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limes | limen Progetto di valorizzazione del Parco dell’Oreto

Stella Armeli Grazia Mappa Relatrice Francesca Leder Secondo relatore Nicola Marzot 1


CONTENUTI 5

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Capitolo 0 - Il contesto territoriale

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Scheda 1: Quadro legislativo

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Capitolo 1 - Il Parco dell’Oreto come infrastruttura ecologica

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Capitolo 2 -Il Parco dell’Oreto all’interno dell’offerta turistica palermitana

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Scheda 2: I parchi e Riserve della Provincia di Palermo

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Capitolo 3 - Il rapporto fra la città e il paesaggio

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Scheda 3: La storia della Conca d’Oro

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Capitolo 4 - I margini, analisi critica del contesto

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Capitolo 5 - Il metodo, dalla visione alle azioni

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Scheda 4: Le risorse economiche

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Capitolo 6 - La riserva naturale orientata

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Scheda 5: Riserva naturale orientata

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Capitolo 7 - Il Parco agricolo

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Scheda 6: Piano Regolatore su Parchi e aree agricole

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Capitolo 8 - Il Parco urbano

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Capitolo 9 - Il Parco dei Gasometri

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Scheda 7: Il porto e l’inquinamento

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Allegati tavole e bibliografia

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limes | limen Il Parco dell’Oreto è un territorio di confini e ne conserva le contraddizioni: E’ il Parco più grande della città di Palermo ed è completamente inaccessibile; è un brandello ma conserva un’unità territoriale unica data dalla sua natura di ambito fluviale; è completamente inglobato dalla città ma ne costituisce allo stesso tempo il limite, infine, si definisce parco ma parco non è. Si tratta di un territorio principalmente agricolo da sempre deputato allo scopo produttivo, vocazione che unita alla morfologia, ne hanno permesso la sopravvivenza fino ad oggi, superando, non senza danno, la smisurata espansione edilizia degli anni 70. Pur rimanendo riconoscibile la sagoma del fiume questo territorio risulta massimamente minacciato non solo da una proliferazione edilizia che non conosce fine ma, soprattutto, dall’esclusione dalle dinamiche economiche e sociali. A partire dal 2002 si sono gettate le basi per l’istituzione del Parco dell’Oreto attraverso un protocollo di intesa fra i comuni di Palermo, Altofonte e Monreale, in collaborazione con l’Università di Palermo. L’obiettivo principale del protocollo era l’inserimento e la classificazione del parco fluviale dell’Oreto all’interno del Piano Regionale dei Parchi e delle Riserve. La pianificazione attiva al momento sul territorio, così come lo studio di fattibilità del Parco tengono conto dell’andamento longitudinale del parco stesso, così come questo si sviluppa seguendo il corso del fiume. Il fiume tuttavia attraversa territori estremamente antropizzati e da essi stessi viene attraversato. Il contrasto originario tra spazio naturale e spazio urbano è reso più acuto qui dalle mille interferenze reciproche, dalla stessa difficoltà di tracciare un confine netto tra l’ordine della natura e quello dell’uomo. Dare una lettura trasversale del territorio ha significato riconsiderare i confini [limes] attuali del parco in termini non solo di limiti e margini rigidi ma, soprattutto per l’elasticità che questi possono assumere andando così ad intercettare affinità ed elementi all’interno del territorio e divenendo quindi soglie e accessi [limen]. 5


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“Il paesaggio è il grande malato d’Italia. Basta affacciarsi alla finestra:vedremo villette a schiera dove ieri c’erano dune spiagge e pinete, vedremo mansarde malamente appollaiate su tetti un giorno armoniosi, su terrazzi già ariosi e fioriti. Vedremo boschi, prati e campagne arretrare ogni giorno davanti davanti all’invasione dei mesti condomini, vedremo coste luminose e verdissime colline divorate da case incongrue e palazzi senz’anima, vedremo gru levarsi minacciose per ogni dove.Vedremo quello che fu il Bel Paese sommerso da inesorabili colate di cemento.” Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione Cemento

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Capitolo 0 Il contesto territoriale

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I limiti attuali Il primo limes che affrontiamo è quello amministrativo. Ad oggi il parco dell’Oreto risulta pianificato ma non realizzato, gli attuali confini, individuabili dalle planimetrie dei vari piani urbanistici, corrispondono, grosso modo ai 150 m per sponda sottoposti a vincolo paesaggistico così come previsto dalla legge Galasso. Di questi trecento metri si occupano le linee guida del piano paesistico regionale, la pianificazione territoriale provinciale e i piano regolatori dei comuni di Altofonte e Palermo. Abbiamo analizzato di seguito tutti i livelli di pianificazione che agiscono o che dovrebbero agire sull’ambito fluviale dell’Oreto cercando di evidenziare gli obiettivi di ognuno ed esplicitando gli indirizzi specifici.

Il piano territoriale paesistico regionale Per quanto riguarda il piano paesistico regionale sono state elaborate le linee guida nel 1999 tuttavia il piano non è ancora vigente nell’area del Palermitano (ambito 4). L’obiettivo delle linee guida è quello di sistematizzare le conoscenze sulle tematiche paesaggistiche regionali procedendo come segue: nelle aree già sottoposte o da sottoporre a vincoli le linee guida precisano: -elementi e componenti caratteristiche del paesaggio -indirizzi, criteri e orientamenti da osseervare per conseguire gli obiettivi generali e specifici del piano -disposizioni necessarie per la conservazione degli elementi di tutela (vincoli). Per l’intero territorio regionale il piano e le linee guida identificano le caratteristiche strutturali del territorio. Gli indirizzi assunti dal piano sono da considerarsi riferimento prioritario delle pianificazioni sub regionali. 13


La definizione delle azioni difensive e di quelle di promozione e di intervento avviene su due livelli: -quella regionale in scala 1:250 000, dove vengono date le prime essenziali determinazioni -quella sub regionale e locale dalla scala 1:50 000 a 1:10 000, in cui vengono fornite più specifiche determinazioni che possono retroagire sulle precedenti. Il piano ha identificato 17 aree di analisi, l’area dell’Oreto si trova all’interno dell’ambito 4: area dei rilievi e delle pianure costiere del palermitano. La struttura del modello di analisi utilizzato è costituita da: -una parte riferita al sistema naturale -abiotico -biotico -un secondo momento di studio del sistema antropico -agroforestale -insediativo La descrizione del’ambito territoriale, dopo aver accennato alla morfologia e al paesaggio agricolo e naturale dell’area, osserva che: “la concentrazione di popolazione e costruito, di attività e di funzioni all’interno della pianura costiera e delle medie e basse valli fluviali (Oreto, Eleuterio, Milicia, San Leonardo) è fonte di degrado ambientale e paesaggisticoe tende a depauperare i valori culturali e ambientali specifici dei centri urbani e dell’agro circostante.” A questa scala risultano vincolati i 150 m per sponda del fiume Oreto e i 300 m dalla costa così come stabilito dalla legge Galasso.

Rete Natura 2000 Al piano paesistico regionale si sommano le direttive europee in termini di paesaggio che pongono al centro del discorso il concetto di rete ecologica. Lasciando sospesa, per il momento la definizione del termine in sé, ci interessa sottolineare come 14


questo concetto abbia l’obiettivo di sostituire l’idea di protezione a “isola” degli ambiti naturali con quella di conservazione dell’intera struttura degli ecosistemi presenti nel territorio. A partire dagli inizi degli anni ‘90 l’Unione Europea ha prodotto numerosissimi programmi e iniziative in questo senso; di fondamentale importanza è risultato il Progetto EECONET (1991) che ha proposto la rete ecologica europea come riferimento per le politiche delle aree protette e degli spazi rurali e che ha predisposto il terreno alla Strategia Pan–Europea sulla Diversità Biologica e Paesistica (1996), la quale assegna il primo degli undici temi individuati proprio alla costruzione della rete ecologica pan–europea quale strumento per la conservazione della diversità della ricca varietà di paesaggi, ecosistemi, habitat e specie di rilevanza europea. Al progetto EECONET segue il progetto Natura 2000 che ad oggi si configura come il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE “Habitat” per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario (sic e zps). In Italia il recepimento della direttiva Habitat è avvenuto nel 1997 attraverso il programma Bioitaly che si è occupato nei due anni precedenti di mappare sul territorio i siti di interesse comunitario (SIC) che spesso risultano sovrapposti alle aree protette nazionali. Dal rapporto dell’ispra :”Reti ecologiche nella pianificazione territoriale ordinaria- Primo censimento nazionale degli strumenti a scala locale” emerge che nonostante le differenze nel recepimento delle direttive nazionale tra le varie regioni, è possibile leggere un approccio sostanzialmente omogeneo rispetto ai temi della tutela ambientale caratterizzato da: -una tendenza a conformare l’interpretazione sostanzialmente unitaria del concetto di ambiente; -una tendenza a riconoscere il valore sociale dell’ambiente e, parimenti, a promuoverne l’impegno civile nella sua conservazione e valorizzazione; -una tendenza crescente alla promozione di azioni sull’am15


biente che abbiano carattere di tutela diffusa. Diversamente accade nel rapporto stabilito con il sistema di pianificazione. Il ruolo attribuito alle reti ecologiche all’interno del territorio risulta riconducibile ai seguenti modelli: -funzione strutturante per l’assetto del territorio -funzione sistemica per le aree da sottoporre a tutela. La prima di lettura a carattere prevalentemente amministrativo territoriale non può chiaramente risultare di maggior rilievo rispetto alla seconda di ispirazione strettamente ecologica. Si auspica nelle intenzioni originarie della carta Habitat una collaborazione fra entrambi gli ambiti coinvolgendo, quindi figure professionali e mettendo in campo risorse complementari.

Piano Territoriale Provinciale In Sicilia possiamo considerare sostanzialmente recepito il concetto di rete ecologica a livello della pianificazione territoriale provinciale che raccoglie le istanze dettate dalla carta natura 2000 andando a definire la posizione di SIC, ZPS, riserve naturali e orientate all’interno del territorio provinciale. Il parco dell’Oreto dal punto di vista naturalistico viene definito Area di valorizzazione del paesaggio fluviale; Core area di alto valore funzionale e corridoio ecologico per la continuità ambientale. Il piano evidenzia anche quali siano le azioni rispetto alle competenze della provincia suddividendole in tre macro ambiti: - servizi sociali e culturali: valorizzazione dei beni culturali e ambientali -sviluppo economico: sviluppo turistico -organizzazione del territorio e tutela dell’ambiente: protezione e gestione del patrimonio naturale, prevenzione e controllo dell’inquinamento, impianti di smaltimento dei rifiuti e di gestione delle acque.

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La pianificazione locale La pianificazione della rete ecologica dovrebbe fare da supporto ad uno sviluppo territoriale ragionato poi, in termini locali, secondo una logica di integrazione che riesca a coglierne non solo le istanze specificatamente ambientali ma che riesca soprattutto a declinarle all’interno dei contesti urbani e delle comunità che le abitano. Tuttavia pare che i due livelli di gestione del territorio non interagiscano ma piuttosto si spartiscano gli ambiti, sono stati in ogni caso sviluppati dei piani di gestione delle aree sottoposte a tutela ambientale a partire dalla raccolta di dati operata a scala regionale per la determinazione degli stessi. Il Piano di gestione dell’ambito territoriale stabilisce delle strategie di intervento all’interno del sic elencando dati economici, demografici e classificando specie vegetali ed animali e prevedendo azioni puntuali. Nel piano regolatore vigente di Palermo e Altofonte vengono accolti i confini del Parco così come stabiliti dalla pianificazione sovraordinata tuttavia non vengono previsti interventi in linea con gli indirizzi del piano territoriale provinciale e mancano quasi totalmente i piani attuativi delle aree che dovrebbero essere coinvolte. E’ da poco iniziata una fase di concertazione per la redazione del nuovo piano regolatore. Monreale uno dei tre comuni interessati dal Sic, non riesce a far approvare un nuovo piano regolatore da oltre quarant’anni, a causa di pressioni mafiose accertate, continuando, quindi a gestire l’area di sua competenza con indici edificatori da ricostruzione post bellica e non operando alcun tipo di controllo sul territorio né sotto il profilo dell’edificazione abusiva né sotto quello degli scarichi fognari irregolari che inquinano tutto l’ambiente fluviale.

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Brevi riflessioni Dalle analisi svolte si deduce che la pianificazione a livello provinciale che pure tiene conto di macro strategie e di interventi su vasta scala per la coordinazione del territorio tramite infrastrutture di qualunque tipo esse siano, non è sufficiente a promuovere realmente un territorio se questi indirizzi non vengono rafforzati e concretizzati a livello locale. L’aspetto della coordinazione fra pianificazioni a diverse scale risulta quanto mai cruciale in un momento storico in cui si propone la pianificazione di regioni sempre più vaste che superi i limiti e i confini amministrativi e che trova le proprie direttive a livello europeo e allo stesso tempo richiede di intervenire coinvolgendo il sociale a tutti i livelli, imponendo quindi un’attenzione particolare al “locale” inteso come l’ambito in cui le linee guida e le intenzioni espresse a scala ampia trovano, o dovrebbero trovare, una concretizzazione. Si è deciso di affrontare la questione non solo dal punto di vista della coordinazione alle diverse scale ma anche come momento di confronto fra pianificazione e realizzabilità.

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Occasioni mancate Fra le vicende che hanno segnato la storia e il volto attuale di questo paesaggio si evidenziano periodi di particolare sviluppo, si pensi ai giardini e al sistema idrico sviluppato da Arabi e Normanni, e ai fatti scellerati che di questo stesso territorio non hanno mai tenuto conto considerandolo carta bianca per vili ritorni economici particolari. In tutto ciò si inserisce la legge, la pianificazione, che ha alle volte guidato verso uno sviluppo e alle altre, soprattutto nel secolo scorso, permesso azioni degradanti sul territorio che si mostra oggi come la sommatoria di azioni programmate e non, di interessi generali e di interessi estremamente particolari, di connivenze e di occasioni mancate. Si è quindi interpretato questo mancato incontro fra interesse della comunità e spinte individualistiche come una mancanza di coordinazione fra i diversi livelli di pianificazione, non perchè si creda che questa sia l’unica motivazione ma perchè si ritiene che possa essere stato uno dei fattori più determinanti e sul quale poteva essere fatto di più e su cui sia possibile ancora oggi riflettere e agire.

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Del grande e del piccolo “Leggi son, ma chi pon mano ad esse?” Dante, Purgatorio, XVI, v.97 La prima grande opportunità di confronto fra realtà e pianificazione, a Palermo, avviene al termine della Seconda Guerra Mondiale, in occasione della formazione del Piano Territoriale nel 1956 in cui, per la prima volta, si parla seriamente di aree agricole nel contesto di progetti e piani urbanistici. Si tratta di uno dei primi piani territoriali redatti secondo la legge ubanistica del 1942 seguita alla legge n 1497 del 1939 che aveva introdotto l’idea dei piani territoriali paesistici da applicare a vaste località. Se i piani territoriali paesistici hanno l’obiettivo di conservare la bellezza dei luoghi, i piani territoriali della Legge Urbanistica del ‘42 hanno l’obiettivo di coordinare a vasta scala gli interventi di trasformazione territoriale dislocando infrastrutture, attività produttive, servizi territoriali, con particolare attenzione all’apposizione di vincoli volti a limitare la trasformazione del territorio stesso. In questa prima esperienza pianificatoria le attività agricole, all’interno del territorio palermitano, non risultano contemplate come produttive e si stabilisce di coordinare le sole attività industriali in questo senso. Si decide quindi di segnalare la questione dell’impossibilità di una pianificazione di aree agricole attraverso gli strumenti e i parametri propri della pratica edificatoria, stabilendo di rinviare la soluzione per mancanza di politiche governative nazionali e regionali di riferimento. Parallelamente al Piano Territoriale viene intrapresa la stesura del Piano Regolatore, seguita a quella del Piano di Ricostruzione cui si lavorava già dall’immediato dopoguerra (1947), con la consapevolezza che avrebbe dovuto uniformarsi alla legislazione del 1942 in tema di tutela e valorizzazione del paesaggio. Tuttavia non vennero mai redatti i piani particolareggiati rendendo il prg strumento attuativo applicato attraverso il sistema delle singole licenze . Il piano territoriale, approvato prima del completamento del 20


piano locale, avrebbe dovuto vincolare l’amministrazione ad adeguarvisi. Al contrario non venne mai data risposta alla implicita sollecitazione che da quella omissione dichiarata nel piano territoriale di Palermo emergeva. Le aree agricole vengono fin da allora disciplinate con regole di edificazione: indici, altezze e distanze. Il livello di tutela effettiva del paesaggio non dipende dai contenuti normativi, quanto dal funzionamento della macchina burocratica. Il male dell’abusivismo edilizio storicamente contiene il tarlo della cattiva amministrazione. L’abusivismo ha costituito e costituisce la forma del paese malato, che rispecchia e metaforizza il degrado civico, oggi ancor più di ieri. Predieri – commentando la legge Galasso del 1985 – afferma “che componente dell’abusivismo, così come si è storicamente delineato, è il fatto che nelle aree di concentrazione del fenomeno, alla violazione della legge, da parte di chi ha costruito, si aggiunge la violazione di chi doveva reprimere le violazioni e non l’ha fatto. Per ogni reato del costruttore, c’è, almeno, un reato di un appartenente all’apparato statale” (Predieri 1985/2). Dietro la questione del paesaggio vi è insomma molto di più del paesaggio: la tutela vera passa anche se non soprattutto attraverso la riforma dell’amministrazione, la vera prevenzione primaria.

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Le conseguenze della mancata convergenza di intenti fra scala territoriale e scala locale Il processo di urbanizzazione che secondo il piano regolatore del 1962 investiva il territorio agricolo in tutte le direzioni, venne attuato maggiormente verso nord, travolgendo le configurazioni territoriali preesistenti e saldando l’espansione urbana con le borgate marinare di Mondello e Sferracavallo. La storia urbanistica della città, piena di audaci imprese speculative realizzate con la connivenza di operatori privati, di rappresentati delle istituzioni e di tecnici comunali annovera fra le più rilevanti questioni le lottizzazioni che hanno aggredito le pendici dei monti che delimitano la Conca d’Oro in direzione nord-sud, fino ad arrivare al caso eclatante di Pizzo Sella, battezzato dai mass media come la collina del disonore. In realtà queste edificazioni non dovrebbero essere chiamate lottizzazioni, perchè non ne hanno la natura giuridica. Si tratta di iniziative edificatorie illegittime, sia dal punto di vista delle procedure, che dal punto di vista dei contenuti progettuali. Siamo in presenza di frazionamenti di aree destinate dal prg del 62 a verde agricolo, nel quale si prevede però un indice di fabbricabilità di 0,2 mc/mq per fabbricati connessi all’uso agricolo del suolo (si consideri che attualmente l’indice in questo stesso tipo di aree è pari allo 0,01 mc/mq). I frazionamenti sono quindi serviti per realizzare comparti di residenze unifamiliari serviti da strade private con accessi controllati in cui mancano del tutto le attrezzature che dovrebbero essere inserite nelle lottizzazioni regolari. Tali indici verranno poi abbassati dalla legge regionale urbanistica del ‘78, ormai troppo tardi. In circa trent’anni si assiste ad un boom della crescita urbana che vede un aumento della superficie urbanizzata dell’82%.

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Il caso del Parco dell’Oreto Del Parco dell’Oreto si parla ormai da decenni, a fronte di una fattibilità annunciata e invocata da piani, studi ricerche, leggi di salvaguardia paesistica, vincoli paesaggistici, dichiarazioni di interesse ambientale comunitario sembra corrispondere, per contro una moltiplicazione degli abusi. Cancelli di fortuna, reti metalliche, palizzate, muri (persino reti di materassi) impediscono l’accesso al fondovalle chiudendo i sentieri interpoderali e gli attraversamenti, spesso i campi sono abbandonati a loro stessi e le antiche colture si confondono, nel migliore dei casi, con l’originaria macchia boschiva ma, più spesso, si osserva una trasformazione degli usi delle aree di sponda in discariche di materiale tossico. In sostanza l’Oreto è territorio di nessuno, chi ha recintato non l’ha fatto per proteggere ma per nascondere. Contemporaneamente anche le aree residenziali a margine dell’ambito fluviale risultano degradate negli spazi pubblici come negli edifici. Come suggerisce Carla Quartarone nel suo intervento “La valle dell’Oreto e la città di Palermo: quale parco?” potrebbe forse risultare più utile partire prima ancora che dalla perimetrazione dell’ambito del Parco , dalla definizione dell’ente Parco come figura doi coordinazione per la gestione del Parco metropolitano dell’Oreto, dandone ampia comunicazione. Prima questione da affrontare rimane sicuramente il risanamento delle acque che risultano gravemente inquinate, come scrive Silvano Riggio già nel ‘78, e le condizioni delle acque da allora non sono migliorate: “Da un punto di vista strettamente biologico, addirittura l’Oreto andrebbe considerato in gran parte, un canale di scolo, dato che il suddetto processo di degrdazione ha portato alla perdita definitiva di quelle caratteristiche biologiche: flora, fauna, ed allo scadimento di quelle proprietà chimico-fisiche, che fanno di un corso d’acqua un fiume.” La seconda questione riguarda sicuramente il riconoscimento da parte della comunità del valore storico e ambientale dell’ambito fluviale e dello stretto legame che questo ha, anche nei fatti, con gli insediamenti e con tutto il territorio. 23


Non disponendo delle competenze necessarie ad affrontare compitamente la questione del risanamento delle acque ci siamo interessate principalmente all’aspetto di riscoperta, valorizzazione e fruizione del territorio. Ad oggi il Parco dell’Oreto risulta pianificato ma non realizzato. In questo senso si ritiene interessante portare avanti una riflessione su quelli che potrebbero essere i modi di realizzazione del parco, considerato che è già presente un inquadramento su vasta scala che lo riconosce come risorsa ma che rimane ancora aperta la questione sulla scala locale. In particolare si sono identificate quelle azioni materiali e immateriali che possano rendere presente il Parco nel costruito e allo stesso tempo rileggerlo in chiave contemporanea considerandolo nei limiti di ciò che oggi è e nelle potenzialità date, oltre che da un recupero dell’unità paesaggistica e ambientale, da un ripensamento in termini di spazio pubblico a servizio dell’area metropolitana.

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scheda n. 1 Quadro Legislativo La legge sulla gestione delle proprietà delle aree fluviali e adiacenze - estratto dal codice civile che all’art. 822: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade, e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aeroporti; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine i beni che dalla legge sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”

Demanio marittimo. I beni del demanio marittimo sono identificati, oltrechè dal Codice Civile, anche dal Codice della Navigazione (R.D. 30 marzo 1942 n. 327) e sono costituiti da: a) il lido, la spiaggia, le rade e i porti; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo Il concetto di “demanialità” si estende anche alle c.d. pertinenze, ossia alle costruzioni ed alle altre opere appartenenti allo Stato che, se esistenti entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, sono soggette allo stesso regime previsto per il demanio. A norma degli artt. 817, 818 e 819 del codice civile, infatti, le pertinenze “seguono” la sorte del demanio a cui accedono, con la conseguenza che fintantoché permane la demanialità dell’area, anche le costruzioni su di essa presenti sono da considerarsi del demanio statale e dunque apparten25


gono allo Stato. Di converso, all’esito di un’eventuale sdemanializzazione, la proprietà pubblica statale viene meno tanto per il bene principale (l’area) quanto per le pertinenze.

Demanio idrico-fluviale Secondo l’art. 822 c.c. ne fanno parte i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia. Anche il terreno, interessato dallo scorrimento delle acque pubbliche di un fiume, è demaniale. In questo caso la demanialità discende dalla “funzione” che il terreno assume a supporto e contenimento del fiume medesimo, funzione che, automaticamente, viene meno in conseguenza di fenomeni naturali quali fenomeni “di piena” e “di magra”, che non abbiano carattere transitorio, ma che siano in grado di determinare in modo irreversibile la cessazione di quella funzione. Ciò che si verifica, ad esempio, nel caso di ritiro delle acque da una riva verso l’altra, ovvero nel caso dell’abbandono dell’alveo (Cass. Civ., Sez. II, n. 10607 del 9.10.1991). Inoltre, fanno parte del demanio idrico-fluviale le sponde e le rive interne dei fiumi, in quanto rientranti nel concetto di alveo. Il discrimine rispetto alle sponde e rive esterne è dato dall’essere, le zone interne, soggette a immersione nel caso di piene ordinarie, a differenza delle esterne che possono essere invase dalle acque solo nell’ipotesi di piene straordinarie. Queste zone esterne, proprio perché escluse dall’alveo, sono private ed appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi. E la legge Galasso che riguarda ii vincoli paesaggistici: Oggi la prescrizione è contenuta all’art. 142 del d. lgs. n. 142/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) che prevede che “ i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare” sono direttamente assoggettati al vincolo paesistico, con conseguente obbligatorietà della relativa autorizzazione prima di costruire su dette zone. 26


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Capitolo 1 Atlante Conoscitivo Il Parco dell’Oreto come infrastruttura ecologica

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Determinazione dell'ambito di studio: la scelta dell'ambito ecologico Si è stabilito di studiare il Parco inquadrando il sistema della Piana e dei Monti di Palermo. A questa scala è infatti possibile improntare ragionamenti sulla rete ecologica come infrastruttura secondo un approccio amministrativo-territoriale e non solo ecologico in senso stretto. Se per la rete ecologica a livello provinciale il Parco dell'Oreto è una delle Core Areas insieme al Parco delle Madonie e al Parco dei Sicani, a questa scala di lettura si presta più chiaramente ad essere interpretato come elemento lineare di connessione fra il sistema montano e il sistema della costa. L'andamento lineare del Parco è dato dallo scorrere del fiume verso valle. La lettura longitudinale del Parco ci permette di descrivere brevemente quelle che sono le caratteristiche proprie dell'elemento fluviale. Il bacino idrografico dell’Oreto (130 kmq circa) è un sistema complesso di vari rigagnoli e torrentelli che, confluiscono verso un unico letto più grande, che porta le acque fino al mare. Un discreto apporto di acqua arriva da Fontana Lupo e dal torrente di Altofonte “canale delle acque del Parco”, ma i due principali affluenti sono il Sant’Elia, che scende da Pioppo, e il torrente Barone. L’incontro avviene sotto il rilievo collinare chiamato Cozzo Meccini. Per le sorgenti più alte del fiume bisognerebbe risalire quindi questi due corsi minori e raggiungere la dorsale del monte Matassaro Renna, tuttavia la denominazione comune vuole che si tratti di fiume Oreto solo a partire da Cozzo Meccini. Da lì il fiume percorre una ventina di chilometri di cui l'ultimo all'interno di argini cementizi, fino a giungere alla foce al Porto di Sant'Erasmo a sud del centro storico. Lo stato di salute del fiume, soprattutto alla foce non è dei migliori, dalle diverse analisi effettuate e dalle immagii raccolte risulta che siano diverse le attività più o meno vicine al corso che scaricano direttamente e illegalmente acque nere nelle sue acque. Fra queste un ospedale, il cimitero e le attività lavorative poste a ridosso del fiume in località Ponte di Mare (alla foce). 37


Inquadramento normativo Le direttive comunitarie attraverso le quali, grazie alle leggi di ricevimento nazionale viene a delinearsi la Rete Ecologica Nazionale (REN) sono: - Direttiva Uccelli prevede la conservazione di diverse specie di uccelli e la corrispondente protezione di aree specifiche da destinarsi alla loro conservazione le cosiddette Zone di Protezione Speciale (ZPS) - Direttiva Habitat relativa alla conservazione di habitat naturali e seminaturali di fauna e flora selvatiche. La creazione delle rete ecologica natura 2000, obiettivo della direttiva, passa attraverso l'individuazione per ogni stato membro di Siti di Importanza Comunitaria (sic) e la conservazione della biodiversità presente sul territorio europeo Il recepimento della direttiva europea si è concretizzato in Italia attraverso il programma Bioitaly (1997) che ha avuto il compito di raccogliere organizzare e sistemare le informazioni sull'ambiente, in particolare sui biotipi e sugli habitat al fine di individuare SIC e ZPS. In Sicilia sono stati individuati più di 276 sic e 46 zps per un totale di superficie pari al 15% dell'intero territorio regionale. E' subito chiara l’importanza che assume tale sistema, sistema su cui basare una diversa e attiva politica di conservazione e di tutela, che consideri queste aree come nodi prioritari della Rete Ecologica Siciliana, con la prospettiva di un loro rafforzamento per il raggiungimento di migliori livelli di qualità e di connessione ambientale in un territorio ormai fortemente impoverito.

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Cos'è la rete ecologica?

La valenza primaria di una rete ecologica è quella di incrementare e diffondere le diverse specie animali e vegetali sia tramite la costruzione di nuovi ecosistemi sia creando un corretto equilibrio tra le zone di attività antropica e gli ambienti naturali circostanti. “...la rete ecologica può essere intesa o come un insieme di aree naturali (o seminaturali) interconnesse attraverso delle ‘infrastrutture lineari’ o, in maniera più traslata e astratta, come relazioni e connessioni tra soggetti, anche indipendentemente dalla localizzazione dei percorsi, che tendano ad annullare il confinamento delle aree naturali in tante piccole isole negate le une alle altre.” (SCHILLECI, 1999) La rete è, quindi, costituita da nodi e linee che si rapportano con precise relazioni orizzontali e verticali. Per la formazione della Rete Ecologica, assumono il ruolo di nodi le aree di rilevate interesse naturalistico (Core Areas), interconnesse tra loro attraverso elementi lineari (ecological corridors) a cui si frappongono zone cuscinetto o di transizione (buffer zones) in modo da costruire una vera infrastruttura naturale dell'intero territorio. A questi elementi bisogna aggiungere anche quelle aree che all'analisi si presentano come habitat danneggiati (nature restoration stones), che necessitano di un intervento di recupero, e le cosiddette stepping stones, letteralmente pietre di guado, interposte tra le aree ad alta naturalità, così da rafforzare il sistema della Rete Ecologica.

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Aspetti generali della provincia di Palermo Il paesaggio si presenta con caratteri naturali ed agricoli diversificati: quello della pianura è legato all'immagine degli agrumeti e dei vigneti, e ha subito nel corso degli anni, in prossimità delle aree costiere e per effetto dell'espansione edilizia incontrollata e indiscriminata diverse trasformazioni. Il collegamento fra le zone costiere e i massicci montuosi avviene, morfologicamente parlando, tramite il sistema dei fondivalle, unico elemento naturale di taglio e collegamento tra la costa e l'entroterra.

Fattori di frammentazione del territorio -Sistema infrastrutturale: soprattutto lungo la costa sembra dividere in due il territorio generando un tipo di frammentazione definita "multipla". questa frammentazione lungo la costa tirrenica ha caratterizzato l'evoluzione dell'impianto insediativo urbano, determinando, spesso, una esponenziale pressione antropica legata principalmente alla realizzazione disordinata di insediamenti "spontanei" e impoverendo o cancellando gli ecosistemi esistenti. In generale l'elemento infrastrutturale lineare costituisce un ostacolo alla migrazione delle popolazioni biologiche soprattutto in corrispondenza di sistemi naturali di rilevante valore ambientale. Trombulak e Frissel hanno prodotto una revisione degli effetti ecologici delle strade a diverso grado di importanza sottolineando come determino numerosi effetti tra loro differenti. tali effetti vengono qui di seguito sinteticamente elencati: -distruzione e alterazione dell'ambiente fisico a livello ecosistemico sia limitatamente alla sede stradale che nelle aree limitrofe; -cambiamento di densitĂ , delle temperature e del contenuto in acqua del suolo, -inquinamento da gas atmosferici, da sali antineve, da dilava40


mento dell'asfalto -erosione sedimentazione e accumulo di rifiuti e metalli pesanti un indice utile per valutare gli effetti ecologici causati dalle infrastrutture stradali è la densità di strade, espressa in km strade/ kmq secondo il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture nazionale una densità superiore allo 0,6 kms/kmq è la soglia oltre la quale si può verificare il declino di alcune specie sensibili

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La rete ecologica come rete infrastrutturale Alla luce di alcuni degli aspetti più generali, precedentemente elencati acquistano rilievo le definìzioni dell'A.P.A.T (Agenzia Nazionale Ambiente e Servizi Tecnici, ex ANPA) referente per le tematiche relative alle reti ecologiche. Si individuano quattro differenti tipi di modelli di ricomposizione dell'equilibrio territoriale fra uomo e ambiente: -rete ecologica come sistema interconnesso di habitat di cui salvaguardare la biodiversità -rete ecologica come sistema di parchi e riserve inseriti in un sistema di infrastrutture e servizi -rete ecologica come sistema paesistico a supporto prioritario di fruizioni percettive e ricreative -rete ecologica come scenario ecosistemi polivalente a supporto di uno sviluppo sostenibile

la rete ecologica come sistema interconnesso di aree Il tipo di approccio riferito a questo modello è basato sui principi dell'ecologia pura che hanno dato vita alla direttiva Habitat. In questo senso la rete ecologica è finalizzata alla tutela e alla salvaguardia delle specie minacciate dall'aggressione antropica ambientale con lo scopo di salvaguardare e incrementare la biodiversità in ambiti precisi ad alto potenziale. La rete ecologica si riassume quindi in una precisa geometria codificata che mette a sistema Sic, Zps e le Iba (important bird areas). Il tipo di relazione che si crea fra le aree interessate riguarda quindi la possibilità di spostamento e sviluppo fra le stesse da parte delle specie animali e vegetali ritenute fondamentali per la biodiversità del luogo.

La rete ecologica come sistema di infrastrutture e servizi In questo caso ci si riferisce ad un approccio di tipo amministrativo-territoriale. Modello di riferimento risulta essere il 43


progetto di rete ecologica nazionale. Considerando appunto l'approccio amministrativo e di gestione a livello di infrastrutture delle aree, obiettivo della rete ecologica diventa quello di rendere fruibile, nei termini e nelle possibilità offerte, il territorio senza che le azioni necessarie vadano a incidere negativamente rispetto alle direttive propriamente ecologiche descritte sopra. I due approcci non sono da considerarsi alternativi fra loro e semmai vanno inseriti all'interno di un approccio a diverse scale. Mentre il primo metodo stabilisce i dettami a scala vasta, regionale provinciale, il secondo soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture, i servizi e l'aspetto paesistico e di fruizione, legato maggiormente ad una scala locale. E' auspicabile che il tema della rete ecologica venga declinato come messa a sistema di habitat finalizzati alla tutela della biodiversità e allo stesso tempo all'approccio fruitivo di tipo antropico (percettivo, ricreativo legato al paesaggio) per le comunità insediate. Il fine ultimo è la definizione di procedure e metodologie operative e gestionali di carattere prevalentemente urbanistico territoriale ad una scala che renda possibile praticare la costruzione di una rete ecologica. La rete vegetale assume quindi i connotati di una vera e propria infrastruttura per la sostenibilità ambientale della città e che, al pari delle altre infrastrutture, assolve a precise funzioni svolgendo importanti compiti nella struttura urbana. In questo senso la rete ecologica, sviluppata all'interno del territorio urbano diviene il tessuto per la rigenerazione ecologica ed il miglioramento delle condizioni igienico sanitarie della città stessa, diviene ossatura per la distribuzione di spazi e servizi pubblici.

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Reti Ecologiche a Palermo La realizzazione della Rete Ecologica Siciliana (RES) prende piede da un attenta analisi e una mappatura sia delle discontinuitĂ ambientali (attualmente il problema piĂš grande) nella Carta delle frammentazioni sia da analisi specifiche sull'avifauna sia sulla fitodiversitĂ del territorio nella Carta della rete ecologica. La rete ecologica provinciale rapportata ai normali strumenti di pianificazione ordinaria dovrebbe avviare processi di riprogettazione del territorio, anche a a scala locale, ecologicamente orientati.

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Lettura longitudinale e trasversale

lettura longitudinale Si è data una prima lettura longitudinale del parco all'interno del sistema prescelto che ha permesso di identificare l'elemento del fiume e le sue caratteristiche intrinseche e di interpretarlo come continuum fra i monti e la costa. Confrontando la posizione del parco all'interno della rete ecologica risulta evidente come non solo sia l'unico dei siti tutelati ad attraversare un territorio così fortemente urbanizzato ma anche l'unico elemento di connessione verde fra l'interno e la costa. La costa di Palermo soffre di grande disinteresse da parte della comunità e viene spesso utilizzata come discarica, fatta per certi versi eccezione per l'area del foro Italico che comunque non costituisce percettivamente un vero affaccio sul mare per la città. Si tratta sicuramente di una situazione molto particolare per una città che racchiude nel suo stesso nome il legame con il mare: Panormus,tutta porto. In passato, fino agli anni 50 del 900 le borgate marinare legate alla pesca e al commercio hanno operato come presidi lungo l'ambito costiero poi le macerie della seconda guerra mondiale e più tardi i detriti degli scavi di fondazione per le palazzine degli anni 60 in entrambe le occasioni gettati in mare hanno portato all'impermeabilizzazione dei fondali e alla conseguente scomparsa dei pesci. La costa e il mare a quel punto completamenti indifferenti per la comunità se non addirittura una vergognosa visione hanno finito per essere dimenticati. Si deve anche considerare che il principale collegamento fra palermo e gli altri centri avviene proprio tramite costa a causa della natura montuosa dell'interno, lungo la costa si affaccia la strada statale nel tratto di accesso alla città che risulta infatti essere uno dei punti più congestionati dell'in46


tera infrastruttura viaria urbana.

Lettura trasversale -Il grado di naturalità e le infrastrutture viarie Questo ci introduce alla seconda lettura operata sul parco. Dopo averlo analizzatocome elemento lineare di connessione fra i due sistemi “cornice” si è deciso di interpretarlo trasversalmente all'interno del territorio interpretandolo come armatura dello stesso. L'Oreto viene attraversato da numerose infrastrutture viarie di fondamentale importanza per il collegamento fra la città di Palermo e gli altri centri costieri e montani. Dalla foce verso le sorgenti si notano: Ponte di Mare in corrispondenza della strada statale Messina per le Marine costruito a più riprese dal 1700 al 1975, che affianca quello che resta, due piloni, del ponte ferroviario della linea a scartamento ridotto, oggi dimessa, Palermo-Corleone. A seguire il ponte delle teste mozze, ora sostituito dal nuovo ponte a doppio senso di marcia che ospita anche i binari della nuova linea tranviaria, il ponte della ferrovia, il ponte di via oreto, il ponte della Guadagna (in corrispondenza del mulino della Guadagna), il grande taglio di Viale Regione Siciliana, il ponte della statale e il ponte di Ponteparco. La scansione trasversale di questi tagli evidenzia maggiormente il diverso grado di naturalità interno ai confini del parco. Si consideri che nell'ultimo tratto il limite del Parco, da poco dopo il ponte della ferrovia fino alla foce, coicide fondamentalmente con l'argine in cemento armato costruito nel 32 e ampliato negli anni 90. In quest'ultima parte il grado di naturalità è da considerarsi nullo se si esclude quel poco di vegetazione che riesca a crescere nel cemento. Dal ponte della ferrovia fino a viale regione siciliana si mantengono delle fasce di rispetto dell'ambito fluviale in parte coltivate e per lo più utilizzati per uso improprio, da segnalare il gran traffico su via Emanuele Paternò, che corre parallela al fiume e sulla quale vige il divieto di accesso carrabile. Viale regione siciliana progettata nel 1950 avrebbe dovuto trovarsi molto fuori dalla città ma, con l'espansione degli anni '60 e 70 si è ritrovata inglobata 47


all'interno del centro urbano tanto che per molto tempo non ha svolto il ruolo di tangenziale per cui era stata immaginata ma di grande arteria del traffico cittadino interno. Da qui fino all'inizio del rilievo collinare di cozzo Meccini si estende il tratto agricolo; infine il rilievo collinare costituisce ambito ecologico a sé considerata la morfologia e la presenza di specie ad alto valore ecologico mappate dalla carta Habitat. Al livello di naturalità interna corrisponde una variazione degli ambiti verdi di riferimento esterni ai confini. -Il sistema dei monti e delle aree protette L'ambito del rilievo collinare Meccini si confronta con il sistema montuoso che circonda la città. C'è da osservare che le aree protette all'interno del territorio provinciale corrispondono a più di un quarto del territorio totale e coincidono per lo più con ambiti montani. La porzione forestale presente nell'area è una piccolissima porzione costituita da pini mediterranei posti sulla sponda destra del fiume nella sua parte mediana, una fascia di leccio, e nello strato arbustivo viburno, lentisco e fillirea. Le aree boscate all'interno del territorio regionale(aree parzialmente boscate, popolamenti forestali artificiali e i boschi degradati) corrispondono all'8,2% della superficie totale. Nella zona in questione la superficie boscata originaria era costituita principalmente da leccete, quercete, carrubo e frassino, e molto spesso sono stati operati dei rimboschimenti utilizzando conifere mediterranee che garantivano una maggiore protezione dei boschi esistenti. Di tutta la copertura forestale regionale il 34% ricade all'interno dei siti della Rete Natura 2000. Nel 1948 viene eseguita in tutta la regione una graduale opera di riforestazione che è riuscita a far raggiungere i valori attuali di copertura boschiva, vennero utilizzati i pini mediterranei, il cipresso comune e arizonico, a quote più alte il pino nero d'Austria, il pino laricio ed il cedro dell'atlante, tra le latifoglie figuravano l'ontano napoletano, il frassino minore, il castagno, l'acero campestre, l'olmo campestre e la roverella, nelle zone di frana nelle scarpate e nei corsi d'acqua la roverella. Cercando di recuperare terreno boschivo si è dato un nuovo volto al paesaggio. 48


-Il sistema del territorio coltivato Questo ambito si estende come una corona intorno alla città con una maggiore densità verso sud e occupa circa il 50% della superficie totale del sito di interesse comunitario. Risulta coltivato principalmente a frutteti e nello specifico ad agrumi, che costituiscono quasi una monocoltura in tutta la zona più vicina alla costa. La forte pressione antropica cui sono sottoposte queste aree le rende in più punti frastagliate non potendole quindi considerare un continuo ecologico ma rendendole ancora più significative nel loro rapporto con l'ambito urbano. Si individuano nel Parco agricolo di Ciaculli e in quello della favorita i due punti focali di questo sistema di agricoltura periurbana. In generale all'interno della regione Sicilia la porzione occupata da colture agrarie risulta essere pari al 69,72% dell'intera superficie dell'isola, mentre nell'ambito territoriale "Monti di Palermo e valle del fiume Oreto" troviamo giardini di limoni e mandarini che attorno al '700 si sono estesi lungo la litoranea e lungo i corridoi della valle giungendo attraverso i versanti terrazzati delle colline sino all'interno. -il sistema dei parchi pubblici il tratto urbano si ricollega, almeno idealmente, al sistema dei parchi pubblici della città che per vero, risultano inconsistenti in termini di ampiezza e fruibilità. Si inseriscono all'interno di questa classificazione oltre il tratto stesso del parco, gli spazi di villa giulia, dell'orto botanico (che comunque non può propriamente essere considerato verde pubblico per via dell'acceso legato al biglietto d'ingresso, il campus universitario, i giardini di alcune delle ville settecentesche, il Parco uditore che è stato negli ultimi anni al centro dell'attenzione mediatica per via di materiale cancerogeno presente all'interno e, alcune zone del Parco della Favorita. Nonostante questa scarsità evidente di verde pubblico la città di Palermo non risulta agli ultimi posti del censimento del verde operato dall'istat proprio per la presenza dell'area protetta dell'Oreto che come dicevamo nel capitolo precedente è quasi completamente inaccessibile.

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Conclusioni Il parco che viene definito nel suo complesso ambito da tutelare si rivela internamente, e nel rapporto con gli ambiti a lui prossimi estremamente vario, sia per il grado di naturalità decrescente dalle sorgenti verso la foce che per i modelli territoriali cui è riferibile. Nella lettura trasversale esposta ne precedenti paragrafi si è già voluto sottolineare la necessità di non poter considerare l'ipotesi di un parco naturalistico in toto. In termini di distrubuzione delle ricchezze all'interno della città è interessante considerare come le aree a nord, solitamente definite le più ricche, risultino in realtà maggiormente sfornite di un apparato verde che invece a sud, proprio a causa di minori investimenti edilizi operati negli anni 70, si è conservato.

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Capitolo 2 Atlante Conoscitivo

Il Parco dell’Oreto all’interno dell’offerta turistica palermitana

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Il sistema della mobilità

La rete infrastrutturale: breve descrizione analitica In maniera conseguenziale alla conformazione del territorio, che vede l’urbanizzazione “costretta” tra il mare e i rilievi montuosi che definiscono la conca d’oro, le principali reti infrastrutturali corrono lungo la costa. A partire dal mare verso l’entroterra incontriamo i seguenti tracciati che compiono una traiettoria pressappoco parallelo: - La strada SS113, che all’interno di Palermo rappresenta il lungomare e connette, attraversandoli, tutti i principali centri della costa; - La linea ferroviaria, che all’interno della città di Palermo assume anche la declinazione di passante ferroviario per connettere il centro con l’aeroporto. Si tratta di una porzione della dorsale Tirrenica, la più trafficata delle poche tratte ferroviarie siciliane, che connette Messina a Palermo, proseguendo fino a Trapani. La linea segue pedissequamente la costa tirrenica per la maggior parte del percorso in conseguenza della difficile orografia del territorio, in molti casi con costa ripida e strapiombante nel mare, senza addentrarsi verso l’interno se non in pochi casi. Nell’atto di collegare Palermo alla rete ferroviaria regionale, definisce 2 raccordi con le principali stazioni che (racchiudono) la parte centrale della città in sé stessa; - L’autostrada A29, che in prossimità di Palermo si sviluppa in un raccordo tangenziale (viale Regione Siciliana), per poi tornare a correre parallela alla costa. 55


A completare il quadro della rete infrastrutturale di larga scala, vi sono poi le strade statali che si irradiano dal centro cittadino verso i centri più interni. La SS186 e la SS624 raccordano l’entroterra con la costa assecondando la complessa morfologia di un territorio ricco di rilievi montuosi.

Dati sulla mobilità Sia per il solo comune di Palermo che per l’intera area metropolitana, il mezzo più utilizzato per gli spostamenti è l’auto privata come conducente, utilizzata circa nel 35% dei casi, mentre è particolarmente significativa la percentuale di chi si sposta (sistematicamente) come passeggero su auto privata (15% del totale). Bassa risulta la percentuale di utilizzo dei mezzi pubblici (che complessivamente non supera il 15%), ma si può positivamente osservare che gli spostamenti in bici e a piedi assorbono praticamente un quarto della mobilità pendolare complessiva. L’orario di punta è registrato fra le 7.15 e le 8.15 e il tempo impiegato per gli spostamenti, per la maggior parte dei casi, non supera i 15 minuti. Inoltre il motivo dello spostamento si ripartisce più o meno equamente fra studio e lavoro.La viabilità più utilizzata è l’autostrada urbana, con un flusso medio di circa 2.550 veic/h, che sulle urbane di scorrimento giunge a circa 1.000 veic/h. Meno utilizzate risultano le strade interquartiere, con un flusso medio di 650 veic/h e soprattutto le strade di quartiere con 250 viec/h. L’infrastruttura cardine della viabilità del comune di Palermo, nonché uno dei tratti stradali più congestionati all’interno della città, è viale Regione Siciliana che funge sia da raccordo fra la A19 e la A 29 che da tangenziale di Palermo. Inoltre all’interno della nostra analisi rappresenta un elemento di notevole influenza in quanto una delle principali cesure trasversali del parco dell’Oreto. Viale Regione Siciliana viene usata nell’ora di punta complessivamente dal 37% degli spostamenti totali che interessano il territorio comunale. Il flusso medio è di 2.700 veicoli/h con una sezione di massimo carico di 6.300 veicoli/h in corrispondenza del viadotto sul fiume Oreto dove si interrompe la strada di servizio. 56


La viabilità che interseca il Parco Il Parco dell’Oreto si estende, in senso longitudinale, dall’entroterra fino alla costa. Attraversa tutte le evoluzioni del territorio palermitano, dall’ambito più naturale e agricolo fino al nucleo urbano consolidato, alla foce. All’interno di questo sviluppo interseca non di rado alcuni degli elementi principali del sistema infrastrutturale palermitano, che lo segnano generando numerosi tagli e fratture. La maggior parte delle infrastrutture che intercettano la superficie del parco lo tagliano in senso trasversale, delineando dei veri e propri ambiti, porzioni di parco, con un’identità ogni volta differente, come differenti sono i tipi di contesti urbani o delle attività umane che si avvicendano man mano che ci si allontana dalla costa. Inoltre esistono anche un paio di direttrici che corrono lungo la lunghezza del parco e che lo lambiscono nell’atto di collegare Palermo ai centri urbani più interni. Gli elementi che attraversano il parco in senso trasversale si concentrano verso la costa, nel tratto in cui il parco si relaziona con l’ambiente costruito. A partire dalla foce il parco è intersecato dei seguenti assi viari: - Il Lungomare rappresenta l’asse principale della viabilità longitudinale in quanto funge da collegamento dell’intera area portuale ed è la principale strada di scorrimento dell’area centrale. Presenta un tratto iniziale con caratteristiche di strada interquartiere per poi diventare, a partire da via Tiro a Segno, una strada di Scorrimento. Questa viabilità serve nell’ora di punta l’11% del traffico complessivo, con un grado di saturazione medio del 46% ma una velocità corrente di 29 km/h sui 38 che si avrebbero a flusso nullo; - Il ponte della linea ferroviaria, che successivamente si dirama per raggiungere la stazione;

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- Via Oreto, che risulta essere l’asse più critico con un grado di saturazione medio del 77% ed una velocità media corrente di 10 km/h contro i 37 a flusso libero. Questo fenomeno è dovuto principalmentea intersezioni sovra-sature ed a restringimenti di capacità dovuti ai due viadotti: quello sulla ferrovia equello sul fiume Oreto; - Viale Regione Siciliana, con il suo viadotto a 4 corsie, costituisce il raccordo autostradale che distribuisce il traffico su larga scala legato all’area metropolitana di Palermo. Dal punto di vista della congestione stradale rappresenta il momento di massima criticità della viabilità palermitana, in particolare nelle ore di punta. Gli assi stradali che intersecano il parco in senso longitudinale, invece, stabiliscono con esso un rapporto di reciprocità più complessa poiché, oltre ad essere delle barriere fisiche, possono rappresentare anche una risorsa, producendo la possibilità di generare un sistema di accessi e soglie. Questi, infatti, accompagnano il parco nella sua estensione longitudinale, correndo su entrambi i lati. In particolare l’asse viario su cui insite il quartiere storico di Villagrazia definisce una vera e propria strada vitale, inteso come luogo del vivere e dello scambio. Quando ormai il parco ha abbandonato la sua realtà urbana per giungere ad una dimensione prevalentemente agricola e naturale, la SS624 attraversa il parco in senso diagonale, provocando l’ultima delle cesure con lo scopo di connettere Altofonte al centro di Palermo.

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Il sistema del Turismo

Palermo e il turismo di area vasta Lo sviluppo turistico di una città come Palermo non può non tenere conto della proiezione del turismo a livello provinciale e delle interconnessioni tra il centro urbano, la costa e le sue aree circostanti, espressione di valori rurali e naturalistici. Grazie alla sua forte identità territoriale, al ricco patrimonio storico culturale e alla presenza di ambiti naturali di pregio, la provincia palermitana rappresenta l’area di maggiore attrazione turistica in Sicilia (Apat 2014). L’offerta complessiva di questo territorio si può ricondurre a tre sistemi locali di natura tematica: il turismo balneare che va da Cefalù a Terrasini; il turismo archeologico e culturale; il turismo naturalistico ed escursionistico con il parco delle Madonie. A questi tre ambiti si collega l’attrattività della città di Palermo.

Il turismo archeologico e culturale Il turismo di tipo culturale è la forma di attrazione preponderante all’interno del territorio provinciale, facendo sì che il flusso di arrivi rimanga costante durante l’anno, senza cali drastici nelle basse stagioni (fenomeno che invece risulta facilmente riscontrabile in altre province siciliane che registrano picchi legati al turismo estivo, come Siracusa). In tale contesto, la provincia di Palermo ha la più rilevante offerta storico-artistica della Sicilia, superiore, anche a destina65


zioni come Messina, Siracusa e Trapani. Il territorio dispone di un ricco patrimonio storico-artistico, ben distribuito, composto da siti archeologici, chiese, santuari, monasteri e abbazie, beni di interesse storico-artistico (musei, gallerie, pinacoteche, castelli e dimore storiche). In termini percentuali, sul totale degli arrivi, ad esempio, quelli per turismo culturale rappresentano l’80% dei turisti da USA, Spagna e Portogallo; l’85% dei giapponesi; il 52% degli svizzeri e dei francesi; il 60% dei turisti dei Paesi Bassi.

Il turismo balneare Il turismo balneare ha da sempre rappresentato il settore di punta dell’industria ricettizia di Palermo. Resta il fatto che quello balneare rimane il turismo più soggetto alla stagionalità. In questo ambito assistiamo, nell’ultimo decennio, ad una diversificazione delle strutture ricettive, più legate alla ricchezza e alla qualità ambientale. In questo senso l’offerta turistica balneare si sta adattando alla sempre crescente domanda di un’esperienza turistica più complessa, che coinvolga in eguale misura tanto gli ambiti balneari quanto quelli naturalistici ed escursionistici.

Il turismo naturalistico ed escursionistico Questo ambito rappresenta un segmento in crescita e che nell’ultimo quinquennio ha conosciuto incrementi annui fino al +20%, contribuendo alla diversificazione e alla destagionalizzazione della domanda turistica del territorio palermitano, interessato fino ad oggi da un turismo prevalentemente balneare e culturale. Tra gli aspetti positivi di questa offerta, inoltre, vi è la ridotta stagionalità. 66


In virtù di ciò, le visite e i pernottamenti nei parchi, nelle aree rurali e nei sentieri delle Madonie sono già da diversi anni in forte crescita. Le opportunità che il territorio riserva agli escursionisti sono legate alla pratica di attività sportive (trekking, bicicletta, ecc.) e alla ricettività diffusa nel paesaggio naturale (agriturismi, rifugi e ostelli).

Offerta turistica di Palermo Nel corso del 2012, Palermo è stata mèta di più di un milione di arrivi e di oltre 3,1 milioni di presenze, più o meno equamente distribuite fra italiani e stranieri, tanto che l’indice di internazionalizzazione turistica, ovvero il rapporto fra turisti stranieri e totale, che raggiunge il 44,2%, non è molto lontano dal dato nazionale, pari al 47%. Peraltro, gli arrivi di turisti stranieri sono in un trend in crescita, poiché passano da 532 mila arrivi nel 2008 a 589 mila nel 2014. L’offerta ricettiva palermitana è imperniata sulla tradizionale ricettività alberghiera (che assorbe infatti il 95% degli arrivi ed il 97% delle presenze). Di fatto, nonostante la presenza di risorse turistiche balneari e ambientali, l’offerta ricettiva di Palermo è strutturata attorno a modalità classiche, con conseguente perdita di opportunità anche relativamente a bacini specifici, spesso anche ad alto valore aggiunto nel turismo rurale ed ambientale. Di conseguenza vi è maggiore richiesta di forme alternative di turismo con qualità meno standardizzata e più attenta alle questioni ambientali e sostenibili. Ciò potrebbe essere il punto di partenza per la risoluzione dei limiti dello sviluppo turistico palermitano che pur riscontrando da un lato un aumento dei flussi in ingresso, dall’altro è soggetto ad una bassa permanenza media.Questa evoluzione del “consumo turistico” porta a 67


proporre il Parco dell’Oreto come una nuova centralità dalle sfaccettate possibilità.

Il Parco dell’ Oreto e l’offerta turistica Lo scenario di fondo su cui si innestano le scelte progettuali è il risultato di una lunga stratificazione di risorse culturali che animano un complesso e storicamente significativo contesto paesaggistico. Il turismo nella valorizzazione di un territorio assume così un ruolo economico trainante, concorrendo alla competitività e alla riqualificazione territoriale. Il fiume Oreto sorge nell’entroterra palermitano, in corrispondenza del rilievo Meccini (situato tra i due centri di Monreale e Altofonte), e si sviluppa in un percorso piuttosto lineare che sfocia in corrispondenza del nucleo urbano consolidato di Palermo. Nel suo sviluppo longitudinale il Parco entra in contatto con differenti realtà territoriali e differenti possibilità di offerta turistica. Le esperienze turistiche possono scomporsi in due macro categorie: una con vocazione naturalistica e l’altra con vocazione più urbana. I tratti del parco ricadenti all’esterno dell’amministrazione palermitana rispondono ad una domanda La domanda escursionista riguarderà maggiormente l’ambito dei monti che circondano la città di Palermo e quindi il Parco blbabla. Il tratto successivo con caratteristiche prevalentemente agricole propone una riscoperta della storia agricolo-produttiva e dei prodotti biologici della città di Palermo, qui ritroviamo i segni del passato agricolo della Conca d’Oro e della popolazione araba. Per quanto riguarda i tratti che ricadono nei confini ammi68


nistrativi palermitani, i due tratti fortemente urbanizzati, nel tratto che confina con via Regione Siciliana , il Parco andrĂ a riconnettersi alla corona dei parchi centrali che vanno da x a y e alla cittadina stessa e alla sua ricca offerta culturale, ( es es). Infine alla foce il Parco confina con l’Orto botanico, isituzione museale e didattico-scientifica che ospita oltre 12.000 specie differenti; Villa Giulia , giardino storico settecentesco e il Foro italico, o passeggiata della Marina, è una grande area verde che forma uno dei lungomare di Palermo. Si estende dalla a villa Giulia, nel quartiere Kalsa.

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Scheda n. 2 Elenco dei parchi e delle riserve naturali presenti in provincia di Palermo Parchi Regionali Aree Marine Protette t 1BSDP EFMMF .BEPOJF t $BQP (BMMP *TPMB EFMMF 'FNNJOF t *TPMB EJ 6TUJDB Riserve Naturali Regionali in provincia di Palermo t #BHOJ EJ $FGBMË %JBOB F $IJBSBTUFMMB t .POUF $BSDBDJ t #PTDP EFMMB 'BWBSB F #PTDP (SBO[B t .POUF (FOVBSEP F 4 . EFM #PTDP t #PTDP EFMMB 'JDV[[B 3PDDB #VTBNCSB t .POUF 1FMMFHSJOP t #PTDP EFM $BQQFMMJFSF F (PSHP EFM %SBHP t .POUF 4 $BMPHFSP t $BQP (BMMP t .POUJ EJ 1BMB[[P "ESJBOP t $BQP 3BNB t 7BMMF EFM 4PTJP t (SPUUB $PO[B t 1J[[P $BOF 1J[[P 5SJHOB t (SPUUB EJ $BSCVSBOHFMJ t (SPUUB .B[[BNVUP t (SPUUB EJ &OUFMMB t 4FSSF EJ $JNJOOB t (SPUUB EFJ 1VOUBMJ t 4FSSF EFMMB 1J[[VUB t *TPMB EJ 6TUJDB Fonte: Federparchi

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Il parco delle Madonie

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Capitolo 3 Atlante Conoscitivo

Il rapporto tra la cittĂ e il paesaggio

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Paesaggi culturali Una volta delineate le caratteristiche del territorio relativamente alle questioni ambientali e infrastrutturali si è proceduto con l’analizzare il parco all’interno del sistema urbano, cercando di sviluppare il tema dell’ecologia in termini di sintesi fra il paesaggio e i suoi produttori. Si è considerato l’uomo come elemento “naturale” che nel corso dei secoli ha adattato l’ambiente circostante alle proprie volontà, ridimensionando la netta distinzione fra artificiale e naturale solitamente assunta. In questo senso si è preferito riconsiderare il binomio natura|cultura in controllabile|autonomo, termini posti da Koert van Mensvoort, nel suo saggio “the real nature is not green”, in cui la cultura diventa ciò che possiamo controllare e la natura tutto ciò che non possiamo controllare. In accordo con questa classificazione l’area dell’Oreto, il parco della Favorita, il parco di Ciaculli e il Foro Italico, i principali spazi verdi della città, non possono essere considerati spazi naturali residui ma veri e propri luoghi determinati culturalmente al pari del del restante sistema urbano mentre, per certi versi, la vaporizzazione del tessuto urbano, nella sua onnipervadenza anarchica, assume i connotati di spazio autonomo incontrollato. La storia della città, la distribuzione dei tessuti edilizi all’interno della piana, l’osservazione del paesaggio dimostrano che Palermo nasce e si sviluppa nella stretta relazione fra urbano e paesaggio (elementi preesistenti e successivi all’intervento antropico) in una sinergia in termini di produzione di manufatti architettonici e modificazione del paesaggio naturale. In questo senso si è riletta la storia della città a partire dalle tracce oggi presenti e cercando di individuare i legami fra queste, concatenando le questioni autonome e quelle controllate, quelle naturali e quelle culturali. L’analisi che segue è esposta pertanto in termini di sistemi entro cui si sviluppa il paesaggio con particolare attenzione a qulle zone di margine che hanno costituito non solo i confini ma, soprattutto, le aree da cui hanno tratto forza i principali 77


momenti di evoluzione della città.

Sistema mare|fiumi Il primo insediamento risale all’VIII secolo a.C. ad opera dei Fenici ed è situato in corrispondenza dell’altura ora occupata dal Palazzo dei Normanni. Lì ha origine la città lambita su entrambi i lati da due fiumi: il kemonia e il papireto. I due fiumi avevano origine poco più verso l’interno, il Papireto presso la fossa dei Danisinni e il kemonia presso la fossa della Garofala. Ancora oggi, nonostante il Kemonia sia stato deviato nell’Oreto e il Papireto interrato, è possibile leggerne gli antichi percorsi dalla morfologia del costruito. I margini idrici del sistema fenicio sono non solo utili allo scopo difensivo e di approvvigionamento delle acque ma consentono allo stesso tempo di avere numerosissimi ormeggi per le navi incentivando quindi i commerci e lo sviluppo stesso della città (immagine zoom centro storico da tavola foce).

Sistema monti|mare|fiumi Nelle fasce di territorio in cui le montagne del palermitano incontrano la Piana si sviluppa il fenomeno delle falde acquifere freatiche. (Le acque meteoriche che cadono sulla superficie terrestre in parte ritornano all’atmosfera per effetto dell’evaporazione, in parte alimentano le acque superficiali e in parte, attraverso le fratture/porosità delle formazioni rocciose permeabili superficiali, riescono a percolare in profondità, fino a quando non incontrano uno formazione impermeabile (es. formazione argillosa o rocciosa compatta) che ne arresta il movimento di percolazione.) Infatti i monti palermitani sono costituiti da roccia calcarenitica, quindi porosa mentre la piana essendo il risultato dell’apporto di materiale fluviale è argillosa. Questo significa che l’acqua che percola attraverso la roccia calcarenitica nelle profondità, trova un ostacolo insuperabile nei terreni argillosi della piana ed è quindi “costretta” a riemergere, dando origine alle sorgenti disposte intorno alla conca. Gli Arabi che si insediano nel territorio a partire dall’841 d.C. 78


saranno gli artefici del primo grande intervento di modificazione del territorio della Piana. Riuscendo attraverso l’efficiente sistema dei qanat a captare e ridistribuire in tutta l’area acqua per usi domestici e agricoli. I qanat sono un sistema di gallerie sotterranee e pozzi all’interno dei quali vengono convogliate le acque provenienti dai monti. Nel territorio agricolo l’accesso all’acqua avviene principalmente tramite pozzi mentre in città vengono costruite delle torri (dette torri dell’acqua o castelletti, per via della forma) poste al di sopra della cinta muraria. Essendo questi i punti più alti della città l’acqua sgorga naturalmente senza bisogno di pompe meccaniche ma solo grazie al principio dei vasi comunicanti. L’enorme apporto tecnologico si concretizza nello sviluppo dell’agricoltura non più legata quindi alla mancanza di acqua nelle stagioni calde permettendo quindi l’introduzione di specie ad alto fabbisogno idrico. I Normanni conquistano la città nel 1072, tuttavia mantengono una classe dirigente araba sviluppando e arricchendo il sistema urbano già presente. Con Arabi e Normanni la città consolidata arriva ad espandersi nella forma ancora leggibile dell’attuale centro storico racchiuso dalle mura. Le zone extraurbane sono organizzate in grandi distese coltivate e insediamenti quali fattorie e bagli a presidio del territorio e quasi sempre in concomitanta con risorgive. I normanni si spingeranno ancora più degli arabi alla ricerca delle sorgenti adibendo il territorio occidentale, verso le montagne e Monreale a parco di caccia del sovrano, il Parco del Genoard. Per quanto riguarda il fiume Oreto, chiamato Wadì Abbas in epoca araba, è bene fare una distinzione nelle trasformazioni che questo ha subito fra sponda destre e sinistra. A destra troviamo S. Giovanni dei lebbrosi e più in là il castello di Maredolce con il Parco della Favara, che si estendeva dal fiume Oreto fino a Bagheria, quindi aree ad uso diretto del re e della sua corte, facenti parte del sistema del “sollazzo regio”. Sulla sponda sinistra, verso la città, si travano in gran numero terreni allodiali (in piena proprietà, in opposizione ad esempio ai termini feudale o beneficio con cui si intende una concessione da parte di un signore) di dimensioni più o meno piccole dove si coltivavano le derrate agricole utili anche al consumo 79


diretto per gli abitanti della città. Bisogna considerare che all’interno della città grazie alla presenza dei due fiumi esistevano ampie porzioni dedicate sia alla residenza che alla produttività (mulini e campi agricoli). Intorno al 1300, con lo smembramento del regno finisce per essere occupato e smembrato in lotti il sollazzo della Favara proprio a partire dall’area del dattileto impiantato sulla sponda destra dell’Oreto.

Sistema monti|piana La situazione rimane sostanzialmente invariata fino al XVI sec.. In seguito ad un boom demografico e alla conseguente saturazione del tessuto urbano consolidato molti nobili si spostano nella piana fra palermo e mondello andando in molti casi a ristrutturare antichi bagli e in altri costruendo nuove ville. Il territorio intorno alle ville è coltivato e costituisce un grande fattore di ricchezza in grado di richiamare persone dalla città e dalle aree agricole dell’interno dando quindi luogo alla creazione delle borgate. Tali borgate sono di molto successive a quelle marinare che traggono origine più antiche. Nel territorio dell’ agro palermitano si ritrovano alcune tipologie ricorrenti di borgate, riconducibili ad almeno due modelli fondamentali. Al primo appartengono le borgate generate lungo un asse viario di penetrazione territoriale ad una distanza variabile approssimativamente intorno ai tre o cinque chilometri dalle porte della città antica, eccettuate le borgate oltre la Piana dei Colli che distano all’ incirca il doppio. Lo sviluppo è di tipo lineare, e solo in alcuni casi a grappolo, mentre in casi particolari si presenta con caratteristiche di tessuto. Nel sistema lineare semplice si osserva la strada come elemento primo al quale vengono affidate tutte le relazioni sociali della comunità, caratterizzando l’unità abitativa con ambienti di soggiorno direttamente affacciati sul versante della strada medesima, mentre il fronte chiuso del retro, a meno di piccoli affacci di logge, sottolinea l’estraneità alla proprietà e all’uso della campagna retrostante ; solamente in alcuni casi si ha sul retro una fascia di orti o un cortile, posti a mediazione con la campagna e i giardini. Quando alla residenza è legato il pos80


sesso del giardino si nota che l’abitazione è posta arretrata rispetto alle viario portante della borgata, conformandosi come sistema chiuso al pari di bagli e ville. La borgata di Villagrazia ne è una chiara esemplificazione. Nella presente ipotesi la strada costituisce l’unico spazio di relazione della borgata e, molto spesso, gli elementi emergenti riprendono l’allineamento con l’asse stradale distinguendosi per il valore caratteristico degli elementi come la gradinata, l’arco, il portale o con un allargamento della sezione stradale. Nel sistema a grappolo (cioè a raggruppamento) la struttura si articola in cortili, le borgate di riferimento sono Chiavelli, Uditore, Acquasanta. La borgata si presenta come un sistema complesso di relazioni tra lo spazio privato della casa, ridotta alle dimensioni minime dell’unità rurale, e il cortile, come spazio collettivo attorno al quale si distribuiscono tutti quegli ambienti di supporto alla vita rurale.Il cortile è lo spazio che prolunga all’aperto alcune delle attività domestiche e nello stesso tempo assolve ad alcune funzioni produttive. Il rapporto con la strada, mediato dal cortile, è evidenziato spesso da un passaggio coperto cui si accede tramite un arco che funge anche da segnalazione sul fronte stradale stesso. Nel caso dell’impianto con caratteristiche di tessuto, inteso come insieme di edifici, percorsi e reti viarie, come ad esempio l’arenella, l’unitaà edilizia di solito a due elevazioni organizza spesso spazi minimi di vita all’interno dell’alloggio, creando un rapporto con la strada non diretto ma mediato in cui il portone di ingresso e il balcone assumono valore di segno distintivo per la casa. La strada su cui si apre l’abitazione non rappresenta il luogo privilegiato per le relazioni sociali ma, piuttosto per quelle di vicinato, mentre è nella piazza che è possibile riscontrare il centro dei servizi della borgata. Lungo il fiume ritroviamo le borgate della Guadagna, di Falsomiele, di Villagrazia, di cui si è già detto, di Santa Maria del Gesù, e più distante, oltre la statale, Brancaccio; tutte legate alla presenza del fiume o delle risorgive disposte lungo il margine fra montagna e piana. Alcune di queste borgate sono state assorbite dalla città perdendo il carattere preminentemente agricolo e rimanendo tuttavia isolate dalle influenze del centro cittadino. 81


Oggi una classificazione delle borgate può essere sviluppata a partire dal rapporto di dipendenza che queste creano con la città, tramite la mediazione viariae la caretterizzazione dei punti di scambio In concomitanza con lo sviluppo delle borgate nelle aree di margine della Piana, all’interno della città consolidata nascono una serie di realtà che fungono in qualche modo da supporto allo sviluppo dell’agricoltura. Uno dei motori di questo meccanismo sarà l’introduzione della coltura degli agrumi nel XVII secolo che, in poco tempo per una concomitanza di sviluppo tecnologico e capacità imprenditoriale diventerà la prima delle industrie agrarie dell’isola. La volontà di sperimentare e fare ricerca nel campo agrario associata al pensiero illuminista che ha permeato il XVIII secolo hanno portato all’inserimento nelle aree di margine dei parchi pubblici, il primo è Villa Giulia, e di elementi come l’orto botanico legati allo sviluppo della sperimentazione agricola.

Sistema E’ a partire dal secondo dopoguerra che inizia la crisi del settore agricolo che si manifasta dapprima lentamente per poi avere un tracollo definitivo nella seconda metà del secolo. L’alto reddito creato da prodotti unici, come il mandarino tardivo di Ciaculli, porta alla frammentazione in microfondi della proprietà latifondistica. Questo comporta un aumento della complessità di gestione del sistema delle acque irrigue lasciando spazio all’intermediazione mafiosa. L’insieme dei fattori fa sì che a inizio secolo l’agricoltura palermitana sia già vecchia in termini strutturali ed imprenditoriali. La produttività agraria non risulterà più sufficiente ad assicurare redditività.La perdita di valore dei terreni agricoli in termini produttivi e, in concomitanza con il piano regolatore del ‘62, l’aumento delle aree edificabili ha prodotto l’edilizia ad altaa densità e spesso abusiva che ora si osserva in città. In concomitanza con questo si deve considerare l’emergenza abitativa dell’immediato dopoguerra in una città devastata dai bombardamenti come Palermo. I primi quartieri di edilizia residenziale popolare vennero costruiti in prossimità di territori 82


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in parte già urbanizzati come le borgate. Il reticolo viario agricolo costituì insieme a queste preesistenze il punto di aggancio per le nuove costruzioni . L’esperienza delle periferie palermitane con i primi quartieri di INA casa e di altri enti similari caratterizzerà la produzione edilizia delgli anni successivi. Infatti la localizzazione in aree lontane dall’attrezzature urbane avrebbe avuto un suo significato se questi interventi si fossero poi relazionati il sistema delle borgate che tanto caratterizzava l’agro palermitano. Così non è accaduto, anzi guardando alle periferie nate da programmi socialmente orientati, sviluppati qui come nel resto del territorio nazionale tramite acquisizione di aree agricole a basso costo in posizioni lontane dal centro della città, si osserva che questo iter non solo ha prodotto altissimi costi di gestione dell’urbanizzzione e dell’accessibilità ma ha inoltre generato un’alta rendita fondiaria sui terreni compresi fra gli interventi di edilizia popolare e il centro, generando meccanismi di abusivismo.

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Conclusioni Concentrare il solo fattore di reddito nell’edilizia svincolando il territorio nel suo complesso dai meccanismi di produzione del reddito per la popolazione ha comportato che i terrritori di margine come la costa, i monti, il territorio fra i due e anche il fiume, prima riconosciuti come elementi in grado di produrre ricchezza abbiano perso ogni tipo di valore. Significa che da un certo momento in poi sono stati interpretati non più come margini ma bensì come ostacoli. Il fiume Oreto ha subito a partire da metà 900 un processo di negazione operato da parte degli amministratori che nel, 1962 sono arrivati addirittura a predisporne la tombatura. Si deve ricordare che già negli anni ‘50 venne pianificata Viale Regione Siciliana con lo scopo di connettere velocemente le aree esterne a quelle interne alla città. Sicuramente anche in previsione dell’edificazione dei quartieri popolari e non solo. Prevista anch’essa dall’infausto piano regolatore del ‘62 venne ben presto inglobata all’interno della città. Oggi costituisce uno dei sistemi infrastrutturali più impattanti che attraversano il fiume.

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Scheda n. 3 La storia della Conca d’Oro La conca d’Oro si presenta come un’area pianeggiante, delimitata a nord est dal mare del golfo di palermo e protetta sud ovest da una catena montuosa. Ricca di acque e falde acquifere freatiche che arrivano proprio dai monti che la circondano proteggendola dai venti carichi di umidità, facilitando le precipitazioni e alimentando i numerosissimi corsi d’acqua che un tempo attraversavano la piana e ora non più visibili. Queste fortunate condizioni hanno consentito fin dal primo millennio avanti cristo lo sviluppo di un agricoltura particolarmente produttiva, avvantaggiata dalla fertilità dei suoli alluvionali (Tipologia di terreni presenti nelle valli fluviali, piane alluvionali e nelle aree di avfoce.Si formano grazie alla deposizione, durante gli episodi di alluvionamento, dei sedimenti trasportati dai corsi d’acqua esondati al di fuori del loro alveo ) Sulla piccola penisola, nei pressi della foce del fiume Oreto, il facile approdo e la posizione strategica fortificabile favorirono la fondazione della città di Palermo con un porto in posizione centrale nel Mediterraneo, che divenne via via scalo marittimo e commerciale sempre più importante. Furono sicuramente le dominazioni araba e normanna a regalare alla piana i massimi momenti di splendore e ricchezza. A Palermo dopo la conquista araba dell’831 d.C. si verifica un incredibile esplosione demografica, per lo più a causa dell’imponente flusso migratorio dei conquistatori che si vanno a sommare ad una popolazione già residente composta da berberi, ebrei, siro-libanesi, iraniani, tartari, etiopi, greci, romano-bizantini e goti, integrandosi perfettamente. Palermo, Preferita a Siracusa troppo vicina a Costantinopoli e troppo cristiana, diviene così la capitale dell’impero arabo che ne fa il suo avamposto per tutta l’area del Mediterraneo occidentale. La città assume così un ruolo di vertice quale capitale e centro di un sistema geopolitico, culturale ed economico, distinguen89


dosi e predominando sugli altri sistemi medievali. A partire dal 1072 data della conquista normanna si registra la massima esplosione di questo fenomeno. Anche l’agricoltura viene coinvolta in questo processo di sviluppo senza precedenti e la pianura intorno alla città di Palermo viene interessata da profonde trasformazioni. A Palermo, prima dell’arrivo degli arabi, attraverso i fenici e i romani, erano state introdotte piante tipiche delle regioni mediorientali, principalmente alberi da frutto quali olivo, vite, melo, pero, melograno, fico, albicocco, mandorlo, pistacchio, cedro e limone. Queste colture si sviluppavano principalmente all’interno dei giardini della città e nelle ville e fattorie extraurbane; intorno a questi presidi si sviluppava il paesaggio di distese cerealicole. Con l’intervento degli arabi vengono edificati numerosi fabbricati rurali, opifici e soprattutto viene creato un adeguato sistema di raccolta, sollevamento e distribuzione delle acque per soddisfare sia il fabbisogno agricolo che quello della città e dei numerosi parchi e giardini. Le piantumazioni si arricchiscono quindi di specie ad alto fabbisogno idrico quali palme da dattero, cannamele, cetrioli cocomeri, meloni zucche, arancia amara e carrubo. Il successo dell’economia agricola è generato dal frazionamento del latifondo in tante piccole proprietà individuali, accompagnato da un regime di tassazione fondiaria non vessatorio che stimola gli investimenti nella proprietà terriera, rendendo svantaggioso non utilizzare i terreni per la coltivazione. La razionalizzazione della gestione delle acque, sia irrigue che per uso civile, consentono, a Palermo e nelle immediate vicinanze, il fiorire di quell’architettura fatimita che trova espressione e testimonianza in diversi contesti architettonici quali la Zisa, la Favara e la Grande Cuba. Con la caduta del regno normanno diminuisce la superficie dedicata all’agricoltura intensiva e irrigua, che si riduce ad occupare quasi esclusivamente l’area del fiume Oreto. A partire dal XV sec si assiste alla diffusione della coltura della canna da zucchero che garantisce produzioni facilmente esportabili, leggere, e redditi elevati. Si estende principalmente a sud est della città con piccoli appezzamenti specializzati 90


che diventeranno però di un numero talmente considerevole da creare problemi relativi alla reperibilità di concimi, acqua e legna per alimentare i trappeti (trappéto (o trapéto) s. m. [lat. Trapētum o trapētus, «pigiare l’uva»], centro-merid. – Frantoio, torchio per le olive, treccani). Nella coltivazione della canna c’è la ricerca di tutti i terreni utili (pianeggianti ed irrigui); nella raffinazione c’è la necessità di quantità enormi di energia che sarà fornita dalla legna da ardere. Questa necessità segnerà la fine dei parchi normanni e il disboscamento selvaggio delle montagne (pressocchè tutte vincolate a “foresta regia”. Le conseguenze saranno le periodiche inondazioni della città e le piene dell’Oreto con il frequente cambiamento di letto prima della foce. Quindi se da un lato la necessita d’acqua porta alla ricerca di nuove fonti e all’estensione della superficie irrigua attraverso la costruzione di acquedotti, dall’altra la necessità di legna da ardere porta al disboscamento dei boschi più vicini alla città. Prima quelli delle montagne di Monreale e poi lungo la costa, vicino a porto e ormeggi, verso Cefalù, allontanando sempre di più dalla città la produzione e, conseguentemente la lavorazione. A fine secolo Palermo appare “cinta intorno di monti aspri, alti ed erti dove non è albero di sorte veruna” (Fazello 1558). I bei boschi di quercie sono definitivamente scomparsi. Il Paesaggio agricolo della Conca rimane sostanzialmente invariato per tutto il XVI secolo (viti e olivi) fino al sorgere nel XVII secolo delle ville dell’aristocrazia nella piana dei colli, verso Mondello. Si sviluppano intorno attività agricole in un territorio fino a quel momento poco valorizzato, vengono impiantati vigneti, mandorleti e nelle pertineze delle ville anche piante ornamentali. Il Marchese di Villabianca descrive in questi anni la campagna della Valle dell’Oreto come :”la più amena e deliziosa...piantata a vigne ad ulivi , ad aranci...un fiorito e ridente giardino. La nascita nel 1789 dell’Orto Botanico e nel 1799 della Favorita, ai quali era preceduta di un decennio l’apertura del primo giardino pubblico della città: Villa Giulia, conferma la funzione utilitaristica assegnata al verde cittadino. Nel 1854 l’istituto agrario Castelnuovo introduce nuove macchine irrigue che an91


dranno a sostituire le senie arabe, questo darà una forte spinta alla coltivazione degli agrumi, di fondamentale importanza risulterà il lavoro di catalogazione e ricerca compiuto dall’orto botanico della città. Nel 1875 viene stilato il ”Catalogo deli alberi da frutto vendibili nel piantonaio esistente nelle terre aggregate del real Orto botanico”. Le campagne della valle dell’Oreto sono coltivate riccamente e sul fiume si affaciano più di 15 mulini. Al termine del XVIII secolo, sulla spinta di richieste che giungono dai mercati internazionali vengono ampliate le superfici adibite alla coltivazione degli agrumi. La coltivazione degli agrumi arriverà ad essere la prima tra le industrie agrarie dell’isola, superando olivi e viti, presenti sul territorio da molto più tempo. Si è trattata di una radicale, forse la più grande, ristrutturazione territoriale che l’agricoltura meridionale abbiamai realizzato (Lupo 1990) riuscendo a sintetizzare il giardino mediterraneo esprimendone al contempo il carattere di utile e bello. I giardini ornamentali, i boschetti artificiali, le delizie, cedono il posto alla coltivazione dell’agrume anteponendo la ragione del guadagno all’estetica. Il successo della diffusione di questa coltura è la combinazione di un favorevole contesto commerciale ed economico internazionale e della capacità da parte di cittadini ed istituzioni di promuovere l’adozione di nuove tecnologie. Dal 1870 in poi la diffusione dei piro-motori applicati alle norie Gatteau (Macchina per sollevare acqua e materiali incoerenti (come sabbie, cereali e sim.), che consta di una serie di secchie fissate a distanze uguali su una catena o su un nastro senza fine, mosso e guidato da pulegge: le tazze si riempiono in basso, pescando nell’acqua (o solcando il mucchio del materiale) e, passando sulla puleggia superiore, rovesciano il loro contenuto in una tramoggia che lo raccoglie. In partic., n. a rosario, quella in cui il sollevamento del liquido è ottenuto mediante una serie di dischi d’acciaio, con guarnizioni di gomma sui bordi, che, trascinati da una catena, si muovono all’interno di un tubo immerso nel liquido da sollevare, fungendo così da stantuffi).consente di scavare pozzi più profondi e di estrarre maggiori volumi idrici fino a poter estrarre abbastanza acqua da rispondere alle necessità del proprio appezzamento e venderne a quelli vicini. 92


All’evoluzione delle tecnologie si affiancano i risultati di sperimentazioni agrarie o semplicemente di casi fortunati come il caso della diffuzsiione della tecnica della forzatura, nata dalla casuale scoperta di un limoneto della Zisa nell’estate del 1867 e basata sulla constatazione che le piante di limone sottoposte alla sospensione temporanea dell’irrigazione rifioriscono e producono l’estate successiva i verdelli, frutti di grande pregio commerciale prodotti in un periodo in cui i limoni sono altrimenti assenti dai mercati. La diffusione incontrastata degli agrumi spinge le coltivazioni di olivi e vite ai margini del territorio dove ancora oggi permangono. A partire dal ‘900 si assiste contemporaneamente ad un aumento delle superfici coltivate e ad una frammentazione della proprietà fondiaria che accrescendo la complessità e l’irrazionalitàdelle utenze irrigue facilitano l’infiltrazione della componente mafiosa. La dimensione ridotta degli appezzamenti (un’indagine del 1956 rileva che l’84,6% delle proprietà non supera l’ettaro di superficie) comporta anche la non diffusione degli impianti meccanizzati mantendo ridotti i costi di produzione ma allo stesso tempo rendendo arretrato l’intero sistema agricolo. I livelli produttivi degli impianti agricoli non riescono più a creare un reddito sufficiente. Alla debolezza strutturale e all’obsolescenza agronomica si sommano i problemi derivanti dalla pressione esercitata dalla città sul territorio. La superficie agraria utilizzata diminuisce rapidamente e i suoli vengono occupati da usi urbani impropri; sorgono conflitti circa la disponibilità di acqua, con gli usi civili ed industriali; nuove possibilità di occupazione si offrono ai giovani agricoltori e nessun investimento di rilievo, fino all’abbandono delle colture,viene effettuato nella speranza che anche il proprio terreno possa essere edificato.

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Capitolo 4 I Margini Analisi critica del contesto

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“Bisogna distinguere nel modo più netto soglia e confine. La soglia è una zona, una zona di passaggio.” (W. Benjamin, I Passages di Parigi)

Introduzione L’estensione e la sagoma del parco dell’Oreto sono definite dal (piano territoriale regionale). Il metodo adottato per definire tali limiti, però, non ha alcuna relazione con le questioni qualitative o tipologiche legate al territorio, ma è la mera applicazione di una norma urbanistica ormai consolidata: la legge Galasso, infatti, stabilisce la tutela paesaggistica - e ne determina i relativi vincoli - di una fascia di rispetto di 150m dagli argini di un fiume. Di conseguenza, la sagoma del parco, così come definita dagli strumenti urbanistici, risulta essere una fascia stretta e longilinea che, a partire dalla foce, corre lungo lo sviluppo dell’alveo del fiume in maniera piuttosto uniforme. Il profilo si apre poi soltanto nell’estremità opposta, nell’atto di accogliere il rilievo Meccini e le sue derivazioni fluviali. Tenendo quindi come punto fermo questi limiti virtuali appena descritti, è interessante valutare la conformazione e la disposizione degli elementi del paesaggio in relazione all’”interno” e all’”esterno” dei confini. In una prima fase, questa analisi prende in considerazione due macro-temi: il verde, in tutte le sue declinazioni, e il costruito. 101


Il verde rispetto ai bordi “dalla degradazione urbana si passa a quella suburbana, e da questa a quella rurale. Dal 1910 all’incirca le autostrade sopraelevate cominciarono a partire da ogni metropoli quali fiumi sempre più larghi e numerosi: queste autostrade portano con sé l’ambiente urbano: la strada pavimentata, i posti di rifornimento, i tuguri lungo la strada, lo sviluppo edilizio a nastro.” (L. Mumford) L’analisi del verde rispetto ai margini del parco prende in considerazione quattro principali categorie: - il verde naturale, inteso come le aree caratterizzate dalla presenza di una vegetazione spontanea e libere da fenomeni di urbanizzazione consistenti o da attività agricola; - il verde agricolo, quello maggiormente diffuso nel territorio, che è prevalentemente trattato ad agrumeti; - il verde urbano, inteso come le aree di arredo urbano trattate a verde, come giardini storici e parchi urbani attrezzati. Questo è situato all’interno del tessuto urbano consolidato di Palermo e costituisce un’offerta piuttosto limitata rispetto alla complessità della città; - il verde pubblico, con cui si intendono le aree definite - dal PRG vigente - come aree pubbliche attrezzate a verde. Queste, concentrate nelle aree periferiche del tessuto urbano, risultano effettivamente, nella maggior parte dei casi, spazi vuoti non definiti oppure aree dismesse di scarsa qualità ambientale. Rispetto ai confini del parco, l’analisi del verde assume delle declinazioni differenti tra interno ed esterno; questo dipende in maniera piuttosto diretta dalla conformazione della sagoma appena descritta, che asseconda la fascia ripariale del fiume Oreto. Per lo studio del verde presente all’esterno dei margini del par102


co si cerca di considerare l’offerta verde disponibile in un’area che si sviluppa da un ambito urbano densamente costruito (la foce) verso un territorio interno prevalentemente naturale. A questo proposito l’analisi prende in considerazione le tipologie di verde di natura antropologica, per definire il modo in cui queste si declinano fino a sfumare verso le alture che delimitano la conca d’oro. Si nota facilmente una successione piuttosto netta delle tipologie di aree verdi, che determina dei veri e propri ambiti. A partire dalla foce, nella porzione caratterizzata da un tessuto urbano più denso e consolidato, si riscontra una netta prevalenza di verde urbano: in questa area sono presenti i parchi storici della città di Palermo, come l’orto botanico e villa Giulia. Segue una diffusione sparsa e disarmonica delle aree definite “verde pubblico”: è importante notare come le aree verdi così denominate, in quanto spesso aree di risulta, siano caratterizzate da forme e superfici tanto diverse, che vanno da una dimensione molto piccola, con distribuzione a coriandolo, a grandi appezzamenti estesi come isolati di un tipico tessuto periferico. In questo tratto si percepiscono sporadicamente degli appezzamenti agricoli, che saranno poi l’elemento verde prevalente della porzione successiva: con il diradarsi del costruito, infatti, la città lascia spazio alla campagna. La natura agricola di questo tratto è facilmente percepibile, e quella dell’agricoltura degli agrumi è sempre stata la vocazione storica di questo territorio al di fuori dalle aree urbane. Il verde presente all’interno dei limiti, invece, è caratterizzato da una importante dualità che intercorre tra gli elementi naturali e le aree agricole. Lo sviluppo, dalla foce verso monte è quasi sempre omogeneo: una fascia centrale, definita dalla vegetazione ripariale del fiume, determina una spina di vegetazione naturale che è circondata da attività agricole: dove non è possibile urbanizzare, infatti, il terreno è rimasto ad uso agricolo.

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Il costruito rispetto ai bordi “Una fila di villette in aperta compagna, lungo una strada di grande comunicazione, costituisce un fatto di ordine metropolitano: lo stesso si può dire dei gruppi di casette da vacanze lungo un lago, un fiume, o l’oceano. La loro densità e concentrazione può anche non superare quella di un villaggio rurale: ma nel costume di vita, nei divertimenti, nel sistema di relazioni sociali, esse sono del tutto metropolitane: senza che dalla distanza di cinquanta miglia dal centro derivi alcuna differenza né in bene né in male.” (L. Mumford) L’analisi del costruito rispetto ai margini del parco prende in considerazione le quattro principali categorie edilizie che caratterizzano il tessuto urbano (e perturbano) del territorio analizzato: - gli isolati ottocenteschi con i loro palazzi monoblocco, disegnano una maglia densa e regolare che si estende dal centro città fino ad limite determinato dagli argini del fiume. Qui, infatti, lo sviluppo di questo tipo di isolato si blocca in maniera perentoria, e non è più riscontrabile nella porzione più periferica, al di là del fiume; - l’edilizia popolare, che è la categoria di edificio maggiormente diffusa nel territorio, proprio perché ci troviamo in un contesto urbano di margine. Come in tutte le periferie urbane europee, le aree più esterne e popolari di Palermo si sono saturate con un edilizia caratterizzata da grandi volumi distribuito senza un particolare elemento ordinatore; - le case di borgata, sono concentrate nel tratto più interno rispetto alla foce del fiume. In questa fascia vi sono delle vere e proprie borgate, di differente natura e formazione, che sono state col tempo “inglobate” dal tessuto periferico della città. Cioè nonostante, analizzando il tessuto urbano, è facile riconoscere del precise conformazioni (come quella esemplare di 104


Villagrazia) che si sono formate in maniera spontanea addensandosi intorno a delle strade particolarmente vitali; - le villette unifamiliari, determinano un tipo di edificazione priva di qualsiasi rete o connessione. Cominciano a svilupparsi già nella fascia prevalentemente agricola, per poi proliferare nelle aree più interne, più naturalistiche. Nella maggior parte dei casi si tratta di “seconde case” che, in particolare negli ultimi decenni, hanno soddisfatto il bisogno dell’uomo di vivere in un contesto considerato meno degradato rispetto alle fasce periferiche della metropoli palermitana. La loro diffusione nel territorio è molto omogenea ed è spesso frutto di una cattiva regolamentazione del territorio non costruito, fino a casi limite in cui si tratta di costruzioni che rappresentano incongruenze rispetto alla pianificazione vigente. Come nel caso dello studio del verde, anche nell’analisi del costruito si nota immediatamente come i vincoli di edificabilità in prossimità dei fiumi abbia determinato lo spazio all’interno dei limiti e quello esterno come due realtà stremante contrastanti. All’interno dei confini “legali” riscontriamo una densità del costruito molto bassa ma omogeneamente diffusa: si tratta, come anticipato in precedenza, della distribuzione casuale e sporadica di case unifamiliari, legate ora ad attività di carattere agricolo, ora alla villeggiatura di carattere locale. Anche la conformazione orografica dell’alveo del fiume, che in alcuni tratti scava il terreno segnandolo con una frattura piuttosto scoscesa, non ha mai agevolato la formazione di un tessuto o di una maglia. All’esterno dei bordi, invece, l’edificazione segue principi molto simili a quelli riscontrati per l’evoluzione del verde, poichè caratterizzata dall’avvicendarsi di tipologie edilizie che determinano della fasce riconoscibili. A partire dalla foce, quindi, riconosciamo un primo tratto, che ha la natura della periferia urbana con una forte influenza di un tracciato ottocentesco denso e regolare che disegna la città nella porzione verso il centro storico; segue un tratto ancor prevalentemente urbano, caratterizzato da isolati molto estesi di edilizia popolare 105


all’interno dei quali, nella fascia più marginale, comincia a farsi spazio l’edificazione di matrice storico agricola; il tratto successivo, infatti, è deve la sua identità urbana alle borgate storiche e al modo in cui queste si sono espanse, ogni volta con la loro personale logica, fino a fondersi con la città perturbana; proseguendo infine verso l’entroterra, fino ad incontrare il rilievo Meccini, l’edificazione si fa più rarefatta disegnata quasi esclusivamente dalla diffusione “a spore” delle residenze unifamiliari.

La suddivisione in tratti Le analisi del verde e del costruito lungo i bordi del parco ci suggeriscono la necessità di riconoscere delle vere e proprie fasce in cui è possibile suddividere il parco, ognuna caratterizzata da elementi e caratteristiche morfologiche prevalenti che ne determinano l’identità. Il parco, che si sviluppa da monte a foce, presenta inevitabilmente delle caratteristiche fisiche e qualitative mutevoli, assecondando un territorio prima naturale, poi agricolo, fino a diventare perturbano ed urbano consolidato nel momento della foce. Inoltre lo sviluppo longitudinale del fiume, e quindi del parco, è spesso segnato, se non interrotto, da elementi urbani e infrastrutturali di notevole entità, che lo segnano in senso trasversale: viadotto, ponti, lo scalo ferroviario... La suddivisione in tratti che ne consegue, quindi, è un processo analitico quasi spontaneo, che determina 4 macro ambiti che meritano di essere trattati separatamente. Procedendo da monte verso valle, quindi, troviamo le seguente successione: - l’ambito naturale, è la fascia di parco con carattere più naturalistico. Presenta un alto valore ecologico che deriva da una serie di fattori: è la zona più esterna rispetto al proliferare della città, ha un’orografia più ricca disegnata da una altura che spicca all’interno della pianeggiante conca ed è abbracciata da 106


due rami del fiume Oreto. La sua natura, tuttavia, è minacciata da un fenomeno di dispersione urbana difficile da controllare, legato all’espansione disordinata delle città di Monreale e Altofonte; - l’ambito agricolo, prevalentemente coltivato ad agrumeti, è quello che manifesta la vocazione storica di questo territorio. Seppur aggredito dall’espansione delle aree periurbane di Palermo, infatti, questo tratto è raccontato da un paesaggio disegnato da sapienza e tradizione storica, con le coltivazioni sud divise in appezzamenti tortuosi ed irregolari finalizzati ad assecondare la complessa orografia scoscesa dell’alveo del fiume. Anche la componente urbana di questa porzione è fortemente caratterizzata da tracciati storici, con il susseguirsi di borgate che intorno al XVII secolo si sono addensate con regole precise ma spontanee attorno alle principale vie di traffico e scambio; - l’ambito urbano, è la fascia intermedia tra un territorio prevalentemente agricolo e la città più consolidata prossima alla foce del fiume. La porzione che lo definisce, oltre a caratterizzarsi per la propria conformazione fisica e le proprie caratteristiche socio-urbane, è letteralmente “affettata” da due delle principali infrastrutture che segnano trasversalmente il parco: la tangenziale (verso monte) e lo scalo ferroviario (verso la foce). La sua natura è prevalentemente urbana, o meglio periurbana, ed è il risultato di un processo per cui la periferia di Palermo ha invaso prepotentemente un territorio agricolo. Quest’ultimo, però, sembra comunque sopravvivere in questo tratto, in particolare attraverso la presenza sporadica di elementi storici legati ad un passato esculivamente agricolo, come bagli, quanat, torri dell’acqua e mulini; - l’ambito della foce è caratterizzato dalla presenza di elementi di natura quasi esclusivamente urbana. Qui il parco si connette fisicamente con la città di Palermo, e il fiume taglia il tessuto urbano definendo due ambiti notevolmente differenti: la porzione verso il centro storico è disegnata dagli isolati ottocenteschi, naturale evoluzione della città storica, che con il loro sviluppo compatto e ordinato si attestano contro gli ar107


gini del fiume; sul versante opposto, invece, verso l’esterno, la città è frammentata, la natura periurbana di questa porzione determina un ambiente urbano povero, privo di aree vitali o elementi ordinatori.

Lo sviluppo trasversale dei quattro tratti A questo punto, una volta definiti i tratti che caratterizzano il parco in senso longitudinale, possiamo analizzare il modo in cui le caratteristiche morfologiche cambiano e - determinano paesaggi sempre diversi - anche nel loro sviluppo trasversale, dal centro del parco verso le aree esterne ai margini. Per farlo possiamo prendere in considerazione ognuno dei 4 tratti precedentemente identificati, e identificare delle modalità di espansione “tipo” prendendo in considerazione le dimamiche più ricorrenti: - l’ambito naturale è l’unico a non essere carattirzato, nel suo nucleo centrale, dal fiume. Il suo cuore è il rilievo Meccini; verso valle si incontra il fiume, tangente al rilievo, che lo circonda con la sua fascia di vegetazione ripariate, segue un fascia agricola, segnata da puntuali e rade costruzioni unifamiliari, fino ad arrivare al tessuto urbano sempre più consolidato di Monreale e Altofonte; - l’ambito agricolo, dopo il nucleo centrale più naturalistico determinato dell’alveo del fiume e dalla vegetazione ripariale, vede l’alternanza di fasce agricole e urbana. Riconosciamo quindi una fascia agricola prossima al fiume che asseconda le pendenze dell’alveo, una fascia di borgate storiche sorte in stretta relazione con le attività nei campi e una fascia più esterna nuovamente agricola; - il tratto urbano, dopo una spina centrale tortuosa descritta dal fiume e dalla relative vegetazione, presenta una edificazio108


ne consistente, con isolati di grandi dimensioni, ma caratterizzati da una densità variabile, soggetta alle dinamiche della speculazione edilizia. Spesso, quindi, in prossimità dei limiti del parco, offre delle aree o interi isolati casualmente vuoti e privi di disegno urbano. Verso Est tende poi a consolidarsi in maniera più compatta; - l’ambito della foce si sviluppa a partire da gli argini artificiali del fiume, estremamente poveri di complessità ecologica, e incontra subito delle grandi e irregolari aree vuote, legate alle attività portuali e produttive dismesse, che rappresentano un enorme potenziali per lo sviluppo della città e del parco oggetto dell’analisi. Lungo la costa, poi, la città assume connotazioni differenti: più consolidata verso il centro storico, sempre più frammentata verso l’esterno.

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Capitolo 5 Il Metodo

Dalla visione alle azioni

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Introduzione Le tematiche inerenti le Politiche ambientali a livello nazionale ed europeo fanno leva, su una nuova concezione della risorsa suolo. La realizzazione dei parchi agricoli e dei parchi fuviali e fglia di una nuova cultura del territorio, che vede nella qualita ecologica e paesaggistica un elemento chiave per potenziare il senso di appartenenza e migliorare la qualita della vita. Le pratiche e le progettazioni di paesaggio assumono cosi un compito che va oltre la “classica” e consolidata azione di tutela e ricostruzione ambientale per spingersi ad afrontare e sperimentare nuovi percorsi e nuove azioni che, si muovono dalla ricostruzione di vecchie identita alla ricerca di nuove peculiarita, dal riallaccio di relazioni territoriali alla modellazione di nuovi territori, mettendo al centro di ogni scelta le singole comunita che abitano e vivono gli spazi interessati dal progetto. A partire da una defnizione geografca degli ambiti e della loro matrice paesaggistica, determinata dalle analisi condotte che hanno riguardato lo studio del contesto dei Monti di Palermo sotto il proflo ambientale, dell’accessibilita e della mobilita, dell’oferta turistica, delle potenzialita relazionali fra il parco e gli altri spazi verdi della citta e dell’intorno in termini di connessioni e di afnita culturali, lo studio dei margini dei confni del Parco cosi come stabiliti fnora dalla pianifcazione, si e associato ad ogni ambito un proflo dettato dalla naturale propensione di quella parte di territorio ad essere associata a particolari paesagggi. Si e operato alla determinazione della scansione in modo da far emergere in modo chiaro le vocazioni di ogni ambito. La progettazione paesistica del Parco dell’Oreto e diversa da quella di un parco a vocazione esclusivamente naturale o urbana. Il parco raccoglie, o meglio aspira ad accogliere, in sé le caratteristiche sia di un parco naturalistico, che di un parco agricolo, di parco urbano e di luogo pubblico. L’idea centrale che guida il progetto e quella di un “parco difuso”, che perde quindi la sua connotazione di luogo perimetrato per acquisirne una piu astratta di luogo concettuale. Si e quindi articolata la sud113


divisione del Parco, dalle sorgenti del fume alla foce, in ambiti ambito montano, ambito agricolo, ambito dei parchi, ambito della foce. La distinzione paesaggistica dei tratti, che e servita da guida per la determinazione delle azioni strategiche fa comunque riferimento ad una visione unitaria del Parco come elemento strutturante del territorio. Si e ritenuto importante, all’interno di un programma cosi articolato sottolineare i punti fermi validi come armatura del progetto nella sua interezza rileggendo anche la strategia in termini di lettura longitudinale (unitaria) e trasversale (diferenziata). L’approccio sistemico si compone di tre dimensioni in grado di articolare la strategia generale in linee di azioni puntuali declinate nei quattro ambiti. Dimensioni strategiche, individuazione degli strumenti della pianifcazione e degli attori, e dei fondi pubblici a cui attingere per l’avvio del progetto sono gli elementi che precedono le azioni puntuali. Le dimensioni strategiche rimangono valide per tutti e quattro gli ambiti determinando poi gli interventi specifci diferenziati. Si e considerata la dimensione territoriale come dimensione strategica in grado di intervenire sulla componente strutturale del paesaggio; la dimensione economica che defnisce la componente prestazionale del paesaggio (efcacia nella comunicazione, efcienza, produttivita, qualita del lavoro, innovazione, redditivita): la dimensione sociale che defnisce come agire sulla componente relazionale del paesaggio. Le dimensioni rappresentano le grandi aree di interesse entro cui il progetto si vuole muovere. Diversamente le competenze del territorio riguardano le potenzialita piu o meno sopite che il territorio gia possiede e che possono essere sviluppate entro gli ambiti espressi dalle dimensioni strategiche per determinare gli obiettivi strategici. Le competenze del territorio prese in esame sono quelle che sono state considerate prevalenti rispetto alle analisi condotte e sono assegnate tratto per tratto. La componente naturalistica e agricola riguarda l’ambito montano, l’ambito agricolo e per tutta la lunghezza del parco fatto salvo il tratto della foce, la vegetazione ripariale del fume. La competenza delle infrastrutture e delle realta urbane riguarda principalmente l’ambito agricolo e i due ambiti urbani mentre, nell’ambito montano, che possiede 114


comunque una rete viari sia agricola che carrabile risulta molto meno alterato da queste presenze. La competenza storico culturale e difusa su tutto il territorio dal rilievo collinare di cozzo meccini al ponte di mare. Il metodo che si e utilizzato mira ad avere come base concreta il territorio in ogni momento sia della progettazione che della realizzazione. Infatti a partire dal territorio discendono le analisi che diventano strategiche alla rigenerazione del territorio stesso.

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Il metodo Dalla visione alle azioni +

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A partire dalla definizione geografica degli ambiti e della loro matrice paesaggistica, determinata dalle analisi condotte che hanno riguardato lo studio del contesto dei Monti di Palermo, si è associato ad ogni ambito un profilo dettato da quella particolare parte di territorio ad essere associata a particolari paesaggi culturali e ambientali. Si è operato alla determinazione della scansione al fine di far emergere in modo chiaro le vocazioni di ogni ambito.

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Risorse economiche Raff orza re le POFESR 2014-2020 Obiettivo 6 - Tutelare l’ambiente e promuovere un uso efficiente delle risorse 6.6 Miglioramento delle condizioni e degli standard di offerta e fruizione del patrimonio nelle aree di attrazione naturale. -6.6.1 Interventi per la tutela e la valorizzazione di aree di attrazione naturale di rilevanza strategica tali da consolidare e promuovere processi di sviluppo -6.6.2 Sostegno alla diffusione della conoscenza e alla fruizione del patrimonio naturale attraverso la creazione di servizi e/o sistemi innovativi e l’utilizzo di tecnologie avanzate

: introdurre i elementi i sistemi di nel loro

olamentare le aree di na facenti parte che rispondano Parchi (Art 23)

POFESR 2014-2020 3-Promuovere Obiettivo la competitività delle piccole e medie imprese del settore agricolo 3.2.1 Supporto allo sviluppo di prodotti e servizi complementari alla valorizzazione di identificati attrattori culturali e naturali del anche territorio, attraverso l’integrazione tra imprese e filiere culturali, turistiche e dei prodotti tipici

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PON operativo Programma nazionale per le città metropolitane 2014-2020 Al comune di Palermo non richiesto viene alcun cofinanziamento, gestirà direttamente 129 milioni di euro come ente dell’unione intermedio Europea

PON 2014-2020 Zone Franche Urbane ZFU Favorire lo sviluppo economico sociale di e quartieri aree urbane caratterizzate da disagio economico e occupazionale. fondi I sono stanziati per le o n z e di:Branc accio, Bandita e Sperone

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Scheda n. 4 Risorse economiche

Di seguito si riportano le ipotesi di risorse economiche cui ci si potrebbe riferire per lo sviluppo del progetto del Parco dell’Oreto, in alcuni casi, come nell’ambito della riserva, i fondi europei e quelli a livello nazionale potrebbero essere un incentivo fondamentale per l’avvio della rigenerazione del Parco dato la difcolta di poter incontrare gli interessi di privati per lo sviluppo di un progetto senza utili. Al contrario nel tratto della foce, per il quale sono gia stati stanzioati dei fondi del PON potrebbe incontrare molto piu facilmente l’interesse di privati disposti ad investire su di un area cosi strategica per posizione e potenzialita.

Pofesr 2013-2020 programma operativo per il fondo europeo di sviluppo regionale OBIETTIVI SPECIFICI ED AZIONI Obiettivo 1_rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione 1.1 incremento dell’attività di innovazione delle imprese 1.1.1 incentivi alle imprese per l’impiego di ricercatori 1.1.3 sostegno alla valorizzazione economica dell’innovazione attraverso la sperimentazione e l’adozione di soluzioni innovative nei processi nei prodotti e nelle formule organizzative. Obiettivo 3_ promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo (per il feasr) e il settore della pesca e dell’acquacoltura (per il feamp) 3.2 consolidamento, modernizzazione e diversificazione dei sistemi produttivi territoriali 119


3.2.1 supporto allo sviluppo Supporto allo sviluppo di prodotti e servizi complementari alla valorizzazione di identificati attartori cultutrali e naturali del territorio, anche attraverso lìintegrazione tra imprese delle filiere culturali, turistiche, creative e dello spettacolo e delle filiere dei prodotti tradizionali e tipici.

Obiettivo 5_promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi 5.1 riduzione del rischio idrogeologico e di erosione costiera 5.1.1 Interventi di gestione del rischio geomorfologico, idraulico e di di erosione costiera erosione costiera. 5.1.3 Interventi di realizzazione, manutenzione e rinaturalizzazione di infrastrutture verdi e servizi eco sistemici

Obiettivo 6_tutelare l’ambiente e promuovere l’uso efficiente delle risorse 6.2 restituzione all’uso produttivo delle aree inquinate 6.2.1. Bonifica di aree inquinate secondo le priorità previste dal Piano regionale di bonifica e realizzazione di infrastrutture per l’insediamento di imprese da collegare a progetti di sviluppo e occupazione 6.5 contribuire ad arrestare la perdita di biodiversità terrestre e marina anche legata al paesaggio rurale mantenendo e ripristinando i servizi ecosistemici 6.5.1 Azioni previste nei Prioritized Action Framework (PAF) e nei Piani biodiversità terrestre e marina, anche di Gestione della Rete Natura 2000 6.6 miglioramento delle condizioni e degli standard di offerta e fruizione del patrimonio nelle aree di attrazione naturale 120


6.6.1 Interventi per la tutela e la valorizzazione di aree di attrazione naturale di rilevanza strategica tali da consolidare e promuovere processi di sviluppo 6.6.2 Sostegno alla diffusione della conoscenza e alla fruizione del patrimonio naturale attraverso la creazione di servizi e/o sistemi innovativi e l’utilizzo di tecnologie avanzate Obiettivo 7_promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete 7.7 aumento della competitività del sistema portuale e interportuale 7.2.2 Potenziare infrastrutture e attrezzature portuali e interportuali di sistema portuale e interportuale interesse regionale, ivi inclusi il loro adeguamento ai migliori standard ambientali, energetici e operativi [infrastrutture e tecnologie della rete globale]

Zone Franche Urbane Le Zone Franche Urbane (ZFU) sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese. Obiettivo prioritario delle ZFU è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse. Tali agevolazioni, della durata di 5 anni (con graduale phasing out negli anni successivi), consistono in: tFTFO[JPOF EBMMF JNQPTUF TVJ SFEEJUJ tFTFO[JPOF EBMM *3"1 tFTFO[JPOF EBMM *$* tFTPOFSP EBM WFSTBNFOUP EFJ DPOUSJCVUJ QSFWJEFO[JBMJ In misura minore e circoscritta, è previsto anche il sostegno ad 121


imprese già operanti nelle medesime aree. Il comune di Palermo ha deciso di istiture due ZFU all’interno del suo territorio la prima delle quali (zfu 1) si riferisce alla zona Brancaccio costa sud che si sviluppa dalla sponda destra della foce dell’Oreto fino al porto peschereccio della bandita comprendendo alsuo interno le borgate marinare di Romagnolo e della Bandita e il quartiere di Brancaccio e dello Sperone. All’interno di quest’area ricade il più alto numero di disoccupati del comune di Palermo e in generale l’area è una delle più svantaggiate della città

Proposta progettuale L’obiettivo portante nella realizzazione della ZFU Brancaccio – Costa Sud è quello di determinare tre condizioni favorevoli per lo sviluppo economico e sociale dell’area sintetizzabili in: -facilitazione della prassi localizzativa delle attività produttive grazie anche alla presenza dell’area del consorzio ASI; -messa a sistema delle attività con l’obiettivo di strutturare un distretto produttivo centrato sull’ASI con la possibilità di integrare filiere produttive e di ricerca sui prodotti e sui processi produttivi con la vicina sede universitaria di via Archirafiex Consorzio Agrario; -aumento della massa critica economica con conseguente riverbero sociale sull’area e possibilità di incrementare la diversificazione della produzione presente nell’area grazie anche alle potenzialità agricole del vicino Parco Agrumicolo di Ciaculli e della rigenerazione della costa sud finalizzata allo sport e alla balneazione. La proposta di quest’area come zona franca urbana nasce dall’individuazione nell’area di potenzialità singolari all’interno del Comune di Palermo. L’area, infatti, presenta due principali peculiarità: una legata al mare, e l’altra legata alla presenza dell’ASI di Brancaccio. Il primo fattore di potenzialità è dato dalla presenza di micro-attività legate alla pesca che necessitano di essere supportate sia economicamente che da un’attenta progettazione per migliorarne l’efficienza e per restituire all’area il suo originario carattere identitario. La riprogettazione del porticciolo pescherec122


cio della Bandita, la prevista realizzazione di servizi volti alla valorizzazione dell’attività della pesca e del pesca-turismo e la sistemazione della fascia costiera con servizi dedicati al tempo libero e alla balneazione, rendono l’area in esame un motore per lo sviluppo socio-economico di quest’area della città che ad oggi riveste uno stato di degrado. Il progetto propone il potenziamento delle attività ivi presenti, attraverso la realizzazione di incubatori di impresa, la cooperazione con i dipartimenti universitari per promuovere la ricerca in campo tecnologico e nei processi di produzione, al fine di realizzare un “distretto produttivo” che possa inserirsi in circuiti di produzione di più ampio raggio.

PON programma operativo nazionale città metropolitane 2014-2020 L’amministrazione comunale di Palermo, a fine dicembre, ha inviato al Ministero dello Sviluppo Economico, il PON (programma operativo nazionale ‘Città Metropolitane 2014-2020’), che lo ha inserito nella programmazione nazionale trasmessa a Bruxelles. Il PON Metro fa parte della programmazione comunitaria del Fondo Sviluppo Regionale. Al comune di Palermo non verrà richiesto alcun co-finanziamento e, dopo la firma dell’accordo fra Ministero dello sviluppo economico italiano e la Comunità Europea, gestirà direttamente i soldi irca 129 milioni di euro come ente intermedio dell’Europa superando la supervisione regionale.In particolare, gli interventi per la città di Palermo riguardano l’Area Territoriale Integrata 3 (Maredolce, Brancaccio, Bandita) e l’Area Territoriale Integrata 6 (Gasometro, Macello e Romagnolo) e, in piccola parte, anche per i comuni di Misilmeri e Villabate

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Riserva Naturale Orientata legge del 6 dicembre 1991, n.394 art 1 comma 2 Ai fini della presente legge costituiscono il patrimonio naturale le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale. Comma 3 i territori in cui siano presenti i valori del comma 2 possono essere sottoposti ad uno speciale regime di tutela ai fini di: -conservare specie animali vegetali, valori scenici o panoramici, equilibri idraulici idrogeologici ed ecologici -applicare metodi di gestione e di restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione uomo ambiente naturale anche mediante la salvaguardia di valori antropologici archeologici storici e architettonici e delle attività agro-silvo- pastorali e tradizionali -promozione di attività di di educazione, di formazione e di ricerca scientifica nonché di attività ricreative compatibili -difesa e ricostruzione di equilibri idraulici ed idrogeologici art 2 la classificazione delle aree naturali protette comma 3 Le riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regio nali in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati. Comma 8 La classificazione e l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale sono effettuate dalle regioni

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Capitolo 6 La Riserva orientata

Dal Km 8 al Km 12

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“La varietà degli elementi che formano il paesaggio, prodotto dalla complessità del vivere d’oggi, delle dipendenze e dei condizionamenti dell’individuo nella società, rende la rappresentazione del paesaggio- teatro di difficile comprensione: ma non è detto che lo spettacolo sia venuto meno. Sono venuti meno i naturali modi di rapportarsi con gli scenari paesistici. Bisogna cercare nuovi punti di osservazione, nuove prospettive.” Eugenio Turri

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Descrizione del tratto Procedendo dalle sorgenti verso la foce l’ambito è compreso tra Fiume Lato e il Ponte Parco. Presenta un carattere prevalentemente naturale e il suo territorio ricade all’interno delle competenze amministrative sia di Palermo che del comune di Monreale, da cui dista tot km. In questo primo tratto la morfologia del Parco è caratterizzata dal rilevo Collinare Meccini, con altitudine massima di 422 slm . L’ambiente naturale è costituito prevalentemente da due tipologie principali : la macchia mediterranea , diffusa su tutti i versanti che contornano il rilievo (immagine) la gariga diffusa sulla dorsale sommitale carbonatica , dove carsismo e assenza di copertura boschiva lasciano spazio a cespugli ed erbe basse da pascolo magro. Dalla lettura della Carta Habitat risultano inoltre altre aree interessate da specie vegetali ad alto valore ecologico tra cui x v z. A partire dal un nucleo naturalistico definito dal rilievo Meccini, possiamo leggere uno sviluppo trasversale che vede l’alternanza di differenti tipologie di territorio: da una prima fascia ripariale si passa a dei tessuti agricoli residuali fino ad arrivare ai due centri urbani di Altofonte a Sud e Monreale a Nord.

Situazione attuale e possibilità future Il rilievo Meccini è contraddistinto da un paesaggio naturale , ciò nonostante risulta minacciato da un’aggressione antropica in continua espansione: L’infezione è trasportata nell’atmosfera come le spore di una muffa.(L. Mumford) Questo fenomeno, molto comune , dipende da una “cattiva” gestione del territorio o nei casi più estremi da un’assoluta mancanza degli strumenti di pianificazione urbanistica (un 131


caso esempplare è il comune di Monreale, il cui prg non viene aggiornato da 40 anni). Un caso noto e associabile legato al territorio palermitano è quello di Monte Pizzo Sella , definita la “collina del disonore”. (foto pizzo sella imbriaco). Oggi il rilievo collinare risulta una risorsa naturale non ancora compromessa ma ulteriori fenomeni di urbanizzazione potrebbero minacciare definitivamente il suo alto valore ecologico. Sarebbe quindi opportuno prevedere differenti azioni di tutela: - una di carattere più normativo, mirata all’imposizione di vincoli finalizzati al riconoscimento ufficiale del valore intrinseco del territorio; - una di carattere strategico- ecologico attraverso azioni di controllo della vegetazione. Conseguenza diretta di ciò è la proposta operativa è di candidare il rilievo collinare Meccini come Riserva Naturale Orientata per poter tutelare il patrimonio ambientale e allo stesso tempo tutelare l’area agricola che lo circonda.

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Scheda n. 5 Riserva naturale orientata

legge del dicembre 1991, n.394 Art 1 comma 2 Ai fini della presente legge costituiscono il patrimonio naturale le formazioni carsiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico ambientale. Comma 3 I territori in cui siano presenti i territori i valori del comma 2 possono essere sottoposti ad uno speciale regime di tutela ai fini di: conservare specie animali vegetali, valori scenici o panoramici, equilibri idraulici idrogeologici ed ecologici. applicare metodi di gestione e di restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione uomo ambiente naturale anche mediante la salvaguardia di valori antropologici archeologici storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali. Promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica nonchÊ di attività ricreative compatibili; difesa e ricostruzione di equilibri idraulici ed idrogeologici.

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Storia del tracciato ferroviario dismesso La ferrovia Palermo Lolli – Salaparuta (nota anche come Ferrovia Palermo-Camporeale, a causa del fatto che il sedime è stato effettivamente realizzato solo fino a Camporeale) è una ferrovia a scartamento ridotto parzialmente realizzata negli anni trenta ma mai completata, che doveva collegare la Stazione di Palermo Lolli con la stazione di Salaparuta in provincia di Trapani, sita lungo la linea a scartamento ridotto Castelvetrano-Santa Ninfa-Salaparuta-San Carlo-Burgiò. La storia di questa ferrovia incompiuta si inquadra nei programmi di realizzazione di collegamenti ferroviari fra le zone costiere e l’interno della Sicilia portati avanti fra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. L’inadeguatezza della rete viaria e la presenza delle attività estrattive nell’interno dell’isola furono tra le cause che incentivarono la realizzazione di un’imponente rete prevalentemente a scartamento ridotto. Le origini del progetto di questa ferrovia risalgono alla fine del XIX secolo, quando si cominciò a pensare ad un collegamento diretto fra Palermo e Trapani, visti i lunghi tempi di percorrenza fra i due capoluoghi di provincia con la linea a scartamento ordinario aperta nel 1881 che passava per Mazara del Vallo e Castelvetrano. Il primo progetto dunque riguardava una linea a scartamento ridotto che, attraverso i comuni di Monreale, Altofonte, Piana degli Albanesi (all’epoca Piana dei Greci), San Cipirello, proseguisse poi per Alcamo e per Calatafimi, raggiungendo poi Trapani. Alcuni reperti fotografici indicano che la linea fu armata tra Palermo e Monreale nel periodo anteriore alla seconda guerra mondiale. Ma successivamente viene dismessa e chiusa la tratta.

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Strategia La strategia si definisce in tre momenti: Il primo è il riconoscimento all’interno dei nuclei edificati sul rilevo, di manufatti incongrui con la legge e di manufatti da poter riutilizzare. La proposta è quella di demolire i manufatti incongrui , mentre i manufatti quali strutture residenziali private saranno convertiti in strutture ricettive. Le strutture ricettive con i relativi belvedere saranno collocate sulla dorsale del rilievo e saranno di supporto funzionale all’attività escursionistica del Parco. Il secondo è il recupero di tracciati esistenti individuando due percorsi escursionistici principali ed interconnessi. Uno che attraversa longitudinalmente il Parco e un secondo che connette il Parco con i due centri di Monreale e di Altofonte .v In questi punti nodali si prevedono anche delle strutture del Parco , info point e servizio di bike rental per l’attraversabilità del Parco. Infine si prevede un terzo percorso ciclabile sulle pendici a nord, che ripercorre il tracciato ferroviario che collegava Palermo a Monreale, ora asfaltato. Il terzo è la definizione di una Buffer zone in prossimità delle aree perimetrali del rilievo collinare Meccini in modo da determinare una fascia continua di “rispetto” del Parco tramite la piantumazione di specie autoctone e di rafforzare l’ ambito agricolo.

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vista di Altofonte

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vista di Monreale

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Capitolo 7 Il Parco Agricolo Dal Km 4 al Km 8

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A partire dal riconoscimento collettivo e dalla valorizzazione del patrimonio territoriale può discendere la costruzione del progetto locale. Tale progetto si fonda sul patto di una pluralità di attori che riconoscano nel territorio la base materiale della produzione di ricchezza, proponendosi l’assunzione e la ricomposizione dei conflitti producendo regole condivise di comportamento e garanzie reciproche per la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente (autosostenibilità ambientale) e del territorio dell’abitare (autosostenibilità territoriale) . Il progetto utilizza indicatori della ricchezza che ridimensionano la componente economica (PIL) in favore di altri valori quali: proprietà diffusa dei mezzi di produzione, riappropriazione dei saperi e delle forme sociali di riproduzione degli ambienti di vita, autogoverno e partecipazione sociale alle decisioni, qualità ambientale, territoriale, sociale, riduzione dell’impronta ecologica, sviluppo di relazioni non mercantili. Condizioni dell’autogoverno: -scomposizione del governo della grande città in municipalità a misura di prossimità -riorganizzazione degli enti pubblici sovracomunali verso un sistema di bioregioni urbane -valorizzazione delle reti delle piccole città storiche (A Magnaghi, il progetto locale)

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Descrizione del tratto Procedendo dalle sorgenti verso la foce l’ambito è compreso tra Ponte Parco e il viadotto dell’autostrada E90. Presenta un carattere prevalentemente agricolo e il suo territorio ricade all’interno delle competenze amministrative sia di Palermo che del comune di Monreale. L’ambito fluviale strettamente inteso risulta riconoscibile e non ancora completamente compromesso nonostante le numerossisime costruzioni che vi si affacciano. Il paesaggio collinare è caratterizzato da agrumeti, soprattutto limoni, da colture arboree miste a seminativi e giardini oramentali. La diversificazione dei tipi colturali, la presenza di lembi di vegetazione ripariale, fanno di quest’area la più vicina all’immagine di Conca d’Oro. Rimane un ambito di pregio ammbientale nonostante la frammentazione proprietaria, gli abusivismi e la proliferazione di residenze non legate alla produzione agricola, configurino una rapida e inesorabile mutazione del paesaggio fluviale. In questo tratto il parco e la resilienza agricola costituiscono una fascia mediana compresa fra i rilievi del Monte Grifone e l’espansione urbana di Palermo.

Trasformazioni del paesaggio agricolo La storia di questo tratto del corso del fiume è la stessa che ha riguardato in modo forse ancora più accentuato tutta la Conca d’Oro. Consideriamo alcuni dati per valutare il cambiamento accorso nell’ultimo secolo nella zona agricola che circonda Palermo (a partire dalla relazione redatta da Juliane Ruhl, Giuseppe Barbera e Tommaso La Mantia per il testo Paesaggio agricolo nella Conca d’Oro di Palermo, sono state elaborate delle carte di uso del suolo del 1850,1912,1955,1987 e 2002 valutandone due classi : aree edificate ed aree agricole). Nel 1850 l’edificato occupa ancora una superficie delimitata 154


dalle mura del centro storico fatta eccezione per le borgate sviluppatesi lungo i principali assi di transito, il resto della piana è dominata da colture di olivo, vite e seminativi (colture secche); lungo i corsi d’acqua si sviluppano gli orti mentre le colture di agrumi coprono porzioni ridotte in pianura e le fasce pedemontane. Nel 1912 si nota come gli agrumi si siano diffusi in tutta la piana mentre l’edificato, sostanzialmente invariato si è esteso in modo contenuto verso nord a Vergine Maria, attorno a via Libertà e alla Zisa. La situazione rimane sostanzialmente invariata fino al secondo dopoguerra quando con la crisi dell’agrumicoltura, l’agricoltura diventa un fattore economico secondario, mentre la città è in fortissima espansione, come attestato dalla carta di uso del suolo del 1987. In appena 30 anni si consuma la trasformazione da paesaggio agrario a paesaggio urbano. La superficie edificata si triplica tra il 1955 e il 2002. Il fiume che si è caratterizzato a partire dal XIV secolo come luogo della produttività ha visto quindi consumarsi rapidamente durante il secolo scorso il territorio intorno con conseguenze non solo legate all’ambiente e al paesaggio che gli sono stati propri ma anche al mondo culturale e sociale che ne stava alla base. Citando Scinà: “L’agro palermitano è un pugno di terra vegetabile in mezzo a mucchi d’arena e frammenti di tufo..e s’egli è rigoroso di vegetazione, pieno d’alberi e ricco di frutta, è questo un miracolo operato dal concime, dall’acqua, da una gran popolazione”.

Situazione attuale e possibilità future

La carta Corinne di uso del suolo indica che ad oggi la gran parte del tratto è coltivato, come la quasi totalità della piana, ad agrumeti, si evidenziano altresì le espansioni delle borgate storiche e dei vari centri compresi fra i monti e la città sotto forma di episodi ora frammentati ora già saldati ad altri fram155


menti di città. L’agricoltura potrebbe operare come elemento di ridefinizione del territorio, nella direzione opposta, se riuscisse ad essere riconsiderata in termini strutturali. Considerare il sistema nel suo complesso potrebbe risultare un buon punto di partenza, l’obiettivo finale posto da questo progetto è quello della creazione di un parco agricolo che, riuscendo a ricucire quelle parti di territorio agricolo della piana ancorchè frammentate, possa svilupparsi idealmente da ciaculli alla favorita. L’agricoltura periurbana costituisce in questa particolare situazione un “cuscinetto” necessario fra l’ambito urbano e parti di territorio ad elevato valore ecologico ed ambientale che altrimenti finirebbero per essere travolte così come è già avvenuto a nord della città. Si ricordi il vergognoso caso di Pizzo Sella. Ruolo fondamentale in questa situazione spetta ai comuni, a cui viene rimandata in ultimo la coordinazione fra ambito urbano e rurale. Si è già parlato nell’introduzione delle “difficoltà” di gestire il territorio agricolo tramite indici e parametri legati all’attività edificatoria così come avviene nei comuni forniti di prg. Il comune di Palermo ha notevolmente abbassato l’indice di edificabilità all’interno delle aree agricole E1 ed E2 portandolo a 0,01 mc/mq e solo per attività legate strettamente all’attività agricola, tuttavia queste misure non riescono a inquadrare il problema relativo alle costruzioni già esistenti e in attesa di un piano attuativo. Va inoltre considerato che gran parte del territorio del Parco ricade all’interno della pianificazione del comune di monreale che a causa di infiltrazioni mafiose, come provato da più inchieste nel corso degli anni, non riesce a rinnovare il prg da oltre 40 anni, con conseguenze più che evidenti. Se da un lato si richiede un intervento coordinato non solo a livello delle amministrazioni locali ma anche e forse soprattuto di un ente sovraordinato, dall’altro non si può prescindere dal coinvolgimento degli abitanti e degli agricoltori in particolare i quali costituiscono i principali fruitori del territorio. Dai diversi laboratori di educazione ambientale e promozione del territorio dell’Oreto svolti in collaborazione con le scuo156


le elementari e medie vicine all’ambito fluviale emerge come prima ancora che tutelato il fiume e il suo paesaggio hanno bisogno di essere (ri)conosciuti. (in particolare si fa riferimento all’esperienza condotta con la scuola elementare di Villagrazia,2005/2006, di urbanistica partecipata condotta dagli studenti del del IV anno di architettura, con alunni di terza quarta e quinta elementare nell’ambito del corso di Urbanistica, docente prof.ssa Carla Quartarone) Citiamo nuovamente Magnaghi: La coscienza di luogo si può in sintesi definire come la consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasformazione culturale degli abitanti, del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali (materiali e relazionali), in quanto elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale e collettiva, biologica e culturale. Si è cercato di operare all’interno del progetto dell’ambito agricolo tenendo conto di queste istanze traducendole in strategia a guida delle azioni puntuali.

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Strategia La strategia si declina in due momenti: il primo è il riconoscimento del patrimonio agricolo non solo in termini edifici e complessi architettonici ma soprattutto di conoscenze anco ra oggi utili e vantaggiose per la produzione agricola. Principalmente questa strategia riguarda l’ambito fluviale e la borgata storica di Villagrazia in cui ancora si conservano molte tracce del sistema di irrigazione sviluppato in origine dagli arabi, nonché di ville, bagli e mulini. Il secondo momento dela strategia riguarda l’ampliamento del parco oltre i confini stabiliti al momento dalla pianificazione urbanistica, nell’ottica della creazione nel futuro di una rete continua assimilabile al modello del parco agricolo periurbano. Si prevede il coinvolgimento dei centri e delle frazioni che si trovano all’interno di aree E1 ed E2 e ancora in attesa di piani di attuazione, a questi viene affidato il ruolo di tutela e protezione delle aree agricole che li circondano.

Strategia interna La strategia di riconoscibilità interna al parco prevede l’individuazione degli elementi e dei sistemi agricoli di pregio. Dai documenti prodotti dalla regione e dalla provincia, tramite sovrapposizione di piani e visione satellitare (google maps), si è potuta operare una mappatura precisa non solo degli elementi già segnalati ma anche di quelli forse di minore pregio dal punto di vista architettonico che tuttavia costituiscono una parte fondamentale all’interno di un sistema articolato. Per il riconoscimento di questi ultimi si è operato cercando le tracce altre presenti nel territorio quali elementi costruiti complementari, tracciati di viabilità agricola e in alcuni casi la presenza di particolari tipi di vegetazione. Chiaramente la ricerca effettuata conserva dei limiti evidenti e non tenta di essere esaustiva quanto più di poter ragionare per astrazione sul territorio nel 159


modo più completo possibile. Gli elementi individuati sono: -mulini -bagli -ville -torri dell’acqua -qanat e sistemi di irrigazione annessi Una volta riconosciuti e segnalati gli elementi costituiscono i punti di aggancio per l’individuazione dei percorsi che si sviluppano internamente al parco. Il percorso, elemento fondamentale dello sviluppo del parco stesso, deve riuscire non solo ad intercettare gli elementi di cui sopra ma costituisce la vera e propria spina dorsale del Parco. La costituzione stessa del parco risulta condizione sufficiente affinche i proprietari dei terreni compresi permettano il passaggio di fruitori internamente agli stessi. Affinchè questo avvenga è necessario che le recinzioni, le perimetrazioni e i cancelli spesso inseriti illegalmente vengano eliminati o quantomeno adattati alla pubblica fruizione del patrimonio comune. Il percorso ricalca, ove possibile, i tracciati della viabilità agricola già esistente, anche se questo significa l’impossibilità di accedere direttamente all’ambito strettamente fluviale, si protegge così ulteriormente il paesaggio della vegetazione ripariale e si evita altresì di intervenire con interventi inappropriati in un ambito ecologico già fortemente compromesso. Si delineano quindi due percorsi principali che affiancano su una sponda e sull’altra del corso del fiume, connessi fra loro da percorsi trasversali e attraversamenti. Ove i percorsi e gli attraversamenti risultassero in grave stato di abbandono o fortemente compromessi se ne prevede il risanamento. La segnalazione del percorso avviene tramite un elemento continuo (staccionata) caratterizzato dal colore comune agli altri tratti e nei punti in cui questo intercetti l’elemento significativo anche tramite la segnalazione a terra. Si prevede inoltre la riattivazione tramite attività temporanee non invasive degli elementi storici sopra citati in continuità con i programmi di educazione ambientale attivati all’interno delle scuole del Parco e dei tre comuni di Altofonte, Morreale 160


e Palermo. Solo una volta che questi processi saranno avviati si può immaginare di intervenire per la ristruttrazione di alcuni di questi, come la maggior parte dei mulini che versano in un totale stato di abbandono.

Il quanat I quanat sono gallerie sotterranee in grado di captare le risorse idriche, diffuse in diverse aree geografiche caratterizzate da clima arido. Le tipologie di gallerie variano in relazione alle caratteristiche del bacino idrico cui attingono. Nel deserto del Sahara, nel contesto geografico del wadi Saoura le gallerie sotterranee vengono chiamate fog- gara, nell’area persiana qanat o kariz, in quella del Marocco khottara e in Andalusia madjirat; nella penisola arabica canali di adduzione con tratti superficiali che si alternano a tratti interrati prendono il nome di falaj. I qanat di tipo persiano, cui sono riconducibili le gallerie diffuse in tutto il territorio palermitano, trasportano l’acqua da un pozzo centrale di rinvenimento della falda fino al punto di utilizzazione (castelletto) posto anche a molti chilometri di distanza. La galleria sotterranea procede lungo il sottosuolo con una pendenza minima, tale da assicurare un lento e costante movimento del liquido senza causa- re l’erosione delle pareti e del fondo del manufatto. In tal modo l’acqua mantiene la purezza e la temperatura della falda. Il cunicolo sotterraneo comunica con la superficie attraverso pozzetti verticali equidistanti. Tali pozzetti seriali, oltre a con- sentire il prelevamento dell’acqua, venivano praticati al momento di realizzazione della galleria per consentire l’estrazione in superficie della notevole mole di materiale dello scavo. In prossimità del punto di utilizzo (un’oasi, una fonte, un giardino) il cunicolo affiora dal sottosuolo con pendenza raccordata, fornendo un deflusso perpetuo e costante. Nel sistema della Conca d’Oro l’acqua della falda viene intercettata a monte ed inacanalata nella galleria sotterranea, lungo 161


il percorso verso la città, all’altezza delle zone agricole, ingenti volumi d’acqua vengono sollevati in superficie da senie al fine di irrigare i campi, arrivato in città, il cunicolo si raccorda alla quota del piano urbano ed emerge in superficie alimentando con flusso costante una fonte o un giardino della città. Ad oggi queste opere risultano ancora perfettamente conservate laddove non siano state sventrate dalle fondazioni di edifici o da sottopassagi stradali.

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le torri dell’acqua

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un mulino

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Strategia di espansione Se alla strategia interna corrisponde principalmente un compito di apertura delle aree alla pubblica fruizione, alla strategia di espansione, seconda anche in ordine di sviluppo temporale, corrisponde il compito di gestire l’attività agricola rapportandosi sia con la pubblica fruizione sia con i frammenti urbani coinvolti all’interno del Parco Agricolo. In questo secondo momento, quindi, la fruizione pubblica del territorio agricolo si accompagna all’attività agricola primaria. Dal riconoscimento della fascia di agricoltura urbana che circonda Palermo e che funge allo stesso tempo da buffer zone per le aree protette dell’interno, emerge la volontà di immaginare uno sviluppo del Parco agricolo che pure se non potrà essere creato in un unico gesto, potrà con il tempo uniformarsi, per capacità di gestione di questo importante paesaggio di mezzo. L’idea di avere un Parco da Ciaculli alla Favorita assume un significato simbolico e viene interpretato come punto di arrivo di un processo non lineare. L’espansione sul territorio è interpretata come adesione dai parte dei proprietari terrieri ad una serie di regole condivise sulla gestione delle colture e, quindi, del territorio. Per la stesura delle regole si è fatto riferimento a casi noti di gestione di aree agricole come i parchi di Reggio Emilia e anche il caso di Ciaculli che ha rappresentato un tentativo di emancipazione dalle dinamiche mafiose, cui spesso sono sottoposte queste aree, non solo a livello locale ma ricevendo consensi anche a livello nazionale. Un parco agricolo fondato sulla rivitalizzazione di un’attività economica condotta in termini ambientalmente consapevoli costituisce di fatto una anticipazione di una concezione più matura del parco, non più come struttura apposita per il tempo libero, ma come una condizione di sostenibilità delle attività insediate e della qualità ambientale dell’intero territorio. Tale concezione del parco comporta che a fianco della normativa urbanistica e delle definizioni progettuali e paesaggistiche, si introducano anche determinazioni di politica agraria. Abbiamo voluto sintetizzare questo tipo di determinazioni in breve 169


lenco di regole che, dal nostro punto di vista, dovrebbero costituire gli elementi di basi su cui poter impiantare un ragionamento più articolato del sistema di gestione ed espansione del Parco. Si espongono le regole in una successione di dare e avere fra agricoltori e l’ente di gestione|amministrazione: Devi: La prima delle regole riguarda la coltivazione secondo metodologie ecocompatibili. Per avere un’agricoltura ecocompatibile è necessario individuare ed utilizzare tecniche a minor impatto ambientale, ossia che siano in grado di garantire il mantenimento nel tempo della capacità produttiva di un agrosistema nonostante lo sfruttamento al quale viene sottoposto. In questo senso si inserisce la possibilità di adeguare almeno parte del fondo a sistemi di irrigazione e coltivazione tradizionali, non con l’intenzione di creare un parco tematico, ma riconoscendo il vantaggio a livello ambientale ed economico dato dai sistemi tradizionali. Ad esempio l’uso dei wattali (cumuli di terra, alti circa 15 cm a pianta rettangolare e sezione trapezia, che, per la loro forma sfalsata impongono all’acqua un percorso sinusoidale) consente un notevole di risparmio di acqua per l’irrigazione, inumidendo in modo omogeneo tutta la zona esplorata dalle radici degli alberi. Ha ovviamente anche un valore sociale e culturale in quanto porterebbe alla conservazione della cultura connessa alla sistemazione del suolo. La questione che rende realizzabile o meno tali tipi di modificazioni rispetto ai metodi utilizzati solitamente dagli agricoltori, è economica e gestionale. Esistono diversi fattori che rallentano la diffusione dell’agricoltura biologica sul territorio fra i quali l’inerzia dei produttori agricoli ad apportare cambiamenti sia nelle strutture aziendali che nella mentalità di produzione, cui segue la mancanza di integrazione fra produttori, trasformatori e distributori di biologico che comporta in molti casi anche la difficoltà di trovare un mercato in cui vendere prodotti biologici. A fronte alle richieste rivolte ai produttori per poter entrare a far parte del progetto del Parco agricolo gli enti di gestione 170


del Parco, che siano le amministrazioni locali, sovracomunali, regionali o un unico ente incaricato, offrono delle facilitazioni. Hai: Le agevolazioni per portare alla trasformazione coinvolgono direttamente il Pubblico che dovrebbe prodigarsi nell’assecondare questi processi di trasformazione necessari non solo per ridare un ruolo strutturale al territorio ma anche per poter rispondere ad un esigenza che viene espressa dal mercato che riguarda appunto i prodotti biologici a km 0. I sussidi e i fondi europei potrebbero essere già sufficienti a dare forza alle opere di ristrutturazione necessarie, la difficoltà per gli imprenditori risiede maggiormente nel riuscire ad intercettarli. Per questo motivo potrebbe essere utile improntare un coordinamento fra gli imprenditori in modo da riuscire ad affiancare capillarmente un’adeguata assistenza pubblica con unità operative sul territorio, che siano in grado di guidare sia sotto l’aspetto economico che tecnico gli agricoltori. Si è, infatti, ritenuto che un territorio di rilevante estensione non sia gestibile e sostenibile economicamente impiegando, in prospettiva, soltanto risorse pubbliche, ma al contrario si deve prevedere una politica di incentivi, mobilitando in buona parte risorse private produttive. Si prevede la creazione di un marchio che raccolga al suo interno tutte quelle attività agricole che si impegnino a rispettare le regole di produzione e gestione sopraindicate. Il parco agricolo presuppone un mercato protetto per i beni prodotti al suo interno, legato ad un sistema di sostegno dei prezzi e di incentivi motivati dalle finalità ambientali di quella produzione. E’ necessario immaginare anche la creazione di una rete di mercati che riescano a valorizzare questo tipo di produzioni, oltre la possibilità di una vendita diretta in azienda. Anche se il centro Storico di Palermo si anima ogni giorno con i mercati storici potrebbe essere interessante sfruttare l’occasione per inserire questi, ce csi presentano come elementi di riconoscimento del valore territoriale, all’interno dei contesti più degradati delle periferie dell’Oreto come elementi attivatori di nuove realtà sociali ed economiche. In generale si immagina di promuovere le aziende agricole con attività di supporto alla città vivendole come luoghi per lo svago e il tempo libero 171


che costituiscano per le aziende attività integrative del reddito agricolo. Secondo questa accezione l’agricoltura opera come un processo attivo che determina, in tempi lunghi, modifiche del territorio secondo modalità connesse sia alla tutela e recupero paesaggistico ma anche al perseguimento della produttività, alla razionalità economica, e contestualmente esprime anche la produzione d’ambiente e di servizi. Permane infine in quel territorio un presidio sociale di abitanti/produttori che esprime soggetti capaci di iniziativa economica e di vivere un rapporto attivo col territorio. L’agricoltura quindi vive e si trasforma consapevolmente. Ad azioni che riguardano le politiche agricole di gestione si affiancano azioni fisiche sul territorio necessarie per segnalare in modo puntuale gli interventi realizzati e meno visibili all’interno del territorio agricolo e per coinvolgere i frammenti urbanizzati di territorio oltre il tracciato dell’autostrada che corrispondono fondamentalmente o ad aggregati casuali, o a borgate miste a interventi di edilizia popolare. Come si accennava qualche capitolo fa, sono questi luoghi privi di una vera e propria identità che potrebbero attingere dall’identità agricola rivalorizzata del parco nuova linfa. Per fare questo è necessario che essi stessi identifichino come centri Si sviluppa pertanto una seconda rete di percorsi ciclopedonali in grado di collegare questi centri fra di loro.

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Scheda n. 6 Piano regolatore su parchi e aree agricole

Art. 23 Parchi urbani 1. I parchi urbani, individuati con un perimetro nelle tavole P2, sono aree di grande estensione, parti residue di un tessuto agricolo ove è riconoscibile una unità di paesaggio. Al loro interno sono predominanti aree a colture intensive o estensive, che coesistono con altre destinate ad attrezzature e servizi a scala urbana e a residenza. 2. Nei parchi urbani sono mantenute le attività agricole esistenti, non subordinate all’esproprio, ed i relativi interventi consentiti devono essere finalizzati al mantenimento del paesaggio agrario esistente. 3. Gli interventi ammessi dagli articoli precedenti devono comunque essere tesi al mantenimento o recupero della vegetazione e delle essenze arboree, nonché delle caratteristiche ambientali d’origine ed in particolare per le aree agricole è consentito l’esercizio dell’attività agricola, sempre che essa non contrasti con gli specifici usi pubblici indicati dal piano per le singole aree. 4. Gli interventi in contrasto con le caratteristiche ambientali e paesaggistiche delle aree non sono ammessi. In particolare sono vietati: a) la prosecuzione di ogni attività estrattiva. Le cave dismesse dovranno essere sistemate in base a modalità da concordare con l’amministrazione comunale; b) le alterazioni, anche se provvisorie, delle condizioni naturali del terreno non finalizzate all’esercizio dell’attività agricola (sterri, reinterri, accatastamenti di materiali), salvo autorizzazione che potrà essere rilasciata soltanto ove giustificata da obiettive esigenze del regime dei luoghi e comunque ove sia intesa al miglioramento ed al ripristino dell’ambiente naturale preesistente; b) l’alterazione del deflusso naturale delle acque di pioggia o di corsi d’acqua superficiali, e comunque del coefficiente di assorbimento idrico del terreno naturale. Sono inoltre vietati nuo175


vi scarichi suscettibili di provocare l’inquinamento, le attività produttive, ad eccezione di quelle agricole, nonché le discariche di rifiuti solidi e urbani e speciali. 5. Sono ammesse recinzioni naturali, come siepi e simili, fatta salva la possibilità di recinzioni in filo spinato, o in rete a protezione delle aree coltivate, nonché di recinzioni con cancellate di altezza fino a ml. 1,80 di altezza su zoccolo in muratura alto cm. 50 per gli edifici residenziali o destinati ad altre funzioni. 6. Gli edifici esistenti, usati per l’attività agricola, possono essere destinati alla realizzazione di punti attrezzati. 7. All’interno dei parchi urbani è consentita la previsione di area adibita alla funzione pubblica subordinata all’esproprio, da prevedersi in appositi progetti esecutivi del parco, in variante allo strumento urbanistico, finalizzata all’apposizione dei vincoli. Tutte le aree di diversa destinazione da quelle di mantenimento del paesaggio agrario preesistente e da quelle da sottoporre a progetto di parco sono normate dalle rispettive destinazioni urbanistiche, costituendo la linea di definizione del parco un mero riferimento ambientale. 8. All’interno del perimetro dei parchi, gli interventi ammessi nelle zone omogenee diverse da quelle agricole (attrezzature, servizi pubblici, residenze, etc.), nei limiti della normativa prescritta per le zone territoriali omogenee di appartenenza, dovranno comunque essere improntati al rispetto dell’unità di paesaggio ed ambientale. 17 9. Gli interventi ammessi nelle diverse zone omogenee comprese nel perimetro dei parchi sono regolati dalla normativa di zona di cui ai precedenti articoli; tuttavia, ogni intervento, compresi quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, è subordinato al preventivo parere della Commissione Edilizia, che ne dovrà verificare la compatibilità con gli obbiettivi generali di tutela delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche. Tale normativa si applica anche per i manufatti al servizio delle attività agricole i quali dovranno rispettare i parametri di cui all’art 17 relativi alla zona E1. 10. L’assetto definitivo dei parchi urbani è stabilito mediante appositi progetti esecutivi alla stregua di opere pubbliche volti a definire le relative modalità di salvaguardia, valorizzazione e fruizione. Le disposizioni di cui al presente articolo si applica176


no fino all’approvazione dei predetti progetti. Art.23 bis Tutela della vegetazione 1. In tutte le zone territoriali omogenee diverse dalle zone E1 ed E2, è fatto divieto di abbattere alberi di medio e di alto fusto, tranne che per motivi di necessità da documentare in apposita istanza volta ad ottenere autorizzazione sindacale. Nelle zone E1 ed E2, tale divieto è limitato agli alberi di alto fusto. Art. 16 Zone E 1. Le zone E comprendono aree agricole in cui si manifestano le colture in modo variamente articolato. Esse si distinguono nelle zone: a) E1: comprendono le parti anche residuali di territorio prevalentemente pianeggianti, ancorché compromesse da insediamenti residenziali, caratterizzate da colture agricole; b) E2: comprendono le parti di territorio prevalentemente collinari, caratterizzate da una prevalente vegetazione di tipo spontaneo (gariga, macchia, aree boscate e di riforestazione) il cui integrale mantenimento è ritenuto essenziale per la salvaguardia idrogeologica e paesistica del territorio comunale. Di tale zona omogenea fanno parte le riserve naturali orientate di Monte Pellegrino, Monte Gallo, Grotta Conza e Grotta Molara. 2. Nelle zone E sono ammessi interventi unicamente in funzione della conduzione agricola dei fondi e delle attività ad essa strettamente connesse. 3. Sono ammesse le destinazioni d’uso residenziali e produttive connesse all’esercizio dell’agricoltura, comprese la lavorazione, trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli. 4. Sono inoltre ammessi gli interventi e le destinazioni d’uso connessi alla fruizione sociale e pubblica del verde. 5. Per gli immobili esistenti sono ammessi solamente gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Art. 17 Zone E1 1. Nelle zone E1 è ammessa l’edificazione di manufatti residenziali e strutture connesse all’attività produttiva, limitatamente al fabbisogno agricolo, con una densità fondiaria non superiore a 0,02 mc/mq. 177


2. Non possono essere edificati manufatti in adiacenza di edifici o complessi storici identificati nelle tavole del netto storico o comunque a distanza inferiore a 100 ml dagli stessi, al fine di salvaguardare il carattere storico ambientale dei manufatti tutelati. 3. Nell’ambito delle zone E1 sono soggette a speciale tutela le aree individuate come parchi urbani; per tali aree si applicano altresì le disposizioni di cui all’art. 23. 4. Secondo le prescrizioni dei D.Dir 558 e 124 /DRU/02 di approvazione del presente piano, gli agglomerati edilizi in zona E1 sono stati individuati e perimetrati per essere sottoposti a pianificazione attuativa ai fini delle dotazioni delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, laddove ricorrono le condizioni per l’ammissibilità della sanatoria. Nelle more della redazione dei piani attuativi permane la previsione di Zona “E1” così come sopra normata, la quale permane in tutte le aree esterne a quelle perimetrrate. All’interno degli ambiti perimetrati, in attesa del piano particolareggiato, sono consentiti interventi sull’esistente così come normati dall’art. 20 della L.R. 71/78 lettera a), b), c) e d). Art. 18 Zone E2 13 1. Nelle zone E2 non sono ammesse costruzioni di alcun tipo se non finalizzate alla gestione e manutenzione dell’ambiente naturale e alla sua fruizione sociale e comunque con una densità fondiaria non superiore a 0,01 mc/mq. I progetti devono curare il rispetto della morfologia dell’ambiente e la rinaturalizazione delle parti degradate 2. Nella zona collinare E2 denominata “Pizzo Sella” al fine di ripristinare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche originarie si rinvia alla sentenza della Corte di Cassazione del 19.12.2002 per gli adempimenti da adottarsi da parte del Comune nei confronti degli edifici realizzati in detta zona. 3. Secondo le prescrizioni dei D.Dir 558 e 124 /DRU/02 di approvazione del presente piano, le porzioni di zona E2 che hanno subito processi di edificazione e risultano oggi caratterizzate da costruzioni, sono individuate e perimetrale per essere sottoposte a pianificazione attuativa, previa verifica sulla situazione amministrativa al fine di conoscere la legittimità 178


delle singole costruzioni e/o l’avvenuta sanatoria delle stesse o la concreta ammissibilità alla sanatoria medesima. I piani particolareggiati, oltre all’adeguamento agli standard, dovranno prevedere interventi di riqualificazione paesaggistica ed ambientale. Nelle more di detti adempimenti permane la previsione di zona “E1”, così come sopra normata, la quale permane in tutte le aree esterne a quelle perimetrale. All’interno degli ambiti perimetrati, in attesa del piano particolareggiato, sono consentiti interventi sull’esistente così come normati dall’art. 20 della L.R. 71/78 lettera a), b), c) e d). 4. Nelle more di detti adempimenti le zone E2 sono da considerarsi stralciate alla stregua delle zone E1 ed in esse si opera con i parametri di zona agricola (0,01 mc/mq).

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Il Parco della Favorita “in un giardino assoluto, l’idea del giardino, natura contemplabile, con quella del frutteto natura, utile alla vita”

Il Parco della Favorita si trova ai piedi del monte Pellegrino, a nord della città. è il grande parco creato nel 1799 da Ferdinando III di Borbone, quando la Rivoluzione Partenopea, spinta dalle truppe napoleoniche, lo cacciò da Napoli. Realizzò un parco di circa 400 ettari che fu chiamato la Reale Tenuta della Favorita. Il parco era allo stesso tempo riserva di caccia alla maniera dei re normanni, con macchie e boschetti alle falde del Monte Pellegrino in cui vennero costruite le scuderie reali e i torriglioni che fungevano allo stesso tempo da deposito d’armi e torii di avvistamento. Il sovrano contribuì ad accrescere la già presente vocazione agricola potenziando l’approvvigionamento idrico e creando una rete per l’irrigazione adatta alle sperimentazioni agricole di cui il vicerè era assertore. Il parco nel corso degli anni ha subito numerosi cambiamenti tuttavia l’impostazione rimane quella originaria caratterizzata da due assi principal: viale di ercole e viale di diana. Un tempo questi viali costituivano i percorsi principali della passeggiata mentre ora sono arterie di comunicazione molto frequentate. Inoltre la frammentazione delle proprità a partire dal disfacimento del regno delle due sicilie e conclusosi nei primi anni del novecento con l’inserimento degli impianti sportivi ha pesantemente inciso sull’unità figurativa del Parco. Il progetto di utilizzazione della zona agricola del parco della favorita Il parco, così come oggi è arrivato a noi, ospita al suo interno giardini storici e ornamentali, aree agricole e formazioni boschive, di macchia, gariga e prateria. Fra il 1999 e il 2000 è stato redatto il piano di utilizzazione della zona b del parco, quella riguardante le aree agricole. Per la redazione del piano sono stati consultati agronomi, botanici, paesaggisti, fitopatologi, architetti, tecnici informatici e 181


ingegneri. Dalla relazione del piano emerge il percorso di studio seguito. La prima fase è consistita nell’analisi dello stato di fatto: analisi del contesto geofisico, della situazione normativa, del regime di prorpietà, dell’uso del suolo, dello stato fitosanitario, dei problemi legati alla circolazione ed al traffico, del paesaggio storico e delle sue modificazioni, della consistenza edilizia e dei manufatti storici presenti all’interno del parco, della consistenza botanica e dei giardini storici. È stato, inoltre portato avanti uno studio iconografico e fotografico degli interventi e dei contributi progettuali succedutisi nel tempo. Tale studio è servito a ricostruire la dinamica del paesaggio. In fase progettuale il territorio del aprco è stato suddiviso, in ragione della storia, dei caratteri ambientali, delle funzioni passate e di quelle progettate, in aree di ricreativo, naturalistico e produttivo. Gli spazi agricoli, pure se profondamente modificati e impoveriti rispetto all’assetto orginale, vengono mantenuti con alcune eccezioni, non solo nel rispetto di una generale funzione produttiva originaria, ma anche per il perdurante valore paesaggistico e ambientale e come vivente testimonianza della storia della città. Gli agrumeti in particolare, che costituiscono la tipologia d’uso del suolo quantitativamente prevalente, vengono salvaguardati e valorizzati riconoscendo ad essi il valore proprio dei sistemi frutticoli della Conca d’Oro: produttivo, paesaggistico, ambientale e culturale. Si è quindi partiti dalla considerazione che le aree agricole dovessero essere affidate a degli agricoltori affinche potesse avere luogo una gestione attenta perchè anche economicamente interessata di chi persegua la funzione fondante di un frutteto: quella di produrre frutti. Chiaramente avere parte del parco dedicata a colture agricole ne limita la fruizione al pubblico, tuttavia i vantaggi per la comunità che non si traducono in una fruizione diretta sussistono comunque in termini ambientali quali difesa del suolo,disinquinamento atmosferico, mitigazione dell’isola di calore, paesaggistici e culturali. Il piano rimanda ad un secondo momento l’individuazione di usi e funzioni che accrescano la funzione pubblica all’interno degli spazi agricoli. 182


Da subito si imposto agli agricoltori il vincolo di conservare i caratteri proprii del sistema produttivo tradizionale, che adottino il metodo colturale biologico e che i terreni concessi siano attraversabili, attraverso percorsi interni, percorribili a fini ricreativi o culturali.

Il Parco agricolo di Ciaculli Il territorio interessato dal progetto costituisce un’estesa area agricola (circa 700 ettari) del comune di Palermo. Si tratta di un’area coltivata a mandarineti che ha mantenuto i caratteri originari del paesaggio storico rurale della Conca d’oro degli inizi del XX secolo. Il territorio, destinato dal P.R.G. a Parco Agricolo è stato finanziato nell’ambito del programma Life, e ha avuto come obiettivo la definizione di un modello di gestione di un’area agricola periurbana. Il mantenimento della funzione produttiva è in tal senso un passaggio obbligato, da essa infatti discendono tutte le altre. Per quanto invece le funzioni ambientali gli interventi hanno mirato al loro riconoscimento, difesa e valorizzazione, nella consapevolezza che si tratta di esternalità positive che in gran parte non possono essere rappresentate nei bilanci aziendali ma che vanno essenzialmente riconosciute come benefici di interesse collettivo e sostenute da interventi pubblici. In tal senso, uno dei risultati più visibili del progetto è stato certamente la riqualificazione ambientale operata lungo la fascia pedemontana, attraverso la sistemazione e recupero delle aree abbandonate e degradate, il restauro di alcuni elementi ordinatori del paesaggio agricolo terrazzato e la realizzazione di un percorso lungo circa 5 Km, che ha avuto come specifico obiettivo l’accessibilità del territorio, pur sempre privato, ai cittadini.Inoltre con la piantumazione di alcune migliaia di essenze arboree ed arbustive si è intervenuti nel recupero paesaggistico e naturalistico delle aree incolte oltreché nella tutela idrogeologica. Sempre in questa direzione afferiscono gli inter183


venti volti a valorizzare le due particolari funzioni ambientali e culturali direttamente collegate alla storia ed alla tradizione della Conca d’Oro, come la realizzazione del Giardino Museo dell’agricoltura della Conca d’Oro. Quest’anno il parco è stato premiato con il premio Carlo Scarpa per il giardino, “Una scelta coraggiosa, perché la cura dei luoghi, qui, ha grandissime probabilità di risultare vana come la fatica di Sisifo. Eppure, proprio con la stessa consapevolezza di Sisifo, è una fatica che va fatta. Per ricostruire, se non i luoghi, almeno la speranza che gli uomini e ciò che resta del paesaggio – e qui è paesaggio agricolo come la natura lo ha disegnato – non vengano travolti definitivamente dall’avanzata delle costruzioni sgarrupate che sono arrivate fin sul muro del lago artificiale e persino dentro la corte del castello.” Il progetto riguarda la formazione di un parco agricolo; si assume pertanto che i due termini “parco” ed “agricolo” si presentino come inscindibili e necessari. Si definisce pertanto una particolare tipologia di parco che si discosta dalla comune accezione di parco, sia in ordine alla concezione, che al possibile assetto ed alle modalità di fruizione.Secondo questa definizione la struttura del parco, la sua base materiale, è costituita dallo stesso territorio agricolo. Il parco è quindi formato da quegli elementi che sono stati depositati dall’attività agricola e che la stessa agricoltura riproduce e conserva: quel paesaggio, quelle trame di percorsi, quella vegetazione, quelle strutture architettoniche (i bagli, i muri di recinzione, le opere di irrigazione) che l’attività di conduzione dei fondi agricoli ha prodotto. Le ragioni perché la funzione produttiva sia salvaguardata ed anzi rafforzata non mancano.Risiedono innanzitutto nell’esigenza del mantenimento di un ampio territorio nel quale l’abbandono dell’agricoltura comporterebbe l’accentuarsi del degrado ambientale e lo spreco di una risorsa scarsa come il suolo agricolo di buona qualità.D’altra parte la stessa gestione e la fruizione di parco è strettamente intrecciata con l’attività agricola. Si tratta di una fruizione sociale di tipo ambientale che è connessa con la stessa produzione di ambiente e di territorio, che l’agricoltura genera se è ecologicamente indirizzata, e di una 184


fruizione di servizi che si debbono comporre ed integrare con la parallela conduzione agricola.Il progetto Life attraverso una serie di interventi finalizzati alla riqualificazione del paesaggio e restauro dei suoi elementi costitutivi, al recupero ambientale, alla fruibilitĂ dei territorio, alla valorizzazione e miglioramento del prodotto agricolo, vuole sperimentare come può essere attuata la gestione di un’arca agricola periurbana.

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Il parco della Favorita

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Il parco di Ciaculli

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Capitolo 8 Il Parco Urbano

Dal Km 1 al Km 4

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Descrizione del tratto Procedendo dalle sorgenti verso la foce, questa porzione di parco è compreso tra Ponte Parco e il Ponte della stazione. Si tratta di un ambito territoriale che ha una natura in evoluzione, in cui lo spazio disegnato dall’attività agricola è soggetto ad una decisa invasione da parte della città costruita in continua espansione. Nonostante si inserisca in un contesto fortemente urbanizzato, il parco conserva al suo interno la connotazione agricola che da sempre ha identificato questo territorio. All’interno dei confini che delimitano il parco, infatti, vi è un ricco repertorio di elementi storici e identitari legati ad un heritage storico produttivo: possiamo riconoscere e mappare elementi quali torri dell’acqua, mulini, gebbie e bagli (le tradizionali costruzioni locali legate elle attività rurali). L’ambito fluviale risulta anche qui compromesso ma il suo tracciato è ancora riconoscibile. Viale Regione siciliana si pone come una netta cesura del parco e sancisce l’inizio del territorio urbanizzato, e’ infatti il primo tratto che ricade esclusivamente all’interno del territorio di Palermo e delle sue competenze amministrative. Il parco a Nord si relaziona con un variabile catalogo di trame urbane dal quartiere popolare Montegrappa ai tessuti ottocenteschi prossimi al centro storico di Palermo. A Sud Est invece intercetta i quartieri popolari Borgo Ulivia e Guadagna che definiscono le aree più marginali della città. A queste segue un’ ampia zona agricola che fa da buffer zone tra il tessuto periurbano e quello naturale.

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Introduzione ai quartieri popolari Quartiere Montegrappa Il quartiere è di formazione otto-novecentesca, e si insedia su antichi corsi di collegamento dell’ entroterra agricolo della Conca d’ Oro alla città comprendendo al suo interno la cittadella Universitaria, l’ Ospedale Civico. I primi insediamenti abitativi di un certo rilievo sono databili all’ inizio dell’ 800, con delle case consistenti in due o tre elevazioni, una volta abitate in linea di massima da ceti medi. L’ area subisce notevoli incrementi edilizi dal dopoguerra fino all’ ultimo intervento degli anni ‘ 70 ad opera dell’ IACP (Istituto Autonomo Case Popolari). Montegrappa , con le due sub aree di Ponte Corleone e Medaglie d’ Oro. La prima, così denominata dall’ omonimo ponte a ridosso del fiume Oreto, è zona di urbanizzazione recente operata dalla GESCAL e dall’ INCIS (istituti di case popolari.).Ambedue gli interventi evidenziano però un’ immagine di abbandono e incompiutezza, e parte della zona mostra anche un notevole degrado ecologico che si versano nella vicina vallata del fiume. La seconda zona, chiamata Medaglie d’ Oro, comprende l’ ultimo nucleo di case popolari con molti edifici multipiano dalla caotica disposizione planimetrica. Borgo Ulivia La zona, che si distingue per la natura agricola della sua economia, ad iniziare dagli anni ‘ 50 ha avuto notevoli insediamenti di edilizia popolare che hanno prodotto l’ effetto di sollecitare la sua trasformazione sociale e culturale. Alle case popolari di vecchia fattura costruite da enti diversi , come IACP, GESCAL, ecc. si sono poi aggiunti nell’ ultimo periodo numerosi edifici privati residenziali, enormi condomìni di otto - dodici piani. Conseguenzialmente, tutto ciò ha generato la totale scomparsa dell’ edilizia rurale preesistente nella zona, mentre sono venuti a sorgere degli esercizi commerciali concentratisi soprattutto nell’ area adibita a edilizia abitativa. Molto scarse sono le possibilità occupazionali del luogo facendo si che il quartiere abbia un’ utilità esclusivamente residenziale - dormitorio. 193


Quartiere Guadagna La borgata della Guadagna , il cui nome deriva dalle voci arabe “Guad” o “Wadi” , fiume e “Agn” che insieme stanno ad indicare l’ azione del pulire i panni nel fiume, com’ era in uso fra le lavandaie della contrada. Con la progressiva espansione della città, la borgata Guadagna ha perso il suo carattere preminentemente agricolo, e se i palazzi non sono rari tuttavia le abitazioni di molte famiglie, in genere numerose e disagiate, rivelano gravi carenze ambientali.

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Il quartiere popolare Montegrappa

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Il quartiere Santa Rosalia

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Il quartiere popolare Montegrappa

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Situazione attuale e possibilità future Dalla Carta Habitat possiamo riconoscere , all’interno degli ambiti costruiti, delle aree residuali vaste e numerose. Queste risultano essere maggiori nelle aree più periferiche, disegnate da un’edilizia popolare di matrice aperta, mentre sono scarse nei tessuti urbani ottocenteschi più densi. Questi residui derivano spesso dall’abbandono di un’attività precedente e giungono a noi come spazi indecisi, spazi senza un nome e privi alcuna intenzione da parte dell’amministrazione comunale. Vivono nell’assenza di ogni decisione umana. In ambito strategico rappresentano un ricco potenziale inespresso legato alla produzione di spazio pubblico di qualità. L’obiettivo finale è la creazione di un sistema dei parchi centrali che circondi la città coinvolgendo parchi pubblici esistenti , giardini ville e verde residuale all’interno dei tessuti edilizi. Entrando così nella città e segnalando la presenza e la vicinanza del parco anche all’esterno.

Strategia Si articola in tre linee guida principali: - la prima, il rafforzamento interno, riconoscendo il valore del parco dal punto di vista storico-naturalistico. Rendendolo innanzitutto fruibile, attraversabile. Verrà perciò dotato di elementi verticali che ne definiscono l’accesso e i percorsi pedonali interni saranno segnalati a terra. - la seconda, segnalazione sui bordi, rendere visibile e riconoscibile il Parco intercettando le aree di risulta a margine e dotandole di spazi per la comunità. Gli attivatori principali sono tre, nella zona confinante con il quartiere Montegrappa a est e con la circonvallazione a ovest avremo un centro di quartiere , mercato che sarà a servizio delle borgate , del campus uni205


versitario e della città e potrà fungere da punto vendita dei prodotti del Parco coltivati nel tratto agricolo e da punto di coordinamento per tutto il quartiere. Nel quartiere di borgo Ulivia , nelle due grandi vuoti urbani verranno “collocati” delle aree per il gioco, campi sportivi a dotazione dei quartieri. - la terza, l’espansione del parco procede nel tempo tramite l’acquisizione di spazi di risulta quali parcheggi, cortili aree asfaltate cercando di “entrare nella città” e di creare una rete diffusa verde. Si possono distinguere due tipologie di “ rizoma”: il rizoma giardino che si “insidia” all’interno della prima fascia dei quartieri popolari. Qui il verde spontaneo viene assecondato, laddove le aree siano asfaltate, favorendo l’espansione della biodiversità del giardino.; il secondo rizoma invece avrà caratteristiche più urbane, il parco entra nella cuore_centro della città prendendo le sembianze di una piantumazione artificiale che diventa uno spazio di gioco e di relax per i cittadini. Si segnala così la vicinanza del parco e si invitano i cittadini a viverlo in tutte le sue declinazioni, da quella più naturale a quella più urbana.

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Capitolo 9 Il Parco dei Gasometri

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Descrizione del tratto Il tratto del Parco che va a partire dal ponte della ferrovia fino alla foce del fiume, risulta costretto nei tessuti urbani. Ci troviamo di fatto a pochi metri dalla stazione dei treni e fra le vie ad alta percorrenza quali: la statale 113, Via Tiro a segno e Corso dei Mille che costituiscono i limiti dell’area. L’area si configura come il margine fra il centro e la prima periferia e mostra i segni di un recente passato industriale. Il Parco confina a Nord con delle realtà storiche di pregio quali l’Orto Botanico, Villa Giulia, le captive e il foro italico mentre a Sud si confronta con una dimensione urbana periferica dal tessuto sconnesso e irregolare. Gli argini del fiume qui sono totalmente compromessi poiché in cemento, e si tocca il picco massimo del livello di inquinamento delle acque palermitane.

Brevi cenni storici Il fatto che Palermo non sia mai stata una città marinara, come invece furono luoghi meno privilegiati dalla geografia, non è un caso fortuito ma una conseguenza della sua stessa posizione. Ebbero infatti una fisionomia decisamente marinara solo quei siti favoriti dalla presenza di un entroterra prospero capace di incentivare flussi non effimeri di merci e non limitati dalle proporzioni asfittiche di un mercato essenzialmente locale incapace di aperture all’esterno. Il semicerchio di monti della Conca d’Oro, che da un lato costituisce la causa prima della mitezza climatica e della feracità della sua Piana, è al tempo stesso un baluardo nei confronti del resto della Sicilia, che restò isolata rispetto alla sua Capitale. Dalla roccaforte dei monti di Palermo l’accesso al versante me213


diterraneo dell’Isola è naturalmente difficile e per secoli fu anche molto rischioso, come testimoniano i numerosi resoconti degli atterriti viaggiatori italiani e stranieri. Borgate, connotazioni precise ognuno amministra un particolare tipo di economia di pesca legata al territorio al fondale e alla costa. In seguito ai bombardamenti avvenuti durante la seconda guerra mondiale i detriti vengono gettati in mare modificando il profilo della costa. Sotto il governo di Ciancimino, Palermo diviene rifugio di grandi speculatori edili: la città cresce a dismisura ma senza un progetto organico ed equilibrato, e il mare diventa la discarica principale delle macerie dovute alla speculazione edilizia. In questo periodo la parte Ovest della città si espandeva in maniera smisurata e il materiale di risulta prodotto dagli scavi veniva buttato sulla costa modificandone il profilo. Questo materiale era composto da silt e argilla, materiali idrofili che si saturano di acque e metalli e formano una coltre colloidale, ovvero del fango che impedisce gli scambi respiratori e ricopre il fondale soffocando la biodiversità.

Le borgate marinare A differenza delle altre città marinare italiane che hanno avuto un entroterra cui riferirsi, Palermo non ha contato su di un grande entroterra, per Palermo il mare è la frontiera, il suo territorio coincidente con l’area della Conca d’Oro, non divenne mai un grande porto dovendo servire solo la città di Palermo. Si tratta d una piattaforma calcarenitica intagliata dall’erosione in cui le popolazioni si sono insidiate dando vita fin da subito ad una pluralità di attracchi e porticcioli basati sul commercio della pesca. Porto principale della città è sempre stata la Cala che in principio si sviluppava molto più verso l’interno andando a lambire la Palepolis. Nel corso del tempo le vicende natu214


rale e urbanistiche della città ne hanno modificato sia la forma che il ruolo rendendolo oggi un grazioso porticciolo turistico. In ogni caso lo sviluppo delle borgate si deve alla necessità nata nel ‘500 di costruire nuovi moli a causa dell’interramento del porto della Cala causato dal dispboscamento delle montagne. Viene quindi costruito il borgo di Santa Lucia. Palermo è sempre stata la città della piccola pesca legata alle borgate: Sferracavallo, Mondello, Vergine Maria, Arenella Acquasanta, Sant’Erasmo, la Bandita, Acqua dei corsari, Porticello. Ogni borgata amministrava un particolare tipo di economia di pesca legata al particolare tipo di fondale e di costa. Queste caratteristiche peculiare di ogni area comportavano una fauna ittica sfruttabile diversa , quindi l’utilizzo di mezzi tecnici e strategie di pesca diverse. Queste ricchezze sono perlopiù andate perdute in tutte le borgate a causa dell’impossibilità legata all’inquinamento delle acque di poter svolgere attività di pesca fatta eccezione per Sferracavallo. A partire dal secondo conflitto mondiale si è andata a costituire una discarica lungo la costa, rendendo il mare e la costa fondamentalmente impraticabili, prima della guerra c’erano diversi bagni (stabilimenti balneari bagni romagnolo es). Alla fine degli anni ‘50 l’espansione urbanistica ha avuto effetti negativi. La costruzione della nuova parte di città ha comportato sbancamenti che sono stati poi riversati a mare con la tolleranza più totale di tutti gli amministratori che si sono succeduti. La piccola pesca che usufruiva di questo mare non ha più potuto esercitare a causa dei terreni argillosi che sono andati a coprire i fondai soffocand di fatto la biodiversità. Prima ancora dell’espansione edilizia degli anni ‘60 furono le bombe della seconda guerra mondiale a determinare cambiamenti nella linea di costa della città. I detriti dei bombardamenti, ricordiamo che Palermo è stata la città più ombardata in italia durante la seconda guerra mondiale, vennero gettati davanti a quella che fino a quel momento erastata la passeggiaa sul mare della città : il foro borbonico, ora foro Italico. I detriti ammassati informemente per poi essere livella ti andarono completamente ad occultare anche la sola vista del mare segnando quindi l’inizio della fine del rapporto fra la città e il suo limite naturale. 215


Negli ultimi anni diverse sono state le attività organizzate a livello comunale per cercare di identificare e recuperare il patrimonio di conoscenze legate alle borgate marinare soprattutto nell’ottica di riuscire a sfruttare anche la costa come ambito di attrazione turistica. Tuttavia la ricerca di fondi ha portato in alcuni casi a valutazioni e proposte progettuali che non tengono conto delle già compromesse caratteristiche ambientali della costa. Queste questioni sono state poste all’attenzione dei cittadini da diversi comitati fra i quali si ricorda il Comitato per il Bene Collettivo che insieme Mare memoria viva e al contributo di esperti ha realizzato diversi incontri pubblici e un documentario sul tema. Il comune si è inoltre impegnato nella rigenerazione della costa con alcuni interventi puntuali e sinificativi quali ad esempio la riqualificazione del porto della Calae la ristrutturazione dell’ex-deposito locomotive a sant’erasmo Da un lato l’espansione urbanisitica di Palermo ha progressivamente “voltato le spalle” della città al mare; le borgate hanno perso la fisionomia “marittima” che le caratterizzava; la fascia costiera è raramente interessata da flussi turistici; gli accessi al mare sono pochi e degradati. Eppure le borgate marinare nord-occidentali (Acquasanta, Arenella, Vergine Maria, Mondello, Sferracavallo) conservano nelle voci di vecchi e nuovi abitanti e nei ricordi di tanti palermitani un’identità e un fascino ancora potenti nonostante il degrado. Se ne riporta di seguito una breve descrizione. Acquasanta La borgata dell’Acquasanta deve il suo nome a una sorgente situata in una grotta in riva al mare. L’acqua che vi sgorgava era ritenuta di grandissima qualità terapeutica, tanto da essere nominata “acqua santa”. Quest’acqua dalle proprietà “miracolose” era conosciuta in tutta Europa già da tempi molto antichi. Il barone Mariano Lanterna, nobile siciliano, divenuto proprietario della grotta dall’ Acqua Santa, nel 1774 fece costruire la sua residenza nell’area sovrastante la sorgente. Successivamente, nel 1871, tanto la residenza del barone che l’adiacente sorgente passarono alla gestione dei fratelli Pandolfo che ne fecero un rinomato centro termale con tanto di bagni a scopo curativo. La bella dimora del barone, denominata villa Lanter216


na, dopo anni di assoluto abbandono è oggi in fase di restauro. Proprio nei pressi di questo luogo, nel 1789, Giuseppe Gioeni, costruì il primo istituto nautico della nostra città, la cui struttura, a forma di vascello, ancora esistente, venne subito chiamata dalla gente del posto “Nave di Pietra”. Ancora, nei pressi dell’Acquasanta, insiste la magnifica villa Belmonte, voluta da Giuseppe Emanuele Ventimiglia principe di Belmonte e contruita su progetto dall’architetto Venanzio Marvuglia nel 1799. La splendida dimora è adagiata su un costone degradante del monte Pellegrino e da li domina l’Acquasanta e il mare. Da non dimenticare la bellissima villa Igiea, oggi noto hotel 5 stelle recentemente acquisito dalla catena Hilton. Voluta dalla facoltosa famiglia Florio, villa Igiea è una pregevole opera dell’architetto Ernesto Basile, costruita verso la fine del 1800. Una nota di particolare importanza ma quasi sconosciuta è data dalla presenza di un ex lazzaretto costruito nel 1628 e successivamente, nel 1885 trasformato nel “cimitero degli inglesi” dove, si dice, ancora giacciono le spoglie dei componenti della notabile famiglia Whitaker. Purtroppo, in tempi recenti, la borgata ha subito notevoli e profonde trasformazioni, certamente peggiorative dal punto di vista paesaggistico. Adesso il mare è praticamente sparito dalla vista, sepolto com’è sotto il cemento del piazzale antistante la darsena che ha letteralmente inghiottito la preesistente spiaggia che, fino agli anni ’50, ospitava un frequentatissimo stabilimento balneare costruito su palafitte in legno. Hanno completato l’opera di occultamento/distruzione del paesaggio le innumerevoli barche da diporto, ormeggiate all’interno della darsena stessa, i lunghi moli e la banchina del porto turistico che non ne permettono la vista neppure dalla piazza antistante. Arenella La borgata dell’Arenella deve il suo nome alla sabbia finissima e dorata che una volta ricopriva il suo litorale. I monumenti storici della borgata sono rappresentati da ciò che resta della tonnara del XVII secolo, dello splendido Villino con i suoi 4 Pizzi e la vicina torre-mulino utilizzata per la lavorazione del sommacco, proprietà della famiglia Florio e opera dell’architetto Carlo Giachery nel 1852. Di primaria importanza, l’esistenza della cosiddetta “Chimica Arenella”, il cui complesso 217


era costituito da 14 edifici adibiti a diversi usi industriali. La storia di questo agglomerato industriale iniziò nel 1910, quando fu costituito come succursale della grande fabbrica tedesca Gondelberg. Nel 1930 divenne la più grande fabbrica europea di acido citrico e tartarico, raggiungendo posizioni di rilievo nell’industria chimica mondiale. Definitivamente chiusa nel 1965, oggi, la Chimica Arenella versa in un profondo stato di degrado. In parte trasformata in discarica abusiva, tra ammassi di ruderi ed edifici fatiscenti, costituisce un esempio classico di archeologia industriale. Esiste uno splendido progetto per il suo recupero che destinerebbe l’uso dell’area alla pubblica fruizione ma che difficilmente vedrà la luce in tempi brevi a causa degli elevati costi di realizzazione oltrechè della lentezza della burocrazia. Molto importante per la gente che vive nella borgata è la venerazione per Sant’Antonio, la cui statua, ritrovata in mare, è stata contesa con la borgata di Vergine Maria che ancora oggi ne rivendica la proprietà. Vergine Maria Sviluppatasi attorno alla splendida tonnara Bordonaro (XII sec), il nome deriva da un quadro della Vergine, venerato in una grotticella che si chiama appunto “Grotta della Madonna”. La tonnara Bordonaro era in pratica l’asse principale sul quale girava l’economia degli abitanti della borgata che, per la quasi totalità, vivevano della pesca e della commercializzazione delle carni del tonno o, comunque, di attività legate a quella della tonnara. L’opificio, oggi parzialmente recuperato, ha vissuto un lungo periodo di abbandono, durante il quale si sono verificati alcuni crolli, in fasi successive, che hanno interessato soprattutto la volta del marfaraggio. L’ultimo di questi eventi devastanti, avvenuto pochi mesi orsono, ha causato la distruzione definitiva di alcune delle barche impiegate dai tonnaroti che da oltre cento anni li trovavano riparo. Purtroppo, l’inerzia e la scarsa sensibilità mostrate dalla pubblica amministrazione, non hanno consentito alcun intervento preventivo a salvaguardia di questo bene. Da non dimenticare la presenza dell’antica torre del Rotolo, ormai un rudere, che faceva parte, assieme ad altre costruzioni simili, di un circuito di torri di avvistamento create per proteg218


gere le coste dai frequenti assalti dei pirati. Da ricordare che nei pressi della borgata veniva estratta una delicata essenza di Bergamotto, a opera di due fratelli di origine francese che, in loco, producevano l’omonimo profumo. Stretta com’è tra il mare, monte Pellegrino e successivamente anche dalla presenza del cimitero dei Rotoli, la borgata che ancora oggi mantiene un fascino molto suggestivo, non è mai riuscita ad espandersi oltre i suoi confini originari. Mondello La borgata marinara di Mondello è incastonata come un gioiello all’estremità di un golfo compreso tra il Monte Gallo e il Monte Pellegrino. Da piccolo villaggio di pescatori, ai margini di una malsana zona paludosa, ha subito, dopo una lunghissima opera di bonifica, una profonda trasformazione. Eletta spiaggia preferita dai palermitani, oggi Mondello vive il suo tempo, soprattutto d’estate, assediata dai bagnanti, dal traffico e dalle tristemente famose, quanto interminabili, file di “cabine” che per lunghi tratti impediscono la vista del mare. Altro fattore negativo è costituito dalla dalla cosiddetta cancellata della vergogna che impedisce di raggiungerlo per buona parte della lunghezza del litorale del suo golfo (circa 1,7 Km). Di grande importanza la torre di avvistamento quattrocentesca, detta del fico d’india. Eretta a scopi difensivi, a guardia dell’adiacente tonnara, faceva parte del sistema di avvistamento e allarme delle Torri costiere della Sicilia. Voluta dal Senato Palermitano nel 1455, oggi, la sua struttura, è finalmente stata restaurata. Al pari della torre, altra importantissima realtà è il Charleston. Rinomato ristorante e stabilimento balneare in stile Liberty è stato progettato dall’ingegnere Rodolfo Stualker per la società Italo-belga e inaugurato il 15 luglio del 1913. Al suo interno, gli arredi realizzati nei primi del ‘900 da Ducrot su disegni del Basile. Da segnalare, per la loro notevole importanza architettonica le splendide ville, spesso in stile liberty, volute dalla borghesia e nobiltà palermitana che adornano i bellissimi viali alberati della borgata fino al parco della Favorita. Da notare che Mondello non è rimasta esente dalla costruzione senza alcun ordine avvenuta tra gli anni ’50 e ’70 (il famoso 219


“sacco di Palermo“). Periodo che purtroppo ci ha “regalato” alcune realizzazioni che costituiscono un esempio di accostamento architettonico decisamente di dubbio gusto, rispetto alle architettute preesistenti. Al netto di questo, Mondello resta un vero gioiellino a due passi dalla città, le cui bellezze soprattutto naturali sono godibili in maniera particolare da settembre inoltrato a maggio, fuori dal periodo della caotica stagione balneare. Sferracavallo Antico borgo marinaro, Sferracavallo, è oggi una frazione di Palermo. La borgata è posta all’estremità nord del territorio comunale, tra i monti Gallo e Billemi. Essa deve il suo nome alla cattiva fattura della vecchia strada che la collegava alla vicina città. Strada talmente dissestata da sferrare i cavalli delle carrozze che la percorrevano... da li il suo nome. Di notevole importanza paesaggistica e naturalistica la vicina zona di Barcarello, oggi area protetta nei cui pressi si trova la famosa grotta marina “dell’Olio”. Per gli appassionati di fotografia paesaggistica Barcarello assume una grande importanza anche perchè è l’unico posto, nei pressi di Palermo, dove, a seconda del periodo dell’anno, è possibile ammirare uno splendido tramonto sul mare, incorniciato dall’isolotto della vicina Isola delle Femmine. Nei colli intorno a Sferracavallo vi sono altre grotte (Pecoraro, Conza, Impiso), dentro le quali sono stati ritrovati i resti di insediamenti umani risalenti al Paleolitico Superiore (14000 anni fa). Oggi Sferracavallo è a tutti gli effetti una meta turistica, preferita oltre che per le sue coste, soprattutto per i tanti ristoranti caratteristici dalla rinomata cucina a base di pesce. Di grande rilievo il culto dei due santi (medici) Cosma e Damiano, i cui festeggiamenti, nel mese di settenbre, coinvolgono tutta la comunità.

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Scheda n. 7 Il porto e l’inquinamento Il Golfo di Palermo si estende per oltre 25 Km fra la punta di ponente di Capo Gallo e l’estremità di levante di Capo Zafferano. La natura geologica della costa palermitana è dominata dalle rocce carbonatiche. Antichi calcari e dolomie del Lias inferiore e del Trias (risalenti ad oltre 150 milioni di anni fa) formano lo scheletro dei monti palermitani. Lungo la fascia costiera palermitana si aprono 52 bocche fognanti “ufficiali” di diversa portata, alle quali vanno aggiunti almeno 3 collettori nel tratto compreso fra Ficarazzi ed Aspra, l’ultimo dei quali di grandi dimensioni e volume di efflusso. Le principali conseguenze dell’inquinamento delle acque palermitane sono: - l’ eutrofizzazione, ovvero lo scarico in mare o nei fiumi di sostanze organiche e il dal dilavamento dei terreni concimati. L’eutrofizzazione produce una risposta positiva nell’ambiente marino (almeno nel basso Tirreno, mare povero di sostanze nutritive), se contenuta entro limiti ristretti, e diventa veramente dannosa allorquando il suo eccesso porta alla distroficazione, con sottrazione di ossigeno ed eliminazione della flora e della fauna aerobia. - la contaminazione è un avvelenamento tout court, con intensità dipendenti dalla natura e dalla durata dell’agente chimico (o fisico). Nel Golfo di Palermo si registra inoltre una fortissima eutrofizzazione, insieme con una contaminazione di origine industriale, derivate dall’uso civico di prodotti industriali. La foce dell’Oreto La punta più alta di inquinamento cloacale , si raggiungetuttavia alla foce dell’Oreto, dove si verifica la confluenza degli sca225


richi di acque nere di Altofonte, parte dell’abitato di Monreale (attraverso il Vallone della Monaca), Boccadifalco (attraverso il canaleBadame), i quartieri a S/Est e a N/Est della Circonvallazione,l’asse di Corso dei Mille con il Macello Comunale e il quartiere Guadagna. Il corso stesso del fiume è stato ridotto tramite la cementificazione dei suoi argini e del letto. Tutto ciò nella prospettiva di ottenerne la copertura e la trasformazione in asse viario, riservando così anche all’Oreto la sorte toccata al Papireto e al Kemonia qualche secolo addietro.

Il risanamento Un recupero effettivo e non effimero delle potenzialità ambientali deve puntare sui seguenti obiettivi: - migliorare la qualità delle acque e renderle accettabili dal punto di vista sanitario e produttivo; - riparare i guasti del paesaggio litoraneo, eliminando le brutture e le superfetazioni dell’abusivismo e delle opere pubbliche; - restaurare i fondali devastati dagli apporti detritici delle discariche; - istituire riserve naturali per la tutela delle emergenze naturalistiche; - rivitalizzare le attività della piccola pesca ; - intraprendere progetti piloti di maricoltura - restituire al litorale del Golfo la possibilità di fruizione balneare; - rilanciare le attività sportive compatibili con l’ambiente; - inventare occasioni di lavoro non effimero e fonti di reddito; - incentivare le attività di ricerca scientifica sul mare e richiamare studiosi stranieri per un confronto con i ricercatori locali; - diffondere in via capillare l’educazione al rispetto “attivo” dell’ambiente; - rinnovare in via permanente l’immagine della Città.

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Rischio idraulico Dalla Carta della pericolosità idraulica proveniente dal database della Regione Sicilia Assessorato Territorio e Ambiente. La carta del rischio idraulico è coincidente con quella della pericolosità.Il Decreto Legislativo n 81/2008 definisce il rischio come la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno. Il rischio idraulico, in particolare, è da intendersi come il rischio di inondazione da parte di acque provenienti da corsi d’acqua naturali o artificiali. Risulta essere il prodotto di due fattori: la pericolosità (ovvero la probabilità di accadimento di un evento calamitoso di una certa entità) e il danno atteso (inteso come perdita di vite umane o di beni economici pubblici e privati).

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Scenari e possibilità future Le aree comprese nel Parco e quelle strettamente adiacenti possono essere lette come dei frammenti urbani senza nessuna continuità. Tutti questi frammenti hanno una vocazione pubblica, alcuni sono frammenti che hanno un ruolo attivo all’interno del contesto cittadino, ad esempio le realtà dei giardini storici, altri invece hanno delle potenzialità inespresse: l’ecomuseo del mare, l’ex gasometro, il porto di Sant’Erasmo e la spiaggia. L’area quindi, se letta nella sua complessità, nasconde un valore intrinseco inespresso. Il vuoto urbano su cui sorgono gli ex gasometri, adiacente ai confini del il Parco dell’Oreto, potrebbe costituire un punto nodale per l’attivazione di un’area più vasta che va a comprendere la costa e si connette direttamente al cuore della città. La sua conformazione e la posizione rispetto ai principali elementi pubblici di questo tratto urbano possono tessere delle importanti trame relazionali con le vicine aree verdi dell’Orto botanico e del foro Foro italico. Inoltre il marcato rapporto con l’asse stradale del lungomare candida questa area dismessa a svolgere un importante ruolo di fulcro e catalizzatore urbano. L’ex gasometro con i suoi tre gasometri potrebbe costituire una segnalazione verticale del Parco in tutta la città, infatti questi ultimi, con i loro esili e allo stesso tempo imponenti scheletri, sono facilmente visibili da diversi tratti della costa palermitana come il Foro italico. Identificata l’area degli ex gasometri come il nucleo di un nuovo sistema di elementi urbani, il progetto riconosce una serie di spazi pubblici che si estendono fino alla costa. Questi frammenti potranno generare un sistema complesso, diversificato, che offre una serie di funzioni pubbliche urbane e che al contempo fortifica l’identità del parco all’interno del sitema urbano della costa.

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Strategia La proposta strategica individua una serie di aree urbane prossime alla foce del fiume Oreto e propone una ridefinizione di queste attraverso delle risposte progettuali che si declinano in maniera differente a seconda delle caratteristiche, delle potenzialità e della conformazione delle singole zone individuate. La proposta quindi si articola in maniera differente a seconda degli ambiti e delle aree di intervento, ma si possono preventivamente individuare 2 macro strategie progettuali, entrambe di importanza fondamentale rispetto all’obiettivo di una rigenerazione dell’area:

- Le aree dismesse: Il tessuto urbano urbano in cui scorre la foce del fiume Oreto è caratterizzato da una conformazione piuttosto aperta e frastagliata. Ciò è dovuto sia ad un’urbanizzazione priva di un disegno unitario e complesso, sia alla presenza di una serie di vuoti urbani legati ad un passato industriale della periferia palermitana. Questi spazi vuoti, quindi, si trovano in posizioni strategiche e spesso fanno da cesura tra realtà urbane geograficamente vicine ma che si sono sviluppate in maniera molto differente. Nonostante il potenziale che deriva da queste circostanze, però, le aree dismesse risultano essere, per loro natura, dei luoghi indefiniti, privi di una funzione urbana o di un nome che le identifichi. Una delle strategie principali è quindi quella di identificare queste aree, riconoscere il potenziale urbano, e procedere attraverso una ri-definizione di queste, finalizzata ad associare ad ogni area dismessa un nuovo indirizzo urbano, un nuovo disegno e, di conseguenza, una nuova identità.

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- Le connessioni tra gli spazi pubblici: Le aree di interesse prese in considerazione hanno tutte una forte vocazione pubblica legata alla loro posizione nel tessuto urbano: si tratta infatti di una fascia urbana che rappresenta un momento di passaggio tra la città più consolidata, ad Ovest del fiume Oreto, e la città in trasformazione, sul lato Est, caratterizzata da una organizzazione disomogenea e da una particolare assenza di spazi pubblici di qualità. Inoltre sul versante ad Ovest della foce, verso la città storica, sono presenti una serie di spazi pubblici legati alla fruizione del verde, alcuni dei quali contraddistinti da un particolare pregio urbano e storico: - Il parco di Villa Giulia e l’Orto Botanico di Palermo, con la loro forte identità di giardino, offrono una “pausa” verde di elevata qualità all’interno del tessuto urbano; - Il Foro Italico, pur con tutti i limiti di un disegno approssimativo, rappresenta una parentesi verde ampia e distesa come raramente si riscontra sul lungomare di Palermo. Questi elementi urbani, pur godendo di un’identità riconosciuta, attualmente fanno fatica a tessere un sistema di relazioni con il tessuto urbano circostante. Uno degli obiettivi strategici principali, quindi, è la definizione di un sistema di relazioni complesso tra le aree identificate dal progetto e le aree urbani esistenti. Lo scopo è quello di generare un duplice sistema di relazioni: da un lato lo scambio che questi spazi pubblici esistenti possono creare con i nuovi interventi urbani proposti dal progetto, dall’altro le connessioni che questo nuovo sistema di spazi pubblici potrà generare successivamente con la città circostante.

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Gli interventi Le aree individuate dalla strategia di riqualificazione sono disposte in successione e a loro volta generano un sistema complesso di spazi pubblici interconnessi. Questo “puzzle” si relaziona in maniera diretta con gli ambiti naturali del fiume e del parco e, allo stesso tempo, innesca uno dialogo con la città e con i servizi urbani circostanti. Adiacenti al parco, lungo i suoi margini in prossimità della foce, sono dislocati una serie di vuoti urbani e spazi di risulta che si avvicendano dal fiume verso l’interno della città. Risultano essere per lo più aree dismesse e legate esclusivamente all’attività produttiva. Al loro interno si possono distinguere identità industriali e produttive differenti, da quelle più organizzate e strutturate, a quelle che sono cresciute per aggiunte senza una regola precisa. Il progetto tiene conto, a questo proposito, di quali sono le strutture post industriali da riconoscere e valorizzare in quanto monumenti architettonici, e quali invece, poiché prive di particolare pregio morfologico o identitario, sarebbe preferibile demolire. Il fine, dopotutto, rimane la progettazione di un parco naturale, uno spazio aperto il quale, nel suo tratto più urbano, si declina attraverso una serie di funzioni pubbliche e complementari. Come anticipato, la strategia progettuale si articola in maniera differente a seconda delle aree trattate e delle loro caratteristiche morfologiche. A partire dagli argini del fiume incontriamo i seguenti ambiti progettuali: Il lungofiume dell’Oreto: Questa area si sviluppa in maniera longitudinale lungo gli argini del fiume sul versante Ovest. E’ servita su entrambi i capi dai principali assi viari e, dal lato di Corso dei Mille, dalla nuova linea del tram. Inoltre è vicina al ponte dei Normanni, il quale è stato inserito all’interno del percorso Unesco Arabo-Normanno. L’area attualmente è occupata da manufatti architettonici fatiscenti (fonderia Basile) - che hanno perso ogni tipo di valore architettonico o testimoniale - e dai un agglomerato di capannoni industriali. La parte restante è abbandonata e incolta. 232


La proposta è quella di sfruttare lo sviluppo lineare di questo vuoto urbano per determinare un lungofiume pedonale che connetterebbe il quartiere prossimo alla stazione dei treni con il lungomare. L’intervento prevede un serie di demolizioni, seppur di non elevata entità, finalizzata creazione di uno spazio aperto continuo. La proposta progettuale, infatti, prevede la definizione di una promenade alberata che, sfruttando gli attuali argini in cemento del fiume, si articola du più livelli. L’utilizzo di altezza diverse, è correlata anche a necessità di carattere ambientale: il lungofiume, data la pendenza assegnata, risponderà attivamente al rischio idrogeologico consentendo il deflusso verso il fiume delle aree circostanti. La passeggiata che ne risulterà avrà poi due momenti di respiro che genereranno due piazze di ingresso in corrispondenza degli estremi. L’intervento dovrebbe essere di iniziativa pubblica con scarse possibilità di apporto di capitali privati. Il bosco in città: L’area ricade all’interno dei confini del parco, in una posizione di secondo piano rispetto agli assi viari principali, tuttavia questo non costituisce un punto di debolezza per l’immediata vicinanza all’area dei Gasometri. Non è mai stata oggetto di edificazione quindi non presenta necessità di risanamento dei suoli. Si presenta, infatti, come un grande vuoto incolto e abbandonato. L’area è candidata a diventare una sorta di “fulcro” verde all’interno del nuovo sistema di spazi pubblici che il progetto vuole generare; è candidata ad assumere l’identità di “Bosco Urbano” in modo che possa essere manifesto, in un senso quasi metaforico, dell’identità verde del Parco dell’Oreto. Questa macchia verde sarà un momento di connessione tra i vari elementi urbani e naturali coinvolti nel progetto unitario: connette il nuovo lungofiume con il parco dei Gasometri e rappresenta, allo stesso tempo, una ideale ingresso al percorso verde offerto dal Parco in senso longitudinale, che dalla foce con carattere più urbano si sviluppa fino al rilievo Meccini. Il suo aspetto boschivo, inoltre, non ha valore esclusivamente iconico: in quest’are il rischio idrogeologico è molto alto e la piantumazione di specie ad alto fusto coadiuverebbe la capaci233


tà drenante del terreno. Ad oggi non sono previsti fondi per l’area, la quale, però, ricade all’interno dei confini del Parco e non necessiterebbe di grandi capitali per la trasformazione. L’area dei gasometri: L’area in questione presenta un livello di complessità molto alto, ed è l’unica che può godere di una identità riconoscibile per via del suo passato industriale. E’ identificata da un lotto di forma irregolare e la sua posizione all’interno della città è strategica, poiché entra fisicamente in contatto con tutti i principali attori urbani presenti in questo tratto: Villa Giulia, l’Orto Botanico, il lungomare e quindi il Foro Italico. La sua superficie è disseminata da scheletri architettonici in cemento e metallo: strutture modulari che erano funzionali agli stabilimenti industriali oggi dismessi. La loro dimensioni fuori scale e la sagoma riconoscibile - come nel caso esemplare dei gasometri - fanno di questi elementi degli affascinati e attraenti Landmark che con le loro silhouette leggere potrebbero oggi segnalare la presenza di una attività urbana nuova e pubblica.

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Il Parco dei Gasometri Tra i vuoti dismessi presi in considerazione, L’area dei gasometri è senza dubbio lo spazio urbano che gode di un potenziale maggiore: è in stretta relazione fisica con molti degli elementi coinvolti nel progetto, e in più offre un accesso dalla viabilità principale (il lungomare) che facilita l’interazione tra il Parco dell’Oreto e la città. I gasometri, insieme alle altre archeologie industriali che il progetto scegli di conservare, conferiscono un’identità particolare al parco, poiché vengono valorizzati attraverso l’attribuzione di una nuova funzione pubblica. Vista il loro alto valore iconico, il parco definito dal progetto prenderà il nome di “Parco dei Gasometri”. Il parco che si viene a generare ha la struttura di un parco urbano, ma è in stretta relazione con Bosco Urbano - anche esso parte della strategia progettuale - che rappresenta una sorta di ingresso naturale al Parco dell’Oreto, che dalla foce si sviluppa fino alla sorgente. Il Parco dei Gasometri, quindi, ha differenti funzioni: è verde attrezzato, è una piazza, è una passeggiata, ma soprattutto è l’ingresso dalla città al Parco dell’Oreto. Il progetto si genera attraverso la sovrapposizione di layers differenti. Ognuno di questi layers ha delle caratteristiche morfologiche, materiche e funzionali differenti. I livelli che si sovrappongono sono i seguenti: Il livello 0: Per livello 0 si intende il sedime del progetto, cioè la superficie del lotto e le preesistenze industriali che insistono sull’area. A questo livello, infatti, gli unici ingombri saranno i manufatti di archeologia industriale tra cui i gasometri e le torri. I monumenti post-industriali presenti sono frutto si una selezione mirata al mantenimento di pochi elementi simbolici che potessero bene integrarsi con un progetto unitario di parco urbano e che conferissero al parco un’identità e una morfologia riconoscibili. I Gasometri, ad esempio, rappresentano un simbolo forte ed iconico oltre che un elemento architettonico visivamente riconoscibile all’interno dello skyline della città. 235


La maglia delle graminacee: La trama del parco è composta da differenti specie vegetali spontanee, le graminacee, che scandiscono lo spazio e lo regolano. Le piante generano un ritmo nello sviluppo longitudinale del parco, che si ottiene attraverso la successione di piantumazioni a maglia regolare di blocchi con essenze e colori diversi. L’orditura si sviluppa in maniera trasversale rispetto alla distribuzione del parco. Le interferenze: La maglia delle graminacee sarà puntualmente interrotta da momenti di “pausa” rispetto alla ritmicità e alla regola della piantumazione. Questi parterre costituiranno un’interferenza rispetto alla maglia regolare delle graminacee e si collocano davanti ai gasometri interagendo con la loro geometria. Questi spazi vuoti, infatti, rappresentano una sorta di “sagrato” per i gasometri con cui dialogano, e sono concepiti in modo da poter ospitare - in maniera totalmente flessibile - eventi en plein-air: la concezione di questi spazi si sviluppa intorno alle potenzialità scenografiche dei gasometri e degli altri manufatti di archeologia industriale. Il sistema delle piazze: Questo livello costituisce l’unico elemento pavimentato del parco. La sua estensione, infatti, ricopre una percentuale minima della superficie del lotto del Parco. Una spina centrale collega le piazze che si collocheranno all’ingresso fra il gasometro e l’installazione del Parco e all’interno tra le passerelle e i gasometri. Sono degli spazi in cui il Parco potrà essere vissuto in maniera più urbana e divenire piazza, playground, spazio per il teatro... Anche in questi spazi è importante il rapporto con la monumentali delle archeologie industriali che fanno da quinta scenica per le piazze. Porosità: Questo livello costituisce un’ulteriore interferenza al progetto fin ora descritto. Si tratta però, in questo caso, di interferenze verdi: al ritmo cadenzato delle piantumazioni di graminacee, 236


alternate alle sporadiche piazze e parterre, si sovrappongo dei blocchi di alberature. Saranno delle zone piantate a bosco, con una piantumazione fitta, dislocate in modo tale da generare interazioni con i differenti elementi del parco e allo stesso tempo poter fornire un servizio alle attivitĂ umane che si svolgeranno (ombreggiatura, didattica botanica...). Le passerelle: Uno dei layer che maggiormente caratterizza le modalitĂ di fruizione del Parco dei Gasometri sono le passerelle metalliche. Questi elementi, che morfologicamente ricordano le archeologie industriali presenti, generano una passeggiata sopraelevata e collegano in quota i gasometri che in questo modo diventano piazze sopraelevate: si sviluppano lungo tutto il Parco e interagiscono con i gasometri rendendoli fruibili. Le passerelle inoltre intercettano le torri industriali e la folta alberatura e si pongono come un nuovo punto di vista sulla cittĂ , da qui si può vedere l’Orto botanico, la spiaggia, e il Parco stesso.

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Le Tavole

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Tavola 0 limes | limen

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Tavola 1 Atlante Conoscitivo Il Parco dell’Oreto come infrastruttura ecologica

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Tavola 2 Atlante Conoscitivo

Il Parco dell’Oreto all’interno dell’offerta turistica palermitana

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Tavola 3 Atlante Conoscitivo

Il rapporto tra la cittĂ e il paesaggio

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Tavola 4 I margini

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Tavola 5 Il Metodo

Dalla visione alle azioni

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Tavola 6 La Riserva orientata

Dal Km 8 al Km 12

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Tavola 7 Il Parco Agricolo Dal Km 4 al Km 8

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Tavola 8 Il Parco Urbano

Dal Km 1 al Km 4

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Tavola 9 Il Parco dei Gasometri

Dal Km 0 al Km 1

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Tavola 10 Il Parco dei Gasometri

Il progetto

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Ringraziamenti

Vorremmo ringraziare la Professoressa Francesca Leder per la disponibilità che ha dimostrato fin dall’inizio quando ancora non sapevamo che strada avremmo intrapreso. E’ stato un percorso lungo dal quale abbiamo appreso molto soprattutto grazie al suo supporto. Grazie alle nostre famiglie per il supporto psicologico e tutto il resto Grazie ai nostri amici Grazie alla Rete che ci ha fornito la maggior parte del materiale cartografico e scritto altrimenti irreperibile, quindi grazie a chiunque abbia condiviso la propria conoscenza con noi. Grazie Grazia, Grazie Stella

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