 4d, cioè con effetti fisici come movimento e odori combinati alla proiezione, anche se perlopiù in sale di parchi divetimento. In questo stesso periodo, i cambiamenti della società aprono nuove possibilità al mercato dell’intrattenimento. Il gruppo sociale degli adolescenti e dei giovani adulti diventa sempre più importante, e i suoi sogni ed ansie vengono intercettati dal mondo del cinema. Cantanti popolari e musicisti entrano a far parte dei cast dei film, per attirare i fan. La televisione è ormai diffusa capillarmente, ma i contenuti che vi passano attraversano una rigida censura, mentre il cinema, se comunque regolato, subisce tagli meno pesanti. Il cinema proietta storie più scabrose e le creature più spaventose compaiono soltanto a tarda ora; nasce un circuito parallelo a quello dei blockbuster, il cinema dei drive in e quello di mezzanotte, conoscono il periodo di massimo splendore tra gli anni ‘50 e gli anni ‘80. In tale ambiente, si delinea il concetto dei film di culto, cioè pellicole che pur non avendo incontrato il favore popolare, raccolgono una pubblico ridotto ma molto affezionato, diventandone un punto di riferimento. Si recuperano e riscoprono film censurati o non distribuiti anche a distanza di molti anni, come Freaks, girato nel 1932, ma rinnegato e tagliato dalla compagnia di produzione stessa.
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Nonostante l’uso della fotografia ormai sia molto ampio, l’illustrazione, soprattutto di stampo fortemente realistico, è ancora uno delle tecniche più utilizzate nella creazione dei manifesti più grandi. I codici sono rigidi e ben precisi: a Hollywood i volti di ciascun attore ritratto sono tanto più grandi quanto vengono pagati, e il volto di un’attrice occupa raramente uno spazio uguale o maggiore a quello della controparte maschile. Nel campo del cinema horror, questo è il periodo dei grandi mostri, ingigantiti e resi più realistici e spaventosi dalle abili mani degli illustratori. Per diverse aree del mondo tuttavia, i codici sono diversi e sviluppano il proprio linguaggio nazionale. A partire dalla metà degli anni ‘80, i cinema cominciano a proiettare più pellicole e crescono i multisala. Con un numero maggiore di film da pubblicizzare la gamma di materiale prodotto per pubblicizzare lo stesso si restringe, per consentire la promozione di tutti i film. Durante questo periodo, fiorisce il merchandising soprattutto nel campo dell’animazione per bambini e dei collezionisti. Intanto la diffusione del videonoleggio e delle cassette VHS aprono il campo a un nuovo tipo di locandine, più piccole, destinati ai centri di noleggio. La nuova cultura di marketing e le tecniche stampa creano un nuovo mezzo di comunicazione con i cartonati, con l’uso di inchiostri speciali. Già alla fine di questo decennio, e soprattutto durante gli anni ‘90, i programmi di grafica digitale velocizzano enormemente i tempi di produzione per i poster.
È un decennio di forte sperimentazione con le possibilità del mezzo digitale, a volte con risultati disastrosi. La crescente popolarità e diffusione dei computer sembra causare il definitivo declino dell’illustrazione; tuttavia ci sono anche alcuni timidi tentativi di illustrazione digitale. Il ventunesimo secolo vede un sincretismo di tecniche e stili diversi, con la possibilità di attingere al passato e a tipi diversi di comunicazione tipici di altre aree del mondo. La diffusione di internet diventa un mezzo importante di promozione dei film, prima attraverso siti web e contenuti dedicati, con la possibilità di puntare la comunicazione verso certe comunità. Sia per il mondo digitale sia per quello fisico, si studiano campagne pubblicitarie dalla comunicazione non convenzionale, come flash mob e happening, installazioni, trasposizioni web di alcune elementi del film, e cacce al tesoro digitali. Ad esempio, la saga di Saw negli Stati Uniti per alcuni anni ha invitato a donare il sangue durante il giorno di Halloween, facendo anche uscire il film nello stesso periodo. La donazione di sangue, annunciata da una serie di manifesti dedicati, è diventata un appuntamento fisso per i fan della serie. Il mezzo digitale permette una nuova sperimentazione nella pubblicità, trasformando anche manifesto, in una sua evoluzione digitale e in movimento, a volte corredato di audio, mantenendo le stesse proporzioni del tipico foglio verticale.
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È un decennio di forte sperimentazione con le possibilità del mezzo digitale, a volte con risultati disastrosi. La crescente popolarità e diffusione dei computer sembra causare il definitivo declino dell’illustrazione; tuttavia ci sono anche alcuni timidi tentativi di illustrazione digitale. Il ventunesimo secolo vede un sincretismo di tecniche e stili diversi, con la possibilità di attingere al passato e a tipi diversi di comunicazione tipici di altre aree del mondo. La diffusione di internet diventa un mezzo importante di promozione dei film, prima attraverso siti web e contenuti dedicati, con la possibilità di puntare la comunicazione verso certe comunità. Sia per il mondo digitale sia per quello fisico, si studiano campagne pubblicitarie dalla comunicazione non convenzionale, come flash mob e happening, installazioni, trasposizioni web di alcune elementi del film, e cacce al tesoro digitali. Ad esempio, la saga di Saw negli Stati Uniti per alcuni anni ha invitato a donare il sangue durante il giorno di Halloween, facendo anche uscire il film nello stesso periodo. La donazione di sangue, annunciata da una serie di manifesti dedicati, è diventata un appuntamento fisso per i fan della serie. Il mezzo digitale permette una nuova sperimentazione nella pubblicità, trasformando anche manifesto, in una sua evoluzione digitale e in movimento, a volte corredato di audio, mantenendo le stesse proporzioni del tipico foglio verticale.
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perché vediamo i film horror?
A
l momento di analizzare il linguaggio dei manifesti, sorge spontanea una domanda: a quale pubblico si rivolgono? E cosa cerca tale pubblico?
Nonostante sia considerato un genere di nicchia, quello horror rappresenta una parte consistente dei guadagni al botteghino. In generale, circa un terzo del pubblico dei cinema rientra nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni, la stessa che compone la maggior parte del pubblico di film horror. La maggior parte degli spettatori non sono abituali del genere, ma vanno al cinema con un desiderio che può sembrare insolito: quello di essere spaventati, magari durante un’uscita in compagnia degli amici o in coppia. E più il film è spaventoso, più gli spettatori escono soddisfatti. Diverse volte studiosi hanno provato a spiegare la nostra fascinazione con la paura, anche prima della nascita del cinema, e, se nessuna teoria sembra spiegare il successo di tutti i film del genere, fornisce almeno delle motivazioni parziali per diversi sottogeneri e topoi. Secondo il critico Tom Gunning, il cinema può essere organizzato secondo due tendenze: il cinema delle attrazioni e il cinema della narrazione. Il primo è quello proprio del cinema delle origini, il cui pubblico voleva ammirare i prodigi della tecnica e lasciarsi stupire, mentre il secondo si sviluppa in seguito, unendo la tecnica narrativa propria del teatro. La maggior parte del cinema non appartiene soltanto a uno o all’altro, ma si situa più o meno
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vicino a uno dei poli. L’horror si avvicina certamente al cinema delle attrazioni, stupendo, terrorizzando e anche divertendo lo spettatore e con un andamento spesso episodico, in cui non raramente la trama è solo un pretesto e è disseminata di incoerenze. Questo è un aspetto molto pronunciato anche nei film d’azione, e più ampiamente in nel cinema “di genere”. Tale attrazione è da considerarsi al momento della pubblicizzazione del film stesso, promettendo e anticipando le emozioni, e le sorprese allo spettatore, attraverso immagini di forte impatto emotivo, abbinamenti sorprendenti, attraverso la perpetuazione di un marchio nel caso di serie più o meno longeve, ma comunque facendo attenzione a rendere il prodotto pubblicizzato identificabile nel suo genere e sottogenere. Lo psicologo Glenn D. Walters fornisce una definizione abbastanza ampia, ma precisa del genere, attraverso tre caratteristiche: costruita tramite mistero e suspence, disgusto, paura.
tensione
il film deve rivolgersi a delle paure condivise dallo spettatore. Possono essere paure universali, ad esempio la morte, o paure appartenenti certi contesti sociali o culturali e sottogruppi, o paure più intime allo spettatore come singolo. È fondamentale per il film rivolgersi a una paura condivisa dal pubblico.
rilevanza
la maggior parte delle persone si trova a disagio davanti a scene, anche in documentari o notiziari, di intensa violenza, eppure molte delle stesse possono vedere e vedono volentieri film del sottogenere gore, perché hanno la consapevolezza della finzione: il linguaggio del cinema, con la colonna sonora e l’uso del montaggio ad esempio, è diverso da quello di un video documentario (anche nel caso dei film che imitano di più la non finzione- Cannibal Holocaust in primis, poi The Blair witch project e Paranormal Activity, è il contesto del cinema a rassicurarci).
finzione
Non c’è un solo motivo per cui una persona gradisce il cinema horror, anzi sono state avanzate diverse teorie sull’argomento applicabili a seconda dell’intento del film e dello spettatore. C’è chi si aspetta di allentare
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la tensione con una storia ricca di colpi di scena ma, tutto sommato, a lieto fine per il protagonista, e chi si aspetta che i personaggi con la coscienza non immacolata vengano sacrificati (lo slasher è solitamente un sottogenere moralistico, che punisce duramente comportamenti libertini e incoscienti). Tuttavia la giustizia non trionfa spesso in questo genere di film, quindi si può ipotizzare che in questi casi qualcuno cerchi una scarica di emozioni che funga da catarsi, oppure il soddisfacimento di una curiosità verso storie e personaggi inusuali e situazioni più o meno scabrose. Guardando un film horror, c’è chi si immedesima con l’assassino, chi empatizza con la vittima, e chi si identifica con i mostri. I mostri assumono connotati diversi, possono essere bestiali antagonisti, ma anche creature ai margini della società. Molti film danno voce alle paure e alle ansie sociali, ad esempio le gigantesche creature, come Godzilla ad esempio, che hanno distrutto città nel periodo dell’ansia nucleare, mentre gli zombi sono oggi rappresentano la paura delle epidemie globali (28 days later), ma anche un pretesto per riflettere sul nostro posto nel mondo (Les Revenants), mentre nei film di George A. Romero sono una critica al consumismo di massa (Dawn of the dead). Una cosa che questi film hanno in comune, è la capacità di darci un’esperienza controllata del pericolo e di confrontarci con le nostre paure portandole al parossismo.
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la tensione con una storia ricca di colpi di scena ma, tutto sommato, a lieto fine per il protagonista, e chi si aspetta che i personaggi con la coscienza non immacolata vengano sacrificati (lo slasher è solitamente un sottogenere moralistico, che punisce duramente comportamenti libertini e incoscienti). Tuttavia la giustizia non trionfa spesso in questo genere di film, quindi si può ipotizzare che in questi casi qualcuno cerchi una scarica di emozioni che funga da catarsi, oppure il soddisfacimento di una curiosità verso storie e personaggi inusuali e situazioni più o meno scabrose. Guardando un film horror, c’è chi si immedesima con l’assassino, chi empatizza con la vittima, e chi si identifica con i mostri. I mostri assumono connotati diversi, possono essere bestiali antagonisti, ma anche creature ai margini della società. Molti film danno voce alle paure e alle ansie sociali, ad esempio le gigantesche creature, come Godzilla ad esempio, che hanno distrutto città nel periodo dell’ansia nucleare, mentre gli zombi sono oggi rappresentano la paura delle epidemie globali (28 days later), ma anche un pretesto per riflettere sul nostro posto nel mondo (Les Revenants), mentre nei film di George A. Romero sono una critica al consumismo di massa (Dawn of the dead). Una cosa che questi film hanno in comune, è la capacità di darci un’esperienza controllata del pericolo e di confrontarci con le nostre paure portandole al parossismo.
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“Manifesto” in queste pagine viene usato come un termine ombrello che raccoglie sotto di sé una moltitudine di forme di comunicazione destinate alla stampa e all’affissione in spazi comuni. Sono diverse per formati, obiettivi e codici e andremo a definire le caratteristiche comuni e quelle particolari qui di seguito.
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Le tecniche di stampa sono determinanti per l’aspetto finale dei manifesti. Come già visto in precedenza, le dimensioni, i colori, l’aspetto compositivo e il tipo di grafica sono determinati dall’evoluzione delle tecniche di stampa. Il manifesto viene progettato tenendo conto della tecnica di riproduzione che verrà usata. Una delle prime tecniche in uso, tra il XIX e l’inizio del XX secolo, è la litografia, una tecnica incisoria che si basa su disegno con una matita grassa su di una pietra calcare, con grande fedeltà nella riproduzione del tratto dell’artista. A partire dal 1910, la fotocomposizione prende gradualmente il posto della litografia, attraverso un sistema di sovrapposizione e retinature che agevolano il processo di composizione, permettendo accostamenti e sovraimpressioni prima impensabili. Oggi il computer permette una grande libertà nel processo di composizione, permettendo anche l’uso combinato tra tecniche analogiche e digitali. La stampa può essere eseguita con la stampa digitare (toner) o a offset. La stampa serigrafica viene impiegata principalmente per tirature limitate ad alta qualità destinate al collezionismo.
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La seconda caratteristica in comune è l’abbinamento di immagini e parole, distintiva al punto che un dipinto contenente delle parti scritte “fa manifesto”. Le due parti hanno funzioni differenti, che si possono intersecare. L’immagine attira la nostra attenzione e ci fornisce informazioni sul tipo di prodotto pubblicizzato. Il testo invece ci fornisce le informazioni pratiche, come il nome dello stesso. Nello specifico, per il cinema, le immagini ci dicono che tipo di film è pubblicizzato, quale è l’atmosfera predominante e chi sono gli protagonisti, mentre il testo conferma tale informazioni e dice, inoltre, il titolo del film e a partire da quando questo sarà disponibile nelle sale. Tale dicotomia non è comunque così definita ed esclusiva: i manifesti tipografici non ignorano certo l’aspetto estetico, e potranno darci informazioni non verbali sul genere di film attraverso la composizione, la font usata e il colore.
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Infine, la terza caratteristica comune è la funzione persuasoria, propagandistica e informativa: il manifesto prima di tutto è uno dei linguaggi della pubblicità.
La strategia estetico-informativa adottata dall’autore del manifesto, per dirla con il linguista Roman Jakobson, esalta il connubio tra funzioni poetiche e conativa del linguaggio, ma in un certo senso sposta sul destinatario la funzione emotiva. Vediamo perché. Innanzitutto diciamo che la funzione poetica, nel senso di Jakobson, è quella capacità del messaggio di esaltare se stesso grazie all’elaborazione inusuale della sua forma, come avviene in ogni opera d’arte e come fa il manifesto, dato che non gli interessa solo comunicare, a anche comunicare esteticamente. La funzione conativa esalta la risposta del destinatario, ovvero mira a suscitare una reazione cognitiva, affettiva, comportamentale, come nel caso di ogni messaggio persuasorio, pubblicitario e più in generale propagandistico. Per il manifesto è fondamentale generare un feedback, fare in modo che il destinatario reagisca secondo l’obiettivo di senso che il manifesto si prefigge.(...) 21
Le dimensioni più comuni sono 70x100 cm (noto come un foglio o one sheet), multipli e sottomultipli, ma possono differire a seconda dell’uso e della nazione. Lo stesso può avere un orientamento orizzonatale o verticale. Uno degli elementi che identificano immediatamente il manifesto cinematografico in quanto tale è il billing block, ovvero lista di nomi del cast tecnico e artistico, solitamente ì in fondo sotto al titolo. Rigide consuetudini impongono che l’altezza delle lettere sia di una dimensione tra il 15 e il 30% di quella del titolo, causando la tipica forma alta e stretta del blocco.
Il teaser poster viene usato creare curiosità intorno al film, solitamente in anticipo rispetto all'uscita. Di impostazione minimale, ha soltanto un logo, uno slogan o il titolo, o il volto di uno dei personaggi. I character poster, molto comuni per saghe fantasy, cinema d’animazione e generalmente dirette a un pubblico più giovane, sono quei manifesti che riportano ognuno il ritratto di un personaggio.
cartonati
lobby cards fotobuste motion poster
Sono dei manifesti di grandi dimensioni in cartone autoportante; possono avere degli elementi tridimensionali con la separazione del soggetto dallo sfondo, ad esempio. Soliti in cinema e negozi.
Le lobby cards sono set di carte con ritratti singoli dei protagonisti; mentre le fotobuste sono dei manifesti di dimensioni ridotte che portano dei fotogrammi con le scene salienti del film. Entrambe le tipologie sono solitamente destinate ai cinema.
i motion (movie) poster o Moster, secondo la denominazione registrata da Geeknation, ricalcando la forma e le proporzioni dei tipici manifesti 70x100, e a volte animando proprio quello, contengono brevi video o animazioni (dai venti ai sessanta secondi) corredate spesso da audio.
I manifesti sono solitamente destinati a una vita breve, qualche giorno, settimana o mese e vengono sostituiti in fretta; quelli per esterni sono stampati su una carta colorata sul retro per non lasciar trasparire gli annunci sottostanti. Molti manifesti dei decenni passati sono andati del tutto persi appunto per la loro natura effimera, e soltanto in alcuni sono recuperati da appassionati. In questi casi, i manifesti e soprattutto i poster destinati appunto solo al collezionismo, assumono un ruolo diverso, e non sono più un invito a vedere il film a cui si riferiscono, ma a ricordarlo, a esserne un cimelio, o anche un’opera indipendente ad esso ispirati.
Il manifesto è il luogo dell’attesa e della memoria del film. Il manifesto stabilisce un duplice rapporto con il film di riferimento: da una parte seleziona, interpreta, spettacolarizza ed enfatizza lo stile, il racconto e i contenuti di senso del film diventandone soglia metonimica in grado di creare attese e aspettative. Dall’altra esso è oggetto di ricordo e della memoria del film, sollecitando il collezionismo.
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La comunicazione nel cinema di genere
L’
elemento
della paura e soprannaturale è marginalmente presente anche in manifesti di film di generi confinanti, e , per creare immagini forti che colpiscono il potenziale spettatore in maniera istantanea, ma facendo attenzione a non confonderlo. Composizioni surreali e a un poco inquietanti in questi casi, si trovano soprattutto per film indipendenti o “d’autore”, a volte rifacendosi molto a un certo gusto tipico dei manifesti dell’Europa orientale. Ma questo può comportare alcuni rischi. Ritrovarsi al cinema a guardare un film drammatico con l’aspettativa di vedere una commedia fa sicuramente un effetto sconcertante, e può influenzare molto negativamente la ricezione del film: è fondamentale che il prodotto sia riconoscibile. Il primo elemento di riconoscimento che salta all’occhio, è la gamma cromatica: sulla base del nostro bagaglio visivo, potremo riconoscere anche a distanza il manifesto che pubblicizza una commedia dozzinale(sfondo bianco, colori accesi, titolo in rosso), da quello di un film di azione(solitamente caratterizzato da forti contrasti, meno colori, o l’uso esagerato del cosiddetto “teal and orange”, cioè la combinazione dei colori primari blu e arancione). Per il genere horror anche vediamo abbinamenti abbastanza precisi, spesso ripresi dalle stesse tinte dominanti nel film. In maniera abbastanza logica, i colori più comuni sono solitamente i non-colori, il rosso, e colori cupi dalla tonalità piuttosto fredda. I colori tuttavia non hanno un significato preciso e fisso, se non quello che gli danno le analogie e i nostri ricordi, e anche in questo campo vanno e vengono con il corso della moda. Nel passato vediamo infatti molti colori accesi, sopratutto per colorare i mostri, bianco e nero e rosso fiamma. Oggi possiamo prevedere con abbastanza sicurezza che un manifesto con una mano malconcia sarà per un film splatter se è sulle tonalità del rosso e della seppia, e di fantasmi se colorato nelle tonalità dell’azzurro e del verde. Questa non è una regola, è soltanto un elemento comune, che potrebbe cambiare in seguito.
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L’altro elemento di riconoscimento, ben più affidabile, la variegata iconografia a cui attinge l’immaginario horror: Oggi l’horror è uno dei generi in cui i manifesti riportano meno comunemente dei meri ritratti degli attori e, anche se le composizioni in cui un volto è dominante sono comunque molto comuni, ci sono delle sostanziali differenze. Non è sorprendente, in quanto la figura umana, e il volto in particolare, sono i primi elementi che i nostri occhi riconoscono e su cui si fermano per un tempo maggiore, per cui viene utilizzata enormemente per pubblicizzare ogni tipo di prodotto. Nel genere horror il volto nei manifesti non serve a stabilire un contatto attraverso il riconoscimento dell’attore, ma viene sfigurato, e mischiato con altri elementi oppure nascosto da una maschera, in composizioni inquietanti che prendono ispirazione dalla tradizione surrealista. Quando vediamo il cast schierato nel manifesto, sappiamo di trovarci quasi sicuramente davanti a un Teen Horror, come potremo intuire in seconda istanza anche dalla scelta del cast, composta da un gruppo di giovani attori impreziosito da qualche nome famoso. Si può citare come eccezione il remake di House of Wax del 2005, per cui si è optato a sorpresa per un suggestivo volto di cera in fase di scioglimento, a discapito dei grandi nomi delle stelle della televisione per adolescenti che avrebbe potuto sfruttare. Ma non è stato del tutto estraneo a questo meccanismo: alla presentazione del film in un locale, sulle vetrine era scritto “SEE PARIS DIE on may 6th” in riferimento allora celeberrima e odiata ereditiera e appunto attrice nel film, Paris Hilton. In continuità con il predominio del volto nei manifesti dei film horror, un altro degli elementi più ricorrenti sono teschi, che sono sempre qualcos’altro: un volto che si trasforma in uno scheletro, in un moderno memento mori, oppure la forma del teschio è composta da un insieme di corpi (riprendendo un dettaglio del manifesto del Silenzio degli innocenti, che si ispira a sua volta a un famoso ritratto di Dalì), o di videocassette o, ancora, da funghi...
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Il recente ritorno in auge del genere splatter o con importanti scene di torture ha portato a un fiorire di controversi manifesti con corpi smembrati e aperti, e inquietanti loschi figuri armati di coltelli, puntando sull’effetto shock, che hanno subito una censura inevitabile, come nel caso di Hostel, anche se a volte passano la censura dopo aver fatto modifiche minime: il secondo capitolo di Saw è stato pubblicizzato con manifesto in cui due dita amputate completano il titolo del film. In alcune nazioni è stata imposta una versione in cui l’inquadratura non permette di vedere che le due malconce dita sono separate dal corpo.
L’occhio è lo specchio dell’anima. L’occhio è lo strumento da cui dipendiamo di più in questa epoca di comunicazione visuale, ma allo stesso tempo è un organo molle e delicatissimo. Nei volti sui manifesti viene accentuato e illuminato tatticamente per stabilire un contatto, ma da una decina di anni è una delle icone della comunicazione nell’horror. Vedendo il suo progenitore nella locandina del film del 1992 Candyman, l’esplosione vera e propria dell’occhio come protagonista è avvenuta nel 2004 con il manifesto di The Grudge, poi ampiamente replicato (e parodiato). L’occhio viene usato come contenitore per gli indizi sulla trama, con angoscianti accostamenti. L’occhio, evocato anche dalle orbite vuote di un teschio, ci ricorda uno degli elementi centrali del genere: l’orrore di cosa si vede e cosa non si può vedere, e rappresenta un’identità tra lo spettatore e il protagonista-vittima.
La paura è lo schermo bianco e il nero vuoto della camera in attesa di essere riempiti. La paura è, più ancora dell’occhio tagliato, l’orbita vuota dell’occhio o (...) l’occhio costretto a ingoiare immagini incontrollabili, l’occhio costretto all’incubo di una situazione “da orecchio”: aperto a forza come, in grado diverso sia in 2001 che in Arancia Meccanica di Kubrick. Timore allora di essere costretti a vedere e di restare accecati(le varie metafore dell’occhio che uccide e dello specchio).
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La casa è un elemento classico della narrazione horror. Le storie horror che iniziano con un trasferimento, con l’arrivo in un rifugio in un bosco e la relativa scoperta di un terribile segreto, sono innumerevoli. D’altronde quello della casa come trappola è un topos già presente in diverse fiabe, come in Hansel e Gretel e Barbablù, rappresentando delle paure ancestrali nell’uomo: quello del rifugio che si rivela insicuro, o quello di esporsi a dei pericoli per pura curiosità. Sono diversi gli horror che hanno le stesse tematiche, con giovani in cerca di un fine settimana rilassato in un cottage colpiti da una maledizione, famigliole appena trasferitesi in case infestate da spettri, feste minacciate da un’armata di zombie.
Anche soltanto lo stesso titolo, neutro e privo di connotazioni negative, ormai assume un aspetto minaccioso, come per La Casa (originalmente Evil Dead), o Cabin in the woods. Potrebbe bastare anche soltanto l’immagine di una casa a scatenare dubbi: è abitata? Cosa vi si nasconde? Altre volte per sineddoche, si vede soltanto una finestra, una porta, a cui bussa un’ospite inatteso (a chi appartiene quella mano?) L’immagine della casa maledetta non è molto dissimile da una banale foto di un classico villino suburbano. Anche se integro e in buone condizioni, alcuni elementi lo rendono inquietante: i colori freddi del cielo all’imbrunire, le finestre da cui si vede una luce accesa, con magari la
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silhouette del malcapitato protagonista (o delle tracce lasciate da personaggi invisibili). Un’altra caratteristica, meno evidente, ma decisiva per la comunicazione, è di natura prospettica:la casa, anche se situata in una zona pianeggiante, nel manifesto si troverà su di una salita ripida, o comunque ritratta dal basso in alto, come se ci stesse cadendo addosso. La luce (magari di un fulmine) può dare contrasti molto accesi, oppure può essere una luce morbida che illumina anomalmente la casa dal basso in alto, e il cielo chiaro rende le ombre nere della casa quasi surreali. Parlando di atmosfere surreali, il quadro di René Magritte L’empire des lumières mostra il bagliore soprannaturale di un lampione in un paesaggio cittadino, e quello stesso bagliore è ripreso nello storico manifesto dell’illustratore Bill Gold per The Exorcist, che comunica inquietudine senza ricorrere a immagini esplicite riportando una scena che prelude i fatti più scioccanti del film. Andando a vedere le versioni respinte del manifesto, troviamo altre immagini quotidiane e rassicuranti, che risultano in estremo contrasto con il contenuto del film, evocato quasi solamente dalla tagline (per il primo, che mostra una porta aperta su una stanza “in that room... in that bed...”, mentre il secondo è molto più esplicito per controbilanciare il rassicurante ritratto della protagonista sorridente,e ci invita a salvare Regan).
Il mostro è progressivamente sparito dai manifesti. Negli anni ‘50, il mostro veniva mostrato e ostentato, essendo la più grande attrazione del film. All’epoca le gigantesche creature che minacciavano le città venivano dipinte e anzi, le loro dimensioni e minacciosità veniva esagerata, a volte finendo per deludere anche un po’ le aspettative. Oggi gli spettatori smaliziati sono più attratti dalla prospettiva di scoprire il mostro durante il film, sopratutto quando esso, ormai visto nella sua integrità appare un po’ troppo bizzarro per fare realmente paura, oppure soffre dell’invecchiamento precoce della tecnologia. Oggi quindi ci si limita ad evocarlo tramite texture, frammenti, segnali del suo passaggio distruttivo, e più comunemente con la silhouette, e anche nel film tende a essere più sfuggente. Mostri più antropomorfi, come zombie e vampiri, invece vengono ancora mostrati con meno indugi.
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Nel corso degli ultimi decenni, il mondo dei manifesti sta vivendo un’evoluzione digitale, che ha reso reperibili informazioni sugli artisti passati e più veloce il commercio dei pezzi da collezionismo. C’è una grandissimo numero di compagnie o artisti freelance dediti a tutti gli aspetti grafici dei film, e i mezzi su cui pubblicizzare i nuovi film si sono anch’essi moltiplicati. Non solo carta, ma anche schermi di diverse dimensioni. Ecco due compagnie che lavorano in maniera e con obiettivi diversi sul manifesto.
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in alto: The Man with the X-ray Eyes di Rob Jones; pagina a fronte: The Fly di We Buy Your Kids,
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Mondo
who make stuff for fans
“
“We’re fans
Da un decennio la compagnia Mondo cresce nel campo del collezionismo e del design legato al cinema, ottenendo molto successo soprattutto grazie ad internet. Come il nome suggerisce, Mondo Tees è nato come negozio di magliette decorate con loghi e grafiche ispirate a film classici e cult, come costola del cinema alternativo Alamo Drafthouse di Austin. Nel 2004, in occasione di una serata dedicata al cinema e alla musica, venne chiamato un illustratore, Rob Jones, per progettare degli poster appositi ispirati a classici del cinema, stampati poi in serigrafia con colori accesissimi. A partire da quel momento, manifesti vennero commissionati a diversi artisti, in occasione soprattutto dei Rolling Roadshow, ovvero proiezioni di film nei luoghi di ambientazione dei film stessi. Il business dei manifesti allora è cresciuto, mettendo in secondo piano la vendita delle magliette, ma i fondatori di Mondo hanno sempre messo al primo posto la qualità nella creazione di nuovi poster, stampati rigorosamente in serigrafia in tirature limitate, e venduti online a prezzo abbastanza contenuto (mai più di 150$). Inoltre, intorno ai poster si è sviluppato il commercio di altri gadget, come action figures, abbiglia-
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in senso orario in questa pagina: Das Cabinet des Dr. Caligari di Kevin Tong, Friday the 13th di Gary Pullin, Ms.45 di Shawn Knight e The Thing di Jock
mento, vinili, cassette VHS, e addirittura tappeti (ad esempio con la celebre moquette dei corridoi di the Shining), senza smettere di organizzare proiezioni a sorpresa e mostre in cui si mischiano manifesti ufficiali e quelli che potrebbero essere definiti fan art. Il design è frutto del lavoro di artisti diversissimi tra loro per tecniche e stile: si va dai ritratti iperrealisti al minimalismo. I protagonisti dei manifesti, cioè i film, appartengono anch’essi a generi ed epoche differenti, anche se c’è una evidente predominanza di film cult, horror, e di fantascienza. Ultimamente molti manifesti sono dedicati anche ai supereroi, anche con la collaborazione diretta delle grandi case di produzione, che hanno visto nella collaborazione con Mondo la possibilità di avere un design più fresco per i manifesti dei nuovi film in uscita, anche se distribuito solo a un gruppo molto ristretto di persone, ma la cui risonanza sul mezzo digitale va oltre i canali digitali degli appassionati del genere e di design.
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in alto da sinistra a destra: Cannibal Holocaust di Jock, Creepshow di Gary Pullin
Ignition Creative
Negli ultimi anni, la grande agenzia Ignition Creative ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti per le campagne portate avanti per film come Prometheus e la serie The Hunger Games. Una delle caratteristiche comuni di queste campagne, e di molti dei lavori svolti per altri titoli dall’agenzia, è l’uso estensivo del web per l’azione di guerrilla marketing, con la creazione di siti che portassero nella realtà alcune parti del film, estendendo la narrazione all’infuori del cinema. Ignition è una delle compagnie che sta sviluppando una trasposizione animata e digitale dei manifesti, che diventerà sempre più importante nella pubblicizzazione dei film. I motion poster sono una conversione digitale del tipico un foglio, solitamente sotto forma di video con l’aggiunta non indispensabile dell’audio, o in formato GIF. Sono fatti per la fruizione dagli schermi dei computer, dai cartelloni digitali, ma anche dai cellulari, attraverso l’uso di collegamenti con QR code.
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Il motion poster può svilupparsi in diverse maniere e lassi di tempo, contenendo intere scene del film, trasformandosi in una via di mezzo tra il trailer e il manifesto, oppure limitandosi ad essere un quadro vivente attraverso movimenti minimi.In alcuni casi, il processo parte da un manifesto già esistente animato in seconda istanza (quello per Mama, che include anche scene del film), anche se i risultati migliori si ottengono quando il design del manifesto viene progettato ad hoc per il movimento, come nel caso dei manifesti in movimento del sesto e dell’ultimo capitolo della saga di Saw. Come già in passato nella comunicazione della saga, che ha visto un linguaggio inizialmente più schietto e diretto, poi sempre più metaforico, si usano giustapposizioni surreali, prendendo ancora una volta ispirazione dal surrealismo e dai manifesti dei decenni passati.
Si può dire che i motion poster di Ignition Creative (ma anche quelli di altre compagnie), per quanto progettati appositamente per le terminali video utilizzino il movimento non come mezzo per la narrazione, ma più come un mezzo aggiuntivo per catturare l’attenzione dello spettatore. Solitamente la composizione è molto essenziale negli elementi, probabilmente anche per mantenere una buona visibilità anche su schermi molto piccoli. Quindi vediamo loghi, persone, testi con effetti di luce, isolati su uno sfondo molto spoglio.
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Uno degli esempi più affascinanti è probabilmente il motion poster per The Possession (2012), che, al contrario di molti altri non è stato riproposto in una versione statica, né e ispirato ad essa, proprio perché troppo legato al movimento. Vediamo qui la protagonista, vestita con la classica veste bianca, correre, camminare, trasformarsi in uno spazio indefinito. L’uso dello split screen per mostrare il suo corpo e il suo volto in diverse fasi ricorda di più il linguaggio dei video musicali e della video arte, rispetto a quello di un film.
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Drew Struzan
è un illustratore famoso per aver creato oltre 150 manifesti, diversi dei quali usati internazionalmente per film e serie come Star Wars, Indiana Jones and Back to the Future. Nato nel 1947, è stato prevalentemente attivo a partire dagli anni ‘70, nello studio Pacific Eye ad Ear, lavorando su copertine e poster per la musica, e poi in uno studio indipendente, lavorando in un primo momento a manifesti per B movie come Empire of the Ants, e diventando un artista di riferimento per i manifesti per film di fantascienza più o meno noti.
Nel 1977 Charles White III chiama Struzan in aiuto per ritrarre i personaggi in un manifesto commissionatogli per il film Star Wars. I due si dividono il lavoro, e in seguito Struzan realizza diversi manifesti per tutta la saga, che gli apre le porte per molti altri lavori. Lavora prevalentemente su grandi formati con acrilico e matite su tavola, ed è riconoscibile dalla sua incredibile tecnica fotorealistica, ricca di dettagli e la sua abilità nella ritrattistica, nonostante molti dei suoi lavori siano stati creati in tempi molto ristretti e solo molto raramente con l’aiuto di foto in studio del cast; celebre è il caso di The Thing per John Carpenter, fatto in una notte, senza immagini e fotografie di riferimento e addirittura senza sapere molto sulla storia del film
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stesso. Forse proprio per questo, il manifesto è uno dei più riusciti, nella sua misteriosità. Nonostante nel corso degli ultimi due decenni abbia visto le commissioni progressivamente diminuire, a causa dell’evoluzione del gusto(il suo stile, diremmo oggi, “fa molto anni ‘70/’80”) e della diffusione del digitale nel campo dei manifesti, ha illustrato i manifesti di titoli molto noti, come il primo capitolo di Harry Potter, ed è tornato sotto i riflettori anche grazie a un documentario sulla sua vita e la sua opera. Ma i fan del cinema di genere non l’hanno mai dimenticato: il film The Mist (2007), vede protagonista un illustratore intento a lavorare a dei manifesti. In una delle scene iniziali del film possiamo riconoscere nello studio diversi manifesti storici di Struzan, come The Thing, e lo stesso artista ha insegnato all’attore Thomas Jane a dipingere in maniera credibile sullo schermo, oltre ad aver creato il manifesto per il film, ovviamente; inoltre ha collaborato diverse volte con Mondo Tees, e fatto un poster a tiratura limitata per la serie tv The Walkig Dead.
The posters I really loved “myself were the B-movie posters that were printed cheaply with badly registered colours and crap paper stock that was only designed to be used for a few days outside a cinema. They’re fantastic posters.
“
Graham Humphreys
è un illustratore e grafico britannico, concentratosi prevalentemente nel campo del cinema ma con diverse incursioni nella musica. Ha al suo attivo diversi iconici manifesti degli anni ‘80, ma anche copertine di VHS. Il suo interesse maggiore quindi è il cinema, soprattutto l’horror; infatti ha lavorato anche come storyboard artist, collaborando con il regista Richard Stanley nel corso degli anni ‘90, mentre più recentemente ha lavorato con Tartan Films, una famosa compagnia distributrice per l’home video di cinema horror, estremo e alternativo, continuando a lavorare all’interno dello studio The Creative Partnership come grafico.
Le sue illustrazioni sono realistiche, ma influenzate dalla caricatura, colorate, ironiche e sfacciate, con una forte influenza della grafica punk, nascente durante gli anni dei suoi studi artistici. Il debutto nel cinema è avvenuto all’inizio degli anni ‘80, quando Humphreys ha contattato la compagnia Palace Video, che all’epoca aveva appena acquisito i
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diritti per la distribuzione di Evil Dead. Il manifesto di presenta alcune delle caratteristiche tipiche del design di Humphrey, ovvero un realismo con spiccate tendenze alla caricatura, il gusto vintage che riprende il design anni ‘50, i colori accesissimi (“colori usati per rimanere buoni anche se la stampa fosse stata pessima”) e un certo disprezzo per l’eccessiva patinatura, influenza dell’estetica punk nascente appunto nella seconda metà degli anni ‘70. Altri titoli importanti tra quelli su cui Humphreys ha lavorato sono i film della saga di Nightmare, in cui ha interpretato la figura di Freddy Krueger in maniera più raffinata all’inizio, affiancandone la sagoma a un bellissimo ritratto dell’eroina del film e dando particolare risalto al guanto caratteristico, e con un’interpretazione spiccatamente ironica in seguito, abbinando la figura del famoso demone a battute demenziali, e al design di cartoline trash.
(enrico ghezzi, Cinema: paura e desiderio, Segnocinema, 3, 1982, dalla raccolta Paura e desiderio)
...per non parlare della paura di essere visti e di quella (ancor piÚ forte e decisiva, indicativa di tutto l’apparato cinema) di non essere visti, da parte dei produttori-distributori-autori del film, da parte dei film stessi.
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conclusione
Con una carrellata di nomi più meno noti del panorama del design legato al cinema, arriviamo a concludere questa ricerca. Nel corso degli ultimi decenni, come abbiamo visto, il mondo dei manifesti del cinema ha vissuto una crisi, ma anche un’importante evoluzione legata al prepotente arrivo dei mezzi digitali. Da una parte, soprattutto nel corso degli anni ‘90, la comodità della grafica digitale ha portato alla creazione dei manifesti con le grandi teste degli attori, e in alcuni generi cinematografici, ancora si stenta a trovare un linguaggio maturo. Tuttavia, il genere horror, come il resto del cinema di genere, ha trovato nella rivoluzione digitale la possibilità di attingere a un’estesa tradizione figurativa e iconografica, con la possibilità di potersi confrontare con la comunicazione di cinema di diverso livello e provenienza geografica. Basti pensare al forte ritorno dello stile iperrealista degli anni ‘80, anche se con uno stile volutamente e ironicamente naive, oppure a come si continua a citare in maniera più o meno esplicita la grandiosa opera degli artisti polacchi, o di nomi importanti come Hans Hillman e Saul Bass, riprendendone le giustapposizioni, così adatte a dare un’idea della storia in uno sguardo. Inoltre si stanno sviluppando nuove maniere di comunicare, attraverso il guerrilla marketing e i motion poster, che offrono nuovi mezzi per attirare l’attenzione in un ambiente già colmo di stimoli visivi. Il digitale semplifica l’aggregazione di comunità quasi indipendentemente dalla posizione geografica, con la possibilità per la pubblicità di raggiungere in maniera molto diretta il proprio obiettivo, e di avere a disposizione nuovi strumenti per comunicare. Più che mai, il mercato del cinema horror sembra economicamente florido, anche se affetto da un’incessante susseguirsi di prequel, sequel, remake, ma le possibilità per i film indipendenti o provenienti all’infuori degli Stati Uniti americani non sono mai state tante, aiutate dalle comunità di cinefili, e puntando magari su dei poster che catturino l’occhio.
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breve dizionario
Exploitation
genere cinematografico che porta in scena elementi forti, con l’esibizione esplicita di scene di sesso e di violenza e trattando argomenti tabù. Film del genere sono esistiti fin dagli albori del cinema, e sono divenuti molto popolari negli anni settanta e ottanta. La parola inglese “exploitation” rimanda allo sfruttamento di un filone cinematografico o di un avvenimento di cronacara. I “film d’exploitation” sono quelli il cui successo non è dovuto alla qualità del contenuto, ma piuttosto alla pubblicità (per esempio, uno strumento di marketing molto usato da molti film di exploitation è quello di avvertire il pubblico del divieto in cui il film è incorso in una certa regione). Ephraim Katz, autore di The Film Encyclopedia, ha definito i film d’exploitation come: Film fatti con poca o addirittura nessuna attenzione alla qualità o al pregio artistico, ma con un interesse che mira al guadagno veloce, di solito attraverso tecniche di pubblicità che enfatizzino qualche aspetto sensazionale del prodotto.
Final Girl
è l’espressione, coniata da Carol J. Clover nel libro Men, Women and Chain Saw, con cui viene definita la ragazza che, nei film horror e slasher, riesce a sopravvivere fino alla fine. Nella maggior parte dei casi si confronta con il cattivo, a volte cadendone vittima come gli altri protagonisti, altre volte riuscendo a sconfiggerlo e a fuggire.
Gore
(o anche splatter) è un sotto-genere cinematografico del cinema horror caratterizzato dall’attenzione su sangue, interiora e lacerazioni, in maniera più o meno realistica ed esagerata. Nato essenzialmente nell’ambito dell’exploitation, come fenomeno per attirare il pubblico curioso, nelle mani di alcuni talentuosi registi il cinema splatter si è trasformato in una forma artistica peculiare. Il termine “cinema splatter” è stato coniato per la prima volta dal regista statunitense George Romero, per descrivere il suo film Zombi, diretto nel 1978.
Slasher
si riferisce a quel gruppo di film horror in cui il protagonista indiscusso è un omicida che dà la caccia a un gruppo di persone, spesso giovani, utilizzando in genere armi da taglio per ucciderli in modo cruento.
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bibliografia
libri Folda-Januszewska, D. , Ah! Film posters in Poland, Bosz, 2009 Salavetz, J., Drate, S., Sarowitz, S, Kehr, D. , Art of the modern movie poster, Chronicle Books, 2008 Falcinelli, R,, Critica Portatile al Visual Design, , Einaudi, 2014 Celata, G. , Cinema, industria e marketing, Guerini, 2003 Gunning , T., The cinema of Attraction: Early film, Its spectator and the Avant-Garde, Wide Angle, Vol. 8, nos. 3 & 4 Fall, 1986 Ghezzi, e., Paura e Desiderio - cose (mai) viste. 1974-2001, Bompiani, 2000 Catelli, D., Ciak si trema, guida al cinema horror, Costa & Nolan, 2007 Choi, J., Wada-Marciano, M, Horror to the Extreme, Changing Boundaries in Asian Cinema, Hong Kong University Press, 2009 Brunelli, P., Ferraresi, M., Elogio del manifesto. Arte, societĂ e vita sui muri del XX secolo, Allemandi, 2004 Della Torre, R., Invito al cinema. Le origini del manifesto cinematografico italiano (1895-1930)
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Ringraziamenti ai miei genitori e a mia sorella per avermi sostenuto nelle mie scelte. Alle mie famiglie che spero di rivedere presto, quella naturale in Messico, quella acquisita sparsa per il mondo, a Sofia, Elisa, Alexander, a Johan, Renato e le stagiste