1956−2016 Sommario Passato e futuro a confronto: la Giulietta del primo numero e la concept a guida autonoma che Quattroruote e Ied Torino presenteranno a Ginevra 2016
1956 − 1966 1966−1976 1976 − 1986 1986 − 1996
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Le origini
L'Italia sale in auto: è l'ora del boom Dieci anni nel mondo 17 Classe '56: Giuseppe Tornatore L'economia vola e si scopre la gioia di guidare 23 L'icona del decennio: Fiat 600 Ripulite le strade dai cartelloni 30 Le copertine di Quattroruote
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La classe operaia fra lotta e crisi petrolifera Dieci anni nel mondo 45 Classe '56: Piero Chiambretti La Fiat, l'austerity e l'autunno caldo 51 L'icona del decennio: VW Maggiolino Tutti a piedi, ma la colpa è anche del fisco 58 Le copertine di Quattroruote
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Dieci anni nel mondo E l'auto a gasolio diventò veloce Sempre al fianco degli automobilisti
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Abs, Esp e airbag: è la fine del rischia-tutto Dieci anni nel mondo 101 Classe '56: Gerry Scotti Quando si capì l'importanza della sicurezza 107 L'icona del decennio: Mercedes 190 Quei reportage di viaggio sulle nostre pagine 114 Le copertine di Quattroruote
Arriva la VW Golf: ed è dieselmania 73 Classe '56: Giancarlo De Cataldo 79 L'icona del decennio: Fiat Uno 86 Le copertine di Quattroruote
119 L'ambiente ringrazia la sensibilità “verde" 1996 − 2006 120 129 Dieci anni nel mondo
121 L'automobile cerca nuove strade 124 Finalmente una pista tutta nostra 147 L'armonia è nell'accordo 2006 − 2016 148 Dieci anni nel mondo
149 Tempi di nozze d'interesse 152 Così onoriamo i protagonisti del settore
Classe '56: Gioele Dix
135 L'icona del decennio: Smart 142 Le copertine di Quattroruote 157 Classe '56: Mike Robinson 163 L'icona del decennio: Toyota Prius 170 Le copertine di Quattroruote
175 La strada, nuovo mondo della comunicazione 177 L'auto connessa tra benefici e rischi 176 I prossimi 40 anni visti dai designer: Roberto Giolito, Gilles Vidal, 180 Classe '56: Beppe Severgnini Giuliano Biasio
185 L'automobilista 2.0: da pilota a passeggero 186 I prossimi 40 anni visti dai designer: 187 Con l'autonoma nella realtà virtuale Walter de Silva, Leonardo Fioravanti, 190 Classe '56: Chris Bangle Giorgetto Giugiaro
195 Mega e smart, le città del futuro 197 L'epoca della connessione globale 196 I prossimi 40 anni visti dai designer: 200 Classe '56: Stefano Boeri Filippo Perini, Ercole Spada, Flavio Manzoni
205 Oltre l'automobile: realtà e utopie 210 Classe '06: Il futuro secondo Gioia 207 Quei viaggi supersonici dentro a un tunnel sospeso
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Le origini
L'editore libero che inventava giornali per divertirsi Ritratto di Gianni Mazzocchi, che nel 1956 fondò Quattroruote: uomo poliedrico, imprenditore visionario e appassionato di automobili o scambio di battutte è ormai leggendario. Angelo A Rizzoli incontra Gianni Mazzocchi e gli dicce: «Sei ornali e un cretino. Fai dei bellissimi gio non ci guadagni. Io faccio dei giornali g brutti e ci guadagno». Ribatte M Mazzocnali per chi: «Per forza. Tu stampi i giorn far soldi, e li fai. Io li faccio per diveertirmi, e mi ci diverto». In questa replicca sta il Mazzocchi editore. Imprenditorre dalle straordinarie capacità preveggenti, in grado di capire prima degli altri quali sarebbero state le tendenze di una società in tempestosa evoluzione e comee soddisfarle. Ma, allo stesso tempo, un artigiano di riviste, in grado di conciliaree le esigenze “vaste” delle alte tirature con la personale ricerca del bello, della cultura, c dell'approfondimento. Un uomo indipendente, anche. Di sé amava dire che «sono sempre stato solo. Non ho mai avuto dietro di me una banca, né un finanziatore, nessuno». E tale lascitto di orgogliosa autonomia è stato racco olto dalla sua “creatura” che oggi compiee 60 an-
ni: Quattroruote nacque nel '56 – dopo le straordinarie avventure de Il Mondo, dell'Europeo, di Settimo Giorno – come riflesso del proprio inventore, che volle un giornale libero come libero era lui. Sessant'anni dopo quel lascito è ancora nel codice genetico dell'Editoriale Domus e del mensile che ha accompagnato gli italiani per oltre mezzo secolo, difendendo gli interessi degli automobilisti senza mai farsi influenzare. Ed è probabilmente in questo che va individuato il senso del testamento spirituale lasciato da Gianni Mazzocchi alla propria famiglia (che tuttora, arrivata alla terza generazione, guida l'azienda): il mondo è cambiato, così come sono cambiate le automobili e l'industria che le produce; le aspettative dei consumatori sono diverse e più alte. Ma il coraggio delle verità morali e, in buona sostanza, dell'onestà, ecco, quello non passerà mai di moda. Nel primo editoriale c'era già scritto tutto ciò. A voi il piacere di leggerlo, scoprendo un'attualità di temi e valori sempre sorprendente. G.L.P.
Gianni Mazzocchi nel suo ufficio milanese. Grande cultore di automobili, diede vita a una raffinata collezione di vetture d'epoca
Il numero pilota di Quattroruote. L'idea di Mazzocchi di creare un giornale di auto fu accolta con grande freddezza dalla Fiat, anche per bocca dello stesso Valletta. Che però dovrà presto ricredersi...
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Il primo editoriale di Gianni Mazzocchi, editore e direttore, che spiega i motivi per cui la Domus ha deciso di creare il nuovo giornale. La tiratura iniziale è di 100 mila copie
DAL 1962, VICINO A TE
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L’ITALIA SALE IN AUTO È L’ORA DEL BOOM
1956 −1966
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Dieci anni nel mondo 1956
1956
4 novembre I carri armati sovietici invadono l’Ungheria
6 4 ottobre
1957
L’Urss lancia il primo satellite artificiale al mondo
1965 1966
1958
8 ottobre Angelo Roncalli viene eletto papa Giovanni XXIII
5 10 marzo La Cina invade il Tibet. Il Dalai Lama fugge in India
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22 maggio
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In Cile il terremoto più forte della storia: 9,5 MMS
1985 1986
12 aprile Jurij Gagarin primo uomo nello spazio
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1961
1 ottobre 11 Si apre a Roma i Concilio Vaticano II il
3 giugno
1962
Muore papa Giovanni XXIII e viene eletto Paolo VI
1995 1996
ottobre
1963
Dii Disastro D del Vajont: 2.000 morti
22 novembre John F. Kennedy assassinato a Dallas
1965
1964
2005 2006
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28 dicembre Giuseppe Saragat è eletto Presidente della Repubblica
6 luglio S’inaugura il Traforo del Monte Bianco
1956− 1966 Come eravamo
L'economia vola e si scopre la gioia di guidare Rimesso in piedi dopo la guerra, il Paese si avvia a una delle più grandi rivoluzioni: la motorizzazione di massa. Spinta dal benessere e da una nuova vitalità oi dovevamo fare una vera vettura che soddisfacesse i gusti degli italiani e doveva costare poco», disse Dante Giacosa, uno dei geni che ogni tanto planano nelle cronache e nella storia. E gli italiani cominciarono ad andare in macchina. Nel 1956, prima che arrivasse l’inventore della Nuova 500, l’Italia era ancora un Paese agricolo e a due ruote: l’80% dei veicoli dell’epoca era a due ruote, c'erano 8 milioni di biciclette e 50 mila scooter. Era un’Italia che girava sulla canna. Vespa e Lambretta, che si potevano portare al mercato ma anche fino al mare, costavano dalle 100 alle 150 mila lire (pari a otto stipendi di un operaio e due di un impiegato). Durante gli anni del fascismo c’era stata la 500 Topolino, ma era ancora prerogativa di una borghesia pochissimo diffusa; l’Italia rimaneva agricola e proletaria. Lontana l’esperienza degli Stati Uniti, dove la motorizzazione di massa era arrivata già da trent’anni con la Ford Model T, l’auto inventata da Henry Ford che «si poteva comprare in
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tutti i colori, purché nera». In Francia, Inghilterra e Germania le quattro ruote per tutti erano arrivate prima della guerra, con il Maggiolino della Volkswagen, l’auto del popolo, costruito a Wolfsburg, letteralmente “borgo del lupo”, voluto dal Lupo in persona, cioè Adolf Hitler.
L'Italia parte in 500 Da noi, bisognò aspettare la Fiat e la Nuova 500, appunto, perché la “vecchia” 500 era poi la Topolino. La Nuova vide la luce il 4 luglio 1957, per poter partire tutti. Subito prima c’era stata la 600, nata nel 1955, non ancora una super utilitaria ma una vettura quasi per tutti, con motore di 600 centimetri cubici e una versione per famiglie numerose e taxi rimasta nel cuore (la Multipla). Ma la vera icona della motorizzazio-
ne di massa sarà lei, la 500. Nella volontà di Vittorio Valletta, allora capo della Fiat, dev’essere una macchina davvero per tutti, con prezzo ridotto al minimo: costerà 685 mila lire. Semplificazione totale: motore posteriore a sbalzo, 479 centimetri cubici (cinquecento, appunto), 13 cavalli di potenza. Capolavoro di economia (albero motore di ghisa invece che d’acciaio), tre optional disponibili: sbrinatore del parabrezza, pneumatici con il fianco bianco e tinta Bleu scuro 456 (gratuito). Come nei grandi amori, con gli italiani non si piacquero subito: troppo spartana ed economica, priva di cromature, poco potente. Si corre ai ripari con una versione “N”, normale, mentre la vecchia viene ridefinita Economica, e ne verrà abbassato il prezzo. Poveri sì, ma belli, gli italiani ora
Jean-Louis Trintignant e Vittorio Gassman sull'Aurelia B24 Spider ne “Il sorpasso”, di Dini Risi, splendido ritratto di un'Italia che corre veloce. I due protagonisti, il giovane e ingenuo Roberto e il gradasso Bruno, ne rappresentano le due diverse anime
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Come eravamo
Nel 1965 dalle linee di montaggio italiane (nella foto, quella della Mini Innocenti di Lambrate, a Milano) si sforna oltre un milione di automobili. Soltanto dieci anni prima erano poco più di 100 mila
possono concedersi di amarla. Resterà in produzione fino al 1975, sfiorando i 4 milioni di esemplari.
Uniti da un nastro d’asfalto Ma intanto era nata l’autostrada: il 19 maggio 1956, alla presenza del presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, viene posta la prima pietra dell’Autostrada del sole e il tronco iniziale, la Milano-Parma, viene inaugurato addirittura solo due anni dopo. Anche se, in realtà, il primato spetta a un'altra arteria: la Milano-Laghi, costruita negli anni 20 a uso e consumo dei “cumenda”, i signori meneghini che la imboccavano per andare nelle loro case di villeggiatura. Con gli anni 60, però, il fenomeno diventa di massa e nasce anche una vasta letteratura automobilistica e autostradale. Sfreccia in spider sull’A1 Roberta, la protagonista del romanzo autostradale di Alberto Arbasino, “La bella di Lodi”; lei, baldanzosa erede di imperi dei formaggi, sulla sua MG rossa assieme al meccanico Franco, «molto ben dotato
e sexy». Sono gli anni del boom, e il film viene poi portato al cinema da Mario Missiroli, con Roberta interpretata da una splendida Stefania Sandrelli, allora diciassettenne.
Il sogno di andare lontano L’autostrada mette in collegamento, ma permette anche fughe: «Io ci sono affezionato a questo rullo di asfalto», scrive Pier Vittorio Tondelli, grande autore nato all’ombra dell’uscita di Correggio, nel racconto “Autobahn”. «Perché quando vedo le luci del casello d’ingresso, luci proprio da gran teatro, colorate e montate sul proscenio di ferri luccicanti, con tutte le cabine ordinate e pulite che ti fan sentire bene anche solo a spiarle dalla provinciale, insomma quando le guardo, mi succede una gran bella cosa, cioè non mi sento prigioniero di casa mia italiana, che odio, sì odio alla
Chi ci ha dato la patente
Si torna a scuola (guida) Una volta fatta l'Italia, motoristicamente parlando, c'erano da fare gli italiani, molti dei quali si muovevano in bicicletta e non avevano ancora la licenza di guida. Con l'aumentare delle macchine in circolazione, dunque, si moltiplica il numero di patenti rilasciate: nel 1958 erano 358 mila, nel 1962 diventano
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1.250.000. Ci si mette sui banchi di scuola guida davanti agli spaccati delle 600, realizzati per spiegare ai digiuni di tecnica com'è fatta e come funziona un'auto. Alcuni di questi reperti si trovano ancora oggi nelle autoscuole, memoria di un tempo (e di un modo di costruire le macchine) ormai remoto.
follia, tanto che quando avrò tempo e soldi me ne andrò in America, da tutt’altra parte si intende, però è sempre meglio andare via». E chissà cosa direbbe oggi Tondelli dei ponti realizzati dall’archistar Santiago Calatrava a Reggio Emilia, e chissà se si troverà qualche cantore della più nuova delle strade a pagamento italiane, la BreBeMi (perché l’autostrada nasce e muore come fenomeno lombardo, o comunque padano).
La sosta si fa comoda Per pulsioni meno poetiche e più pratiche nasce anche l’autogrill, con i suoi consumi voluttuari, e per la prima volta meccanici e proletari possono mangiare un primo e un secondo, su una tavola ben apparecchiata, in un luogo caldo e illuminato. L'idea, anche in questo caso, arriva da lontano, dalle aree di servizio lun-
Si comincia a viaggiare e a pensare ai servizi per gli automobilisti. Nascono gli autogrill (a sinistra, il Pavesi di Fiorenzuola d'Arda). Per chi vuole stare comodo ci sono tavoli apparecchiati. Chi ha fretta, invece, può trovare spuntini più veloci ed economici. In basso, traffico in via della Conciliazione, a Roma
go le highway americane, a cui le modernissime architetture dei primi edifici s'ispirano. «Ristorante Motta, a cavallo dell'autostrada. Trionfo di cristalli, riflessi, Topi Gigi, alluminio, finto mogano e palissandro, cellophane, pacchetti lussuosamente confezionati di krek», scrive sempre Arbasino. E Francesco Guccini celebrando proprio questo strano, nuo-
vo posto, canta: «Basso il sole all'orizzonte colorava la vetrina e stampava lampi e impronte sulla pompa da benzina».
Una nazione che corre Più a Sud, sull’Aurelia, un’altra spider, una Lancia Aurelia B24, accompagna il viaggio verso il boom italiano, la villeggiatura, gli industriali in ferie. Nel film di
Dino Risi, forse il migliore in assoluto della commedia all’italiana, Roberto, giovane studente timido, si affida a Bruno, scafato quarantenne che scatena la sua inquietezza al volante. Gli andrà malissimo, in un finale che fece litigare regista e produzione, con un sorpasso tragico e forse inutilmente crudele, che anticipa però tutte le crisi degli anni 70. Michele Masneri
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1956 − 1966 Mondo Quattroruote
La prima missione: ripulire l’Italia da cartelloni e bottiglie Iniziano subito le battaglie intraprese dal giornale. Che aveva un centinaio di pagine, contro le oltre 300 di oggi, ma già si faceva sentire… L’eco delle prime battaglie è così forte da far pensare ai più che Quattroruote esista da anni; il giornale c'è appena da pochi mesi, ma ai temi già messi sul piatto, come dotare le strade di cigli, installare guardrail sui punti critici, aprire servizi di ristoro ma soltanto se corredati di dignitose toilette, si aggiunge la campagna contro la chiassosa diffusione della pubblicità stradale. Un fenomeno che sta trasformando le più belle strade italiane in un carnevalesco carosello; soggetti e slogan distraggono chi guida e su alcuni pannelli si comincia a miscelare spot e segnaletica. La denuncia è sul numero 5, che definisce i maxi cartelloni «lo sconcio più stupido e autolesionista che possa esistere». La Costituzione tutela il paesaggio, e a dar man forte alla redazione arrivano
A sinistra, Juan Manuel Fangio, pilota argentino e campione del mondo di Formula 1 nel 1951, 1954, 1955 e 1956: è un affezionato lettore di Quattroruote
le lettere di architetti di grido, artisti e noti automobilisti, alle quali si aggiungono presto i telegrammi di scrittori e di opinionisti e la solidarietà di alcuni senatori. Gli impianti, gigantesche silhouette del prodotto reclamizzato (bottiglie o salami enormi, Bibendum alti come case a due piani), si concentrano sui punti più belli delle strade che lambiscono laghi, vette e mari. La ripetuta denuncia dello scempio innesca, finalmente, la risposta dell’Anas: il suo direttore generale dispone subito la rimozione delle pubblicità installate su monumenti e opere d’arte e il divieto di utilizzare caratteri ed
evidenziazioni rifrangenti; quindi, invoca a sua volta sorveglianza e una nuova regolamentazione. Sei mesi dopo il giornale pubblica la foto dello “sgonfiaggio” di una gomma formato gigante: il senso civico sollecitato trova anche aziende sensibili.
Cartelloni raffiguranti oli motore, carburanti, gomme, ma anche salumi e alcolici: impianti giganteschi che deturpano il paesaggio e che distraggono chi è al volante
Fabrizio Formenti
La didascalia della foto pubblicata nel gennaio 1957 (titolo: «I cartelloni se ne vanno») parla chiaro: «Il buon esempio della Pirelli, che sta smontando le sue costruzioni pubblicitarie sulle strade italiane»
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Mondo Quattroruote
Come ti elimino il passaggio a livello Tra il 1956 e il '61 si contano più di mille incidenti sugli incroci fra strade e binari. E la nostra rivista si batte per cercare di risolvere il problema In Italia non si sa nemmeno quanti siano; quando il ministro ne parla, ogni volta e un po' tragicamente i numeri cambiano, compresi quelli riferiti alle vittime travolte dai treni. Dal 1956 al 1961 si contano 1.019 incidenti: il giornale chiede a gran voce rimedi e, come sempre, lancia proposte. Il ministro dei Trasporti, Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica e di Piersanti, il presidente della Regione Sicilia assassinato dalla mafia nel 1980, snocciola in «Televisione» (con l’iniziale in maiuscolo, come scriviamo nell’articolo del gennaio 1963) gli ultimi dati: «Sulla rete ferroviaria esistono 16.400 passaggi a livello, 4.000 custoditi, 6.000 manovrati a distanza, 5.000 in consegna a soggetti privati e circa 1.400 fra sempre aperti e incustoditi». L’assenza di controlli sul personale
addetto, spesso responsabile d'inopportune aperture, e la movimentazione delle sbarre, a manovella, finiscono sotto la lente della rivista, che propone anche d'introdurre avvisi ottici e acustici poco prima del passaggio di ogni convoglio. Quattroruote incomincia a fare i conti in tasca al ministero dei Trasporti e pretende la chiusura del maggior
numero possibile d'incroci fra strade e binari: un sottopasso costa circa 100 milioni di lire, ma con il budget ministeriale e qualche sforzo governativo si potrebbe mettere mano subito ai più pericolosi. Fra Ferrovie, Anas e ministero piovono circa 17 miliardi di lire. La campagna per la sicurezza sotto le croci di Sant’Andrea continuerà per anni… Roberto Zimaffini
Arriva il guardrail
La fine del paracarro Nel 1958 l'evoluzione dei paracarri in guardrail fa forza anche sulla definizione allora offerta dal dizionario Zingarelli: il «piuolo di pietra che si trova lungo le strade di campagna, per difendere e deviare i carri» con il traffico moderno ha perso ogni funzionalità. Ora, scrive la rivista,
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occorrono «salva-auto che provvedano a rettificare le possibili sbandate delle vetture e che, elasticamente, assorbano gli urti in caso di uscita di strada». Qualche anno dopo, nel 1963, l'attenzione si sposta decisamente sugli incidenti frontali che funestano la crescente rete di autostrade, vie nuove
che in Italia si possono percorrere sino a 160 km/h, ma caratterizzate da un difetto mortale: la separazione delle corsie fra i due sensi di marcia è affidata ad aiuole spartitraffico larghe circa tre metri. Al posto di terrapieni e piante fiorite cominciano a spuntare i tanto attesi guardrail.
Un altro problema sono i tempi d'attesa: per effetto dei cronici ritardi dei treni, davanti alle sbarre si resta anche 30 minuti: anche questo ha un costo sociale
Mondo Quattroruote
L'importanza delle cinture Due incidenti significativi, assieme a prove tecniche e a varie esperienze, portano il mensile a schierarsi per il loro utilizzo Nel 1956 la Ford promuove negli Stati Uniti l’uso delle cinture di sicurezza, già disponibili anche se solamente come optional. In Germania sono riservate alle vetture di gamma alta, in Francia non riscuotono l'interesse delle autorità. Ma nel Regno Unito, l’incidente occorso nel 1960 a Donald Campbell, che tenta di stabilire il record mondiale di velocità terrestre, fa riflettere: a più di 500 km/h il figlio d’arte (il padre, Malcolm, lo aveva già stabilito più volte) esce quasi indenne dal suo “razzo terrestre”, fatto a pezzi. Il record lo conquisterà nel 1964 (648,728 km/h ottenuti sul Lago Eyre, in Australia), ma alla storia passano anche le – seppur speciali – cinture che gli hanno salvato la vita. Il fatto è clamoroso e porta il British Sefety Council a eseguire prove
su prove, sia per dimostrare al pubblico la loro efficacia sia per spronare i costruttori a montarle di serie. Nel 1961 Quattroruote prende posizione sull’importanza dei sistemi di ritenuta; analizzato in tutte le salse l’incidente medio che, a quei tempi, finisce spesso con il ribaltamento del veicolo, arriva alla conclusione che «l'impiego è sempre consigliabile». Anche in Italia
un episodio pubblico appoggia la causa: i musicisti Franco Cerri e Lelio Luttazzi finiscono fuori strada e si fermano ruote all’aria. Cerri esce in qualche modo dal veicolo e corre per soccorrere Luttazzi, che non si trova più nella vettura, ma è ferito e privo di sensi a una ventina di metri di distanza: a differenza di Cerri, il grande Lelio non aveva allacciato la cintura…
Negli anni a cavallo fra il 1950 e il 1960 le cinture sono costose e disponibili solo in aftermarket; questo induce molti automobilisti a non considerarle fra le dotazioni necessarie
F.F.
Prima dell'avvento dei pretensionatori, negli anni 80, capaci di ridurre la decelerazione del corpo durante un impatto, l'utilità delle cinture è stata spesso messa in discussione
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1956 − 1966 Classe '56 Bagheria, 27 maggio
Giuseppe Tornatore I ricordi dell’infanzia a Bagheria. Il giorno in cui in famiglia arrivò una Fiat 600. La 126 che conservò per anni anche dopo il trionfo dell’Oscar. Le macchine che ha scelto per i film ambientati negli anni 50 e 60. Il grande regista siciliano ci racconta aspetti inediti della sua vita e del suo cinema. E ci spiega perché non crede al ponte sullo Stretto
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Classe '56 Giuseppe Tornatore
Fa il suo esordio nel cinema nel 1986 con “Il camorrista”. Tre anni dopo esce “Nuovo Cinema Paradiso”, che vince l'Oscar. Seguono “Stanno tutti bene” (1990), “Una pura formalità” (1994), “L'uomo delle stelle” (1995), “La leggenda del pianista sull'Oceano” (1998), “Malèna” (2000), “La sconosciuta” (2006), “Baarìa” (2009), “La migliore offerta” (2012) e l'appena uscito “La corrispondenza”
na 1100 celeste brilla nella notte. Diluvia, i tergicristalli faticano a spazzare il parabrezza. Quel che è peggio, l’auto si guasta. I tre occupanti – due uomini, una donna – scendono, iniziano a spingerla. Arrivano davanti a un bar, un ragazzo si offre di aiutarli. Ma poi commette un errore fatale: sfiora il sedere della donna. Scatenando la furia del fratello, che gli fracassa la testa sul cofano una volta, due, tre, quattro, cinque. Fino ad ammazzarlo. È l’inizio shock de “Il camorrista”, il primo film di Giuseppe Tornatore. «Avevamo due alternative per quella Fiat 1100, una vettura chiara e una scura. Scelsi la prima perché la scena si svolgeva di notte e così l’auto spiccava di più. Ma anche per un altro motivo. Una macchina nera poteva sottintendere una vocazione na-
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turale del protagonista al delitto. Invece quella celeste funzionava meglio per la storia che volevo rappresentare, quella di un’evoluzione criminale innescata da una faccenda banale». Insomma, mi sembra di capire che non si scelgono per caso le auto di un film… Quelle dei personaggi importanti rappresentano sempre un elemento decisivo. Perché ci sono mille fili, mille elementi che ti portano a confermare, anche con una macchina, il carattere di un protagonista. Oppure, al contrario, a contraddirlo, se serve. La scelta è complessa e deve tener conto di molteplici fattori. Per quale motivo allora, per esempio, la vettura di Peppino Torrenuova in “Baarìa”, quella con cui gira per fare
propaganda al Pci, è una 600 Multipla, modello tra l'altro uscito proprio nel ’56? In questo caso è un ricordo personale: nelle campagne elettorali si usava spesso quell'auto. Perché ci entrava tanta roba: i manifesti, i pennelli, i secchi con la colla, le scale. E poi perché ci stavano al tempo stesso più persone. Così era possibile formare piccole squadre, che poi andavano a fare volantinaggio e attacchinaggio. In “Nuovo Cinema Paradiso” è impressionante la trasformazione della piazza del paese: incantevole ancora a metà degli anni 50, invivibile parcheggio negli 80. La metafora dei mali del progresso? E in tutto ciò l’auto assume un connotato negativo? No, nessuna metafora: semplicemente dovevo rendere realistico il trascorrere del tempo, raccontare le trasformazioni del nostro costume. Poi, certo, le città intasate di macchine non sono belle. Ma nei miei film non ho mai usato l’auto come un elemento negativo. Casomai è negativo l’eccesso del suo utilizzo, come ogni eccesso.
Peppino Torrenuova, interpretato da Francesco Scianna, accanto a una Fiat 1100 in una scena di “Baarìa”. La seconda auto con cui il personaggio principale del film gira la Sicilia per fare propaganda al Pci è una 600 Multipla. Anche altre pellicole di Tornatore sono ambientate, in tutto o in parte, negli anni 50 e 60: “Nuovo Cinema Paradiso” e “L'uomo delle stelle” nell'isola, “Il camorrista” in Campania
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Le locandine di quelli che possono forse essere ritenuti i quattro film più noti di Tornatore. Il regista siciliano è sempre riuscito ad avvalersi di attori importanti per le sue pellicole. Tra gli altri, ricordiamo Ben Gazzara, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret, Gérard Depardieu, Tim Roth e Monica Bellucci
Però resta un mezzo positivo. Torrenuova e i suoi amici vanno con l’auto nelle campagne a parlare con i contadini, per cercare di migliorare le loro condizioni di vita… Com’era la Bagheria di fine anni 50? C’erano poche macchine come nel paese di “Nuovo Cinema Paradiso”?
Quando ne passava una era un avvenimento. Noi bambini le correvamo dietro, specie se si trattava di un modello che vedevamo per la prima volta. Nel mio quartiere saranno state otto o dieci le famiglie che ne possedevano una. E quando capitava che qualcuno la comprasse, andavamo subito a guardarla e ci sembrava chissà quale miracolo. Se poi si trattava di una vettura che avevamo già visto al cinema o su una rivista, la cosa pareva ancora più sorprendente: era l’apparizione di un oggetto che avevamo percepito come lontano, inarrivabile, e che ora all’improvviso
si materializzava. I proprietari delle prime macchine le lavavano di continuo, guai se ti ci appoggiavi. E non solo la carrozzeria, ma anche i tappetini dovevano essere perfettamente puliti: erano spesso stesi ad asciugare al sole, un’immagine che ho ancora ben viva. Suo padre aveva l’automobile? All’inizio no. Però lavorava per il Pci e per la Cgil e a volte, quando andava a Palermo in autobus, capitava che poi tornasse con una 500 del partito o del sindacato, che poi magari teneva per un gior-
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Classe '56 Giuseppe Tornatore Los Angeles, 26 marzo 1990: Giuseppe Tornatore e il produttore Franco Cristaldi con la statuetta dell'Oscar per il miglior film straniero assegnata a “Nuovo Cinema Paradiso”: un trionfo inaspettato, anche perché all'epoca il regista era appena al suo secondo film
no o due: era una cosa che ci riempiva di gioia da un lato e di tristezza dall’altro, perché ci rendeva ancora più evidente il fatto che noi l’auto non l’avevamo. Poi, nel 1960-61, comprò una 600 usata bianca. La prima macchina nuova, una Simca 1300 con il cambio al volante, arrivò tre o quattro anni dopo. E lei che rapporto ha con l’automobile? Lo confesso, non sono un bravo proprietario di auto: non le lavo mai… Con il tempo diventano un’estensione del mio ufficio, per cui sono piene di pezzi di carta, dvd, libri, sacchetti, indumenti... Quali sono state le auto della sua vita? La prima fu una 500 blu usata: quando
la acquistai era di color crema, ma la feci restaurare e riverniciare. Nella mia classe al liceo sono stato il primo ad avere la macchina, già a 18 anni. Avevo lavorato come fotografo ed ero riuscito a mettere un po’ di soldi da parte: sotto questo profilo ero in vantaggio rispetto ai coetanei, anche a quelli più agiati. Poi ho avuto una Panda 30 bianca, per la quale firmai cambiali. Dopo il trasferimento a Roma, nell’83, guidai per un breve periodo una Regata di mio padre, che però trovavo ingombrante. Allora comprai una 126, che ho tenuto fino alla metà degli anni 90. Nemmeno dopo la vittoria dell’Oscar l’ha cambiata? No, e la cosa stupiva molti. Ma io amo le cose della mia vita e mi piace conservarle il più a lungo possibile, in modo che diventino presenze importanti, acquistino, in un certo senso, una loro umanità. La prima macchina fotografica ce l’ho ancora, così come le prime cineprese. Comunque, alla fine comprai una Saab 900 cabrio, che piaceva molto alla mia fidanzata.
Però d’estate la sfruttavo poco, d’inverno fischiava e faceva rumore. Così sono passato a qualcosa di più solido, anche perché a volte vado in Sicilia in auto: prima una BMX X3 e poi una X5, che ho da sei anni e intendo tenere ancora per un bel po’. Non rinuncio alla mia filosofia: detesto il concetto secondo cui, se non hai un modello appena uscito, non sei al passo con i tempi. Per la città, invece, utilizzo una 500 usata: la posso parcheggiare ovunque e, se me la graffiano, non m’importa. Farebbe il ponte sullo Stretto? Non sono contrario a priori all'idea. Anzi, se dovesse esserci un ponte funzionale e funzionante, mi piacerebbe. Però non la ritengo un’opera prioritaria, considerate le condizioni del nostro tempo e, soprattutto, l’inefficienza con cui storicamente costruiamo le opere pubbliche. Se la Salerno-Reggio Calabria ancora oggi è quello che è, figuriamoci quello che potrebbe diventare il ponte sullo Stretto… Temo che la sua costruzione durerebbe decenni e alla fine costerebbe il triplo. Emanuele Barbaresi
Una Fiat 1100 attrezzata per le riprese di una camera car sul set di “Baarìa”. La passione di Tornatore per il cinema è sbocciata quand'era ancora un bambino, proprio come nel caso del protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso”. Il regista siciliano ha firmato il suo primo film a 29 anni, ma aveva girato il primo documentario quando ne aveva appena 16. E all'epoca frequentava già da tempo le cabine di proiezione
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la tengo anche “ Un'auto per dieci anni: amo
conservare il più possibile le cose della mia vita, in modo che diventino presenze importanti
„
L'ultimo film
Dall'Inghilterra con amore “La corrispondenza”, il più recente film di Giuseppe Tornatore, è nelle sale italiane dal 14 gennaio. Niente Sicilia, però: a permearlo sono atmosfere nordiche. Del resto, è stato girato in gran parte in Inghilterra, considerata in questo caso più adeguata al tipo di racconto. «È una storia d’amore
forte», spiega il regista, «dei nostri tempi: nasce da un’idea che mi era venuta diversi anni fa. Se però l’avessi sviluppata all’epoca, sarebbe venuto fuori quasi un film di fantascienza. Adesso, invece, il progresso tecnologico l’ha resa attuale». A interpretare la pellicola sono un mostro sacro come Jeremy Irons
e l’ucraina Olga Kurylenko: lui è un professore di astrofisica, lei una studentessa universitaria che impiega il tempo libero facendo la controfigura per la televisione e il cinema. Le musiche, come sempre nei film di Tornatore, da “Nuovo Cinema Paradiso” in poi, sono di Ennio Morricone.
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1956 − 1966 L'icona del decennio
Quando esce, nel '55, Quattroruote non c'è ancora. Ma al suo debutto in edicola, nel febbraio '56, l'auto che motorizzerà l'Italia è la prima ad affrontare una prova su strada
La 6oo, qui nella versione Trasformabile del 1956, rappresenta per molti italiani la prima possibilità nel dopoguerra di godersi – anche con gli amici – la gita fuori porta senza dover dipendere dai mezzi pubblici
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Una parata di 600 prima serie – lo si vede dai vetri scorrevoli – davanti a un quadrimotore a elica Douglas DC-7C Super 7 Clipper, che collega l'Europa agli Stati Uniti L'importanza dell'utilitaria Fiat si può intuire anche dalla foto dell'altra pagina, che ritrae la vettura, assieme ad alcune modelle, nell'anno della presentazione (1955)
ono passati appena sei anni all’ufficio tecnico per costruire quella che dalla fine della Seconda sarà la 600 sono chiare: quattro posti, 85 guerra mondiale. Pochi e orari, 450 chili. La leggerezza è strategica tanti insieme, per un'Italia per contenere il prezzo: solo così è possiche ha fretta di mettersi il peggio alle spalbile conquistare una fascia di mercato pole. È l'inizio del 1951 e viene messa in cantenzialmente ampia, ma che ancora non tiere un'auto – la Fiat 600 – che non solo c’è. Pare un azzardo in una nazione condà il la alla motorizzavalescente, in cui l’auto Quando arriva sul mercato, zione popolare, ma rappresenta un sogno in Italia circolano meno di 900 cambia le abitudini soper la maggior parte mila vetture. E alcuni non ciali, restituendo fidudella gente, ancora a possiedono neppure la Vespa cia nel futuro. Una caccia di un lavoro stao la Lambretta. La piccola Fiat grande scommessa, bile e di una vita più diventa il sogno realizzabile vinta dalla Casa di Toriconfortevole. E nessuper le generazioni che, dopo no, e una tappa storica no può immaginare per il nostro giornale: la guerra, hanno lavorato a testa che, di lì a pochi anni, bassa per un futuro migliore quella della 600, puboltre alla motorizzazioblicata sul numero d'ene di massa, arriverà sordio del febbraio '56, è la prima prova su anche il boom economico. strada. Inizia, così, una sorta di cammino in parallelo tra la diffusione dell'auto in ItaSemplice e leggera lia e quella di Quattroruote, che porterà L’ufficio tecnico Fiat, diretto da Dante in entrambi i casi a sviluppi fortunati. Giacosa, si mette al lavoro, consapevole Torniamo all'utilitaria torinese. Le direttive impartite da Vittorio Valletta, presidente e amministratore delegato Fiat,
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Due immagini pubblicitarie dell'utilitaria torinese, che sfruttano la presenza femminile in modo diverso: qui a lato, la vettura è inserita in uno studio di pittura, con tanto di bozzetti dedicati; più a destra, ancora la berlina, sempre dotata dell'optional dei pneumatici con fianco bianco
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dell'importanza della missione, non solo dal punto di vista industriale e di mercato. Nel progetto 100 – così si chiama – si lavora di cesello per ridurre il peso. Ma la specifica dei 450 chili sembra subito irraggiungibile, se si vuole mantenere il motore anteriore e la trazione posteriore. Per riuscirci, e alloggiare quattro persone in poco più di tre metri, bisogna concentrare meccanica e trazione davanti o in coda. Alla fine Giacosa sceglie la soluzione “tutto-dietro”, meno raffinata, ma più sicura ed economica. I primi disegni sono del luglio 1951, poi intervengono diverse modifiche. Una versione quasi definitiva è datata 23 febbraio '53: la linea è diventata più massiccia, ma semplice da produrre. Inizialmente si pensa a un motore bicilindrico a V di 150°, ma poi si opta per un più classico e robusto quattro cilindri in linea raffreddato ad acqua, abbinato a un cambio manuale a quattro marce. È il 1952: parte la lotta contro il tempo per completare il
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L'icona del decennio Fiat 600
La Fiat, dal 1946 a oggi, “ si è completamente rinnovata. Il dopoguerra è davvero finito„ Vittorio Valletta, presidente della Fiat, annuncia la produzione della 600
progetto il prima possibile. Giacosa e i suoi collaboratori lavorano a tappe forzate, con pochissime pause. Unica consolazione, nelle lunghe giornate passate ai tavoli da lavoro di quell'estate, è la voce della radio che diffonde gli ottimi risultati dello sport italiano alle Olimpiadi di Helsinki. Dopo alcuni problemi di messa a punto dovuti al baricentro arretrato, che Giacosa risolve assieme a Carlo Salamano, storico collaudatore Fiat, intervenendo sullo sterzo e sulle sospensioni posteriori, si arriva all'approvazione del progetto. La sostituta della Topolino viene deliberata nel luglio '53. Poi, per la quattro posti da famiglia – il ruolo di utilitaria pura verrà ricoperto dal-
la Nuova 500, in fase di progettazione – è la volta dei collaudi, che sono massacranti, perché la 600 è destinata anche a chi ha appena imparato a guidare: deve quindi dimostrarsi sicura e robustissima. Nel frattempo, a Mirafiori, vengono allestite le catene di montaggio in vista della produzione in serie. Finalmente la 600 è pronta e, nel marzo 1955, viene presentata al Salone di Ginevra. Il prezzo di listino è di 590 mila lire: come dire, circa 13 mensilità di un operaio metalmeccanico.
Libertà di muoversi Il messaggio pubblicitario è semplice: la 600 è piccola, ha un prezzo ragionevole e consuma poco. Ma è adatta alla famiglia e alle signore, perché è facile da guidare. Immaginiamo, per un istante, d'immedesimarci in chi entra per la prima volta in una concessionaria: s'informa sulla 600, certo, ma soprattutto è orgoglioso di potersela permettere, grazie al proprio lavoro. Sì, gli italiani hanno la sensazione di aver svoltato davvero. La libertà di muoversi si diffonde. E non ha prezzo. Andrea Stassano
Sopra, la 600 D, lanciata nel luglio 1960. Il motore passa da 633 cm³ (con 21,5 CV) a 767 cm³ (e 32 CV), e le prestazioni migliorano di molto; da notare anche l'introduzione del deflettore. A destra, ambientazione marinara per una 600 a vetri discendenti (introdotti nel '57): la prima serie aveva le porte incernierate all'indietro. Foto grande: le tre varianti della vettura
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Variante “lunga”
La Multipla, monovolume a sua insaputa Arriva nel gennaio 1956, la 600 Multipla, e sostituisce la 500 C Belvedere. Le forme non convenzionali, da monovolume ante litteram, sorprendono il pubblico. Negli intenti dovrebbe attrarre le famiglie che trovano piccola la berlina: può trasportare, infatti, fino a cinque persone su due
file di sedili o sei su tre. Ma pure una spesa maxi o carichi fuori taglia, se si reclinano a filo i sedili posteriori (una soluzione all'avanguardia). Mantenendo poi ingombri contenuti: 3 metri e 54 di lunghezza, contro i 3 e 22 della berlina. Vista la meccanica “blindata”, non resta che allungare
il muso, posizionando la prima fila di sedili sull'asse anteriore (lo schema è della 1100/103). Due le porte in più, incernierate in avanti. Ma le vendite non decollano: forse il pubblico vede la Multipla – a destra, una D del 1960 – più come un veicolo commerciale. I tempi non sono ancora maturi.
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Le prove di Quattroruote
Fiat 600/1957 - aprile '57
Supera il nostro esame e diventa l'auto degli italiani Dopo l'articolo del febbraio 1956, nell'aprile dell'anno dopo si replica con test più approfonditi e la pagella: le stelle, all'epoca, vanno da una a quattro egame stretto, quello tra Fiat 600 e Quattroruote. Difatti, è proprio l'utilitaria torinese ad apparire, nella prima prova su strada, del numero uno della rivista, nel febbraio '56 (in copertina c'è l'Alfa Romeo Giulietta). In realtà, l'estensore del testo, Giancenzo Madaro, ha guidato l'auto diversi mesi prima, tra l'agosto e il settembre del 1955, dopo il lancio del modello. Quattroruote, quindi, offre da subito il format che la renderà famosa e insostituibile nel ruolo di guida alla scelta dell'auto. All'inizio lo schema delle prove è un po' diverso da quello che arriverà soltanto un anno dopo. Nell'aprile '57, infatti, si ritorna sul tema 600 e le pagine del servizio passano da otto a tredici. Le rilevazioni (effettuate sulla pista stradale dell'autodromo di Monza) si confermano un punto di forza e vengono ampliati l'approfondimento e la
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descrizione dei dettagli dell'auto. A fine servizio si trova la pagella con le stelle – per ora senza commento e con graduatoria che va da una stella per l'insufficienza, a quattro per l'ottimo –, che diventerà un marchio di fabbrica. Le voci sono in parte diverse e raggruppate nelle sezioni “corpo vettura” e “comportamento su strada”. Proprio sulla pagella della 600 del '57 ci siamo basati per compilare quella, attualizzata, che vedete nell'altra pagina. Dall'esordio è cambiata pure l'auto: oltre al prezzo di listino, che passa da 590 mila a 640 mila lire, vengono introdotti i vetri anteriori discendenti, la selleria di tela e plastica, lo schienale meno inclinato, il comando fanaleria e gli indicatori di direzione a levetta al volante. Agli optional delle gomme con fianco bianco (8.050 lire) e della radio (42 mila lire), si aggiunge l'interno di finta pelle (10 mila lire). Sempre lunghi i tempi di consegna: quattro-cinque mesi.
SCHEDA TECNICA MOTORE • Posteriore longitudinale, benzina • 4 cilindri in linea • Alesaggio 60,0 mm - Corsa 56,0 mm • Cilindrata 633 cm³ • Potenza max 16,2 kW (22 CV) a 4.600 giri/min • Coppia max 39,7 Nm a 2.400 giri/min
TRASMISSIONE • Trazione posteriore • Cambio manuale a 4 marce • Pneumatici: 5.20-12
CORPO VETTURA • Berlina 2 volumi, 2 porte, 4 posti
AUTOTELAIO • Avantreno a ruote indipendenti, bracci oscillanti, balestra trasv. inf. • Retrotreno a ruote indipendenti, bracci oscillanti, molle elicoidali • Ammortizzatori idraulici • Freni a tamburo • Sterzo a vite e settore elicoidale • Serbatoio 27 litri DIMENSIONI E MASSA • Passo 200 cm • Carreggiata ant. 115 cm, post. 116 cm • Lung. 321 cm - Larg. 138 cm - Alt. 140 cm • Massa 585 kg
La 600 privilegia i posti anteriori, ma dal 1957, con i nuovi sedili a ribaltamento totale, si può accedere dietro un po' più facilmente. Sul fianchetto porta si nota la manovella dell'alzavetro (i precedenti vetri scorrevoli erano stati sostituiti). Comoda la cloche del cambio
VELOCITÀ massima (km/h)
CONSUMO
97,297 km/litro
FRENATA
metri
da 100 km/h
45
RIPRESA (in IV)
secondi
urbano
14,8/10,7
30-60
20,0
extraurbano
17,4/13,6
30-80
40,0
-
30-90
60,0
medio
LA PAGELLA Pedali piccoli, anche per l'epoca, e passaruota
POSTO GUIDA
★★★ “invadente”. Schienale basso, ma seduta comoda. Lievi migliorie rispetto al '56: le due levette al volante
COMANDI
★★★ sono più comode, ma fossero state più lunghe... CLIMATIZZAZIONE Voce non contemplata: lo sbrinamento parabrezza - funziona, ma oltre all'aria porta la voce del motore.
Discreta in avanti, scarsa in manovra. Ma qui, con
VISIBILITÀ
★★ i vetri discendenti, ci si può sporgere con la testa... Progressi evidenti. E, dato il carattere popolare della
FINITURA
★★★ 600, il risultato è da considerare accettabile. C'è abbastanza, ma non il portacenere: lacuna
ACCESSORI
★★ che nella prova è definita «davvero fastidiosa». Non è per quattro persone alte. E, con due sole
ABITABILITÀ
★★ porte, accomodarsi sul divanetto non è semplice. Problema di sempre. Se i colli sono tanti, non
BAGAGLIAIO
★ c'è alternativa: bisogna reclinare il divanetto. Le sospensioni sono migliorate, ma restano – e
CONFORT
★★ questo “fa” epoca – i noiosi spifferi nell'abitacolo! Brio ok. Il rapporto di compressione è più alto, ma
MOTORE
★★★ il funzionamento è buono pure con la “normale”. ACCELERAZIONE
In pagella non c'era. Chiaro, la 600 “sente” - il carico, ma si muove con sufficiente disinvoltura.
RIPRESA
C'è molta differenza tra minimo e massimo carico:
★★★ sul km da 30, in IV, la 600 impiega oltre 57 secondi. CAMBIO
La prima è ben sfruttabile, la seconda corta (da 40
★★★ km/h). Giudizio separato – buono – per la frizione. STERZO
Leggero in città, richiede cautela in velocità.
★★ Al solito: volante grande (diametro, 40 cm) e sottile. FRENI
Buoni a minimo carico. E per fermarsi da 100
★★★ km/h, ci vogliono circa 45 metri (niente male). SU STRADA
Con il motore posteriore si mostra agile finché
★★ si marcia tranquilli. È sensibile al vento laterale. Stralcio della prova su strada della 600, pubblicata sul numero dell'aprile '57: è stata scelta questa, e non la prima del febbraio '56, perché c'è la pagella,
seppur non commentata. Le voci sono state quindi attualizzate. Erano diverse pure le stelle: una (insufficiente), due (sufficiente), tre (buono), quattro (ottimo)
CONSUMO
“Beve” poco ed è economica. Si parla pure del
★★★ (ridotto) consumo dell'olio motore: 17 g/100 km. PREZZO
All'epoca non valutato. Immatricolata, la 600/57 - costa 667.200 lire: il 7,5% in più di quella d'esordio.
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Le copertine di Quattroruote
1956 Gennaio
1956 Settembre
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n° 0 1956 Febbraio
8 1956 Ottobre
1 1956 Marzo
2 1956 Aprile
3 1956 Maggio
4 1956 Giugno
5 1956 Luglio
6 1956 Agosto
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9 1956 Novembre
10 1956 Dicembre
11 1957 Gennaio
12 1957 Febbraio
13 1957 Marzo
14 1957 Aprile
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1957 Maggio
16 1957 Giugno
17 1957 Luglio
18 1957 Agosto
19 1957 Settembre
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1958 Gennaio
24 1958 Febbraio
25 1958 Marzo
26 1958 Aprile
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1959 Maggio
40 1959 Giugno
41 1959 Luglio
42 1959 Agosto
43 Speciale numerato
44 1959 Settembre
45 1959 Ottobre
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1959 Dicembre
48 1960 Gennaio
49 1960 Febbraio
50 1960 Marzo
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52 1960 Maggio
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1960 Agosto
56 1960 Settembre
57 1960 Ottobre
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1956− 1966
1961 Aprile
64 1961 Maggio
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66 1961 Luglio
67 1961 Agosto
68 1961 Settembre
69 1961 Ottobre
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1961 Dicembre
72 1962 Gennaio
73 1962 Febbraio
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106 1964 Novembre
1965 Aprile
112 1965 Maggio
113 1965 Giugno
114 1965 Luglio
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101 1964 Giugno
102 1964 Luglio
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107 1964 Dicembre
108 1965 Gennaio
109 1965 Febbraio
110 1965 Marzo
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115 1965 Agosto
116 1965 Settembre
118 1965 Novembre
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117 1965 Ottobre
L'auto è un mezzo positivo: “ casomai è negativo l'eccesso del suo utilizzo, come ogni eccesso„ 1965 Dicembre
120 1966 Gennaio
121 1966 Febbraio
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Giuseppe Tornatore - Regista
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THE ALL-NEW JAGUAR XF
NOT BUSINESS AS USUAL.
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LA CLASSE OPERAIA FRA LOTTA E CRISI PETROLIFERA
1966−1976
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Dieci anni nel mondo 1956
1966
4 novembre Straripa l’Arno Firenze F ire enze nze a alluvio llu uvio uv alluvionata
221 aprile
1967
Golpe in Grecia: G in in nizia la dittatura dei colonnelli
1965
1966
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1968
Primi P rim mi gravi gra i ssc g scontri c fra studenti ep po o polizia all’Università di Roma
4 aprile Assassinato a Memphis (Usa) il leader nero Martin Luther King
1969
1975 1976
arzo ar
21 uglio
1970
L’’ L’uomo sbarca sulla Luna
12 dicembre Milano, strage di Piazza Fontana: 17 morti
1985 1986
1971
110 0 aprile A Londra si sciolgono i Beatles
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1972
7 febbraio 1995 1996
La Svizzera concede il diritto di voto alle donne
1 18 giugno
1973
Usa, scoppia lo scandalo Watergate che porterà alle dimissioni di Nixon
Novella Calligaris primatista mondiale degli 800 stile libero
1975
1974
2005 2006
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9 settembre
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15 gennaio Negli Usa debutta sulla rete ABC la serie Happy Days
3 aprile Bill Gates crea la Microsoft Corporation
1966− 1976 Come eravamo
La Fiat, l'austerity e l'autunno caldo Storie di rivendicazioni sindacali che cambiano il volto dell'Italia e incidono sul suo tessuto sociale. Mentre il mondo è alle prese con lo shock petrolifero e il '900 è stato “Il secolo breve”, il decennio che si apre nel '66 e si chiude a fine '75 va ricordato come uno dei più “lunghi”. Tanti, troppi gli avvenimenti che hanno condizionato non solo quel periodo, ma anche gli anni a venire. Tra questi ce ne sono almeno due che toccano direttamente o indirettamente il mondo delle quattro ruote: l'autunno caldo del '69 e l'austerity del 1974-75. Esaminiamoli più da vicino.
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Il miraggio del benessere L'Italia del 1969 è uscita di slancio dal boom economico ed è attraversata in modo trasversale da profonde esigenze di cambiamento. Il maggio francese e il movimento del Sessantotto creano aspettative ideali di un mondo diverso. La società civile, che si è rimboccata le maniche per dimenticare al più presto la guerra, tira il fiato. Le rivendicazioni della classe operaia, lontanissima dall'andare in paradiso, si saldano con le richieste degli studenti e della piccola e media borghesia. Il clima si
surriscalda. Le prime avvisaglie dell'imminente stagione di lotte arrivano a inizio anno. A essere coinvolta è la più grande struttura industriale del Paese: la Fiat. Il contratto triennale dei metalmeccanici è scaduto. Lo scontro parte da una piccola vertenza, per il passaggio dalla seconda alla terza categoria. Inizialmente riguarda soltanto alcuni reparti. Poi, si allarga a macchia d'olio. Gli operai chiedono aumenti salariali, la riduzione dell'orario di lavoro a 40 ore settimanali, le ore di assemblea retribuite e la parità normativa con gli impiegati. La Casa torinese, che dal '66 è guidata da Gianni Agnelli, risponde con la cassa integrazione per 30 mila dipendenti, ma su pressione del governo (un monocolore Dc guidato da Mariano Rumor) ritira il provvedimento. La protesta, però, non si spe-
gne e assume contorni nuovi: scioperi selvaggi, a singhiozzo, agitazioni a macchia di leopardo. Ancora una volta la Fiat sceglie la linea dura e, in settembre, sospende migliaia di operai accusati di sabotaggio nella catena di produzione a Mirafiori. Anche questa decisione rientra. Ma ormai la miccia è accesa. La protesta si dilata. Viene occupata la Pirelli. A Valdagno, durante una manifestazione dei dipendenti della Marzotto, viene abbattuta la statua del fondatore. A quelle dei metalmeccanici si uniscono le rivendicazioni di altre categorie: pesa un clima economico in rapido peggioramento, con l'inflazione che aumenta e le aspettative di benessere diffuse che sembrano ormai un miraggio. In settembre si susseguono scioperi e blocchi della produzione alla Pirelli, con l'azienda che decide una serrata degli im-
Una manifestazione in piazza San Carlo a Torino. L'autunno caldo del '69 è un periodo controverso. Per alcuni rappresenta una pietra miliare dell'associazionismo e una spinta decisiva al cambiamento della società. Per altri, ha dato il via a un conflitto latente e mai sopito tra le parti sociali, favorendo con le sue derive incontrollate la nascita della triste stagione del terrorismo
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Come eravamo
Un corteo a Torino sotto le insegne dei tre sindacati dei metalmeccanici (Fiom, Film e Uilm). Si ritiene che circa 5 milioni di lavoratori siano stati coinvolti nelle agitazioni, sostenuti anche da studenti, impiegati e da una parte della borghesia
pianti. A fine ottobre i manifestanti assediano per cinque giorni la sede dell'Assolombarda. Il 13 novembre viene raggiunto un accordo tra la Pirelli e i sindacati: 11.900 lire di premio aziendale e la rivalutazione del cottimo (il lavoro incrementale). Tre giorni più tardi, nel corso della manifestazione nazionale di Milano per la casa, resta ucciso un giovane agente di polizia, Antonio Annarumma. Il 28 novembre, 100 mila metalmeccanici sfilano a Roma. L'atmosfera è tesissima (il 12 dicembre la strage di piazza Fontana, a Milano, farà ripiombare l'Italia nel caos). Si temono scontri. Ma tutto va per il verso giusto, anche perché le parti si stanno riavvicinando.
Verso l'intesa Del resto la Fiat di quegli anni è in piena trasformazione: proprio nel '69 incorpora la Lancia e assume il controllo della Ferrari. Finita l'era Valletta, l'avvocato Agnelli punta sulla diversificazione e su una struttura industriale al passo con i tempi, con l'apertura di nuovi impianti soprattutto al Sud. Inizia l'espansione in-
ternazionale con la fabbrica di Togliattigrad per produrre la versione russa della 124. Ma le agitazioni sindacali pesano oltre il previsto: gli scioperi negli stabilimenti torinesi si traducono in oltre 9 milioni di ore di lavoro perse e con una stima di mancata produzione di oltre 270 mila automobili. I conti ne risentono: a fine anno l'utile scende a 13 miliardi di lire da 34 del '68. Analizzando l'autunno caldo (espressione coniata dal leader del Psi, Francesco De Martino), Agnelli avrà modo di dire: «L'errore è stato l'uso improprio del boom che abbiamo fatto, indirizzando gli utili della prosperità verso la moltiplicazione dei beni di consumo e ignorando le neces-
Quelle domeniche a piedi
Il civismo di Quattroruote Un articolo diverso. Preveggente come al solito, ma con una veste grafica particolare. L'editoriale di Gianni Mazzocchi, direttore e fondatore di Quattroruote, sul numero di dicembre del 1973, s'intitola “Economia”. Riguarda l'austerity ed è accompagnato anche da due box di servizio. È più corto del solito, perché l'intera pagina di sinistra è occupata da una sorta di lettera aperta,
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a grandi caratteri. Nel testo si legge che «solo prendendo coscienza del problema (la crisi energetica, ndr) si potrà trovare il modo di utilizzare al massimo le fonti disponibili e cercarne di nuove». Nell'editoriale, Mazzocchi invita gli automobilisti «a dare prova di civismo, salvo (in corsivo nell'originale, ndr) domani far valere i nostri sacrosanti diritti». Tutto questo 42 anni fa.
sità pubbliche e le infrastrutture della società moderna». Il 21 dicembre, con la mediazione del ministro del Lavoro, Carlo Donat Cattin, viene raggiunto l'accordo, che verrà firmato formalmente l'8 gennaio del 1970. L'intesa prevede il riconoscimento dei diritti collettivi e individuali, la riduzione progressiva dell'orario di lavoro a 40 ore settimanali, un aumento di 13.500 lire al mese uguale per tutti, dieci ore di assemblee retribuite, il riconoscimento dei rappresentanti sindacali in azienda. È la base per la successiva legge 300 del '70, meglio nota come Statuto dei diritti dei lavoratori e considerata una pietra miliare del diritto giuslavoristico italiano.
Ancora foto di proteste. Negli anni 60 e 70, nonostante l'inasprirsi delle lotte sindacali, la Fiat ha prodotto molte vetture di successo: la 124 ('66), la 125 ('67), la 128 ('69, prima a trazione anteriore), la 127 ('71), la 126 ('73). In basso, un'immagine emblematica delle domeniche di austerity del 1973-74
La crisi energetica del 1973 Austerity. La parola è inglese, lingua con cui gli italiani non avevano gran dimestichezza. Ma già alla fine del '73 si preferisce usarla al posto del corrispettivo italiano: austerità. Forse perché gli effetti pratici ricordano troppo, soprattutto ai meno giovani, un'altro termine: razionamento. Razionamento di energia, di libertà, di tempo libero. Questo, in fondo, significano le domeniche a piedi o in bicicletta (o a cavallo, come nella foto qui sotto) per decreto, la chiusura anticipata dei locali pubblici, cinema compresi, l'illuminazione stradale ridotta. La data d'inizio è domenica 2 di-
costano un occhio della testa e per chi fa cembre, la causa scatenante la guerra del il furbo violando i divieti vengono previste Kippur. Poche settimane prima, il 15 ottomulte severissime: fino a 1 milione di lire bre, i Paesi dell'Opec annunciano l'embardell'epoca. Nell'aprile del '74, la situazione go contro Stati Uniti ed Europa per il sosi avvia verso la normastegno dato a Israele lità, prima con la circoIl 2 dicembre 1973 inizia nel conflitto con l'Egitto. Il prezzo del greggio l'austerity, con il divieto assoluto lazione a targhe alterne e poi con il ritiro di circolazione dei mezzi privati schizza alle stelle: da 3 a 12 dollari il barile. Uno nei giorni festivi. Gli automobilisti delle disposizioni limitative (giugno '74). Viche vengono multati per aver shock petrolifero che sta oggi, l'austerity utilizzato la macchina sono 971 colpisce gli abitanti di sembra quasi una cosa mezzo mondo. In Italia, folcloristica, ma in realtà segnò la prima il governo impone misure restrittive con presa di coscienza collettiva della necesl'obiettivo di limitare i consumi di energia. sità di ridurre gli sprechi e di puntare a Anche quello che in Rai diventerà il Tg1 forme alternative di energia. viene anticipato di mezz'ora. I carburanti F.D.R.
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1966 − 1976 Mondo Quattroruote
Shock petrolifero, tutti a piedi. Ma la colpa è anche del fisco In dieci anni il prezzo della benzina triplica. Soprattutto a causa della guerra del Kippur, certo. Però il governo, con l'Iva e l'aumento delle accise, ci mette del suo... Quello compreso tra il 1966 e il 1975 è il decennio della benzina, la decade in cui esplode la crisi petrolifera e gli italiani sperimenteranno l’austerity, le targhe alterne e le domeniche a piedi o in calesse. È il decennio in cui, complice la guerra del Kippur, il conflitto dell’ottobre 1973 tra Israele e una coalizione siriano-egiziana, il prezzo del petrolio s'impenna. Nel 1966 un litro di super costa, in media, 130 lire. Il prezzo resta stabile per qualche anno, ma nel 1969 inizia progressivamente a salire. Dapprima piano, poi bruscamente. Tra il 1973 e il 1974, in seguito anche all’introduzione dell’Iva, aumenta di quasi 100 lire, passando nel giro di pochi mesi da 170 a 269, il 58% in più. La corsa rallenta, ma non si ferma, l’anno successivo, quando, per la prima volta,
si sfonda il muro psicologico delle 300 lire, che diventano 400 alla fine del 1975. Una corsa che mette in crisi l’euforia automobilistica degli italiani. Quattroruote inizia a parlare di risparmio di carburante e di guida virtuosa già nel 1966. Due anni dopo realizza un’inchiesta sull’alimentazione a metano, all’epoca una cosa rivoluzionaria. Poi si scaglia contro le accise, lo strumento che il governo di turno utilizza, fin dalla guerra d’Etiopia del 1935-36, per finanziare spese o coprire buchi di bilancio. Nel decennio capita due volte: a fine 1966, subito dopo l'alluvione di Firenze; e nel 1968 per finanziare la ricostruzione post-terremoto del Belice. La dipendenza energetica dagli umori degli sceicchi spinge la nostra rivista a focalizzarsi sulle prospettive del greggio. Il
culmine si raggiunge nel biennio 1974-75. Non passa mese in cui non si parli di carburanti, di risparmio, di fonti alternative. Si smascherano dispositivi inutili, a dispetto dei risparmi mirabolanti che promettono, e si denunciano gli effetti controproducenti dell’austerity. Il decennio si chiude, a novembre 1975, con una denuncia che pare scritta oggi: «Fisco più esoso degli sceicchi».
Sono gli anni in cui si può scegliere tra la normale e la super, con un numero di ottani superiore e un po’ più cara. Il gasolio, anche alla fine del “nostro” secondo decennio, continua ad avere un peso marginale
Mario Rossi
Il 1966 s'inizia con le colonnine dei distributori di benzina che indicano per la super 130 lire al litro. Tra il 1973 e il 1974 si sfonda quota 200, e nel 1975 si arriva a 400. Risultato: la riduzione dei consumi diventa prioritaria tanto per gli automobilisti quanto per le Case
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Mondo Quattroruote
Lotta senza quartiere contro il bollo È una tassa concepita in modo assurdo. Allora il nostro giornale chiede di sostituirla con un'addizionale sulla benzina: una proposta ancora attuale La battaglia per l’abolizione del bollo è una di quelle che hanno fatto la storia di Quattroruote. Una battaglia che purtroppo, di fronte all’indistruttibile monolite fiscale, non abbiamo vinto. Con «Bolli allo spiedo» (gennaio 1967), Gianni Mazzocchi denuncia l'assurdità di un meccanismo di calcolo della tassa basato sui cavalli fiscali, un'invenzione del 1927, ispirata alle caratteristiche di una vettura del 1912, la Fiat Zero, che tiene conto del numero di cilindri e della cilindrata unitaria. È l'inizio dell'attacco. A febbraio è «Processo ai bolli». Nel 1968 parte la campagna per la loro abolizione, stimolata anche dalle chilometriche code agli sportelli dell'Aci, esattore dell'odiatissimo balzello per conto dello Stato. Nel giro di un anno sono ben tre le inchiesteappelli contro l’allora tassa di circolazione. Gianni Mazzocchi,
consapevole che il fisco non può rinunciare al tesoretto che gli garantiscono gli automobilisti, dapprima propone di passare a un meccanismo di calcolo più giusto e semplice, basato sulla cilindrata. Poi diventa tranchant: sostituire il bollo con un’addizionale sulla benzina. Una soluzione che cancellerebbe l’evasione e le code agli sportelli,
consentirebbe agli automobilisti di risparmiare tempo e fastidi e farebbe guadagnare persino lo Stato, tagliando fuori l’Automobil club dalla riscossione. Una proposta ancor oggi attuale, ma che non è stata mai realizzata. Nei decenni successivi, al contrario, arriverà anche il famigerato superbollo, prima sul diesel e poi sulle auto “potenti”. M.R.
Fummo i precursori
Dopo la 4R, assicurazione obbligatoria Se c'è un fil rouge che ha caratterizzato i nostri primi sessant'anni è quello della prevenzione e della sicurezza: dal punto di vista tecnico e alla guida. «Quattroruote vi dimostrerà che si fa presto in automobile anche e soprattutto se si circola con prudenza, che la conoscenza delle regole di circolazione è più importante del buon uso del cambio, che la velocità
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massima e di punta non influisce molto sulla velocità media di viaggio», scrisse Gianni Mazzocchi nell'editoriale del primo numero. In questa dichiarazione c'era, in nuce, quella cultura della sicurezza che è nel nostro Dna e che ha sempre caratterizzato ogni nostra iniziativa, inchiesta, articolo. E che ha portato – fu una delle prime proposte di Mazzocchi –
a chiedere al legislatore di rendere obbligatoria la copertura assicurativa sulle auto. Il passo iniziale in questa direzione fu l'accordo con una primaria, all'epoca, compagnia assicuratrice per “costruire” una polizza (con franchigia) su misura dei lettori di Quattroruote, la celeberrima 4R. L'obbligo dell'Rc auto diventò legge nel 1969 ed entrò in vigore nel 1970.
Nato nel 1953 come tassa di circolazione, il bollo prevede che il tagliando/ricevuta di pagamento sia esposto sul parabrezza. Diventerà tassa di possesso solo negli anni 80
Mondo Quattroruote
Sotto il vestito scopri com'è fatta Il primo nostro “spaccato” a colori su doppia pagina risale al 1965. E rappresenta l'inizio di una vera epopea «Voi – prima di comprare un'automobile – saprete veramente tutto sulla vettura che sarà vostra». È, questo, uno degli impegni che il nostro fondatore, Gianni Mazzocchi, prese con i lettori nel suo primo editoriale, nel febbraio del 1956. Impegno che non sarà mai tradito in sessant'anni e che sarebbe stato declinato in tutte le maniere possibili e immaginabili. Da questo punto di vista, il secondo decennio di Quattroruote è caratterizzato (anche) dai celebri “spaccati”, vere e proprie radiografie delle
macchine in prova. In realtà, il primo disegno – ancora in bianco e nero – che permise ai lettori di vedere e capire, al di là delle parole dei nostri giornalisti e ingegneri, che cosa vi fosse sotto la carrozzeria della macchina risale al maggio 1964, a firma di Franco Rosso. Per la cronaca, si trattava di una Fiat 850. Poco più di un anno dopo, nel maggio 1965, spuntò tra le pagine della rivista il primo “spaccato” a colori su doppia pagina, quello di una Fiat 850 Coupé. La firma di Bruno Betti comparve il mese successivo
sotto una Cadillac Fleetwood Sixty Special Sedan. Fu l'inizio di un'epopea che rese gli “spaccati” di Quattroruote celebri quasi come le copertine della Domenica del Corriere di Achille Beltrame e Walter Molino. Con un colpo d'occhio capivi i segreti meccanici di ogni vettura, dal motore alle sospensioni, dallo sterzo alla trasmissione. E, soprattutto, potevi confrontarle tra loro, comparando le soluzioni tecniche e le peculiarità meccaniche di ciascuna. «Saprete tutto», appunto.
In queste immagini, alcuni spaccati di Betti: sopra, la Land Rover Range Rover, del 1970. Sotto la Fiat X1/9 del 1972 e, in basso, l'Alfa Romeo Montreal, presentata nel 1967 e in vendita dal 1970
M.R.
Grazie ai disegni delle principali parti meccaniche, le auto non avevano segreti per i lettori di Quattroruote
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1966− 1976 Classe '56 Aosta, 30 maggio
Il “Pierino nazionale” stavolta evita qualsiasi iperbole. «Non sono mai stato veramente appassionato di auto, semplicemente perché non ho avuto un padre, cioè quella figura maschile che spesso porta la macchina in casa e la fa amare ai propri figli». Sarà, ma in questa intervista, oltre a parlare dei suoi ricordi di adolescente, passa in rassegna le auto che ha guidato. E lo fa, come al solito, in modo anticonvenzionale ed esilarante. Fino ad arrivare alla macchina del futuro. «Ne vorrei una che si tiene in tasca: la metti nella giacca, la apri, ti ci siedi sopra, viaggi. Poi la richiudi e te la porti a casa» 60°
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Classe '56 Piero Chiambretti
Figlio di una ragazza madre, cresce e studia a Torino e poi al Dams di Bologna. È Impossibile, in queste poche righe, tracciare la biografia accurata di una personalità dello spettacolo tanto poliedrica. Basta ricordarne gli esordi in Rai (dove entra vincendo un concorso), il festival di Sanremo del 1997 o i programmi passati alla storia della tv come Markette, e Chiambretti Night
metà degli anni 70 ho comprato a rate una Citroën Dyane, che era l'auto del momento. Dentro quella macchina, visto poi che non la tenevo benissimo, a causa dell’umidità e dei cartoni che avevo nel baule per scaldare il cane lupo, sono nati dei funghi velenosi. Lo giuro. Io non so come questo potesse avvenire, ma nella mia auto c’era un profumo meraviglioso di funghi. E dei funghi vegetali enormi, alti almeno 10 centimetri, sono fioriti proprio nel baule della Dyane». Dissacrante. Paradossale. Geniale. Definitelo come volete, ma Chiambretti Piero, classe '56, torinese e granata da (quasi) sempre, non si smentisce mai. Neanche quando parla di automobili e dei suoi ricordi di quel tormentato decennio che va dal 1966 al 1976.
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Ma come, lei che è il testimonial per eccellenza della Fiat Panda ha avuto come macchina d'esordio una Citroën? No. La mia prima macchina è arrivata a 18 anni. Era la vecchia Fiat 500 di mio
nonno, targata Torino 99. Quando la mettevo in moto la marmitta scatarrava 7-8 botti di fucile, dando la sensazione di un colpo di Stato. Dopo la Dyane sono passato alla Y10 e già mi sembrava di essere un signore che poteva vantare auto di altissimo livello. Sognavo le spider inglesi, Triumph e MG, ma non avevo i soldi per comprarle. Diventato un po' più adulto, ma sempre senza sostanze, mi affezionai a quella che chiamavo “il carro funebre dei nani”, una Mini Traveller con le modanature di legno. Erano auto piccolissime, su cui oggi farebbe impressione salire, ma che all'epoca ospitavano gente con la famiglia e la famiglia della famiglia. Poi ho avuto due o tre Mazda Miata e quando mi sono stufato ho detto: sono da solo e quindi mi faccio la station wagon, prima Volvo e poi Mercedes. Ma alla fine sono tornato alla Fiat, non solo come testimonial, ma perché ora realizzano macchine competitive: una 500 color granata, l'unica in Italia, non potevo farmela mancare. Ce l'ho ancora, da dieci anni, e non la lascerò mai.
Ora allarghiamo l'orizzonte dei ricordi, anche al di fuori del prodotto-auto, partendo dal '66. A quel tempo aveva dieci anni: conserva ancora qualche immagine nella mente? Sì, quelle dell'alluvione di Firenze e dei “ragazzi del fango”, come venivano chiamati, eserciti di volontari che partivano per aiutare le popolazioni colpite dalla tragedia. Ricordo le foto: sculture di fango sotto forma di ragazzi. Passiamo al 1967... Ho fissa nella mente la data della morte di Gigi Meroni. Io fino ad allora tenevo timidamente per l'Inter, perché vinceva. Oltre al fatto che giocavo a pallone ed ero soprannominato Luisito Suarez, giocatore piccolino, ma di grande qualità. Quel giorno pioveva, era una domenica di ottobre, il Toro aveva vinto contro la Samp, ma in città si era sparsa la voce che Meroni avesse firmato per la Juve. La stessa sera a 50 metri da dove abitavo (e a 100 da dove sto ora), moriva la “farfalla granata”. Arrivai in corso Re Umberto: faceva un freddo
Un'immagine di archivio della Citroën Dyane, prodotta dal 1967 al 1984 in quasi 1 milione e mezzo di esemplari. Spartana ed essenziale, è stata assieme alla 2CV un sinonimo di libertà per intere generazioni di giovani. A destra, Chiambretti accanto alla sua 500 color granata, con il simbolo del Torino calcio e lo scudetto 1975-76
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La versione familiare della Mini, lanciata nel '60 (restyling nel '67), era disponibile nella versione Austin (denominata Seven Countryman) e Morris (Mini Minor Traveller). A sinistra, una fotografia “agreste” della Fiat 500
cane, quei freddi che non esistono più, quelle nebbie che non esistono più, quelle tragedie che purtroppo continuano. In quel momento diventai tifoso del Torino. Il giorno dopo andai all'ospedale Mauriziano a dare l'ultimo saluto al calciatore: ma nella confusione vegliai un altro, perché Meroni lo avevano già portato via. Il 1968 è stato un anno chiave per intere generazioni di giovani. E per un dodicenne? I ricordi di allora sono vaghi e li ricollego al periodo successivo, quello del liceo
artistico, alla scoperta del movimento studentesco, alle prime manifestazioni che servivano più che altro a tagliare la corda da scuola. Ma c'era comunque il desiderio, non certo strumentale, di cambiare le cose, di alzare la testa. Del '68 ricordo poi le immagini televisive sgranate dell'as-
sassinio di Martin Luther King e di quello di Robert Kennedy. L'America non era vicina come ora e si aveva la sensazione che da noi cose così non sarebbero mai successe: poi però sono arrivate anche in Europa e in Italia le sciagure legate alla politica, alle lotte di classe e di religione.
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Classe '56 Piero Chiambretti
Gli esordi
Ha iniziato grazie a un macellaio Nel '67 i Beatles pubblicano “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band”, un album «che non mi piaceva», spiega Chiambretti, «ma ero affascinato dalla copertina, rimanevo delle mezz'ore a guardarla. Da quella foto imparai a mischiare le carte usando il colore come forma espressiva e comunicativa». Anni più tardi, siamo nel '75,
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nascono le radio libere e parte il boom delle discoteche (a Torino la più famosa è il Voom Voom, poi Pick Up). Chiambretti inizia come dj, «grazie a un amico macellaio» che lo segnala per un provino in un locale (il Ritual). «Mi sono detto: se un macellaio, con tutto il rispetto, riesce a fare il disc jockey, allora posso farlo
anche io». Da lì alla modulazione di frequenza il passo è breve. «Vengo chiamato a Radio Torino Centrale, una radio dei preti, dove inizia la mia avventura verso emittenti più note e poi fino alla televisione. Con un percorso fatto di sperimentazione che mi porterà a essere quello che sono diventato».
Luigi “Gigi” Meroni, estroso attaccante del Torino e della Nazionale, muore nella notte del 15 ottobre 1967 investito da una Fiat 124 Coupé e poi travolto da una Lancia Appia. Alla guida della Fiat c'è Attilio “Tilli” Romero, che nel 2000 diventerà presidente del Toro
Nel 1969 c'è lo sbarco dell'uomo sulla Luna. Ero in colonia, a Nervi. Già fuori quota perché ero uno dei pochi a cui piaceva andare ogni estate. Era molto chic. Ho visto le immagini con le maestre, mentre i bimbi più piccoli dormivano. Sempre nello stesso anno le cronache registrano l'autunno caldo della contestazione sindacale. E Torino ne è stato l'epicentro. Una stagione molto delicata, che porterà alla marcia dei 40 mila, ma anche alle Brigate rosse. Ricordo la fatica e il grigiore. Oggi Torino è una città splendente, ma allora l'aria era molto pesante. La città viveva intorno alla Fiat che, oltre a fare il bello e il cattivo tempo, era anche al centro di una contestazione che condizionava tutti, anche chi non ci lavorava. Iniziano gli anni 70. Che ricordi ha? Intanto i Mondiali di calcio. La finale Italia-Brasile l'ho vista a casa di mio nonno, in un monolocale di periferia a Ni-
chelino, un posto che non era certo Rio nei giorni del Carnevale. Però era divertente lo stesso perché i muri erano così sottili che sentivi l'eco degli altri televisori. Mi stupiva questo rumore a catena che anticipava l'inquinamento acustico degli anni a venire. E poi la semifinale Italia-Germania. Ma i miei sono ricordi ovattati. Non c'erano il web, i telefonini. Solo poche tv. Non tutto quello che succedeva diventava tema di discussione, come è adesso sui social. Oggi siamo meno colti e più informati. Altri flashback? Beh, ricordo in ordine sparso il film “Il Padrino”. Lo andai a vedere con mia madre al cinema Corso. Era un posto meraviglioso: marmi, scaloni da mille e una notte. Oggi è una banca. Poi mi viene in mente la fine della guerra in Vietnam, con gli Usa vittime del loro stesso imperialismo. Ma certo è che l'austerity del '73 fu clamorosa: lo stop delle auto di domenica, le targhe alterne. Mi pare poi che una volta, con la neve, circolas-
sero solo camion dell'esercito che ci caricavano e facevano il servizio-navetta. Fu qualcosa di sublime perché vedere le città vuote, liberate dalle carcasse di lamiera delle auto, ci faceva più belli tutti. C'erano poi le compagnie da bar, sul modello delle gang americane. Ci si scontrava in terreno neutro. Io sceglievo sempre i più simpatici, che sono anche i più fragili, rischiando così di prendere schiaffi. E poi le stragi, l'Italicus, piazza della Loggia a Brescia, o il massacro del Circeo: segnano la perdita di quella leggerezza che aveva contraddistinto la nostra giovinezza. Nel '75 lei diventa maggiorenne e vota. Sì. Che emozione entrare in cabina elettorale e prendere in mano la matita. Forse scelsi i repubblicani e poi i monarchici: l'enfasi per il re e per l'avvocato Agnelli, il nuovo re d'Italia, ci dava l'idea che quei voti fossero un disegno quasi divino per noi giovani e inesperti torinesi. Presi anche la patente. Per dimenticare una ragazza. Fabio De Rossi
Il leader del Pci, Enrico Berlinguer, improvvisa un comizio davanti ai cancelli di Mirafiori. È il settembre del 1980, un nuovo autunno caldo per la Fiat, che annuncia 18 mesi di cassa integrazione per 24 mila dipendenti. Gli operai sono in sciopero e picchettano le fabbriche. Ma decine di migliaia di quadri intermedi scendono in corteo a Torino: è la marcia dei 40 mila che ricorda Chiambretti
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1966 − 1976 L'icona del decennio
È nato già da molti anni, ma il suo vero successo arriva adesso. Sfonda persino Oltreoceano, dove convince un pubblico abituato ad automobili ben più grandi e potenti
Di base, la carrozzeria del Maggiolino rimane immutata attraverso i decenni. È solo negli anni 60, però, che la vettura tedesca riesce a toccare elevati volumi di produzione ed esportazione su tutti i mercati
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L'icona del decennio Volkswagen Maggiolino
Nonostante un prezzo non propriamente popolare, il Maggiolone Cabriolet regalò grandi soddisfazioni commerciali alla Casa. D'altra parte, per lungo tempo è stata una delle poche scoperte con quattro posti
egli anni 60, il Maggiolino è Volkswagen do Brasil e il '55 la nascita deltutto fuorché una novità. È la Volkswagen of America, mentre il '64 in giro da molti anni, così tiene a battesimo quella della Volkswagen tanti da poter ormai parlade Mexico. E pure il secondo decennio re di decenni, e il tempo, ancora una volta, della storia di Quattroruote si apre con dimostra di essere il una novità importante, Nel corso della sua lunga vita, galantuomo di sempre: perché proprio nel il Maggiolino non ha mai a metà degli anni 60, 1966 viene inaugurato subito cambiamenti radicali. infatti, l’Auto del popouno stabilimento anÈ stato sempre oggetto, però, lo s’è definitivamente che in Sud Africa. Ord'incessanti aggiornamenti: scrollata di dosso il suo mai il Maggiolino si avin mezzo secolo, si parla passato più ingomvia a doppiare i 10 midi quasi 78 mila modifiche brante, quello delle lioni di esemplari prosvastiche, delle sfilate militari, dei bagni di dotti, traguardo che viene raggiunto apfolla del Führer. I ricordi legati alle origini pena un anno dopo, nel 1967. E, per avere sono sempre meno prorompenti, messi idea di quanto la crescita della produzioin secondo piano da una cronaca fitta di ne sia esponenziale, basti dire che il milioepisodi importanti: il '53 segna l’inizio delnesimo Maggiolino, un esemplare color la produzione brasiliana con la filiale oro metallizzato con sedili di broccato e
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abbellimenti in perline di vetro sulle cromature, era stato festeggiato appena una dozzina di anni prima, nel 1955.
Boom negli States A metà degli anni 60, la più famosa delle Volkswagen è davvero un'auto per tutti, con un'affidabilità che la rende adatta a ogni genere di situazione, ed è proprio in questi stessi anni che le vendite cominciano a ingranare anche negli Stati Uniti. Il Käfer aveva attraversato l'Oceano per la prima volta verso la fine degli anni 40, per iniziativa dell'importatore Ben Pon (noto anche per essere il padre del Transporter), ma per molto tempo la sua diffusione era rimasta su livelli insoddisfacenti, come testimoniano i due soli esemplari esportati, a scopo dimostrativo, nel primo anno. Pian piano le cose migliorano e già nel 1959, negli States, si vendono più di 120 mila Maggiolino. Merito dell'ampliamento della rete commerciale (dalla quale vengono cancellate le concessionarie che trattano altre marche oltre alla Volkswagen), alla quale si
Siamo sul finire degli anni 60, e una distesa di Maggiolino è pronta per raggiungere gli Stati Uniti con il cargo norvegese Dyvi Oceanic, che poteva contenere 1.850 vetture e 800 Combi
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Una foto simbolica: il 17 febbraio 1972, con la costruzione dell'esemplare numero 15.007.034, il Maggiolino diventa l'auto più venduta di tutti i tempi, superando la Ford T
somma la disponibilità dei ricambi e l'efficienza del servizio. Ce n'è abbastanza per impensierire colossi come la GM, la Ford e la Chrysler, che si sentono in dovere d'introdurre vetture più compatte proprio per tentare di contrastare il successo di questa strana europea. La quale, per non perdere il suo primato, viene messa nelle mani di un'agenzia pubblicitaria, la Doyle Dane
Bernbach, che crea una delle campagne più anticonformiste e riuscite degli anni 60. “Think small” si rivela un claim perfetto per una pubblicità che punta sull'originalità e sulle dimensioni contenute della vettura, soprattutto a confronto con quel gigantismo che è da sempre uno dei connotati più peculiari del motorismo made in Usa. Per alcuni anni, il Maggiolino rimane saldamente in cima
alle classifiche di vendita tra le auto d'importazione, ma soprattutto si trasforma in un vero e proprio fenomeno di costume, legandosi inscindibilmente alla cultura hippy. Risultato pratico: nel suo anno migliore, il 1968, il Beetle è venduto in oltre 400 mila esemplari, con tempi di attesa che arrivano fino a cinque mesi.
E poi arrivò il Maggiolone Questo è anche il decennio nel quale il Maggiolino subisce evoluzioni di un certo rilievo: nell'agosto del 1967, con il Model Year 68, i fari anteriori diventano tondi e verticali, i paraurti vengono resi più moderni e cambia anche il disegno della fanaleria posteriore, che da quel momento assume la caratteristica forma a “ferro da stiro”. È anche l'occasione per ammodernare l'impianto elettrico, che passa da 6 a 12 Volt, mentre rimangono invariati i motori, i classici boxer con cilindrata di 1.200, 1.300 e 1.500. Per trovare ulteriori novità, bisogna attendere il 1970, quando Quattroruote, nel fascicolo di settembre, titola «L'im-
Le campagne pubblicitarie del Maggiolino fanno ormai parte della storia del costume: gli aspetti più disparati e originali della vettura vengono messi in luce in maniera acuta e provocatoria
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L'icona del decennio Volkswagen Maggiolino
I film Walt Disney
Una star tutta matta Sul finire degli anni 60, il Maggiolino è protagonista di diverse pellicole della Walt Disney, nelle quali interpreta la parte di Herbie, un'auto da corsa pensante. Caratterizzata dal numero di gara 53, debutta in “Herbie, il Maggiolino tutto matto” del 1968, il cui successo diede inizio
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a una vera e propria serie. Le pellicole successive furono girate alcune a pochi anni di distanza, altre invece molto tempo dopo, tra la fine degli anni 90 e la metà dei Duemila, come “Herbie, il super Maggiolino” del 2005. Capace di guidare da sola, la più folle delle Volkswagen prende
parte a competizioni nelle quali l'inventiva è seconda soltanto alla simpatia. Il successo, a livello mondiale, è tale che molti proprietari di Maggiolino modificano la loro vettura per farla somigliare ad Herbie, a cominciare dall'adesivo tondo sul cofano che riporta il numero di gara.
Quest'auto è una specie “ di fenomeno, che ricorda quello di un'altra macchina di circa quarant'anni fa, e non meno famosa, l'americana Ford T „ Quattroruote - Febbraio 1961
mutabile è cambiata». Stavolta, il Maggiolino acquisisce un nuovo avantreno, che abbandona lo schema con barre di torsione a favore di una più moderna impostazione MacPherson. Inoltre, il muso diventa più importante, quanto basta per aumentare la capacità del bagagliaio (che raddoppia, o quasi, rispetto al passato), mentre i parafanghi sono resi più moderni e bombati. Da questo momento, il Maggiolino inizia a essere chiamato Maggiolone, anche se il suo nome scientifico è Modello 1302 (la 1.300 cm3) e 1302S (la 1600 cm3). Ulteriori modifiche arrivano due anni dopo, nel 1972, con il Maggiolone modello 1303, che si distingue soprattutto per il parabrezza curvo, per la nuova plancia imbottita e per la fanaleria posteriore, che cambia stile e diventa più ampia: per la sua forma cilindrica, gli appassionati la definiscono fin da subito “a zampa d'elefante”.
Via il tetto Il Maggiolone, esattamente come il modello che l'aveva preceduto, è la base
anche per la versione Cabriolet, che da sempre rappresenta una leggenda nella leggenda. Costruita negli stabilimenti della carrozzeria Karmann, a Osnabrück, la cabrio parte come un'esercitazione pensata più che altro per un pubblico ristretto: neppure i più ottimisti tra i dirigenti della Casa tedesca, infatti, si attendono un successo ampio e duraturo come quello che invece arride prima al Maggiolino e poi al Maggiolone. Un discorso che vale persino in Italia, Paese in quei decenni tradizionalmente poco incline alle “scoperte”. Basti dire che da noi, nel solo 1973, della Cabrio vengono immatricolati 4.100 esemplari, una cifra più che considerevole. Nel luglio del 1974, proprio l'anno in cui arriva la Golf, a Wolfsburg viene assemblato l'ultimo esemplare del Maggiolino, anche se la sua produzione si protrarrà in altri stabilimenti tedeschi fino al '78, per poi continuare in Messico, Brasile e Sud Africa. Dobbiamo però fermarci qui, perché il decennio 19661976, a quel punto, è già concluso. Alessio Viola
Il Maggiolino è perfetto in ogni circostanza, dal quotidiano percorso da casa all'ufficio a situazioni più spensierate e giocose, come un picnic con la famiglia
Il 15 settembre 1965 viene raggiunto il traguardo dei 10 milioni di esemplari. Dal 1965 al 1973, la produzione annua di veicoli VW supera il milione di unità (con l'eccezione del 1967: 925.787 esemplari)
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Le prove di Quattroruote
Volkswagen Maggiolino - gennaio '67
Storico protagonista delle nostre pagine È stato presente fin quasi dagli esordi dei test su strada del giornale. Qui vi presentiamo quello del 1500, noto anche come il Super Maggiolino a lunga carriera di questa Volkswagen l'ha resa protagonista, nelle pagine di Quattroruote, di numerose prove su strada. La prima risale quasi agli esordi della nostra rivista, al novembre del 1956, quando pubblicammo un test completo della 1200 con tetto apribile. A ottobre del 1959 segue una pietra miliare nella storia delle nostre prove su strada: per sedici giorni, due Maggiolino percorrono incessantemente l'Autosole da Milano a Bologna. Da poco tempo era stato aperto l'intero tratto dell'autostrada e, su un percorso così lungo, erano frequentissimi i casi di grippaggio o surriscaldamento dei motori. Il Maggiolino, invece, confermò sul campo la reputazione di vettura solida e affidabile.
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In queste pagine, vi riproponiamo invece la prima prova realizzata nel decennio 1966-1976, che compare sul fascicolo del gennaio 1967. La Volkswagen campeggia già in copertina, rossa in mezzo al candore della neve: lo scenario serve a trasmettere ai lettori il messaggio che, anche in condizioni così particolari, il Maggiolino è in grado di disimpegnarsi con disinvoltura grazie al motore montato posteriormente e raffreddato ad aria, caratteristica che mette al riparo dai possibili inconvenienti tipici del raffreddamento a liquido. All'interno della rivista, c'è la prova completa del Super Maggiolino, ovvero quello con il quattro cilindri boxer 1500, cilindrata inconsueta per una vettura con questa vocazione. Curiosità: all'epoca, era citato rigorosamente al femminile, la Maggiolino.
SCHEDA TECNICA MOTORE • Posteriore longitudinale, benzina • 4 cilindri orizzontali contrapposti • Alesaggio 83,0 mm - Corsa 69,0 mm • Cilindrata 1.493 cm3 • Potenza max 53 CV (Sae) a 4.200 giri/min • Coppia max 10,8 kgm a 2.600 giri/min
TRASMISSIONE
• Trazione posteriore • Cambio manuale a 4 marce • Pneumatici: 5,60-15
CORPO VETTURA
• Berlina 2 volumi, 2 porte, 5 posti
AUTOTELAIO
• Avantreno con bracci longitudinali, barra di torsione, barra stabilizzatrice • Retrotreno con bracci longitudinali, barra di torsione, barra stabilizzatrice • Ammortizzatori idraulici • Freni ant. a disco, post. a tamburo • Sterzo a vite e rullo • Serbatoio 40 litri DIMENSIONI E MASSA • Passo 240 cm • Carreggiata ant. 130 cm, post. 135 cm • Lungh. 407 cm - Largh. 154 cm Alt. 150 cm • Massa a vuoto 800 kg
Nella prova si lamenta la velocità massima scarsa, seppure coincidente con quella di crociera. Dal punto di vista del comportamento, si sottolinea invece l'attitudine sovrasterzante, che «richiede una certa assuefazione»
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Pur con aggiornamenti e variazioni, l'impostazione meccanica del Maggiolino è rimasta sempre fedele a se stessa, a cominciare dal motore: un quattro cilindri boxer raffreddato ad aria. Negli anni è variata la cilindrata, ma non l'affidabilità, sempre ai massimi livelli
VELOCITÀ massima (km/h)
123,778
FRENATA
metri
LA PAGELLA
da 100 km/h
69,6
POSTO GUIDA
CONSUMO
km/litro
RUMOROSITÀ
urbano
8,0/11,8
70
-
extraurbano
8,7/11,8
90
-
-
120
-
medio
ACCELERAZIONE 0-60 0-100 1 km da fermo
secondi
RIPRESA IN IV
dB(A)
COMANDI
Il Maggiolino è promosso con buoni voti: «bene
★★★★ i comandi fondamentali; migliorati i secondari». CLIMATIZZAZIONE Nel 1967, quest'aspetto della vettura non - era ancora oggetto di un giudizio specifico. VISIBILITÀ
secondi
30-60
11,5
21,1
30-80
19,6
40,6
30-100
31,4
6,3
All'epoca la definizione era «assetto di guida»
★★★★ e il giudizio è lapidario: «raccolto e comodo».
In materia, non ci sono novità di rilievo:
★★★ «invariata rispetto alla precedente versione». FINITURA
Già all'epoca le Volkswagen erano realizzate
★★★★ con cura: «buona in proporzione al prezzo». ACCESSORI
«Dotazione soddisfacente e migliorabile
★★★☆ con l'aggiunta di alcuni accessori a richiesta». ABITABILITÀ
Accessibilità migliorabile, ma «soddisfacente
★★★★ abitabilità per quattro persone». BAGAGLIAIO
Qui, invece, il Maggiolino potrebbe migliorare:
★★★ «trasporto bagagli limitato». CONFORT
Non ci si poteva proprio lamentare: «buono
★★★★ il molleggio e discreta la rumorosità». MOTORE
Il quattro cilindri boxer risultava convincente:
★★★★☆ «pronto ed elastico. Rumorosità contenuta». ACCELERAZIONE
Tutto bene: «migliorata grazie alla maggior
★★★★ cilindrata del motore e alla sua elasticità». RIPRESA
L'elasticità di cui sopra si riferisce alla ripresa,
★★★★ che formava un'unica voce con l'accelerazione. CAMBIO
Il giudizio punta su aspetti allora non scontati:
★★★★☆ «totalmente e ottimamente sincronizzato». STERZO
Il comando del Maggiolino viene descritto
★★★★ con poche parole: «leggero e pronto». FRENI
Avevano convinto i collaudatori: «efficienti
★★★★☆ e resistenti anche dopo un uso intenso». SU STRADA
«Comportamento in curva sovrasterzante. Buona
★★★★ tenuta in rettilineo. Sterzo forse troppo diretto». CONSUMO
Risultati omogenei, a giudicare dal commento:
★★★★ «contenuto nelle varie condizioni di impiego». PREZZO
All'epoca non era previsto un voto nella pagella, - ma tra i pregi si legge «prezzo interessante».
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Le copertine di Quattroruote
1966 Marzo
58
123 1966 Aprile
124 1966 Maggio
125 1966 Giugno
126 1966 Luglio
127 1966 Agosto
128
1966 Settembre
129 1966 Ottobre
130 1966 Novembre
131 1966 Dicembre
132 1967 Gennaio
133 1967 Febbraio
134 1967 Marzo
135 1967 Aprile
136
1967 Maggio
137 1967 Giugno
138 1967 Luglio
139 1967 Agosto
140 1967 Settembre
141 1967 Ottobre
142 1967 Novembre
143 1967 Dicembre
144
1968 Gennaio
145 1968 Febbraio
146 1968 Marzo
147 1968 Aprile
148 1968 Maggio
149 1968 Giugno
150 1968 Luglio
151 1968 Agosto
152
1968 Settembre
153 1968 Ottobre
154 1968 Novembre
155 1968 Dicembre
156 1969 Gennaio
157 1969 Febbraio
158 1969 Marzo
159 1969 Aprile
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1969 Maggio
161 1969 Giugno
162 1969 Luglio
163 1969 Agosto
164 1969 Settembre
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167 1969 Dicembre
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1970 Gennaio
169 1970 Febbraio
170 1970 Marzo
171 1970 Aprile
172 1970 Maggio
173 1970 Giugno
174 1970 Luglio
175 1970 Agosto
176
1970 Settembre
177 1970 Ottobre
178 1970 Novembre
179 1970 Dicembre
180 1971 Gennaio
181 1971 Febbraio
182 1971 Marzo
183 1971 Aprile
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1966− 1976
1971 Maggio
185 1971 Giugno
186 1971 Luglio
187 1971 Agosto
188 1971 Settembre
189 1971 Ottobre
190 1971 Novembre
191 1971 Dicembre
192
1972 Gennaio
193 1972 Febbraio
194 1972 Marzo
195 1972 Aprile
196 1972 Maggio
197 1972 Giugno
198 1972 Luglio
199 1972 Agosto
200
1972 Settembre
201 1972 Ottobre
202 1972 Novembre
203 1972 Dicembre
204 1973 Gennaio
205 1973 Febbraio
206 1973 Marzo
207 1973 Aprile
208
1973 Maggio
209 1973 Giugno
210 1973 Luglio
211 1973 Agosto
212 1973 Settembre
213 1973 Ottobre
214 1973 Novembre
215 1973 Dicembre
216
1974 Gennaio
217 1974 Febbraio
218 1974 Marzo
219 1974 Aprile
220 1974 Maggio
221 1974 Giugno
222 1974 Luglio
223 1974 Agosto
224
1974 Settembre
225 1974 Ottobre
226 1974 Novembre
227 1974 Dicembre
228 1975 Gennaio
229 1975 Febbraio
230 1975 Marzo
231 1975 Aprile
232
1975 Maggio
233 1975 Giugno
234 1975 Luglio
235 1975 Agosto
236 1975 Settembre
237 1975 Ottobre
238 1975 Novembre
239 1975 Dicembre
240
Quando mi sono stufato delle auto “piccole mi sono detto: sono da solo, quindi mi faccio una station wagon...„ 1976 Gennaio
241 1976 Febbraio
242
Piero Chiambretti - Showman
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ARRIVA LA VW GOLF ED È DIESELMANIA
1976−1986
Dieci anni nel mondo 1956
1976
6 maggio Terremoto nel Friuli: 965 morti e 3.000 feriti
6 1 febbraio
1977
Incominciano le trasmissioni a colori della Rai
1965 1966
7
1978
9 maggio
8
Roma, via Caetani: viene trovato il corpo di Aldo Moro, rapito il 16 marzo ra
16 ottobre Il cardinale polacco Karol Wojtyla eletto papa Giovanni Paolo II
1979
1975
1976
4 maggio
1980
Margareth Thatcher diviene primo ministro del Regno Unito
27 giugno Un DC9 dell’Itavia scompare nelle acque di Ustica: 81 morti
1985 1986
1981
23 novembre Terremoto in Irpinia: 3.000 morti e 9.000 feriti
29 luglio
1982
1995 1996
1983
11 luglio L'Italia vince per la terza volta i Mondiali di calcio: a Madrid sconfigge la Germania per 3 a 1
23 marzo Il presidente Reagan annuncia l'avvio della SDI nota come "scudo spaziale"
1985
1984
2005 2006
2015
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A Londra si sposano Lady Diana e Carlo d’Inghilterra
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3 dicembre A Bhopal (India) una fuga di isocianato di metile provoca oltre 8.000 morti e 5500 mila intossicati
11 marzo Urss, Mikhail Gorbaciov diviene segretario del Pcus
1976− 1986 Come eravamo
E l'auto a gasolio diventò veloce Spinti dall'evoluzione tecnica, sostenuti dal continuo rialzo del prezzo dei combustibili, i motori diesel si affacciano alla ribalta. Per restarci ochi uomini hanno contribuito allo sviluppo dei motori quanto sir Harry Ricardo. Il cui genio, già nel lontano 1935, aveva intuito la soluzione capace di cambiare il volto dei propulsori a gasolio: la precamera di combustione, poi passata alla storia motoristica accompagnata (anche) dal suo illustre cognome. Scompare nel 1974, sir Harry. Sicché, destino che l'accomuna a molti grandi, non fa in tempo a godersi i trionfi di un'idea destinata, di lì a poco, a farsi largo dentro i cofani delle automobili.
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Presenza marginale Certo, i diesel esistevano anche prima, ma non erano mai riusciti ad affrancarsi da un ruolo marginale, che si trattasse degli indistruttibili Mercedes, appannaggio quasi esclusivo del noleggio di rimessa, antesignano degli odierni Ncc, o del glorioso 2.100 dell’Opel Rekord, fedele compagno di tanti commessi viaggiatori in trasferimenti lunghi quanto lenti. E da qualche tempo c’era
pure chi (la Peugeot) s’era già lanciato sulla via del downsizing, con il diesel 1.300 della 204.
Rivoluzione a Wolfsburg La vera svolta, però, comincia con la prima generazione della Golf: a quelli di Wolfsburg viene la bell’idea di far nascere un motore a gasolio sullo stesso basamento del fratello a benzina, primo esempio di una modularità motoristica destinata a proliferare sino ai tempi nostri, che ormai vedono le due alimentazioni vivere su propulsori quasi gemelli, con il 50% e passa dei componenti comuni. Nasce così, anno di grazia 1976, il motore destinato a passare alla cronaca come il primo diesel veloce, forte di
50 cavalli: quanto basta per spingere la neonata compatta Volkswagen oltre la soglia dei 140 orari. Poche stagioni e, complici gli effetti devastanti sul prezzo dei carburanti delle ripetute crisi petrolifere, il decollo è verticale, tanto che, pur di correre ai ripari, c’è chi s’inventa accoppiate improbabili. Tipo quella che porta un vetusto motore Perkins già in forza ai suoi veicoli commerciali (sì, ai tempi l’Alfa Romeo di proprietà pubblica non si nega neppure quelli) dentro il cofano della
Basamento di ghisa, testa di lega leggera, alimentazione a iniezione indiretta, sovralimentazione con turbocompressore Garrett con pressione massima di 1,7 bar: queste le credenziali del 1.600 turbodiesel Volkswagen, al debutto nel 1982 sulla Golf GTD. È universalmente considerato il capostipite dei motori a gasolio brillanti
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Come eravamo
Fra le antesignane del diesel, da sinistra, la Mercedes Serie W 123 (1976), con i classici aspirati a quattro e cinque cilindri, e la Peugeot 505. Sotto, l'Alfetta, prima vettura del Biscione ad adottare il turbodiesel due litri VM
no all’Alfa Romeo nella lista dei clienti dell’emiliana VM, pronta a convertirsi ai diesel veloci dalla produzione di motori marini e industriali. E neppure una coupé come la Renault Fuego si nega al motore a gasolio. Quanto alla Fiat, non ci mette molto nel trasferire all’imperante tecnologia la sua tradizione di specialista nei propulsori di piccola taglia: sulla 127 prima e sulla Uno poi, fa la sua apparizione il 1.300 denominato Brasile (in quanto Giulia. Ma ormai gli argini sono rotti, e progettato al di là dell’Atlantico), destil'impatto è travolgente pure su un mernato a fregiarsi a lungo del titolo di diesel cato italiano che sin lì associava l’idea del più piccolo del mondo. diesel all’ansimante Fiat 1400 dell’ormai La consacrazione arriva con una silontano 1953. Dall’insignificante 2,1% del gla, GTD, capace di da'74 (26.700 unità, in Le vendite si moltiplicano re un definitivo colpo valore assoluto), la nel giro di pochi anni. di spugna all’idea di quota delle vetture a E la dieselmania non risparmia lentezza tradizionalgasolio s’impenna, sinessuno, che si tratti mente associata ai no a sfiorare il 20% delle marche di lusso motori a gasolio. A delle vendite soltanto o delle versioni sportive portarla al debutto è otto anni dopo. Di fatancora una volta la Golf, nel frattempo to, una moltiplicazione per dodici. Il fegiunta alla seconda generazione. Magari nomeno attraversa il mercato da un caalla distanza si sarebbe rivelato piuttosto po all’altro, senza esclusione alcuna: fragile, ma il suo 1.600 turbo è innegamarche nobili come la Rover si affianca-
Il fenomeno GTD
Brillante ed economica Abito sportivo analogo a quello della GTI, per una vettura capace di coniugare ottime prestazioni e consumi contenuti. Questa la formula della Volkswagen Golf GTD, la migliore interprete della nouvelle vague dei motori a gasolio, indiscussi protagonisti
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della motorizzazione degli anni 80. Rossa la vettura della nostra prova, che per la cronaca era in listino a 12.264.000 lire e pagava la bellezza di 390.400 lire di superbollo. Su strada, però, era più frequente vederla nera. E spesso sfanalante, nella voglia di esibire una brillantezza non comune.
bilmente «brillante e silenzioso», come lo definisce Quattroruote nella prova su strada datata ottobre 1982. Certo, visti con gli occhi di oggi i suoi numeri sembrano poca cosa: ma all’epoca, i 158,400 orari di velocità massima, i 12”4 sullo 0-100 e, soprattutto, i 4.500 giri raggiunti per staccare i 70 cavalli di potenza massima equivalgono a una vera rivoluzione, capace di resistere ai mille ostacoli frapposti dai detrattori del diesel, armati di superbolli in grado di contenerne (se non di cancellarne) l'effettiva convenienza economica, o di opacimetri chiamati a mettere sotto accusa i contenuti del suo scarico.
La corsa dei prezzi Perché è chiaro che, al di là delle sue fresche virtù prestazionali, larga parte del successo dei motori a gasolio è legata alla differenza nel prezzo dei combustibili, che all'epoca supera stabilmente il 50%, in un contesto che oltretutto vede un crescendo inarrestabile. A spingere il diesel ci sono da un lato le quota-
zioni del greggio, dall'altro un’inflazione stabilmente a due cifre. Così, se nel gennaio 1980 la benzina è in vendita a 635 lire al litro e il gasolio a 290, soltanto due anni dopo le quotazioni schizzano, rispettivamente, a 995 e 456.
Maledetto superbollo La differenza di prezzo fra i due combustibili è legata principalmente alla vo-
lontà di limitare la tassazione su quello utilizzato per il trasporto merci, nell’infruttuoso tentativo di tenere a bada un’inflazione quasi totalmente fuori controllo. Dopo di che, per consentire alle finanze statali di recuperare il gettito perduto, ecco bell’e pronta l’idea del superbollo: nasce (anche lui) nel 1976, con un importo di 12 mila lire per cavallo fiscale, destinato poi a lievitare rapida-
mente, sino a toccare quota 27.000 nel 1982. Per la cronaca, la sovrattassa è destinata a restare in vigore fino al '98. La frenata alle vendite è conseguenza inevitabile quanto temporanea: all’epoca ancora nessuno lo sa, ma tempo altri dieci anni e nei laboratori del centro ricerche Fiat avrebbe preso corpo il common rail. E un’altra, ancor più grande rivoluzione sarebbe stata servita. Massimo Nascimbene
Quanto mai eloquenti le immagini pubblicitarie dell'epoca, volte a sottolineare le virtù prestazionali dei motori a gasolio di nuova generazione. La Citroën arrivò addirittura a vedersi ritirare uno spot dai contenuti eccessivamente “aggressivi” nei confronti delle rivali a benzina
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1976 − 1986 Mondo Quattroruote
Nel solco del fondatore al fianco degli automobilisti La scomparsa di Gianni Mazzocchi, nel 1984, non cambia lo spirito della rivista. Che continua a combattere contro le tasse e per le autostrade Gianni Mazzocchi ci lascia la sera del 24 ottobre 1984. Ma è come se non se ne fosse mai andato, per noi. Perché il suo spirito lo sentiamo ancora, in redazione. Perché possono cambiare i supporti mediatici, dalla carta all'elettronica, dalle foto in bianco e nero alle istantanee postate su Instagram, ma ci sono cose che, grazie al nostro fondatore, sono diventate parte integrante del nostro Dna: il rispetto nei confronti dei lettori, l'onestà intellettuale nella scrittura e nei giudizi, l'impegno civile. E un grande, immutato amore per l'automobile, strumento imprescindibile di libertà individuale. Potrà e dovrà cambiare, l'automobile: anzi, in questi sessant'anni lo ha già fatto in maniera forse inimmaginabile. Ma noi continueremo a sostenerla
e a difenderla, perché è un formidabile strumento di progresso, anche sociale, del quale il genere umano ancora per molto tempo non potrà fare a meno. Del resto, se oggi l'auto ha tanti e ingiustificati nemici, non meno ne ebbe all'epoca Mazzocchi, come sottolineava Giacinto Furlan sulle pagine del mensile subito dopo la sua scomparsa: «Lanciò la rivista che divenne l'indispensabile compagna dell'Italia al volante contro il parere di tutti, editori, tecnici, collaboratori che addirittura lo lasciarono per non correre quell'avventura». Ma un editore del suo calibro, che aveva già guidato e ideato periodici come Domus, L'Europeo, Settimo Giorno e Il Mondo, certo non si fermò davanti a qualche obiezione. I fatti gli daranno ampiamente
ragione: Quattroruote diventa subito un punto di riferimento nell'Italia che si avvia con slancio alla motorizzazione di massa, restandolo fino ai giorni nostri. E contribuendo, come scrisse il presidente della Repubblica Sandro Pertini nel telegramma di cordoglio per la scomparsa del suo fondatore, «alla diffusione della cultura nel nostro Paese».
Giovanna Mazzocchi Bordone ha raccolto l'eredità paterna, ampliando il perimetro dell'azienda con nuove iniziative
Gianni Mazzocchi al lavoro nel suo ufficio (a sinistra) e al volante della Ford T (a destra), una delle auto storiche della sua collezione. Nato ad Ascoli Piceno il 18 novembre 1906, laureato in giurisprudenza a Roma, fondò nel 1929 l'Editoriale Domus, casa editrice di testate quali, tra le altre, la stessa Domus, Casabella, L'Europeo, Il Mondo, Settimo Giorno, Stile Industria e Il cucchiaio d'argento
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Mondo Quattroruote
Basta raccontare bugie su consumi ed emissioni Abbiamo sempre denunciato la differenza eccessiva tra i dati dichiarati dalle Case e quelli da noi misurati. Un problema esploso ora con il dieselgate
L'articolo di oltre trent'anni fa in cui sottolineavamo come gli enti americani avessero già allora la facoltà d'infliggere pesanti multe ai costruttori menzogneri
Giugno 1985, pagina 150 di Quattroruote: «Possiamo credere ai consumi dichiarati?», scrivevamo, denunciando con trent'anni di anticipo il problema venuto ora alla ribalta con il dieselgate Volkswagen. Aggiungevamo che i valori
divulgati dai costruttori erano perfettamente legittimi, perché accertati in sede di omologazione dalla Motorizzazione civile secondo la normativa Ece, sul banco a rulli o (allora era previsto...) su strada; ma anche che, spesso, i dati non coincidevano, in varia misura, con quelli da noi rilevati nelle prove su strada (e verificati dagli utenti nel loro utilizzo quotidiano). Qualche esempio: a 120 km/h, la BMW 320 richiedeva 9,6 litri per percorrere 100 km invece degli 8,1 promessi dalla Casa bavarese, la Ford Escort 1100 L 8 litri invece di 6,9, la Peugeot 205 XR 7,6 invece di 5,8... Al tempo stesso, Quattroruote
Le nostre prove in pista
Una nuova metodologia certificata Dal gennaio 2014 abbiamo reso ancora più precise le nostre misurazioni dei consumi, effettuate con l'uso di strumentazioni come il Corrsys Datron Dfl. La nuova procedura prevede prove effettuate solo in pista, per ragioni di sicurezza, ma che simulano le condizioni di uso della vettura in città,
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su strade extraurbane e in autostrada; ogni ciclo ha la durata di 3o minuti, durante il quale il collaudatore incaricato del test deve seguire scrupolosamente le istruzioni dettate da un iPad programmato in modo adeguato: solo in questo modo, infatti, si possono ottenere valori reali,
ripetibili e correttamente confrontabili con quelli di altre vetture, nonostante la lunghezza e la complessità del ciclo. Le procedure operative sono certificate; i risultati vengono poi normalizzati alle condizioni standard di prova (temperatura e pressione atmosferica standard, assenza di vento).
raccontava ai propri lettori come negli Stati Uniti esistessero enti (Epa, Nhtsa, Dot) in grado di controllare i rapporti tra i cittadini e i poteri industriali, emanando norme ed erogando sanzioni salate in caso di mancato rispetto. Tutto quello che, insomma, è emerso prepotentemente solo negli ultimi mesi del 2015, con lo scandalo delle vetture “truccate” dalla Volkswagen per rispettare i limiti di emissioni (correlate ai consumi) negli Usa e in Europa e la richiesta alla UE di varare al più presto norme di omologazione realistiche. Che, poi, significa pubblicizzare consumi meno “bugiardi”, misurati nelle reali condizioni d'impiego dei veicoli e non con prove di laboratorio effettuate in circostanze ottimali. Non ci siamo mai stancati, del resto, di combattere questa battaglia,
mettendo a confronto nelle prove su strada i dati dichiarati con quelli da noi rilevati con metodi scientifici. Già nel febbraio del 1956, per esempio, sottolineavamo come la Fiat 600, protagonista della prima prova su strada pubblicata sulla rivista, percorresse in media, sull'itinerario stabilito per i test (Milano-Torino-Bordighera e ritorno via Voltri), 15,38 km
con un litro invece dei 16,66 promessi. Certo, i metodi di misurazione erano più empirici, perché tutto doveva essere ancora inventato: il Centro prove, la strumentazione, le procedure da seguire scrupolosamente, per poter effettuare confronti obbiettivi tra i vari modelli. Con il tempo, naturalmente, le procedure si sono via via affinate,
fino a raggiungere i livelli di sofisticazione attuali. Immutato, però, resta l'approccio, così sintetizzato nell'introduzione alla prima prova su strada del 1956: «Nessuno spirito scandalistico, ma solamente una presentazione critica, serena e oggettiva delle vetture offerte e delle loro prestazioni». Consumi reali compresi, naturalmente.
Dal 1957, anno di presentazione della Fiat 500 (sopra), ai giorni nostri (sotto, l'allegato dieselgate dell'ottobre 2015), i consumi reali sono sempre stati al centro della nostra attenzione
Emilio Deleidi
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1976 − 1986 Classe '56 Taranto, 7 febbraio
Giancarlo De Cataldo Prima, le conquiste sociali, le lotte politiche, ma anche gli anni di piombo, l'assassinio di Aldo Moro, le bombe che fanno stragi. Poi, il ripiegamento dal pubblico al privato, il disimpegno, l'arretramento sul piano delle conquiste sociali. Ripercorriamo la decade con l'autore di libri come “Romanzo criminale” che ci hanno permesso di rivivere intensamente questo periodo (e i successivi). Scoprendo, spesso, intrecci inconfessabili tra malavita e politica
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Classe '56 Giancarlo De Cataldo
Già magistrato, è scrittore, sceneggiatore, autore televisivo. Dalle sue opere più celebri, come “Romanzo criminale” e “Suburra”, sono state tratte popolari serie tv. “La notte di Roma”, il suo volume più recente (Einaudi) scritto con Carlo Bonini, descrive ancora una volta con crudo realismo la Roma del malaffare dei giorni nostri
uori, mentre parliamo con De Cataldo, c'è una Roma blindata dalle forze dell'ordine. Scontato, a due passi da San Pietro. Oggi, si teme il terrorismo islamico. Ieri, la violenza politica. Inevitabile scivolare nei ricordi.
F
Che Italia era quella del periodo tra la fine degli anni 70 e i primi 80? Mi sembra che la società fosse più libera e libertaria, avendo conosciuto l’enorme spinta progressista successiva al ’68. Nel ’65 la magistratura era stata aperta alle donne, nel ’70 era arrivato lo Statuto dei lavoratori, nel ’74 il referendum sul divorzio, nel ’75 la riforma del diritto di famiglia… Una vera rivoluzione sociale, in pochi anni. A questo processo, però, non corrisponde un pari cambiamento politico. Mentre Berlinguer lancia l’ipotesi (realistica) del compromesso storico, l’enorme crescita della società da un lato viene contrastata da progetti golpisti (piazza Fontana, il tentativo di colpo di Stato Borghese), dall’altro innesca il terrorismo ros-
so, che diventa un pesantissimo fattore di condizionamento della politica. Come ha vissuto quel clima? Ero un ragazzo che viveva in una Roma divisa “etnicamente” tra quartieri “rossi” e “neri”, in cui era pericoloso circolare con l'abbigliamento sbagliato. Ma la situazione esplose nei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro: ricordo il 1° maggio del 1978, una pioggerella fine e fastidiosa, lo statista della Dc nelle mani delle Br, lo stillicidio di comunicati, la polemica continua tra la linea della fermezza e quella della trattativa, lo Stato che non si piega al ricatto e, di fatto, è come se accetti la condanna a morte di Moro. Una Roma cupa: era incominciato un inesorabile processo di retrocessione di quello spirito di cambiamento dei primi anni 70. Vivevamo una stagione esaltante e, al tempo stesso, resa plumbea dal terrorismo. Una cosa che non si potrà mai perdonare alla lotta armata è di aver contribuito a interrompere un percorso di grande crescita sociale dell’Italia.
Girava in auto per le strade di Roma? All’epoca lavoravo in una radio privata ed ero già fidanzato con la ragazza che avrei sposato; non avevo la patente (l'avrei presa molto tardi) e mi facevo scarrozzare dalla mia compagna... Tiziana aveva una Mini Minor color melanzana: saremo stati fermati e perquisiti decine di volte dalle forze dell’ordine. Anni dopo, ho scoperto perché: ci scambiavano per i brigatisti Morucci e Faranda, con i quali avevamo una certa somiglianza. Lei era mora e alta, io portavo i baffi… Più tardi mi feci prestare da un amico una vecchia 500, di quelle con le portiere controvento, che ti obbligava alla doppietta. Come auto simbolo del periodo ricordo tristemente la Renault 4 in cui fecero ritrovare il corpo di Moro e le Alfetta, entrate nell’immaginario anche per il genere “poliziesco” del cinema italiano. In quegli anni si crea anche il tessuto di connivenza tra malavita ed estremismo. A Roma, la banda della Magliana ha l’in-
L'arte di scrivere
Quando il personaggio è l'automobile Quando si mette al lavoro e immagina un personaggio dei suoi romanzi, spesso poi trasferiti al piccolo o al grande schermo, Giancarlo De Cataldo non può fare a meno di pensare anche con quale auto si debba muovere. «L'auto» spiega, «è totalmente connotativa, rispetto alla figura che si sta descrivendo: quando realizzai “Romanzo criminale”, passai
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molto tempo a studiare le auto di quell'epoca per individuare i modelli giusti. Sono molto attento a questo aspetto, perché, per l'italiano, è uno dei dettagli imprescindibili di ogni racconto, che non puoi permetterti di sbagliare». Regole più che mai valide quando si deve tradurre la narrazione in immagini. «Non a caso», commenta lo scrittore, «per qualsiasi storia ambientata
in epoche diverse da quella attuale il noleggio di automobili adatte costituisce un capitolo di spesa cospicuo». Ma se gli “eroi” negativi degli anni 70 si muovono su 500, Mini e Alfetta, a che cosa si sono convertiti i protagonisti dei libri più recenti, come “La notte di Roma”? Viaggerebbero anche su auto ibride, facendole assurgere a nuovi simboli di status? De Cataldo lo esclude
categoricamente: «No, perché ostentano comunque. A partire dal politico, che si fa scarrozzare con l'auto blu dall'autista, al malavitoso che, per muoversi agilmente, usa lo scooter, mentre per viaggiare con la famiglia o per farsi vedere dagli altri preferisce una Suv». Poco, insomma, sembra cambiato, se negli anni si è passati dalla Jaguar alla Hummer e poi alla Cayenne.
Momenti che hanno segnato la storia italiana: da sinistra, il rapimento di Aldo Moro e la strage della sua scorta, avvenuta a Roma, in via Fani, il 16 marzo 1978; la marcia dei 40 mila quadri Fiat che, il 14 ottobre 1980, chiesero la fine degli scioperi a Mirafiori; un momento della trasmissione televisiva “Drive In” (1983-'88)
tuizione di creare un’organizzazione stabile, in grado di prendere il posto del clan dei Marsigliesi; Giuseppucci capisce che il business del futuro è la droga, ne centralizza il controllo ed elimina gli avversari. Allo stesso tempo questi ragazzi, che stanno sulla strada, diventano interessanti per certi poteri; mentre forze dell’ordine e magistratura sono concentrate nella lotta al terrorismo, ci sono branche dello Stato per le quali un bravo bandito può svolgere qualche lavoro sporco. Alcuni membri della banda della Magliana, in quegli anni, hanno ottimi legami con esponenti dei servizi segreti e delle logge massoniche.
Che rapporto hanno con l’automobile i malavitosi di quel periodo? Sono “ferri del mestiere” o status symbol? Entrambe le cose. I primi status symbol sono, in realtà, le moto di grossa cilindrata, come la Kawasaki 900 e le Honda: una vera ossessione. Poi, si crea una divisione: quelli di cultura “operaia”, che vengono dalla strada, non sanno far fruttare i soldi, mentre quelli più intelligenti si mettono il doppiopetto. Per i primi, la macchina di prestigio è qualcosa da ostentare; per i secondi, diventa un tassello della rispettabilità che cercano di conquistare. Alcuni di quelli che hanno successo, poi, riciclano i soldi negli autosaloni, dove, non a caso, si vendono
macchine di lusso. Le più apprezzate da loro sono Jaguar, Ferrari… Le cose cambiano: a Torino, nel mese di ottobre 1980, c’è la marcia dei 40 mila quadri Fiat che vogliono lavorare. Ricordo di aver percepito nettamente questo passaggio perché, alla radio, nel ’79 ospitammo alcuni sociologi di Torino che ci spiegarono come i giovani proletari non volessero combattere per cambiare la fabbrica, ma fare soldi, in cambio dei quali erano disposti ad accettare qualunque forma di flessibilità: il loro orizzonte culturale era molto diverso da quello dei padri. La marcia dei 40 mila prende atto di qualcosa che,
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Classe '56 Giancarlo De Cataldo Dal libro “Romanzo criminale”, pubblicato nel 2002 da Einaudi, è stato dapprima tratto, nel 2005, un film diretto da Michele Placido e alla cui sceneggiatura collaborò lo scrittore stesso. Tra gli attori figuravano Pierfrancesco Favino e Stefano Accorsi. Nel 2008 fu la volta della serie televisiva
di fatto, è già avvenuto nella cultura profonda del Paese: l’orgia politica e la sbornia estremista hanno contribuito a far arretrare la società nel suo complesso e i quadri lo intuiscono e ne approfittano, causando così un deficit di modernità. Il terrorismo, a partire da Moro e dalla strage di Bologna, diventa inaccettabile per tutti e si spegne con una lenta agonia. I ragazzi hanno voglia di ballare. Ma li capisco: non era più obbligatorio parlare di politica, potevi anche corteggiare una ragazza senza essere giudicato dal “tribunale” femminista…
Venne il momento di cambiare l'auto? Con il primo stipendio vero, ci disfammo di un'A112 e comprammo una Golf a tre porte: era borghese, ma abbastanza giovanile, perché non avevamo ancora figli. Per me, l’auto è “servizio”: dopo la Golf, ho avuto una Honda Concerto, acquistata da un amico, poi la famiglia è cresciuta e ho acquistato una Renault Mégane Scénic, macchina comoda, spaziosa, non “eccessiva”. L'ho tenuta finché, una sera, un ubriaco me l’ha sfasciata, guidando contromano. Poi è arrivata una Volvo, bella, solida, ma impossibile da usare in
una città come Roma; oggi ho una Mercedes Classe C. Mi piace viaggiare in auto, ma non amo guidare. A Roma vanno tutti come pazzi: uno più furbo dell’altro, però senza avere la furbizia reale dei napoletani, che occupano spazi impossibili… Esiste comunque un livello al quale la macchina cessa di essere servizio e diventa arte: le Ferrari, le Porsche, le MG degli anni 60, per esempio. Sono quadri, sculture: abbiamo avuto designer che erano artisti veri. Ovvio che la loro arte, com’è sempre accaduto nella storia dell’umanità, è destinata alle élite che se la possono permettere; però resta nel tempo. A metà degli anni 80, infine, l’auto torna a essere un desiderato status symbol. È un passaggio etico: si ritorna all’orgoglio del lusso, non ci si vergogna più di avere la barca o la bella macchina. Piuttosto, si ostenta: c’è una perdita di eleganza, nasce l’Italia “cafona”. È una cultura legata a Mediaset, a programmi televisivi come “Drive In”: è il segno estetico berlusconiano... Emilio Deleidi
punto, il proletariato “ A unnoncerto vuole più cambiare la fabbrica, ma fare soldi, accettando in cambio qualunque forma di flessibilità „
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Alcune foto di scena della serie televisiva “Romanzo criminale”, che narra le vicende della banda della Magliana, un'organizzazione malavitosa che s'impadronì di Roma nella seconda metà degli anni 70, controllando il traffico e lo spaccio degli stupefacenti e altre attività illegali
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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
IPERCONNESSI Fra allestimenti ad hoc e App dedicate, la Seat apre la strada all’auto del futuro
anno appena concluso ha certificato la rinascita di Seat, che ha chiuso il 2015 segnando una crescita (+18,3%) addirittura superiore a quella del mercato (+15,7%). Il trend positivo è iniziato nel 2013 con il lancio di nuova Leon e si è consolidato nel tempo, grazie ad una gamma in grado di soddisfare sia il cliente privato (+32% 2015 vs.2014) che le aziende. L’exploit è figlio anche di un posizionamento rinnovato (“Technology to Enjoy”), per un brand che fa di design e tecnologia i suoi principali punti di forza. Proprio in tema di connettività Seat sta facendo grandi passi in avanti, come dimostra l’accordo di partnership siglato nel 2015 col gigante coreano delle comunicazioni Samsung. Una sinergia che ha già prodotto i primi risultati con il lancio sul mercato dell’ allestimento Connect, realizzato per Leon ed Ibiza ed in grado di offrire ai clienti il massimo della connettività a bordo. Una App dedicata e uno smartphone Samsung Galaxy A3 che fa parte delle dotazioni di serie della vettura, consentono di sfruttare al 100% le potenzialità del Sistema Full Link facendo dialogare in maniera perfetta e col massimo della sicurezza telefonino e auto. Ma non finisce qui, perché anche il Suv di Seat ormai prossimo al lancio (la presentazione ufficiale è in programma durante il prossimo Salone di Ginevra) porterà sul mercato un prodotto ricco di innovazioni ed in grado di offrire ai Clienti il top di gamma in termini di tecnologia. Sul Suv, la connettività ed il futuro di Seat e del mondo dell’auto Luca de Meo, da Novembre primo presidente italiano di Seat Sa, ha le idee chiare: “Il terzo pilastro di Seat, il Suv, rappresenta solo l’inizio della crescita possibile. Sono molte le possibilità e le strade da percorrere per aumentare la nostra pre-
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senza in questo segmento. Dobbiamo concentrarci sull’innovazione ingegneristica, poiché il tema CO2 sarà di un’importanza sempre maggiore per la competitività di ogni Casa automobilistica. E, in questo campo, Seat è posizionata molto bene. Siamo forti anche sull’infotainment e in merito al tema della connettività delle vetture, con prodotti sempre più intelligenti. Credo che lo scenario si concentrerà su questi due aspetti per gran parte dell’industria, che già inizia a dare i primi segnali. D’ora in avanti, la storia sarà fatta dall’auto “connessa”, non più dall’auto nel senso stretto del termine. È proprio questo il fulcro dell’evoluzione: il passaggio da un’organizzazione concentrata sullo sviluppo di prodotti, a un ecosistema spinto dallo sviluppo in senso lato. E per noi si tratta di una grande rivoluzione”. Un esempio di connettività è la possibili-
tà che il veicolo stesso possa comunicare un’avaria all’officina: “Sì, esiste già sul mercato. Dal punto di vista della vendibilità, il concetto chiave è che l’auto sia connessa fin dalla vendita al cliente, perché esistono molte più possibilità di interazione tra prodotto e distribuzione, e ciò comporta maggiori opportunità di business, avvicinando il consumatore all’“ecosistema”. Per esempio, facendo sì che l’auto si colleghi a infrastrutture, parcheggi, semafori... Arrivando addirittura a collegare le auto tra loro. È un nuovo mondo in arrivo e, personalmente, credo sia il punto focale di tutte le innovazioni tecnologiche in atto, tra cui figurano la mobilità elettrica e la guida autonoma. L’auto “connessa” sarà la tecnologia in grado di permetterci la minor discontinuità possibile nel nostro lavoro e, perciò, la forma con cui contraddistingueremo i nostri prodotti”. Insomma, il futuro è già cominciato.
1976 − 1986 L'icona del decennio
Lanciata a Cape Canaveral, diventa una delle grandi best seller di tutti i tempi, con quasi 9 milioni di esemplari venduti nel mondo. Segna la rinascita dell'auto italiana. E la Turbo fa sognare ancora
La versione Turbo monta l'1.3 a iniezione elettronica derivato dalla X1-9: schizza da 0 a 100 km/h in 8 secondi
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L'icona del decennio Fiat Uno
Innovativa anche negli spot
Voleva fare la spirit... osa La memorabile campagna pubblicitaria della Uno si avvale del grande vignettista Giorgio Forattini e di neologismi destinati a entrare nel linguaggio comune. Gli sgrammaticati aggettivi comodosa, sciccosa, risparmiosa e scattosa, però, non trovano unanimi consensi. A fianco, il riquadro nel quale il fondatore di Quattroruote, Gianni Mazzocchi, bacchetta la
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Direzione Fiat e i pubblicitari per lo stravolgimento dell'italiano. Sono gli anni del boom degli stilisti e delle fotomodelle e anche la nostra rivista mette la Uno in posa davanti alla macchina fotografica (sopra). Più a destra, la tradizionale campagna pubblicitaria sui rotocalchi dell'epoca. Anche lo slogan «Uno come noi» sottolinea l'ormai raggiunta
popolarità dell'utilitaria torinese. Il lungo testo, anomalo per una réclame anche per i gusti del tempo, sottolinea i vantaggi della Uno e la sua vocazione familiare. Le misure dell'abitacolo e l'efficace climatizzazione sono messe in risalto. Come, infine, il confort: «sdraiarsi e dormire mentre si fila a 140» suona alquanto ottimistico. E di un'altra epoca.
La Uno 1.3 i.e. Turbo provata nell'85: nella foto si trova sulla pista di Fiorano (MO), affiancata alla Ferrari 156/85 di Michele Alboreto. Erano gli anni dei primi turbo anche in F.1. L'1.5 V6 780 CV portò il pilota milanese a un soffio dal mondiale: arrivò secondo
el ’76 non c’era ancora. All’epoca si viaggiava in 127, ma le cose stavano per cambiare. Profondamente. Quando la Uno arrivò, con tanto di roboante prima mondiale a Cape Canaveral, base spaziale dello Space Shuttle, segnò davvero una nuova era. Per la Fiat e per gli automobilisti italiani, in primis, ma non solo per loro, visto che il suo successo è arrivato fino al Brasile e persino alle Filippine. Era il 1983, ormai verso la fine della terza decade di Quattroruote, ma non c’è dubbio che l’auto del decennio sia la mitica Uno. Nei favolosi anni 80 si è infilata come prima o seconda auto praticamente in ogni famiglia. Qual era il suo trucco? Beh, intanto bisogna dire che non era il prezzo. Costava un pochino di più delle rivali straniere (e cioè francesi e tedesche, perché all'epoca le giapponesi e ancor più le economiche coreane erano esotiche rarità), ma di certo aveva il “quid”. Il tocco di Giorgetto Giugiaro, tanto per cominciare. La collaborazione tra la Fiat
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e la sua Italdesign aveva già sfornato la rivoluzionaria citycar Panda, mentre all'estero aveva creato niente meno che la Golf. Il progetto numero 146, in codice, era partito, in realtà, nel 1979 ed era destinato alla Lancia, dove si pensava di rimpiazzare l'Autobianchi A112. Divergenze ai vertici aziendali degne di un film di spionaggio portarono scombussolamenti e revisioni nei piani strategici. E la piccola vettura di lusso, compatta, ma dotata di grande abitabilità, aerodinamica e innovativa sotto tutti i punti di vista, divenne la Uno.
Sua altezza entra in scena L'idea, in effetti, era semplice e geniale: con uno sviluppo verticale maggiore rispetto a quello di tutte le concorrenti, un'auto lunga appena 364 centimetri poteva assicurare un'abitabilità superiore. Linee pulite, forme tondeggianti, superfici ben raccordate, parabrezza inclinato, gocciolatoi non più a vista e ampie vetrature incurvate facevano il resto. Senza contare la plancia moderna e ra-
Alzate il tetto: sembrerà “ di viaggiare su un'automobile di categoria superiore„ Giorgetto Giugiaro, designer e fondatore dell'Italdesign
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L'icona del decennio Fiat Uno La Uno nasceva negli stabilimenti di Mirafiori e Rivalta ed era innovativa anche dal punto di vista dell'automazione: assemblaggio, saldatura e verniciatura utilizzavano il nuovo sistema Robogate, che consentiva una produzione di oltre 450 mila auto l'anno
zionale, con i satelliti dei comandi ai lati del cruscotto e la console con le grandi bocchette regolabili, mentre sul bordo della grande vasca sotto il parabrezza scorreva un pratico posacenere con saracinesca. Il look, insomma, era quello giusto. Il milione di auto prodotte arriva in meno di due anni e nell'86 raddoppia. Niente male, per un modello che arriverà a sfiorare i 9 milioni di esemplari (contando anche i quasi 3 prodotti all'estero). Merito anche delle tante versioni che ne hanno scritto la storia.
Dalla 45 alla Turbo I propulsori al lancio erano il 900 ereditato dalla 127 e l'1.1 della Ritmo: in linguaggio Uno, la 45 e la 55. Che, infatti, furono le protagoniste della prima prova su Quattroruote del febbraio 1983. In più, c'era un ambizioso 1.3 da 70 cavalli
boom della Uno (si arrivò a 40 mila immatricolazioni al mese). Era un po' più alta da terra, fatta per le strade tropicali, e si riconosceva per il cofano dal taglio laterale differente. L'altra Uno indi(68, per la precisione), al quale si aggiunmenticabile, un mito tuttora vivissimo, sero gli immancabili diesel. Due soli, inè la Turbo. Arrivò nell'85 e fece sognare vece, gli allestimenti: normale, dall'equiuna generazione: era l'unica valida alterpaggiamento invero monativa, al momendesto, ed S come Super. to, alla Renault 5 La Uno era un'auto molto Della 45, best seller fiTurbo. Una manna avanzata, perché combinava no all'arrivo dei propulanche per gli aspiingombri esterni compatti sori Fire, quando passò il ranti piloti, che si con un grande spazio interno. testimone alla 1.0, riprepotevano mettere Frutto di un investimento sentiamo pagella e prealla prova con una di 700 milioni di dollari, stazioni rilevate dal no- espresse il meglio della capacità bombetta da 105 stro Centro prove (nelle cavalli a trazione tecnica Fiat prossime pagine). Qui vaanteriore, pressole la pena di ricordare due versioni assoché priva di elettronica (a parte l'Anlutamente particolari. Da una parte, la tiskid, cioè l'Abs, che diede il nome alla CS, che fa della Uno la prima vera world versione). Diede vita a un monomarca car italiana: era la “brasiliana”, nata per rally, un vivaio di giovani talenti, tra i il mercato sudamericano, ma destinata quali Piero Liatti, che dopo il trionfo a essere importata anche in Europa, conell'86, si fece onore nel Campionato me entry level della gamma e per conmondiale. Un bel successo anche per tribuire a soddisfare la richiesta dopo il l'orgoglio Uno. Andrea Sansovini
Era il gennaio del 1983 e la Fiat, pur senza alcuna mira sul mercato americano, scelse la base spaziale della Nasa a Cape Canaveral, vicino a Orlando, Florida, come spettacolare location per il lancio della Uno. Foto d'obbligo sulla spiaggia infinita di Miami. Il rilancio alla grande è servito: la Uno segna così il nuovo spirito degli anni 80
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Il padre della Uno, Vittorio Ghidella, all'epoca capo della Fiat Auto, tra Cesare Romiti, amministratore delegato, e il presidente Gianni Agnelli. In mano ha il trofeo per l'Auto dell'anno 1984, vinto dalla vettura torinese l'anno successivo al lancio
La Uno, in realtà, doveva nascere come erede dell'Autobianchi A112, con il marchio Lancia (come si vede nelle foto sopra e a fianco): il prototipo, disegnato da Giorgetto Giugiaro nel '79, passò alla Fiat, che lo utilizzò per definire la sostituta della 127. La carrozzeria rimase molto simile, come pure il moderno cruscotto con i satelliti ai lati
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Le prove di Quattroruote
Fiat Uno 45 - febbraio '83
Al debutto vince grazie ai consumi La compatta e disinvolta due volumi torinese non brilla per prestazioni. Ma sbaraglia la concorrenza straniera quanto a percorrenze a prova su strada di Quattroruote del febbraio '83 lo mette subito in chiaro: la Uno punta a diventare la “mille” degli anni 80 e la sua ambizione non è mal riposta. In un settore che viene già definito «affollato» e «combattuto», si valutano i pro e i contro dell'italiana, destinata a ereditare il ruolo di best seller della 127, ma con un'iniezione di modernità che la renda più interessante della Renault 5 e delle altre rivali straniere. Quali i suoi punti forti? Senza dubbio il consumo, recita la sintesi dell'articolo: qui il suo vantaggio è abbastanza netto nei confronti delle concorrenti. A 90 km/h sia la 45, con motore di 900 cm3, sia la 55, con l'1.1, percorrono quasi 19 km/litro. E si sottolinea come il
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già ottimo risultato ottenuto dalla 45 potrebbe essere ulteriormente migliorato se avesse il cambio a cinque marce, peraltro disponibile sulla versione Super. Quanto a prestazioni, invece, non brilla. Interessante notare che la buona profilatura non dà grandi vantaggi, visto che la Panda 45, meno aerodinamica, risulta più veloce. Questione di peso, in effetti. La Uno viene elogiata per il buon compromesso tra confort e doti stradali, mentre si evidenzia una rumorosità all'interno inferiore a quella registrata su vetture della stessa categoria. Il suo vero punto di forza, oltre ai consumi, è l'abitabilità. Le misure interne indicano l'intelligente sfruttamento dello spazio. A conti fatti, l'abitacolo può considerarsi vicino a quello della Ritmo. Come pure il bagagliaio.
SCHEDA TECNICA MOTORE • Anteriore trasversale, benzina • 4 cilindri in linea • Alesaggio 65,0 mm - Corsa 68,0 mm • Cilindrata 903 cm3 • Potenza max 33 kW (45 CV) a 5.600 giri/min • Coppia max 67 Nm a 3.000 giri/min
TRASMISSIONE • Trazione anteriore • Cambio manuale a 4 marce • Pneumatici: 135 SR-13
CORPO VETTURA • Berlina 2 volumi, 3 porte, 5 posti
AUTOTELAIO • Avantreno a ruote indipendenti (MacPherson), molla elicoidale • Retrotreno a ruote interconnesse, molla elicoidale • Ammortizzatori idraulici • Freni anteriori a disco • Sterzo a cremagliera • Serbatoio 42 litri DIMENSIONI E MASSA • Passo 236 cm • Carreggiata ant. 134 cm, post. 130 cm • Lung. 364 cm - Larg. 155 cm - Alt. 143 cm • Massa 700 kg,
Nella foto, le due protagoniste della prima prova di Quattroruote: una 45 in versione tre porte, rossa, e la 55 Super, con carrozzeria a cinque porte, grigio argento. Le prestazioni risultano molto simili
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Il design della plancia è moderno e razionale. Al volante si trova una sola levetta (una novità per le Fiat), mentre gli altri comandi sono raggruppati nei satelliti ai lati del cruscotto. Da notare il posacenere scorrevole
VELOCITÀ massima (km/h)
CONSUMO
136,204 km/litro
FRENATA
metri
LA PAGELLA
da 100 km/h
51,4
POSTO GUIDA
RUMOROSITÀ
dB(A)
60 km/h
25,3
70
71
90 km/h
18,9
90
73
130 km/h
12,0
120
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ACCELERAZIONE 0-60
secondi 5,9
RIPRESA
Ben studiata per tutti: volante a giusta altezza,
★★★★★ sedile profilato e imbottito. Regolazione a scatti. COMANDI
Disegno moderno e razionale. C'è una sola leva,
★★★★★ quella del devioluci. Tasti nella plancia. CLIMATIZZAZIONE Molto buona per un'utilitaria, per merito
★★★★★ delle numerose bocchette. Una sola velocità. VISIBILITÀ
secondi
70-80
4,0
0-100
16,5
70-100
13,0
1 km da fermo
37,9
70-120
27,1
Eccellente in tutte le direzioni, grazie al sedile
★★★★☆ alto e all'ampia superficie vetrata. Fari potenti. FINITURA
Pratica e moderna. Gradevoli i rivestimenti.
★★★★ Di buon livello il trattamento delle lamiere. ACCESSORI
Sulla 45 si trova il minimo indispensabile e alcuni
★★ optional, come lo specchietto destro, si pagano. ABITABILITÀ
Ottima davanti, grazie ai sedili larghi. Dietro, tre
★★★★☆ persone sono ospitate in modo accettabile. BAGAGLIAIO
Abbastanza profondo e regolare, completamente
★★★★ rivestito. Sotto il fondo si trova la ruota di scorta. CONFORT
Le sospensioni si comportano molto bene sullo
★★★★★ sconnesso e sul liscio. Ottima insonorizzazione. MOTORE
Il 900 non è nuovo, ma ha ancora notevoli
★★★☆ possibilità: è brillante e abbastanza elastico. ACCELERAZIONE
Buoni tempi, anche rispetto alla concorrenza.
★★★★ Doti di scatto più che accettabili. RIPRESA
L'adozione della marcia più lunga (la IV sulla 45)
★★★ penalizza la ripresa dalle basse velocità. CAMBIO
Pressoché perfetto per innesti, velocità
★★★★ e precisione. Frizione leggera e resistente. STERZO
Privilegia la leggerezza e la facilità di manovra.
★★★★ Poco preciso nella guida brillante. FRENI
Ottimi, anche se privi di servoassistenza sulla 45.
★★★★★ Ben modulabili, resistenti. Spazi d'arresto corretti. SU STRADA
Buona la tenuta su strada, anche sul bagnato
★★★★★ e sullo sconnesso. Comportamento sicuro. CONSUMO
Nella sua categoria è la più parsimoniosa.
★★★★★ Percorre in media 13-14 km con un litro. PREZZO
Costava più della maggior parte delle concorrenti
★★★ straniere e 700 mila lire più di una Panda.
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Le copertine di Quattroruote
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244 1976 Maggio
245 1976 Giugno
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247 1976 Agosto
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249 1976 Ottobre
250 1976 Novembre
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252 1977 Gennaio
253 1977 Febbraio
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1977 Maggio
257 1977 Giugno
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277 1979 Gennaio
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A un certo livello, le auto “ diventano sculture: abbiamo avuto designer che erano veri artisti „ 1985 Novembre
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Giancarlo De Cataldo - Scrittore
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ABS, ESP E AIRBAG È LA FINE DEL RISCHIA-TUTTO
1986−1996
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Dieci anni nel mondo 1956
1986
26 aprile Esplosione nella centrale nucleare di Cernobyl (Ucraina): una nube radioattiva contamina l’Europa
23 ottobre
1987
Esce “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci: vincerà 9 Oscar
1965 1966
1988
21 dicembre 21 Un aereo della Pan Am esplode in volo per una bomba sui cieli di Lockerbie (Scozia): 281 morti
8 4 giugno A Pechino viene repressa la protesta degli studenti: migliaia di morti
1989
1975 1976
9 novembre
1990
Cade il Muro di Berlino: divideva la città dal 1961
2 agosto L’Iraq invade il Kuwait; l’occupazione porterà alla Guerra del Golfo
1985
1986
1991
110 0 aprile Livorno, il traghetto Moby Prince urta la petroliera Agip Abruzzo, che si incendia: 140 morti
1 23 maggio
1992
Capaci, la mafia uccide il giudice Falcone, la moglie e 3 agenti di scorta
1995 1996
1993
19 luglio Palermo, un’autobomba uccide il giudice Borsellino e 5 uomini della scorta
2 1 novembre Nasce l'Unione Europea con l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht
1994
2005 2006
1 maggio In un incidente di gara al GP di San Marino muore Ayrton Senna
1995
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4 novembre Il premier israeliano Yitzhak Rabin assassinato da un estremista
1986− 1996 Come eravamo
La tecnologia al servizio della sicurezza È una decade fondamentale per il mondo dell'auto. Perché l'Abs si diffonde sempre più. Debuttano Esp e airbag. E in Italia la cintura diviene obbligatoria l problema è che con l’auto ci si fa ancora male e si muore troppo. Un fenomeno purtroppo mondiale a cui l’Italia non si sottrae, anzi. Le statistiche dell’epoca affermano che, tra uomini, donne, bambini e anziani, sono 24 gli italiani che perdono la vita quotidianamente sulle nostre strade, uno ogni ora. Un quadro raccapricciante a cui si devono aggiungere i feriti: 25 ogni ora, di cui quattro gravissimi.
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L'ora di cambiare È il 1986 e si deve correre ai ripari. In realtà il mondo automobilistico si sta già muovendo da tempo, soprattutto oltreoceano, dove l’attenzione verso questo tipo di problemi è maggiore. Forse perché, da sempre, negli Stati Uniti vi sono agenzie che si occupano dei diritti dei consumatori e dal 1970 c'è anche l’Nhtsa (National highway traffic safety) che gestisce, per conto del governo, l’intero settore della sicurezza automobilistica e che spinge affinché le Case costruiscano
macchine sempre più sicure. Nel giugno di quello stesso anno, la Ford inizia a proporre come optional su due suoi modelli, la Tempo e la Mercury Topaz, gli airbag, cioè gli speciali cuscini che, in caso d'incidente, si gonfiano istantaneamente per proteggere gli occupanti. È un momento storico per l’automobile. Il tema sicurezza si sta avviando su una nuova strada che però, come vedremo, non è priva di ostacoli. C’è un problema etico da risolvere, e non da poco. Gli airbag, infatti, funzionano al meglio solo se abbinati alle cinture di sicurezza, ma la cultura americana non vuole infrangere uno dei punti chiavi del proprio ordinamento giuridico ovvero la libertà di scel-
ta del singolo individuo. Il problema verrà superato soltanto negli anni successivi.
Quei prezzi esagerati In Europa, nel frattempo, si va affermando sempre più l’Abs, cioè il sistema di antibloccaggio dei freni. Il dispositivo, sviluppato dalla Bosch in collaborazione con la Mercedes e presentato a meta del 1978 sulla Serie S, inizia a diffondersi anche sulle auto un po’ meno costose, ma non ancora con la necessaria rapidità. Un po’ per via del costo, ancora troppo oneroso, ma in parte anche per mancanza di una legge o di una direttiva che ne imponga l’obbligatorietà. Tanto per fare un esempio, nel 1988 l’Alfa Romeo lo offre
L'italia, da fanalino di coda in tema di sicurezza stradale, balza di colpo in testa alla graduatoria rendendo obbligatori, dal 26 aprile del 1989, i seggiolini di sicurezza per i bambini. Quattroruote, per l'occasione, prova tutti quelli disponibili sul mercato
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Come eravamo Gli airbag, in questo decennio, si diffondono anche in Europa. Quattroruote ne fa scoppiare uno direttamente sulla faccia di un redattore (volontario), che si presta allo scopo. La prova viene ripresa con due cineprese ad altissima velocità
come optional sulla nuovissima 164 al Parlamento approva la legge sulle cinprezzo di 2.832.000 lire, la Mercedes sulture di sicurezza e sui seggiolini spela 200 E a 2.705.000 lire. Ed è polemica, ciali per bambini. Le statistiche dell'epoperché dalle nostre analisi si evince che il ca affermano che se tutti, di colpo, si costo industriale di questo dispositivo è mettessero ad allacciarle, il numero dei attorno ai 300 dollamorti negli incidenti diri e potrebbe scen- La sicurezza non è un optional, minuirebbe del 48%. Ciò dere ancora, se venonostante la diffidenma un diritto sociale nisse prodotto in za, o meglio l'ignoranza, ormai acquisito in ogni Paese quantità maggiori. degli italiani riguardo a civile. Diventi un obbligo. Quattroruote non questo dispositivo non è Resti pure un optional perde occasione (vepoca e, come sappiamo, la selleria di pelle dere l'editoriale qui non sarà facile convinsopra) per promuoverne la diffusione. cerli a utilizzarlo quotidianamente. StesIl 1988 è anche l'anno in cui il nostro so problema con i seggiolini, che Quat-
troruote mette alla prova in un ampio servizio apparso sul numero di aprile dell'anno seguente. Nel frattempo, la ricerca nel campo della sicurezza non si ferma. Da una parte e dall'altra dell'Atlantico si continua a discutere su come debbano essere condotti i crash test per essere il più possibile vicini alla realtà. Negli Stati Uniti le norme impongono quantomeno tre prove d'impatto frontale con diverse angolazioni, urti laterali, tamponamenti e, soprattutto, le misure delle lesioni con criteri biomeccanici (manichini strumentati). Viceversa, per superare l'omologazione europea è sufficiente verificare che nell'urto a 48 km/h contro una barriera fissa l'arretramento del piantone dello sterzo non sia superiore a 127 mm. A que-
Giugno 1986: negli Stati Uniti inizia la commercializzazione delle prime auto (Ford) dotate di airbag, il cuscino d'aria che si gonfia all'istante per proteggere gli occupanti in caso d'incidente. È l'inizio di una svolta epocale che, di lì a poco, coinvolgerà l'intero mondo automobilistico
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In questi anni l'Abs inizia a diffondersi anche sui modelli di gamma media e bassa. Quattroruote ne segue con attenzione l'evoluzione con prove molto accurate. Quella accanto è un'immagine storica: è il '94 e la Mercedes, con la Bosch, presenta il Dhcs, precursore del moderno Esp
sto punto ci s'interroga sul perché gli automobilisti europei debbano accontentarsi di vetture meno sicure di quelle progettate per il mercato americano. Al disinteresse dei governi del Vecchio continente si contrappone la brillante attività politica delle autorità Usa. È evidente che qualcosa deve cambiare pure da questa parte dell'oceano, e anche in fretta. Nel 1992, per la prima volta, la Volkswagen propone gli airbag come optional sulla Vento, la versione a tre volumi della Golf. E di li a poco la Lancia
li offre sulla Thema. Quattroruote, per sfatare ogni dubbio, ne fa scoppiare uno (pagina a sinistra), dimostrando una volta di più che il dispositivo non è pericoloso per chi è al volante, se si ha la cintura di sicurezza allacciata. Negli Usa, nel frattempo, diventa obbligatorio – e quindi di serie – su tutte le automobili nuove.
Arriva l'Esp Ma l'anno più importante da ricordare è il 1994. Sui ghiacci della Svezia la Bosch, assieme alla Mercedes, presenta
alla stampa il Dhcs (Dynamic handling control system), cioè il prototipo di quello che verrà in seguito conosciuto come il controllo elettronico della stabilità. Il dispositivo, tramite speciali sensori, è in grado di riconoscere un'eventuale sbandata dell'auto e di riportare la vettura sulla traiettoria originale, agendo in modo asimmetrico sui freni. L'anno dopo arriverà la sua versione definitiva, ribattezzata Esp (Electronic stability program). Per l'automobile è l'inizio di una nuova era. Marco Perucca Orfei
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1986 − 1996 Mondo Quattroruote
Finalmente una pista tutta nostra Lunedì 19 giugno 1995: l'impianto di Vairano, a venti minuti dalla sede della redazione, apre i battenti. Ancora oggi, una struttura unica al mondo Certo non è stato facile. Ci sono voluti più di dieci anni per trovare un terreno che si prestasse alla realizzazione della nostra pista. Cercavamo un appezzamento lungo almeno due chilometri ed eravamo disposti anche ad allontanarci parecchio da Milano, pur d'impossessarcene. Alla fine l’abbiamo trovato a pochi passi da casa, a Vairano, piccola frazione del comune di Vidigulfo, a venti minuti di strada dalla nostra sede di Rozzano. Ma, come abbiamo detto, non è stato facile. Superate tutte le difficoltà burocratiche, nell'estate del 1994 iniziano finalmente i lavori. I problemi, questa volta di ordine pratico, non mancano. La strada provinciale attraversa il nostro appezzamento e, pertanto, dev'essere ricostruita ai bordi
del perimetro. Inoltre, proprio in mezzo al tracciato della futura pista, vi sono due grandi piloni dell’alta tensione: anche loro devono essere spostati. Poi, i lavori proseguono spediti. Vengono tracciati il rettilineo di alta velocità ‒ lungo due chilometri e largo 17 metri – e i cappi di raccordo. Allo stesso tempo, inizia la ristrutturazione dei locali della grande cascina che fa da contorno all’appezzamento. Ai primi di giugno del 1995 siamo quasi pronti e il 19 di quello stesso mese la pista viene inaugurata alla presenza delle autorità locali e di Max Mosley, l’allora presidente della Fia. Il sogno è diventato realtà. L’anno seguente vengono costruiti la pista Handling, 2.560 metri di curve, tornanti e rettilinei disegnati appositamente
per mettere in risalto le qualità dinamiche delle automobili. E, nella zona sud dell'impianto, nasce per la neonata scuola di guida sicura un ampio piazzale di 17 mila metri quadrati, bagnabile in modo artificiale e dotato di pavimentazioni speciali. Il resto è storia recente. Alle piste seguono le officine per il Centro prove e la manutenzione delle vetture della scuola guida, i box,
La giornata inaugurale si è svolta alla presenza di Max Mosley, allora presidente della Fia, qui ritratto accanto al presidente dell'Editoriale Domus, Giovanna Mazzocchi Bordone
Primi giorni di prova sulla nostra pista. Sotto esame le nuove Fiat Bravo e Brava, appena presentate. A sinistra, una suggestiva immagine aerea dell'impianto
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Mondo Quattroruote
L'impianto di Vairano così come si presenta ai giorni nostri. Il rettilineo centrale è lungo 2 km. In totale vi sono più di 8 km di piste
le sale convegni, i ristoranti, il circuito Off-Road. Vairano diventa un impianto di prova veramente completo, a disposizione della redazione, ma anche di aziende esterne che possono effettuare lì i loro test (la Brembo lo usa regolarmente), in un ambiente
protetto e riservato, oppure organizzare manifestazioni ed eventi. Ottenuta l'omologazione della Fia, la pista diventa la meta preferita di quasi tutti i team di Formula 1 (Ferrari in primis), che utilizzano il lungo rettilineo per mettere a punto l'aerodinamica delle loro auto.
Scuola GuidaSicura & Co.
Evoluzione continua Sono più di vent'anni, ormai, che Vairano è operativa. La prima foto a destra è del 1995 ed è stata scattata durante l'inaugurazione della pista. Per l'occasione, vengono effettuati test di frenata con e senza Abs per mettere in evidenza le eccezionali qualità di questo dispositivo.
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La seconda foto è dell'anno successivo e ritrae un'auto della nostra scuola guida durante un esercizio. L'allievo, accompagnato da un istruttore, sta imparando a padroneggiare una situazione d'emergenza. Nostro partner, all'epoca, era la Fiat. Oggi, per il parco auto, ci appoggiamo alla Citroën.
Negli anni la scuola Asc GuidaSicura si è sviluppata e ora copre pressoché ogni area possibile, compresa quella dei light and heavy truck, per i quali disponiamo anche di due simulatori di guida in grandezza reale a sei gradi di libertà. Nelle foto più a destra, due momenti del Raduno dei Raduni (2012).
Quel 19 giugno del 1995, però, non è nata soltanto la pista di Quattroruote: è anche cambiato – e in modo radicale – il nostro modo di lavorare, di pensare, di concepire le prove. Poter disporre di un'area di lavoro tecnicamente avanzata, sicura
e controllata, infatti, ci ha indotto ad affinare i test esistenti e a svilupparne di nuovi, in accordo con quanto previsto con la certificazione di qualità Iso 9001 ottenuta dalla pista e dal centro nel 1999. Il nostro focus si sposta sulla sicurezza attiva, per la quale
vengono sviluppati test specifici, come la prova di stabilità in curva e in rettilineo su asfalto asciutto, che ci permettono di avere un quadro preciso del comportamento dinamico di una vettura. L'evoluzione dell'auto, però, è continua e così iniziamo a pensare a una prova che ci permetta di valutare i sempre più diffusi sistemi Esp. Nasce così quello che diventerà un vero must delle prove di Quattroruote: il doppio cambio di corsia su asfalto bagnato, seguito, di lì a poco, dal test di frenata sui fondi con aderenza diversa tra le ruote di un lato e dell'altro (bagnato-ghiaccio e asciutto-
pavé), un esame che permette di valutare assieme l'efficacia dei sistemi Abs ed Esp. Negli anni cambiamo radicalmente anche i test di confort, tanto che ora misuriamo anche le vibrazioni che raggiungono il conducente quando si avvia e si spegne il motore, una fase della guida diventata di colpo importante con il diffondersi dei sistemi Start&Stop. Oggi il nuovo fronte è l'elettronica di bordo, che ormai governa – e governerà sempre più – le funzioni vitali delle automobili. Sistemi multimediali, parcheggio assistito, frenata d'emergenza, controllo automatico della velocità... la sfida continua.
La pista Off-Road è l'ultima, in ordine cronologico, a essere stata realizzata. Qui sono riprodotte le situazioni più critiche che s'incontrano nella marcia in fuoristrada
Marco Perucca Orfei
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1986 − 1996 Classe '56 Miradolo Terme, 7 agosto
Gerry Scotti Nel 1988 viene introdotto l'obbligo per guidatore e passeggero anteriore d'indossare le cinture. Poi, negli anni successivi, si diffondono Abs e airbag. E gli automobilisti iniziano a capire quanto è importante la sicurezza. Ecco l'opinione, sul tema, del noto conduttore televisivo. Già testimonial del nostro video corso di guida sicura
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Classe '56 Gerry Scotti Attore, presentatore, conduttore televisivo, deejay, persino parlamentare (dal 1987 al ’92), ma anche grande appassionato di motori e testimonial di Quattroruote in un paio di occasioni: nel 1995 per l'inaugurazione della pista di Vairano e nel 2001 per il corso di guida sicura in videocassetta
mpossibile sbagliare: c’è la sua gigantografia incollata alla porta del camerino, in fondo al corridoio, a sinistra. Gerry Scotti ci ha dato appuntamento negli studi Mediaset di Cologno Monzese. Quando arriviamo lo troviamo al telefono: «Si è accesa la spia della pressione delle gomme, date un’occhiata – si raccomanda –, controllate se è un
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problema del sensore o se ho bucato davvero». Ecco un automobilista attento, sensibile e scrupoloso. Bene. Che cos’è la sicurezza in auto per Gerry Scotti? È il 90% di quello che serve per guidare. Noi siamo spesso in giro tra Roma, Milano, tangenziali, autostrade e non c’è un giorno che non ci ritroviamo a com-
mentare qualcosa di orribile che abbiamo visto. Grazie a Dio qualcosa di orribile che abbiamo visto e non che abbiamo commesso, incidenti avvenuti o scampati per miracolo, provocati da comportamenti scellerati. Non credo più al fatto che l’automobilista debba ancora essere informato: sono un vostro lettore sin da ragazzo e voi avete cominciato la campagna sulla sicurezza
A fianco, Gerry Scotti con l'allora coordinatore di GuidaSicura Quattroruote, Duilio Truffo. In basso, un momento dell'inaugurazione della nostra pista, nel 1995, con la simulazione di un crash test: a Gerry Scotti era stato affidato l'intrattenimento
quando dovevo ancora prendere la patente. È un tema ricorrente della vostra testata, di questo vi deve essere reso merito. Pure la televisione ci torna sopra appena può, i telegiornali anche… certo che se poi l’80% degli intervistati in macchina non indossa la cintura di sicurezza… abbiamo già capito, no? Questa sua attenzione per la sicurezza non è un fatto recente, vero? Non che la giovinezza mi tenesse lontano da questo tema, ma allora eravamo tutti più fatalisti. Ogni tanto con gli amici ci diciamo: «Ma ti rendi conto che andavamo in quattro con i bagagli all’Isola d’Elba su una 500?» Al di là dello starci dentro, la macchina era una scatoletta di lamiera con i freni a tamburo, senza airbag, senza cinture di sicurezza… Se davvero non ci è successo niente di clamoroso quand’eravamo ragazzi, era proprio perché qualcuno ci proteggeva guardandoci dall’alto. Adesso come adesso, quando guardiamo le caratteristiche delle macchine di quel
periodo, ci rendiamo conto che era facilissimo farsi male anche per delle minime cose. È evidente che l’attenzione alla sicurezza è un atteggiamento che si rafforza dopo molti anni di guida. Negli anni 80 e 90, quando è esplosa la mia popolarità, ero uno di quelli che con la propria macchina faceva 150-200 mila chilometri l’anno. Ma, devo confessartelo, una maggiore sensibilità al tema della sicurezza mi è venuta quando sono diventato padre (nel 1992, ndr). Perché, automaticamente, sono anche diventato un automobilista che doveva trasportare un bambino. E mi sono accorto che avevo tantissimi atteggiamenti che non erano prudenti. Ho cominciato a cambiarli in quel momento, cioè da quando mio figlio è venuto al mondo. Le sembra cambiata la coscienza collettiva degli automobilisti? Il traffico dagli anni 80 a oggi è esploso al cubo, con tutte le problematiche che ne conseguono. E non è che
la coscienza civile degli automobilisti o degli italiani, se vuoi, si sia nel frattempo così sviluppata. Mi sembra che qualcuno si ostini a guidare in un mondo “2.0” come se fossimo ancora negli anni 60 e questo non è più tollerabile. I comportamenti non sono andati al passo delle problematiche e dei cambiamenti: le auto di adesso sono molto più sicure, ma se tu non sei prudente, non è che la macchina ti corregge. Per esempio, si vedono ancora bambini trasportati in modo scorretto... Quando vedo una signora al semaforo, magari al telefonino – vabbè, chi
Guida sicura in videocassetta
A scuola con l'automobilista medio Gerry Scotti fu il testimonial del video corso di guida sicura pubblicato con il numero di Quattroruote del novembre 2001. Il popolare presentatore lombardo accettò volentieri di recitare la parte dell'automobilista medio, con tutto il bagaglio di cattive abitudini, alle prese con le situazioni d'emergenza. Sia
pur con il tono leggero delle sit-com, il corso illustrava, con la precisione e il rigore tipici di Quattroruote, i comportamenti corretti da tenere al volante e dava suggerimenti su come reagire in caso di pericolo. Le riprese delle tecniche di guida sicura vennero effettuate sulla nostra pista di Vairano (PV).
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Classe '56 Gerry Scotti
Gerry Scotti è “porschista” da molti anni e ha posseduto svariate generazioni della 911, fino all'attuale 991, una Carrera Coupé a trazione posteriore «perché con l'integrale sono bravi tutti»
è senza peccato... – e un bambino piccolo non legato, che sta inginocchiato sul sedile davanti con le manine sul cruscotto e la faccina a tre centimetri dall’airbag, io non resisto. Suono e grido: «Signora, il bambino!». Tante rispondono: «Ah, signor Gerry, ma no, tanto sono arrivata». Tante altre sono un po’ scocciate e qualcuna mi dice: «Ma si faccia i fatti suoi, è figlio mio e lo trasporto come voglio io». Ecco, questi sono i nuovi reati, che commettiamo regolarmente tutti i giorni, mettendo a repentaglio la nostra sicurezza e quella degli altri. A che cosa attribuisce la sua attenzione per la sicurezza? Nasce dall’essere appassionato, nasce dal fatto di aver percorso tanti chilometri, nasce bene o male dall’appoggiare il sedere in macchina ogni giorno, dall'avere una famiglia con moglie e figli che usano tutti l’automobile. È un problema che sento quello della sicurezza, anche a casa: «Hai guardato qui, hai
messo le gomme là, hai controllato...», voglio dire, è un tema ricorrente. Bisogna comportarsi con la coscienza della sicurezza, non devi essere allarmato, anzi. Secondo me uno sempre allarmato è un guidatore un po’ pericoloso ed è il contrario di un automobilista sicuro. La sicurezza è la tua tranquillità di aver fatto le cose per bene. Qual è il suo modo di sentirsi sicuro? Non ho ancora parlato dei comportamenti alimentari. Tu sei lì che dici a tuo figlio: «Ah, quando esci la sera, mi raccomando, se bevi non guidare e se guidi non bere», e poi magari ti fermi all’autogrill, pensi di essere nel giusto e nel corretto e con il panino ti spari una birra e poi magari anche il caffè con l’amaro sopra e ti rimetti alla guida. Sì, saranno le quattro di pomeriggio e non è detto che gli incidenti capitino solo di notte, probabilmente anche tu hai ecceduto con il quantitativo di alcol, eccetera eccetera. La sicurezza deve diventare una norma di comportamento, di
Le prime macchine
Sulla 2CV ho fatto di tutto Dopo la 500, una Dyane e una Mini usata, Gerry Scotti negli anni 80 compra una Citroën 2CV nuova: «È stata una macchina che ho goduto in maniera clamorosa, ci sono andato ovunque, proprio come vuole la storia di questo modello: ho fatto esattamente le cose che cantava Baglioni, ho vissuto
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avventure, sono andato in giro, lì dentro ho dormito, mi sono fidanzato, ho fatto l’amore… Poi l’ho venduta, l’ho immolata per un'auto che mi ha fatto prendere molto in giro dai miei amici, una 127 D. Forse avevo già sviluppato il senso del risparmio e non volevo sfoggiare a tutti i costi una macchina da sborone.
Dopo, però, è arrivata la prima macchina con la “M” maiuscola ed è arrivata proprio in quegli anni lì: nell'84-85 ho comprato – forse perché nel frattempo cominciavo anche a guadagnare – la Golf GTI. Ancora oggi, se dovessi scegliere al volo una macchina per sempre, ti direi la Golf GTI».
abitudine. Quando andiamo in giro, cerchiamo di evitare pranzi abbondanti, se ci fermiamo per un panino o per un toast prendiamo casomai una coca-cola, che ha un po’ di caffeina che ci tiene svegli. Cerchiamo, nella tratta MilanoRoma, per dirne una che facciamo spesso, di fermarci un paio di volte: con la scusa di fare la pipì ci sgranchiamo le gambe, ci ossigeniamo, beviamo un caffè, mangiamo uno snack, ci muoviamo un attimo… Ecco, è meglio metterci mezz’ora in più, ma agire in questa maniera piuttosto che metterci mezz’ora in meno e arrivare stravolti. Che voto si dà come guidatore? Beh, otto! Otto è un voto che mi ha sempre soddisfatto a scuola, nella vita, nel mio lavoro. Otto. Non mi do un nove, non mi do un dieci perché so che non sono esente da difetti, da disattenzioni, da pecche… so che posso ancora migliorare, che la mia coscienza di automobilista può ancora migliorare. Per esempio, sono molto attratto dalle ibri-
molto attratto dalle ibride “ eSono dalle elettriche: nei prossimi anni una delle mie auto dovrà avere queste caratteristiche„
de e dalle elettriche: sono vetture che presumono che tu abbia fatto tutto un ragionamento sull'utilizzo dell'auto e può darsi che quel ragionamento si riveli essere qualcosa di più della sola coscienza verde: in fin dei conti, non le compri solo per il rispetto per l’ambiente, di dove vivi, dei tuoi figli, della tua comunità. Se le prendi, automaticamente forse migliorerà anche il senso e la pratica della sicurezza. Penso che per i prossimi acquisti mi orienterò su macchine così. Sono appena tornato da una magnifica esperienza con un mio amico che mi è venuto a trovare in Danimarca con la Tesla Model S: è partito da Milano e ha fatto 1.600 chilometri… Io l’ho potuta guidare poco, siamo stati in giro soltanto in una parte della Danimarca e della Svezia, due Paesi molto attrezzati per chi utilizza quel tipo di vetture… Dopo aver avuto la possibilità di provare i più recenti modelli ibridi ed elettrici, penso che inevitabilmente, nei prossimi anni, una delle mie auto dovrà avere queste caratteristiche. Carlo Di Giusto
«Mi vedrete ancora per un po' di tempo», ci ha assicurato a microfoni spenti Gerry Scotti, smentendo così chi ipotizzava un suo abbandono della TV una volta compiuti i 60 anni (il prossimo 7 agosto). Dal gennaio 2016, il popolare presentatore conduce su Canale 5 il quiz preserale Caduta libera!
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DA OLTRE 70 ANNI SIAMO A FIANCO DEGLI AUTOMOBILISTI.
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FIAMM MOBILITY P POWER SOLUTIONS SODDISFA IL BISOGNO DI ACCUMULO MULO DI ENERGIA NECESSARIA ALLA MOBILITÀ DI OGGI E DI DOMANI. Dal 1942 FIAMM produce in Italia accumulatori per avviamento per Auto, Moto e Veicoli Commerciali per le maggiori case automobilistiche e per il mercato del ricambio. Una storia di successo per le automobili di ieri, di oggi e per quelle di domani.
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1986 − 1996 L'icona del decennio
Mercedes 190 Stile, sicurezza e tanta tecnologia in formato compatto: con questi ingredienti la Casa di Stoccarda va alla conquista di una fascia di mercato che fino ad allora ignorava
La modernità del progetto 190 si riscontra anche nello studio aerodinamico della carrozzeria: il Cx è 0,33 e i benefici su consumo e confort si vedono tutti
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L'icona del decennio Mercedes 190
Nessuno lo direbbe, ma sotto questa specie di trespolo con le ruote si cela parte della meccanica della nuova vettura in fase di studio. Prove continue (e costose) che non lasciano nulla al caso: a Stoccarda non vogliono rischiare un flop
uando, nel 1986, Quattroruote è una brillante trentenne che si è già distinta nel mondo dell’editoria, la Mercedes 190 si trova nel pieno della sua vita. Arrivata sul mercato tre anni Mercedes. Già sul finire degli anni 70, inprima, continua a riscuotere un consifatti, a Stoccarda studiano la possibilità stente consenso di pubblico e si è già di sviluppare un modello di fascia media, ritagliata un posto nella storia automouna compatta che per dimensioni e prezbilistica grazie allo stile e a contenuti zo possa andare alla conquista di un tertecnici di assoluto rilievo. ritorio mai esplorato prima di allora. Un Negli anni 80 si respira un’aria frizzansacrilegio per alcuni cultori del marchio, te, densa di vitalità e creatività in grado di una necessità per la stimolare idee inedite e Linea pulita, elegante, Mercedes, decisa a generare attività e ricsenza fronzoli. Ma sotto svecchiare la clientela chezze. In quel periodo la moderna carrozzeria si cela acquisendo i nuovi giosono in tanti a trovarsi una tecnologia di prim'ordine. vani rampanti. I quali, nella condizione di diInsomma, una vera Mercedes dal canto loro, non vesporre di molto più dedono l’ora di mettere naro del solito ed è a in mostra lo status acquisito con una belquesti “nuovi ricchi” che le Case guardano la stella a tre punte sul cofano. con attenzione: l'obiettivo è di acquisire clienti proponendo novità in linea con i guNata per sedurre sti e le tendenze del momento. Più piccola e meno costosa, dunque, Un target che fa gola anche a un coma pur sempre una Mercedes: così prende struttore tra i più tradizionalisti come la
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Bruno Sacco
Tutta mia, dall'idea al prototipo Ha passato 41 anni a disegnare Mercedes, Bruno Sacco, classe 1933, udinese di nascita, ma è negli anni 80 e 90 che dà il meglio di sé. Per sua stessa ammissione, la lunga militanza con la stella a tre punte gli ha indotto una sorta di deformazione professionale: non avrebbe potuto disegnare per un'altra Casa. Una coerenza
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che si riscontra nel fil rouge stilistico che lega le sue creazioni, dalla Serie S (W126) alla 190 (W201), passando per la SEC, dalla Serie 200 (W124) alla SL (R129). Tra queste è proprio la piccola 190 una di quelle a cui Sacco è più legato. Il motivo? È un modello che ha rappresentato un punto di svolta, qualcosa di davvero
nuovo e del quale lo stilista friulano ha avuto la piena responsabilità, anche a livello concettuale. Le linee tese, i contorni precisi e le superfici che s'intersecano come le sfaccettature di un diamante donano alla 190 un'immagine moderna. «Ancora oggi», rileva con soddisfazione Bruno Sacco, «è una bella macchina».
forma l'idea della nuova, rivoluzionaria vettura, la W201, più nota come 190. I concetti ispiratori vengono elaborati dalla mente di Bruno Sacco, che partorisce una linea pulita, elegante, senza fronzoli: lui stesso, qualche anno dopo, la definirà «seducente». Tratti distintivi sono il muso con il tipico radiatore della Casa, sormontato dalla stella, la fiancata sottolineata da nervature e listelli, la coda tronca, moderatamente alta, con andamento rastremato. In 4,42 metri di lunghezza, lo stilista riesce a dosare i tre volumi e gli sbalzi con gusto e senso della proporzione. Un design talmente riuscito da ispirare anche i modelli a seguire, primo tra tutti la Serie 200 (W124).
Un primato tecnologico Ma la 190 non è soltanto immagine. Da buona Mercedes, mette sul tavolo
Nel 1987, l'arrivo del turbo sulla 190 2.5 a gasolio viene sottolineato con queste branchie sul parafango. Tutto l'opposto di quello che si faceva cinque anni prima (foto a sinistra), quando i prototipi in prova, camuffati, cercavano l'anonimato
Sopra, un giovane padre con i suoi figli e una 190: l'immagine (del MercedesBenz Classic) rappresenta in pieno lo spirito di questo modello nato per incontrare i gusti di una clientela moderna. A destra: un alettone sulla sommitĂ del bagagliaio permette d'identificare subito la potente 190 E 2.3-16. Una curiositĂ : le tre nervature sui fari posteriori servono a limitarne l'imbrattamento
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L'icona del decennio Mercedes 190
Gare e record
Anima sportiva Nel 1989, la 190 E 2.5-16 Evo II tocca la vetta dei 235 CV (e i 250 km/h) rafforzando l'immagine dinamica della gamma. Ma già qualche anno prima la piccola Mercedes si era ricoperta di gloria. Nell'agosto del 1983, a Nardò (LE), una 190 E 2.3-16 (foto sopra) copre la distanza di 50.000 km alla media di 247,939 km/h, stabilendo tre record del mondo e nove di categoria.
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È il risveglio dell'anima sportiva erede delle Frecce d'argento degli anni 30 e il ritorno alle gare di Turismo. Il legame con lo sport viene poi sancito anche con iniziative come la gara inaugurale sul nuovo Nürburgring del 12 maggio 1984: 20 top driver si sfidano al volante di altrettante 190 E 2.3-16, tutte uguali. Vince l'allora emergente Ayrton Senna (foto a destra).
Il livello delle finiture “ è adeguato alla classe delle vetture Mercedes. All'esterno non si nota alcun difetto„ Quattroruote - Giugno 1986
anche tanta tecnologia. La scocca è costruita con acciai altoresistenziali per contenere il peso e incrementare la robustezza. Negli anni 80 il tema della sicurezza diventa sempre più di attualità e la piccola di Stoccarda, la “baby Benz” come viene affettuosamente soprannominata, è già in grado di superare una delle prove più terribili per un'auto: l'urto frontale asimmetrico a 55 km/h. Di altissimo livello, poi, la sicurezza attiva, grazie a una stabilità e a una tenuta di strada da riferimento. Il segreto? Una sospensione posteriore a cinque leve (multilink) che per la prima volta viene usata su una vettura di serie. Un capolavoro d'ingegneria (e di messa a punto) capace di guidare la ruota durante tutta la sua escursione in maniera estremamente precisa, assicurandole sempre il miglior contatto con il suolo. Degni partner di una così raffinata sospensione sono lo sterzo pronto e preciso e la taratura tendente al rigido di molle e ammortizzatori. Ciliegina sulla torta, la possibilità di montare l'Abs (optional all'inizio, di serie
in seguito). Qualche anno dopo il lancio arrivano anche l'airbag (lato guida) e il differenziale a bloccaggio automatico.
Dieci anni sulla breccia La carriera della 190 termina nello stabilimento di Brema nell'agosto del 1993, dopo dieci anni e 1.879.629 esemplari prodotti: a conti fatti, si tratta di uno dei modelli di maggior successo della Mercedes. La striminzita gamma degli inizi (due motori a benzina e un diesel, tutti 2.0 litri) si è arricchita nel corso degli anni di un inedito propulsore “entry level” da 1.8 litri, di nuove versioni sportive da 2.3 fino a 2.5 litri (a 16 valvole) e di due diesel da 2.5 litri, un aspirato e un turbo. Nel 1988, un restyling rinfresca l'immagine: compaiono fascioni laterali protettivi in tinta con la carrozzeria e altre modifiche di dettaglio. Anche l'abitacolo viene rinnovato, per diventare più accogliente e funzionale. Sulle benzina arriva pure il catalizzatore, ma ormai la Classe C – la vettura che la sostituirà – è già sulla rampa di lancio. Cosimo Murianni
In questa brochure dell'epoca sono elencati i principali dettagli tecnici che assicurano la piena affidabilità nel tempo della 190. Oggi lo si dà per scontato, ma allora avere, per esempio, lamierati zincati, la protezione del fondo in Pvc o gli scatolati trattati con la cera era sinonimo di eccellenza. Quello che si aspettava – e ci si aspetta – dalla Casa tedesca
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Le prove di Quattroruote
Mercedes 190 D 2.5 - giugno '86
Arriva il cinque cilindri e il diesel prende fiato La prima versione a gasolio piace, ma i 72 cavalli del 2.0 sono un po' pochi. E allora, nel 1986, debutta un nuovo e più prestante motore 2.5 da 90 cavalli a 190 2.0 diesel degli esordi si fa notare per i consumi ridotti e la grande silenziosità del motore. Quest'ultimo, tuttavia, con i suoi 72 cavalli di potenza, appare sottotono rispetto alla caratura dell'auto. Per questa ragione, nel 1986, arriva sul mercato un nuovo propulsore da 2.5 litri a cinque cilindri, capace di esprimere 90 cavalli. Quando Quattroruote prova la vettura nel giugno dello stesso anno, trova molte conferme e alcune novità. Sotto diversi profili è la “solita” 190: linea elegante, qualità costruttiva e finiture di alto livello, stabilità e tenuta di strada notevoli, sterzo leggero e preciso. Come la 2.0 D, è ancora cara e con una dotazione di accessori di serie scarsa: solo la quinta marcia, che prima si pagava a parte, adesso è compresa nel prezzo. Tra le conferme c'è anche l'abitacolo ben curato, con il posto di guida che, sebbene sia condizionato dal volante di grande dia-
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metro, permette a ogni conducente di trovare la giusta posizione. E pazienza se lo spazio dietro non è abbondante e si sta davvero comodi soltanto in due. La novità di questa versione (che all'esterno si riconosce esclusivamente per la targhetta sul baule) è il motore. La prova evidenzia i benefici della maggiore potenza a disposizione, anche se per ottenere un certo brio è necessario spremere un po' il propulsore. Ne soffre la ripresa, ma ci si consola con il confort di marcia garantito dal funzionamento silenzioso e privo di vibrazioni. A proposito di confort: rispetto alle prime 190, le sospensioni sono state ammorbidite per meglio assorbire le irregolarità della strada. Il tutto stando attenti a non aumentare troppo rollio e beccheggio, per non alterare l'ottimo equilibrio dell'autotelaio. Una modifica vincente, considerato che la 190 D 2.5 si guadagna cinque stelle sia in stabilità sia in tenuta di strada.
SCHEDA TECNICA MOTORE • Anteriore longitudinale, diesel • 5 cilindri in linea • Alesaggio 87,0 mm - Corsa 84,0 mm • Cilindrata 2.497 cm3 • Potenza max 66 kW (90 CV) a 4.600 giri/min • Coppia max 154 Nm a 2.800 giri/min
TRASMISSIONE • Trazione posteriore • Cambio manuale a 5 marce • Pneumatici: 185/65S R15
CORPO VETTURA • Berlina 3 volumi, 4 porte, 5 posti
AUTOTELAIO • Avantreno MacPherson, molla elicoidale, barra stabilizzatrice • Retrotreno a ruote indipendenti, schema multilink a 5 leve • Ammortizzatori idraulici • Freni a disco sulle quattro ruote • Sterzo a circolazione di sfere • Serbatoio 55 litri DIMENSIONI E MASSA • Passo 266 cm • Carreggiata ant. 143 cm, post. 141 cm • Lung. 442 cm - Larg. 167 cm - Alt. 139 cm • Massa 1.175 kg
Il posto di guida è ben realizzato e confortevole, nonostante l'imbottitura rigida dei sedili. La plancia appare un po' spoglia, ma è fatta con cura e i comandi sono tutti accessibili. Più a destra, la sospensione posteriore multilink: una innovazione di grande pregio
VELOCITÀ massima (km/h)
CONSUMO
174,862 km/litro
FRENATA
metri
LA PAGELLA
da 100 km/h
44,3
POSTO GUIDA
RUMOROSITÀ
dB(A)
a 90 km/h
19,1
70
71
a 120 km/h
13,6
90
73
-
120
78
medio
ACCELERAZIONE
velocità
RIPRESA
Grazie alle regolazioni del sedile, è sempre
★★★★ possibile trovare la posizione di guida idonea. COMANDI
Ben fatti e accessibili. La leva multiuso al lato
★★★★ del piantone serve per frecce, devioluci e tergi. CLIMATIZZAZIONE Impianto completo e raffinato. Possibilità
★★★★★ di regolazione separata destra/sinistra. VISIBILITÀ
velocità
0-60
5,9
70-80
4,5
0-100
14,2
70-100
13,4
1 km da fermo
35,3
70-120
24,1
In marcia non ci sono limitazioni. Solo la coda
★★★★★ un po' alta riduce la visibilità in retromarcia. FINITURA
Il livello è adeguato alla classe delle Mercedes.
★★★★★ Buona plastica e tessuti di qualità montati con cura. ACCESSORI
La dotazione di serie non è ricca: c'è solo il
★★★ servosterzo. Ben fornito l'elenco degli optional. ABITABILITÀ
Ospita con comodità soltanto quattro persone.
★★★★ Sedili comodi, ma un po' rigidi. BAGAGLIAIO
Vano di forma regolare accessibile e ben
★★★★ rivestito. Si caricano 450 litri di valigie. CONFORT
Le sospensioni svolgono bene il loro compito.
★★★★ Rollio e beccheggio non troppo pronunciati. MOTORE
Potente in rapporto alla cilindrata. Silenzioso,
★★★★ ma un po' pigro in ripresa. ACCELERAZIONE
Buoni scatti con partenza da fermo, ma a patto
★★★★ di sfruttare a fondo la meccanica. RIPRESA
Solo discreta in rapporto alla categoria. Le marce
★★★ superiori si mantengono anche a bassa velocità. CAMBIO
Rapporti piuttosto corti, ben scalati tra di loro.
★★★★★ Ottima manovrabilità. Efficiente sincronizzazione. STERZO
Buona la leggerezza in marcia e in manovra.
★★★★★ Ottima prontezza e precisione. FRENI
Impianto a quattro dischi che garantisce spazi
★★★★ di arresto contenuti. Pedale ben modulabile. SU STRADA
Comportamento neutro. Tenuta e stabilità
★★★★★ di strada sicura e affidabile in ogni condizione. CONSUMO
Abbastanza contenuto sia a velocità costante
★★★★ sia nell'uso normale, grazie all'aerodinamica. PREZZO
- Voce non contemplata dalla pagella dell'epoca.
Costava 28.733.000 lire: non poco.
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Le copertine di Quattroruote
1986 Marzo
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365 1986 Aprile
366 1986 Maggio
367 1986 Giugno
368 1986 Luglio
369 1986 Agosto
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376 1987 Marzo
377 1987 Aprile
378
1986 Settembre
371 1986 Ottobre
372 1986 Novembre
373 1986 Dicembre
374 1987 Gennaio
375 1987 Febbraio
1987 Maggio
379 1987 Giugno
380 1987 Luglio
381 1987 Agosto
382 1987 Settembre
383 1987 1987 Ottobre 384 Novembre
385 1987 Dicembre
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1988 Gennaio
387 1988 Febbraio
388 1988 Marzo
389 1988 Aprile
390 1988 Maggio
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1986− 1996
1991 Maggio
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Dagli anni 80 a oggi il traffico “ è esploso, ma la coscienza collettiva
degli automobilisti non è stata al passo 1996 Gennaio
483 1996 Febbraio
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Gerry Scotti - Conduttore televisivo
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L’AMBIENTE RINGRAZIA LA SENSIBILITÀ “VERDE” ”
Dieci anni nel mondo 1956
1996
19 novembre Storica visita in Vaticano di Fidel Castro, ricevuto da papa Giovanni Paolo II
31 agosto
1997
Parigi, Lady Diana muore in un incidente automobilistico
1965 1966
3 febbraio
1998
Un aereo militare Usa trancia i cavi della funivia del Cermis: 20 morti
21 marzo Oscar a Roberto Benigni migliore attore protagonista per il film "La vita è bella"
1999
1975 1976
15 agosto 15
2000
Roma, alla Giornata della Gioventù partecipano oltre 2 milioni di giovani da tutto il mondo di
11 settembre New York, terroristi islamici dirottano 2 aerei e colpiscono le Twin Towers: 3.000 morti
1985 1986
2001
1 gennaio g In dodici Paesi dell’Europa entra in vigore l’Euro
12 novembre
2002
Nassiriya (Iraq), attentato al quartier generale dei carabinieri: 19 morti
1995
1996
4 febbraio
2003
Mark Zuckerberg crea Facebook
26 dicembre Uno tsunami si abbatte sulle coste del Sud-Est asiatico: 400 mila i morti
2004
2005 2006
2 aprile Muore papa Giovanni Paolo II. Cinque milioni di persone re endono omaggio alla salma
2005
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1 agosto In tutta Europa scatta il divieto di fare pubblicità al tabacco
1996 − 2006 Come eravamo
La Terra si surriscalda e l'auto cerca nuove strade Il cambiamento climatico, a cavallo del terzo millennio, spinge i costruttori verso soluzioni innovative. E se l'elettrica è ancora acerba, debutta l'ibrida li anni 90 sono quelli della lotta allo smog e della ricerca della pietra filosofale: l’auto pulita. C’era stata la prima guerra del Golfo, nel 1990, e c’erano stati gli scossoni nel prezzo del petrolio, ed è chiaro a tutti che dipendere da satrapi mediorientali non è il massimo per gli anni a venire. Gli americani tentano diverse strade: nel 1993 il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, due anni prima di dedicarsi ad altre pratiche per cui sarebbe passato alla storia, dà vita al Pngv, il Partenariato per una nuova generazione di veicoli, un programma di ricerca congiunta fra il governo e le principali case automobilistiche. Dopo essere andati sulla Luna, gli States vogliono mantenere la leadership nella nuova sfida tecnologica: la vettura pulita. Nel frattempo, altre leggi, negli Stati Uniti, costringono a scommettere sull’elettrico puro: l’approvazione del Clean Air Act Amendment nel 1990 e dell’Energy Policy Act nel 1992 rinnovano l’in-
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teresse verso l’auto a batteria. E anche il California Air Resources Board introduce un regolamento che obbliga i costruttori a produrre un veicolo totalmente elettrico, pena il divieto di vendere nello Stato. La California diventa in quegli anni la terra promessa per tutti gli estremisti della marmitta. Seguendo il sogno californiano di un’auto solo a batterie, nel 1996 la General Motors presenta la GM EV1, una vettura elettrica a due posti che non viene venduta, ma data in leasing ai clienti, e che si rivela però un clamoroso flop dal punto di vista contabile per la casa pro-
duttrice. Dopo cinque anni e circa 2.500 esemplari prodotti, troppo cari e troppo in perdita, la GM ritira tutte le macchine, mandandole in demolizione, e intanto pure il legislatore californiano si rende conto dell’assurdità; un tribunale stabilisce l’illegittimità dell’obbligo di produrre l'auto elettrica (sulla storia di quegli anni e della GM EV1 nel 2006 esce un documentario intitolato “Who killed the electric car?”, ovvero “Chi ha ucciso l’auto elettrica?”, in cui compaiono Tom Hanks, Mel Gibson e Martin Sheen). Mentre gli Stati Uniti si scervellano tra diritto a scorrazzare al volante di Suv giganti e ossessione delle emissioni
Alla Conferenza internazionale sul clima di Kyoto, nel '97, viene redatto l'omonimo protocollo, entrato definitivamente in vigore nel 2005. Prevede l'impegno, da parte dei 175 Paesi che lo hanno ratificato (gli Stati Uniti non sono fra questi), a ridurre le emissioni di gas serra, responsabili del surriscaldamento globale, in misura non inferiore all'8% rispetto a quelle del 1985
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Come eravamo L'attenzione del pubblico e dei media sul cambiamento climatico comincia ad accentuarsi a cavallo del nuovo millennio. Vengono lanciate anche diverse campagne di sensibilizzazione rivolte ai governi (come queste, realizzate da Greenpeace)
zero, anche in Giappone si cerca il miracoloso motore pulito. Pure Toyota e Honda puntano sull’elettrico puro, ma è un fallimento, complici batterie pesanti 500 chili che rendono l’auto alla spina improponibile. Tornando indietro, a spingere per la grande cavalcata ecologista era stata anche la Conferenza di Rio del 1992 e poi, soprattutto, quella di Kyoto del 1997, che porta a un accordo “monstre”, quel protocollo che impegna tutti (ma non gli Stati Uniti, che non lo ratificano) a tagliare le emissioni dell’8% entro il 2012, mentre l’Unione europea s'impegna ulteriormente a produrre auto me-
no inquinanti. Nascono in quegli anni gli standard Euro, con l’Euro 1 e i suoi fratelli, e la sensibilità ambientale diventa gradualmente un tema di massa, mainstream. Anche in Italia, dove i Comuni cominciano a chiudere le aree centrali e a imporre divieti, zone a traffico limitato, isole ambientali.
Come ti alimento il mercato A Roma, a Bologna e in altre città, il nucleo storico viene chiuso alle automobili e presidiato da telecamere (che si riveleranno, poi, un ottimo strumento per tutelare, oltre che l'ambiente, anche i bilanci delle amministrazioni locali).
Il miraggio dell'aria compressa
Speranze al vento Il nome evocativo (Eolo) e il curriculum del progettista (Guy Nègre, un passato in Formula 1) lasciavano ben sperare per il futuro dell'auto ad aria compressa. E invece è stato uno degli “epic fail” d'inizio secolo. Al Motorshow di Bologna la vettura debuttò con aspettative grandiose, costi di gestione irrisori e
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allo scarico... nient'altro che aria. Quattroruote ebbe il privilegio di provarla nel 2001 presso la MDI; e di stroncarla, visto che in un chilometro si era fermata per ben due volte a causa della formazione di ghiaccio nei tubi. Il bilancio energetico, inoltre, per ovvie ragioni non stava in piedi: per comprimere l'aria
serviva molta più energia di quella che si poteva poi trasformare in movimento. La Eolo non è mai entrata in produzione; nel 2007 il brevetto è stato acquistato dalla Tata Motor.
Le porzioni di territorio cittadino precluse alle vetture, agli inizi degli anni 2000, si allargano sempre più: via via che le normative Euro richieste per le auto nuove s'irrigidiscono, salendo di numero (nel 1997 diventano obbligatorie le Euro 2, dal 2001 è la volta delle Euro 3, dal 2005 delle Euro 4), si aggiornano anche i divieti, estesi a categorie sempre più ampie di veicoli. Un meccanismo che ha tra i suoi effetti anche quello di alimentare il mercato: dopo il crollo che si era registrato tra il 1994 e il 1996, in seguito soprattutto alla svalutazione della lira, a partire dal 1998, complici anche le prime campagne d'incentivi statali alla rottamazione volute dal governo per rinnovare il parco in circolazione, le vendite schizzano a quota 2,4 milioni, livello che si mantiene quasi costante fino al 2007, anno in cui si segna il record, sfiorando i 2,5 milioni, appena prima dell'arrivo della grande crisi. Tornando alle aziende, dalla metà degli anni 90 iniziano a porsi il tema della sostenibilità, mentre all’orizzonte ar-
LA GM EV1, veicolo a batteria a due posti prodotto dalla General Motors dal 1996. La vettura non era in vendita: veniva offerta ai clienti in leasing. Ne furono realizzati 2.500 esemplari, ma, anche a causa dei costi elevatissimi, fu un flop: venne ritirata dal mercato nel 2001
rivano grossi produttori come la Cina. Il 5 ottobre 2000, alla conferenza internazionale di Greenpeace, il presidente della Ford, Jacques Nasser, tiene un discorso rivoluzionario: «Siamo a un punto cruciale nella storia del mondo. I nostri oceani e le nostre foreste soffrono; le specie stanno scomparendo; il clima sta cambiando. Personalmente ritengo che la sostenibilità sia la sfida più importante che l’industria dell’auto deve affrontare nel XXI secolo».
Soluzioni diverse Il mondo dell’auto si divide e ci riprova: qualcuno continua a studiare la soluzione dell'elettrica pura, l’Europa si concentra sul diesel pulito. Arriva il common rail, d'invenzione italiana,
ora, che riesca a conciliare salvaguare con il suo inedito sistema d'inieziodia ambientale, bassi consumi e prezzi ne elettronica il gasolio improvvisadi acquisto abbordabili. Nasce l’ibrido mente cessa di essere il brutto anadi massa. Il 27 ottobre 1995, la Toyota troccolo riservato ai furgoncini e alpresenta infatti il prototipo della Prius, le macchine del rappresentante di scarche in latino significa pe. Le prestazioni programmaticamenbrillanti garantite dai Il mondo dell'auto si divide: te “prima”, cioè “prinuovi propulsori, a qualcuno continua a studiare ma degli altri”. Così fronte di consumi ril'elettrico, in Europa si punta sarà: e infatti, poi, le dotti, fanno sbarcare sul diesel pulito, in Giappone vanno dietro tutti, o il diesel anche sulle si scommette sulla tecnologia grosse auto di rap- ibrida. Aprendo una strada che quasi, a partire proprio dalla madrepapresentanza. poi seguiranno tutti, o quasi tria. La Honda, pochi In Giappone, invemesi dopo, lancia la sua Insight, vettura ce, nello scetticismo generale, si punta dotata della tecnologia Ima (Integrated ‒ questa volta con più decisione ‒ motor assist), con consumi da record, sull’ibrido: gli ingegneri nipponici stuper l'epoca. Quella che sarà la rivoludiano quella che sarebbe diventata l’arzione ecologica è appena cominciata. ma-fine di mondo, l’unica soluzione, a Michele Masneri
L'obbligo del catalizzatore, introdotto nel 1993, non basta più. A partire dal 1997, il tema del riscaldamento globale pone una nuova sfida: trovare soluzioni per ridurre le emissioni
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1996 − 2006 Mondo Quattroruote
Quei reportage di viaggio sulle nostre pagine Fin dai primi anni della rivista abbiamo usato le auto per visitare il pianeta e raccontarvi le sue strade, le sue genti, le sue bellezze L'automobile è uno straordinario strumento di libertà. Permette di raggiungere i luoghi più impervi, nei tempi desiderati. Forte di questa convinzione, Quattroruote non si è mai limitata a sottoporne migliaia di esemplari a prove su strada e di durata, ma li ha anche utilizzati per raccontare ai propri lettori il mondo e le sue strade, permettendo a chi non può mettersi in viaggio, almeno di sognare. Nella memoria collettiva restano così impressi i servizi di un grande reporter come Nino Cirani che, negli anni 60, con le sue Land Rover ribattezzate Aziza attraversa l'Asia fino a Ceylon (oggi, Sri Lanka), l'Africa da Cape Town al Cairo, le Americhe dall'Alaska alla Terra del Fuoco. Ma anche le epoche più recenti riservano grandi emozioni.
Negli anni 2000, per esempio, i nostri giornalisti sono fra i protagonisti di tre raid leggendari che diffondono nel mondo il nome glorioso della Ferrari. Nell'ottobre 2005 portiamo una 612 Scaglietti da Lanzhou, metropoli da un paio di milioni di abitanti nel cuore della Cina, a Lhasa, in Tibet, regalando a Maranello uno dei suoi tanti primati: il Cavallino rampante svetta sul tetto del mondo, il passo Tanggula, a quota 5.231 metri. L'ottobre 2006 ci vede invece a bordo delle 599 GTB impegnate nel tratto sudamericano (da Belo Horizonte, in Brasile, a Lima, in Perú, scavalcando le Ande) del Panamerican Tour delle Rosse. Passano due anni e, nell'aprile 2008, è la 612 F1 a esibirsi in un viaggio non comune, questa volte sulle strade dell'India, da
Mumbai a Mysore, un migliaio di chilometri più a sud. Ma il sogno sulle strade del mondo non significa solo Ferrari: il tour più recente (dicembre 2015: 900 km di off-road nel bush dell'Australia) porta infatti il marchio della Land Rover.
Dalle strade della Cina (pagina a fianco), Tibet compreso, a quelle altissime della Bolivia (sopra): le automobili ci hanno permesso di raccontarvi le terre più lontane
Emilio Deleidi
Oltre che con i reportage di viaggio, Quattroruote ha voluto essere vicina ai propri lettori anche con una serie di pubblicazioni di grande utilità pratica: gli anni 2000 si caratterizzano, infatti, per la realizzazione di una nutrita serie di atlanti stradali, offerti insieme con la rivista
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Mondo Quattroruote
Uno sportello al servizio degli automobilisti Se le cose non vanno, cerchiamo di aiutarvi. Con risposte e consigli. Le vostre segnalazioni, invece, ci hanno permesso di scoprire i guasti ricorrenti La vita dei cittadini motorizzati non è mai stata facile. Tasse, persecuzioni fiscali, burocrazia, guasti non risolti, contratti non rispettati. Ma uno degli impegni che ci siamo presi, fin dalla nostra fondazione, è stato quello di rimanere al fianco dei lettori, come si dice durante i matrimoni, nella buona e nella cattiva sorte. Così, in migliaia, anzi in milioni, nel corso degli anni, vi siete rivolti a noi per cercare di risolvere un problema, dirimere una questione, ottenere il riconoscimento di un diritto. Abbiamo fatto da tramite con le case costruttrici, perorando le vostre cause e ottenendo per voi benefici concreti. Ma, fin dagli anni 60, abbiamo cercato di fare anche di più, prima istituendo il «tribunale degli automobilisti» per giudicare i modelli più popolari,
poi dando una veste statistica alle lamentele. Nascono così, negli anni 80, le schede per la segnalazione dei guasti: inserite in un'apposita banca dati, queste informazioni hanno permesso d'individuare le anomalie ricorrenti e di dar vita a rubriche come «Il difetto del mese», quando non originare veri e propri richiami da parte
delle Case. A più riprese, poi, abbiamo raggruppato problematiche individuali trasformandole in pagine dedicate ai «casi risolti». Oggi, ormai, la posta elettronica ha preso il posto di quella cartacea, ma il dialogo non si è mai interrotto, anche grazie alla preziosa collaborazione della nostra segreteria di redazione.
Montagne di schede per la segnalazione dei guasti: le informazioni, inserite in un'apposita banca dati, hanno permesso di denunciare i difetti ricorrenti delle auto
E.D.
Tutti insieme appassionatamente
Giochi senza frontiere In tanti, è meglio che da soli. Per dare un seguito a questa massima, già nel giugno 2004 abbiamo collaborato alla prima edizione del Master test (a fianco), sorta di super prova di nuovi modelli affidata a 25 giornalisti di 16 Paesi europei, dalla Francia all'Ucraina. Un modo per sottoporre
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le vetture a giudizi formulati sulla base di esperienze e culture automobilistiche differenti. Per la cronaca, a imporsi in quella prima occasione fu la Volkswagen Golf. L'iniziativa è stata ripetuta diverse volte; oggi, per una visione più ampia, ci affidiamo al nostro network di partner internazionali.
Mondo Quattroruote
La sicurezza in fondo al tunnel Nel '99, dopo la tragedia del Monte Bianco, realizzammo un'inchiesta che fece rumore Partire da uno spunto di attualità per realizzare un'inchiesta approfondita: fa parte da sempre dello stile giornalistico di Quattroruote. Tanto più quando il tema riguarda la sicurezza degli automobilisti e delle strade. Il 24 marzo 1999, per esempio, 41 persone persero la vita nel rogo sviluppatosi, a causa di un camion, nel tunnel del Monte Bianco. Subito dopo la tragedia, visitammo a tappeto gli altri trafori alpini (anche in Svizzera e Austria) e le centinaia di gallerie che punteggiano la viabilità del nostro Paese. E scoprimmo che troppe erano le carenze delle infrastrutture, ma anche le lacune normative. Basti dire che, all'epoca, non esistevano neppure disposizioni precise sui tunnel stradali e i tecnici dovevano fare riferimento
Nel disegno, fatto realizzare in occasione dell'incidente del Monte Bianco, le vie di fuga del traforo del Fréjus: dai rifugi lungo il percorso si accede al sovrastante canale dell'aria fresca, che permette di uscire in caso d'emergenza
a un generico testo ministeriale del 1988 relativo alla «prevenzione degli incendi nelle metropolitane». Da allora, in seguito al dramma del Monte Bianco, ma anche alle nostre denunce, molte cose sono cambiate: i principali trafori, compreso quello fresco d'inaugurazione della Variante di valico, hanno fatto notevoli passi avanti quanto a dotazioni di sicurezza e procedure previste in caso d'incidente. La guardia, però, non va mai abbassata, anche perché, nonostante i miglioramenti, i problemi aperti restano molti: sulle autostrade liguri, per esempio, o sul vecchio tracciato appenninico dell'Autosole, bisognoso d'interventi. E Quattroruote non smetterà di condurre le proprie inchieste sul campo, nel nome della sicurezza.
In alto, l'imbocco del traforo del Monte Bianco, dove il 24 marzo 1999 persero la vita 41 persone. Qui sopra, una galleria vicino a Genova: le autostrade della zona sono tuttora bisognose d'interventi
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1996 − 2006 Classe '56 Milano, 3 gennaio
Gioele Dix Ha fatto del suo personaggio un simbolo dell'Italia che al volante sfoga le proprie frustrazioni e lo ha trasformato in uno specchio nel quale ognuno di noi, almeno una volta, si è ritrovato. Allergico alle zone a traffico limitato, nemico del Tutor, l'attore ha dovuto adattarsi – come tutti – alle politiche ambientali. Senza rinunciare a quello che considera lo strumento di libertà per eccellenza: la macchina 60°
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Classe '56 Gioele Dix
Al secolo David Ottolenghi, Gioele Dix debutta a teatro misurandosi con i grandi classici, ma dedicandosi anche al cabaret. Nel 1987 crea il personaggio dell'automobilista incazzato, che lo accompagna sia sui palchi sia in tv, dove prende parte a numerose trasmissioni. È anche regista e autore di libri e spettacoli
iacca scura, occhiali da sole, aria piuttosto cattiva. Gioele Dix tutti lo ricordano così, nei panni dell’automobilista arrabbiato, protagonista delle sue gag. Ma definirlo comico è riduttivo: Dix, infatti, è un attore poliedrico, che passa con naturalezza dal cabaret ai grandi classici del teatro. Nonostante le variegate frequentazioni, però, all’automobile e al suo mondo resta molto legato, non solo per ragioni professionali, ma anche per una passione vera.
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Dalla metà degli anni 90 si è fatta largo la coscienza ambientale. È cambiato il suo modo di spostarsi? In quegli anni molti centri storici sono diventati inaccessibili. Una tendenza che era partita già prima, ma che si è consolidata. Sono cominciate a comparire Ztl, telecamere, divieti. Poi, è arrivato iI Tutor: il grande buio, la fine di ogni velleità. Per uno come me, che ha sempre considerato l’auto come un mezzo di libertà, è stato faticoso. La coscienza di cittadino e la
logica mi fanno pensare che il risultato sia buono, ma in quegli anni c’è stato lo shock più forte, indotto dal cambiamento. Io l’idea del traffico limitato la soffro molto. Anche perché, a mano a mano che passano gli anni, l’automobile è sempre più ghettizzata. Io, in verità, la uso come prima: sono un irriducibile. Nel 1996 è arrivata la Smart, che ha cambiato il modo di muoversi in città. È un emblema: amatissima da chi ce l’ha, odiatissima da quelli che non ce l’hanno, e quando cercano parcheggio ci trovano una Smart infilata dentro, che da lontano non si vede. O posteggiata in posizioni improbabili, in cui loro non potrebbero mai entrare. Io ne ho regalata una a mia figlia per i suoi 19 anni: l’ho comprata a lei per usarla io. Lo smartista va veloce, sguscia nel traffico, si sente una specie di ibrido tra un’auto e una moto. L’anno dopo è la volta della Prius, la prima ibrida: l’ha mai guidata? Le prime si notavano in mano ai tas-
L'automobilista incazzato
Un personaggio da terapia di gruppo L’ha creato nell’87, poi l’ha ripreso in tv, a Zelig, a partire dal 2007, aggiornandolo, con tutte le novità, dai limiti di velocità agli autovelox. L’automobilista incazzato è il personaggio più celebre di Gioele Dix, al quale l’attore ha dedicato anche due libri. «È nato per dare voce al mormorio,
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al mugugno tipico di chi è alla guida», spiega, «e anche dalla foto della mia psiche al volante, che mi pareva molto più negativa che nella realtà. Così, ho messo gli occhiali scuri e ho assunto quell’aria aggressiva. Temevo di essere equivocato, ma è stato un colpo di genio, perché la gente
ci si ritrovava. Gli voleva bene perché lo capiva. È diventato una specie di terapia di gruppo, un momento di autocritica. Quante volte per strada, dopo, ho incontrato persone che incominciavano a litigare, magari per uno sgarro, ma poi mi riconoscevano e si scioglievano in una risata».
sisti. La Prius non l'ho mai guidata, ma mi hanno dato una Suv Lexus in prestito per un periodo. Mi piaceva molto, soprattutto il fatto che fosse così silenziosa. Non sentivo il motore e all’inizio ero un po’ disorientato. È anche da lì che è cominciata la spersonalizzazione di un certo automobilismo. Ma è stato anche un bene. Oggi, pur con tutto il fascino
delle auto vintage, quando sali su una macchina degli anni 60, dopo dieci minuti non ne puoi più: la trovi scomoda. Che tipo di automobilista è? Non amo granché la velocità. Mi piacciono molto le macchine, i motori, ne seguo l’evoluzione tecnologica, ma non sono attratto dalle alte prestazioni. Ap-
prezzo la vettura come mezzo per me, per la famiglia, per spostarsi nel confort. Rimpiango certe auto che da ragazzino sognavo, come la Jaguar E-Type. Ma oggi la comprerei per tenerla sotto un telo e ammirarla ogni tanto. L’elettronica in quegli anni è diventata preponderante. Che rapporto ha con
la tecnologia di bordo? All’inizio ero contrario a tutti questi optional, che mi sembravano inutili, per persone pigre. Invece oggi se non hai il park assist non riesci a posteggiare. Ci si abitua in fretta alle comodità, come il navigatore satellitare o i fari allo xeno. Un tempo, mi sembravano un lusso eccessivo.
Uno dei libri di Dix. A sinistra, l'attore, per una volta nei panni di un pedone, in un servizio fotografico realizzato nel 2008 per Quattroruote. Nella foto in alto, è lungo la E45: ne aveva denunciato lo stato disastroso in un viaggio-reportage pubblicato sulle nostre pagine
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Classe '56 Gioele Dix
Sono diventato intollerante “verso chi taglia la strada, tiene
traiettorie folli, incurante degli altri. Non è possibile non rendersi conto di quanto sia pericoloso
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Lei dall’auto ha tratto grande ispirazione. Come le è venuta l'idea dell’automobilista incazzato? Quello è un personaggio che mi appartiene per due motivi. Primo, perché per me la macchina e la patente sono stati una svolta: da quando l’ho avuta, ho assaporato la libertà che mi dava e non ne ho più potuto fare a meno. Poi, io sono automobilista sin da bambino: custodivo le macchinine con gelosia... Una mia amica dell’epoca ancora oggi mi ricorda di quando veniva a trovarmi e non le era permesso entrare nella mia camera perché non volevo che nessuno le toccasse. Ho chiuso la porta a chiave: quello era il mio garage. L'aver dato vita alla figura dell'automobilista incazzato, però, ha messo in discussione il mio modo di essere al volante: non potevo più fare la macchietta, dovevo essere più tranquillo. Oggi l’automobilista è ancora incazzato o più depresso? È vessato. Quella vitalità che l’auto ha rappresentato per anni e che Monicelli
ha dipinto in modo magistrale ne “Il sorpasso”, un po’ smargiassa, ma vivace, si è persa. L’auto è associata a pensieri negativi: incidenti, traffico, inquinamento. È bandita. Però depresso no. Oggi è più responsabile, più attento agli altri. Il suo profilo, tutto sommato, è migliore. Racconta spesso che è quasi nato su una macchina… Quando stavo per nascere, mio padre ha portato mia madre in ospedale con la sua 600 verde. Anche lui, come me, era uno che all’auto non rinunciava mai. Nevicava, era gennaio, non ha pensato di chiamare un taxi: ha preso la macchina. Ma era agitato, così per poco non ha cappottato. E io, per una specie di nemesi, non ho mai imparato a mettere le catene. Il suo piano B, scrive nel suo sito, era aprire un autolavaggio: perché? È tra le cose del mio immaginario infantile che mi divertivano di più: andare a far lavare la macchina, in particolare in quei tunnel in cui ti permettevano di stare
a bordo. Era magico. Così, mi sono detto: se va male la carriera teatrale, apro un autolavaggio. In fondo, mi piace. Era un incubo, ovviamente, perché significava aver fallito come attore. Qual è stata la prima auto? Una Mini Minor, la seconda auto di famiglia. La prima che ho comprato, invece, era una Dyane, beige con gli interni marroni. Ci ho fatto tanti viaggi: Irlanda, Sicilia, Grecia, Spagna. Poi il grande cambio: una Golf nera con il tettuccio apribile. Era l’81: me l’hanno rubata dopo 21 giorni esatti. È stato allora che ho fatto la prima esperienza con le assicurazioni: improvvisamente la tua auto, pagata un sacco, vale la metà. Con i soldi recuperati, un po’ per l’amarezza, mi sono preso una Escort. Non una ragazza: all’epoca, era ancora solo una Ford. Era del 71, usata, bicolore, grigia e panna: era bruttissima, ma è la macchina che ho amato di più. Poi ne ho avute molte altre: una Renault 9, un Alpine, una A112, una BMW 520. Mi piaceva comprarle e rivenderle poco dopo.
Le sue passioni
Il V6 dell'Alfa Romeo e il V8 della Mustang Non ama le auto veloci, Gioele Dix, tranne qualche eccezione: come l'Alfa Romeo 164 3.0 V6. «Gran motore, ottima tenuta di strada», ricorda, «quella macchina mi ha dato grandi soddisfazioni. Che il Biscione, dopo, non abbia più fatto ammiraglie è un vero peccato. Ho avuto anche una Passat 3.0: berlina, molto low profile. Ti accorgevi della sua vera
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natura solo quando vedevi gli scarichi maggiorati. L'ho tenuta tre anni, poi l'ho ceduta a mio padre». Ma il vero batticuore è per la Mustang: «Mi piace in particolare il modello del 1968. Bellissima, grintosa, con quelle forme così americane, quel rumore pieno del V8. Ecco, sarebbe il regalo perfetto per i miei 60 anni».
Gioele Dix durante le prove di uno spettacolo teatrale. Nella pagina a fianco, un altro scatto del servizio realizzato sulla superstrada Ravenna-Orte nel 2008. «L'ho percorsa anche di recente», dice l'attore, «ma non mi sembra migliorata granché rispetto ad allora»
Si possono veicolare con le risate messaggi sulla sicurezza stradale? C’è ancora da fare, perché gli italiani, anche se sono migliorati, hanno sempre la tendenza a trasgredire. Ho fatto qualche campagna in passato, ma non credo che con una risata si possa fare cultura in questo senso: meglio la repressione. Le multe, però, fanno arrabbiare molto... Sì, perché ci sono gli eccessi. Gli 844 verbali che mi hanno rifilato su un maledetto cavalcavia di Milano dove vigono i 70 km orari (ma si potrebbe viaggiare in sicurezza a velocità molto più elevate) mi fanno inferocire. Certo, dopo tante multe, quando ci passo ora, metto il cruise control. Ma è una cosa idiota. L’automobilista s’incazzerà anche con l’autonoma? Non credo: l’italiano con la macchina non se la può prendere. È una sua alleata, una di famiglia. La educherà a riconoscerlo e a volergli bene. Anche perché sennò le taglia gli alimenti. Laura Confalonieri
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“Esso Supreme Diesel. Il secondo amore della mia vita.” Te lo consiglia Francesco. Provalo subito.
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Francesco Bonaventura è un meccanico di professione. Il gasolio Esso Supreme Diesel contiene un additivo detergente, rispetto al gasolio standard commercializzato dalla Esso in Italia, che contribuisce a pulire gli iniettori del motore diesel. Affermazioni basate su prove motori condotte internamente o da terze parti, e/o letteratura scientifica o di settore. La tipologia di motore, il comportamento di guida e altri fattori incidono sulla performance del veicolo e del gasolio e sulla misura dell’effettiva riduzione delle emissioni rispetto al gasolio standard Esso.
1996 − 2006 L'icona del decennio
Smart Non chiamatela utilitaria: la citycar tedesca, lillipuziana ma ricca di tecnologia, segna l'inizio di una nuova era. Anche se non riesce a diventare un successo commerciale
La vista dall'alto evidenzia l'ampia abitabilitĂ che la Smart offre per due persone, nonostante gli appena 2,5 metri di lunghezza. Il segreto sta nel compatto motore tre cilindri turbo, disposto trasversalmente al retrotreno
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L'icona del decennio Smart I collaudi della Smart sono stati effettuati in tutte le condizioni climatiche, dal gelo nordico al caldo torrido africano. Notare, nella foto, i pneumatici posteriori stretti, poi allargati prima del lancio commerciale a seguito del caso del test dell'alce della Mercedes Classe A
egli anni 50, in Europa, c’è un proliferare di microvetture: basti pensare all’italiana Isetta, alla meteora Vespa 400, alle tedesche Goggomobil e Messerschmitt Kabinenroller, per citare le più note. Tutte hanno un denominatore comune: sono automobili in sedicesimo, di basso costo, pensate per essere accessibili a un pubblico che non può permettersi un'utilitaria “normale”. Non a caso nascono tutte negli anni tra il 1953 e il 1958, quando l’Europa si rialza dopo il disastro della Seconda guerra mondiale e la domanda di mobilità personale è in forte crescita. Tutt’altro scenario quello del 1997, quando al Salone di Francoforte viene presentata la Smart. La nuova biposto, lunga solo 2,5 metri, non è stata progettata per costare poco, ma per trasportare due persone nel traffico cittadino in modo sicuro e con il minor ingombro possibile. Non a caso il prezzo della versione più economica sfiora i 16 milioni di lire, quasi il 10% in più della cinque posti Fiat Seicento 900.
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Il prototipo Nafa del 1982 (sopra), la prima microvettura da città realizzata dalla Mercedes. Undici anni dopo la show car Eco Sprinter (a lato) prefigura la Smart (più a destra)
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Tutto ha inizio negli anni 70, quando alla Daimler-Benz, la Casa delle Mercedes, si comincia a esplorare la fattibilità di una citycar dalle dimensioni molto compatte. La tecnologia dell’epoca, però, non consente di ottenere da una vettura siffatta adeguate doti di protezione dei passeggeri. Tempo dopo, nel 1982, vengono realizzati e testati dei prototipi basati su strutture a sandwich e con pianale rialzato, ma la svolta avviene nel 1993, quando si svelano due show car, la Eco Sprinter e la Eco Speedster, sviluppate grazie alla cooperazione dei tecnici di Sindelfingen con quelli del MercedesBenz Advanced Design Studio di Irvine, California. Le due concept convincono i membri del consiglio di amministrazione della Daimler-Benz, che danno il via libera alla “micro compact car”.
Alleanza inusuale Nel frattempo, il geniale imprenditore Nicolas Hayek, l’inventore dello Swatch, manifesta l’intenzione di lanciare una vettura da città. Inizialmente tenta un accor-
Sotto: nel corso delle prove su strada di Quattroruote, la stabilità della Smart è sempre stata valutata con particolare attenzione. Anche perché sui sampietrini di Roma diversi esemplari della citycar tedesca si erano girati. A destra, la sfortunata quattro porte forfour
Nicolas Hayek
L'uomo-Swatch che la inventò Nato in Libano nel 1928, Nicolas Hayek si trasferisce in Svizzera negli anni 50, dove nel 1963 fonda una società di consulenza di management. Nei primi anni 80 un gruppo di banche elvetiche gli affida la gestione della liquidazione di due società proprietarie di
varie aziende di orologi, messe in ginocchio dalla concorrenza dei prodotti elettronici giapponesi a basso costo. Hayek, però, intuisce che le due società possono sopravvivere ristrutturandosi e creando un prodotto nuovo, economico da fabbricare: lo Swatch. Il successo dell'orologio
di plastica lo porta al comando del gruppo Smh, poi Swatch Group. Ed è qui che pensa alla “Swatchmobile”, un'auto con la stessa filosofia dello Swatch, che si concretizzerà nella Smart (Swatch Mercedes ART) realizzata con la DaimlerBenz. Hayek muore a Biel, in Svizzera, nel 2010.
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L'icona del decennio Smart
La fabbrica di Hambach, in Francia, ha il corpo centrale a forma di croce. È qui che avviene l'assemblaggio delle parti costruite dai fornitori negli edifici adiacenti, in modo da razionalizzare il ciclo produttivo
La Smart è stata impiegata in diversi campi: molte sono state consegnate al corriere tedesco Dhl, altre sono state utilizzate nell'aeroporto di Stoccarda (sopra). Recente, poi, è l'uso nel car sharing Car2Go in varie città europee, tra cui Milano e Roma
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Roma-Salisburgo
Mille chilometri con un pieno Nel fascicolo di Quattroruote di dicembre 2007 viene pubblicata una prova speciale della Smart fortwo cdi. L'obiettivo del test è di raggiungere Salisburgo partendo da Roma (1.000 km) con un solo pieno di gasolio, ovvero 33 litri. La cosa è teoricamente fattibile perché la vettura è omologata con un consumo medio di 3,3 litri/100 km, ma sappiamo che la realtà è un'altra cosa. La fortwo parte da
Roma una mattina di ottobre alla velocità di crociera di 90 km/h e chi è al volante attua tutte le regole della guida economica: giusta pressione dei pneumatici, guardare avanti per prevenire i rallentamenti, cambiate a basso regime. Lo stress aumenta quando, al chilometro 879, l'ultima tacca dell'indicatore di livello si spegne. Ciononostante si riesce ad arrivare alla meta, dopo 999,5 km.
L'assetto della Smart è “ complessivamente rigido e piatto, con pochissimo rollio e la compostezza di un kart „ Quattroruote - Settembre 1998
do con la Volkswagen, che però non va in porto, e quindi si rivolge alla DaimlerBenz, con cui nel marzo del 1994 sigla la joint venture che dà vita alla Micro Compact Car AG, di cui la Casa tedesca detiene inizialmente il 51% e Hayek il 49%. Il quartier generale viene stabilito a Biel, in Svizzera, mentre per costruire lo stabilimento viene scelta Hambach, in Francia, dopo aver valutato altre 70 località in tutto il mondo: i lavori per la fabbrica iniziano nel 1996.
samento di 18 millimetri dell'auto, l’allargamento delle carreggiate e il camber negativo del retrotreno De Dion. Si adotta anche un sistema antipattinamento denominato “Trust” per bloccare le sbandate. Intanto, viene creata una rete di vendita e assistenza innovativa: gli Smart Center, cento in tutta Europa, tutti con uguale architettura e caratterizzati dalla torre di vetro che ospita le vetture in pronta consegna (a destra).
In principio fu un flop Vendite posticipate Dopo il debutto a Francoforte, a settembre del 1997, tutto sembra pronto per la commercializzazione, ma a gennaio del ’98 scoppia il caso del test dell’alce della Mercedes Classe A. Pure la Smart ne risente, viste le sue proporzioni e lo schema tecnico a motore e trazione posteriori. Così, le vendite vengono rinviate all'autunno per metter mano a elettronica e telaio e garantire un assetto a prova di ribaltamento. Le modifiche sono diverse, tra cui l’abbas-
La storia ha dimostrato che la Smart non è stata un affare per la Daimler-Benz, che già nel ’97 controllava quasi interamente la Mcc, per poi rilevarla del tutto. Le vendite globali non sono mai decollate e si sono concentrate in Germania (dove molte vetture sono state consegnate alla Dhl) e in Italia, segnatamente a Roma e a
Milano. Le versioni derivate, come la sportiva Roadster e la quattro porte forfour, sono state un flop. E pure la fortwo non ha portato soldi alla Daimler-Benz (ora Daimler AG), anzi: si stima che essa perdesse quasi 4.500 euro su ogni esemplare venduto. Ciò non le ha impedito di allestire la seconda serie, nel 2007, e la terza, completamente rinnovata e costruita in collaborazione con la Renault, lanciata nel 2014. Roberto Boni
Nel test di consumo su strada Roma-Salisburgo (1.000 km) la Smart fortwo cdi ha percorso, in media, oltre 30 km con un litro di gasolio. Nelle immagini, due momenti della prova: la partenza da Roma e la sigillatura del serbatoio
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Le prove di Quattroruote
Smart & pulse - novembre '98
Su strada non ama lo sconnesso Le modifiche decise dopo l'infelice test dell'alce della Mercedes Classe A si traducono in un assetto sicuro, ma molto rigido. Lento il cambio robotizzato el settembre 1998, Quattroruote pubblica il primo test della Smart: 1.000 km tutti d’un fiato da Barcellona a Milano. A ottobre iniziano le vendite e il mese successivo sulle pagine della rivista compare la prova su strada vera e propria, con le rilevazioni strumentali e la pagella. La microvettura viene anche affidata a dodici automobilisti, con età compresa tra 20 e 77 anni, per una 24 ore non stop nel traffico di Milano. Al termine, i commenti evidenziano l’apprezzamento per le dimensioni compatte e l’originalità dell’auto, ma emergono anche i punti deboli: il cambio robotizzato dagli innesti molto lenti e l’as-
N
setto molto rigido, fastidioso soprattutto sul pavé. Ciò è conseguenza delle modifiche decise dai tecnici della Mercedes dopo il clamoroso caso del test dell'alce della Classe A, che hanno però portato a una vettura molto sottosterzante e a prova di ribaltamento. Quattroruote apprezza anche le doti del motore, potente ed elastico grazie alla sovralimentazione, mentre critica non soltanto la lentezza del cambio, ma pure la scarsa modulabilità dei freni. Lo sterzo, privo di servoassistenza, è pesante in manovra ed è pronto, ma poco progressivo. Da cinque stelle il consumo: in città le medie d'uso sono di oltre 16 km/litro, sul misto scendono un po'.
SCHEDA TECNICA MOTORE • Posteriore trasversale, turbobenzina • 3 cilindri in linea • Alesaggio 63,5 mm - Corsa 63,0 mm • Cilindrata 599 cm3 • Potenza max 40 kW (54 CV) a 5.250 giri/min • Coppia max 80 Nm a 2.000 giri/min
TRASMISSIONE • Trazione posteriore • Cambio robotizzato a 6 marce • Pneumatici: anteriori 135/70R15, posteriori 175/55R15
CORPO VETTURA • Monovolume, 3 porte, 2 posti
AUTOTELAIO • Avantreno MacPherson, balestra trasversale, barra stabilizzatrice • Retrotreno De Dion, molla elicoidale, barra stabilizzatrice • Ammortizzatori idraulici • Freni anteriori a disco, posteriori a tamburo, Abs ed Esp • Sterzo a cremagliera • Serbatoio 22 litri DIMENSIONI E MASSA • Passo 181 cm • Carreggiata ant. 129 cm, post. 135 cm • Lung. 250 cm - Larg. 152 cm - Alt. 153 cm • Massa 645 kg • Bagagliaio da 150 a 550 dm3
Gli interventi effettuati dai tecnici della Mercedes sull'assetto della Smart si rivelano efficaci: quando il fondo è liscio e asciutto, la minivettura è stabile. Il molleggio molto rigido, però, oltre a compromettere il confort, la rende meno sicura sulle strade sconnesse: non c'è rischio di ribaltarsi, ma in certe condizioni il testacoda è possibile
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La scocca della Smart è una cellula di acciaio estremamente rigida, per garantirne l'indeformabilità negli impatti. Per evitare che le sollecitazioni dell'urto si scarichino sul conducente e sul passeggero, i sedili e le cinture sono progettati ad hoc per assorbirle
VELOCITÀ massima (km/h)
CONSUMO
135,900 km/litro
FRENATA
metri
LA PAGELLA
da 100 km/h
42,7
POSTO GUIDA
RUMOROSITÀ
Posizione di guida sopraelevata, ottima per la
★★★★ città. Ampia escursione longitudinale del sedile. dB(A)
COMANDI
Il design è originale, ma l'impostazione è classica.
a 60 km/h
38,8
70
67,8
★★★★ Alcuni pulsanti non sono illuminati.
a 90 km/h
23,3
90
70,7
CLIMATIZZAZIONE Il climatizzatore è a richiesta sulle versioni più
a 120 km/h
15,8
120
75,1
ACCELERAZIONE 0-60
secondi
RIPRESA
★★★★ potenti. Notevole la portata dell'aria. VISIBILITÀ
secondi
6,9
70-100
0-100
18,7
70-120
20,6
1 km da fermo
39,2
70-130
29,9
9,1
Ottima di fronte e ai lati: percepire gli ingombri è
★★★★ facile. Visuale dietro limitata dagli appoggiatesta. FINITURA
Costruzione semplice, ma di qualità. Qualche vite
★★★★ in vista nell'abitacolo, esterno ben curato. ACCESSORI
La dotazione di sicurezza è completa, ampie
★★★★ le possibilità di personalizzazione. ABITABILITÀ
Lo spazio per conducente e passeggero è ottimo,
★★★★★ solo in larghezza si poteva fare qualcosa in più. BAGAGLIAIO
Più che valido, visto il tipo di vettura; si può
★★★★★ attrezzare con divisorio e tendalino copribagagli. CONFORT
La necessità di garantire un comportamento
★★ sicuro ha portato a un assetto molto rigido. MOTORE
Grazie al turbo, spinge bene anche ai bassi
★★★★★ regimi, nonostante la piccola cilindrata. ACCELERAZIONE
La spinta vigorosa del motore viene penalizzata
★★★ dalla lentezza degli innesti del cambio. RIPRESA
Il motore elastico e ricco di coppia consente
★★★★★ di riacquistare rapidamente velocità. CAMBIO
Il cambio è moderno, ma gli innesti sono troppo
★★ lenti, sia nell'uso manuale sia in quello automatico. STERZO
Un po' pesante in manovra e nelle curve strette,
★★★ pronto, ma poco progressivo in velocità. FRENI
Spazi d'arresto e resistenza alla fatica sono
★★★★ buoni, ma la modulabilità è migliorabile. SU STRADA
La vettura è molto sottosterzante e sui fondi
★★★★ regolari il controllo della stabilità è assai efficace. CONSUMO
Sempre molto contenuto: in città si ottengono
★★★★★ medie di 16 km/litro e pure fuori va bene. PREZZO
Buon rapporto tra prezzo ed equipaggiamento,
★★★★ ma altre piccole, a cinque posti, costano meno.
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Le copertine di Quattroruote
1996 Marzo
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485 1996 Aprile
486 1996 Maggio
487 1996 Giugno
488 1996 Luglio
489 1996 Agosto
490
1996 Settembre
491 1996 Ottobre
492 1996 Novembre
493 1996 Dicembre
494 1997 Gennaio
495 1997 Febbraio
496 1997 Marzo
497 1997 Aprile
498
1997 Maggio
499 1997 Giugno
500 1997 Luglio
501 1997 Agosto
502 1997 Settembre
503 1997 Ottobre
504 1997 Novembre
505 1997 Dicembre
506
1998 Gennaio
507 1998 Febbraio
508 1998 Marzo
509 1998 Aprile
510 1998 Maggio
511 1998 Giugno
512 1998 Luglio
513 1998 Agosto
514
1998 Settembre
515 1998 Ottobre
516 1998 Novembre
517 1998 Dicembre
518 1999 Gennaio
519 1999 Febbraio
520 1999 Marzo
521 1999 Aprile
522
1999 Maggio
523 1999 Giugno
524 1999 Luglio
525 1999 Agosto
526 1999 Settembre
527 1999 Ottobre
528 1999 Novembre
529 1999 Dicembre
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2000 Gennaio
531 2000 Febbraio
532 2000 Marzo
533 2000 Aprile
534 2000 Maggio
535 2000 Giugno
536 2000 Luglio
537 2000 Agosto
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2000 Settembre
539 2000 Ottobre
540 2000 Novembre
541 2000 Dicembre
542 2001 Gennaio
543 2001 Febbraio
544 2001 Marzo
545 2001 Aprile
546
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1996 − 2006
2001 Maggio
547 2001 Giugno
548 2001 Luglio
549 2001 Agosto
550 2001 Settembre
551 2001 Ottobre
552 2001 Novembre
553 2001 Dicembre
554
2002 Gennaio
555 2002 Febbraio
556 2002 Marzo
557 2002 Aprile
558 2002 Maggio
559 2002 Giugno
560 2002 Luglio
561 2002 Agosto
562
2002 Settembre
563 2002 Ottobre
564 2002 Novembre
565 2002 Dicembre
566 2003 Gennaio
567 2003 Febbraio
568 2003 Marzo
569 2003 Aprile
570
2003 Maggio
571 2003 Giugno
572 2003 Luglio
573 2003 Agosto
574 2003 Settembre
575 2003 Ottobre
576 2003 Novembre
577 2003 Dicembre
578
2004 Gennaio
579 2004 Febbraio
580 2004 Marzo
581 2004 Aprile
582 2004 Maggio
583 2004 Giugno
584 2004 Luglio
585 2004 Agosto
586
2004 Settembre
587 2004 Ottobre
588 2004 Novembre
589 2004 Dicembre
590 2005 Gennaio
591 2005 Febbraio
592 2005 Marzo
593 2005 Aprile
594
2005 Maggio
595 2005 Giugno
596 2005 Luglio
587 2005 Agosto
598 2005 Settembre
599 2005 Ottobre
601 2005 Dicembre
602
600 2005 Novembre
Per noi italiani “ l'automobile è un'alleata, una di famiglia„ 2006 Gennaio
603 2006 Febbraio
604
Gioele Dix - Attore
60°
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L'ARMONIA È NELL'ACCORDO
2006−2016
60°
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Dieci anni nel mondo 1956
2006
9 luglio L’Italia vince la quarta Coppa del Mondo di calcio contro la Francia: 5-3 ai rigori
06 6 dicembre
2007
Torino, incidente alla ThyssenKrupp: 7 operai muoiono per le ustioni
1965 1966
5 novembre
2008
Barak Obama è eletto 44° presidente degli Stati Uniti
2009
1975 1976
6 aprile Terremoto a L’Aquila: 309 morti, 1.500 feriti e 65.000 sfollati
9 2255 giugno
2010
Muore il “re del pop” Michael Jackson
15 aprile Islanda, erutta un vulcano: niente voli in Europa per una settimana
1985 1986
2011
1111 marzo Maremoto in Giappone: 11 mila morti e oltre 17 mila dispersi
1 2 maggio
2012
Pakistan, Bin Laden ucciso in un’operazione americana
1995 1996
1 13 gennaio
2013
La nave Costa Concordia naufraga all’isola del Giglio: 32 morti
11 febbraio Benedetto XVI si dimette da Pontefice e viene eletto Francesco
2005
2015
2014
2006
2015
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13 29 giugno Il califfo Abu Bakr al-Baghdadi fonda lo Stato Islamico (Isis)
1 maggio A Milano si apre l’EXPO
2006 − 2016 Come siamo
Le nozze d'interesse come polizza per il futuro Merger, alleanze, take-over ostili, matrimoni, separazioni: gli ultimi dieci anni hanno rappresentato l'era degli accordi. Perché ormai è chiaro: da soli non si va avanti l primo a dirlo con chiarezza fu Gianni Agnelli, nel '99: «La Fiat è troppo piccola. Il futuro di qualsiasi azienda automotive starà nella capacità di creare alleanze. E arriverà un giorno in cui rimarranno soltanto cinque o sei gruppi». L'uscita dell'Avvocato, uomo la cui capacità di leggere il mercato – e soprattutto le sue evoluzioni – è ancora oggi ingiustamente sottovalutata, suscitò facili sorrisi. Eppure il trend era già lì da vedere. L'industria automobilistica inglese aveva vissuto un processo di consolidamento in grado di creare a cavallo fra gli anni 60 e i 70 un'unica entità (la British Leyland) nata dall'unione di decine di marchi di diversa proprietà. Renault e Nissan s'erano unite nel 1999. E la stessa Fiat non s'era tirata indietro quando si era trattato d'inglobare gli altri brand tricolori (Lancia, per prima, poi Ferrari, Autobianchi, Maserati e Innocenti) o di azzardare alleanze destinate all'insuccesso (nel '68 con la Citroën, allora di proprietà Michelin, e nell'85 con la Ford,
I
peraltro conclusasi prima ancora di essere formalizzata). Detto ciò, può anche darsi che l'affermazione di Agnelli, pur nella sua verosimiglianza, fosse meramente funzionale a introdurre l'accordo degli accordi, che sarebbe stato siglato il 13 marzo del 2000: in quel giorno, la General Motors sottoscrisse una partecipazione del 20% nella Fiat Auto, che in cambio acquisiva il 5,1% della stessa GM. L’intesa portò alla creazione di due joint venture paritetiche, una per gli acquisti e l’altra per motori e trasmissioni. Com'è finita, si sa: entrambi infelici del ménage, i due sposi iniziarono presto a litigare (il primo motivo di screzio fu l'aumento di capitale deciso dal Lingotto e poco gradito a Detroit), arrivando
al classico divorzio conflittuale. Marchionne, da poco arrivato alla guida della Fiat, nel 2004 volle far valere il diritto di opzione che avrebbe di fatto obbligato la GM ad acquistare il restante 80%. Dopo una serie di dispetti reciproci, il 13 febbraio del 2005 gli americani furono costretti a sborsare 1,55 miliardi di euro per uscire dalla partnership. Al di là delle conseguenze di tale esito (da lì prenderà inerzia la crisi degli americani e, al converso, la ripresa degli italiani), l'epilogo fra i due mega gruppi segnerà l'inizio di una decade di grandi matrimoni d'interesse, assieme a un altro evento di portata epocale. Nel 2006, infatti, Alan Mulally, nuovo ceo della Ford, decide di porre la parola fine
Così, nell'ottobre del 2015, il nostro disegnatore Marco Scuto interpretava con un tocco d'ironia l'intenso corteggiamento di Sergio Marchionne verso Mary Barra. Il capo della FCA ritiene, infatti, che il partner ideale per affrontare con serenità il futuro sia la GM (quella da cui, per inciso, la Fiat s'era separata nel 2004). Un'avance resa inopinatamente pubblica, alla quale l'ingegnere di Detroit continua però a dire di no...
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Come siamo Nel 2013 BMW e Toyota formalizzano una lettera d'intenti firmata l'anno prima e finalizzata allo sviluppo congiunto di tecnologie: sistemi fuel cell, piattaforma per una sportiva e ricerca sui materiali. La testimonianza di come gli accordi, oggi, siano soprattutto tecnici
all'avventura invero accidentata del Premier Automotive Group. Oggi poco lo ricordano, ma la Ford fra il 1999 e il 2004 aveva speso qualcosa come 17 miliardi di dollari per comprare brand internazionali di prestigio come Aston Martin, Jaguar, Land Rover e Volvo (Lincoln e Mercury li aveva già in casa), salvo poi investire un numero imprecisato di altri miliardi per ridare smalto ai marchi più impolverati (si stima che la sola Jaguar, quella messa peggio, fosse costata 10 miliardi tra rifacimento degli stabilimenti e sviluppo di nuovi modelli). Mulally decide di focalizzare le attività sul mass-market, mettendo in vendita l'intero portfolio di marchi, pur a costo di rimetterci. Nel giro di due anni, dunque, si ritrovano di nuovo single una pletora di Case i cui frenetici movimenti azionari segneranno gli anni recenti.
Partnership à gogo La Chrysler, abbandonata dalla Daimler nelle mani del fondo Cerberus (che la porterà velocemente alla bancarotta),
viene salvata nel 2009 dalla Fiat (anche grazie ai buoni uffici dell'amministrazione Obama e della task force inizialmente guidata da Steven Rattner), creando i presupposti per la nascita della FCA. Jaguar e Land Rover vanno agli indiani della Tata. La Volvo alla cinese Geely. La Aston passa ai privati e poi all'Investindustrial di Andrea Bonomi. L'industria, dunque, si frammenta per poi polarizzarsi nuovamente, quale conseguenza dei sempre maggiori costi di R&D e/o della necessità di arginare la sovraccapacità produttiva. Sempre Marchionne ha codificato il ricorso alle aggregazioni come unica risorsa oggi possibile per i grandi produttori in un documento intitolato “Confessioni di un drogato di capitale”: «Il settore non ha remunerato il costo del capitale nel corso di un ciclo economico. E il consolidamento è la chiave per rimediare al problema. I costi di sviluppo dei prodotti stanno consumando valore a un tasso molto più rapido rispetto ad altri settori, mentre l'elevato leverage operativo amplifica la volatilità della red-
ditività lungo il ciclo. Tutto ciò si traduce in ritorni sul capitale investito bassi e volatili». La soluzione, per Marchionne, è l'integrazione totale con un altro produttore, che genererebbe risparmi e benefici indiretti compresi fra i 2,5 e i 4 miliardi di euro. Va detto che altri costruttori hanno una visione ben diversa, preferendo rimanere indipendenti e puntare sulle economie di scala tramite l'utilizzo di analoghe piattaforme tra diversi brand (come Volkswagen e Toyota), mentre altri ancora cercano collaborazioni tecniche, joint venture produttive o altre tipologie di legami azionari. Di certo, la necessità di condivisione diverrà sempre più forte negli anni a venire. Il progressivo avvento delle selfdrive e d'inedite tecnologie di propulsione (dall'idrogeno al full electric) imporrà alle Case ora concorrenti di allearsi: non soltanto per ripartire equamente i costi di ricerca, ma anche per fare fronte comune nei confronti delle nuove regolamentazioni che si renderanno necessarie. Gian Luca Pellegrini
Suzuki-Volkswagen
Quando il divorzio arriva prima del previsto Se c'è una cosa in cui in Germania non sono bravi (e ce ne sono poche, in campo automobilistico), è fare accordi che funzionino. Lo hanno dimostrato la BMW con la Rover e la Daimler con la Chrysler negli anni 90: avventure partite ottimamente e finite in un disastro, soprattutto
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per l'attitudine dei tedeschi a comandare senza star troppo a badare alle culture degli “occupati”. La storia si è ripetuta fra Volkswagen e Suzuki. Nel 2009 era stato siglato un merger (nella foto, Osamu Suzuki e Winterkorn) che prevedeva l'acquisto da parte di Wolfsburg del 19,9% del marchio nipponico, il quale
in cambio si prendeva l'1,5% della VW. Dopo appena due anni il matrimonio era finito nelle mani degli avvocati, con la Suzuki offesa dall'atteggiamento troppo imperioso dei tedeschi e vogliosa di andarsene. Entrambe le aziende hanno restituito la loro quota. E la partnership è terminata prima di cominciare...
Pianeta automotive
Pochi indipendenti, tanti gruppi: g oggi i marchi si schierano cosĂŹ Lasciando da parte il confuso universo delle Case cinesi (anch'esse peraltro al centro di un processo di razionalizzazione voluto
dal governo di Pechino) e i produttori indipendenti (Mazda e Suzuki i piĂš importanti), ecco come appare oggi la mappa dei maxi gruppi
dell'industria automotive. Renault e Nissan appaiono divise sotto il profilo commerciale, ma ovviamente appartengono alla stessa proprietĂ .
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2011 Ralph Nader (Winsted, Usa, 27 febbraio 1934) riceve il primo Premio Gianni Mazzocchi da Giovanna Mazzocchi Bordone, presidente dell'Editoriale Domus
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2006 − 2016 Mondo Quattroruote
Così onoriamo i protagonisti dell'auto Nel 2011 nasce il Premio Gianni Mazzocchi, intitolato al nostro fondatore. Ogni anno è assegnato a chi ha lasciato un'impronta profonda nel settore È il 26 gennaio 2011. Per la prima volta al Quattroruote Day, il forum annuale sull’auto organizzato dalla nostra rivista a Palazzo Mezzanotte, a Milano, si assegna il Premio Gianni Mazzocchi, un riconoscimento destinato alle persone che si sono particolarmente distinte per il loro apporto al mondo dell'automotive. Il primo a riceverlo dalle mani del nostro editore, Giovanna Mazzocchi Bordone, è Ralph Nader, avvocato, attivista e politico indipendente statunitense, passato alla storia per le sue battaglie sulla sicurezza
delle auto. Fu lui, di fatto, ad aprire la strada al concetto di difesa del consumatore con la pubblicazione, nel 1965, del saggio “Unsafe at any speed. The designed-in dangers of the american automobile” (“Insicure a ogni velocità. I pericoli connaturati dell’automobile americana”). Nel suo mirino c’era, in particolare, la Chevrolet Corvair, una vettura compatta a motore posteriore accusata di essere insicura. Nader vinse la successiva, lunga battaglia legale contro la General Motors, il più grande costruttore di auto al mondo. E la sua
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iniziativa diede impulso alla nascita, nel 1970, dell’Nhtsa, l’agenzia Usa sulla sicurezza stradale, e successivamente all’approvazione di numerose leggi sulla materia. Il Premio Gianni Mazzocchi è un’opera d’arte unica, disegnata ogni anno da artisti e designer diversi e ispirata al logo di Quattroruote. Nel 2011 il disegno della scultura è stato di Clemens Weisshaar e Reed Kram, nel 2012 di Pernillla & Asif, nel 2013 di Odoardo Fioravanti, nel 2014 di Lorenzo Damiani, l'anno scorso di Jacopo Foggini. Nel 2012 il Premio Gianni Mazzocchi fu assegnato a John Barnard, geniale progettista di Formula 1. Nel 2013 è la volta di Giorgetto Giugiaro, fondatore dell’Italdesign e “matita” di auto entrate nella storia
Nel 2014 e nel 2015 ricevono il premio Takeshi Uchiyamada, presidente della Toyota e “papà” della tecnologia ibrida, e Lotta Jakobsson, responsabile della sicurezza passiva alla Volvo
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Mondo Quattroruote
Sono fabbriche delle multe e continuano a colpire Furbi imprenditori e sindaci senza scrupoli si alleano per far soldi sulla pelle degli automobilisti. Lo abbiamo denunciato più volte, ma il malcostume continua Il decennio compreso tra il 2006 e il 2015 è anche quello delle multe. Non che prima non se ne facessero, anzi. Ma è soltanto in questi anni che alla parola “verbale” se ne affiancano due che nulla dovrebbero avere a che fare con il Codice della strada: business e inchieste. Come spesso accade, l’esplosione di un fenomeno ha radici profonde. Quello delle contravvenzioni risale agli anni 90, con l’arrivo nei Comuni delle apparecchiature automatiche per il controllo del traffico, fino ad allora saldamente nelle mani di polizia e carabinieri. E all’invenzione del cosiddetto “noleggio a cottimo”, cioè la loro locazione, invece dell’acquisto, da società specializzate per periodi di tempo determinati e in cambio non di un canone fisso mensile, ma di una percentuale sulle multe, cioè di un oggettivo incentivo, per i privati incaricati
della gestione delle micidiali macchinette, a farne il più possibile. Per esempio, installandole dove non si può oppure tarandole in maniera da intrappolare più veicoli possibile. L’assenza di norme di utilizzo chiare, la spregiudicatezza degli imprenditori attivi in questo settore, la rinuncia delle polizie locali alle loro prerogative, la scoperta, da parte di sindaci avidi, che infischiandosene delle leggi si potevano fare montagne di soldi, ha fatto esplodere il fenomeno, puntualmente denunciato da Quattroruote: «Autovelox spa» (agosto 2004), «Semafori d’oro: il giallo, il rosso e la stangata» (aprile 2007), «I furbetti del semaforino» (febbraio 2009), «Le fabbriche delle multe» (aprile 2012), solo per citare alcune delle nostre denunce. A un certo punto anche la magistratura capisce
che qualcosa non torna: sono nella storia le immagini della guardia di finanza che l’11 ottobre 2007 sequestra i T-Red a Segrate (MI). Le inchieste, però, complice la prescrizione, non portano a nulla. Ma ancora oggi quello delle multe, più che una giusta sanzione di comportamenti scorretti e pericolosi è, per i Comuni, soprattutto un affare.
Un autovelox fisso sui viali di Firenze, dove non potrebbe essere installato. È anche grazie a verbali illegittimi che nelle casse dei Comuni finiscono montagne di soldi
Mario Rossi
Concessionarie
Nella giungla dei preventivi Difesa degli automobilisti non vuol dire solo pretendere vetture sicure o denunciare, per esempio, multe illegittime. Vuol dire anche occuparsi di tutto ciò che riguarda l’acquisto e la gestione della macchina. Di fronte all’opacità (è un eufemismo) dei preventivi d’acquisto consegnati dai venditori ai nostri lettori (e a
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noi stessi durante i nostri mistery shopping in giro per l’Italia), Quattroruote lancia, nel 2006, il “preventivo ideale”, un facsimile di modello trasparente, chiaro e completo, indispensabile per consentire al cliente di confrontare più proposte. Inutile dire che di strada da fare ce n’è ancora parecchia, visto che la maggior parte
dei dealer tratta tuttora un potenziale cliente intenzionato a spendere decine di migliaia di euro peggio di un avventore del mercato della frutta. Un’altra proposta, lanciata nel 2013, è la sfida, a tutte le Case, di proporre una garanzia totale quadriennale. Sfida, a oggi, raccolta da pochissimi costruttori.
Mondo Quattroruote
I lettori si mobilitano contro l'attacco ai neopatentati Il 9 febbraio 2011 scattano i nuovi limiti alla guida: in 12 mila firmano la petizione del giornale Una delle norme piĂš stupide, ingiuste, inutili, anzi controproducenti, mai concepita dal legislatore italiano è quella che non consente di guidare auto di potenza superiore a 70 kW e potenza specifica superiore a 55 kW/t durante il primo anno dal conseguimento della patente B. Nemmeno se al proprio fianco si ha una persona “espertaâ€? (di etĂ non superiore ai 65 anni, in possesso di patente B o superiore da almeno dieci), presenza che, invece, con il solo foglio rosa in tasca consente di condurre qualsiasi macchina. Insomma, ancora oggi in Italia con il foglio rosa si può fare ciò
che con la patente è vietato. Un'assurdità concepita dall'allora ministro delle Infrastrutture Alessandro Bianchi nel 2007 ed entrata in vigore, di rinvio in rinvio e dopo una modifica parlamentare nel 2010, il 9 febbraio 2011. E per la cui abrogazione Quattroruote promosse una raccolta di firme online. In poche settimane 12.671 lettori siglarono la nostra petizione. Il 9 giugno 2011 consegnammo le firme al nuovo ministro Altero Matteoli. Strappandogli la promessa di verificare dopo sei mesi i primi effetti della norma e valutarne, eventualmente, una modifica.
Inutile dire che quella promessa non fu mai mantenuta. Nel 2013, però, il nuovo Parlamento ha inserito la nostra richiesta nel Ddl delega di riforma del Codice della strada, approvato dalla Camera nel 2014, ma ancora fermo al Senato. Insomma, con i tempi della politica ci si arriverà ...
La consegna delle firme dei nostri lettori all'allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli
Sotto, l'articolo, su Quattroruote di aprile 2011, con il quale lanciammo la raccolta firme per l'abrogazione della legge sui neopatentati ATTUALITĂ€ Vergogne italiane
ABOLITE QUELLA L EGGE! Hanno la patente, ma non possono guidare l’auto che usavano col foglio rosa. Storia di una norma ingiusta. Che il Parlamento farebbe meglio a cancellare di Mario Rossi
Ăˆ
una di quelle norme che ti ch edi se chi l’ha scrit ta ci è o ci fa PerchÊ non si ricorda e non so o nel Cod ce della strada una d spos z one tanto ing usta assurda stupida burocratica macch nosa inutile e persino controproducente Esa gerati? Giudicate voi Dal 9 febbraio 2011 chi prende la patente B non solo deve sottosta re ai im ti in vigore da tempo per i neopatentati (vedere l riquadro
a pag na 7) ma per un anno non può guidare autoveicoli con po tenza specifica super ore a 55 kW/t E se il veico o è un autovet tura c oè la normale macchina di casa non può gu darla se ha piÚ di 70 kW nemmeno se a potenza specifica è inferiore a 55 kW/t Risultato? Tanti neopatentati non possono p Ú mettersi al vo lante E siccome non tutte e fa m gl e ital ane hanno i so di per comprare un altra macchina o per cambiarla anzi la maggior parte non può nemmeno mmaginare di farlo si smette di guidare Op pure si elemosina un g ro con la macchina di amici o parenti Una cosa penosa insomma frutto di una norma scel erata Assurda perchÊ mpedisce di guidare con a patente la stessa auto di famiglia che si gu dava con il foglio rosa anche avendo un genitore al proprio fianco Col foglio rosa sÏ e con la patente no Schizofrenica perchÊ lo Stato che ti ha appena dato la patente c oè ha certificato con un docu mento riconosciuto n tutto il mondo la tua capac tà di guidare
in ogni situaz one (di g orno di notte su strada in autostrada n città fuori città da solo accom pagnato su macchine p ccole su auto grandi sotto la pioggia con il sole eccetera) ti dice che no n realtà quella patente è una mez za patente E so o n Italia perchÊ all estero non c’è problema Ingiusta perchÊ se l’auto di fa miglia non è guidabi e chi ha i so di può cambiare macchina o acquistarne una nuova chi non i ha non guida Lesaltaz one del o status insomma Controproducente perchÊ al o scadere dei 12 mesi di d vieto l or mai ex neopatentato (ma ancora neopatentato ai fini dei punti de l’alcol e della velocità ) avrà del tutto disimparato a guidare e al vo ante potrebbe sentirsi meno a suo ag o di quando era fresco di patente Insomma a norma per chi non può guidare la macchina di famiglia per un anno serve so lo a rinviare il debutto su strada con l aggravante di farlo avven re in condiz oni peggiori Alla facc a de la sicurezza Stupida perchÊ potrebbe n durre a cune case automob listi che a riomo ogare le vetture che per poco non r entrano nei imiti Come? D minuendo la potenza a par tà di massa o è lo stesso aumentando la massa a par tà di potenza Con un effetto para dossale: l aumento dei consumi e quindi de le em ssioni di anidride carbonica E m ca per un anno per tutta la vita ell’auto Alla fac cia dell ambiente e del portafogli Burocrat ca perchÊ ha costretto il m nistero del e Infrastrutture a trovare l modo di far sapere a tut ti in maniera semplice e veloce se una macchina è guidab le oppure no G à perchÊ fino al 4 ottobre 2007 la potenza specifica non era ind cata su la carta di c rco azione ed era mpossibile calcolar a sul a base deg i unici valori nd cati sul libretto cioè la massa mass ma e quella a vuoto Da l’8 marzo 20 1 il portale dell automobil sta (www ilportalede lautomobil sta it) dà subito il verdetto: basta nserire l
numero di targa Ma per le mac ch na non ancora targate? Non resta che affidarsi ai venditori e sperare che al momento dell ac quisto d ano ind cazioni corrette nsomma un atto di fede Frustrante perchÊ al a fine nes suno verificherà se la norma è ri spettata oppure no Innanzitutto perchÊ la possib lità di incappare n un control o è praticamente nul a da quando le pol zie muni cipali (ma anche la Stradale) han no deciso di non uscire piÚ dag i uffici ritenendo suffic ente ai fini del a sicurezza stradale affidarsi all occh o di te ecamere e sensori elettronici Ma anche nel remoto caso n cui una pattugl a fermas se un neopatentato per sapere se una macch na immatricolata prima del 4 ottobre 2007 è gui dab le oppure no dovrà ogni vo ta ch amare la centrale In a ter nativa si dovrà dotare la pattu glia per la quale d cono gli stessi agenti non ci sono soldi per g i straordinari notturni all uscita del e discoteche il sabato notte anzi la domenica matt na o per r empire i serbatoi de le auto per l normale servizio di un tab et co legato a internet E inutile perchÊ non servirà a mpedire comportamenti scor retti Par iamoci chiaro: non è che con una macchina con meno di 55 kW/t si ndosserà per c ò stesso la cintura di sicurezza si parlerà al telefono solo con l’au r co are si r spetterà scrupolo samente il im te di ve oc tà ci si fermerà al gia lo del semaforo si ascerà l auto solo dove a sosta è consentita CosÏ come non è che dopo un anno di purgatorio l ex neopatentato lo farà per il so o atto di avere 19 anni E a lora? Che senso ha punire preventiva mente e a casacc o? Insomma abo ite a que la leg ge votata all’unanimità da mag gioranza e opposizione Ha crea to soltanto prob emi senza r sol verne nemmeno uno rendendo r dicolo il Parlamento agli occhi deg i automob listi cioè di tutti gl’ taliani ••••
55 kW/t 70 k
Per l pr mo anno dal conseguimento della patente B si possono guidare auto con potenza specifica fino a 55 kW/t e potenza fino a 70 kW
Per tre anni
Su www lportaledell’au tomob lista t si può verificare se un’auto g à mmatricolata è guidabile dai neopatentati semplicemente digitando l numero di targa Per le vetture da mmatricolare l dato è fornito da le Case
Le limitazioni per chi ha appena preso la patente 3HU WUH DQQL GDO FRQVHJX PHQWR GH OD SDWHQWH % ‡ QRQ VL SXz VXSHUDUH OD YHORFLWj GL NP K LQ DXWRVWUDGD H GL NP K VXOOH VWUDGH H[WUDXUEDQH SULQFLSDOL PXOWD GL Ÿ H VRVSHQVLRQH GH OD SDWHQWH GD GXH D RWWR PHVL ‡ Q FDVR GL YLROD] RQH FKH FRPSRUWL SHUGLWD GL SXQWHJJ R OD GHFXUWD]LRQH VL UDGGRSSLD PD SHU JOL VWHVVL WUH DQQL OD PDQFDQ]D GL YLROD] RQL FKH FRPSRUWDQR GHFXUWD]LRQH GL SXQWL GHWHUP QD OœDVVHJQD]LRQH GL XQ SXQWR DOOœDQQR ‡ TXDQGR VL FRPPHWWH XQD YLROD]LRQH FKH FRPSRUWD OD VRVSHQVLRQH GH OD SDWHQWH OD GXUDWD GHOOD VRVSHQVLRQH DXPHQWD GL XQ WHU]R DOOD SULPD YLROD]LRQH H GHOOD PHWj DOOH VXFFHVVLYH Y ROD]LRQL /D QRUPD VL DSSOLFD SHU FLQTXH DQQL LQYHFH GL WUH VH OD VRVSHQVLRQH q VXSHULRUH D WUH PHVL ‡ GLY HWR DVVR XWR GL EHUH DOFROLFL FRQ XQ WDVVR DOFROHPLFR FRPSUHVR WUD H J O PXOWD GL HXUR H FLQTXH SXQWL GL GHFXUWD]LRQH 6RSUD J O OD QRUPDOH VDQ]LRQH VRVSHQVLRQH GHOOD SDWHQWH FRPSUHVD DXPHQWD GD XQ WHU]R DOOD PHWj D VHFRQGD GHL FDVL
ZZZ TXDWWURUXRWH LW Raccolta firme per l’abolizione de la norma sui neopatentati
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Aprile 2011 QUATTRORUOTE
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2006 − 2016 Classe '56 Los Angeles, 2 maggio
Mike Robinson
Sono stati anni burrascosi, gli ultimi dieci, per l'auto. Ma anche per il designer, che ha lasciato la Fiat, ha diretto la Bertone e poi si è lanciato in una nuova avventura imprenditoriale. Tutto questo, senza lasciare mai Torino, la città piemontese che lo ha accolto 36 anni fa. Quando ha attraversato l'Oceano rincorrendo un sogno: disegnare automobili rivoluzionarie, come la Stratos Zero di Nuccio Bertone. Da quello stesso distretto, dice, può ripartire lo stile italiano. Coniugando il patrimonio storico con le nuove tecnologie 60°
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Classe '56 Mike Robinson
Dopo avere studiato architettura, decide di dedicarsi al car design. Nel 1979 arriva in Italia a lavorare in piccoli atelier. Nel 1986 Chris Bangle lo chiama alla Fiat; diventa responsabile dello stile Lancia nel 1996 e nel 2001 dirige quello della Fiat. Lascia l’azienda nel 2005 e nel 2009 è capo della Bertone fino al fallimento dell’azienda, nel 2013. L’anno seguente fonda, con Davide Pizzorno, la ED Design
i accoglie nel suo atelier alle porte di Torino avvolto in un cappotto di pelle nera lungo fino ai piedi, che ricorda quello di Keanu Reeves in Matrix. A vederlo così, e a guardare la Torq, la sua interpretazione di auto di domani, Mike Robinson sembra tutto proiettato nel futuro. Noi, invece, vogliamo farlo parlare degli ultimi dieci anni. Un periodo intenso, per il mondo dell’auto. E anche per lui: ha vissuto l’uscita dal gruppo Fiat, poi è stato responsabile dello stile della Bertone fino al 2013, quando è fallita. L’anno dopo, si è lanciato in una nuova avventura impren-
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La Stratos Zero di Bertone, l'auto che lo ha convinto a fare il car designer
ditoriale, con la ED Design. Un ottovolante di eventi, che ha affrontato con grinta e molta voglia di rimettersi in gioco. Nel 2006 aveva appena lasciato la Lancia: che anni sono stati? Burrascosi. Come tutta la mia carriera, del resto. Non sono mai stato uno lineare. Ho bei ricordi degli inizi: eravamo io, Chris Bangle e Walter de Silva, lavoravamo insieme, ci divertivamo. La Fiat è stata una buona scuola. Quando ho avuto i miei problemi con l’azienda, però, per due anni ho avuto bisogno di uno stop. È stato allora che ho cominciato a collaborare con Quattroruote: è stata una bella opportunità per poter dire liberamente quello che pensavo. Quello è il periodo dei grandi matrimoni dell’auto. Per il design sono un’opportunità o un rischio? È stato un momento di grande confusione. Perché, soprattutto all’inizio, ha portato a operazioni di rebadging sbagliate. Penso alla Lancia Thema o ad altri
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casi simili. Fanno malissimo al design. Ma va detto anche che, grazie a queste fusioni, ci sono più progetti sui quali lavorare. L’unione Renault-Nissan, per esempio, ha creato un gruppo potentissimo. Due mondi diversi, che non potrebbero stare sotto lo stesso tetto. Eppure, se c’è un grande leader carismatico come Ghosn, si riescono a tenere insieme. Non c’è il rischio di snaturare lo stile, di fare auto troppo simili? A volte sì. Ma il potere del designer è incredibile: se è davvero bravo, riesce a lasciare il segno, a influenzare. Certo, oggi è difficile tirare fuori concetti nuovi e lo sarà sempre di più. Quelli che vanno fuori dal seminato sono i geni come Bertone. La sua Stratos Zero era bellissima: lui ha usato come porta d’ingresso il parabrezza, una rivoluzione. Quando l’ho vista, ho deciso di disegnare auto. Rompere le regole, per me, è diventato uno stile di vita. Quali sono, secondo lei, gli influencer di questi ultimi anni?
L'Alfa Romeo Pandion è la prima “ concept che ho fatto per la Bertone. Alcuni colleghi mi hanno detto che non avevano mai visto qualcosa di simile. È un gran bel complimento„
Laurens van den Acker, per esempio. Alla Mazda ha fatto concept car spettacolari. Poi è andato alla Renault, con il compito di ripensarne lo stile. Subito ha fatto la concept Desirée, bellissima, poi la Clio, cancellando la storia precedente in un attimo. Anche Martin Smith della Ford è un grande: ha disegnato la Fiesta, la Mondeo, la Kuga. Economiche e splendide. Questi sono i giganti. Non solo quelli che fanno Rolls-Royce. Intendiamoci: Ian Cameron è bravissimo, ma il suo lavoro è più facile. Con la Fiesta hai meno spazio e meno soldi. Le norme sono diventate più stringenti. Hanno limitato i designer?
“L'angolo di Robinson” è la rubrica in cui il designer ha commentato lo stile delle nuove vetture sulle nostre pagine, tra il 2006 e il 2009. Una voce fuori dal coro, a volte irriverente. «In fondo», ricorda, «continuavo a fare ciò che ho sempre fatto come design manager: giudicare il lavoro dei miei colleghi»
Si, molto. Tutto quello che Bertone aveva potuto fare, oggi è vietato. I frontali sono diventati quasi tutti uguali. La Dialogos, nel '98, è stata la prima berlina senza paraurti. Poi, con le nuove regole per la protezione dei pedoni, quello è divenuto uno standard e tutti hanno dovuto fare il frontale così. Ciò che era vincolante, però, è diventato liberatorio: si sono potuti evitare certi dislivelli sgradevoli. Nuovi materiali si sono affacciati sulla scena: vi hanno aiutato a innovare? Finalmente è entrata tecnologia un po’ più spinta per sperimentare. La Lamborghini con la fibra di carbonio e l'Audi con i proiettori a Led sono stati i precursori in
questo. La lamiera, in qualsiasi direzione tu la tiri, si comporta allo stesso modo. Invece i compositi agiscono in modo diverso secondo l’angolo d’impatto. Questo trasforma la produzione delle carrozzerie, riducendo il peso e aumentando la rigidezza, che va solo dove serve. È anche il periodo dell’affermazione delle Suv: le piace il genere? Le Suv per me sono state fantastiche, perché hanno dato dignità alle due volumi, auto che nessuno sognava. Poi, è arrivato qualcuno che ha detto: «Alziamole da terra, mettiamole delle gomme grosse, facciamole più grintose». E sono diventate di moda. È un fenomeno enor-
Il designer ai tempi della Bertone, dov'è rimasto tra il 2009 e il 2013. «Quando mi hanno chiamato a dirigere il loro stile ero felicissimo», ricorda. «Quello era il marchio che mi aveva fatto cambiare vita. Per questo, quando è fallita sono rimasto molto male. Che peccato che sia finita così...»
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Classe '56 Mike Robinson
Torq, l'autonoma da corsa
Una choc-car dà forma al domani Da anni pensava all’auto autonoma, tanto che le aveva anche già trovato il nome: Ambrogio, come l’autista della pubblicità di cioccolatini. Ambrogio è il sistema operativo che muove la Torq, presentata a Ginevra nel 2015. O meglio, la muoverà: per ora, infatti, la Torq è solo una maquette, ma vuole
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essere una macchina da corsa a guida autonoma con struttura di carbonio, spinta da quattro propulsori elettrici collegati alle ruote. L’abitacolo è poggiato su una base nella quale sono alloggiate le batterie ed è privo di finestrature, sostituite da telecamere collegate ai monitor
interni, che proiettano la visuale a 360° senza ostacoli. Quando tutti studiano l’autonoma da città, Robinson rompe gli schemi e la immagina per la pista. «Non avremo mai auto che corrono da sole», dice. «Penso a un’interazione tra uomo e macchina che renda più intrigante la sfida».
L'auto elettrica toglierà “ il problema dell’inquinamento, l'autonoma eliminerà gli incidenti. Dobbiamo trovare il modo di non sprecare energia e vite „ me: noi, solo nel 2015, ne abbiamo disegnate sette. Tante si somigliano, ma si cerca di dare una riconoscibilità. C’è una curiosa schizofrenia delle Suv: nascono per la campagna, ma si usano in città e quasi mai se ne sfruttano le caratteristiche. E lo dice uno che ha una Evoque... Com’è il design, ai tempi della crisi? Un disastro: c’è depressione nelle aziende, dunque anche i progetti più belli vengono messi da parte perché manca il coraggio. Eppure, un buon manager investe di più in tempo di crisi. Perché quello è il miglior modo per uscirne. Guardate il caso della Hyundai: hanno fatto un lavoro bellissimo. Volevano superare la Lexus come qualità e la BMW come stile. Hanno creato a Francoforte un centro di design che ha fatto macchine incredibili. Sono entrati nel tunnel dietro al gruppo e ne sono usciti quarti al mondo. La crisi ha colpito duramente i carrozzieri: ci può essere un rinascimento per lo stile italiano?
Questo atelier è la dimostrazione che la risposta può essere sì. Non senza fatica. Dobbiamo riportare in vita il distretto che chiamano Design valley. I big three, Pininfarina, Italdesign e Bertone, hanno (o avevano, nel caso della Bertone) grandi strutture, costose da gestire. Oggi è impensabile mantenerle. Per questo abbiamo un’organizzazione snella. Si realizza tutto con il digitale, tranne i modelli: quelli sono irrinunciabili. Certi difetti li senti solo se metti le mani sulla superficie. Che regalo vorrebbe per i 60 anni? Vedere la Torq in pista. Il futuro è quello: l'auto elettrica toglierà il problema dell’inquinamento, quella autonoma quello delle morti per incidenti. Se sarà sexy, meglio. Non dev'essere necessariamente la scatoletta di Google. Infatti, ora a Mountain View stanno cercando car designer. Anche noi guardiamo in quella direzione. Con una missione: portare avanti lo spirito di Nuccio Bertone. Mi ha dato molto e io vorrei dare altrettanto ad altri giovani. Laura Confalonieri
La Torq vuole essere una visione del futuro, ma anche un'auto laboratorio. Per realizzarla, Robinson sta collaborando con aziende della Silicon valley. «Quando l'ho presentata a Ginevra, molti l'hanno criticata», dice. «Quando l’ho portata in California, invece, se ne sono innamorati subito. Laggiù è normale fare cose straordinarie. Da lì può arrivare un travaso importante di entusiasmo per l'auto»
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2006− 2016 L'icona del decennio
Gli ultimi due lustri sono quelli che hanno sancito il successo delle ibride. Aperto dalla scommessa vinta dalla loro capostipite. Ecco la storia della sua rivoluzione elettrica. Che sta cambiando, e per sempre, l'auto contemporanea
In questa pubblicità israeliana, le emissioni di gas serra della Prius sono paragonate a quelle di una pecora e, a sorpresa, sono più basse. Un paradosso, certo, ma c'è un fondo di verità: il metano, prodotto in grande quantità dall'allevamento degli animali, come effetto serra nell'atmosfera è 21 volte più attivo dell'anidride carbonica
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L'icona del decennio Toyota Prius
La Casa giapponese ha iniziato gli studi per l'abbinamento elettrico– termico già dal 1993, anno in cui viene fondato il gruppo G21 (dove G sta per Global e 21 per il XXI secolo)
el 1997, Quattroruote era suo compimento, è degli ultimi anni e orproprio lì. Ed esserci nel mai possiamo parlare tranquillamente di momento in cui succedequarta generazione del modello e di reva una rivoluzione in camlative ramificazioni. Hanno debuttato e si po automobilistico ci rende orgogliosi. sono affermate le ibride plug-in, è arrivaEra l'ottobre 1997, al Salone di Tokyo, ta l'ibridazione sportiva e super sportiva quando la Toyota, un po' timidamente e la diffusione di questa tecnologia è diforse, ma con un potenziale enorme alle ventata un imperativo non soltanto sui spalle, come solo uno modelli Toyota e Lexus Ottobre 1997, Salone di Tokyo, dei primi costruttori (che complessivamendebutta la Toyota Prius: al mondo può dare, te hanno superato di ancora non lo sapevamo, lanciava la versione gran lunga gli 8 milioni ma davanti a noi c'era un'auto, definitiva della prima di veicoli ibridi venduti bruttina per la verità, che dava automobile ibrida di già l'anno scorso), ma inizio a una vera e propria serie: la Prius. in pratica per tutti i coL'anno di nascita di struttori. rivoluzione. Compiutasi questo modello è anE pensare che nel in quest'ultimo decennio tecedente al decennio 1997 – e per molti anni 2006–2016 che ci interessa e che chiude ancora – personaggi di spicco hanno il ciclo del “presente”, ma questo solo guardato con scetticismo a questa corperché la Prius, proprio come suggerisce sa in avanti della Toyota. Memorabile fu il nome (“la prima”, in latino), è stata la il commento di Bob Lutz che, da vicecapostipite che ha aperto l'era del matripresidente della General Motors, definì monio termico–elettrico prodotto in le auto ibride niente più che «una curiograndi volumi e destinato al pubblico. Il sità interessante». In fondo, il prezzo del vero potenziale di questa rivoluzione, il petrolio era di 27 dollari al barile e negli
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generatore
motore elettrico
motore a benzina
ingranaggio del generatore portasatelliti del motore a benzina
riduzione finale alle ruote motrici satellite corona esterna del motore elettrico
giunto epicicloidale (power split device)
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Il giunto epicicloidale della Prius, che ritroviamo su tutti i modelli ibridi del gruppo Toyota, è un vero colpo di genio. Svolge le funzioni di un cambio a variazione continua, ma in realtà ha un rapporto fisso con le tre unità che mette in collegamento. Non ci sono costosi giunti idraulici o frizioni, e le macchine elettriche, com'è noto, hanno pochissime parti in movimento: di conseguenza sono molto affidabili
Stati Uniti la benzina costava 1,5 dollari al gallone (come dire, 30 centesimi al litro). La crisi Iraq-Kuwait sembrava oramai alle spalle e dell'inquinamento prodotto dalle auto si preoccupavano realmente soltanto i giapponesi e la California. Takeshi Uchiyamada, laureato in fisica, viene messo a capo del progetto, uno di quelli segreti alla “skunk works”, di lungo respiro, che magari non vanno a buon fine, ma rispecchiano in pieno la filosofia “kaizen” del costruttore: prendere un principio meccanico affermato, una tecnologia consolidata e scoprire (investendoci un sacco di soldi) che cosa la può migliorare e renderla più efficiente, cambiandone drasticamente le prestazioni. In questo caso la tecnologia in oggetto era nientemeno che il cuore dell'automobile, il motore a combustione interna, e l'ambizione altissima: dimezzare il consumo e le emissioni. Si può fare, ha detto Uchiyamada al suo team, e noi lo faremo. E la venderemo a tutti. Però, bisogna dirlo: la prima serie della Prius era davvero brutta.
La Prius è arrivata alla quarta serie (qui sopra), presentata al recente Salone di Francoforte, con uno stile tutto nuovo e alcuni importanti aggiornamenti tecnici. A sinistra, le tre generazioni precedenti, datate 1997, 2004 e 2009
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L'icona del decennio Toyota Prius
Il grande merito del team Toyota guidato da Takeshi Uchiyamada fu quello di realizzare un'auto di serie, utilizzabile da chiunque e a un prezzo accettabile. Nel 1997 furono solo 300 le Prius vendute, ma già nel 2000 si superano le 20 mila unità
Anche la pubblicità della Prius è anticonvenzionale: a lato, la vettura, in mezzo a fauni, centauri e sirene, è «l'unico ibrido a non essere un mito»; nella pagina accanto, un nuovo tipo di mascherina che protegge dallo smog
Negli States è chic
Ibrido, uno stile di vita Negli Usa l'ibrida, e la Prius in particolare, non è solo un'auto: è entrata nella cultura pop come un emblema da ostentare con un certo orgoglio. E non è un caso che la maggior parte delle vendite sia concentrata in California. Sul web i gruppi di discussione sono centinaia e in genere i proprietari
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identificano loro stessi come dei “forward lookers”, gente che di ambiente e d'innovazione ne sa. E la pubblicità li segue: ecco la visione di ILoveDust, in collaborazione con Saatchi di Los Angeles, che mette in relazione la Prius nei suoi primi dieci anni di vita negli Usa (2000-2010) con
i più importanti fatti legati all'ambiente, alla ricerca e all'innovazione, come la mappatura del genoma umano e il lancio di Facebook nel 2006, la prima regolamentazione della CO2 nel 2007, l'elezione del Presidente Obama e gli orsi polari dichiarati come specie in via di estinzione nel 2008.
la Prius ti fa sentire “unGuidare automobilista migliore, le considerazioni sull'ambiente prevalgono su tutto„ Quattroruote ‒ Settembre 2009
Il segreto di Takeshi Da dove partono gli ingegneri della Toyota? L'approccio è una sorta di “reverse engineering”: invece di concentrarsi su come spingere ancora più in là le qualità del motore a combustione, si cercano i suoi punti deboli. Per esempio, consuma e inquina anche quando l'auto è ferma, ha pochissima spinta finché non raggiunge un adeguato numero di giri, non ha la possibilità di recuperare alcuna forma di energia e, in genere, per compensare tutte queste lacune dev'essere progettato per erogare potenza in esubero. Ma, se ci sono cavalli di troppo, perché non sfruttarli? Dallo studio di questi flussi di energia, dal motore alle ruote in accelerazione e dalle ruote all'auto in frenata, è arrivato il colpo di genio: se accanto al motore termico mettessimo un paio di propulsori elettrici, un po' di batterie e l'elettronica... Sia chiaro, Uchiyamada & Co. non partivano da un foglio bianco: gli studi risalgono addirittura a quasi un secolo prima. Nel 1901 fu nientemeno che il sommo Ferdinand Porsche ad applicare
l'ibrido a una carrozza che si chiamava Mixte e nel corso del '900 furono centinaia gli esperimenti naufragati per problemi di peso, costo, complessità meccanica. La Toyota, però, mette in campo due fondamentali elementi di novità: l'accoppiamento epicicloidale e l'elettronica. Tutto il resto (motore a ciclo Atkinson, batterie, motore elettrico e generatore) era ben conosciuto e largamente impiegato, ma mancavano questi due anelli di congiunzione. L'elettronica di controllo, in base a un software molto sofisticato e a una serie di sensori, decide quale motore mettere in movimento e quale energia sfruttare, elettrica o termica, con l'obiettivo di eliminare le fasi poco efficienti che inevitabilmente insorgono quando si brucia la benzina da un serbatoio o si eroga corrente da una batteria. Insomma, il sistema Hybrid sinergy drive o Hsd è l'uovo di Colombo?
Non è per tutte In realtà ha i suoi difetti e non è adatto per ogni tipo di auto: l'effetto dei ruotismi epicicloidali nella guida può essere sgrade-
vole, ricorda molto quello dei cambi Cvt di una volta, con il motore che sale di giri apparentemente senza relazione con la velocità, senza contare che non ha alcuna velleità sportiva. I modelli ibridi più prestazionali, come gli e-tron Audi, usano la combinazione elettro-termica per offrire prestazioni da GTI con consumi molto più bassi del solito e usano sistemi di trasmissione molto diversi dalla Prius. Gli anni più recenti dell'ibrido Toyota hanno visto, com'era prevedibile, una ramificazione dei modelli verso l'alto (Avensis e, di recente, RAV4) e verso il basso (Yaris, che fa 20 km “veri” con un litro di benzina in città), ma la Prius, ormai arrivata alla quarta generazione, rimane di gran lunga l'ibrida più venduta al mondo, con quasi 6 milioni di esemplari circolanti e una reputazione di affidabilità che ha conquistato anche il pubblico più difficile, quello dei tassisti milanesi, gente che non perdona i difetti e i fermi auto. Provate a dare un'occhiata al parcheggio di Linate e scoprirete che quattro auto su dieci... Carlo Bellati
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Le prove di Quattroruote
Toyota Prius 1.8 HSD - settembre '09
Promesse mantenute e affidabilità super La terza generazione dell'ibrida nipponica è stata testata a fondo nel 2009, con risultati brillanti. Anche sul piano dell'immunità dai difetti di costruzione clienti della Prius, in Italia, sono persone che fanno parecchia strada, per una ragione o per l'altra: molti tassisti nelle grandi città, ma anche viaggiatori extraurbani e parecchie flotte di piccole aziende che hanno scelto le ibride per policy ecologica. Nel corso degli anni e con le sue varie versioni, la vettura nipponica ha dimostrato di essere affidabile e di mantenere le promesse. In particolare nella prova su strada, datata settembre 2009, ci siamo concentrati sul consumo cittadino, che è davvero l'asso nella manica per l'ibrido. E non siamo stati delusi: la percorrenza nel nostro test in centro a Milano è andata addirittura oltre i dati dichiarati, arrivando fino a 25,8 km con un litro di benzina. In parte questo risultato dipende dallo stato di grazia (leggi: di carica) delle batterie, ma anche facendogli la tara si arriva a 22,1 km/litro,
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un valore che le auto “normali” si possono sognare. E bisogna dire che in quest'ultima versione, con potenza aumentata e più batterie, è stata anche migliorata l'esperienza di guida. A proposito di batterie: molti si chiedono cosa succede quando esauriscono la loro vita, visto il prezzo elevato. Beh, la nostra indagine di allora ha confermato che la parte elettrica è la più affidabile della Prius e che non è strano vedere gli accumulatori durare anche 500.000 km, ovviamente con una piccola perdita di efficienza, che però influenza soltanto di poco le prestazioni. In compenso, alcuni particolari che di regola richiedono sostituzioni abbastanza frequenti, come le pastiglie e i dischi freno, durano molto più a lungo, dato che una buona parte dei rallentamenti avviene con il recupero di energia. C'è però un effetto collaterale negativo: la frenata su asciutto e bagnato fa segnare spazi molto lunghi.
SCHEDA TECNICA MOTORE BENZINA • Anteriore trasversale, benzina • 4 cilindri in linea • Cilindrata 1.798 cm3 • Potenza max 73 kW (100 CV) a 5.200 giri/min • Coppia max 142 Nm a 4.000 giri/min MOTORE ELETTRICO • Sincrono a magneti permanenti • Potenza max 60 kW (82 CV) • Coppia max 207 Nm
TRASMISSIONE • Trazione anteriore • Cambio automatico continuo • Pneumatici: 195/65TR15
CORPO VETTURA • Berlina 2 volumi, 5 porte, 5 posti
AUTOTELAIO • Avantreno MacPherson, retrotreno a ruote interconnesse • Freni a disco, anteriori autoventilanti • Serbatoio 45 litri DIMENSIONI E MASSA • Passo 270 cm • Carreggiata ant 152 cm; post 151 cm • Lung. 446 cm - Larg. 174 cm - Alt. 149 cm • Massa 1.308 kg
La Prius è una delle poche auto che nelle pagelle di Quattroruote ha ricevuto le cinque stelle d'oro, il massimo riconoscimento assegnabile a una singola voce, in questo caso il consumo di benzina in città. Un risultato ottenuto grazie alle sue qualità complessive di leggerezza, aerodinamica e di efficienza nel dosare carburante ed elettroni. Ma le altre ibride della Toyota
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La Prius del 2009 ha aumentato la cilindrata del motore a 1.8 litri dagli 1.5 originali, con una potenza complessiva disponibile di 136 CV. È aumentata anche la potenza delle batterie fino a 27 kWh; in modalità elettrica si fanno circa 3 km
VELOCITÀ massima (km/h)
181,536
CONSUMO
km/litro
FRENATA
metri
LA PAGELLA
da 100 km/h
46,4
POSTO GUIDA
RUMOROSITÀ
dB(A)
Non è la poltrona del comandante Kirk, ma ci va
★★★★ vicino. Peccato per lo schienale regolabile a scatti. Fra i telefilm di fantascienza degli anni 80 e il
COMANDI
29,4
70
62,9
★★★★ design minimalista giapponese, ma utilizzabile.
extraurbano
21,3
90
66,0
CLIMATIZZAZIONE Rinfresca con sistemi innovativi. Climatizzatore
autostrada
13,7
120
70,4
urbano
ACCELERAZIONE
velocità
0-60 0-100 1 km da fermo
RIPRESA
velocità
5,0
70-100
5,8
11,3
70-120
10,6
32,6
70-140
16,8
★★★★ monozona e senza bocchette posteriori. Talmente proiettata nel futuro che dietro non si
VISIBILITÀ
★★★☆ vede un granché. Montanti anteriori larghi. È stata progettata davvero molto bene, la Prius.
FINITURA
★★★★ Come le lavatrici di una volta: dura in eterno. Che cosa volete ancora, che faccia il caffè?
ACCESSORI
★★★★★ Sarebbe un'idea. Pochi optional, ma irrinunciabili. ABITABILITÀ
PROVA SU STRADA Toyota Prius 1.8 HSD Executive
Macchina da famiglia, perfetta per due adulti
★★★★☆ e tre bambini. Oppure anche per altri tre adulti. BAGAGLIAIO
★★★★★
Uno spazio ampio, non molto alto, ma largo
★★★★ e profondo. E sfruttabile. Cubatura: 385 litri.
• 1.798 cm3 • 100 kW (136 CV) • 4 cilindri benzina ibrido • Euro 5 • Bollo: € 258,00 • CO2: 89 g/km • € 32.951
FINO A 29 KM CON UN LITRO IN CITTÀ
Sembra elettrica, verrebbe da dire. Finché non si
CONFORT
Innovativa, diversa e anche un po’ snob, l’ibrida giapponese ha già un vantaggio chilometrico sulle automobili «normali»
CINQUE STELLE D’ORO PER I consumi
★★★★☆ accelera a fondo, ovvio. Bene sullo sconnesso. Beh, sono i motori della Prius: fluidi, ben
MOTORE
di carlo di giusto
★★★★ accordati, svizzeri. Girano come un orologio. ACCELERAZIONE 25,6 KM/LITRO IN CITTà
vita batterie illimitata
SBARAGLIARE la CO2
la risposta a pag. 120
la risposta a pag. 122
la risposta a pag. 123
112 QUATTRORUOTE Settembre 2009
Settembre 2009 QUATTRORUOTE
P
Non ama muoversi di fretta, è un po' così,
RIPRESA
★★★★ pigrotta, diciamo. Ci si adegua.
113
Automatico: avanti, indietro, folle e parcheggio, a
CAMBIO
provA su strada
arabrezza idrorepellente. Fa parte degli accessori della nuova Prius Vuol dire che potremo fare a meno del tergicristallo? Oppure è l’alternativa hi-tech dell’antico gesto dello strofinare una patata sul parabrezza? fi In realtà il singolare acces orio che equipaggia questa Toyota riassume il pensiero che sta dietro al sistema Prius Ovvero un’auto in cui ogni dettaglio è pensato per ridurre al minimo l’impiego di energia se l’acqua scorre via dal parabrezza per effetto dell’aria il tergicristallo (che consuma elettricità) va azionato meno sovente
stica Le luci degli stop sono a led come gli anabbaglianti anche e soprattutto perché richiedono meno energia Il tetto con i pannelli fotovoltaici alimenta l ventoline le t li per il ricambio i bi deld l l’aria così il climatizzatore ci mette meno tempo a raffreddare l’abitacolo Alla fine metti
insieme i singoli contributi di ogni soluzione e viene fuori la rispettabile percorrenza media di quasi 22 chilometri con un litro 21 88 per l’esattezza come puntualmente t l t rilevato il t dal d l CenC tro prove di «Quattroruote» Un po’ meno di quanto dichiarato dalla Casa 25 6 (nel «misto» e
Un dragster è un'altra cosa. Con la Prius
★★★ non s'ingaggiano sfide. Meglio soprassedere.
Che cosa promette
★★★★ prova di pigro, insomma. Lento, ma confortevole. La silhouette della Prius è la migliore dal punto di vista aerodinamico. Il suo Cx, infatti, è pari a 0,25
L'hanno appesantito. Buona notizia, perché si
STERZO
★★★★ sente meglio la strada. Anche se si fa più fatica.
segue a pag 116»
Gli spazi d'arresto non sono proprio all'altezza
FRENI
RISPARMIO ENERGETICO Ogni particolare insomma dà il suo contributo per utilizzare al meglio l’energia disponibile Se è vero - e lo è - che la Prius consuma poco non è solo per il fatto di essere full hybrid
Lallestimento Executive prevede di serie i rivestimenti di pelle sui sedili e il navigatore satellita are. I cerchi di lega leggera da 15 pollici sono abbinat al tetto solare (1.000 euro): di serie, infatti, monta ruote da 17 pollici. Che fanno consumare di più
Esempio cerchi da 15 pollici per montare gommine strette ad alta scorrevolezza e costruiti di lega realmente leggera tant’è che la funzione estetica è delegata ai coprimozzi di pla-
★★☆ delle aspettative. La Prius meriterebbe di più. SU STRADA
Gradevole. A patto di guidare in souplesse.
★★★★ Occhio a non esagerare, per via delle gomme.
Abitabilità à misure in centimetri 35
CONSUMO
95 155
Stelle d'oro. Per scendere sotto i 20 km con
★★★★★ un litro bisogna davvero impegnarsi a fondo. Il bagagliaio ha una capacità di carico pari a circa 385 litri, p piuttosto capiente p quindi. C’è molto q spazio anche per le persone, sia p davanti sia dietro d
bre 2009
PREZZO a.
I contenuti sono di valore e la qualità
★★★☆ ineccepibile. Sconti abbastanza consistenti.
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Le copertine di Quattroruote
2006 Marzo
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Le Suv sono fantastiche: “ hanno dato dignità alle due volumi, auto che nessuno sognava„ Mike Robinson - Designer
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LA STRADA, NUOVO MONDO DELLA COMUNICAZIONE
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I prossimi quarant'anni visti dai designer
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Roberto Giolito
Gilles Vidal
Giuliano Biasio
Capo design Fiat Professional e Heritage
Responsabile centro stile Peugeot
Responsabile centro stile Torino Design
«Una buona notizia: l'automobile non sparirà. Anzi, nell'accezione propria di oggetto che si muove da sé, si può dire che stia nascendo». L'approccio leggero, venato d'ironia, che contraddistingue l'eloquio di Roberto Giolito, fino a un paio di mesi fa capo del design FCA per la regione Emea, non gli impedisce di calare sul tavolo concetti pregnanti. «La trasformazione dell'auto si muoverà attorno a quattro pilastri: connettività, compatibilità, modularità, innovazione, ma sarà declinata in modo diverso. Nei Paesi emergenti ci sono priorità diverse da quelle dell'Europa: se da noi prevarrà la compatibilità con le città, in Sud America avrà più presa l'intercambiabilità delle parti». Quanto ai materiali, per Giolito gli esterni potrebbero diventare sensibili (rivestiti di sensori) e con trasparenza modulabile (miglior visibilità).
«Nei prossimi anni assisteremo alla più grande varietà stilistica». Parola di Gilles Vidal, l'uomo che, da direttore dello stile Peugeot, ha ridato ai prodotti della Casa francese una nuova coerenza linguistica, dalla 208 alla 308 nelle varie declinazioni. Per Vidal, poiché le normative internazionali tendono a uniformare le architetture di base dei veicoli, tutti chiamati a rispondere agli stessi requisiti di sicurezza, gli sforzi di differenziazione dei costruttori saranno sempre più concentrati sul design. La ricerca sui materiali ne è un aspetto. «Non solo quelli nuovi, ma anche quelli tradizionali, ritrattati. Su alcune concept abbiamo usato carta di giornale riciclata e pressata per simulare il legno. Bisognerebbe investire in macchinari che trasformano i materiali per trasferire la ricerca in produzione. E sviluppare di più la tecnologia della stampa in 3D».
«Sogno un'auto con al centro l'uomo e in grado di risolvere il rapporto conflittuale con le città». È la visione, o la speranza, di Giuliano Biasio, papà della Fiat Panda II serie. «Se passeggio in un centro storico, le vetture in sosta sono un fattore di fastidio. Forse è ora di lavorare sull'idea che, anche da ferme, le auto possano dare un valore aggiunto: potrebbero fare da centraline di rilevamento, fonte di ricarica per dispositivi mobili, ufficio privato da affittare per un'ora con la stessa logica del car sharing, addirittura panchina per anziani o donne gravide. Basterebbe immaginare una parte ribaltabile...». Per Biasio un'auto così urban-oriented dovrebbe avere ampie superfici vetrate e un aspetto amichevole: «L'aggressività che distingue il design corrente è finzione, perché il contesto t'impedisce quella guida sportiva a cui ammicca».
60°
2016 − 2026 Come saremo
L'automobile connessa tra benefici e rischi La vettura come uno smartphone, molto personale e sempre collegata. Dopo 130 anni, ecco la prima grande rivoluzione. Che aprirà le porte alla guida autonoma er Herbert Diess, «l'auto è il dispositivo mobile definitivo». E, secondo Bob Carter, «la prossima generazione di auto connesse [...] arriverà prima di quanto pensiate». La sintesi dei due top manager – rispettivamente, il numero uno del marchio Volkswagen e il vice presidente della Toyota Motor Sales Usa – delinea efficacemente i contorni dell'imminente grande passo che sta trasformando l'automobile. Per non dire di chi si è spinto persino negli insidiosi e per lo più inesplorati territori dell'intelligenza artificiale, lasciando correre l'immaginazione in un mondo in cui le auto saranno in grado di apprendere informazioni e utilizzarle per migliorare la qualità della vita in mobilità. Lo scenario è indubbiamente affascinante: siamo alle porte del più rilevante cambiamento da quando è stata inventata l'automobile, esattamente 130 anni fa. La definizione letterale di auto connessa – un veicolo dotato di dispositivi in grado di trasmettere e ricevere infor-
P
mazioni e dati con altri dispositivi a bordo o esterni al veicolo, quali altre vetture, case, uffici, reti e altre infrastrutture – vuol dire tutto e niente. “Connected car”, auto connessa, è una di quelle espressioni-contenitore, capaci di racchiudere in due sole parole concetti, visioni, idee, prospettive, tecnologie, sogni. L’auto connessa sta alle vetture tradizionali come lo smartphone al telefono portatile. L’equazione è perfetta, tanto che, se vogliamo immaginare come si evolveranno le auto in questo decennio, ci basta ricordare come sono cambiati i telefonini dal 2007 a oggi. Magari non con la stessa velocità, per-
ché la materia è più complessa, probabilmente senza un “game changer” com’è stato l’iPhone, ma di sicuro con un impatto sulle nostre vite di portata analoga, se non superiore.
L'auto consapevole Fino all'altro ieri, l'automobile era un oggetto chiuso in se stesso, quasi incapace di ricevere e totalmente impossibilitato a condividere informazioni. Un esempio pratico: potevamo ascoltare alla radio i bollettini sul traffico, ma quasi mai eravamo in grado di beneficiare delle indicazioni, perché tra il momento della rilevazione e quello della diffusione
L'immagine qui a fianco sintetizza efficacemente una delle numerose funzionalità dell'auto connessa (in questo caso la BMW i Vision Future Interaction che ha debuttato al Ces di Las Vegas in gennaio): una frana viene segnalata in tempo reale e condivisa in rete, in modo da allertare le vetture che sopraggiungono
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Come saremo
Volvo e Microsoft hanno stretto un accordo per lanciare un sistema indossabile a controllo vocale, che consentirà di accedere da remoto ad alcune funzioni dell'auto utilizzando il Microsoft Band 2
del comunicato passava troppo tempo. C'è voluto un dispositivo connesso, lo smartphone collegato a internet e a Google Maps, per avere avvisi tempestivi e realmente utili sulle condizioni di traffico, sull'orario d'arrivo previsto, sulla necessità o meno di cambiare percorso per arrivare a destinazione impiegando il minor tempo possibile. È probabile che tutti abbiate sperimentato attraverso lo smartphone i benefici della connettività e che vi siate anche
Uno dei traguardi tecnologici delle auto connesse riguarda la guida predittiva, che permette di anticipare le situazioni di potenziale rischio che si trovano sul percorso e in prossimità degli incroci
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ormai dimenticati di cosa volesse dire chiamare soccorso per un'uscita di strada in campagna, magari con la nebbia, prima che si diffondessero i cellulari. Situazioni che dovrebbero fornire una risposta più che esaustiva se vi state (ancora) chiedendo a cosa serva un'auto connessa, capace di “dialogare” con il guidatore, magari tenendone sotto controllo i parametri vitali, con l'ambiente circostante, con la propria abitazione o in grado di rilevare e condividere even-
tuali situazioni di pericolo e di adattarsi preventivamente alle differenti condizioni di marcia per essere più efficiente.
questione di privacy Le case automobilistiche, i colossi dell'informatica, le aziende dell'information technology e i fornitori di servizi di mobilità, tutti soggetti estremamente focalizzati sulle possibilità (e opportunità di business) offerte dalle auto connesse, prefigurano visioni che insistono
prevalentemente su tre temi: l'infoaspetti legati alla privacy e alla sicurezza tainment, l'efficienza e la sicurezza di dei dati se ne stanno occupando le istimarcia. Argomenti sui quali si concentuzioni: in Europa, la Federazione intertrano gli sforzi dei progettisti e sui quanazionale dell'automobile sta chiedendo li si giocheranno le partite commerciali una legge a tutela della privacy degli audei modelli più recenti, come, per esemtomobilisti, dopo aver rilevato quali inpio, la Volvo S90 e la formazioni vengono Mercedes-Benz Clastrasmesse, per ora soL'auto connessa pone il tema se E, appena presenlo ai costruttori (modella sicurezza dei dati e della tate al Salone di Dedalità di guida, tensioprivacy degli automobilisti. troit in gennaio. La ne delle cinture di siSpetterà alle Case garantire tecnologia, però, ascurezza, numero dei riservatezza e inviolabilità sieme al suo bagaviaggi fatti, chilometri glio di benefici, solleva questioni e percorsi, ultime destinazioni nel sistema problemi tutt'altro che marginali. di navigazione, giri motore, stato delle Due, in particolare, stanno a cuore di luci e dati della sincronizzazione con lo istituzioni e produttori: la protezione smartphone), all'insaputa del proprietadei dati e della privacy e la difesa dario della vettura. I rischi, tuttavia, sono gli attacchi informatici. Se la nostra altri e cioè che qualcuno possa introdurautomobile finisce per diventare estresi nei sistemi dell'auto connessa in modo mamente personale, come lo è lo illegale. E negli Usa, intanto, è già approsmartphone, avrà a disposizione i nostri dato al Congresso un disegno di legge dati, conoscerà le nostre abitudini, saper obbligare le Case a definire una poprà dove abitiamo e, ovviamente, cosa licy per la privacy, descrivendo i procesfacciamo, quando e dove andiamo a farsi di raccolta, utilizzo e condivisione dello. E probabilmente anche con chi. Degli le informazioni.
Al Ces 2016, la Volkswagen ha esplorato le possibilità di interazione tra vettura e abitazione: dal cruscotto della concept car BUDD-e, infatti, è possibile controllare l'impianto di aria condizionata di casa, accendere e spegnere le luci e dare una sbirciata all'interno. Tutto è reso possibile dal collegamento all'internet delle cose
Carlo Di Giusto
Guidare rilassati
Il biofeedback entra nell'abitacolo Audi FitDriver è il programma sperimentale della Casa di Ingolstadt che si concentra sul benessere e sulla salute del conducente. Tramite un “wearable”, un braccialetto fitness o uno smartwatch, il sistema controlla alcuni importanti parametri vitali come la frequenza cardiaca e la temperatura della pelle.
Altri sensori sulla vettura integrano questi dati con le informazioni sullo stile di guida, il ritmo della respirazione e le condizioni meteorologiche per determinare lo stato di stress del guidatore. Non appena la vettura rileva un aumento dello stress, il sistema avvia il video tutorial di uno
specifico esercizio di respirazione. FitDriver gestisce in modo attivo anche le pause di guida: per esempio, tiene conto di eventuali code per suggerire al guidatore di fermarsi in un'area di sosta anziché restare bloccato nel traffico. Tutti i dati, assicura l'Audi, non vengono condivisi senza consenso.
60°
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Classe '56 Crema, 26 dicembre
Beppe Severgnini La tecnologia ci ha semplificato la vita, sostiene il giornalista. C'è il rischio, però, che ci distragga dalla guida, almeno fino a quando non arriveranno le macchine che vanno da sole. Ma anche su queste è cauto: servirà più tempo di quanto pensiamo, per vederle. Soprattutto sulle nostre disastrate strade a sempre è un osservatore attento delle abitudini, anche al volante, degli italiani, che si è divertito a descrivere nei suoi libri. Dalle colonne del Corriere della Sera si è speso molto in favore della sicurezza stradale, in particolare contro la guida in stato di ebbrezza e le stragi del sabato sera. Beppe Severgnini è quindi un interlocutore ideale per immaginare come cambieranno le auto nei prossimi anni e come cambieremo noi assieme a loro.
D
L’auto che viaggia da sola sembra ormai quasi realtà. Come la vede? Non vicinissima. Ho un amico che vive in California, nella Bay Area, e lavora a questo progetto da molti anni. Mi racconta delle difficoltà, soprattutto nel determina-
Negli anni 80, Severgnini è andato a Londra, dov'era corrispondente per Il Giornale, con una Lancia Delta grigia: «Ha resistito alla pioggia, all'ironia britannica e alla mia guida a sinistra», ha scritto
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60°
re i processi autonomi di decisione dei veicoli, che devono compiere scelte che, di norma, competono a noi umani. Penso che siamo più distanti dalla realizzazione di queste vetture di quanto immaginiamo. Nel campo dell’automobile abbiamo già avuto esempi in passato di situazioni simili. Pensiamo alle vetture elettriche o all’alimentazione solare: idee bellissime. Metterle in pratica, però non si sta rivelando facile. Non lo sarà nemmeno con le autonome. La combinazione uomo+petrolio, nella sua brutalità, durerà ancora. Anche perché il costo del barile rimarrà basso. Tra l’auto autonoma e quella di oggi c’è quella connessa, molto più vicina… Sono convinto che l’auto connessa sia molto utile, soprattutto in termini di si-
Natale 1958: Beppe Severgnini con la madre Anna a bordo della sua prima macchinina
curezza. Io ho una Volvo XC60 del 2009 che non ho ancora cambiato perché era molto avanti sotto il profilo della tecnologia di assistenza alla guida: ha il sistema di frenata automatica, l’alert per la stanchezza, il sensore che avvisa del cambio di corsia. Già da qualche anno, le macchine hanno a bordo strumenti straordinari e ne avranno sempre più. Il problema che vedo, però, non riguarda tanto le Case, che stanno lavorando rapidamente e hanno capito che il futuro è quello. Il problema è la controparte: le auto connesse devono dialogare con i semafori, le strade. In questo vedo ritardi: in un Paese come l’Italia, in cui stiamo ancora parlando di terminare la Salerno-Reggio Calabria, viene qualche dubbio sulla nostra capacità di stare al passo con la modernità.
2016− 2026
Dopo la laurea in diritto internazionale, Severgnini entra nella redazione de Il Giornale di Indro Montanelli nel 1981. Corrispondente da Londra, inviato in vari Paesi dell’Europa Orientale, in Russia e Cina, passa a La Voce e, dal 1995, al Corriere della Sera, di cui è editorialista. All'attività editoriale affianca quella televisiva e teatrale: dal libro “La vita è un viaggio” è stato tratto uno spettacolo con cui è in tournée
60°
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Classe '56 Beppe Severgnini
Il dieselgate è davvero “ uno psicodramma collettivo per i tedeschi. Perché truccare i dati è una cosa grave e perché è stato fatto con leggerezza„ La vorrebbe, un’auto autonoma? Sì. Mi piace guidare, ma non sono di quelli che lo devono fare a tutti i costi. Lo trovo anche rilassante in certe situazioni, ma siccome sono spesso in giro per lavoro e devo concentrarmi, non mi dispiacerebbe averne una che va da sé. La cosa che mi fa davvero paura, invece, è la distrazione che portano certi strumenti: smartphone, navigatori, sistemi audio. Gli incidenti legati alla distrazione da tecnologia stanno diventando la maggioranza. Sfuggono ai dati, perché spesso non si riesce a risalire all’evento che ha davvero provocato il sinistro, ma credo che molto oggi dipenda da quello. Non è un caso che gli incidenti del 2015 siano stati più numerosi di quelli del 2014. L’osservazione del traffico in una città come Milano lo conferma: una persona su due è al telefono o manda messaggi. È un problema che la polizia locale, purtroppo, non affronta. Nei suoi libri ha messo spesso a confronto le nostre abitudini con quelle di altri Paesi. Che automobilista è l’italiano?
Ci sono molti stereotipi riguardo alle consuetudini al volante. I belgi hanno avuto per anni la fama di peggiori guidatori d’Europa, chissà perché. Gli italiani, quella di essere concitati, di usare il clacson in modo forsennato. C’è del vero in alcune di queste osservazioni, ma in Europa i comportamenti si vanno uniformando. La sciocchezza delle sciocchezze? Quella secondo cui al volante le donne siano peggio degli uomini. Se guidano abitualmente, invece, sono altrettanto brave (o altrettanto scadenti, dipende). Mia moglie Ortensia, per esempio, è un'ottima conducente. Gli italiani sono migliorati alla guida. Anche perché alcune regole vengono finalmente fatte rispettare. La questione dell’alcol: ora si fanno controlli sistematici, ritirando patenti e sequestrando veicoli, i ragazzi cominciano a organizzarsi. Chi guida, non beve. Quando la polizia punirà chi sta al telefono e manda messaggi, la gente smetterà di farlo. Le sanzioni funzionano e chi sostiene il contrario è in malafede. Nell’ultimo libro racconta di un viaggio
Una passione tramandata
50 sfumature di Lancia in famiglia Suo padre Angelo (a destra nell'immagine), 99 anni, ha acquistato l’Appia seconda serie della foto nel 1956. Suo zio Mauro, medico condotto, aveva una Fulvia Coupé. Lo zio Lazzaro, agricoltore, aveva anche lui un’Appia (prima serie), poi si è innamorato della Flavia Coupé. Beppe ha avuto una Delta, che lo
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ha accompagnato a Londra, dove fu mandato come corrispondente negli anni 80. «50 sfumature di Lancia, una sola famiglia», scriveva il giornalista ne “La vita è un viaggio”, uscito nel 2014. Auto fascinose, le Lancia, signorili, un po’ più care delle Fiat, meglio rifinite, più robuste ed eleganti. A loro Severgnini
ha dedicato diverse pagine dei suoi libri, raccontando degli epici viaggi a bordo dell’Appia. «Quella vettura è ancora con noi», racconta. «Nel 2015 mio figlio Antonio l'ha guidata fino a Torino e l'abbiamo esposta al Salone del Libro, insieme agli estratti dei miei libri in cui parlavo di lei. Un'Appia letteraria».
nel quale è passato da Wolfsburg. Sarà ancora la stessa dopo il dieselgate? No. La Germania è un Paese sensibile al tema della responsabilità, dunque è stato un trauma enorme. I tedeschi usano la stessa parola, Schuld, per intendere “debito” e “colpa”. Quando c’era il tema del debito greco, loro lo vivevano anche come una colpa dei greci. Ora vivono la colpa della loro industria-simbolo come una sorta di debito dell’intero Paese. Se il dieselgate fosse scoppiato in un’azienda italiana? Ci sarebbero stati otto giorni di talk show in cui tutti insultavano tutti e nessuno capiva nulla, poi il polverone sarebbe svanito. Comunque, se andassimo a osservare le attività degli altri costruttori in materia di emissioni, avremmo sorprese. Non ho prove, è una sensazione.
La sede della Volkswagen a Wolfsburg, da dove Severgnini è passato in uno dei viaggi che racconta nel suo ultimo libro, “Signori, si cambia” (nella pagina a fianco), uscito a novembre
È un appassionato di auto? Definirmi appassionato è un po’ troppo. Direi incuriosito. Le trovo un luogo fisicamente gradevole, socialmente interessante, estremamente comodo. Ho avuto in prestito una Audi TT e ho concluso che non è adatta alla mia età, né al mio carattere. Preferisco macchine più confortevoli e più alte. Mi piace sentire la musica, vedere bene intorno. Apprezzo anche le prestazioni, ma non troppo. Qualche tempo fa ho guidato la Ferrari California. Pensavo di essere immune a quel genere di emozioni, ma è meravigliosa, un divertimento assoluto. Quando ho dovuto restituirla, ero in lutto. Mio figlio anche. Se mi fossi
concesso un’auto come quella, con un figlio giovane, avrei dovuto chiuderla come Fort Knox. Antonio è appassionato di motori, diversamente da altri ragazzi di oggi. La tecnologia può essere una chiave per avvicinarli alle macchine? No, non credo. Bisogna stare attenti su questo fronte, perché già oggi molte auto si stanno riempiendo di tecnologia che non solo distrae, ma è sostanzialmente inutile. E poi è bene anche ricordare che i grandi successi in ambito hi-tech, come l'iPhone, sono una combinazione di tecnologia e semplicità. Per il Corriere, negli ultimi giorni del 2015, ho immaginato un
dialogo fra tre generazioni (nonna, papà, figlio) su vari temi. Parlando di trasporti, a un certo punto il padre Paolo, 53 anni, dice: «Un'auto è una cosa seria. Dev'essere adatta a noi, va scelta con attenzione. Bisogna ricordare la manutenzione. Bisogna avere un posto dove metterla. Bisogna starle dietro». Il figlio Filippo (23 anni) risponde: «E se uno non avesse tempo, voglia e soldi per queste cose? Se non volesse passare mezz'ora ogni sera cercando parcheggio? Ti sei mai chiesto perché tanti di noi usano enjoy in città e BlaBlaCar per i viaggi? Perché l'auto è un mezzo, papà. Non un fine. Io vado in treno volentieri, ma non voglio acquistarlo». Laura Confalonieri
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L'AUTOMOBILISTA 2.0 DA PILOTA A PASSEGGERO
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I prossimi quarant'anni visti dai designer
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Walter de Silva
Leonardo Fioravanti
Giorgetto Giugiaro
Ex responsabile del design del gruppo Volkswagen
Ceo della Fioravanti srl
Fondatore della Italdesign
«La parola chiave per capire il futuro è digitalizzazione, che non significa semplicemente un insieme di servizi di connettività e di fruizione dell'elettronica di bordo, ma una rivoluzione che interesserà interni ed esterni». Ha pochi dubbi su questo, Walter de Silva, che certo conosce alla perfezione le linee guida del processo di ricerca di un grande gruppo come quello Volkswagen, di cui, fino allo scorso novembre, ha guidato lo stile. «Negli interni si avrà una progressiva dematerializzazione, con superfici Oled trasparenti e interattive e proiezioni olografiche tridimensionali. All'esterno, la carrozzeria potrà anche essere usata per comunicare, pubblicizzare o personalizzare. La tradizionale vernice potrebbe sparire. E, per favorire la personalizzazione, il design si farà più semplice, con parti scomponibili e sostituibili».
«Io, ingegnere meccanico, un passato agonistico e una vita a disegnare super sportive, dico che i motori termici hanno fatto il loro tempo. Il futuro è elettrico». Parola di Leonardo Fioravanti, papà di tante Ferrari illustri, dalla 365 BB alla Daytona, passando per la 308 GTB, solo per citarne alcune. Per il designer, che da studente andava alla redazione di Quattroruote a dare una mano, bastano pochi numeri a spiegare l'assurdità del propulsore termico: «Secondo l'Oica, circolano in media 860 milioni di veicoli. Moltiplicateli per il numero medio di cilindri, tre o quattro, poi per il numero medio di giri, 3-4 mila, e per i minuti medi d'uso quotidiano, 120, e saprete quante volte al giorno ogni pistone sale, si ferma e scende. Una danza che dà un rendimento del 30% contro il 90 dell'elettrico». Ma l'avvento delle EV, per Fioravanti, non rivoluzionerà il design.
«Fare previsioni sul futuro lontano è non soltanto difficile, ma piuttosto azzardato. Negli anni 60 si immaginava il XXI secolo con scenari urbani popolati di macchine volanti. Siamo nel 2016 e le auto restano ancora con le ruote ben piantate per terra. Infarcite di elettronica, sì. Intelligenti, certo. Ma, finora, spinte sempre dal vecchio motore a scoppio o, tutt'al più, con un marginale contributo elettrico». Non perde quel buon senso che domina gran parte dei suoi lavori, Giorgetto Giugiaro, leggenda vivente del design degli ultimi sessant'anni, sempre attento alla praticità e alla funzionalità. «Se malauguratamente scoppiasse una guerra, tutti gli scenari che immaginiamo andrebbero all'aria. Che le auto guideranno da sole sembra abbastanza assodato. Un incubo? Mah... Mi pare piuttosto un'opportunità di mobilità per chi non può guidare».
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2026 − 2036 Come saremo
Quando l'autonoma ci guiderà nella realtà virtuale Le self-driving car riscriveranno il modo di viaggiare, lasciandoci più tempo libero. Da impiegare utilizzando la straordinaria tecnologia di bordo auto procede silenziosa nel traffico, mentre i passeggeri, anche quello al volante, si godono un film in 3D. All’improvviso, arriva una chiamata: un amico compare sul parabrezza-schermo, dove prima scorrevano le immagini dell'ultimo blockbuster, e propone di trovarsi per cena in un nuovo ristorante. Invito accettato. Finita la chiacchierata, il guidatore (trasportato) seleziona l’area della città sulla mappa che appare sul parabrezza, imposta l'indirizzo di destinazione puntando il dito sulla via e ingrandisce l'immagine del ristorante, per vedere com’è, muovendosi virtualmente tra le sale, facendo scorrere gli ambienti con una mano. Benvenuti a bordo di un'auto del 2030. Queste potrebbero essere scene di vita ordinaria su una macchina autonoma. Perché, in un futuro non troppo lontano, le nostre esperienze di viaggio cambieranno radicalmente. La guida automatizzata, almeno quando non avremo voglia di prendere il volante, ci lascerà molto tempo libero, da dedicare ad altro. Per esempio, a osserva-
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re ciò che abbiamo intorno: informazioni sui luoghi da cui passiamo, dati sulle altre auto e su tutto ciò che ci circonda, che sarà mappato in alta definizione. Potremo anche guardare il panorama, eliminando però dalla nostra vista tutto ciò che ci disturba, come i cartelloni pubblicitari.
come sugli aerei. Una formula che interessa soprattutto i costruttori di vetture premium, in cui il piacere di guida è e resterà un valore. Non sempre, però, stare al volante è divertente: in presenza di code e traffico intenso o quando si ha altro da fare (una chiamata importante, una email
Questione di tempo La strada verso la self-driving car è tracciata: dall’America al Giappone, dalla Germania alla Francia, i test continuano e il suo debutto è imminente. La Tesla sostiene che le proprie auto potranno viaggiare in modalità autonoma entro un paio d’anni. La Toyota sposta al 2020 l’arrivo dei primi esemplari dotati del sistema di guida automatizzata che sta sperimentando su una Lexus GS a Tokyo. Uno studio della McKinsey presentato all’ultimo Ces di Las Vegas, invece, prevede l'ingresso nei listini di questi modelli tra il 2020 e il 2022 e stima che per il 2030 saranno il 15% del mercato globale. Non tutte saranno unicamente autonome: su molte sarà possibile inserire il pilota automatico, proprio
La realtà virtuale sul parabrezza, secondo gli esperti dell'Advanced Engineering della Mercedes: si potranno avere le informazioni su tutto ciò che circonda l'auto, muovendo gli oggetti con le mani per ingrandirli o per visualizzare a 360° altre zone della città
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Un'idea nata molto tempo fa
Come saremo
Nonne della Google car Quello che accadrà sulle strade nel 2026 è il frutto dell’immaginazione fervida di persone vissute 70 anni prima. Nel 1956, infatti, la Central Power and Light Company, società elettrica americana, lanciò una campagna pubblicitaria nella quale una vettura
da scrivere), si potrà scegliere di passare i comandi all'auto. Qualcuno immagina addirittura zone delle città in cui potranno accedere solo le autonome. L’obiettivo di questo nuovo modo di muoversi, del resto, è abbattere fino ad azzerare gli incidenti, che causano la morte di 1,2 milioni di persone ogni anno nel mondo. E tutti, o quasi, stanno lavorando per centrarlo. Le sperimentazioni sono state avviate da buona parte dei costruttori, dalla Ford alla GM, dalla Hyundai alla Honda, dalla Mercedes all’Audi, oltre che dai produttori di software, chip e sensori, ma anche dai fornitori di servizi, come il car sharing, che vedono nell’auto autonoma il proprio ideale punto d’arrivo. Mondi un tempo lontani, che si avvicinano sempre più. Lo dimostrano le alleanze che si stanno stringendo: GM con Lyft, l’antiUber, la Volvo con Microsoft, solo per citare le più recenti. Intanto, la Google Car ha già macinato 2 milioni di chilometri e, sebbene il ventilato accordo tra la società di Mountain View e la Ford per lo sviluppo di un veicolo in comune non sia stato con-
viaggiava senza l’intervento del conducente, grazie a un sistema elettromagnetico integrato nell'autostrada che muoveva le macchine (a fianco). Nello stesso periodo, ricco di letteratura fantascientifica, s'immaginavano anche auto volanti (a destra).
fermato, le collaborazioni tra car maker e big dell’informatica diventeranno sempre più frequenti. Anche la Apple non ha ancora un partner automotive per il suo progetto Titan, ma è presumibile che arriverà.
Le questioni aperte La meta sembra molto vicina, ma la strada è lunga. Lo sviluppo dei sistemi d'intelligenza artificiale pone una serie di ostacoli di natura giuridica, con le normative che devono regolamentare utilizzo e responsabilità in caso di malfunzionamenti, ma anche criticità pratiche. Il rigore dei processori, infatti, fa sì che i veicoli autonomi seguano pedissequamente prescrizioni e limiti. In un mondo popolato soltanto da mezzi che si comportano così, non ci sarebbero problemi. Ma la convivenza con le auto guidate dagli umani appare complessa. Per non parlare dei temi di carattere etico: in situazioni di pericolo, una vettura autonoma deciderà di privilegiare la sicurezza dei propri occupanti o quella dei pedoni o di altri utenti della strada? In base a quale
Percorso per gradi
Prima in autostrada, poi in città Le Tesla Model S sono già dotate del sistema semiautonomo Autopilot, mentre nel 2017 l'Audi A8 guiderà in modo autonomo nel traffico fino a 60 km/h. Ma quando potremo acquistare modelli che viaggiano da soli in tutte le situazioni? Il primo spartiacque sarà il 2020, quando la guida autonoma in autostrada ‒ leggi
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permettendo ‒ diventerà una tecnologia diffusa, soprattutto sulle vetture premium. Il passo successivo ‒ e più difficile ‒ sarà quello dei contesti urbani: secondo Miklos Kiss, responsabile pre-sviluppo dei sistemi Piloted Driving dell'Audi, affrontare gli incroci con i pedoni e altre situazioni complesse richiederà
almeno altri dieci anni. Forse meno, se le infrastrutture verranno aggiornate per assistere radar, laser e telecamere, magari con corsie riservate alle auto-robot. Sarà possibile utilizzare una vettura anche senza patente? «Sì, almeno in città», risponde Kiss; «un giorno potremo viaggiare anche dormendo».
principio sarà impostato il software che gestirà le sue scelte? Ciò che oggi appare difficile e oscuro, comunque, potrebbe non esserlo più tra dieci anni. Il progresso, del resto, è sempre più veloce. Pensiamo ai cellulari: quindici anni fa li usavamo esclusivamente per telefonare. Oggi hanno così tante funzioni da aver rimpiazzato decine di oggetti, cambiando la nostra vita. Le auto autonome potrebbero fare altrettanto.
Esperienze del nuovo tipo Se la realtà aumentata sarà caratteristica delle auto connesse, la realtà virtuale sarà il paradigma delle autonome. «Quella virtuale è un’esperienza immersiva, estraniante e per questo necessita della guida autonoma», spiega Ralf Lamberti, responsabile User Interaction e Connected Car della Mercedes, che ha un’unità del proprio Advanced Engineering dedicata a questi temi. «Ci permetterà di relazionarci con oggetti non fisici, attraverso gesti fisici: il movimento di una mano, la direzione dello sguardo». A questa tec-
Osservando l'abitacolo di questa auto autonoma (la concept XchangE della svizzera Rinspeed), si comprende quanto fosse realistica la visione del creativo che ha realizzato la campagna pubblicitaria del '56 (nella pagina accanto)
nologia sta lavorando pure la BMW, che a ne comprenderanno i benefici. Per queLas Vegas ha presentato la concept i Visto, non tutto ciò che è possibile applicare sion Future Interaction, la quale ‒ con un all’auto in termini di tecnologia, lo sarà. panorama display da 21 «Quel che è certo», Non tutta la tecnologia pollici – sposta in avanprevede Alexander applicabile alle auto verrà usata ti il livello d'interazione Mankowsky, futurolodavvero. Oggi si stanno con l’auto già offerto go che sta studiando sperimentando soluzioni senza sulla Serie 7 dal Gestuper la Mercedes gli scesapere quali si diffonderanno re control. E la Volksnari di vita con le vettuwagen, sempre al Ces, ha proposto una re di domani, «è che cambierà l’esperiensoluzione simile sulla e-Golf Touch. za di viaggio, diventando più ricca. In città, All’inizio non sarà facile adattarsi ai ci sposteremo su capsule autonome in car cambiamenti, se non per i nativi digitali. sharing, che si muoveranno su corsie deQualcuno, leggendo queste previsioni, dicate. Oppure sulle nostre macchine auavrà provato un brivido d'inquietudine. Le tonome, le uniche che compreremo. Perpersone accetteranno la virtualità solo se ché per il divertimento al volante nolegge-
remo quelle che ci piacciono, per il tempo che serve». Fantascienza? Forse. In effetti, il cinema è tra i più efficaci promotori di visioni future: film come “Minority Report” e “Matrix” ci hanno proiettato in un domani che pareva lontano e che oggi, per molti versi, ci è familiare. L’auto autonoma sarà a zero emissioni: elettrica o a fuel cell, alimentata a idrogeno, come la Toyota Mirai, che non a caso significa “futuro”. La tecnologia procede spesso con salti improvvisi dopo periodi di lunga, lieve salita. L’automobile e il modo un cui ci spostiamo sono rimasti sostanzialmente gli stessi per oltre cento anni. Il balzo adesso è vicino. Laura Confalonieri
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Classe '56 Ravenna, ohio (Usa), 14 ottobre
Chris Bangle In un mondo digitalizzato, l'auto continuerà a dare un valore aggiunto molto fisico. Ma il car design, quello, rischia di morire. A meno che non ritrovi il suo ruolo di motore dell'innovazione. Ne è convinto l'ex capo dello stile BMW, che spiega come ci siano campi di ricerca, dai materiali alle tecniche progettuali, praticamente inesplorati... ncontro Chris Bangle in un bar a Milano, con suo figlio Derrick (si occupa d'architettura), che ha accompagnato nel capoluogo lombardo per alcuni documenti. Meglio così. Lontano dalla sua eclettica casa-studio nelle Langhe, ci sono meno distrazioni, e più chance di tenere imbrigliato il vulcanico estro creativo dell'ex capo del design BMW, conducendolo all'interno dei binari di un'intervista. Anche se lo invito a considerarla piuttosto un brainstorming, in cui gettare sul tavolo, accanto a brioche e cappuccino, idee in ordine sparso.
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Qual è il futuro del car design? Bisogna chiedersi se ci sarà. Per la mia generazione l’auto è il più forte avatar
Sopra, l'F117 Nighthawk, esempio di bruttezza funzionale. A lato, superfici architettoniche generate a computer tramite algoritmi
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conosciuto, la più coinvolgente rappresentazione di sé. Se consideri la fascia sotto i 25 anni, quella di mio figlio, per loro ci sono tanti avatar alternativi, dalla presenza in internet, in Facebook e così via, economici e immediatamente fruibili, che sono più attraenti. L'auto offrirà loro scenari inediti, come la guida autonoma... Molti la considerano una minaccia alla libertà personale. Si può vedere, invece, come soluzione a una diversa minaccia: aver bisogno di qualcuno che guidi al posto tuo. Immaginiamo una persona anziana, che in certi Paesi non può più stare al volante per raggiunti limiti di età. Deve rassegnarsi ad affidarsi a una persona più giovane che guidi per lui. Ma magari non
può, o forse non vuole. La vettura a guida autonoma è un trade-off: risolve tutto ciò e diventa un assistente fisico. Non dimentichiamo che la relazione tra auto e persona si gioca sul piano fisico, lì l’auto ha il suo valore aggiunto. Tutto il resto, cioè email, sms, navigazione, internet è questione di app: se queste vanno bene sugli smartphone, vanno bene pure in macchina. Quando parliamo dell’auto, non parliamo d'ingegneria aerospaziale, parliamo d'idraulica. Che forse è peggio. Mi spiego: quando invecchiamo è questione di servizi igienici, di «dove vado in bagno?». Se in macchina avessi il tuo bagno personale, il veicolo avrebbe un altro valore. Okay, la mia è un po' una provocazione, per dire che è solo quando entri nel mondo fisico – mi devo spostare, devo caricare cose,
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Laureato all'Art Center College of Design di Pasadena, California, è assunto nel 1981 alla Opel. Nel 1985 va alla Fiat, dove firma la Coupé e viene nominato alla guida degli Esterni. Un anno dopo passa alla BMW, dove occuperà la poltrona di capo dello stile fino al 2009. Lasciata Monaco, sceglie di vivere e lavorare in Italia. Con la sua Bangle Associate continua a dedicarsi al design
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Classe '56 Chris Bangle
La Serie 7 del 2003 è stata la prima auto di produzione BMW firmata da Bangle. Lo stile rompeva con la tradizione e subito fu oggetto di feroci polemiche da parte di chi sentiva tradita l'identità del marchio. Fu l'inizio di una nuova era per la Casa di Monaco
entrare, uscire – che l’auto è chiamata a dare risposte ai nostri bisogni. E non è detto che debba avere la forma consueta. Quella forma a cui siamo affezionati – l’emozione, lo stile – è l’avatar, è funzionale alla nostra generazione. In futuro si dovrà trovare una nuova dimensione. Eppure tra i giovani cresce l'interesse per le auto storiche, i nostri avatar. Mi pare più interesse culturale che ricerca di una rappresentazione di sé. Comunque, una cosa è l'interesse per l'auto, altra è essere disposti ad acquistarne una. Mio figlio vive a New York, perché dovrebbe farlo? E se la gente non compra più... Non si può certo pensare che Uber possa sostenere i costi di sviluppo dei nuovi prodotti. Ipotizziamo un margine medio del 10%, ma anche inferiore per auto di fascia medio-bassa: quanto diminuirebbe immaginando compagnie come Uber tra i principali clienti delle Case? Perché è chiaro che a Uber non interessa avere l’auto col logo bianco-azzurro della BMW, per dirne uno. A questo
punto, a lungo termine, il modello di business sarebbe ancora sostenibile? E dunque? Dunque è un interrogativo. I governi possono sempre intervenire, investendo per tutelare i posti di lavoro. Però le domande bisogna porsele. E il car design più di tutti, perché oggi sta facendo del suo meglio per rendersi superfluo. Ma come? Il ruolo dei designer cresce, le cariche attribuite loro nelle Case sono sempre più prestigiose... Non è che il design sia ritenuto intrinsecamente interessante dalle aziende, è semplicemente necessario. Ha una funzione di mediazione, a volte serve ad ammantare di un'aura creativa decisioni prese dal management per altre ragioni. Il design (interviene Derrick) ha una funzione di “story-telling”. Noi esseri umani abbiamo bisogno che ogni cosa nel mondo sia collocata in una cornice logica. Parlando di design, è ciò che ti permette di raccontare al tuo cliente una storia
sensata: origini, approdo, valori... e dirgli che può essere parte di tale storia. In una parola (ritorna a parlare Chris), “branding”. E il design al servizio del brand contiene un rischio. Pensiamo al Manierismo: movimento artistico il cui focus non era tanto sull’originalità, quanto sull’interpretazione di canoni codificati da maestri. Il Manierismo prevedeva variazioni sul tema, non aggiunte sostanziali al bagaglio della conoscenza. Ma se stai fermo, se non progredisci, allora muori. È la differenza tra “being” (essere) e “becoming” (divenire): quando cominci a essere, smetti di divenire. Il brand, con una serie di canoni a cui aderire, è questione di “being”: noi siamo questo, questi sono i valori che ci definiscono. È Manierismo. Il car design, quello vero, storicamente è sempre stato un “becoming”, un processo di cambiamento. Ma le nuove tecnologie possono dare un impulso di trasformazione? Dipende. Se parliamo di elettrico o di guida autonoma, non ho mai visto che il
«Se immaginiamo superfici interattive, le si potrebbe far muovere con diverse finalità. La più interessante delle quali è quella aerodinamica», sostiene Bangle. A lato, lo studio Flake concept, firmato da uno studente di Coventry, nel Regno Unito, che prevede 250 pannelli di carbonio mossi da micro-attuatori
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Negli sketch fatti da Bangle per Quattroruote, due approcci curiosamente diversi: sarebbe ridicola una Jaguar che mima un giaguaro. Eppure ai robot sentiamo il bisogno di dare volto umano...
tipo di motore o di autista siano rilevanti per il design. Il sistema di stampaggio inventato dalla Volkswagen che permette di avere spigoli ultra-precisi, questo sì consente un'evoluzione del linguaggio. In uno scenario di zero incidenti forse le auto non saranno più di lamiera... La lamiera è facilmente pulibile, cosa che non vale per il tessuto. La plastica sarebbe interessante se non fosse un derivato del petrolio. Ci sono sperimentazioni per produrla da materiali organici, ma non ne abbiamo ancora un'esperienza su larga scala industriale. L'abbiamo sui metalli. I quali sono sì pesanti, ma facilmente riciclabili e assorbono bene l'energia d'urto. Quindi, abbastanza efficienti. Si potrebbe fare meglio? Sì, ma a scapito del senso estetico. L'aspetto butterato delle palle da golf ne aiuta l'aerodinamica. Ma su un'auto sarebbe difficilmente accettabile. Può darsi coincidenza tra bellezza ed efficienza? Kelly Johnson, storico capo della ricerca e sviluppo alla Lockeed, diceva: «Pretty planes fly better»,
Chris Bangle, nel corso della sua carriera, ha sviluppato un design talvolta controverso, sempre anticonvenzionale, alla ricerca di linguaggi che non si conformassero alla moda del momento. Le auto da lui disegnate alla BMW, alcune bersaglio di molte critiche, si riconoscono tutt'oggi al primo sguardo
gli aerei belli volano meglio. Il briefing per lo Stealth antiradar, però, fu: «Non vogliamo che voli meglio, ma che sia invisibile». E per farlo invisibile bisognava farlo brutto. Troppo per Johnson. E infatti il lavoro del l'F117 Nighthawk, con le sue superfici frammentate, lo portò avanti il successore, Ben Rich. Lezioni applicabili all'auto...? Beh, per superfici complesse è interessante il design generato da algoritmi. Nel car design usiamo punti uniti mediante linee chiamate teorici. Invece questo è un design per propagazione: è molto usato in architettura. Ma nelle scuole di transportation design non s'insegna neppure. Roberto Lo Vecchio
il design è solo al servizio “dellaSe costruzione del marchio, di ciò che il marchio è oggi, perde la sua capacità d'immaginare il futuro „ 60°
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MEGA E SMART LE CITTÀ DEL FUTURO
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Filippo Perini
Ercole Spada
Flavio Manzoni
Responsabile stile Italdesign e Lamborghini
Titolare, con il figlio Paolo, dello studio SpadaConcept
Responsabile del centro stile Ferrari
«Venticinque-trent’anni è una proiezione interessante. Confesso che ci penso, giorno e notte. Le prospettive di auto a guida autonoma apparentemente confliggono con l’idea sottesa a un marchio sportivo come quello per cui lavoro. Però credo che l’auto sportiva ci sarà sempre, così come il piacere della guida, anzi avranno spazi nuovi e saranno più valorizzati di quanto avvenga oggi». Quella che può sembrare una difesa a oltranza del proprio mondo per un designer, come Filippo Perini, che ha trascorso un decennio alla guida dello stile Lamborghini, apre invece una prospettiva tutt’altro che banale: la guida autonoma non ucciderà la sportività, al contrario le darà uno spazio “protetto”. «È ipotizzabile che si rivalutino espressioni di sportività più legate al “fun to drive” che ancorate al nudo dato della potenza massima oggi imperativo».
«Uno scenario di auto connesse e a guida autonoma potrebbe contribuire a ridurre alla lunga i costi di sviluppo. Pensiamo solo ai crash test e alla sicurezza passiva. Auto dedicate alle città, sotto certe velocità, non richiederebbero tutto l’apparato odierno. In futuro vedo una maggior specializzazione delle funzioni, per esempio per le auto pubbliche: taxi progettati ad hoc e, alcuni, per ospitare una sola persona, la modalità d'uso più frequente». Fa un certo effetto sentire Ercole Spada, il papà della coda tronca e di tante sportive, focalizzarsi su aspetti strettamente funzionali. Ma Spada, classe 1937, è un designer a tutto tondo, capace di plasmare emozioni, ma anche di occuparsi di problemi pratici. «Sono passati decenni dalla concept New York Taxi di Giugiaro, ma quell'idea razionale di taglia ridotta, spazio interno e facile accesso è rimasta lettera morta».
Guida il design di un marchio che pare avviato verso un futuro ancor più radioso del presente. Eppure, parlando dell’auto in generale, Flavio Manzoni traccia un quadro a chiaroscuri. «Spero si affermi la consapevolezza del ruolo del design nell'evoluzione della società. Ma è fondamentale che l’approccio ai progetti sia guidato dalla cultura. Altrimenti è facile cadere nell’omologazione del gusto: più la società diventa globale, più si crea un sovraffollamento di prodotti, più c’è il rischio che ci si contamini a vicenda e si sottometta tutto alle ragioni di mercato. Così s'inaridisce la creatività. Per citare Koenig, è l'idea dell’entropia, dove la forma prevale sulla sostanza. Pensiamo all'elettrico: ho visto EV concept con bocche più grandi di quelle della gamma termica. Ma se sai che il radiatore non ti serve, perché non chiudere un buco, migliorando così l'aerodinamica?».
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2036 − 2046 Come saremo
Benvenuti nell'epoca della connessione globale L'internet delle cose pervaderà ogni aspetto della nostra vita, che sarà un flusso di dati. Così anche vetture, semafori, strade e parcheggi dialogheranno tra loro gni cosa è connessa. I dati sono tutto. I dati sono ovunque, o quasi: negli smartphone, nei frigoriferi, nelle colonnine di ricarica elettrica, nei macchinari industriali, nei semafori, nei cervelloni delle aziende di mobilità pubblica e, ovviamente, anche nelle auto, considerate il dispositivo mobile definitivo sin dal principio. Sono “intelligenti” anche i vestiti e c'è persino chi inizia a farsi installare qualche microchip sottopelle: uomo e macchina, collegati tra di loro a un grande hub digitale. È lo scenario di un ipotetico 2040 vissuto in una grande città occidentale. Può sembrare un orizzonte estremo, futuribile, ma ogni indizio fa pensare che tra 25 anni l'internet delle cose (anche detta Iot, Internet of things) si sarà davvero impossessato dei centri urbani, diffondendosi a tutti i livelli: dalle infrastrutture per la mobilità alla rete energetica, dalle case alle strade, miriadi di sensori trasformeranno in un labirinto digitale quella che già oggi si identifica come smart city, l'agglomerato
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intelligente, tecnologico, efficiente e sostenibile. Fare previsioni accurate è difficilissimo, ma si considerino questi numeri di Gartner: nel 2014 gli oggetti connessi erano 3,8 miliardi; l'anno scorso sono balzati a 5, di cui 1,1 nei grandi centri urbani; nel 2016 saliranno a 6,3, mentre alla fine della decade supereranno i 20 miliardi. Di questi, la metà sciamerà nelle metropoli. Gli analisti non si azzardano ad andare oltre, ma è evidente che le accelerazioni tecnologiche saranno brucianti, ben oltre la crescita esponenziale.
La sfida dell'automobile Secondo gli urbanisti che lavorano per l'Audi, tra 35 anni il 70% dell'umanità vivrà nelle città (oggi siamo al 56%) e l'auto farà
la sua inevitabile parte, supportando la crescita e superando abbondantemente i 3 miliardi di unità su strada. Sono numeri che non passano inosservati e infatti i piani di sviluppo varati dalle grandi amministrazioni (Los Angeles per il 2035, Amsterdam e Bruxelles per il 2040, Vienna addirittura per il 2050) hanno già dichiarato guerra alle quattro ruote. Nei documenti si fissano obiettivi ambiziosissimi, quasi da sfera di cristallo: nella città olandese, per esempio, sono convinti che si potranno stampare case in 3D e che le energie rinnovabili alimenteranno dal 60 al 90% dei tragitti in auto, mentre nella capitale austriaca il target è di mettere al bando tutte le propulsioni convenzionali entro 30 anni. In tutti i casi, gli obiettivi indicano una de-
Tutto, nei centri del futuro, sarà connesso: i computer, i dispositivi personali, ma anche le infrastrutture e le auto. Immergendosi nell'Internet of things e sfruttando le nuove tecnologie, le quattro ruote potranno influenzare positivamente la progettazione degli spazi urbani, contribuendo al loro sviluppo sostenibile
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Come saremo A dicembre, la cordata Audi-BMW-Mercedes ha formalizzato l'acquisizione di Nokia Here: la piattaforma si baserà su mappe digitali multistrato dalla precisione decimetrica, facilitando l'integrazione V2X tra le automobili e le infrastrutture della smart city
crescita del traffico motorizzato individuale, con pesanti colpi d'accetta anche ai relativi spazi. In parole povere, tra il 2036 e il 2046 le smart city potrebbero mettere alla porta i veicoli privati, sostenute dalle flotte-robot studiate da Google e Uber. Chi ama la guida, però, non deve disperare. In questo quadro apparentemente cupo, la tecnologia potrebbe infatti diventare la migliore alleata dell'auto. Le Sim di bordo, i powertrain alternativi come l'elettrico e l'idrogeno, la piena maturità delle piattaforme V2X (in grado di connettere i veicoli tra loro e alle infrastrutture cittadine), la stessa guida driverless avranno la possibilità di spingere l'auto oltre i preconcetti delle amministrazioni, trasformandola in uno strumento essenziale per la rinascita della mobilità e la qualità della vita. Gli esperimenti sono già iniziati: tra 25 anni, potrebbero essere la norma.
I test di Boston A Somerville, città alle porte di Boston dall'elevatissima densità abitativa, l'Audi ha
sviluppato due progetti che anticipano il zione permetterà di risparmiare il 60% futuro. Il primo riguarda il parcheggio audello spazio urbano, senza tagliare il nutonomo, inteso come chiave per risparmero dei posti disponibili. Di più: visto miare tempo e spazio: la tecnologia sarà che le vetture potranno accompagnare sperimentata in un grande garage del digli occupanti di fronte alla loro destinastretto di Assembly rozione, per poi andare ad, un'area interessata a parcheggiare da soBoston è già una sorta di test da un importante svile, le città avranno la track per la smart city luppo urbanistico. I popossibilità di delocadel futuro: gli esperimenti tenziali vantaggi sono lizzare le aree di soriguardano i semafori evidenti: un silo per veista, progettando in intelligenti e i parcheggi coli che manovrano da maniera diversa gli edisviluppati appositamente soli non richiede scale fici. L'altro progetto piper la guida autonoma o ascensori, permette lota made in Audi, imdi tracciare stalli più stretti (eliminando gli plementato nella battutissima zona di spazi per l'apertura delle porte) e consenUnion Square, impiega la comunicazione te alle stesse automobili d'impacchettarsi V2X tra auto e semafori: l'obiettivo è ottiuna accanto all'altra, per spostarsi in base mizzare i flussi secondo le fasce orarie e il alle agende e al “richiamo” digitale dei loro numero di veicoli, sfruttando anche gli proprietari. Secondo gli urbanisti, la solusmartphone dei passanti per gestire dina-
Vite connesse
Parcheggi intelligenti e chip per umani Nell'orizzonte delle smart city, tutto ciò che oggi è sperimentazione potrebbe diventare realtà concreta. Come i sistemi che suggeriscono la velocità da mantenere per cogliere l'onda verde; oppure lo smart parking (già utilizzato a Londra e a San Francisco), in cui i sensori posizionati a terra, le telecamere
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di sorveglianza e le stesse auto segnalano i posti liberi sulle mappe degli infotainment di bordo. Ma le possibilità non si fermano qui: «Nel 2046 ci saranno dei chip sviluppati appositamente per gli esseri viventi», spiega Erik Brenneis, responsabile del settore machine-to-machine del gruppo Vodafone.
«Sicuramente per gli animali e forse anche per le persone. Serviranno per tutto: autenticazione, pagamenti, persino per gestire l'illuminazione pubblica, che oggi ha costi altissimi: sono certo che in futuro le luci si accenderanno e spegneranno al nostro passaggio, individuandoci automaticamente».
Le auto connesse tra loro e alle infrastrutture della smart city potranno migliorare la qualità della vita urbana, abbattendo le statistiche d'incidentalità e migliorando la congestione: secondo alcune stime, il traffico del futuro sarà un quinto di quello odierno
micamente i passaggi pedonali. «La swarm intelligence (letteralmente “intelligenza dello sciame”, ndr) cambierà il volto e la mobilità delle città», sostiene il ceo dell'Audi Rupert Stadler, convinto che a un certo punto potremo persino modificare il senso di marcia delle corsie stradali: «Pensate ai pendolari. La mattina sono imbottigliati cercando di entrare in città. Nel pomeriggio è il contrario. Perché non utilizziamo tutte le corsie in maniera flessibile, in base alle esigenze e in tempo reale?». Lo chiamano traffico adattivo e si basa – ovviamente – sui sensori: vengono in mente i caselli autostradali, ma è il futuro. Anche la condivisione dell'auto di proprietà, oggi uno spauracchio, potrebbe diventare uno strumento redditizio grazie alla guida autonoma: c'è già chi ipotizza dei network di noleggio (magari gestiti
dalle stesse Case) in grado di far circolare le vetture nei tempi morti, in pratica il 95% della loro vita. Di sicuro, nelle smart city del 2040 perderemo meno tempo e saremo più sicuri: la Bosch calcola che le auto high-tech miglioreranno la congestione dell'80%, abbattendo del 90% il numero degli incidenti mortali. Insomma, se l'automobile sarà considerata un
beneficio sociale, e non solo un costo, sarà anche merito della tecnologia: un bel finale per le quattro ruote e anche per il progresso, oggi visto come un killer della mobilità individuale. E i dati? Saranno sempre di più e viaggeranno alla velocità della luce. Li proteggeremo con cyber-assicurazioni che garantiranno tutto, dalla casa connessa ai veicoli. Ma questo è l'inevitaDavide Comunello
L'Audi sta implementando un garage per vetturerobot: i proprietari potranno consegnare o ritirare l'auto all'entrata, senza bisogno di usare scale o ascensori. Lo spazio necessario potrebbe così ridursi fino al 60%, senza tagliare alcun posteggio
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Classe '56 Milaano, 25 novembre
Centri urbani nei quali ci si muoverà con più mezzi integrati tra loro, in cui o una delle tante possibilità. Così l'architetto immagina l'automobile sarà solo la metropoli di doman ni, popolata di capsule autonome in condivisione, che ci porteranno dovve desideriamo e poi andranno a parcheggiare altrove auto cambierà, nel suo mente anruolo e probabilm che nella forma, ma m la mobilità individu ale non smetterà mai di essere una necessità. È la visione per il 2040 di Stefano Boeri, architetto, urbanista, esperto di d trasforBosco verr mazioni urbane e autore del B ticale di Milano.
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Come si immagina la città tra d due o tre decenni? Per prefigurarci i centri urbaani del fudi 30 anni turo bisogna pensare a quelli d fa. Nel 1985 usavamo la benzina con il piombo, il trasporto pubblico era tradizionale, non esistevano la culttura dello sharing, l'alta velocità e gli aaerei low cost, gli spostamenti erano p più lenti e
Ospita la natura dentro la propria struttura, sfruttando l'altezza per non occupare suolo. Contribuisce a migliorare la qualità dell'aria, grazie alle piante. È il Bosco verticale, il progetto realizzato da Boeri nell'area di Porta Nuova, a Milano
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dispendiosi, l'auto viveva un grande boom. Oggi ci troviamo in un periodo di difficoltà, ma è cambiato il modo di usare i mezzi di trasporto: andiamo da un punto A a un punto B, costruendo una dinamica di movimento con tanti frammenti diversi. Metropolitana, bicicletta, treno, scooter e, ovviamente, macchina. Siamo diventati dei bricoleur della mobilità e questa sarà la caratteristica della città del 2040. Che ruolo avrà l'automobile? Le ipotesi sono due. La prima: il mezzo privato si trasformerà in un lusso per viaggi e lunghe percorrenze, amplificando la sua natura di status symbol. Il secondo scenario, per me certo, dice invece che la vettura diventerà un pezzo mi-
niaturizzato della mobilità, una sorta di utensile legato al nostro corpo da richiamare quando lo desideriamo: uno strumento elastico, una delle tante componenti di una mobilità individuale flessibile e integrata tra diversi mezzi di trasporto. Pensa che la Google Car e le sue sorelle cambieranno il modo di vivere le città? In futuro sarà inevitabile che esistano anche delle flotte autonome, composte da capsule in movimento per la città: avranno degli innegabili vantaggi, ma assomiglieranno più a un mezzo pubblico che a strumenti di mobilità privata. La condivisione cambierà il modo in cui ci spostiamo?
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Laureato al Politecnico di Milano, dove oggi insegna progettazione urbanistica, Boeri è visiting professor in varie università, tra cui quelle di Harvard, Losanna e Mosca. Direttore della rivista Domus dal 2005 al 2007, ha costruito la sua fama internazionale grazie a numerosi progetti, tra cui le riqualificazioni di strutture situate davanti al mare in varie città europee. Uno dei suoi lavori più noti è il Bosco verticale
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Classe '56 Stefano Boeri
Nel 2040 ognuno di noi diverrà “progettista dei propri spostamenti. L'auto sarà uno strumento flessibile, integrato con gli altri mezzi di trasporto „ Avremo sempre un enorme bisogno d'individualità e di libertà di movimento. Lo sharing può garantire molta flessibilità, ma la mobilità privata riuscirà sempre a battere la rigidità del trasporto pubblico: non potremo mai escludere la necessità o il desiderio di disporre di mezzi che ci portino esattamente dove vogliamo andare. Nel 2040, ognuno di noi diventerà il progettista dei propri spostamenti, con l'auto e non solo.
La fantascienza ci ha abituati a vedere le città come dei labirinti multilivello pieni di sopraelevate. Sarà davvero così? La città verticale è un'evoluzione necessaria, un modello intenso ed economicamente vantaggioso: favorisce gli scambi, non consuma suolo, è sostenibile perché accetta e ospita la natura. In più, riduce di moltissimo i costi, perché le relazioni si concentrano in un territorio meno esteso. La direzione è quella.
Un veicolo arriva in centro, scarica i passeggeri e riparte da solo verso un garage in periferia. La tecnologia cambierà l'urbanistica? Credo che in futuro il sistema della sosta si trasformerà profondamente, ci saranno parcheggi lontani dalle case e dagli edifici. Quando ho lanciato MI030, un'iniziativa di visioni e progetti sulla Milano del 2030 dedicata ai giovani, ipotizzavamo che i grandi parcheggi interrati sarebbero diventati per larga parte inutili: tra le varie idee, c'era quella di trasformarli in luoghi della creatività.
Che cos'è per lei una città intelligente? Quali caratteristiche dovrebbe avere per esserlo davvero? Credo che ci siano diversi gradi di intelligenza: c'è, per esempio, la città che fornisce informazioni in tempo reale su servizi, mobilità, guasti tecnici e previsioni meteorologiche. Tuttavia, per me una vera smart city è quella che coinvolge i cittadini nei processi decisionali, offrendo una democrazia deliberativa basata sul dialogo. Da questo punto di vista, la tecnologia può aiutare moltissimo.
Un nuovo progetto in Cina
Il Bosco si allarga
Stefano Boeri ha uno studio di architettura a Milano. Tra i suoi interventi c'è anche la Villa Méditerranée, centro per il dialogo delle culture nel porto di Marsiglia
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A Milano il Bosco verticale punta al risparmio energetico e alla rigenerazione dell'ambiente, limitando il consumo del suolo. Presto, però, l'esperienza del doppio grattacielo (il più bello e innovativo del mondo, secondo il Council on Tall Buildings and Urban Habitat) sarà replicata – anzi, moltiplicata – in Cina, grazie a Forest City: nella municipalità di Shijiazhuang, non lontano da Pechino, Boeri sta infatti progettando cento edifici rivestiti
L'architetto accanto al progetto del Bosco verticale: i due grattacieli, alti 111 e 78 metri, sono stati realizzati tra il 2012 e il 2014. Le terrazze ospitano oltre mille piante di varie specie, che danno vita a giardini pensili
E se potessimo cambiare il senso di marcia delle corsie stradali secondo l'orario e l'intensità del traffico? Se la tecnologia lo permetterà davvero, come dicono, potrebbero aprirsi delle nuove opportunità anche nella progettazione delle metropoli e delle realtà urbane. Negli anni 50, le auto del futuro venivano dipinte come razzi su quattro ruote: oggi fanno sorridere, ma erano frutto del loro tempo. Come immagina le vetture del 2040? Saranno mezzi dalla struttura formale pura e semplice, cubica o sferica, dotati di sistemi pneumatici e magnetici. L'auto del futuro sarà personalizzabile, una sorta di seconda pelle in grado di cambiare le proprie caratteristiche (illuminazione o colore) in base al conducente, magari identificandolo dal battito cardiaco. Sicuramente, l'auto ci riconoscerà: d'altronde, è sempre stata una proiezione della nostra identità e nel 2040 continuerà a esserlo. Davide Comunello
da piante, destinati ad accogliere 100 mila persone in un'area di 2,25 km quadrati. «Ci saranno un sistema di sharing pubblico e una strada a quota intermedia destinata alla mobilità dolce», spiega l'architetto, intenzionato a sperimentare anche le teleferiche, che ritiene interessanti, entro certi limiti. Altezza, livelli, verde, tanti mezzi diversi da integrare tra loro: su questi fronti, l'esperimento cinese potrebbe tracciare un modello per la città del futuro.
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OLTRE L’AUTOMOBILE REALTÀ E UTOPIE
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Quei viaggi supersonici dentro a un tunnel sospeso Un po' navicella spaziale, un po' treno ad altissima velocità, l'Hyperloop di Elon Musk potrebbe rivoluzionare il modo in cui ci sposteremo Beach Boys e Marte: un legame apparentemente assurdo, ma che nel 2050 potrebbe avere un senso, visto che SpaceX e la band vengono dalla stessa città, Hawthorne, nella contea di Los Angeles: è lì che Elon Musk e la sua privatissima azienda stanno progettando la corsa al Pianeta Rosso, un obiettivo che il fondatore della Tesla coltiva dal 2007 e per cui si sta attrezzando a suon di appalti miliardari con la Nasa (vedere il riquadro di pag. 209). Se dovesse riuscirci, il golden boy di Palo Alto sarà in buona compagnia, visto che tra 40 anni lo spazio sarà sicuramente esplorato e sfruttato commercialmente da più soggetti, anche (e forse soprattutto) privati. Basta ricordare la Blue Origin di Jeff Bezos, il padrone di Amazon, o la Virgin Galactic di sir Richard Branson: oggi sono
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Nato in Sudafrica nel 1971, naturalizzato americano, Musk è un imprenditore visionario. Prima di Hyperloop e di SpaceX, ha fondato Paypal e la Tesla
impegnate a studiare razzi e capsule per le gite suborbitali di avventurosi milionari, ma in futuro il loro orizzonte potrebbe spingersi più lontano. Nel frattempo, sulla Terra le cose saranno cambiate parecchio: non solo per l'automobile, con ogni probabilità transitata verso le alimentazioni alternative, ma anche per il treno, la nave o l'aereo. Tutti messi in discussione dal «quinto mezzo di trasporto inventato dall'uomo», l'Hyperloop. Con lo zampino dell'onnipresente Musk.
La capsula per il futuro Dopo diverse anticipazioni, la “versione alfa” dell'Hyperloop viene presentata il 13 agosto 2013. Nelle 57 pagine del documento, il boss della Tesla descrive un nuovo concept basato su capsule di alluminio in grado di raggiungere una velocità media di 1.000 km/h (1.200 di
punta), sparate all'interno di tubi pneumatici sospesi a sei metri di altezza. Quanto basta per percorrere la distanza Los Angeles-San Francisco in meno di 35 minuti. Avveniristici e dal muso rastremato, i “pod” viaggiano levitando su cuscini d'aria, spinti da motori elettromagnetici a induzione all'interno di tunnel a bassissima pressione. Il costo del sistema? Sei miliardi di dollari per il trasporto di persone e 7,5 per imbarcare anche i veicoli, comunque un decimo dei 70 richiesti dall'alta velocità che dovrebbe sorgere tra le due metropoli americane, per Musk «una delle più costose e lente del mondo». Tradotto: uno spreco di soldi. Oggi l'Hyperloop non è ancora realtà, ma potrebbe diventarlo molto presto: il progetto, open source e liberamente sfruttabile, ha infatti ispirato ingegneri e team scientifici, intenzionati a portare a termine il lavoro del loro guru. Al momento, le società in corsa sono due: Hyperloop Transportation Technologies (HTT), nata con un progetto di crowdsourcing che oggi vede impegnati centi-
Trasporto passeggeri, ma anche cargo: le capsule dell'Hyperloop potranno pure ospitare i container. Una volta caricati a bordo merci o viaggiatori, i moduli saranno inseriti nel tubo con un sistema di elevatori
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L'Hyperloop potrà viaggiare anche sotto il mare: per questo sarà dotato di super batterie che consentiranno di accumulare l'energia prodotta dai pannelli solari situati lungo il suo percorso terrestre
naia di ingegneri sparsi per gli Usa, e Hyperloop Technologies, azienda privata finanziata da alcune società di venture capital. In entrambi i casi, il passaggio dalla carta alla realtà è vicinissimo: entro quest'anno, l'HTT inizierà la costruzione di un tracciato di 3 km nella Quay Valley, in California, mentre a Las Vegas l'Hyperloop Technologies sta già realizzando un sito all'aperto lungo 3 km. Il percorso permetterà di testare accelerazioni da 0 a oltre 500 km/h e, in prospettiva, di arrivare a un modello funzionante nel 2020. E poi c'è lo stesso Musk, svincolato da tutti e tutto: senza avere legami con le due aziende, lo scorso giugno la SpaceX ha indetto una competizione di design che chiede di studiare la capsula più adatta al nuovo sistema, da collaudare su una pista di 1,6 km situata vicino alla sede aziendale. I team partecipanti sono ben 700: i test inizieranno la prossima estate e saranno seguiti da Anthony Foxx, segretario dei Trasporti dell'amministrazione Obama. Un segnale preciso.
La guerra dei tubi Nonostante centinaia di milioni già investiti, l'Hyperloop non sarà commercialmente utilizzabile prima di diversi anni. O forse non lo sarà mai. Di sicuro non mancano le critiche, anche autorevoli: in ballo non c'è soltanto la sostenibilità economica del progetto, ma anche la fisiologia umana, per cui le tremende accelerazioni potrebbero restare uno scoglio insormontabile nonostante gli accorgimenti in fase di studio. «La fisica funziona», ha recentemente dichiarato un autorevole professore del Mit di Boston, «ma la grande incognita è: l'Hyperloop riuscirà a essere competitivo con gli altri mezzi di trasporto?». Tra l'altro, l'idea di Musk non è l'unica soluzione sul piatto. Da anni un'azienda del Colorado, l'ET3 (Evacuated Tube Transport Technologies), propone un sistema di trasporto su tubi pneumatici elettrico e low cost con un obiettivo ancora più ambizioso: sparare capsule da quattro a sei posti fino a 6.500 km/h. In pratica, «un viaggio spaziale sulla Terra» per percorrere la tratta New York-
Un pod, la capsula che viaggerà nel tubo sospeso a sei metri da terra. Ad alimentare il sistema saranno i pannelli solari e le turbine eoliche capaci di produrre energia e immagazzinarla
Dopo la fase di studio, si pensa a testare l'Hyperloop: nel deserto a nord di Las Vegas sono cominciati da poco i lavori di costruzione di un primo tratto sperimentale lungo 3 km
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Pechino in due ore. Vapore, miraggi o realtà? Oggi nessuno lo sa, ma in ogni caso i progetti di Musk e dell'ET3 restano delle tracce per il futuro: secondo Richard Candler, responsabile advanced product strategy della Nissan, in meno di cento anni l'uomo potrà fare viaggi transatlantici all'interno di tubi sottovuoto, a velocità impensabili anche per l'Hyperloop.
Il progetto Mars Colonial Transporter
Alla conquista del Pianeta Rosso Il turismo spaziale è una realtà da diversi anni: già oggi, per “soli” 20 milioni di dollari, l'Agenzia spaziale russa offre passaggi sulla Soyuz fino alla Stazione Spaziale Internazionale. Ma il sogno di Elon Musk – che oggi rifornisce la stessa Iss per conto della Nasa – si chiama Mars Colonial Transporter: composto
da capsule e razzi vettori riutilizzabili, il sistema dovrebbe fare la spola tra la Terra e Marte, traghettando 100 passeggeri alla volta. I primi coloni potrebbero partire entro 10-15 anni per formare insediamenti di decine di migliaia di persone, ognuna disposta a pagare 500 mila dollari per il viaggio. Secondo
Zero emissioni Capsule a parte, quasi tutti sono certi che nel 2050 l'auto sarà decisamente green. La Toyota ha già dichiarato che entro la metà del secolo abbandonerà i motori alimentati da carburanti fossili, mentre l'International Zero-Emission Vehicle Alliance (formata da otto Stati americani più Quebec, Olanda, Norve-
Musk, il Pianeta Rosso potrebbe essere la seconda chance dell'umanità in caso di problemi sulla Terra, ma le incognite sono molte: come l'Hyperloop, anche questo progetto dovrà assumere una forma precisa, andando oltre la bolla di sapone. La presentazione ufficiale è attesa per quest'anno.
gia, Germania e Regno Unito) progetta già di vietare la vendita di tutte le auto che non siano a emissioni zero. Tra 30 anni, insomma, l'endotermico potrebbe essere un ricordo, lasciando spazio a propulsioni elettriche e a idrogeno. Le quali, a loro volta, avvieranno un altro ciclo: secondo le immaginazioni più fervide, tra il 2060 e il
2070 la fusione nucleare inizierà a essere sfruttata commercialmente anche in campo motoristico. La fine dell'era del petrolio è attesa entro il 2100: noi non ci saremo, ma forse il viaggio non avrà nemmeno il valore di oggi, rimpiazzato dalla “comunicazione ultrarealistica” che sfreccerà su ben altri binari e tubi. Quelli del web del futuro. Davide Comunello
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Il futuro secondo Gioia Oggi ha dieci anni ed è abituata ad andare in macchina con i genitori. Ma quando sarà adulta e avrà la patente, il mondo attorno a lei sarà cambiato: guidare sarà l'eccezione e per andare da un posto all'altro si verrà trasportati da un'auto autonoma. Ecco come una bambina che avrà 50 anni nel 2056 immagina quel domani i genitori il pensiero potrà non piacere, perché li pone di fronte all'irrimediabile passare del tempo e alla caducità della propria esistenza, ma è opportuno rassegnarsi a una constatazione (amichevole): la generazione dei bambini di oggi sarà una delle ultime in grado di testimoniare la transizione fra l'automobile tradizionale e quella autonoma. Non si tratterà soltanto di una rivoluzione tecnologica di portata copernicana; sarà soprattutto uno sconvolgimento antropologico, perché la centralità della persona quale elemento dirimente, con tutto ciò che consegue nell'etica della responsabilità, sarà archiviata per sempre nella memoria, affidando a un coacervo di centrali-
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ne il compito della guida. Per questo, abbiamo voluto chiedere a una bambina di dieci anni, Gioia, che nel 2056 – limite temporale estremo della nostra cronaca centenaria – sarà nell'età matura, come immagina un futuro ancora per poco remoto. Intanto dicci se ti piace andare in macchina e quali modelli preferisci... Le automobili (curiosamente, ci corregge usando il termine più corretto, ndr) che preferisco sono quelle grandi e veloci. Soprattutto mi piacciono quelle con tanti giochi, tipo i sedili che si riscaldano e ti massaggiano. E non quelle che, per esempio, hanno un impianto multimediale
che consente di vedere i film nei display dell'appoggiatesta? In realtà no. Ormai tutti i miei cartoni li ho sul mio tablet. Ah, e poi mi piacciono molto le auto che vanno forte e hanno un bel rumore. A pensarci bene, mi piacciono più quelle col tetto che quando fa caldo si può aprire e che possono andare fuoristrada, tipo la Land Rover o la Jeep. Quando avrai l'età giusta, pensi che farai la patente? Sì, certo. Già adesso il papà ogni tanto mi fa guidare sul vialetto di casa, seduto sulle sue ginocchia; o mi fa cambiare le marce quando sono seduta davanti. Quindi so come si fa, anche se non arrivo ai pedali.
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Classe '06 Il futuro secondo Gioia
Lo sai che, quando sarai adulta, guidare personalmente sarà sempre più raro? Molte Case stanno sviluppando dei prototipi che viaggiano da soli? Davvero? Ma allora non ci si potrà più divertire, tutti andranno alla stessa velocità! Però non ci saranno più incidenti... Questo è vero. Vorrà dire che le macchine saranno sempre più comode. Quindi per me cambierà poco: già ora sono abituata a essere portata in giro. Comunque, le macchine come la Ferrari il volante ce l'avranno sempre.
Auto autonome? “ Per me cambierà poco: già ora sono abituata a essere portata in giro„
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Immagini di leggendarie automobili per i bambini di ieri e di oggi. La 313 di Paperino, altresì nota con il nome commerciale Belchfire Runabout; la Mistery Wagon di Scooby Doo e compagnia investigante; Lightning McQueen, da “Cars”
Correva l'anno 1955: una pattuglia di bambini gioca nel bagagliaio di una Renault 4 CV (il motore era dietro). Una foto celebre, testimonianza di un modo di giocare (e di un mondo) che non esiste più
Secondo te, che cosa farà la gente non dovendo più guidare? Guarderà i film. Però non come adesso. Ci sarà una sala cinema e si guarderà la tv sul parabrezza, che diventerà uno schermo. Oppure le poltrone si potranno girare, in modo che le persone dentro possano parlare fra di loro.
E dopo le macchine robot che cosa ci sarà? Ci saranno le macchine volanti e i razzi per andare su altri pianeti e incontrare i marziani. Poi inventeranno i treni supersonici che prenderanno il posto degli aerei, che fanno troppo rumore. Basterà un'ora per andare dall'Italia a New York.
Parabrezza virtuali
Tutto il mondo davanti agli occhi La cosa più interessante dell'intervista a Gioia è l'idea che un domani il parabrezza non servirà più soltanto per guardare fuori e proteggersi da vento e acqua, ma diventerà un vero e proprio schermo sul quale proiettare contenuti multimediali. Interessante, perché davvero più costruttori stanno
pensando di trasformare la funzione del vetro anteriore. La Jaguar, per esempio, ha lanciato – sia pure in forma prototipale – il Virtual Windscreen: sul cristallo possono essere proiettate contemporaneamente icone relative a velocità, navigazione e possibili pericoli, da gestire con
semplici gesti delle mani. Minority Report? No. In realtà, si tratta della nuova frontiera a livello d'interazione fra auto e pilota (perlomeno fino a quando ci sarà, il pilota). La BMW, infatti, ha appena presentato al Ces di Las Vegas il secondo stage della propria tecnologia di controllo gestuale.
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Mondo Quattroruote
Pista, eventi, un'accademia... molto più di una rivista Nato come mensile per gli automobilisti, il nostro giornale è diventato una galassia multimediale di proposte, iniziative e partnership
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Magazine
Professional
Da sessant'anni è la bibbia degli automobilisti: da mensile per appassionati, che ha accompagnato il Paese nel cammino verso la motorizzazione di massa, si è trasformato in un newsmagazine, una presenza puntuale sui temi di grande attualità (mobilità, ambiente, sicurezza), protagonista di battaglie in difesa dei diritti dei consumatori. La rivista è oggi disponibile anche in edizione digitale; a essa si aggiungono periodicamente dossier, speciali, allegati, libri ed edizioni straordinarie.
L'area Professional della nostra casa editrice è un punto di riferimento per il mondo automotive e per quello assicurativo, ai quali fornisce banche dati, quotazioni, costi di ricambi e tempi ufficiali di riparazione, con pubblicazioni cartacee e software specifici.
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Manifestazioni
Partner
Nel nostro impianto di prova di Vairano (PV) e al centro congressi annesso, ogni anno organizziamo manifestazioni dedicate a un pubblico specializzato (come Auto aziendali in pista) o aperte a tutti: test drive di Suv e crossover, anche sul percorso fuoristrada, presentazioni di nuovi modelli, incontri con i lettori.
Già da molti anni, intorno a Quattroruote è stato attivato un network di riviste internazionali con le quali lo scambio di articoli, informazioni e immagini è continuo. Attualmente, la rete di collaborazioni conta 16 riviste sparse in 15 Paesi, dall'Albania alla Cina, dall'India al Brasile, dalla Russia e alla Thailandia.
Internet
TV
L'Editoriale Domus ha creduto fin dagli albori della rete nell'importanza di internet come strumento d'informazione qualificata, dando vita, nel 1996, al sito quattroruote.it, oggi curato da un team digital dedicato. Nel 2015, il sito ha totalizzato una media mensile di 4 milioni di utenti unici (+10% rispetto all'anno prima), 6 milioni di visite (+7%) e 37 milioni di pagine viste (+12%). L'anno scorso, inoltre, ha debuttato il nuovo m-site, fortemente innovativo, che porta tutti i contenuti e le funzionalità del sito anche in mobilità.
Uno studio televisivo, tre filmmaker con la telecamera in mano 12 ore al giorno, una pista sempre aperta e l'expertise di un'intera redazione di giornalisti professionisti. Ce n'è abbastanza per fare una piccola emittente: si chiama QuattroruoteTV e da sei anni rende vive le pagine del sito quattroruote.it (ma ci si arriva anche da quattroruote.tv). Prove, inchieste, impressioni di guida, personaggi, Saloni. C'è di tutto.
Asc e Centro prove
Academy Una delle più recenti realtà dell'Editoriale Domus (è giunta al terzo anno di vita): ha lo scopo di mettere i giovani in condizione di affrontare con un'adeguata preparazione il mercato del lavoro. I master finora organizzati hanno riguardato la comunicazione automotive, il marketing e il design (riservato ai giovani del Far East).
Fiore all'occhiello della nostra casa editrice, fa di Quattroruote l'unica rivista di auto che disponga di un proprio test center. Le piste di Vairano di Vidigulfo (PV) hanno uno sviluppo complessivo di 8 km, con un rettilineo di alta velocità di 2 km; i piazzali, utilizzati anche per i corsi di GuidaSicura Quattroruote e per la formazione professionale, hanno una superficie di 26.000 m2, mentre il percorso di prova per fuoristrada interessa un'area di 53.000 m2. Completano la struttura i box e un centro congressi con aule da 200 posti.
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Quattroruote 60° Allegato a Quattroruote n. 725 Febbraio 2016 Direttore responsabile Gian Luca Pellegrini Condirettore Massimo Nascimbene
Fotografie Ansa, Archivio Quattroruote, Associated Press, Contrasto, Fotogramma, La Presse, Mondadori Portfolio/Archivio Pigi Cipelli/Pigi Cipelli, Olycom
Vice direttore Fabio De Rossi
Fotolito: Editoriale Domus Stampa: Nuovo Istituto d'Arti Grafiche (Bergamo)
Art director Stefano Tosi
Registrazione del Tribunale di Milano n° 3770 del 06/06/1955
A cura di Marzio De Marchi Redazione Emanuele Barbaresi, Carlo Bellati, Roberto Boni, Laura Confalonieri, Emilio Deleidi, Carlo Di Giusto, Fabrizio Formenti, Roberto Lo Vecchio, Cosimo Murianni, Marco Perucca Orfei, Mario Rossi, Andrea Sansovini, Andrea Stassano, Alessio Viola Impaginazione Erica Banchi Hanno collaborato Davide Comunello, Michele Masneri
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