iged.it n°4 2013

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GESTIONE DELLE INFORMAZIONI DIGITALI

Fattura Elettronica verso la PA

Agenda Digitale Italiana

AGENDA DIGITALE

La firma biometrica

DOCUMENT MANAGEMENT FATTURAZIONE ELETTRONICA

OPEN DOCUMENT FIRMA GRAFOMETRICA

Innovazione a misura di business

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Milano, 1 - 2 aprile 2014

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Anno XXI - Quarto trimestre 2013 LO/0690/2008

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Milano, 1 - 2 aprile 2014 Atahotel Executive, viale don Luigi Sturzo 45 www.omat360.it/mi14 Dal 1990, OMAT è riconosciuta dal mercato come la principale mostra convegno italiana dedicata alla gestione delle informazioni digitali e dei processi aziendali. Area expo, convegni e laboratori studiati per mettere in contatto organizzazioni pubbliche e private con i fornitori più innovativi. Il futuro della tua azienda è nelle tue mani: partecipa a OMAT come espositore o sponsor. Per info: omat@iter.it

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EDITORIALE Editore ITER srl www.iter.it Direttore Responsabile Domenico Piazza A questo numero hanno collaborato: Claudio Anastasio Renato Bertuol Maurizio Bonas Gaia Castellan Nicolò Corrente Roberto Galvagno Antonino M. Grande Silvia Ioffi Giuseppe Pirlo Francesco Pucino Umberto Raimondi Claudio Rorato Federico Venturini Michele Vianello Italo Vignoli Responsabile segreteria di Redazione Petra Invernizzi Redazione iged.it Via dei Valtorta 6 20127 Milano TEL: +39 02.28.31.16.1 FAX: +39 02.28.31.16.66 iged@iter.it www.iged.it Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 157 del 7 marzo 1992. La tiratura di questo numero è di N. 10.000 copie. Pubblicità inferiore al 45%. Non si restituiscono testi e materiali illustrativi non espressamente richiesti. Riproduzione, anche parziale, vietata senza autorizzazione scritta dell’Editore. L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo firma e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comporta alcuna responsabilità per l’Editore. CREDITS: Hour Glass designed by Arthur Shlain / Medicine designed by Marc Anderson from the Noun Project.

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L’Information Management nell’anno 2014 Ebbene sì, lasciatemi iniziare con quello che sarà il tormentone dei prossimi mesi: abbiamo raggiunto i 25 anni di attività! E vi assicuro che gli ultimi anni sono stati molto, ma molto difficili da superare. Per contro non mancano le novità e gli amici con i quali condividerle. La normativa si sta lentamente completando e su alcuni aspetti siamo all’avanguardia; si legga ad esempio l’articolo del Prof. Pirlo sulla firma grafometrica che - più correttamente - chiama biometrica in quanto ricca di molteplici informazioni non solo grafiche e non solo connesse all’identificazione della persona. Quello dei sensori “indossabili” ad esempio è un tema di grande attualità, noi invece sottolineiamo il lavoro di backoffice che sta facendo l’Agenda Digitale con l’anagrafe unica e i suoi mille risvolti, anche dal punto di vista delle numerose truffe delle quali leggiamo spesso. Pensioni percepite per anni dopo la morte dell’avente diritto; patenti rilasciate a ciechi; analisi o operazioni addebitate e incassate, ma non eseguite... Non ultimo quattro milioni di auto circolanti non assicurate! Altro strumento oggi disponibile è la PEC, ma non solo, c’è anche il “cerca indirizzo PEC” www.inipec.gov.it/cerca-pec che permette di trovare la PEC di professionisti e imprese e, comodamente dal proprio PC, inviare quella che non è solo una semplice raccomandata certificata: arriva in attimi, contiene un testo digitale (l’analogico può essere allegato) ed è conservata con documenti di consegna inoppugnabili. In novembre il Presidente Napolitano ha scritto al tribunale di Napoli e la lettera sembrava non essere arrivata... poi dopo alcuni giorni è stata consegnata. Personalmente mi auguro che in futuro il Presidente, e tutto il Governo, invece di ricorrere a telegrammi o raccomandate vogliano anch’essi utilizzare la PEC. Insomma, il 2014 vedrà molte ed interessanti novità diffondersi sul mercato e tutti noi di iged.it cercheremo di darne notizia in modo serio e tempestivo. Grazie a tutti coloro che ci continueranno a seguire, possibilmente abbonandosi. Infine una data alla quale teniamo molto, il nostro appuntamento milanese di OMAT: uno e due aprile 2014 > www.omat360.it Vi aspettiamo! Domenico Piazza e la redazione di iged.it

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06 Agenda Digitale Italiana ...aspettando Godot SILVIA IOFFI Consulenza di processo e Normativa InfoCert Milano Articolo a pag. 13

12 Fattura Elettronica Dal 6 giugno obbligatoria per la PA centrale

MARTA GAIA CASTELLAN Consulenza di processo e Normativa InfoCert Milano Articolo a pag. 13

13 In arrivo le nuove Regole Tecniche sulla Conservazione d’impresa Normeranno il Manuale della Conservazione e il Responsabile della Conservazione 15 La firma biometrica Una tecnologia abilitante per l’Agenda digitale 19 Attenzione alla firma grafometrica e al furto d’identità digitale! 20 I professionisti d’impresa Un mondo in fermento 27 La raccomandata corre sul web Il nuovo servizio gratuito di tNotice

Michele Vianello, Smart Communities Strategist Articolo a pag. 37

31 Il valore dei dati Come analizzare i dati per creare miglioramento Italo Vignoli Consigliere Associazione Plio con delega al marketing Articolo a pag. 43

35 La lettura ottica applicata ai documenti d’identità 37 Città intelligenti Una nuova concezione del Welfare 43 Libre Office La suite per ufficio che mette tutti d’accordo 47 Web marketing per startup Come creare ed espandere il tuo brand sul web 51 Immagini Evoluzioni delle nuove generazioni 53 Visual Shopping L’occhio vuole la sua parte 55 La fotografia in pubblicità Una forma di espressione tra arte, trucco e realtà 59 La fotografia nel giudizio civile e penale Il valore e i limiti dell’efficacia probatoria 63 La medicina difensiva

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Agenda Digitale Italiana … aspettando Godot di Claudio Rorato Francesco Caio ha indicato le priorità per l’Agenda Digitale: anagrafe unica, identità digitale e fatturazione elettronica. L’infrastrutturazione con la banda larga ha luci e ombre. Prossimi al 100% sulla velocità a 2 Mb, siamo solo al 14% se alziamo l’asticella ai 10 Mb. Mentre la media Ue 27 è al 59%. Le rilevazioni dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano – da più parti accolte e utilizzate a supporto di ragionamenti sul tema della digitalizzazione del Paese – hanno fornito i numeri utili a individuare priorità e benefici. Tolte le considerazioni sulla banda larga, pre-requisito per un Paese che vuole spingere sulla digitalizzazione, l’Agenda Digitale è ormai indispensabile per il rilancio dell’Italia: vuoi perché incide sull’efficienza della Pubblica Amministrazione, vuoi perché fornisce strumenti di competitività alle Imprese, compresi quelli per le start up innovative, vuoi perché migliora la vita dei cittadini con una maggiore quantità e qualità dei servizi. L’importanza dell’Agenda Digitale è sottolinea-

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ta anche dai costi che possono derivare se non viene realizzata. Le stime del Politecnico parlano chiaro: 1 miliardo al mese! Tanto è il costo del ritardo nell’avviare in modo sistematico e secondo un programma stabilito la digitalizzazione del Paese. La spesa pubblica non si riduce, la competitività non aumenta. Molti sono i benefici dell’Agenda Digitale, declinata secondo diverse aree e punti di ingresso, riportati sinteticamente di seguito. Fatturazione Elettronica verso la PA - Lo scorso 22 maggio, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Decreto Attua-

tivo sulle regole tecniche per fare Fatturazione Elettronica verso la PA, si è completato – finalmente! – un quadro normativo atteso dal 2008. Sono circa 2 milioni i fornitori della PA, che dovranno emettere fatture in formato elettronico. Dalla fattura elettronica si possono ottenere risparmi per oltre un miliardo di euro all’anno. Unita ai workflow approvativi, i benefici salgono tra i 4,4 e i 6,7 miliardi annui, grazie all’abbattimento delle tempistiche autorizzative, riducibili fino al 70%, e ai risparmi sugli interessi di mora che, cronicamente, affliggono la nostra PA. Sanità Digitale - Occorre sfata-

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re il luogo comune, che la Sanità italiana costi troppo. Piuttosto è vero che si spende poco e male. La spesa sanitaria pro-capite del 2012 , secondo l’OECD, in Italia è stata di 2.282 euro, contro i 3.890 dell’Olanda, i 3.439 della Danimarca, i 3.337 della Germania, i 3.058 della Francia e i 2.636 dell’Inghilterra. I tagli lineari non sono la medicina giusta per il SSN che, anzi, rischia seriamente di essere compromesso. Gli investimenti in tecnologie digitali sono in grado di recuperare efficienza, contenere i costi, salvaguardando la qualità della prestazione. A tale proposito si possono attendere ri-

100%

sparmi di quasi 7 miliardi di euro – cioè circa 115 euro pro-capite – ricorrendo alla telemedicina, alla cartella Clinica Elettronica, alla dematerializzazione dei referti e delle immagini diagnostiche, alla progressiva virtualizzazione dei data center territoriali e, in genere, a una gestione più informatizzata delle prenotazioni delle prestazioni. eGovernment – La PA come volano e non come freno per lo sviluppo del Paese. Questo dovrebbe essere lo slogan per accompagnare la nostra PA verso livelli di efficienza più europei. La lentezza e la complicazione della nostra

macchina burocratica è additata non solo da Cittadini e Imprese, ma anche da istituzioni internazionali (Commissione Europea, World Economic Forum e OCSE) come una della cause della ridotta competitività dell’Italia. Bisogna superare le resistenze politiche e culturali per incentivare il riuso delle tecnologie ICT e i piccoli Comuni a gestire in modo associato le tecnologie informatiche. Solo il 20% degli Enti Locali e delle Regioni adotta diffusamente i pagamenti multicanale, circa la metà dei Comuni, nonostante le normative prescrivano l’utilizzo della telematica, hanno anco-

140 Mld€ Figura 1: I benefici dell’eProcurement per la Pubblica Amministrazione

∼70%

Quota obiettivo potenziale per l’eProcurement nella PA

∼30%

15% 15% Spesa totale per beni e servizi nella PA italiana

Saving Medio

20 Mld€ 2/3 anni

Benefici negoziali

20 Mld€

Benefici di processo

Quota obiettivo di transato via eProcurement

∼13% = 5 Mld€ ∼5% = 2 Mld€

eProc attuale ∼5% = 7 Mld€ sul totale Spesa Beni e servizi

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ra SUAP fisici a cui presentare la documentazione cartacea. eProcurement – Degli 800 miliardi di spesa pubblica, quasi il 20% è costituito da acquisti di beni e servizi necessari per “confezionare” i servizi diretti a Cittadini e Imprese (Figura 1). Di questi solo il 5% (8 miliardi) sono acquistati ricorrendo a strumenti di eProcurement. A titolo di esempio, si consideri che in UK il transato elettronico è pari al 20% circa (30 miliardi) della spesa. Un uso più intenso potrebbe ridurre i tempi dell’intero ciclo d’acquisto, migliorare le condi-

zioni medie di acquisto e contenere gli oneri per i ritardati pagamenti. Portare al 30% il volume degli acquisti (40 miliardi circa), si potrebbe tradurre in risparmi di quasi 5 miliardi di euro, ai quali potremmo aggiungere altri 2 miliardi di maggiore produttività del personale, impiegando in tutte le fasi del processo d’acquisto le tecnologie digitali. Il Cloud per la PA – Il Cloud può avere un ruolo fondamentale nella trasformazione della PA, a partire dalla riduzione degli sprechi nella gestione delle risorse informatiche. Dalla sola razio-

nalizzazione dei Data Center è possibile stimare un risparmio di quasi 6 miliardi di euro, spalmato su un orizzonte di 4-5 anni. Ma questa è solamente la punta dell’iceberg. Dopo aver razionalizzato la struttura hardware, infatti, è possibile puntare sulle piattaforme software, sulle applicazioni e, perché no, sui processi, secondo una logica di progressiva standardizzazione e condivisione dei servizi. La transizione verso i nuovi modelli di gestione dell’IT nella PA, passa attraverso la definizione di una roadmap con una Governance digitale in grado di omogeneizzare gli interventi sul

eCommerce in Italia Valore assoluto dei transati in Italia

Ca. 450 Mld €

Transato annuo

Ca. 8 Mld €

Pervasività transato Aziende coinvolte Settori più attivi

B2c

B2b

Vendite retail

Somma dei flussi commerciali tra imprese

2% degli scambi B2c Ca. 15 mila

Ca. 200 Mld €

Pervasività transato

B2g Acquisti pubblici di beni/servizi/lavori

Valore assoluto dei transati in Italia Transato annuo Pervasività transato

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Transato annuo

Settori più attivi

Dati: stime sul 2012

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Ca. 2.900 Mld €

Aziende coinvolte

Turismo Assicurazioni Elettronica Abbigliamento …

Figura 2: l’eCommerce in Italia

Valore assoluto dei transati in Italia

Aziende coinvolte Settori più attivi

7% degli scambi B2b Ca. 60 mila Farmaceutico Automotive Grocery Materiale elettrico …

Ca. 140 Mld € Ca. 7 Mld € 5% degli scambi B2g Decine di migliaia Sanitario, Servizi Pubblici generali, Protezione sociale, Istruzione …

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IL DOCUMENT IMAGING DI KODAK ALARIS

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territorio tramite un piano generale. eCommerce – Limitando l’analisi al solo eCommerce che coinvolge come acquirente o il consumatore finale o un’impresa (B2c e B2b, rispettivamente), visto che dell’eProcurement pubblico già si è parlato, ci accorgiamo degli ampi benefici che potrebbero nascere per le imprese, se solo spingessero sulla sua adozione (Figura 2). Oltre ad ampliare il mercato raggiungibile, a costi più contenuti rispetto a un presidio territoriale, il canale online è uno strumento per fornire informazioni su prodotti e servizi, rendersi visibili 24 ore su 24, profilare la clientela per mettere a punto offerte personalizzate. Nella forma B2b il maggior livello di efficienza raggiungibile nello scambio dei documenti tra fornitore e cliente, vale tra i 25 e i 75 euro a ciclo documentale. Proiettato su larga scala, sono circa 60 i miliardi di risparmi che le imprese, nel loro complesso, potrebbero ottenere adottando modelli di eCommerce B2b su tutto il ciclo ordine-pagamento. Il sostegno allo sviluppo di una “cultura per l’online” aggiungerebbe una freccia all’arco delle PMI , alla ricerca di una nuova competitività. Evasione fiscale – Il sommerso in Italia vale circa 300 miliardi di euro; l’evasione fiscale, invece, il 21% del PIL, tre punti sopra la media europea e quasi il doppio rispetto a Germania, Francia e

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Regno Unito. Con l’innovazione digitale è ipotizzabile di recuperare un maggior gettito fiscale di oltre 17 miliardi di euro all’anno. Come? Agendo su due leve: la prima riguarda l’incremento dei pagamenti elettronici (carte di debito, credito, prepagate), la seconda coinvolge la conservazione sostitutiva dei documenti, da rendere obbligatoria per le imprese del Paese. Nel primo caso si potrebbero recuperare tra i 6 e i 7 miliardi di euro di maggiori incassi di IVA e imposte sul reddito, ai quali si aggiungerebbe quasi un miliardo di risparmi nella gestione del denaro contante da parte del sistema Paese. Nel secondo caso, invece, l’obbligatorietà della conservazione sostitutiva dei documenti fiscali per le imprese, aumenterebbe fino a 3 volte la produttività delle autorità deputate ai controlli. Più controlli, più accertato, più evasione recuperata con un incremento di circa 10 miliardi di euro annui. Start up innovative – Nonostante l’Italia sia un Paese a vocazione imprenditoriale, sul fronte delle start up hi-tech – ritenute a livello internazionale una fonte di crescita economica – il nostro Paese sta perdendo colpi. I nostri investimenti sono circa un quarto rispetto alla Francia e un terzo rispetto a Germania e Regno Unito. Il quadro normativo (Decreto Sviluppo bis) è positivo e utile, ma mancano sia denari sia le iniziative che possano coinvolgere di più le università, sia nell’opera di sensibilizzazione cultu-

rale degli studenti, sia di ricerca applicata al business e agli spinoff. Dalle esperienze straniere è ipotizzabile un impatto annuale sul PIL di circa 3 miliardi di euro, a fronte di un investimento di 300 milioniannuali nell’ecosistema delle Start up. Il processo di contaminazione culturale nei confronti delle imprese tradizionali, porterebbe, inoltre, ulteriori benefici all’intero sistema economico nazionale, che diventerebbe più attento all’innovazione e all’efficienza produttiva. Accessibilità e inclusione digitale – L’accessibilità e l’inclusione digitale, a differenza degli altri temi, sono meno legate ai risultati eclatanti di risparmio, misurato in miliardi di euro, ma molto di più al grado di civiltà di un intero Paese. Se la tecnologia può essere un fattore abilitante alla rimozione di alcune barriere fisiche, così pure corre il rischio di diventare, essa stessa, una barriera, se non adattata alle esigenze delle categorie svantaggiate. Se l’impianto normativo (Legge Stanca e, poi, il Decreto Sviluppo) è indirizzato sul riconoscimento di queste necessità, tuttavia i risultati sono scoraggianti. Solo il 3% dei siti della PA (ultimo rilevamento da parte del CNIPA nel 2008) risultano accessibili. Significa, quindi, che nessuno controlla, sanziona, impone di effettuare le modifiche previste dalla legge. La possibilità di usare di più il telelavoro, di adattare maggiormente le tecnologie a chi è disabile, crea opportunità di lavoro, possibilità di

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integrazione a chi ne avrebbe il desiderio, ma è impedito a coronarlo. Gli ingredienti ci sono, come pure la ricetta. Ora il cuoco deve iniziare a preparare, velocemente, il piatto del giorno, perché è già ora di pranzo, con l’accortezza che il risultato sia gradevole. La fiducia non manca, ora ci vogliono i risultati. Il Paese, ma soprattutto, la classe politica, deve essere compatta di fronte a un’esigenza di

risanamento e rilancio del Paese, deve avere coraggio di adoperarsi per provvedimenti di urgenza, che accorcino gli iter approvativi, di studiare forme agili di collaborazione pubblico-privato per trovare i soldi per finanziare interventi di ampia portata, garantendo, senza falsi pudori, la giusta remunerazione a chi mette a disposizione il proprio capitale di rischio.

Claudio Rorato Osservatorio Agenda Digitale, School of Management del Politecnico di Milano iged.it

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Fattura elettronica: dal 6 giugno obbligatoria verso la PA centrale A CURA DELLA REDAZIONE

Sul sito del Governo italiano al link www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=74540 è possibile leggere: 24 Gennaio 2014 <<... Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha inoltre informato i ministri sul fatto che la fatturazione elettronica verso la Pubblica amministrazione centrale diventa obbligatoria dal 6 giugno di quest’anno. La fatturazione elettronica è una delle tre priorità dell’ Agenda Digitale e porterà significativi benefici come: • • •

Capacità di gestire con certezza l’ammontare ed i tempi dei pagamenti verso i fornitori Controllo della spesa e possibilità di guidare analiticamente la spending review Fattore di ammodernamento e trasparenza della PA e dell’economia tutta

Per rispettare l’obbiettivo del 6 giugno tutti i Ministeri dovranno approntare fin da subito i processi e le informazioni per consentire i flussi di fatturazione. Ci sarà l’ennesimo rinvio della data di partenza? Noi della redazione diciamo di no, questa volta si parte davvero, anche se, come spiegato negli altri articoli della rivista, non sono i ministeri i grandi compratori bensì la PA Locale che partirà successivamente.

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In arrivo le nuove Regole Tecniche sulla conservazione d’impresa Normeranno il Manuale della Conservazione e il Responsabile della Conservazione di Silvia Ioffi e Marta Gaia Castellan

A breve saranno approvate le Regole Tecniche in materia di conservazione che sono in sospeso dal 2011 e andranno a modificare gli artt. 20, 23, 43, 44 e 71 del Codice dell’Amministrazione Digitale e sostituiranno del tutto la celeberrima Deliberazione CNIPA 11/2004. Ecco dunque che una maggiore regolamentazione della conservazione sostitutiva a norma potrà dare quella spinta tanto attesa. I dati, infatti, sono ancora piuttosto bassi. Secondo il rapporto dell’Osservatorio Assinform sull’ICT nelle PA, solo l’11,5% dei documenti delle amministrazioni centrali viene conservato in forma sostitutiva mentre la percentuale sale al 31,8% nei Comuni. Le Regole renderanno presto obbligatorio l’utilizzo di uno strumento fondamentale che già alcuni Enti locali hanno adottato come allegato del Manuale di Gestione (previsto già dal DPCM 31/10/2000): il Manuale della

Conservazione. Citando le Regole (ancora in bozza) all’art. 8 co. 1, il manuale della conservazione: “illustra dettagliatamente l’organizzazione, i soggetti coinvolti e i ruoli svolti dagli stessi, il modello di funzionamento, la descrizione del processo, la descrizione delle architetture e delle infrastrutture utilizzate, le misure di sicurezza adottate e ogni altra informazione utile alla gestione e alla verifica del funzionamento, nel tempo, del sistema di conservazione”. Basta avere un po’ di lungimiranza per capire quale sia la grande importanza di questo Manuale che ha un doppio uso: internamente è uno strumento di condivisione di regole e responsabilità, (quasi un vademecum per tutti coloro che avranno necessità di inviare in conservazione dei documenti digitali); esternamente è un ottimo modo per dimostrare l’osservanza alla normativa vigente, per avere un ritorno di immagine in linea con i principi dell’Ammini-

strazione Trasparente e, infine, è un modo molto pratico per collaborare in caso di visite ispettive. Un’altra riconferma presente nelle Regole, ma che già era delineata nella Deliberazione CNIPA del 2004, è la figura del Responsabile della Conservazione. Una nuova categoria che, più di ogni altra, a nostro avviso, incarna il passaggio epocale che stiamo vivendo. Il Responsabile della Conservazione, citando ancora la Bozza (art. 7), “opera d’intesa con il responsabile del trattamento dei dati personali, con il responsabile della sicurezza e con il responsabile dei sistemi informativi, [omissis] oltre che con il responsabile della gestione documentale”. In particolare, il Responsabile della conservazione, definisce le caratteristiche e i requisiti del sistema di conservazione in funzione della tipologia dei documenti da conservare, gestisce il processo di conservazione e ne garantisce nel tempo la conformità alla normaiged.it

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tiva vigente, effettua il monitoraggio della corretta funzionalità del sistema di conservazione, assicura una verifica periodica, adotta misure riguardo all’obsolescenza dei formati, provvede alla duplicazione o copia dei documenti informatici, provvede, per gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato, al versamento dei documenti conservati all’archivio centrale dello Stato e agli archivi di Stato, predispone il Manuale della Conservazione. Una responsabilità, quindi, che collega competenze tecniche, informatiche, giuridiche, normative e di processo, ma che può essere delegata in tutto o in parte a soggetti terzi che hanno fatto di questi oneri una professione.

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È importante, quindi, che tutti coloro che intendono approcciarsi alla Conservazione sostitutiva a norma e che, quindi, vogliono mettere in sicurezza i propri documenti digitali, si predispongano a ragionare e a lavorare sui ruoli, strumenti e responsabilità legati alla Conservazione stessa, per non trovarsi impreparati al momento dell’ormai imminente approvazione delle Regole Tecniche.

Silvia Ioffi Cosulenza di Processo e Normativa InfoCertMilano

Marta Gaia Castellan Cosulenza di Processo e Normativa InfoCertMilano

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La Firma Biometrica Una tecnologia abilitante per l’Agenda Digitale di Giuseppe Pirlo

Nell’ambito della strategia Horizon 2020, l’agenda digitale è giustamente considerata un’opportunità cruciale per rilanciare lo sviluppo dell’Europa e del nostro paese in particolare. L’Agenda prevede, attraverso la diffusione di internet ad alta velocità, di sfruttare al meglio i vantaggi di un mercato unico del digitale, migliorando l’efficacia e efficienza dei servizi offerti ai cittadini ed alle imprese. L’obiettivo finale è quello di trarre vantaggi socioeconomici sostenibili da un mercato unico che deve prevedere la partecipazione coesa di tutti gli stati membri. In questo scenario l’Italia ha focalizzato alcuni aspetti fondamen-

tali di sviluppo legati all’anagrafe unica, all’identità digitale ed alla fatturazione elettronica. Alla base della possibilità di implementare questi ed altri servizi ai cittadini ed alle imprese è però necessario adottare sistemi avanzati di identificazione e verifica dell’identità personale. La biometria offre la possibilità di ottenere informazioni certe sull’identità di un individuo, sulla base dei sue caratteristiche fisiologiche o comportamentali. Tra le principali caratteristiche fisiologiche prese in considerazione dai sistemi biometrici vi sono le impronte digitali, il volto, l’iride, l’impronta della mano, la retina, ma anche il DNA, ormai

ampiamente utilizzato nelle indagini scientifiche legate ad episodi criminali. La voce e la firma biometrica sono invece le più diffuse caratteristiche biometriche comportamentali. La validità di ciascuna caratteristica biometrica (anche detta “tratto” biometrico) va valutata non solo in relazione al suo livello di sicurezza, ma anche ad una moltitudine di altri fattori come la difficoltà di acquisire il tratto biometrico e l’accettabilità da parte dell’utente. È per questo che la firma biometrica, nota anche come firma grafometrica, rappresenta una caratteristica biometrica di grande interesse per la modernizzaiged.it

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zione di servizi tradizionali e per lo sviluppo di nuovi servizi. L’apposizione della firma è infatti un gesto a cui tutti siamo abituati sin da giovane età e che non richiede alcuna azione ritenuta invasiva. Inoltre, la diffusione di dispositivi mobili (tablet, smartphone, ecc.) in grado di acquisire ovunque ed in qualsiasi momento la firma biometrica rende questo tratto estremamente adattabile alle diverse esigenza applicative. L’evoluzione della normativa sull’uso della firma grafometrica come firma elettronica avanzata si è concretizzata attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM del 22 Febbraio 2013 che agli articoli 56 e 57 riporta rispettivamente le “Caratteristiche delle soluzioni di firma elettronica avanzata” e gli “Obblighi a carico dei soggetti che erogano soluzioni di firma elettronica avanzata”. A sostenere ulteriormente la possibilità di utilizzo della firma grafometrica sono stati i provvedimenti del “Garante per la protezione dei dati personali”, meglio noto come “Garante della Privacy”, che ha recentemente autorizzato alcuni istituti bancari ad identificare i propri clienti tramite l’analisi della firma biometrica. Un cliente può firmare un documento in formato elettronico direttamente sul dispositivo di acquisizione (ad esempio un tablet). La visualizzazione dell’immagine della firma in calce al documento - ottenuta mediante tecniche di “electronic ink” assicura una “user experience” ottimale dal momento

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che replicherà all’utente la stessa situazione a cui era abituato allorquando apponeva la sua firma (autografa) sul tradizionale documento cartaceo. In realtà, il sistema provvederà a “inserire e sigillare” l’immagine della firma e le sue caratteristiche biometriche opportunamente cifrate nel documento stesso, attraverso una procedura in grado di assicurare un’adeguata sicurezza nella protezione del dato biometrico. La firma biometrica quindi, può essere utilizzata come firma elettronica avanzata solo nell’ambito di un processo progettato opportunamente. In particolare, il dato biometrico non sarà mai visibile “in chiaro” e potrà essere reso accessibile e decifrabile solo nei casi previsti dalla legge, generalmente collegati a contenziosi basati su ipotesi di disconoscimento della firma, e comunque esclusivamente su richiesta dell’autorità giudiziaria. In tal caso le informazioni

biometriche legate al processo di apposizione della firma (quali ad esempio la velocità, l’accelerazione, la pressione, ecc. .), potranno consentire una sicura verifica dell’identità personale anche attraverso dei nuovi strumenti di analisi che sono a disposizione del perito grafologo. In tal senso vale la pena sottolineare come negli ultimi anni la ricerca scientifica nel settore dell’analisi di firme biometriche ha ottenuto risultati sorprendenti ed è in grado di fornire tecniche e sistemi sofisticati a supporto del lavoro dei periti. Si pensi a titolo di esempio a tecniche sofisticate per individuare automaticamente gli elementi maggiormente personali e distintivi della firma di un soggetto, quelli cioè di maggior rilevanza per distinguere una firma autentica da una contraffatta. Un altro esempio può essere invece quello di sistemi in grado di stabilire - per ciascun

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utente - quale tra le informazioni biometriche acquisite di una firma risulti ottimale per verificare l’identità personale, ovvero di determinare per ciascun utente se è meglio analizzare la sua firma utilizzando le informazioni legate alla velocità piuttosto che all’accelerazione o alla pressione, al fine di verificarne l’autenticità con maggiore accuratezza. Anche a seguito dell’accresciuta consapevolezza dell’efficacia delle informazioni biometriche per la verifica dell’identità personale, una sempre maggiore fascia di utenti è disponibile ad utilizzare la firma biometrica per le proprie transazioni online, sfruttando in particolar modo la possibilità di effettuare operazioni in mobilità attraverso l’uso di tablet e/o smartphone sempre più diffusi e potenti. In piena coerenza con il quadro internazionale che vede il mercato legato alla firma biometrica in crescita esponenziale, anche in Italia la sottoscrizione di un documento mediante firma biometrica si sta diffondendo molto rapidamente in molteplici campi applicativi, da quello bancario a quello assicurativo, da quello legato ai trasporti ed alla mobilità a quello delle spedizioni e delle vendite online. In conclusione vale la pena di sottolineare che nel dominio dell’uso della firma biometrica il nostro paese è all’avanguardia non solo da un punto di vista normativo, ma anche scientifico ed applicativo. La firma biometrica trasferisce infatti un’enorme quantità di informazioni che possono essere

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utilizzate in una moltitudine di ambiti applicativi. Ricercatori italiani sono da molti anni impegnati, di concerto con colleghi internazionali, sulla frontiera della ricerca in questo campo con risultati spesso straordinari e con innumerevoli possibilità di nuove ricadute applicative. La firma biometrica può essere utilizzata ad esempio come “query” per la ricerca documentale avanzata in grado di favorire lo sviluppo di soluzioni “paperless”e di strategie innovative di “Document Retrieval”. Tecniche innovative di analisi della firma biometrica consentono anche di estrarre la sequenza e le caratteristiche specifiche degli impulsi generatori del processo neuromuscolare di apposizione della firma stessa. Questi impulsi, che rappresentano un riferimento estremamente utile per verificare l’identità personale del firmatario, possono anche fornire informazioni importanti per identificare precocemente l’insorgenza di gravi patologie neuromuscolari degenerative. I sistemi di acquisizione della firma biometrica potrebbero quindi svolgere - a seguito di una specifica normativa e di un’accurata regolamentazione e sempre dopo aver ottenuto il consenso dell’utente - un vero e proprio ruolo di “sentinelle” per monitorare la popolazione a rischio, gratuitamente ed in maniera assolutamente non invasiva, riducendo l’incidenza dovuta al trattamento di queste patologie degenerative di così alto costo sociale ed economico.

Nell’ambito quindi dell’ampio processo di trasformazione che l’implementazione dell’Agenda Digitale impone, la firma biometrica rappresenta una tecnologia abilitante in numerosi domini applicativi. L’auspicio è che attraverso una politica lungimirante ed aperta all’innovazione e l’indispensabile attenzione degli stakeholder dei settori produttivi e dei servizi possa essere messo pienamente a valore nel nostro paese non solo l’utilizzo della firma biometrica come firma elettronica avanzata, ma anche il know-how specifico che in questo settore è stato maturato nei centri di ricerca italiani, sia accademici che industriali, e che pongono l’Italia tra i paesi all’avanguardia a livello internazionale.

Giuseppe Pirlo Professore Associato di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni - Dipartimento di Informatica - Università degli Studi di Bari

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Attenzione alla firma grafometrica e al furto d’identità digitale! A CURA DELLA REDAZIONE

Josè Alvarado è un bravo ragazzo sudamericano che, dopo colloqui, prove e tanta fatica, ha ottenuto un posto da autista di furgoni presso la prestigiosa ditta ZLH per la consegna di pacchi; Luis Perez è il collega che effettua le consegne dei pacchi con lui. è Luis che dà il pacco al Cliente e chiede di firmare la tavoletta per confermare il ricevimento. Da alcune settimane Luis chiede anche al Cliente una copia del documento di identità, perché così la ditta può verificare la firma e non ci sono contestazioni... Mario Rossi era proprio felice quando un mesetto fa ha ricevuto il grande pacco con la bambola elettronica per la sua nipotina Viola ed ha firmato e consegnato copia del suo documento senza un attimo di esitazione. Ieri gli hanno telefonato in ditta per ricordargli il primo versamento di rimborso del suo prestito; era una voce dolce che richia-

mava le belle ragazze brasiliane o portoghesi, ma Mario non ha gradito la telefonata, lui l’ultimo prestito l’ha rimborsato tutto dieci anni fa. La signorina gli ha detto di non preoccuparsi, ci sarà stato un errore; se era così gentile da darle il suo cellulare per aggiornarlo appena fatte le verifiche l’avrebbe richiamato volentieri. Trascorsi cinque giorni, quando ormai Mario era convinto che fosse andato tutto a posto, la ditta Cerberus, specializzata nel recupero crediti, gli ha fatto una telefonata di tutt’altro tenore. Se entro 48 ore non avesse saldato la prima rata di appena 97,00 € a fronte del prestito di 1.490,00 €, avuto un mese prima, poteva avere gravi conseguenze personali e sul lavoro come insolvente. Mario ha avuto un bel dire che lui non c’entrava nulla; loro avevano il suo numero di cellulare, copia

del suo documento di identità ed anche la firma grafometrica con tutti gli elementi per documentare che era proprio lui ad aver apposto la firma e fornito gli estremi della banca per il bonifico. Avevano anche una telefonata registrata con la sua voce. Aggiungendo che doveva stare attento a quel che faceva perché se la Polizia avesse visto che il conto su cui era stato versato il denaro era in Svizzera avrebbe certamente fatto una segnalazione alla GdF ... E si sa come i Finanzieri qualcosa la trovano sempre...! Mario sta ancora pagando silenziosamente il suo debito per un prestito mai richiesto e mai avuto e tutte le sere spera di non ricevere altre telefonate da una qualsiasi società di recupero crediti. Se la firma grafometrica non è accompagnata da un codice “usa e getta” assisteremo sempre più spesso a questi ricatti digitali. iged.it

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I Professionisti d’impresa Un mondo in fermento di Claudio Rorato

La crisi economica non trascura proprio nessuno. Le difficoltà delle imprese si riverberano immediatamente anche sul fronte delle professioni, che lavorano a contatto con il mondo imprenditoriale. Commercialisti, Consulenti del lavoro e Avvocati patiscono esattamente come i loro Clienti. La dimensione media degli Studi professionali riflette la composizione del mondo dell’impresa: piccole e medie realtà che, a causa dei mancati incassi, entrano in sofferenza e mettono a rischio la loro stessa sopravvivenza o, comunque, i posti di lavoro di una

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parte dei dipendenti. Al di là della crisi le Professioni sentono però il bisogno di un cambiamento, che aiuti a ridisegnare il profilo professionale senza, ovviamente, abdicare ai contenuti distintivi della Professione. La necessità di far fronte a un mercato che, in questo momento, non si dilata, ma si contrae, spinge a una maggiore attenzione all’efficienza interna per difendere i margini. Ma non basta. Le riflessioni investono sia i modelli organizzativi, sia quelli di business. A tale proposito i risultati dell’indagine condotta dalla School of Management del

Politecnico di Milano insieme a TeamSystem su oltre 300 Studi di Commercialisti e Consulenti del Lavoro, fornisce utili informazioni su ciò che sta avvenendo nel mondo delle Professioni1. Come vedremo dai dati riportati, alcuni stanno compiendo dei passi, anche significativi, per reagire alla situazione contingente e alle sollecitazioni provenienti dal mercato e dall’ambiente competitivo. Le premesse Il 14% del campione ha dichiarato un incremento di oltre il 10%

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in termini di fatturato rispetto all’anno precedente, che diventa del 15% se riferito alla redditività. Nonostante la crisi, un gruppo di Professionisti ha registrato performance in doppia cifra. Da qui è partita la ricerca di eventuali caratteristiche distintive, in grado di spiegare questi positivi risultati. Non sono tanto le dimensioni dello Studio o la sua collocazione geografica a fare la differenza, quanto i comportamenti, resi tangibili dai modelli organizzativi adottati. Sono stati, così, individuati due cluster, classificati, per semplicità, come Rossi e Azzurri. Gli Azzurri con un incremento del fatturato oltre il 10% sono il doppio dei Rossi (25% vs 11%) e diventano quasi tre volte per quanto riguarda la redditività (28% vs 11%). Altro fattore che fa riflettere è il numero di coloro che hanno dichiarato

riduzioni del fatturato superiori al 10%: gli Azzurri sono la metà dei Rossi (9% vs 18%) (Figura 1). Quali sono, allora, le caratteristiche di ciascuno dei due gruppi, gli elementi distintivi che permettono agli Azzurri di avere performance economico-finanziarie decisamente migliori dei colleghi Rossi? Di che colore sei? Rosso o Azzurro? Innanzi tutto gli AZZURRI trascorrono almeno la metà del loro tempo lavorativo al di fuori dello Studio, contrariamente ai ROSSI che prediligono il lavoro interno per la totalità o quasi totalità del tempo lavorativo. Entrambi i cluster utilizzano principalmente il “passaparola” per acquisire la nuova clientela; tuttavia il 22% degli Azzurri è presente a eventi organizzati dallo Studio o da

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Figura 1: Le performance economico-finanziarie

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terzi soggetti in qualità di relatore, mentre i Rossi usano questa leva solo nel 4% dei casi. Non è diversa solo la propensione a rendersi più visibili sul mercato potenziale (convegni/eventi), ma anche l’orientamento al mercato in senso più compiuto. Se i primi dedicano alle attività di business (gestione delle attività che producono ricavi e gestione della clientela) - misurate sul totale del tempo lavorativo dello Studio - almeno il 55% del tempo, i secondi arrivano al 44%, segno che altre attività assorbono questo differenziale. Per gli Azzurri, inoltre, la consulenza assorbe circa il 30% del tempo dedicato alle attività che generano ricavi, mentre la restante parte è ancora riservata all’attività tradizionale (gestione della contabilità, dei dichiarativi, dei cedolini paga). I Rossi, invece, sono più concentrati sul business tradizionale. A ulteriore rinforzo dell’idea che gli Azzurri siano più orientati a “fare business”, oltre che a gestirlo, il peso delle attività amministrative, che per gli Azzurri vale il 28% dell’intero tempo lavorativo dello Studio, mentre per i Rossi sale, addirittura, al 43%. Purtroppo a questo maggior tempo dedicato ai controlli non corrispondono, come abbiamo visto, prestazioni economico-finanziarie migliori. Dove risiedono, allora, le altre differenze?

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Le tecnologie: un’arma in più per efficienza e competizione Gli Azzurri utilizzano maggiormente le tecnologie informatiche iged.it

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nell’ambito dell’attività lavorativa, come testimonia l’impiego superiore di software per il controllo di gestione rivolto ai Clienti, la business intelligence e i CRM, che segnalano, inoltre anche una più ampia diversificazione del business. Questi ultimi, in chiave prospettica, sono gli strumenti sui quali rivelano il maggior tasso di crescita (19%), contro il 6% dei Rossi. Anche questo è un segnale del diverso orientamento al mercato, poiché i primi, a differenza dei secondi, sentono di più l’esigenza di profilare i Clienti attuali e potenziali, classificando le informazioni che li riguardano. Anche sul fronte delle tecnologie che supportano più di altre le attività tradizionali (portali ed extranet per la trasmissione e ricezione di documenti in formato elettronico, software per la gestione documentale e la conservazione sostitutiva), gli Azzurri sono più avanti dei Rossi, con percentuali di adozione superiori. Ciò spiega gran parte della maggiore produttività, che contraddistingue gli studi Azzurri da quelli Rossi. I primi, infatti, hanno una produttività pro-capite del personale dedicato alla gestione delle registrazioni contabili, dei dichiarativi e dei cedolini paga. quasi doppia rispetto a quella dei colleghi Rossi. I controlli delle attività e dell’andamento dello Studio Probabilmente perché grossa parte del loro tempo lavorativo avviene all’esterno dello Studio, gli Azzurri si rivelano più propensi

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a utilizzare strumenti di controllo strutturati o, addirittura, specifici. In particolare, per quanto riguarda il controllo del tempo assorbito da attività o Clienti, il 35% di loro utilizza la reportistica proveniente da software specifici o da excel, contro il 20% dei Rossi. Molto coerente con i dati emersi e le diverse propensioni manifestate, la risposta che giustifica la mancata adozione di controlli “perché basta l’esperienza passata o perché ritenuta inutile”. A credere in questa affermazione sono solo il 5% degli Azzurri e ben il 20% dei Rossi. A parte la diversa organizzazione del lavoro – più fuori dallo Studio e hi-tech oriented gli uni rispetto agli altri – emerge anche una differente “cultura” di base nei confronti della tecnologia, vista non come un costo, da parte degli Azzurri, ma come un importante elemento per fare efficienza interna, comprimere le attività a basso valore aggiunto e spingere sul suo uso anche per fare business (consulenza o ampliare le attività tradizionali con servizi collaterali, come per esempio, la trasmissione elettronica dei documenti o la conservazione sostitutiva degli stessi). Il gap sul controllo dell’andamento dello Studio è ancor più evidente, soprattutto per la parte che coinvolge l’utilizzo di software specifici (22% vs 7%). Meno tempo a disposizione nello Studio, più tempo dedicato al business, favoriscono la necessità di avere rapidamente e regolarmente report sintetici per capire dove stia andando lo Studio.

Una necessità ben compresa dal cluster degli Azzurri che, infatti, dedicano alla gestione delle attività amministrative di competenza dello Studio (amministrazione del personale, adempimenti civilistico-fiscali dello Studio, monitoraggio dell’andamento, …) il 28% dell’intero tempo lavorativo, mentre i Rossi sono al 43%! Questa maggiore quantità di tempo è remunerata? Ci sono risultati economico-finanziari che giustifichino ciò? A giudicare da quanto emerso – efficienza e risultati economici migliori per gli Azzurri –la risposta sembrerebbe negativa. Ma non è stato ancora detto tutto… Il mercato: quali strategie? Entrambi i cluster rivelano, anche se in ordine diverso, che i principali concorrenti sono rappresentati dagli Studi Professionali, dalle Associazioni di categoria e dai CAF. Quando uno degli Studi che hanno risposto all’indagine “si scontra” con uno dei tre principali competitor, il più delle volte il prezzo è la leva che viene più utilizzata (Figura 2). Quali significati dare? Sicuramente più di uno: 1. a torto o a ragione il mercato giudica alcuni servizi – prevalentemente quelli tradizionali (gestione contabilità, cedolini paga e dichiarativi) - alla stregua di una commodity, di sevizi indifferenziati, per i quali l’elemento distintivo non è il contenuto, ma il prezzo 2. l’utilizzo frequente di questa leva competitiva alla lunga

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Figura 2: Competitor principali e leve competitive prevalenti

erode i margini e mina l’equilibrio finanziario della struttura 3. se il business tradizionale vuole rimanere la principale se non la esclusiva fonte di reddito per lo Studio, allora, l’efficienza portata ai massimi livelli rappresenta l’unica strada percorribile per restare sul mercato. A fronte di ciò, alcuni Studi hanno reagito e iniziato a diversificare il business, aumentando l’attività di Consulenza, senza per questo abbandonare il business tradizionale, sul quale hanno agito in modo da renderlo solo più efficiente. La reazione a tutto ciò è avvenuta con più frequenza tra gli studi Azzurri, rispetto a quelli Rossi, che si confrontano maggiormente con Società di Revisione e Consulting Direzionali. In questo modo hanno spostato l’at-

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Associazioni di categoria

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tenzione dal prezzo al contenuto, focalizzando il giudizio del Cliente sull’integrazione e sull’ampiezza dei servizi. Come si può vedere dalla Figura 3, in tali ambiti la leva del prezzo quasi scompare, garantendo una migliore difesa della marginalità. Conclusione Sintetizziamo i risultati delle indagini e vediamo quali scenari si prefigurano per il mondo dei Commercialisti e Consulenti del Lavoro: • entrambe le categorie sentono la concorrenza di altri soggetti, alcuni bene organizzati e in grado di spingere l’offerta utilizzando differenti leve, tra le quali la più pericolosa è il prezzo; • l’attuale situazione economica obbliga a essere attenti al contenimento dei costi, dato

che diventa difficile – anche se non impossibile – incrementare il fatturato. Ciò significa dover aumentare il tempo da dedicare alle attività di acquisizione e gestione dei Clienti, alla loro selezione ex ante ed ex post. Con queste premesse la sfida per Commercialisti e Consulenti del Lavoro risiede: • nella possibilità di diventare “mobili”, riducendo la presenza nello studio, a favore di una più assidua visibilità esterna (presso Clienti o eventi propri o di terzi); • nella capacità di diversificare il business, aumentando l’incidenza delle attività meno soggette alla “price competition” e introducendo elementi di servizio legati a competenze distintive; • nel monitoraggio organizzato e strutturato dei flussi di lavoro interni, non solo quelli legati ai processi di business, ma anche quelli di supporto o staff (acquisti, gestione amministrativa dello Studio e del personale, ICT, formazione) per meglio incidere sulle dispersioni e razionalizzare l’impiego delle risorse; • nell’inserimento più pervasivo delle tecnologie informatiche e digitali con due precise motivazioni: > come strumento di supporto alle attività lavorative per renderle più efficienti, produrre dei risparmi di tempo nelle attività a basso

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Le Best Practice per lo Studio Professionale

Il DNA del Professionista è costituito dalla competenza specialistica. Ma non è più sufficiente per governare uno Studio. Occorre diventare un po’ imprenditori e un po’ manager, perché oltre alle conoscenze della propria Professione, bisogna anche saper sviluppare nuovi prodotti o servizi, essere attenti alla motivazione del personale e alla soddisfazione del Cliente, introdurre nuove tecnologie per fare efficienza, eliminando o comprimendo ciò che non genera valore ed enfatizzando ciò che, invece, è in grado di farlo. Occorre rivedere l’approccio nella gestione dello Studio, verificare in modo sistematico i tempi assorbiti da Clienti e attività. Come per le aziende e, in fondo, anche per le persone, il processo di adattamento all’ambiante dev’essere continuo e permeabile alle nuove sollecitazioni. Siccome nessuno di noi dispone della bacchetta magica, ciò che importa è l’elaborazione di una strategia che faccia parte di un piano definito nel tempo, con traguardi precisi e disposti su un asse temporale da monitorare con continuità. Si è visto chiaramente che i due cluster dell’indagine, attraverso

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Figura 3: Nuovi competitor e nuove leve di competizione

comportamenti diversi, hanno ottenuto prestazioni differenti. Ciò, però, non significa che gli Azzurri siano migliori dei Rossi, ma solo che hanno anticipato un cambiamento, ponendo in essere una serie di azioni che li mettessero al riparo da eventuali rischi in grado di minarne la stabilità. Le riflessioni, ma soprattutto le azioni di cambiamento poste in essere da un gruppo sempre più nutrito di Professionisti, sono di conforto per il successo non solo delle singole categorie professionali, ma anche per il mondo delle imprese. Perché, non dimentichiamolo, se parliamo di Professionisti, in realtà, parliamo di imprese!

1. L’indagine “Le best practice nello Studio professionale – Professionisti vincenti” è stata condotta nel corso del 2013 da Claudio Rorato ed Elisa Santorsola della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con TeamSystem. L’indagine ha coinvolto 337 Studi di Commercialisti e Consulenti del lavoro, sparsi su tutto il territorio nazionale e di ogni dimensione in termini sia di organico, sia di fatturato.

Claudio Rorato Osservatorio Agenda Digitale, School of Management del Politecnico di Milano

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La raccomandata corre sul web

Intervista a Claudio Anastasio, Fondatore e CEO di tNotice.

Il nuovo servizio gratuito di tNotice A CURA DELLA REDAZIONE

È nato un nuovo servizio per spedire le raccomandate dal web. Arrivano a destinazione in 60 secondi, sono gratis e hanno lo stesso valore legale di una raccomandata tradizionale.

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creando una nuova figura professionale: l’ingegnere giuridico. Quando mi chiedono il bagaglio di esperienza oggi rispondo portando i fallimenti del passato. Uno startupper, in realtà, è un esperto di fallimenti, senza i quali non avrebbe potuto maturare altrettanto impegno e innovazione. L’avvio di una nuova impresa, in particolare se con forte connotazione innovativa, non è una scommessa. Io non scommetto sul mio futuro e sul futuro dei miei collaboratori, lo costruisco scientificamente, con la conoscenza e la competenza, senza mai accontentarmi dei risultati conseguiti. Innovare significa considerare ogni punto di arrivo un punto di partenza. Com’è nata l’idea? Non credo alle intuizioni brillanti, non credo ai fenomeni mediatici, credo, invece, che ognuno porta in se un bagaglio di conoscenza che viene da lontano e che

può dar luogo, in un certo tempo e in un certo contesto, a trovare un anello mancante per completare un processo di innovazione. Mio padre era un funzionario dirigente delle Poste statali, da bambino marinavo la scuola per andare a giocare con i nastri trasportatori dei sacchi postali. Vivevo i processi di postalizzazione dall’interno, come un gioco, finché una febbre altissima nel gennaio 2008 mi ha portato a liberare la razionalità del pensiero per approcciare a nuove soluzioni con idee innovative. Così le idee sono diventate studio, sono diventate brevetti ed oggi sono pronte per portare innovazione sul mercato. Non è sufficiente avere una buona idea, abbisogna che sia contemporanea. Dieci anni fa era prematuro uscire sul mercato, fra dieci anni sarebbe troppo tardi. A che punto è l’operatività e quando si inizierà a “spedire”? Siamo in beta privata, significa

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L’AUTORE

GIANCARLO BUTTI LA BS7799, LA ISO IEC 27001, CRISC, ISM Master di II livello in Gestione aziendale e Sviluppo Organizzativo QSFTTP JM .*1 1PMJUFDOJDP EJ .JMBOP Si occupa di ICT, organizzazione e normativa dai primi anni 80, ricoprendo diversi ruoli: analista di organizzazione, security manager FE BVEJUPS QSFTTP HSVQQJ CBODBSJ Consulente in ambito documentale, sicurezza, privacy‌ QSFTTP B[JFOEF EJ EJWFSTJ TFUUPSJ F EJNFOTJPOJ Ha all’attivo oltre 600 articoli su 20 diverse testate (è stato per anni NFNCSP EFM $PNJUBUP UFDOJDP EFMMB SJWJTUB JHFE JU F GSB MJCSJ F XIJUF QBQFS BMDVOJ EFJ RVBMJ VUJMJ[[BUJ DPNF UFTUJ VOJWFSTJUBSJ Tiene corsi e seminari, è docente presso ITER e ABI Formazione in BNCJUP QSJWBDZ BVEJU *$5 F BVEJU OPSNBUJWP Âľ TPDJP F QSPCPWJSP EJ "*&" XXX BJFB JU F TPDJP EFM $-64*5 XXX DMVTJU JU Partecipa ai gruppi di lavoro di ABI LAB sulla Business Continuity, di ISACA-AIEA su Privacy EU ed è membro del Comitato degli esperti QFS M JOOPWB[JPOF EJ 0."5

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che stiamo testando il servizio a porte chiuse, completando alcune funzionalità minori. Nella seconda fase offriremo il servizio ad una cerchia ristretta di cinquecento professionisti. La piena apertura sul mercato sarà conseguenza fisiologica, ogni spedizione determina un nuovo destinatario, che a sua volta spedisce e diventa nuovo mittente. Sarà un processo graduale, ma veloce, per permetterci di controllare una crescita sostenibile. Non ci saranno fuochi d’artificio o date di lancio puntualmente disattese, avverrà tutto in maniera naturale. Già oggi alcuni utenti hanno potuto provare le tecnologie più sofisticate che sottendono al processo di consegna, prima di Pasqua un gruppo di avvocati che si sono candidati inizieranno ad utilizzarla quotidianamente. Aspetti normativi: la nuova posta raccomandata e la vecchia sono legalmente equivalenti? L’unica norma di diritto positivo in materia è l’art. 1335 del codice civile, ma da sola non è sufficiente. Con la liberalizzazione del mercato postale, avviata nel 2011, la posta raccomandata degli operatori privati autorizzati dal Ministero dello Sviluppo è equivalente a quella del servizio tradizionale (art. 6 D.Lgs. 261/1999). Ciò che determina gli effetti giuridici di una comunicazione non è la consegna (come per esempio avviene con un semplice avviso di giacenza o con la consegna della PEC), ma la firma per rice-

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vuta del destinatario. tNotice è oggi l’unico strumento digitale di comunicazione a firma, normativamente equivalente al processo tradizionale, ma con in più la certificazione del contenuto della comunicazione inviata. È quindi utile precisare, per fare chiarezza, che la PEC non è uno strumento di comunicazione equivalente alla posta raccomandata, termine utilizzato solo dai media di cui non v’è traccia alcuna nel dispositivo legislativo istitutivo della PEC, poiché manca quell’atto materiale di firma per ricevuta da parte del destinatario, che nella PEC è sostituita dal gestore del servizio (la cartolina AR contiene sia la firma dell’ufficiale postale che del destinatario, unico mezzo probatorio per certificare l’esatto momento di avvenuta consegna). La PEC ha valore legale nel certificare la trasmissione di una comunicazione a una data e ora certa, esattamente equivalente all’invio di un fax, dove viene certificata data e ora di invio e data e ora di ricezione e se la ricezione è stata “OK”. Può ora considerarsi un fax equivalente ad una comunicazione raccomandata? Per chi volesse approfondire abbiamo pubblicato un articolo più completo http://www.tnotice.com/la-pec-non-funzionaecco-perche/ Quali sono i vostri programmi per il futuro? Nel 2011 siamo diventati innovazione selezionata dall’Agenzia per la Diffusione delle Tecnologie per l’Innovazione presso la Presiden-

za del Consiglio dei Ministri per il settore e-government e servizi al cittadino. Per noi un riconoscimento importante che ci ha dato visibilità in campo internazionale. Da lì il passo all’edizione 2013 del Premio Best Practices organizzato da Confindustria Salerno è stato breve, che ci ha portato oggi ad essere tra i protagonisti promotori degli Stati Generali dell’Innovazione, al fianco di importanti operatori internazionali e della Pubblica Amministrazione (http://www.statigeneralinnovazione.it/online/chi-siamo/ promotori-organizzazioni/). Il prossimo appuntamento è al CeBIT di Hannover, dove siamo stati selezionati dal governo italiano tra 1.400 start-up innovative per rappresentare le eccellenze italiane nella più grande fiera mondiale per il settore Information and Communication Technology. Non sono tardate ad arrivare proposte importanti da parte di operatori industriali nazionali ed internazionali, in particolare stiamo vagliando in queste settimane la possibile collaborazione con due grandi gruppi, giganti assoluti nel mercato di riferimento, ma non posso anticipare altro per evidenti motivi di opportunità e riservatezza.

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Il valore dei dati

Come analizzare i dati per creare miglioramento di renato bertuol

In un periodo come il presente dove l’utilizzo della parola Big Data è abbastanza inflazionato, è giusto vedere come realmente i dati, big o normali, possano essere analizzati per creare un vantaggio competitivo o in generale un miglioramento dell’azienda, che è il vero scopo della Business Intelligence (BI) Le 3 ere della Business Intelligence Spesso, purtroppo, i sistemi di BI vengono implementati e usati solo per creare dei report di controllo del fatturato (a volte anche

senza controllo del budget o target) o della produzione, report o cruscotti (dashboard) che ci parlano di quanto è successo e che ci permettono solo di prendere atto della situazione, ma alle origini questo tipo di progetti e software erano chiamati Decision Support System (DSS) e penso che, per avere un VERO sistema di BI, occorre che questo sia uno strumento utile per prendere delle decisioni. Questo è lo scopo dell’analitica predittiva (un sottoinsieme del data mining). Per fare un esempio, molto semplificato, di cosa vuol dire la dif-

ferenza tra un report che parla della situazione passata o attuale e un report con dati predittivi, possiamo pensare al cruscotto di un’automobile di 20 anni fa che ci permette di vedere indicatori come a che velocità si viaggia e quanto carburante abbiamo (es: 1/4 di serbatoio) rispetto al cruscotto di un’auto odierna dove, oltre a questi dati oggettivi, viene dato anche un dato previsionale come l’autonomia residua, è molto differente sapere che ci rimane un 1/4 di serbatoio rispetto a sapere che possiamo percorrere ancora 200km e questo dato po-

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trebbe essere stato calcolato con un semplice forecast con una regressione lineare, piuttosto che con un algoritmo realmente predittivo. La prima era della BI possiamo chiamarla descrittiva, la seconda predittiva e la terza a cui ci stiamo affacciando viene detta prescrittiva perché, oltre a predire un possibile evento, può dare indicazioni su come “gestirlo”, quindi passiamo da una situazione • abbiamo perso il cliente X (descrittiva) • rischiamo di perdere il cliente X (predittiva) • è consigliata fare questa azione per non perdere il cliente X (prescrittiva) Come fare un vero sistema di BI? Un progetto di BI è spesso più complicato rispetto ad altri progetti collegati alla tecnologia, questo perché per risultare un progetto vincente non bastano

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conoscenze di settore e tecnologiche (il software di reporting o il database), ma bisogna anche capire le problematiche dell’azienda, perché in ogni settore le realtà e le problematiche in essere possono essere differenti, addirittura nella stessa azienda problematiche che oggi sono il focus domani potrebbero non ricevere alcun interesse (es.: oggi il mio problema è la gestione del magazzino perché sottodimensionato, domani ho un magazzino più grosso e tutte le analisi che oggi sono vitali probabilmente domani lo saranno molto di meno). Il progetto di BI poi è un progetto che, più di ogni altro, vede al centro l’utente finale che dovrà fare le analisi e quindi la modellazione dei dati dovrà essere fatta in modo che per l’utente le analisi vengano costruite in modo molto naturale. Soltanto in un secondo momento può venire la parte più tecnologica che darà il suo valore aggiunto (inutile avere un sistema

di BI che non mi permetta di fare le mie interrogazioni in tempi accettabili o basarlo su un software che risulta ostico per l’utente nel momento in cui debba costruirsi una sua analisi). Dulcis in fundo, anche se costruisco un ottimo sistema di BI se poi i miei utenti non lo usano in maniera attiva (creando nuove analisi), ma rimangono passivi (ricevendo dei report schedulati) è difficile che lo stesso sistema possa essere apprezzato per il suo reale valore. E parlando di valore non possiamo dimenticare i costi di implementazione di un sistema di BI. Quale deve essere il costo di un progetto di BI? Facendo conto che un progetto di BI non è vitale alle attività produttive ma è un sistema di monitoraggio e miglioramento, dipende da quanto miglioramento un sistema è in grado di generare, e questo valore è dato sia da come il progetto viene sviluppato, ma anche dalle caratteristiche dell’azienda (dimensione del business e grado di miglioramento attuabile). Per questo motivo penso che i soldi vadano prima spesi per lo sviluppo del progetto e poi decidere quanto si può spendere per licenze e/o hardware, viceversa rischierete di avere una splendida auto che rimane ferma in garage e in questo tipo di paragone un progetto di BI ben fatto è un come un’auto che sa portarti in splendide destinazioni. Se quindi bisogna scalare una montagna meglio pensare alle doti da fuoristrada del nostro mezzo prima di

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presenta

DOCUMENTI DIGITALI Nel 2008 veniva pubblicato Dal Documento all’Informazione, volume a più mani con il quale abbiamo cercato di offrire un primo strumento di lavoro per quanti, a diverso titolo, si trovavano alle prese con le problematiche connesse alla gestione della EPDVNFOUB[JPOF BNNJOJTUSBUJWB OFM EJGmDJMF momento della transizione dal cartaceo al digitale. il gradimento incontrato ci ha spinto a ripensare completamente il volume, sia nei contenuti che nella strutturazione logica dei contributi, aprendo ad un confronto con la TJUVB[JPOF EFJ QBFTJ FVSPQFJ MJNJUSPm F QPOFOEP BODIF M BDDFOUP TVMMB GPSNB[JPOF EFMMF mHVSF professionali e sugli strumenti di ricerca delle informazioni.

ROBERTO GUARASCI è professore ordinario di Documentazione presso l’Università della Calabria e Consigliere per l’Innovazione del ministro della Pubblica Amministrazione.

ANTONIETTA FOLINO è ricercatore presso l’Università della Calabria per il settore scienze del libro e del documento.

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Un’iniziativa ITER via dei Valtorta 6 - 20127 Milano tel 02.28.31.16.1 - fax 02.28.31.16.66 www.iter.it - iter@iter.it

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scegliere l’auto per i sedili in pelle o le dimensioni del frigobar. Il tuo sistema di BI è in grado di generare valore? Dette quali sono le caratteristiche di un sistema di BI che crea valore, vediamo quale può essere una checklist per valutare il proprio sistema di BI: - Gli utenti sono autonomi nella creazione di nuove analisi basate sui dati presenti? - Il reporting è solo descrittivo o da anche indicazioni sul futuro? - Qual è il valore economico relativo al miglioramento dell’azienda da quando è stato implementato il sistema di BI? E qual è stato il costo del progetto? - Gli indicatori di sintesi, o KPI, rappresentano un valore a cui possiamo assegnare un target da raggiungere? - Gli indicatori scelti sono quelli che effettivamente mi permettono di capire come sta “lavorando” l’azienda o sono solo il risultato di altri fattori? - Abbiamo un reporting con analisi che incrociano dati di diversi reparti dell’azienda? Un punto importante per creare valore tramite un sistema di analisi dei dati è la possibilità di avere una visione a 360° gradi dell’azienda, avere un reporting che magari va a toccare differenti aree dell’azienda (vendite, magazzino, crediti, marketing) in modalità stagna potrebbe farci perdere di vista fenomeni importanti. Ad esempio un report delle vendite potrebbe festeggiare l’entusiasmante incremento di ordini per

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un certo cliente, ma se incrociando i dati dei crediti quello stesso cliente dovesse risultare essere un cattivo pagatore l’incremento di ordini sarebbe sempre così entusiasmante? E se le vendite vanno bene perché hanno raggiunto il target desiderato ma poi scopriamo che in realtà si è venduto molto poco di un prodotto di cui abbiamo il magazzino pieno? Spesso un sistema di BI viene associato solo all’analisi delle vendite che sicuramente è quasi sempre la parte più importante delle performance di un’azienda ma bisogna avere sempre presente che il risultato finale non è dato solo dal venduto e/o dal primo margine generato sullo stesso, ma è dato anche da tanti altri fattori generati dalla vendita, e quasi sempre l’azienda viene giudicata per il risultato finale e per questo motivo diventa importante poter avere una visione globale dell’azienda e non solo delle visioni parziali. Scegliere gli indicatori giusti è fondamentale nella creazione dei propri report di controllo, un indicatore per essere tale deve poter avere un target da raggiungere altrimenti vuol dire che parliamo di un numero descrittivo di un fenomeno, che può avere la sua importanza nei risultati dell’azienda, ma su cui non abbiamo nessuna leva per migliorarlo. Pensiamo nel controllo di una realtà alberghiera: indicatori legati ai fenomeni meteorologici sono sicuramente importanti, perché se l’estate è piovosa è ovvio che gli alberghi al mare ne risentano, ma

di certo non possiamo dare un target ai giorni di pioggia “ammessi”. Forse possiamo costruire un indicatore che dice se i giorni di maltempo sono più o meno di quelli stimati quando abbiamo definito i target degli altri indicatori (numero di pernottamenti) per farci capire se avevamo considerato correttamente questa “variabile” esterna Conclusioni Come abbiamo visto, un sistema di BI necessita, per poter essere costruito in maniera corretta, di conoscere al meglio non solo le proprie esigenze di analisi, ma anche quelle di miglioramento. Spesso è come un vestito fatto su misura. Altrimenti il rischio è quello di perdere di vista le analisi che creano il vero valore. Quindi per chi ha budget limitati, come spesso le realtà della PMI italiana, guardate prima che il vestito sia comodo e giusto per voi e poi guardate alla griffe.

Renato Bertuol Business Intelligence & Social Media Expert

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La lettura ottica applicata ai documenti d’identità di Francesco Pucino

Ogni volta che facciamo il checkin in albergo, noleggiamo un’auto, sottoscriviamo un contratto o semplicemente accediamo a strutture soggette a controllo accessi, ci troviamo ad esibire un documento d’identità ad un operatore che ne ricopia i dati in un computer, per poterli registrare. Tale attività, se eseguita manualmente, è sicuramente noiosa e non è certamente efficiente: non è infatti rapido e scevro da errori dover ricopiare dati anagrafici, talvolta all’apparenza anche strani, come possono risultare particolari nomi, cognomi ed indirizzi! Per automatizzare tale processo di estrazione e registrazione dati da documenti, Recogniform Technologies negli ultimi anni ha messo a punto una efficace tecnologia di lettura ottica implementata nel prodotto denominato Recogniform ID Processor. Infatti, per trattare documenti quali carta di identità, patente e passaporto, non è possibile infatti usare un tradizionale sistema OCR (Optical Character Recognition) non specifico per questo tipo di applicazione: si rende infatti necessario sia identificare la

posizione esatta dei singoli dati da estrarre, sia isolarli da uno sfondo spesso molto invadente per poterli alla fine leggere otticamente e trasferirli ad un’applicazione terza. Mediante innovativi sistemi di image-proccessing e di riconoscimento ottico, ID Processor dopo

aver acquisito l’immagine del documento, riesce sia a ripulirla, sia ad identificare la posizione esatta dei dati da estrarre, sia ad effettuarne il riconoscimento con elevata accuratezza e velocità. L’uso opzionale dell’interfaccia di verifica, utilizzando il sistema dei semafori, ossia la visualizzazio-

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ne di un dischetto verde, giallo o rosso a seconda del livello di confidenza con cui è stato estratto ciascun dato, consente all’operatore di individuare immediatamente eventuali situazione che necessitino di attenzione. Uno dei plus di Recogniform ID Processor è quello di potersi interfacciarsi con qualunque software in cui si desidera inserire i dati estrapolati dai documenti. Ciò è possibile innanzitutto ad alto livello, grazia alla possibilità di configurare l’applicativo per eseguire l’output sia in modo da emulare la tastiera, quindi esattamente come se un operatore li digiti nell’applicazione terza, sia

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in modo da copiare i dati nella clipboard di Windows, quindi incollabili in qualsiasi altra applicazione, sia in modo da memorizzarli su qualsiasi database o file nel formato che si desidera. Ma è possibile arrivare anche ad un livello molto più basso, utilizzando un apposito SDK che espone una serie di funzioni (API) che consentono di integrare totalmente le funzionalità del sistema in un proprio applicativo a livello di codice sorgente. Recogniform ID Processor funziona in ambiente Windows, si interfaccia direttamente ai più comuni scanner di piccolo formato e gestisce non solo documenti

di identità italiani ma anche stranieri: un ulteriore piccolo gioiello della tecnologia e della creatività made-in-italy!

Francesco Pucino CEO di Recogniform Technologies

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Città intelligenti

Una nuova concezione del welfare di Michele Vianello

La “Città intelligente” (smart) è il luogo dove si utilizzano in modo sistematico ed organizzato i “dati” e la conoscenza generati dall’uso delle tecnologie ICT. Non è sufficiente utilizzare in modo “smart” i sensori e i tablet, è necessario saper valorizzare i “dati” generati dai sensori e dai tablet. Valorizzare i dati significa essere disponibili a condividerli con altri soggetti per arricchirli attraverso un processo di generazione di “intelligenza collettiva”.

Secondo la Società di consulenza McKinsey la “liberazione” dei dati potrebbe innescare nel mondo la creazione di una economia in grado di generare valore pari ad una cifra che oscilla tra i 3 e i 5 miliardi di dollari. Come si capirà bene, la “liberazione” dei dati per generare ricchezza dovrà comportare rilevanti cambiamenti nei comportamenti e nella cultura delle persone, delle Amministrazioni, delle Imprese. Insomma, “open data” non si riduce ad fatto tecnico e ingegne-

ristico. Per dare frutti la “liberazione” dei dati deve cambiare il nostro modo di vivere. Non sfuggirà a nessuno come una parte rilevante dei settori interessati da questa rivoluzione, almeno in Italia, riguardi il mondo della Pubblica Amministrazione o dei servizi definiti di “pubblico interesse”. Anche il mondo delle “public utilities” potrebbe trarne infiniti giovamenti. Tali risorse potrebbero essere reinvestite in innovazione, nel miglioramento dei

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servizi o per alleviare l’ingente debito pubblico del nostro Paese. La liberazione del dato, accompagnata dall’uso del social networking, potrebbe consentire una sempre maggiore profilazione dei bisogni delle persone. Conseguentemente i servizi, anche quelli pubblici, potrebbero essere maggiormente personalizzati. Il diritto ad alcuni servizi, soprattutto quelli che rivestono una natura “universale”, non vorrà più dire “un prodotto eguale per tutti”. Immaginiamo una nuova concezione del welfare basato più sulla soddisfazione dei singoli bisogni delle persone, che su una “universalità senza qualità alcuna”. Attorno all’uso e alla valorizzazione del dato si potrà costruire inoltre una generazione di nuove imprese innovative e nuove figure professionali. La capacità di usare i dati potrà aiutarci ad individuare settori e figure professionali improduttive nel mondo dell’erogazione dei servizi, a partire dai servizi pubblici o quelli gestiti dal pubblico. Parallelamente, serviranno nuove figure professionali di analisti del dato. Questo è uno scenario che è necessario governare e non subire. Il mondo delle imprese private si sta organizzando. Il mondo della Pubblica Amministrazione, sta cominciando a ragionare in questi termini? Purtroppo in Italia la liberazione dei dati si è ridotta in larga parte ad essere culturalmente concepita come una sorta di “voyeurismo”.

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Ciò che per improvvide scelte legislative viene messo a disposizione dei cittadini sono prevalentemente gli stipendi dei Sindaci, dei Dirigenti pubblici, i curricula dei consulenti, l’uso delle auto blu. I dati che ci interessano in formato aperto sono quelli che generano trasparenza, e questo non è in discussione, ma soprattutto quelli che, mescolandosi tra di loro (mashup), generano valore economico e sociale per la società intera. Ovviamente in rete ci dovranno essere anche le “determine dirigenziali”, i bilanci degli Enti e delle loro partecipate, i Piani regolatori, la “cartografia” del territorio. Ma, poiché la cultura che presiede a questo “obbligo” previsto dalla Legge è quella della “trasparenza” per controllare la “produttività dei dipendenti, e non quella del “riuso per generare valore”, i dati sono esposti secondo formati non riutilizzabili. In questo modo il city user non sarà un protagonista di questo processo. Afferma Lawrence Lessing: “Non accetto peraltro l’idea che la modalità RW corrisponda a un’unica attività; per me read-write significa leggere ma anche scrivere, si tratta dunque di un grande remix che ci coinvolge tutti. È un processo riservato a persone che leggono e capiscono profondamente il materiale che stanno leggendo; capiscono dunque perché è importante rimettere in circolazione certe informazioni, le capiscono

e capiscono che sono importanti. Se invece non le capiscono, la narrazione è scorretta.” Fornire ai cittadini gli strumenti per comprendere l’importanza dei dati liberati sarà oggetto dei processi di alfabetizzazione digitale, meglio ancora, di una nuova generazione di alfabetizzazione civica. Se una buona politica sarà intesa come la capacità di fare i conti con la complessità del mondo contemporaneo, Internet e le sue piattaforme, intesi anche come luoghi di generazione di dialoghi (sotto forma di dati) sono gli strumenti da padroneggiare per gestire la complessità, dominare la realtà e creare nuovo valore. In questo senso sarà decisivo ricondurre il tema della trasparenza al dovere e all’eticità, piuttosto che all’obbligo. In questo senso l’assunzione della cultura del dato, anche nella sua valenza economica, verrà ad assumere una importanza fondamentale. Dalla cultura della liberazione dei dati e dalla loro condivisione, dalla conoscenza condivisa ci piacerebbe nascesse, tra i cittadini, una nuova classe dirigente che ancora prova emozioni e propone nuovi orizzonti e obiettivi da raggiungere. Se ci fossero ancora dubbi sulla necessità di un approccio alla liberazione dei dati più sofisticato e comlesso, la lettura dello studio di McKinsey che abbiamo citato più sopra, aiuterà a risolverli definitivamente. La legislazione italiana tuttavia

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non ci aiuta. Il grande limite del Legislatore italiano - che in questo si è differenziato sia dalla legislazione comunitaria, che dalla declinazione data a questo tema da Obama - è di aver assimilato il tema dei dati liberi a quello della trasparenza amministrativa. L’articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, disciplina la trasparenza come “livello essenziale delle prestazioni erogate dalle pubbliche amministrazioni… Questa lettura finalizzata a rafforzare politiche assolutamente necessarie destinate a rendere più

efficaci i controlli sull’efficienza delle Pubbliche Amministrazioni, ha però limitato di molto l’orizzonte progettuale delle Pubbliche Amministrazioni. Il dato aperto è concepito, in questo contesto, esclusivamente come uno strumento per assicurare qualità ed efficienza nella Pubblica Amministrazione. Il CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale) in materia di apertura dei dati appare come contraddittorio nelle sue enunciazioni rispetto al dettato legislativo che abbiamo evidenziato più sopra.

Si afferma ad esempio nel CAD: “I dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall’ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai private”. Come si vede l’ambito di applicazione della Legge potrebbe essere molto più ampio, sia sotto il profilo dei diritti dei cittadini, che sul versante dello sviluppo dell’economia. iged.it

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Per farvi comprendere meglio i limiti del nostro dibattito sugli open data la raffronterò ora con gli scenari che l’innovazione IT ci sta prospettando. La gestione, la disponibilità, la possibilità di utilizzare i dati attiene allo sviluppo di una smart city? Ovviamente la mia risposta è positiva. Aspetti rilevanti della nostra vita quotidiana sono rappresentati o si narrano attraverso i dati. La diffusione combinata dell’uso dei device mobili, del social networkinng, di Internet of Things (200 miliardi di oggetti su Internet entro il 2020), sta trasformando i nostri dialoghi in infinite quantità di bit. Il cloud computing, sempre di più, non sarà il luogo della conservazione dei dati “puri”, non contaminati, né contaminabili, ma il luogo del metticciarsi dei dati. I principali istituti di ricerca affermano che la competizione economica, sempre di più, si sta spostando dall’uso delle materie prime tradizionali, all’uso e alla gestione dei dati. I dati sono già oggi una risorsa di straordinario valore. Tutta l’economia e la vita sociale è permeata dalla competizione per l’uso dei dati. In fin dei conti le nostre preoccupazioni sulla tutela della privacy messa in discussione da un uso non ragionato dei social nertwork, non attengono forse al diritto al possesso e all’uso dei dati e delle informazioni che con grande dovizia depositiamo ovunque?

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Più la vita del genere umano sarà digitalizzata, più aumenterà la quantità di dati/bit prodotta, più aumenterà la competizione per il possesso e per l’uso dei dati, più i cittadini si porranno il problema (insorgere del timore) della tutela della propria privacy. Naturalmente i cittadini porranno agli Stati nazionali la richiesta di una maggiore tutela della loro riservatezza. Il conflitto tra privacy e liberazione dei dati andrà governato prima che esso divenga insanabile, oppure che la tutela della privacy delle persone divenga il pretesto per non “cambiare nulla”. Naturalmente, tutto cambierà ma resterà in molti cittadini il senso di una ingiustizia subita.

Questo processo pone, in forme inedite, la ridefinizione degli elementi fondanti delle democrazie contemporanee. Di fronte a questi inediti scenari, capirete perché riteniamo limitante dedicarci agli “stipendi dei Sindaci”. Assicurare una gestione trasparente della cosa pubblica è importante, ma sarà sempre più importante interrogarci su chi governa questi processi. Chi definisce le ontologie attraverso le quali i dati vengono ordinati? chi stabilisce quali dati sono importanti e quali no? chi ci tutela perché la riservatezza della nostra vita sia garantita? Ecco il motivo di fondo per il quale non mi accontento di ri-

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LA FORMAZIONE AL TOP A MISURA DI OGNI BUDGET

Il continuo aggiornamento è oggi indispensabile non solo per rimanere al passo con i mutamenti di un mercato che cambia sempre più velocemente, ma anche per motivare, stimolare e far crescere le persone della sua organizzazione, per aiutarle a superare i propri limiti e a migliorarsi, quale che sia il loro ruolo all’interno della struttura. Oltre ai corsi interaziendali, ITER è in grado di realizzare per la vostra azienda corsi ad hoc inhouse. Pensa a tutto ITER, dall’analisi del fabbisogno formativo alla gestione dell’aula.

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vendicare genericamente i “data” in formato “open”; peggio ancora gli “open data” provenienti solo dalle attività delle Pubbliche Amministrazioni. Ho già avuto modo di affermare che le città saranno sempre di più un crocevia di dati provenienti dalle fonti più disparate, pubbliche e private. In questo crogiolo di sapere e di conoscenza “virtualizzati”, ma anche di “data smog”, i soggetti “privati” si muovono da tempo valorizzando l’uso dei dati. Hanno già formato le figure professionali adeguate, hanno definito le loro linee di business, stanno cioè prefigurando i loro interessi. Il pubblico è spesso assente da questa competizione. Il Pubblico non li usa, non li sa usare. Concludendo: assumere una strategia in materia di open data da parte di un Ente pubblico implicherà: • passare da una generica liberazione dei dati in formato open all’individuazione di obiettivi di trasformazione di un ambiente urbano indotto dalla liberazione di alcuni set di dati. Bisognerà darsi degli obiettivi economici e sociali raggiungibili e tangibili in tempi ragionevoli. I soggetti che concerteranno tra di loro gli obiettivi da raggiungere, e quindi libereranno i dati da loro generati, potranno essere molteplici: politici, Istituzionali, associazioni di city user, movimenti civici, soggetti economici • sotto il profilo culturale biso-

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gnerà ricordare sempre che il dato open non è una finalità da raggiungere. La liberazione dei dati è uno strumento, è una opportunità per raggiungere obiettivi economici e sociali. L’individuazione degli obiettivi da raggiungere sarà il frutto del conflitto, della mediazione, dell’elaborazione di processi concertativi tra i diversi soggetti dei quali abbiamo parlato più sopra • bisognerà affermare, anche sotto il profilo giuridico, che il soggetto che deve cedere dati (sovranità) non è solo il “pubblico”. Probabilmente il mondo privato (ad esempio quello che gestisce le public utilities) tiene segregati molti più dati “di interesse pubblico” rispetto ad una Pubblica Amministrazione. Va affermata l’idea che, se la rivendicazione di dati “open” è fondamentale nell’Agenda Digitale di un Paese, questa non andrà ridotta, come purtroppo è avvenuto, esclusivamente al pubblico, ma anche al mondo privato Se non si vuole che la rivendicazione dei dati open si trasformi in una nuova “guerra di religione”, o scada nel ridicolo dei “censori delle delibere e delle determine di un Comune”, sarà necessario che anche il mondo privato intraveda vantaggi di sviluppo economico e di crescita. Soprattutto andrà superata anche sul piano legislativo, quella dicotomia tra trasparenza e valore che caratterizza negativamente

la legislazione italiana. Liberare il dato non dovrà più essere considerato come un “obbligo”, bensì come un “vantaggio” per tutti, come un imperativo “etico” per il “pubblico” e per il “privato”. Se si passasse, da parte della società civile e della politica, da una lettura dei dati esclusivamente finalizzata a controllare la Pubblica Amministrazione a una scelta finalizzata a modificarne gli assetti organizzativi e culturali, faremmo uno straordinario passo in avanti. Per realizzare tutto ciò abbiamo il bisogno di adottare, anche nella Pubblica Amministrazione, nuovi strumenti di analisi e di visualizzazione del dato, di formare una nuova generazione di manager e di dipendenti, in grado di utilizzare efficacemente questa straordinaria ricchezza. Avremo sempre di più il bisogno di personale in grado di interagire con i cittadini, in grado di sviluppare un approccio culturale innovativo e creativo ai processi di erogazione del “servizio pubblico”.

Michele Vianello Smart Communities Strategist

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LibreOffice

La suite per ufficio che mette tutti d’accordo di Italo Vignoli

LibreOffice è una suite libera per ufficio, ovvero l’equivalente open source di Microsoft Office, con il 95% delle funzionalità (gli utenti, normalmente, usano tra il 10 e il 20% delle funzionalità, e solo il 3% utilizza quel 5% che non è presente o richiede un workaround) e nessun costo di licenza. Quindi, mette d’accordo chi si preoccupa del budget - perché permette di azzerare un costo - con gli utenti, senza creare problemi in termini di continuità del lavoro e produttività. Ovviamente, per arrivare

a questo risultato è necessario rispettare un processo di formazione - se si tratta di una prima installazione - o di migrazione, per tutti i casi - la maggioranza - in cui gli utenti utilizzano Microsoft Office. Un processo che è stato affrontato, e superato, con successo da organizzazioni di ogni tipo, dal Governo Francese (con 500.000 PC in nove ministeri, compreso il Ministero delle Finanze con 250.000 utenti) alla Città di Monaco di Baviera, che è passata da

Windows a Linux senza creare problemi all’amministrazione pubblica. In Italia, le province di Perugia, Macerata e Cremona, il Consorzio dei Comuni e l’ASL dell’Alto Adige, diverse aziende del settore bancario (che però non vogliono far conoscere il loro nome), moltissime scuole, e ovviamente moltissimi - milioni - utenti individuali. Il processo di formazione o migrazione segue un protocollo ormai collaudato, che sintetizza le best practice dei progetti

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di maggior successo degli ultimi dieci anni (LibreOffice è l’erede diretto di OpenOffice ed è nato su iniziativa della comunità, che era stanca di vedere i destini della suite libera per ufficio sottoposti al volere di un’azienda, indipendentemente dal fatto che si trattasse di Sun per OpenOffice o IBM per Apache OpenOffice). In particolare, il processo fornisce gli strumenti per superare quella resistenza al cambiamento - una resistenza psicologica, legata alle abitudini degli utenti - che è stata l’unico motivo del fallimento o dell’abbandono di alcuni progetti di migrazione. The Document Foundation, l’organizzazione no profit che sta dietro allo sviluppo di LibreOffice, è nata anche per aiutare i processi di formazione e migrazione con la raccolta delle best practice, la realizzazione di una documentazione di base per i due processi, e la gestione della certificazione delle professionalità. è importante, infatti, che i progetti vengano gestiti da professionisti che conoscono la comunità, e che hanno maturato delle esperienze speci-

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fiche di formazione e migrazione. In questo modo, l’organizzazione o l’azienda ha la certezza del successo, e allo stesso tempo l’esperienza del progetto viene portata all’interno della comunità. Il costo di un progetto di migrazione o formazione legato a LibreOffice è inferiore a qualsiasi combinazione dei costi di licenza di Microsoft Office, senza contare che qualsiasi installazione di

grandi dimensioni - indipendentemente dal software - richiede un’attività professionale di assistenza e supporto (per cui non è affatto vero che il passaggio da una versione di Microsoft Office alla successiva non ha nessun tipo di costo oltre a quello delle licenze, perché ha gli stessi costi - spesso nascosti - di ogni altro software). Coloro che pensano di poter migrare dal software proprietario al software libero eliminando tutti i costi, perché considerano - o vedono - solo quello delle licenze, rischiano il fallimento del progetto, in quanto potrebbero poi trovarsi di fronte a un’utenza insoddisfatta che cerca in tutti i modi di boicottare il nuovo software. Al contrario, coloro che rispettano il protocollo, e affrontano per tempo il problema della resistenza al cambiamento, finiscono con avere un impatto tecnico inferiore

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anche alle più rosee previsioni. LibreOffice è molto simile a Microsoft Office, anche se ha un’interfaccia utente un po’ diversa da quella delle ultime versioni (perché continua a mantenere un aspetto più tradizionale rispetto a quello del Ribbon). Una similitudine, però, che nasce da un gruppo di sviluppatori completamente diverso, per cui alcuni comandi sono in una posizione diversa, e in qualche caso addirittura più coerente con il comando, come nel caso del “formato pagina” che si trova nel menù Formato > Pagina e non tra le impostazioni della stampante. I documenti di LibreOffice usano un formato standard ISO riconosciuto da OASIS - un consorzio a cui partecipano centinaia di organizzazioni, enti ed aziende, tra le quali figurano IBM e Microsoft, ma anche la NATO e diversi governi - e chiamato Open Document Format (ODF). Inoltre, LibreOffice legge e scrive tutti i formati di Microsoft Office, a partire da quelli legacy DOC, XLS e PPT fino a quelli delle ultime versioni DOCS, XLSX e PPTX. Per questi ultimi bisogna fare un distinguo legato al fatto che questi formati hanno avuto quattro versioni diverse dal 2007 in avanti - Transitional 2007, Transitional 2010, Transitional 2013 e Strict 2013 (tutti i formati “transitional” contengono porzioni di codice proprietario, per cui creano problemi sia in lettura che in scrittura, che vengono sempre attribuiti a LibreOffice ma in realtà dovrebbero essere

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attribuiti a Microsoft e alla sua strategia di lock in). LibreOffice 4.2, che è stato appena annunciato, contiene moltissimi miglioramenti nella gestione di questi formati Microsoft, che permettono di garantire un livello di compatibilità che non ha confronti nel mondo del software. Peraltro, è sempre possibile incappare in un problema, perché nessun tipo di miglioramento riesce a evitare che gli utenti producano documenti che impediscono - a causa degli errori che contengono - qualsiasi tipo di compatibilità. Faccio un esempio: se un utente cancella i titoli delle slide di una presentazione PowerPoint e li sostituisce con dei riquadri di testo, Impress leggerà questi riquadri di testo come tali e li posizionerà nell’area del testo e non in quella del titolo, con il risultato che l’utente attribuirà il problema a LibreOffice (e non alla propria incapacità di usare PowerPoint). LibreOffice è disponibile per Windows (compreso Windows 8, per tutti coloro che vogliono farsi veramente del male), MacOS X (compreso Mavericks) e Linux. Per rispondere alle esigenze sia degli utenti avanzati che di quelli più conservativi, il software è disponibile in due versioni: 4.2 (corrente) e 4.1 (stabile). Il software è facilissimo da installare, e può essere scaricato gratuitamente dal sito LibreOffice, senza nessuna formalità, a questo indirizzo: http://www.libreoffice.org.

ITALO VIGNOLI Consigliere Associazione PLIO con Delega al Marketing

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Web Marketing per Startup

Come creare ed espandere il tuo brand sul web di Nicolò Corrente

Web Marketing. Cos’è questa parola e perché è entrata prepotentemente nella vita di tutti i giorni di ognuno di noi? A cosa serve? Perché è indispensabile che tu conosca questa materia se hai un’azienda o sei un professionista? Ti sei chiesto perché tutti vogliono o vorrebbero essere online ma nessuno o pochissimi ci riescono veramente? A queste domande cercherò di rispondere parlandoti di come utilizzare il web e sfruttarlo veramente per dare visibilità, alla tua Startup. Prima di cominciare voglio dirti brevemente chi sono e perché forse posso darti qualche buon consiglio. Mi occupo di marketing e comunicazione online ormai da quasi 7 anni, non sono un nativo digitale e non ho ottenuto un dottorato a Yale. Sono una persona normalissima (almeno l’apparenza!) che face-

va tutt’altro e che spinto dalla passione e dalla voglia di creare qualcosa di suo, ha cominciato a studiare questa materia facendone una missione. Negli ultimi 5 anni ho raddoppiato per 4 volte consecutive i miei fatturati, ho aperto 2 Società, creato più di 200 Startup online per professionisti e Aziende, alcune delle quali sono molto floride. Tutto ciò l’ho ottenuto grazie al web marketing, allo studio, all’impegno e alla passione. Ti dico questo anche per farti capire che se vuoi far prosperare la tua Azienda, o se vuoi aumentare la tua popolarità, il mezzo più straordinario che ti mette a disposizione il nostro tempo è il WEB e che puoi riuscirci anche senza essere un magnate, un guru del marketing e anche un figlio di papà (per intenderci io non sono nessuno dei 3). Internet è meritocratico, trasparente, ha memoria storica e ti

mette a disposizione il mercato più grande del mondo. In nessun’altra parte del globo potresti trovare un bacino d’utenza così ampio. Quindi se hai una Startup offline o vuoi crearne una e credi di poter rinunciare al web, ti stai scavando la fossa da solo. Già amico mio, il primo concetto che devi avere bene in mente è: il web è il tuo futuro e l’unica strada per creare ed espandere il tuo brand nel mondo. Rinunceresti all’unico mercato al mondo che non conosce flessione, che non conosce crisi e che ha un trend sempre positivo da 12 anni a questa parte? Direi proprio di no. Attenzione però, ci sono due elementi fondamentali che devi sapere prima di iniziare questo viaggio e che cercherò di spiegarti con una metafora. Immagina di dover fare una gara automobilistica e dopo esserti preparato per mesi, arriva il gioriged.it

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no della gara e mentre i tuoi avversari montano rombanti monoposto preparate da 800CV, tu hai a disposizione una Fiat Banca 900. Servirebbero tutta la preparazione e gli sforzi che hai fatto? Certamente no, verresti calpestato al primo giro. Immagina adesso invece la stessa gara, in una Pista di Formula Uno, con tutti gli avversari campioni allenati, ma con a disposizione tutte Fiat Panda, e tu invece a disposizione una monoposto da 800CV senza avere un minimo di allenamento e preparazione. Hai mai guidato una monoposto? Io sì, e non era una macchina da Formula 1, era molto meno potente. Beh, ti assicuro che senza la dovuta preparazione, ti schianteresti alla prima curva, garantito. La forza propulsiva, il sovrasterzo, la stabilità in curva… non puoi immaginare che fatica e che difficoltà nell’affrontare una curva a più di 100KM/H. Verresti superato dalle Fiat Panda con dei

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piloti capaci di portarle al limite. Ricordati sempre questi due elementi fondamentali. 1. La potenza è nulla senza il controllo (ok l’ho rubata, ma rende l’idea) 2. Se hai il metodo e la preparazione ma non sai come metterli in pratica, non ti serviranno a nulla Prepararti bene, pianifica al massimo la tua strategia e applicala nel modo più giusto, o affidati a chi lo farà per te. Non improvvisare, la tua Attività non può permetterselo, mentre i concorrenti non vedono l’ora che tu lo faccia. Detto questo, torniamo alle potenzialità di internet e a come applicarle alla tua Startup. Devi sapere che il web è l’unica azienda al mondo che ogni giorno adotta le 3 regole più importanti e fondamentali che ogni imprenditore 2.0 dovrebbe considerare come la Bibbia nel proprio business: 1. Rumor Listening

2. Innovazione 3. Fidelizzazione Prima di spiegarti nel dettaglio queste 3 regole, ti spiego perché sono così importanti. Fino al 2004-2005 (periodo definito web 1.0) l’approccio ad internet era diverso e le Aziende che vendevano online dettavano in qualche modo legge, presentavano i prodotti e i clienti si profilavano sul web, in base alle proprie esigenze. Insomma c’era un mercato che veniva dall’alto e andava verso il basso (Top–down), i grandi marchi decidevano l’andamento dei mercati. Era l’epoca del CONSUMATORE nel vero senso della parola, un concetto ormai obsoleto di mercato. Dal 2005 con l’evento del web 2.0 il mondo è radicalmente cambiato, il cliente o consumatore è diventato attore protagonista del mercato. Come? Parlando, incontrandosi e creando la reputazione dell’Azienda, dando pareri, commenti e feedback su un determinato prodotto o servizio. L’andamento del mercato si è totalmente stravolto da Top down (dall’alto verso il basso) a Bottom up (dal basso verso l’alto) dove il protagonista sei tu (ricordate la prima pagina del TIME con scritto semplicemente YOU?) Rumors Ecco che l’Azienda deve saper ASCOLTARE, carpire i bisogni delle persone, i sogni, le aspettative i problemi reali del suo tar-

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get. Internet fa questo, ascolta i rumors degli utenti e tramite questo ascolto costruisce la propria reputazione e il prodotto perfetto. Con l’avvento dei Social Media utilizzati come strumento di aggregazione sociale, ma anche come piazze virtuali, le persone si incontrano, si scambiano idee, progetti, momenti di vita quotidiana, opinioni ed è lì che è più facile capire. E questo permette di fare la seconda azione importante, ovvero poter innovare. Innovazione Abbiamo detto che il mercato è in continua evoluzione, i gusti e le necessità delle persone cambiano continuamente e non esiste posto al mondo migliore del web per percepire questi mutamenti improvvisi e capire il momento giusto per innovare e rinnovarsi. Se stai pensando ad una Startup o ne hai già avviata una, frequentare gruppi di ascolto, pagine fan, siti del settore, ti aiuterà a capire se il prodotto cui stai pensando è realmente richiesto, se c‘è troppa concorrenza o se stai andando nella direzione giusta. Il web ti permette di fare test, di leggere in diretta i feedback sul tuo nuovo prodotto o del perché sono calate le vendite in un determinato settore, quindi rinnovare o cambiare strategia. Sapersi rinnovare e adattare ai mutamenti del mercato è una delle doti migliori che puoi imparare come imprenditore.

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Passiamo quindi alla terza regola che usa il web e che dovresti usare anche tu nella tua Startup. Fidelizzare. Fidelizzazione Una recente statistica rivela che solo il 14% degli utenti ormai compra un prodotto senza prima aver consultato altri utenti online che lo hanno già acquistato. Da ciò capiamo che quanto i tuoi clienti saranno contenti del tuo prodotto, quanto più parleranno bene di te e quindi lo consiglieranno ad altri. Questa è una regola di base del marketing, ma sul web assume un’importanza esponenziale, data la viralità che può avere una notizia rimbalzata sui Social Media. Il web marketing ti da la capacità di targettizzare al massimo i clienti che hanno richiesto un determinato servizio, ti permette di poterli contattare tutte le volte che vuoi con una semplice email, di inviargli offerte speciali, sconti promozionali, di creare per loro forum o chat live dalle quali capirai ogni loro esigenza. Un cliente fidelizzato diventa il tuo miglior spot pubblicitario, il tuo più accanito fan e cassa di risonanza nella community. E il cerchio si chiude come hai potuto vedere, perché da qui si riparte con l’ascolto dei rumors sul mercato. Queste 3 regole hanno reso il web il luogo migliore in assoluto dove fare ricerca di mercato, dove capitalizzare i propri investimenti in studi del tuo settore e dove trasportare i tuoi interessi e la forza

produttiva della tua Startup. Una delle ultimissime ricerche sul web ha visto gli investimenti in advertising e altre forme di pubblicità online superare per ben 2 anni di seguito le altre forme di pubblicità offline. Questo per 2 motivi, efficacia dello spot di colpire solo la fascia di mercato d’interesse, e quindi calcolare con esattezza il ROI (Return on Investiment), e uno spostamento della fascia di popolazione più attiva (e che compra di più) dall’offline all’online. In pratica chi viene online e cerca un prodotto o servizio attraverso i motori di ricerca è già pronto ad acquistare e quindi sarà molto più facile convincerlo. Come? Questa è un’altra storia e ne parleremo nel prossimo articolo. Intanto spero di averti fatto comprendere di come il web ha cambiato il mondo del business e di che straordinaria opportunità abbia tu di trasportare la tua Startup on line, scommettendo sul futuro, che è già presente.

Nicolò Corrente Ideatore e fondatore di FormulaStartUp.it, Laboratorioebook.it

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Immagini: evoluzioni delle nuove generazioni di MAURIZIO BONAS

Parlare di immagine in Italia, in questo momento, può sembrare “imbarazzante” ma nulla vieta alle nuove generazioni di reinterpretare la comunicazione mandando messaggi visivi innovativi e, soprattutto, provocatori all’interno del contesto socio-economico attuale. Quando ero giovanissimo, un po’ di tempo fa , durante un periodo di affannosa ricerca di un lavoro un signore mi disse una frase che mi ha aiutato durante tutto il percorso della mia vita: ”ricordati che, anche in periodi di crisi, se cerchi, il lavoro c’è sempre e lo trovi. Basta pensare come e lui appare… ricordalo sempre.. è la determinazione nel voler fare che ti permette di trovarlo”. Detta oggi questa frase ha un sapore di assoluta attualità. Le opportunità vanno trovate con idee nuove e confrontandosi con gli altri, siano essi amici che condividono una situazione o una discussione, oppure concorrenti di paesi emergenti. La molla per smuovere i mercati di oggi è legata alle immagini e

alla fantasia descrittiva delle nuove generazioni che, con grandi sforzi, devono comunicare le loro idee e commercializzarle. Vorrei dire anche che le nuove generazioni non possono pensare di farsi aiutare dalle precedenti e quindi, preso atto del nuovo scenario, devono rimboccarsi le maniche e muovere la nuova grande macchina della comunicazione iged.it

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attraverso social network o blog, non importa, ma meglio se forme nuove di dialogo. Vendere dei prodotti italiani nel mondo richiede fantasia e qualità e la qualità deve essere sia nei prodotti stessi che nel servizio ma, attenzione, questo cambia completamente lo scenario della comunicazione che può essere suddivisa in varie forme di marketing visivo e di dialogo con il fruitore del servizio o il compratore del prodotto. Certo non possiamo pensare che questo sistema europeo aiuti con tutte le sue vecchie reticenze socioculturali e con la finanza nemica del nuovo “non garantito”, ma possiamo guardare avanti sapendo che solo evolvendo le varie strategie di comunicazione possiamo aprire nuovi mercati.

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Oggi il pubblico legge solo i titoli dei giornali o, forse, le sole locandine, pertanto dobbiamo attirarlo con formule che colpiscano visualmente le persone. La comunicazione immediata e reattiva. Tutto questo deve assolutamente passare da tre fattori: • per prima cosa essere positivi verso il nuovo • per seconda metterci allegria e buonumore e, infine, • creare nuove situazioni senza guardare ciò che è stato e senza ascoltare troppo le sirene del passato. Contestualmente ai tentativi dovremmo avere un Governo che non metta solo tasse, ma apra nuovi orizzonti di speranza e permetta alle idee di essere attuate concedendo alle aziende la de-

trazione gli investimenti, sia sulle tecnologie che su i progetti nuovi che le aziende stesse vorrebbero attuare ma non osano, dato il clima di rigidità in atto. Abbiamo bisogno di persone illuminate che diano spazio alle iniziative e non possiamo più aspettare. Regole ne sono state messe anche troppe, adesso abbiamo bisogno di “aria e gioia” e non di severa e depressiva comunicazione.

MAURIZIO BONAS Stilista, creatore, promotore

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Visual Shopping L’occhio vuole la sua parte di Federico Venturini

Vendere online. Da quando Internet è quella che conosciamo, si è ampiamente discusso di come comunicare correttamente, di come promuoversi efficacemente e soprattutto di come utilizzare la rete come canale di vendita. Con alterne fortune. Dall’icona col carrello, al social shopping, dai gruppi di acquisto ad eBay, dalle aste al booking, le transazioni sul web hanno assunto molteplici forme e modalità, talvolta trainate dalle mode del momento. L’ultima tendenza, che stupisce per i numeri che sta producendo, è appunto la promozione dei pro-

dotti in vendita, attraverso contenuti visuali. Se la cosa in sè può sembrare banale (da che mondo è mondo, mostrare una merce è sempre utile alla vendita), il rapido sviluppo di nuovi social network visuali sta dando un forte impulso a queste dinamiche. Una recente e ormai famosa ricerca di Bizrate Insights ha evidenziato come i visual social network siano determinanti nell’innescare il processo di acquisto, spesso immediatamente, a volte in seconda battuta, altre volte facendo percepire il bisogno di acquisto che

poi viene soddisfatto in seguito, se non addirittura offline. Come si vede dai dati, ben il 32% del campione osservato da Bizrate Insights dichiara di aver aquistato: il 26% seguendo il link associato all’immagine, e una minoranza del 6% con una ricerca del prodotto avvistato, nella stessa sessione di navigazione. Un altro 37% del campione ha dichiarato di non aver proceduto all’acquisto, ma di aver tuttavia visto prodotti che intende comprare: il 10% perchè non è stato in grado di trovarli immediatamente (quindi potenzialmente iged.it

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assimilabile al segmento precedente), il 27% perchè non ha avuto tempo/voglia di cercarlo immediatamente. Solo il rimanente 31% ha dichiarato di non aver visto cose che vorrebbe acquistare. Sembra in sostanza che nel 69% dei casi i visual social network siano stati determinanti nell’innescare il processo di acquisto o per lo meno nell’alimentare il bisogno che potrà determinare la vendita in momenti successivi. Pinterest e i suoi fratelli, a condizione che chi li utilizzi sviluppi una solida content curation, stanno dunque diventando dei veri e propri incubatori di clienti per i siti di e-commerce, soprattutto per alcuni settori merceologici: moda, arredamento, artigianato e oggettistica, senza tuttavia escluderne altri. Non è un caso che siano ormai diversi i Brand, anche italiani, che sono particolarmente attivi su Pinterest per promuovere i

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prodotti dei propri e-commerce. Le Profumerie Limoni hanno sviluppato per tutta un’estate un contest sul lifestyle degli utenti (http://pinterest.com/ pin/204421270556770564/) con incentivi per portarli sul punto vendita. La Pasticceria Matilde Vicenzi è arrivata su Pinterest con un altro contest (http://matildetiramisu.it/concorsopinterest/) che ha avuto una buona risonanza in rete, tanto da coinvolgere numerosi foodblogger. Audi Italia ha invece coraggiosamente rinunciato a pubblicare sulle sue pinboard (le bacheche di immagini di Pinterest) le proprie automobili come era invece naturale aspettarsi, privilegiando immagini che alludono ai valori condivisi con i propri utenti/clienti. Un approccio bottom-up e una scelta di segno opposto rispetto all’autoreferenzialità di cui spesso cadono vittima i grandi Brand sui Social Media e che sembra stia

premiando Audi Italia in termini di gradimento e coinvolgimento degli utenti. Sono da segnalare anche i casi di Benetton (http://pinterest.com/ benetton/) ed Einaudi Editore (http://pinterest.com/einaudieditore/), quest’ultimo particolarmente abile nel pubblicare settimanalmente le copertine delle ultime uscite. Non mancano scelte alternative, come quella di Piero Guidi che affida il proprio Visual Social Marketing alla piattaforma Pinspire (http://www.pinspire. it/PieroGuidi). Questa panoramica, per quanto breve e non certo esaustiva, ci conferma però un principio fondamentale: l’occhio vuole certo la sua parte, e i visual social network cercano di accontentarlo; tuttavia, al di là delle molteplici piattaforme, è ancora una volta la comprensione dell’utente, dei suoi bisogni, delle sue aspettative che deve guidare la strategia di social media marketing. Altrimenti limitarsi a pubblicare figurine, rischia di essere un esercizio sterile.

Federico Venturini Web things consultant

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Fin dalla preistoria l’uomo ha usato delle immagini per comunicare con i suoi simili: i graffiti sulle pareti delle loro grotte raccontavano di trionfi di caccia, del pericolo di una invasione nemica fino alle interpretazioni più recenti che ipotizzano significati simbolici, magici e propiziatori. Ma facciamo un salto di qualche decina di migliaia di anni e arriviamo ai nostri tempi e alla pubblicità: un fenomeno mediatico che gioca un ruolo fondamentale nell’ambito dei moderni mezzi di comunicazione. Oggi la pubbli-

cità ha in gran parte abbandonato l’uso dell’illustrazione, in cui molti artisti si sono cimentati, per adottare l’espressione fotografica. L’ultimo che ha fatto della grafica e dell’ illustrazione il suo tratto distintivo nella comunicazione e stato il torinese Armando Testa, di cui ho già parlato in queste pagine. Conciliando le discipline più svariate e sperimentando continuamente nuove forme di applicazione, la pubblicità si dimostra sempre di più come un contenitore di estrema versatilità.

Ma è ancora più interessante osservare come la pubblicità si sia rinnovata, divenendo, attraverso un sapiente utilizzo dell’immagine, ed in particolare dell’immagine fotografica, uno strumento di contestazione e denuncia sociale. Ne esiste un esempio emblematico nella produzione fotografica italiana (seppur noto ormai anche su scala internazionale): il caso di Oliviero Toscani. Il suo nome è stato dapprima associato a un grande creativo pubblicitario scomparso di recente, Emanuele Pirella (sua la, ai temiged.it

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pi, contestata campagna per Jesus Jeans “Chi mi ama mi segua”). In seguito è stato per molto tempo anima creativa di un importante marchio d’abbigliamento italiano, che ha collaborato col fotografo nella ricerca di un’identità specifica per il brand, riuscendo a creare un’identità dall’indiscusso valore simbolico, attraverso la scelta di campagne pubblicitarie dal forte impatto sociale. L’irriverenza dei soggetti scelti dall’artista, fa di Toscani e della Benetton i precursori di una pubblicità nuova, che ha sollevato molte polemiche e che proprio per questo risultato ha conquistato il riconoscimento di efficace strategia comunicativa. Questi due attori della moderna comunicazione hanno inoltre contribuito a ridefinire il ruolo

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dell’immagine nella pubblicità, in particolare imponendo a quest’ultima l’utilizzo della fotografia intesa come “arte pura”. Un altro degli ormai numerosi esempi di fotografia pubblicitaria è quello relativo ai lavori di Martin Parr. In questo tipo di pubblicità si sfrutta il solo messaggio visivo, spogliato di ogni possibile componente verbale. Inoltre, così presentata, la pubblicità non reca in sé alcun segno visibile delle comuni strategie persuasive. Questo messaggio è proposto nella sua “forma originaria”, senza le contaminazioni impiegate nei moderni modelli comunicativi. L’arte e la pubblicità si mescolano, e questo fatto può essere positivo nella misura in cui sia la seconda a beneficiare dei condizionamen-

ti della prima. La contaminazione tra le forme d’arte, adattate alle tecnologie della nostra epoca, rappresenta uno degli aspetti più affascinanti della contemporaneità. Per questa ragione la pubblicità è una nuova forma d’arte, moderna e complessa, guidata non solo da imperativi economici, ma anche e soprattutto da fattori esterni, tendenze ed esigenze sociali, espresse dall’implicazione in tali processi, di forme artistiche arricchite e adattate. Anche i mezzi espressivi danno senso al messaggio. Per un messaggio simbolico è preferibile il disegno, manuale o al computer, per uno realistico la fotografia. Anche se la macchina fotografica può mentire come e più di un disegno, per il fatto che supponiamo che la fotografia mostri la

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realtà, l’inganno è più facile: vedere è già un po’ credere. Basta semplicemente intervenire sul taglio, sull’inquadratura di una foto che il senso cambia. Potremmo considerare la fotografia un falso d’autore, perché è sempre una parte per il tutto (una sineddoche), elimina il contesto, altera le misure ed i colori ed è un punto di vista strettamente personale. Se pensiamo poi alla quantità di trucchi fotografici oggi possibili per mezzo della computer grafica ci rendiamo conto di quanto la realtà della fotografia sia ormai inattendibile. Con Photoshop, cambio di colore, cancellazioni, ridimensionamento dell’immagine o di un particolare, duplicazioni di parti, ritocco fotografico, eccetera, permettono di modificare le foto a piacimento. Ma resta il luogo comune della foto = realtà. Per cui se si debbono mettere in evidenza delle particolari bontà di un prodotto è consigliabile farlo, per quanto possibile, con la fotografia. Per gli alimentari ad esempio è sempre consigliabile la foto, perché con una bella foto ‘still life’ la merendina o l’hamburger acquistano in desiderabilità, in appetising, cosa che non avviene con il disegno. La fotografia è inoltre più adatta del disegno per sostenere dei discorsi emotivi ed irrazionali, che si rivolgono direttamente ai sentimenti ed ai desideri, perché, essendo visto come mezzo diretto, nasconde meglio le manomis-

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sioni degli autori. Se vedessimo disegnata la bella famiglia della colazione, la vivremmo molto diversamente, come una favola, meno realistica. Viceversa tutto quello che è nel mondo del glamour ha bisogno della fotografia, ma soprattutto dei fotografi che diventano parte integrante del prestigio dello stilista con cui lavorano. Così è stato per Helmut Newton, Richard Avedon, Bruce Weber, Lachapelle nel passato il cui posto nell’olimpo del glamour oggi è stato preso dai vari Mondino, Mario Testino, Demarchelier, Steven Meisel, Annie Leibovitz e dall’osannato Terry Richardson. Figlio del famoso fotografo Bob Richardson, newyorkese, classe ’65, è considerato il guru della fotografia di moda. Ha realizzato controverse e spesso censurate campagne per Gucci, Levi’s, Miu Miu, Hugo Boss, Sisley e lavorato per riviste come GQ, Vogue, Harper’s Bazaar, Sport Illustrated. Nel 2010 è il fotografo del calendario Pirelli “The Cal”. Per concludere vorrei riportare una citazione da le “Confessioni” di D.Ogilvy: “il soggetto dell’illustrazione è molto più importante della tecnica impiegata. Come sempre avviene in pubblicità il contenuto prevale nettamente sulla forma. Se si ha buona intuizione sul soggetto non occorre poi essere dei geni per scattare fotografie su di esso”.

Umberto Raimondi Creativo pubblicitario

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La fot ografi a nel e pen giudiz ale io

civile

a i c a c fi f e ’ l l e d i t i m i l i e e r

Il valo probatoria di Roberto Galvagno

La fotografia quale mezzo tecnico idoneo a fissare e a prolungare la visione, non è altro che una modalità in cui può atteggiarsi la doverosa descrizione dei luoghi nonché espressione della costante lotta dell’uomo contro l’azione erosiva ed abolitiva del tempo, nell’intento di documentare, provare le situazioni di fatto e/o giuridiche in essa rappresentate. Tale definizione appare ancor più concreta in ambito giuridico, in cui la fotografia, assurge a rango di “prova documentale”, di natura diretta, essendo di per sé finalizzata a rappresentare fatti, perso-

ne, luoghi o cose. Se il documento può comunemente identificarsi in “qualcosa che fa conoscere qualcos’altro”, giuridicamente, in quanto documento, la fotografia è quindi lo “strumento che consente la formulazione di un giudizio circa l’esistenza di un fatto o atto. La valenza probatoria dello strumento fotografico si atteggia in maniera differente a seconda che si verta in ambito civile o al contrario si ricada in un accertamento di natura penale. Sotto il profilo processual-civilistico le riproduzioni fotografiche rientrano nel novero delle “ripro-

duzioni meccaniche” descritte dall’art. 2712 c.c., quali strumento di “prova atipica” o “precostituita”, di formazione extraprocessuale, costituenti piena prova dei fatti e delle cose dalle medesime rappresentate, se colui contro il quale vengono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Sull’efficacia probatoria da riconoscere ad esse, vi sono due differenti tendenze: o l’assimilazione della riproduzione fotografica alla scrittura privata, e, dunque, ad una vera e propria prova legale che, in mancanza di disconoscimento, diviene viniged.it

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colante per tutti i giudici che ne prendano cognizione e dovranno considerarla genuinamente formata, oppure l’attribuzione ad essa del valore di semplice prova, come tale liberamente valutabile dal giudice secondo il principio generale del prudente apprezzamento e libero convincimento dettato dall’art. 116 c.p.c.. Il legislatore, invero, non parla “né di piena prova fino a querela di falso”, né di semplice prova, bensì di “piena prova” vincolante soltanto il giudice davanti a cui essa non sia stata contestata ovvero, il cui eventuale disconoscimento sia stato superato da prova contraria. Ciò in quanto, in caso di disconoscimento, l’eventuale verifica positiva consente di equiparare la riproduzione fotografica alle altre prove liberamente apprezzabili dal giudice, mentre, al contrario, un esito negativo, condurrebbe a ritenere che essa rappresenti una presunzione o un indizio in quanto tale suscettibile di essere

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confortata o confutata dagli altri elementi di prova e dalle altre risultanze processuali. Differente rilevanza ed efficacia assumono invece i c.d. riconoscimenti fotografici in ambito processuale penale, assumendo, i medesimi, natura di accertamento di fatto, sempre utilizzabile dal giudice, in virtù dei principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice, che consentono di ricorrere a strumenti di prova non necessariamente legali o tipici; il valore probatorio del riconoscimento non è comunque assoluto, ma suscettibile di variare nella misura in cui trova riscontro ed integrazione in altri elementi che emergano dagli atti processuali, presentando tante maggiori garanzie di certezza tanto più esso risulta ricollegabile all’attendibilità e dichiarata certezza dell’autore, e obbligando il giudice, indipendentemente dal valore probatorio, a verificarne i

risultati con maggior rigore. Prevedendo nell’art. 189 c.p.p. “prove non disciplinate dalla legge”, il legislatore penale ha accolto un sistema in cui le prove atipiche (ossia non disciplinate dalla legge) non vengono escluse a priori, ma ammesse previa verificazione dell’idoneità della prova ad assicurare l’accertamento dei fatti (vale a dire che la prova atipica deve contribuire alla conoscenza della realtà storica oggetto dei fatti di causa) ed il rispetto della libertà morale e di autodeterminazione del soggetto nell’assunzione della prova medesima. Il giudice penale, nell’esercizio dei poteri discrezionali e di valutazione che l’ordinamento gli conferisce, ha quindi facoltà di trarre il proprio convincimento da ogni elemento, anche fotografico, con concreto valore indiziante o probatorio, pur esulante dal novero delle prove legali tipiche, costituente accertamento di fatto utilizzabile nel giudizio, e quindi idoneo all’accertamento dell’antigiuridicità dei fatti e collegato al vaglio di attendibilità derivante dalla successiva deposizione dell’esaminatore delle foto medesime il quale si dica certo della compiuta identificazione. Anche sotto il profilo penalistico, così come in quello civilistico, resta ferma l’atipicità del riconoscimento fotografico, con la debita precisazione, tuttavia, che comportando per sua natura notevole insidiosità, in ossequio alla garanzia costituzionale di presunzione di non colpevolezza e al favor rei, può essere posto alla base di una pronuncia di condanna soltanto

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quando non produca margini di incertezza nel raffronto e vaglio con i risultati emergenti dall’uso di altri strumenti probatori. Ciò debitamente premesso, l’utilizzo di documentazione fotografica in ambito processuale a fini probatori non può comunque avvenire indiscriminatamente, soggiacendo a ben precise limitazioni poste dall’imprescindibile esigenza di tutelare il diritto alla riservatezza, quale diritto fondamentale e personalissimo dell’individuo, di matrice costituzionale, garantito dagli artt. 2, 13, 14, 15, e 21 Cost., suscettibile, nell’era informatizzata e tecnologica, di subire notevoli compressioni e menomazioni, soprattutto attraverso sofisticati e particolarmente insidiosi mezzi tecnologici di ripresa visiva, dotati di un’accentuata capacità di penetrazione ed intrusione nella sfera privata altrui e di vanificazione degli accorgimenti protettivi normalmente adottabili, quali appunto i videofonini, che consentono al detentore in qualsivoglia momento della vita quotidiana, di ingerirsi arbitrariamente nella privacy altrui, catturandone agevolmente immagini mediante l’uso di MMS o fotografie, diffondendone il contenuto a terzi, attraverso strumenti di interazione informatica di messaggistica istantanea (quali messanger, skype ecc…) ed i social network (quale facebook). Si è reso pertanto necessario l’intervento correttivo del legislatore che, accanto all’introduzione di specifica fattispecie di reato di cui all’art. 615-bis c.p. diretta a

punire le condotte antigiuridiche di illecite interferenze nella libera estrinsecazione della personalità all’interno dei luoghi in cui tipicamente si svolge la vita privata, domestica e professionale dell’individuo (quali appunto i luoghi di privata dimora, l’abitazione, il domicilio professionale), in occasione dell’emanazione del D.Lgsvo n. 196/2003 recettivo del Codice in materia di protezione dei dati personali, meglio noto come “Codice della Privacy”, ha stabilito nell’art. 167, un’autonoma fattispecie criminosa discendente dall’illecito trattamento dei dati personali, diretta a punire la comunicazione sistematica attraverso il videofonino e la diffusione anche via Internet delle immagini captate lesive del diritto alla riservatezza altrui, qualora non risultassero garantiti il rispetto per i diritti degli interessati, la sussistenza di un’adeguata informazione preventiva, e la richiesta, quando necessario, del preventivo consenso libero ed informato, formalmente espresso per iscritto per il caso di trattamento di dati “sensibili”. Uniche deroghe all’obbligo di preventiva informativa all’interessato del trattamento di dati personali e della possibilità di trattare i dati personali e sensibili senza il consenso dell’interessato, sono state previste con esclusivo riferimento alla tutela giudiziaria dei diritti entro rigorosi e precisi limiti, allorché i dati personali debbano essere trattati per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che essi siano trattati esclusivamente per tali fi-

nalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento; unica situazione, a rigore, in cui venendo in considerazione un diritto anch’esso di natura costituzionale, quale il diritto alla difesa, di pari rango rispetto al diritto alla privacy, è ammissibile la compressione di quest’ultimo, purché, in ogni caso, l’esplicazione del diritto alla difesa sia effettuata secondo correttezza e mantenuta entro gli stretti argini dei principi di verità e completezza nel trattamento dei dati, di pertinenza rispetto all’oggetto del giudizio, di non sproporzione e non eccessività rispetto al tempo strettamente necessario per far valere il diritto in giudizio. Tutela ancor più rafforzata per l’ipotesi di trattamento di dati sensibili (afferenti cioè allo stato di salute e vita sessuale, origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, opinioni politiche, libertà associativa), richiedendosi in tale ipotesi che il diritto da tutelare in giudizio sia di rango pari a quello dell’interessato ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Per le finalità ora descritte non è pertanto necessario né il consenso dell’interessato, né l’autorizzazione del Garante per trattare dati semplici o sensibili relativi a terzi, ove ciò sia necessario per far valere un diritto in giudizio nei limiti ben definiti, ammettendo eccezionalmente una deroga all’obbligo della privacy al fine di consentire il naturale e segreto espletamento dell’attività difensiva ed investiiged.it

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gativa volta alla ricerca di informazioni e costituzione di prove da utilizzare in giudizio a fondamento della domanda di tutela azionata. Ciò debitamente premesso, la sorte, al contrario, di tutti i dati personali e/o sensibili che siano stati trattati in violazione dei limiti posti da tali norme, in termini di validità, efficacia ed utilizzabilità di atti documenti e provvedimenti basati sul trattamento di dati personali non conformi a disposizioni di legge o di regolamento, in conformità con la previsione dettata dall’art. 160 T.U. Privacy, è differente a seconda che si verta di materia penale o civile: mentre in materia penale la sanzione applicabile è quella di cui all’art. 191 c.p.p., ossia l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, al contrario, in materia civile, risulta impossibile delinea-

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re una regola generale, mancando una previsione sanzionatoria ad hoc, e, perciò, la valutazione circa l’ammissibilità delle prove frutto di illegittima formazione, deve ritenersi interamente rimessa alla valutazione discrezionale del giudice ex art. 116 c.p.c., salvo differenti previsioni di legge speciale. In altri termini, concludendo, se nel processo penale può affermarsi con certezza che, prove assunte violando la normativa sulla Privacy, debbano considerarsi inutilizzabili, nel processo civile, nell’assenza di una specifica previsione normativa in tal senso, l’inutilizzabilità non è automatica conseguenza, dovendo essere il giudice a valutarne l’utilizzabilità, caso per caso, nell’esercizio del potere di prudente apprezzamento di cui è investito ai sensi dell’art. 116 c.p.c.. In conclusione, considerando, che l’evoluzione

tecnologica consente di portare con sé, ovunque, strumenti dotati di meccanismi di ripresa fotografica, per natura destinati ad assolvere ad altre funzioni, è chiaro che diviene spontaneo, e di impatto immediato, per il soggetto divenuto testimone oculare di situazioni di rilievo civile e/o penale, servirsi del dispositivo tecnologico in suo possesso per documentare a memoria storica i fatti cui ha involontariamente assistito; la fotografia risulta così di indispensabile ausilio per la giustizia.

Roberto Galvagno Avvocato, Studio Galvagno

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La medicina difensiva di Antonino M. Grande

La medicina difensiva si basa nell’effettuazione di esami clinici diagnostici e trattamenti medici o chirurgici, non tanto per assicurare il bene e la salute dei pazienti, ma a garanzia e testimonianza delle responsabilità medico – legali in caso di possibile azione legale mossa dai pazienti. In definitiva, determina la trasformazione della professione medica che rimane preda dell’insicurezza e del timore di finire in un’aula di tribunale. Il medico finisce per sospettare che ogni paziente o familiare sia un potenziale contendente in tribunale determinando una perdita nella fiducia ed incrinando il rapporto medico – paziente. Inoltre, quando il dottore compie un errore risulta riluttante a scusarsi con il paziente od i familiari per il timore che tale atteggiamento risulti come un’ammissione di colpa. L’affermarsi della medicina difensiva, conseguenza diretta ed inevitabile della profonda crisi della medicina attuale, è essenzialmente dovuto all’evidente rapporto di sfiducia relazionale tra medico e paziente. I classici principi etico-deontologici dell’arte medica barcollano e la paura di venire denunciati determina un vero e proprio allontanamento da quello che costituisce lo scopo della loro

professione: agire nell’esclusivo interesse e bene del paziente. Un dato è incontrovertibile: i medici sono sotto attacco e le vertenze giudiziarie sono in costante ed esponenziale aumento. Ne deriva che, nonostante gli spettacolari progressi di acquisizioni tecnologiche conseguiti, i medici si trovano costantemente ad un bivio: assumere un atteggiamento prudente nei confronti del rischio di incorrere in eventuali addebiti di responsabilità professionale per possibili complicanze od insuccessi, oppure praticare con co-

raggioso rigore e con coscienza scelte procedurali, diagnostiche e terapeutiche, senza inutili devianze prudenziali. Il problema della medicina difensiva sta divenendo sempre più grave e persino il medico che non ha mai subito una denuncia per malpractice è consapevole di avere una spada di Damocle sul proprio capo e di poter essere denunciato prima o poi nel corso della sua attività. A Pavia nel maggio 2011, al convegno della Scuola Superiore Universitaria IUSS, il Prof. Maurizio Catino ha

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presentato i risultati di un’indagine, condotta nel 2010, su oltre 1.300 medici operanti nel settore dell’urgenza: oltre il 90 % degli interpellati ha ammesso di aver praticato almeno una volta la medicina difensiva nell’ultimo mese di attività. La ricerca ha messo in evidenza che tale comportamento è diretta conseguenza dell’aumento delle denunce sporte dai pazienti contro medici e strutture sanitarie, aumentate dal 1994 al 2008 di oltre il 200 %. Questo dato si è, ovviamente, riflettuto sui costi assicurativi delle Aziende sanitarie locali che nel 2007 hanno superato i 450 milioni di euro mentre nel 1994 ammontavano a 35 milioni ( Ania [ Associazione nazionale imprese assicuratrici ], 2009, “L’assicurazione italiana 2008 / 2009” ). Da questi dati si comprende, in effetti, l’esplosione della pratica della medicina difensiva e, alla luce di un’indagine presentata all’Ordine dei Medici di Roma dal Prof. Aldo Piperno, Università Federico II di Napoli, si stima un costo pari all’11.8 % della spesa sanitaria totale, quasi 13 miliardi di euro (www.quotidianosanità.it Esplode la medicina difensiva. Quasi 13 miliardi l’anno per prestazioni che forse non servono. 23 Novembre 2010). Si possono evidenziare diverse cause che probabilmente hanno dato origine ad un atteggiamento non del tutto consono sul piano deontologico: • L’aumento delle patologie curabili con metodiche e terapie che sono in costante evoluzione ed implicano un conti-

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nuo aggiornamento medico • L’intervento sempre più frequente delle associazioni in difesa del malato volte a sensibilizzare i pazienti che prendono pienamente coscienza dei propri diritti • L’attenzione continua dei mass media nell’evidenziare ogni eventuale episodio di malasanità. È stato proposto di distinguere una medicina difensiva positiva ed una negativa. La prima si verifica quando un medico prescrive un numero eccessivo di esami di laboratorio, radiologici o di altra natura e/o una serie di farmaci inutili o in eccesso, al solo scopo

di tutelarsi sul piano medico-legale. Anche il ricorso a pratiche diagnostiche o terapeutiche invasive e non giustificate fa parte di una medicina difensiva attiva. Il medico assume un comportamento cauto, mirato a fare ricorso a servizi aggiuntivi quali esami diagnostici, visite e trattamenti essenzialmente non necessari che hanno come fine: • Ridurre le chances di conseguire risultati negativi • Raccogliere documenti clinici che possano attestare che sanitari hanno operato bene in maniera tale da cautelarsi da eventuali azioni legali • L’esecuzione di vari esami

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e/o procedure può indubbiamente avere azione dissuasiva sui pazienti che vogliano intraprendere un’azione giudiziaria. La medicina difensiva negativa consiste, invece, nell’evitare qualsiasi procedura diagnostica o terapeutica utile al malato, ma considerata rischiosa. Il medico si astiene dall’effettuare test o procedure terapeutiche per evitare il rischio di danni al paziente e, quindi, di possibili controversie giudiziarie. Il decorso clinico del paziente risulta più tranquillo ma inefficace. Si con-

sidera in questa categoria anche il ricovero ospedaliero ingiustificato ed eccessivo da parte di medici che preferiscono non curare a domicilio malati non gravi, ma comunque impegnativi. In definitiva, il ricorso alla medicina difensiva, anche se in alcuni casi non danneggia direttamente il paziente, risulta sempre in un aumento delle spese sanitarie. E per quanto concerne il settore chirurgico, sono sempre più frequenti i casi in cui i chirurghi, temendo il rischio di una causa, rifiutano l’intervento ( El. Ser. Teme la causa, medico rifiuta

l’intervento. Corriere della Sera 23/02/2012 pag. 25 ). Non vorremmo finire come negli Stati Uniti ove, in seguito alla caccia di pazienti che hanno ricevuto possibili danni da parte di un numero sempre crescente di studi legali, per gli interventi più impegnativi in sala operatoria “vanno solo i chirurghi pakistani che quando hanno accumulato troppe cause giudiziarie tornano in Pakistan e addio...” ( Stella GA. L’assedio legale a medici e pazienti. Corriere della Sera 17/06/2012 ).

Antonino M. Grande Dirigente Medico di Primo Livello, Divisione di Cardiochirurgia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia

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