Un approccio multidisciplinare alla fotografia

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Stefano Ferrando Un approccio multidisciplinare alla fotografia

Dal quinquennio 1979-1984 che Roberta Valtorta1 identifica come fondamentale per il rinnovamento della fotografia di paesaggio italiana sono passate tre decadi e l'eredità di quelle vicende è stata esaltata dalla 23ma edizione del SI Fest, festival di fotografia che si svolge a Savignano sul Rubicone (FC). Intitolandola "Laboratorio Italia" i curatori Sordi e Rossl hanno voluto raccogliere le numerose esperienze che da nord a sud dello stivale si impegnano a "indagare il territorio, porre interrogativi sul paesaggio, investigare la società del nostro presente" con delle modalità operative che "pur evidenziando le qualità del singolo, mirano a superare la sfera dell'individualità [...] a favore di una rivoluzione collettiva che potrebbe aiutare a sensibilizzare molti ambiti culturali presenti nel nostro paese"2. E' nel solco di questa tradizione e di queste nuove tendenze che porto avanti la professione di fotografo, impegnandomi in progetti di ampio respiro che in qualche modo permettono di ricercare e mettere in campo il senso etico del far fotografia. I primi anni del

XXI

secolo hanno

sancito il passaggio definitivo dalla stagione delle grandi committenze pubbliche ad un nuovo periodo fatto di auto-committenze, collaborazioni tra fotografi ed equipe multidisciplinari e una nuova dimensione transmediale e collettiva che supera il classico esito "mostra e catalogo". La collaborazione iniziata nel 2012 con il collettivo Sardarch si muove in questa direzione e si è concretizzata in progetti che, dalla scala urbana di "Stampaxi+"3 e "Mano a Santa Teresa"4 a quella territoriale di "sPOP. Istantanea dello spopolamento in Sardegna"5, analizzano fenomeni contemporanei della nostra Regione partendo dalle dinamiche sociali e demografiche in atto. Le campagne fotografiche sono state affiancate da strumenti di natura differente come questionari, mappe interattive, indicatori, saggi, video documentari, app, feste di quartiere, installazioni, convegni: un caleidoscopio di esperienze necessario per esaminare le molte sfaccettature dei contesti oggetto di studio e, al tempo stesso, per coinvolgere un pubblico il più ampio possibile nella diffusione dei risultati raggiunti, uscendo così dallo stretto recinto degli addetti ai lavori. Il quartiere storico cagliaritano di Stampace nel 2012 è stato l’oggetto della ricerca della prima vicenda di questo percorso. Il progetto “Stampaxi+” aveva come obiettivo l’analisi degli usi degli spazi pubblici e privati del quartiere e la campagna fotografica è stata portata avanti ponendo particolare attenzione ai luoghi e ai processi di appropriazione messi in atto dagli abitanti: le vie di collegamento del quartiere con il resto della città, l’utilizzo di strade e piazze per attività domestiche, gli escamotage per regolare il conflitto tra automobili e pedoni, i luoghi di aggregazione e confronto, l’intimità delle abitazioni private. Le fotografie sono state poi 1

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R. Valtorta, “In cerca dei luoghi (non si trattava solo di paesaggio)”, in “Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea”, R. Valtorta (a cura di), Einaudi, Torino 2013, p. 6 S. Rossl, M. Sordi, Laboratorio Italia, Pazzini Editore, Verona 2014, p. 49 http://www.sardarch.it/progetto/stampaxiprusu/ http://www.sardarch.it/progetto/mano/ F. Cocco, N. Fenu, M. Lecis Cocco Ortu, "SPOP. Istantanea dello spopolamento in Sardegna", Lettera Ventidue, Siracusa 2016


geolocalizzate su una mappa interattiva sulla quale sono stati raccolti i tweet con i quali gli abitanti raccontavano il proprio quartiere. Il progetto ha trovato compimento in una giornata in cui al dibattito e confronto con gli stampacini si è affiancata una installazione urbana inserita nel progetto di arte globale Inside/Out dell’artista francese JR. La candidatura della città di Cagliari al ruolo di Capitale Europea della Cultura 2019 è stata la cornice in cui, nel 2014, si è sviluppato “Mano a Santa Teresa”, un progetto di rigenerazione urbana che ha coinvolto la comunità dell’omonimo quartiere periferico di Cagliari e che prendeva le sue mosse dall’utilizzo di “Mano”, una app creata per riattivare le relazioni tra i cittadini puntando sulla partecipazione attiva alla vita di quartiere. Il progetto fotografico partiva dal ragionamento sulle componenti fondanti del concetto di comunità, ovvero le relazioni tra luogo e identità che questa ristretta area geografica mette in campo, utilizzando la fotografia non solo come strumento che documenta i territori ma anche come mezzo che diviene occasione di partecipazione e condivisione di percorsi culturali ed esistenziali legati ai luoghi. L'aver coinvolto direttamente gli abitanti della zona è stato fondamentale dato che il rapporto con il territorio diventa possibile solo attraverso la mediazione diretta di più testimoni, innescando in questo modo una mediazione tra il punto di vista del fotografo (puramente soggettivo, legato al proprio immaginario) e la percezione che gli abitanti hanno del proprio “habitat”, il loro immaginario collettivo. L'indagine sul luogo e sulla sua identità si è quindi sviluppata realizzando delle fotografie che mettono insieme una descrizione topografica del quartiere e una più intima, raccogliendo gli interni delle abitazioni e degli spazi di aggregazione, inseguendo i segni dell'uso, della difesa della bellezza e degli interventi di autogestione che la comunità ha messo in atto. Questa serie di fotografie è stata esposta durante la festa di quartiere, sul muro perimetrale della ex scuola del quartiere, momento conclusivo e di condivisione del progetto. Le fotografie, di grande formato, sono rimaste affisse per più di due mesi, portate via soltanto dalle intemperie e non da atti vandalici: un aspetto significativo che porta a pensare che quel ritratto pubblico del quartiere abbia colto e forse rinnovato l'immaginario collettivo; è stato anche importante aver offerto al resto della città una visione di un quartiere sconosciuto ai più e che, in ogni caso, offre un'immagine di sé molto dura. L’esperienza è poi confluita nella pubblicazione “Verso un’urbanistica della collaborazione”6 che raccoglie, oltre ad una selezione più ampia di fotografie, saggi e contributi di curatori d’arte, architetti, urbanisti, grafici e altri professionisti che con il loro apporto restituiscono la complessità dei temi affrontati dal progetto. La collaborazione con il collettivo ha avuto modo di consolidarsi e affinarsi ancora una volta con il lavoro dedicato alla pubblicazione “SPOP. Istantanea dello spopolamento in Sardegna” che affronta, con la pluralità di voci che contraddistingue i progetti di Sardarch, vari aspetti della crisi demografica che sta colpendo la Sardegna, esempio di dinamiche che si stanno verificando sull’intero territorio europeo. La campagna fotografica ha interessato trentuno Comuni individuati tra quelli a maggior rischio demografico ed è stata portata avanti con regole precise che prevedevano, per ognuno di essi, la documentazione dei centri storici, delle 6

F. Cocco, N. Fenu, M. Lecis Cocco Ortu, "Verso un'urbanistica della collaborazione", Lettera Ventidue, Siracusa 2015


espansioni più recenti, del contesto paesaggistico, con particolare attenzione a quegli elementi che su più piani rendessero possibile restituire in fotografia l'incontro tra territorio e insediamento urbano. Lontane dalla retorica della cartolina, le fotografie gettano luce sui molteplici temi analizzati nei saggi presenti nella pubblicazione, lavorando su più scale: quella territoriale, quella urbana e quella su elementi minimi, tipici ma non pittoreschi. Le fotografie pubblicate sono sì illustrative di ogni Comune ma nel loro insieme - ed è questa la logica con cui devono essere lette - restituiscono una sequenza costruita con l'intenzione di rendere il riflesso di ciò che emana, oggi, la loro condizione complessiva: le fotografie potrebbero essere tutte di un solo paese o, al contrario, ognuna essere parte di uno qualsiasi di essi, lasciando da parte la presunzione di una completa descrizione ma facendo propria la volontà di far emergere sia le potenzialità che le criticità dello stato di fatto, con l'obiettivo di suscitare domande più che offrire risposte o giudizi frettolosi. Quelle presentate sono state esperienze professionalmente tanto coinvolgenti quanto ricche di difficoltà, affrontate con la ferrea convinzione dell'utilità della fotografia come strumento per poter contribuire alle tensioni positive delle trasformazioni inevitabili e incessanti del paesaggio perché, come sostiene la teorica della fotografia Liz Wells, essa “contribuisce in modo significativo al nostro senso di conoscenza, percezione ed esperienza, e a trasformare il nostro modo di porci in relazione con la storia e la geografia e, per estensione, con il senso di noi stessi”7.

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Liz Wells, Land Matters: Landscape Photography, Culture and Identity, I. B. Tauris & Co., 2011



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