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Il volontariato ai tempi del Covid-19

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La casetta

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LE INIZIATIVE DI VALLE

Laura Rigo Vicepresidente

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L’emergenza Covid-19 ha colto alla sprovvista l’Italia e l’organizzazione sanitaria, cambiando radicalmente il nostro modo di portare aiuto a qualcuno, di vivere la giornata in turno, di fare formazione per i dipendenti e i volontari. Ora se ne parla così tanto che pensiamo di essere un po’ tutti degli esperti, ma all’inizio era una voragine di ignoto che non avevamo idea di come poter gestire. Mi verrà più facile raccontare un po’ di quello che è, e che è stato, parlando al passato, come se fosse un ricordo ma che sappiamo essere ancora presente. All’inizio i casi erano ancora pochi, ci sembrava una cosa lontana e che mai potesse toc

care anche noi, ma abbiamo visto aumentare i numeri giorno dopo giorno, fino ad arrivare ad avere a che fare durante il turno di lavoro/volontariato, unicamente con persone affette da Covid-19. Ci sembrava impossibile che potesse capitare una cosa del genere, eppure la stavamo affrontando e non c’era il tempo di riflettere e di rielaborare quello che stava succedendo, perché dovevamo dare tutto di noi in quel momento e agire. Così sono iniziati turni estenuanti e senza sosta da “imbardati”, come ormai si usa dire. Essendo fondamentalmente più esposti al rischio di contagio, dovevamo tutelarci il più possibile e quindi indossavamo in un complesso processo di vestizione/svestizione più paia di guanti, camice, cuffietta, occhiali, filtrante facciale. La formazione per essere in grado di fare il tutto è stata per prima cosa fatta online tramite video e corsi FAD, e poi sul campo sotto la supervisione di personale già esperto. Nonostante fosse ancora inverno, i molteplici strati che ci ricoprivano ci facevano morire di caldo, gli occhiali continuavano ad appannarsi e la mascherina non aiutava a farci respirare bene e indossarla turno dopo turno ha iniziato a farci venire lesioni sulle guance e sul naso… quando ci avevano messi in allerta che stavano finendo tutte le scorte di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) quasi indossavamo con nostalgia i nostri indumenti e ci mancava già quell’armatura che ci proteggeva dal portare il virus a casa. Le chiamate per soccorsi “normali”, nella prima fase Covid-19, erano praticamente assenti. Le persone avevano paura di entrare in contatto con i sanitari, i pronto soccorso erano deserti e nessun malore sembrava essere grave rispetto a quello che stava succedendo. Tutti quelli che chiamavano in cerca di aiuto erano affetti da sintomatologia invalidante relativa all’infezione virale in questione o ritenuta tale. Come Orsa Maggiore Vallarsa ODV ci siamo impegnati non soltanto nel soccorso in emergenza, ma avevamo sempre attivo un mezzo dedica

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to esclusivamente al trasporto di utenti Covid positivi verso l’ospedale o tra ospedali. Inoltre, abbiamo dato disponibilità per far utilizzare la nostra sede alle sarte della Valle e ad altri volontari per il confezionamento di mascherine per noi e per la popolazione ed aiutare nella distribuzione di queste. Abbiamo istituito, grazie alla disponibilità del Comune di Vallarsa, una tenda esterna per poter sottoporre le divise e i camici a disinfezione tramite un nuovo apparecchio che abbiamo acquistato: il “signor” Hygienio. La cosa più lunga ad ogni modo, era il dover sanificare il mezzo dopo ogni trasporto. L’intera ambulanza all’interno era ricoperta di nylon e cerotti per poter isolare tutto il materiale, in modo da limitare la contaminazione e facilitare la pulizia. Sembravamo veramente degli astronauti a bordo di una navicella! Era così surreale… persino guidare su quelle strade deserte faceva sembrare tutto come un brutto sogno. Non solo è più difficile svolgere il nostro lavoro, è anche più difficile comunicare tra di noi e con i pazienti. Abbiamo imparato a dire con uno sguardo “ci siamo noi ora, ti aiuteremo” e vedevamo riflesse nei loro occhi emozioni travolgenti: potevamo chiaramente scorgere il terrore di aver contratto una malattia che ancora non si conosceva, la paura di non sapere come

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sarebbe andata e cosa sarebbe successo e il dubbio aleggiava sui loro volti: “tornerò a casa a riabbracciare i miei cari?”. Noi potevamo solo esserci. Avevamo le stesse paure e gli stessi dubbi, ma in quel momento noi eravamo lì con loro e potevamo stringergli la mano. È stata una grandissima gioia dopo il primo periodo di duro lavoro, quando abbiamo iniziato a riportare a casa i primi guariti. Le loro storie di vita, i loro volti sorridenti che dicevano “ce l’ho fatta” e le accoglienze a casa resteranno per sempre nei nostri cuori. Tutto questo non ha cambiato solamente la vita lavorativa ma anche quella familiare. La paura di tornare a casa dopo un turno e stare a contatto con i propri cari e magari infettarli era tanta. La negazione di abbracci, baci, alle volte anche la condivisione del letto, ci hanno messo a dura prova e hanno spezzato qualcosa dentro di noi. Abbiamo dovuto dire di

no all’affetto proprio quando ne avevamo più bisogno, ma sapevamo che era un sacrificio che dovevamo fare per poter condividere serenamente l’intimità di casa in futuro. Sicuramente da questa esperienza abbiamo imparato molto: la nostra capacità di adattamento (la famosa e tanto citata resilienza), il poter contare su persone disposte a mettersi in gioco per aiutare gli altri e l’importanza fondamentale del volontariato, che ha dato un supporto radicale al

sistema di emergenza/urgenza a livello locale e italiano. I ringraziamenti non vanno di certo solo a noi, ma anche a tutti quelli che continuano a fornire il proprio servizio durante il lockdown, a chi ha voluto dare una mano con quello che poteva fare, alle donazioni di chi ci ha permesso di comprare Hygienio e soprattutto a tutti i familiari dei malati da Sars-Cov-2, per la loro forza e il supporto che hanno dato. Ai dipendenti e volontari che ci sono stati, grazie di cuore.

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