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degli
AVVOCATI ITALIANI ORGANO UFFICIALE ANF ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE VII CONGRESSO
#società GLI AVVOCATI RACCOLGONO LA SFIDA
#diritto
PERIODICO QUADRIMESTRALE - ANNO XL - SPEDIZIONE IN ABBONA MENTO POSTALE - 70% FILIALE DI MILANO
RASSEGNA
ANF
21-24 MAGGIO ‘15
#economia
BERGAMO
ASSITA EDITORE
VII CONGRESSO
ANF
21-24 MAGGIO ‘15
BERGAMO
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#società GLI AVVOCATI RACCOLGONO LA SFIDA #economia #diritto
PROGRAMMA 1° GIORNO - giovedì 21 maggio 2015 Centro Congressi Papa Giovanni XXIII Ore 15.00 TAVOLA ROTONDA: Quale società, quale diritto. Partecipano:
on.le Andrea ORLANDO prof. Luigi PANNARALE
Ministro della Giustizia (in attesa di conferma)
Ordinario di sociologia del diritto, Università di Bari
Presidente Consiglio Sorveglianza UBI Banca
Presidente Ordine Avvocati di Bergamo
ing. Andrea MOLTRASIO avv. Ermanno BALDASSARRE dott.ssa Anna CANEPA
avv. Ester PERIFANO
Giunta ANM, Segretario Generale MD Segretario Generale ANF Modera:
avv. Andrea NOCCESI Direttivo Nazionale ANF
2° GIORNO - venerdì 22 maggio 2015 Sala Mosaico - Ex Borsa delle Merci ORE 9.00 - Relazione Segretario Generale ANF ORE 10.00 - 13.00 Dentro e fuori dalla giurisdizione: processo e sistemi alternativi di risoluzione delle controversie. Razionalizzazione dell’organizzazione amministrativa dei Tribunali: buone prassi e gestione manageriale della giustizia. L’evoluzione della giurisdizione e l’avanzare dei nuovi sistemi di risoluzione alternativa delle controversie. Le nuove frontiere professionali per gli avvocati. Il management indispensabile nei Tribunali.
ORE 15.00 - 19.00 L’internazionalizzazione della professione forense: criticità e prospettive. La formazione universitaria e post universitaria a sostegno dell’avvocato globale. L’attività professionale nel mercato sovranazionale. La formazione universitaria di base e i master. La formazione professionale, generale e specialistica. L’internazionalizzazione degli studi. Tavola rotonda:
avv. Nicoletta GIORGI Presidente AIGA
Tavola rotonda:
avv. Susanna PISANO
Presidente Associazione Dirigenti Giustizia
avv. Aldo BULGARELLI
Organismi Conciliazione Forensi prof.
avv. Franco LETTIERI
Professore Aggregato diritto processuale civile avanzato, Università di Bergamo
prof. avv. Paolo BIAVATI
dott. Renato ROMANO
Coordinatrice Desk Europeo Confprofessioni
avv. Angelo SANTI
Past President CCBE
avv. Daniela D’ADAMO
Segretario Generale Associazione per gli scambi culturali tra giuristi italiani e tedeschi
dott. Claudio CASTELLI
Ordinario di diritto processuale civile, Università di Bologna
Coordina:
avv. Giovanni BERTINO e avv. Paola FIORILLO
Direttivo Nazionale ANF
Interventi dei congressisti
GIP Responsabile Innovazione Tribunale di Milano
avv. Luigi PANSINI
Interventi dei congressisti
Coordinano:
Direttivo Nazionale ANF
SEGUE ➠
SOMMARIO
RASSEGNA degli
AVVOCATI ITALIANI
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ORGANO UFFICIALE ANF ASSOCIAZIONE
NAZIONALE FORENSE
2015
ORGANO UFFICIALE ANF ASSOCIAZIONE
NAZIONALE FORENSE
Marcello Pacifico Il processo viaggia su smartphone e tablet, ma è la giustizia che vogliamo?
Ester Perifano Tempo di Congresso, tempo di bilanci
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Pasquale Barile L’ANF, un pregiato cocktail di esperienza
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ed entusiasmo
Bruno Sazzini Il diritto ad avere diritti Direttore responsabile Marcello Pacifico Direttore editoriale Daniela Bernuzzi Bassi Editore Assita S.p.A. 20123 Milano Via E. Toti, 4 tel. 0248009510 - fax 0248012295 e-mail: assita@assita.it www.assita.com Comitato di redazione Pier Enzo Baruffi Carmela Milena Liuzzi Francesco Maione Mario Scialla Segreteria di redazione Brunella Brunetti Fotografie Archivio ANF Indirizzo Internet dell’ANF www.associazionenazionaleforense.it Casella di posta del Direttore pacifico@iternet.it Periodico quadrimestrale Anno XL Registrazione n. 237 del 26-6-78 del Tribunale di Taranto Realizzazione e stampa Still Grafix - Cernobbio In copertiina:
BERGAMO, Cappella Colleoni
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Andrea Noccesi Dentro e fuori la giurisdizione, tra processo
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Mario Scialla Anche la giustizia penale cambia pagina
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Angelo Santi L’avvocato fuori dal processo:
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e sistemi alternativi di risoluzione delle controversie
negoziatore e mediatore “del” diritto
Paola Fiorillo Il futuro dell’avvocatura: l’internazionalizzazione e Giovanni Bertino come opportunità Antonino Ciavola La formazione dei formatori
tra metodo casistico e common law strisciante
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Susanna Pisano Internazionalizzazione e mobilità:
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Andrea Zanello Il fattore organizzazione negli studi legali
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una possibile risposta alla crisi del mercato
Barbara Lorenzi Le società professioniali tra passato, presente e futuro 43 Paola Parigi Le società di capitali tra professionisti, un’opportunità incompresa
Cristina Montaruli Web marketing: le opportunità che non percepiamo
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Gigi Pansini Prospettive di riforma dell’ordinamento forense
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Mirella Casiello L’Avvocatura di Calamandrei è morta 20 anni fa,
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per l’Avvocatura del futuro
oggi ci sono molte avvocature
Carmela Milena Liuzzi Avvocati in tempi di crisi Giuseppe Colavitti Antitrust e professioni:
strabismo o cecità vera e propria?
Brunella Brunetti Gli Avvocati raccolgono la sfida Franco Uggetti Bergamo e l'Associazione Provinciale forense
57 61 65 68
Marzia Meneghello A Verona…. facciamo Sindacato!
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ANF Pescara Sindacato Avvocati ANF Pescara,
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Redazionale Polizza R.C. professionale… questa sconosciuta
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Redazionale La Rassegna degli Avvocati Italiani
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nel segno dei padri fondatori
ringrazia per la collaborazione
EDITORIALE
Il processo viaggia su smartphone e tablet, ma è la giustizia che vogliamo? di Marcello Pacifico
la spending review chiude tribunali, corti e tar, e la difesa dei diritti costituzionalmente garantiti è sempre più una chimera Quello che l’Associazione Nazionale Forense si appresta a celebrare a Bergamo è un Congresso carico di aspettative, preceduto da un dibattito interno approfondito e vivace, in cui si sono confrontate posizioni e culture diverse. La scelta finale è stata quella dar vita ad un evento aperto al dialogo con la società moderna, con la politica, con l’economia, evitando posizioni preconcette. In un mondo che cambia a velocità siderale, non avrebbe avuto senso seguire il percorso che normalmente si affronta allorquando si entra in simili conclave, ossia soffermarsi e limitarsi alle analisi politiche, alle valutazioni dell’operato di chi ha retto le sorti del movimento nel corso del mandato, alla scelta di una nuova governance sulla base dei numeri e delle dinamiche congressuali. Confermando una lungimiranza non comune, oserei dire insolita nell’ambiente forense, l’ANF è riuscita a evitare, almeno nei buoni proponimenti della vigilia, la tentazione di un’asettica e comunque sterile riflessione interna e, dunque, il
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pericolo, anzi la presunzione di avvitarsi in un dibattito di stampo meramente sindacale, prescindendo da ogni altro contesto. A ispirare le scelte programmatiche per un futuro professionale che si profila sempre più inintellegibile e complesso, potranno invece essere le risultanze di un dibattito che prenderà spunto da momenti di confronto tra rappresentanti qualificati della cosiddetta società civile nelle sue varie componenti, cui farà seguito la discussione congressuale, non dunque ispirata, come di prassi, alla sola relazione consuntiva di una dirigenza uscente e agli annunci programmatici di quella subentrante. È questo il modo in cui l’ANF intende essere avanguardia rispetto a quella parte dell’avvocatura che invece persiste nell’arroccarsi a difesa di posizioni inattuali e distanti sia dalle esigenze di una professione inevitabilmente chiamata a confrontarsi con i cambiamenti in atto nella società, e dunque radicalmente diversa da quella di un tempo, sia da quelle di una collettività che pone domande di giustizia che cambiano prima ancora che la legge registri i cambiamenti, come ha osservato recentemente in modo acuto Giuseppe Berruti. La sfida da raccogliere per l’avvocatura oggi è quella di rendersi consapevole che c’è una società in costante, inarrestabile mutazione, che fa i conti quotidianamente con l’innovazione tecnologica, con l’extranazionalità dei confini, in cui le logiche dell’economia vanno prendendo il sopravvento su ogni altra in precedenza dominante, compresa quella del diritto e dei diritti. *** Bergamo sarà anche l’apparizione conclusiva del Segretario Generale Ester Perifano e del Direttivo nazionale sulla scena dell’ANF. E senza nulla togliere a quanti l’hanno preceduta ed ancor meno a quanti la seguiranno, va detto che quella che arriva al capolinea è una delle gestioni più efficaci nella storia dell’Associazione che ha raccolto l’eredità di Federavvocati e Fesapi. Nessuno potrà infatti negare, ne condivida o meno idee e metodi, che l’ANF odierna è una realtà alquanto cresciuta e maturata rispetto al passato. Lo è nei rapporti esterni, quanto ad autorevolezza, credibilità, referenzialità e visibilità, lo è nella vita
associativa, nello spirito di appartenenza di quanti ne condividono idee e principi. L’approfondimento costante dei temi propri della giustizia e della professione forense, la capacità di confrontarsi ad ogni livello in modo aperto, senza preclusioni e timori reverenziali, non sono nel DNA di tutti i protagonisti del mondo forense. È stato così nel manifestare contrarietà all’approvazione della legge di riforma forense al Congresso di Bari, a certi regolamenti attuativi ritenuti pregiudizievoli per la categoria, a talune posizioni anacronistiche quali la refrattarietà alle società professionali e multidisciplinari. I fatti vanno dando progressivamente atto della bontà di certe posizioni critiche assunte dall’ANF, di cui Ester Perifano è stata leader autorevole e capace, come oggi anche certi suoi irriducibili contraddittori ammettono. Il Segretario “schiacciasassi”, come più d’uno l’ha definita, ha dimostrato che alla fine competenza, passione, onestà intellettuale e coerenza pagano sempre. Così è stato dentro al Consiglio Nazionale dell’ANF, che finanche nella sua ultima seduta, allorquando sarebbe stato lecito dare spazio a saluti e ringraziamenti, l’ha vista disposta ad addentrarsi e confrontarsi su una questione complessa ed ostica quale quella della rappresentanza politica dell’avvocatura. Così è stato nelle innumerevoli “incursioni” esterne in convegni, incontri, tavole rotonde, assemblee, finanche cortei che l’hanno vista in prima linea a difendere non interessi di bandiera ma quelli di tutta l’avvocatura. Portare avanti con la stessa indomita irruenza la bandiera di ANF richiederà un grande impegno. *** Di questioni sul tavolo ce ne sono davvero di vitali per l’avvocatura. Ad esempio, decidere se quella intrapresa dal legislatore per migliorare lo stato della giustizia nel nostro Paese sia davvero la strada giusta o se invece occorra trovare soluzioni diverse. Di fronte alla inaccettabile lunghezza dei processi ed alla insostenibilità delle sanzioni comminate dall’Unione Europea, il legislatore italiano ha provato dapprima a percorrere la strada di riforme processuali rivelatesi del tutto inadeguate poiché disorganiche e frammentarie. Se ne sono contate ben 17, in 11 anni o giù di li, purtroppo elaborate da riformatori “conservatori”, sovente assai lontani dalla realtà delle aule
di giustizia, epperò chiamati a riscrivere o modificare le regole di un processo del quale non vivono fibrillazioni e patemi. Vista l’inutilità di interventi sul codice di rito, il legislatore ha cambiato strategia, ipotizzando che l’unico modo di arginare il disastro degli 8,5 milioni di procedimenti pendenti era far fare meno cause ai cittadini. In che modo ?!? Allontanandoli dal giudice statale con la chiusura di quasi 1000 uffici giudiziari e aumentando in modo smisurato i costi per accedere alla giurisdizione pubblica, nei fatti un ritorno alla giustizia di censo. E poiché non bastava, si è dilettato a “dissuadere” avvocati e parti dalle impugnazioni con filtri e sanzioni e a dirottare le controversie verso la mediazione forzosamente introdotta. Nel nome del PCT, e dunque dell’innovazione tecnologica, si va oggi realizzando un pericoloso graduale allontanamento del cittadino dalle aule di giustizia, con un processo civile destinato a diventare progressivamente una realtà virtuale, gestita e amministrata attraverso software, da vivere non più nei luoghi di giustizia ma su smartphone e tablet. Non è fantascienza o fantagiustizia, tutt’altro, è già realtà. E l’avvocatura queste scelte le sta subendo con colpevole rassegnazione, nella scarsa o nulla consapevolezza che in tal modo vengono ad esserne messi in discussione ruolo e funzioni, su taluni aspetti finanche l’esistenza. Nei tribunali l’avvocato è ormai quasi un ospite indesiderato, trattato talora come un mero postulante, subalterno al ruolo del magistrato e a volte finanche dell’operatore amministrativo, così smarrendo quella natura di attore e protagonista del processo qual è sempre stato. È bene accettare ed assecondare queste dinamiche che nel nome della spending review vanno progressivamente privando il cittadino del diritto di rivolgersi alla giurisdizione pubblica? O sarà più giusto battersi, se ancora possibile, perché la tutela dei diritti non venga totalmente soppiantata da quella degli interessi? E sarà bene farlo secondo schemi e modalità attuali, con una rappresentanza rivelatasi unitaria solo a parole, oppure con nuove strategie da individuare e regole da riscrivere ? Sono questi alcuni degli interrogativi cui il Congresso dell’ANF cercherà di dare risposta.
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Tempo di Congresso, tempo di bilanci ANF è una associazione estremamente ricca, e all’esterno questo si percepisce più di quanto riusciamo a percepirlo noi stessi di Ester Perifano Stavolta l’invito del Direttore Marcello Pacifico è stato più deciso del solito. E, d’altronde, è di quelli che non si possono rifiutare. Chiudo (e perdonatemi l’involontario gioco di parole) con l’apertura del VII Congresso Nazionale ANF, che si svolgerà a Bergamo dal 21 al 24 maggio 2015, la mia esperienza di Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense, un’Associazione alla quale ho tentato di dare il massimo e che, per parte sua, mi ha dato il massimo. Mi sono sempre sentita a casa, nel Consiglio Nazionale di ANF. Anche quando il confronto, inevitabile e sacrosanto, ha assunto toni forti, accesi, a volte aspri, eppure sempre costruttivi. Per me, che avevo la responsabilità di rappresentare esternamente l’associazione, infine anche rassicuranti, poiché ho sempre avuto la certezza di poter condividere, in ogni momento, onori, oneri e responsabilità. ANF è una associazione estremamente ricca, e all’esterno questo si percepisce, più di quanto riusciamo a percepirlo noi stessi: la diversità delle anime che vi si muovono, e soprattutto la loro complessità, sono una grandissima garanzia di approfondimento e di elaborazione che, pressochè sempre, sfociano in contenuti densi, moderni e al passo con i tempi, ma non per questo slegati dalle nostre radici e dalla nostra storia. In ANF ci si confronta, si ragiona, si elabora e si decide: non sono sempre scelte facili, spesso occorre una ragionevole
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mediazione tra punti di vista diversi, ma il vantaggio è rappresentato dal fatto che mai - sembrerà strano, ma in effetti non lo è tanto – i punti di partenza sono radicalmente contrapposti. È, semplicemente, quello che si chiama idem sentire, quella strana situazione per la quale, ragionando e crescendo assieme, si finisce per avere con naturalezza il medesimo approccio nei confronti dei grandi temi di riflessione. Spesso anche le stesse opinioni, senza consultazioni preventive. ANF, a differenza di altre (e ne nascono tante, tra gli avvocati, quasi come i funghi), è una associazione vera, fatta di persone vere. Abbiamo idee, contenuti, visione prospettica. Quando ho iniziato, sei anni fa, tutto questo mi era ben chiaro. Come altrettanto chiara mi era la necessità di dover rendere assai
più visibile all’esterno la nostra ricchezza: in un mondo nel quale finisci (purtroppo) per contare solo se appari (e basta un richiamo alla enorme importanza che hanno assunto i social nel quotidiano del Paese), anche ANF doveva, pur rimanendo orgogliosamente legata alle proprie radici, palesarsi con nettezza all’esterno. Senza pretendere, a tutti i costi, la condivisione, ma senza più offrire alibi. Per questo, pur continuando a coltivare con passione l’attività più strettamente politica, e con diligenza quella più strettamente sindacale, uno dei must principali dei due direttivi nazionali da me guidati, condiviso con entusiasmo dai colleghi che mi hanno affiancato e sostenuto, è stato il recupero all’esterno della posizione che ci spettava, realizzato attraverso un fortissimo investimento di energie e di tempo innanzi tutto. Ma anche grazie al potenziamento della presenza di ANF sui media, non solo la tradizionale carta stampata, ma con una particolare attenzione ai mezzi di comunicazione di ultimissima generazione, come la web tv e i social, facebook e twitter. Se siamo, come tanti ci dicono e tantissimi addirittura ci rimproverano, quelli che, in un modo o nell’altro, riescono ad avere una visione più moderna del nostro vissuto e delle nostre priorità, visione più che corretta dal punto di vista prospettico, parlarne solo al nostro interno non serve, né a noi e né agli altri: dobbiamo avere il coraggio di affermarla e sostenerla anche fuori.
Il coraggio di pagare il prezzo delle nostre idee Dobbiamo avere, come ha detto qualcuno di recente, il coraggio di pagare il prezzo delle nostre idee. E, non v’è dubbio, questo coraggio ANF lo ha avuto. Oggi, e lo dico con orgoglio, ANF è una Associazione che occupa, nel quadro complessivo e variegato della politica forense, un ruolo di rilievo, come ci viene riconosciuto, pubblicamente e ripetutamente. Spesso anche in rapporto ad altre associazioni, pure prestigiose, che però, negli ultimi tempi, sembrano aver perso, per motivi vari, gran parte del loro smalto. E questo, lasciatemelo dire, non è senza importanza . Perché ci consente di veicolare all’interno del mondo dell’avvocatura, con autorità e autorevolezza, i conte-
nuti che ci appartengono, sui quali ci confrontiamo, ma che alla fine, lealmente, condividiamo. Il formidabile scontro che ci ha contrapposto praticamente “al resto del mondo” in occasione della approvazione della riforma forense, è stato molto duro, a tratti senza esclusione di colpi, ci ha messo al centro del Congresso di Bari del 2012 e si è concluso con la nostra apparente sconfitta . Ma quella battaglia, che tutti insieme abbiamo intuito essere una delle più qualificanti, per il nostro essere prima avvocati e poi aderenti ad una associazione sindacale che sui territori affianca gli avvocati veri, oggi, nel momento in cui quella pessima legge prende forma attraverso gli innumerevoli regolamenti attuativi, ce la ritroviamo nel nostro palmares, e possiamo rivendicarla con orgoglio e a testa alta. Avevamo ragione: quella legge era, e la definisco tutto sommato con grande benevolenza, semplicemente inadeguata. Inadeguata a regolare la vita ordinamentale dell’avvocatura nel nuovo secolo. Inadeguata a modernizzare una governance che risale ai primissimi anni del secolo scorso ed è rimasta identica a se stessa. Inadeguata a prospettare nuove forme di organizzazione del lavoro, necessarie come il pane ad una professione alla ricerca della sua dimensione nell’era moderna. Quella cattiva legge è finita, immediatamente, al vaglio della magistratura. I ricorsi al TAR già non si contano (scuola per le magistrature superiori, formazione continua permanente, elezioni dei Consigli dell’Ordine), e sono destinati inevitabilmente ad aumentare, man mano che prenderanno forma, e sostanza, altri regolamenti attuativi. In questo quadro così confuso e frammentato, connotato da elementi di grande incertezza e nel quale è complicato individuare un filo conduttore che sia un riferimento effettivo per tutti, si consuma una lenta, ma radicale mutazione genetica della nostra professione, in parte dovuta a spinte esterne (mai così invasivi i provvedimenti legislativi degli ultimi anni che ci hanno riguardato) e in parte dovuta a ritardi culturali propri della nostra categoria, indotti dalle cattive politiche degli anni passati. All’incirca negli ultimi dieci anni, non solo abbiamo
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visto volatilizzarsi alcuni punti fermi che duravano da sempre (colloco l’inizio del rivolgimento, con una certa dose di ragionevolezza, nel 2006, epoca delle cd. lenzuolate Bersani), ma abbiamo progressivamente ceduto, quasi sempre senza avere la forza di proporre alternative valide, quote rilevanti della nostra attività. Il giudiziario, e in ANF ce lo diciamo da anni, è calato mediamente del 30% negli ultimi anni, grazie ad interventi legislativi mirati ad ottenere progressivamente un forte decongestionamento dei Tribunali (aumento del CU, inasprimento delle sanzioni endoprocessuali, conciliazione obbligatoria, revisione della geografia giudiziaria, negoziazione assistita, translatio iudicii), piuttosto che a sviluppare una nuova cultura per la risoluzione delle controversie. Corrispondentemente, e sono i dati che annualmente diffonde Cassa Forense, i nostri redditi medi sono calati anch’essi all’incirca del 30%.
Tempo di Congresso, tempo di bilanci
Fuori dal coro
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La mutazione non è ancora definitivamente compiuta, e quello che risulta insopportabile ai più giovani e ai più deboli tra noi è la situazione di grande incertezza nella quale sono costretti a muoversi. Sono, anzi siamo, spaventati. Perché non riusciamo a capire come saremo, che cosa saremo tra 10 anni. È in questa contingenza che ANF, in linea con le sue formidabili tradizioni, deve sviluppare tutte le capacità di cui dispone e tracciare una linea, indicare una strada che, mi scuserete la notevole dose di presunzione, potrà essere seguita anche da altri. Se solo vorranno liberarsi di inutili e dannosi preconcetti. In ANF abbiamo saputo, coraggiosamente, guardare molto avanti, quando è stato necessario. Come con la riforma forense, ad esempio. E i fatti ci stanno dando ragione. In ANF abbiamo sempre, con forza, ogni volta che è stato necessario, denunciato la inadeguatezza delle misure messe in campo dal Governo. Come quelle approvate alla fine del 2014, ad esempio (translatio iudicii e negoziazione assistita a pena di improcedibilità), per le quali il flop è già oggi una realtà. In ANF ragioniamo, quotidianamente, sulle priorità che ci riguardano, sulle proposte che questo Governo frenetico, spesso dalla sera alla mattina, ci rovescia addosso. Lo facciamo sempre con un occhio al
passato, ma con la testa al futuro. Non abbiamo mai avuto paura di dire, coraggiosamente e fuori dal coro, quanto sbagliato fosse accontentare “a prescindere” il Ministro di turno, perché siamo avvocati e sappiamo, senza falsi corporativismi, se un provvedimento può funzionare oppure no Né ci ha spaventato impegnare l’Associazione sull’affermazione di principi che, all’inizio, sembravano eresie e sui quali, poi, pian piano sono arrivati anche gli altri. Mi riferisco, ad esempio, al tema dei sans papier: è da anni una nostra rivendicazione, e alla fine, faticosamente, ci sono arrivati anche altri, rammaricandosi di aver perso l’occasione della riforma forense. Più di recente è il tema delle società, di capitali e non, che ci vede impegnati, e anche su quella scelta si sta formando un vasto fronte di convergenze. A noi tocca, questo ormai è evidente, il ruolo di avanguardia: il reparto di ardimentosi che precede il grosso delle truppe per aprire il varco che consentirà di proseguire il cammino. Abbiamo una sensibilità più avanzata, rispetto a quella dominante . Ci siamo ritagliati il ruolo di guida, morale ed ideologica (passatemi questi termini impegnativi), delle battaglie più difficili, ma anche più esaltanti e più qualificanti. Perché il nostro non è un obbiettivo che si limita a noi, ad ANF, ma è l’obbiettivo del bene e della crescita dell’intera comunità.
L’avanguardia si oppone al senso comune, al banale Se è vero che gli elementi fondamentali delle avanguardie sono una importante forza propulsiva, un forte attivismo, anche in chiave agonistica, una predisposizione a vedere lontano e meglio, quegli elementi la nostra associazione li possiede tutti. Come anche l’attitudine alla critica e al contrasto, dai quali scaturisce, infine, una grande spinta creativa. Le avanguardie attuano, quando occorre, una opposizione alla cultura dominante, o appartandosi aristocraticamente (come pure qualcuno ci contesta) o partecipando “rumorosamente” al dibattito pubblico. L’avanguardia si oppone al senso comune, al grado medio, al banale. L’avanguardia porta alle estreme conseguenze i caratteri della modernità e lo spirito critico, a volte
viene definita modernità radicale. Di qui la difficoltà ad essere compresi dal grande pubblico, che, drogato dalla cultura dominante, si ritrae dicendo che non capisce. L’avanguardia tende a costituire una istituzione alternativa ed aperta, con una vocazione al lavoro collettivo, per cui non di rado viene vista come una sorta di gruppo di pressione (a volta anche come manipolo golpista, vista l’origine militare del nome). Ma infine, proprio se si pensa all’avamposto di un esercito, si può comprendere molto bene che l’avversario non può essere l’esercito che viene dietro e rispetto al quale l’avanguardia s’intende avanzata, ma quello che le si trova di fronte, o meglio il territorio ostile in cui gli esploratori mandati in avanscoperta si trovano ad operare, privi di ogni garanzia. Mi piace pensare che ANF abbia sempre svolto questo ruolo e che vorrà ancora svolgerlo per il futuro. Abbiamo le capacità prospettiche che ci servono, sappiamo come sposare il nuovo con la tradizione, sappiamo individuare i limiti oltre i quali non è giusto andare.
L’acqua non bolle sotto le coperte. Non è stando mollemente al calduccio che arrivano i risultati. Le idee hanno bisogno di gambe per camminare, di uomini e di donne coraggiosi che si facciano carico di farle conoscere e di sostenerle, anche a prezzo di sacrifici, personali e non, di amarezze, sempre in agguato. Ma noi, ripeto, abbiamo un coraggio che manca ad altri: il coraggio di pagare il prezzo delle nostre idee. Anche quando il prezzo è alto. Grazie. Di cuore. A tutti.
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L’ANF,
un pregiato cocktail di esperienza ed entusiasmo In Consiglio Nazionale, con i padri fondatori, anche tanti volti nuovi, per lo più giovani e giovanissimi e tra questi una nutritissima partecipazione di colleghe di Pasquale Barile Sono già trascorsi tre anni e, approssimandosi la scadenza del mio incarico in seno ad ANF, è quasi naturale fare un bilancio di questa legislatura associativa, per come l’ho vissuta e percepita. Non so, nè spetta a me dire – parafrasando una nota formula giuridica – se ho bene e fedelmente adempiuto all’incarico affidatomi. So per certo, però, che è stata una bella esperienza, impegnativa soprattutto per il doveroso rispetto che si deve a tutti i consiglieri nazionali che con tanti sacrifici partecipano ai Consigli Nazionali, un’esperienza che sicuramente mi ha fatto crescere in termini umani e professionali. Ciò che più mi ha colpito in questo triennio, però, è stata innanzitutto la confortante constatazione di quanto si sia rinnovato il nostro Consiglio Nazionale: tanti visi nuovi, per lo più giovani e giovanissimi, e tra questi una nutritissima partecipazione di colleghe a dimostrazione del fatto che – nella nostra Associazione – non abbiamo bisogno di norme, regolamenti e codicilli per tutelare la parità di genere (non a caso il nostro Segretario Generale, per ben due mandati, è stata una Collega, sicuramente tra le più valenti espressioni della nostra Associazione). Al contempo, con altrettanto compiacimento, ho constatato la commovente ed assidua presenza dei Colleghi Padri Fondatori, che non disertano mai un Consiglio Nazionale con la stessa passione di sempre: un pregiato cocktail di esperienza ed entusiasmo che sicuramente saprà
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coniugare anche nel prossimo futuro l’avvicendamento delle generazioni più giovani e fresche, con quel pizzico di saggezza che viene assicurata da tutti coloro che, come Cincinnato, hanno saputo e voluto per tempo cedere il passo senza alcun rimpianto, orgogliosi di aver fatto Scuola. Troppo aulico? Si, taluni potrebbero pensarlo ma, credetemi, sono sincero. Prima di congedarmi, ovviamente voglio ringraziare di cuore innanzitutto tutti coloro che hanno avuto fiducia in me e, talvolta, anche la pazienza di sopportarmi. Un sentito apprezzamento devo all’infaticabile Ester Perifano, nostro Segretario Generale, per l’abnegazione con cui ha svolto il suo gravosissimo incarico, davvero più unica che rara. Il mio sincero grazie va infine ai due Vice Presidenti, Luigi Canale e, mi scuso per la specialità del mio ringraziamento, a Brunella Brunetti, che è stata il mio angelo custode in questo triennio, sempre pronta a confrontarsi, a collaborare ed a supportarmi e sopportarmi in qualsiasi circostanza. Ovviamente, per me è tempo di rientrare nei ranghi. Serenamente.
Il diritto ad avere diritti “Senza un progetto la critica non serve: il dissenso senza una speranza progettuale non è altro che consenso mascherato”.1
di Bruno Sazzini Fortezza Bastiani2. Il dibattito sulla Giustizia, o dei mezzi per l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini, eccezion fatta per i rapporti tra Magistratura e mondo politico (in realtà un conflitto tra poteri), raccoglie nell’opinione pubblica minore attenzione rispetto a quella dedicata ai pericoli di lesione di altri valori di rango costituzionale, come il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro, nell’assenza di percezione che per la salvaguardia di questi diritti (collettivi e individuali) sia indispensabile un efficiente modello giurisdizionale, elemento primo per lo sviluppo e la crescita di una società democratica e civile3. Il rapporto tra il modello di giurisdizione e la società si misura dalla distanza tra l’astratta evocazione dei diritti e la loro effettiva ed efficace tutela: tanto maggiore sarà la distanza quanto minore la compattezza culturale e relazionale di un corpo sociale. Eliminare o ridurre questa distanza dovrebbe essere un obiettivo, fondato su precise scelte politiche, nel progetto di una concreta attuazione nel quotidiano dei valori costituzionali. L’esatto contrario di quello che sta accadendo in Italia in questo ventennio: una degiurisdizionalizzazione crescente e miope, giustificata solo dalla necessità del risparmio di spesa, senza nessun disegno unitario che sia il risultato di una seria riflessione sulla tutela dei diritti e il loro costo e che porti a progetti mirati.4 La politica corrente usa i temi della Giu-
stizia spesso in modo strumentale, senza alcuna visione d’insieme5, mentre la Magistratura, sentinella vigile del proprio potere, anche nelle componenti più attente all’attuazione dei diritti, si è ripiegata sull’analisi dei modelli organizzativi, nella singolare contraddizione di suggerire soluzioni mentre si è parte del problema. L’Avvocatura sconta ancor più questa afasia cognitiva e prospettica, incapace di trasmettere alla società l’importanza della cultura dei diritti (e della loro tutela), nonché l’importanza del suo ruolo e della funzione di “coscienza critica nel difficile equilibrio dei poteri dello Stato” 6. L’Avvocatura oggi sembra chiusa in una Fortezza Bastiani, che non è più l’ultimo avamposto della civiltà giuridica, ma un fortino abbandonato, i cui abitanti sono più intenti, in un cupio dissolvi oscuro e ostinato, a discutere tra loro, soli, nel Deserto dei Tartari.
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Il diritto ad avere diritti
Il diritto come scudo.
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Il punto di (ri)partenza dovrebbe essere la riproposizione, in chiave moderna, dell’idea di “maneggiare il diritto come uno scudo per sottolineare l’uso del diritto che si fa politica, in chiave soprattutto difensiva, ma non per questo meno efficace”.7 La riflessione sulla tutela dei diritti è strettamente collegata al ruolo (centrale, complementare, sussidiario) della giurisdizione pubblica e alle risorse da dedicare alla concreta attuazione dell’obiettivo dato. Le risposte, però, non possono dipendere da motivi contingenti e devono essere collegate a progettualità di ampio respiro, altrimenti si corre il rischio di scambiare i valori di riferimento: imporre meri tagli lineari di spesa o modelli di sbarramento all’accesso della giustizia, salvo che questi non siano i veri obiettivi, non contribuisce a rendere il sistema giudiziario più efficiente e maggiormente effettiva la risposta alla domanda di tutela della collettività. Alcuni studi americani8 hanno sostenuto che se la necessità di limitare l’ipetrofia della domanda giustizia diventa un fine, la crisi del sistema giudiziario, descritto come onnipotente e sommerso di cause, nasconde nella realtà una costruzione largamente strumentalizzata per rimettere in discussione la tutela del cittadino. L’allocazione delle risorse, poi, non è altro che il riflesso delle scelte operate a monte, come si ricava, ad esempio, dal confronto nella distribuzione per le singole voci di spesa nel budget per la giustizia tra l’Italia e gli altri Paesi d’Europa9: l’Italia, per citare un dato, spende il 65% circa della destinazione complessiva di bilancio (in linea con la media europea) per l’apparato amministrativo e solo il 3% circa per l’assistenza legale (legal aid), mentre nei Paesi del Nord Europa e anglosassoni le percentuali sono, rispettivamente, del 40% e del 43%. La spiegazione non è solo economica, ma di modello di giurisdizione e sociale: la spesa per l’apparato burocratico ha una connotazione maggiormente autoritaria, con il rischio che questo, in assenza di efficaci contrappesi, prevalga rispetto alla società civile (sui cittadini); se, invece, il bene primario è la tutela dei diritti individuali10, si privilegia l’assistenza legale per garantire ai cittadini un effettivo accesso alla giustizia.11
Le scelte di politica giudiziaria, pertanto, mostrano anche un modello di società ed i rapporti (vari) tra l’apparato dello Stato e il cittadino, confermando che ogni riforma non è indolore o limitata negli scopi, ma rimodella, anche oltre le intenzioni, il corpo sociale.
L’eterogenesi dei fini. La stretta connessione tra giurisdizione (esistente o da riformare) e società si coglie meglio con alcuni esempi. Nel Giappone, “la terra senza avvocati”, vige il principio dell’armonia e la lite contrasta con questo ideale, perché crea un vincitore e un perdente; così l’intendimento di portare una controversia sino alla decisione giudiziaria è considerato un atteggiamento morale deteriore, tanto che il Giudice può imporre anche la conciliazione d’ufficio (Chotei Tetsuzuki) per ristabilire l’equilibrio dell’universo shintoista, vero bene tutelato12. Il secondo esempio riguarda la nascita delle A.D.R. negli Stati Uniti, collegata al controculturalismo, movimento che si è affermato con connotati di forte ostilità e diffidenza nei confronti del sistema consolidato di soluzione delle controversie, affidato in esclusiva alle Corti, ritenuto inaccettabile per l’uso delle coercizioni nelle relazioni tra le persone.13 Se ogni lite venisse mediata secondo parametri equitativi e ragionevoli, sostiene il controculturalismo, non vi sarebbe più sottoposizione ad una autorità giudicante e si favorirebbero i rapporti tra persone, nella continua ricerca di un senso comune di giustizia. L’uscita dalla giurisdizione pubblica è condizione presupposta per un sistema di relazioni sociali libere ed autodeterminate, in una prospettiva palingenetica che diventa il fine. Si tratta, in entrambi i casi, di una visione sostanzialmente conservatrice, se non reazionaria: la cristallizzazione della normale conflittualità sociale, con la possibilità di progredire attraverso di essa, in società sublimate e armoniche, chiuse in molteplici monadi (localismo e corporativismo le derive più comuni). Il Legislatore italiano, nell’introdurre la mediazione obbligatoria o gli altri strumenti per limitare l’accesso alla giustizia, ha avuto la consapevolezza dell’impatto culturale e sociale di queste sue scelte? Certamente no: prevalendo un intento meramente
deflattivo, gli strumenti sono stati imposti e gestiti in modo autoritario (l’obbligatorietà) per “educare” alla mediazione, valore sociale da imporre con la spada.14 In un Paese come l’Italia dove lo Stato stesso è campione di “illegalismo legale”, pervaso da una forte “astatalità”15, la mera sostituzione della composizione degli interessi contrapposti alla tutela dei diritti, privilegia di fatto i rapporti di forza (l’utilitarismo è una categoria economica), in una visione che confina, sostanzialmente, i soli diritti tutelabili all’utilitas collettiva e nell’ambito penale, sempre più esteso, con spazi sempre più ristretti per la difesa.
La tutela dei diritti. La tutela dei diritti, però, è una necessità politica, costruzione di un sistema di relazioni sociali e di bilanciamento dei poteri, in cui l’avvocato, come argine del potere statale e canalizzatore della domanda di giustizia, ha anche una funzione di mediatore culturale. Il riconoscimento di questo principio è la stella polare per un progetto di riforma della giurisdizione, contro i mali (ipertropia, inefficienza, ecc.) che indubbiamente esistono e che nessuno nega. Non mera degiurisdizionalizzazione in chiave deflattiva, ma la costruzione di circuiti complementari di mediazione, giurisdizione laica e giurisdizione togata, previa ricognizione dei diritti, per spostare il baricentro dall’apparato burocratico ai cittadini.
L’avvocatura può assumere un ruolo chiave e di grande responsabilità, rinunciando all’attuale inconcludente conservatorismo, in una visione più moderna e consapevole della propria funzione, che non basta rivendicare, ma è necessario conquistare nella crescita della stima sociale. Chiudo citando un bellissimo passo di Remo Danovi16 “… la giustizia dovrebbe trovare i più ampi sostegni da parte di tutti in un equilibrio più avanzato e concreto. Non è sufficiente una classe politica che parli a nome del popolo, ma non contribuisca ad elevarlo; che arresti parzialmente gli effetti, ma non rimuova le cause. Né è sufficiente il controllo di patologia dell’ordine giudiziario: un impegno lodevole, ma purtuttavia successivo agli eventi. Tutto è uno specchio deformato che si compiace e si avviluppa sulla memoria corta della gente e sull’anestesia morale che mette a tacere le coscienze”. Il compito dell’avvocato deve essere reinventato senza pre-giudizi e adeguandosi alla nuova realtà, ma saldamente ancorato ad un insieme di valori che sono innanzitutto politici (della polis). La sensazione di solitudine culturale non deve essere un limite, ma uno stimolo, punto di partenza per un lungo viaggio verso un modello di giurisdizione consapevole e condiviso, per recuperare “quella sottile percezione collettiva che il patto di cittadinanza, che dà fondamenta concrete all’appartenenza nazionale, è radicato nella sfera del diritto e dei diritti”.17
Avvocati in fila per accedere al Tribunale di Napoli ▲
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NOTE
1. T. Maldonado “La speranza progettuale” Einaudi 1973, pag. 66. 2.
D. Buzzati “Il deserto dei Tartari”.
3. P. D’Ascola “Sulla Giustizia civile” in Micromega 7/2014: “…il cittadino ha più consapevolezza dei propri diritti e li fa valere. In un sistema autenticamente democratico questo è in sè un bene, un indice di vitalità sociale e di crescente libertà”. 4. F. Cassano “Senza il merito della storia” Laterza. “Questa tensione tra i diritti altro non è che una spia del più generale problema del rapporto tra i diritti e le risorse e dal fatto che le relazioni tra le pretese e le aspettative dei diversi strati sociali si producono in un mondo in movimento dove non esistono solo diritti”. 5. B. Capponi “Salviamo la giustizia civile” Novecento editore : “La verità è una sola: negli ultimi anni, Governo e Parlamento hanno rifiutato di investire risorse economiche nei servizi della giustizia civile. Hanno preferito dare l’impressione di occuparsi del problema, straziando il c.p.c., purchè non fossero investite risorse economiche. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: legge processuale complicata, malintesa e inapplicata, giudici civili abbandonati a loro stessi, fughe dalla giustizia ordinaria verso sedi in cui molto difficilmente i diritti dei cittadini potranno essere adeguatamente tutelati secondo il parametro costituzionale; valorizzazione esagerata della sentenza di primo grado e svalorizzazione ingiustificata di tutte le impugnazioni protette dalle mobili barriere dell’inammissibilità à la carte. Se non si opera un deciso cambio di passo, presto non resterà molto della tutela civile dei diritti”. 6. M. Cacciari in discorso OUA 1994. 7. Llora Israel “Le armi del diritto”. Giuffrè, traduzione e postfazione di Giuliano Berti Arnoaldi Veli. 8. Citaz. Llora Israel, op. cit. pag. 106. 9. Cepej “Report on european judicial system” Edizione 2014 - Tab. 2.28, pag. 62. 10. Cepej op. cit. pag. 65: “In a system led by the Habeas Corpus, the entities of the United Kingdom give priority to legal aid although such budgets are decreasing. This priority remains a significant characteristic of Northern European systems (Finland, Iceland, Ireland, Netherlands, Sweden). These same states or entities spend a smaller share of their budgets on the operation of courts. Partly because the amounts allocated to salaries is lower in Common Lawsystems, which allow for an important number of lay judges to sit (with the exception of Ireland). For the Northern European states, part of the explanation lies also in the tendency for society to be less litigious compared to the rest of Europe: part of the litigation is diverted from court proceedings (example: divorce, please see chapter 9 below) and assigned to administrative bodies”. 11. Cepej op. cit. pag. 61: In Italia il costante incremento delle spese per la giustizia è stato, negli ultimi 10 anni, totalmente assorbito dal costo dei giudici (cost of judges) derivanti dagli adeguamenti salariali e all’immissione, negli ultimi anni, di nuovi giudici, invariate tutte le altre spese. 12. R. Danovi “L’immagine dell’avvocato e il suo riflesso” Giuffrè, pag.36. 13. T.E. Frosini: “Un diverso paradigma di giustizia: le A.D.R”. in Rassegna Forense 2/2011, parte I, pag. 328. 14. Anche chi critica questa impostazione, poi cede alla visione metasociale dello strumento: Molinaro, in Guida al Diritto 9/2015 pag. 17 2: “…l’adozione della mediazione non quale strumento di deflazione del contenzioso - effetto che può conseguire soltanto in via del tutto indiretta - , ma quale via privilegiata per la composizione pacifica dei conflitti in una prospettiva coesistenziale, solidaristica, condivisa, sostenibile”. 15. S. Cassese “Governare gli italiani” Il Mulino: l’espressione indica la forte presenza di assetti che lo Stato non lo riconoscono o vi oppongono. Non solo società criminose (mafia, camorra, ecc)., ma anche comitati d’affari o la politica deteriore. 16. R. Danovi, op. cit. 17. M. Malatesta, Introduzione a Llora Israel, op. cit.
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Dentro e fuori la giurisdizione, tra processo e sistemi alternativi di risoluzione delle controversie. di Andrea Noccesi
Ciò che spesso muove una parte non è l’accertamento di un diritto, quanto il conseguimento di un bene concreto della vita in tempi celeri “Com’è triste Venezia”, cantava Charles Aznavour nella pubblicità di un noto liquore qualche anno fa. E triste è stato anche l'ultimo Congresso Nazionale Forense, svoltosi nella bellissima città lagunare nell'ottobre 2014. Era il primo Congresso Nazionale Forense successivo all’approvazione della nuova legge professionale (L. 247/12) ed il pre-
cedente congresso, tenutosi a Bari a fine 2012, aveva visto la maggioranza dei delegati chiedere a gran voce l’approvazione della suddetta legge e, contestualmente, di porre mano subito mano alla sua modifica. I temi congressuali pre-fissati investivano le usuali domande: chi siamo, cosa vogliamo e dove andiamo, seppur declinate nella ricognizione del ruolo dell’avvocato nel processo e fuori dal processo, con gruppi di lavoro anche sulla giovane avvocatura. Nei fatti, la gran parte della discussione e dell’elaborazione pre-congressuale e congressuale si è incentrata sulla nota questione della rappresentanza dell’avvocatura, mentre, relativamente alle questioni che investono la riforma della giustizia, si è registrata un’apertura di credito nei confronti del Governo e del Ministro Orlando, il cui intervento ha ricevuto ampi consensi. Nel frattempo il “cantiere giustizia” è rimasto aperto: alla conversione in legge del D.L. 132/14 (c.d. “degiurisdizionalizzazione”) si sono aggiunti o sono in procinto di farlo la delega per la riforma del c.p.c., quella sulla magistratura onoraria, la legge sulla responsabilità civile dei magistrati, la legge sulla “lieve tenuità del fatto”, il d.d.l. sulla concorrenza e liberalizzazioni ed altri ancora non meno importanti. La sensazione è quella che a Venezia ci si sia arrovellati in un dibattito tutto interno all’avvocatura, senza tener conto del mutare della realtà fattuale socio-economica, sia già avvenuto sia da venire, e senza chiedersi quale fosse l’avvocatura (o meglio le avvocature) che si intendeva rappresentare. Quale ruolo l’avvocato 2.0 deve avere per rispondere alle esigenze che la società pone e, in definitiva, per stare sul mercato dei servizi legali in maniera concorrenziale con altri operatori? Questo è il “cuore” della questione. Per rispondersi è necessario interrogarsi su quale sia il modello di Stato di Diritto che la società oggi richiede e che, in definitiva, può permettersi. Se da un lato è vero che le ragioni (a volte brutali) dell’economia non devono soverchiare la salvaguardia dei diritti, è altresì vero che le forme di tutela dei diritti non possono realisticamente essere una variabile indipendente dallo stato di salute dell’e-
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conomia, pena la mancata fattuale tutela dei diritti che si vorrebbero garantire e quindi, di fatto, la loro negazione.
Dentro e fuori la giurisdizione, …
Verso la contrattualizzazione delle tutele
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Nella congerie legislativa che da un paio di decenni ci investe, una linea di fondo è rinvenibile e consiste nell’accentuata tendenza alla contrattualizzazione delle tutele con conseguente spostamento degli ambiti di risoluzione delle controversie fuori dalla giurisdizione statale, nel presupposto che quest’ultima non sia in grado (con l’attuale limitato numero di risorse disponibili e investibili) di fornire adeguata e tempestiva risposta alla domanda di giustizia (di converso accresciuta in conseguenza sia dell’aumentata complicazione ed interconnessione dei rapporti civici/economici, sia dell’aumentata percezione di consapevolezza da parte dei cittadini). In ambito civile si sono pertanto introdotte (con normazione non condivisibile in quanto tesa a scoraggiare, anche economicamente, il ricorso all’autorità giudiziaria) sedi alternative di risoluzione delle controversie nelle quali, più che alla tutela di diritti, si possa pervenire al contemperamento di interessi ovvero ad una negoziazione che conduca alla transazione sulle rispettive pretese e, persino in ambito penale, al contemperamento dell’esigenza di punire condotte criminose con quella di evitare il sovraffollamento carcerario (vedi “lieve tenuità”). Questa tendenza può piacere o meno, ma va considerata, non solo perché all’avversione tout court dovrebbe sostituirsi la ricerca di un’alternativa concretamente praticabile nell’attuale limitatezza delle risorse disponibili, ma anche perché è un segnale del progressivo superamento del tradizionale Stato di Diritto che vedeva al primo posto delle fonti normative la legislazione statale. L’accelerarsi dei tempi dell’economia e l’internazionalizzazione dei rapporti rendono il tradizionale sistema legislativo spesso obsoleto e farraginoso e il sistema giudiziario da noi conosciuto inadatto a costituire l’unico sbocco delle controversie. Spesso ciò che muove una parte non è l’accertamento di un diritto, quanto il conseguimento di un bene concreto della vita (ad esempio, la disponibilità di un immobile piuttosto che il pagamento di un
indennizzo) e la necessità di ottenerlo in tempi celeri e quindi utili prevale su quella della sua consacrazione in un giudicato. Se così è, occorre pertanto individuare quali siano i principi basilari che debbono permanere affinchè la tendenza contrattualistica di cui sopra non si tramuti nella pura e semplice legge del più forte, che costringe i soggetti meno attrezzati o in posizione contrattuale deteriore ad accettare sempre e comunque i dictat dei c.d. “poteri forti”: insomma il diritto deve ristabilire posizioni di (concreta) pari dignità e neutralizzare il disequilibrio contrattuale dato dal mercato. Occorre quindi un laico ripensamento della regolamentazione delle a.d.r. in modo che queste costituiscano un’effettiva alternativa appetibile per chi avanza una pretesa e non un ostacolo al ricorso alla tutela giurisdizionale, ripensando il novero delle controversie per le quali prevedere l’obbligatorietà di un previo tentativo di conciliazione anche in ragione dei soggetti in esse coinvolti. D’altro canto, occorre un complessivo recupero di efficienza della risposta giurisdizionale sia che la stessa intervenga in seconda battuta (sfogati inutilmente i tentativi di risoluzione alternativa) sia che intervenga in prima battuta in quei casi nei quali lo “ius dicere” sia ritenuto comunque indispensabile. Molto si è negli ultimi tempi disquisito sulle cause del proliferare in Italia del contenzioso, pervenendo spesso a semplicistiche equazioni che non colgono nel vero. Il meritorio lavoro di monitoraggio, svolto dal Dott. Barbuto nell’ambito delle proprie funzioni nel Ministero della Giustizia, ha fornito un quadro dettagliato sulla durata dei processi e sulla loro natura e genesi e monitorato gli uffici giudiziari più o meno produttivi anche in rapporto alle piante organiche ed alle modalità organizzative (vedasi al riguardo la distinzione fra ciò che fisiologicamente è pendente e ciò che è arretrato, le tipologie di controversie che maggiormente affollano gli uffici giudiziari e le disparità di piante organiche e livelli organizzativi degli stessi (dal Rapporto Barbuto n.d.r.), disvelando la tralaticia riproposizione da parte di certi commentatori di veri e propri “falsi miti” (uno su tutti: “ci sono tante cause perché ci sono tanti avvocati”).
Le cause del contenzioso, tra inefficienze ed incertezze Le cause del contenzioso sono invece molteplici e fra queste si possono senz’altro annoverare le inefficienze della pubblica amministrazione (buona parte del contenzioso essendo costituito da processi che la vedono coinvolta), l’incertezza del diritto (connessa alla cattiva tecnica di legislazione ed al sovrapporsi delle fonti, nonché ad una insoddisfacente opera nomofilattica), la crisi economica e di rapporti civili e, infine, ma non ultima, la stessa inefficienza della risposta di giustizia: chi paga subito il proprio creditore se può confidare di pagarlo al 40% fra dieci anni? L’opera di ri-organizzazione del SISTEMA GIUSTIZIA che l’attuale Ministro ha individuato come priorità è quindi la principale chiave di volta per affrontare il problema, passando dagli annunci ai fatti. Al serio monitoraggio degli uffici devono conseguire scelte politiche (soprattutto in termini di spesa) e operative, tramite la quali ottenere una media di risposta accettabile in termini di tempi, quantità e qualità delle decisioni; diversamente nessun obbligo a tentare la conciliazione potrà sortire l’effetto desiderato e verrà sempre vissuto come vessazione.
Qual è il ruolo che l’Avvocatura deve svolgere? Sicuramente l’avvocato è chiamato a lavorare, molto più di prima, fuori dalle aule di giustizia e ad approcciarsi alle questioni ed alla clientela con una maggiore attenzione ai concreti beni della vita perseguiti da chi gli si rivolge. Ciò dovrà, gioco forza, fare se non vuole essere marginalizzato e soppiantato da altre professionalità più pronte a gestire gli interessi della clientela. In quest’ottica le sinergie interprofessionali potranno sempre più risultare efficaci e maggiormente conseguibili (anche in un’ottica di trasparenza di prezzi e servizi offerti alla clientela) vincendo le secolari ritrosie alle strutturazioni associative interprofessionali. L’Avvocatura deve altresì pretendere di essere compartecipe della gestione del SISTEMA GIUSTIZA per il tramite delle proprie istituzioni e non limitarsi ad un’opera di supplenza fornita dal singolo. Vi sono settori attualmente assegnati alla magistratura ordinaria che non sono coperti da riserva costituzionale e possono essere delegati alle istituzioni forensi (ad
es.: certa volontaria giurisdizione). Inoltre deve essere valorizzato il ruolo degli avvocati nella fase pre-giudiziale, affidando agli stessi la possibilità di svolgere istruttorie anticipate (nel rigoroso rispetto del contraddittorio e sotto la supervisione delle istituzioni forensi) da riversare, in caso di mancato accordo, nell’instaurando processo, connesse ad un rigido sistema di preclusioni ed alla possibilità di ri-effettuare davanti al Giudice la suddetta attività solo in presenza di motivate contestazioni sulla sua effettuazione ante giudizio. Ciò consentirebbe, non solo di sgravare i magistrati da una serie di attività e concentrare il loro lavoro sullo “ius dicere”, ma anche alle parti di avere una completa cognizione dei fatti prima di intraprendere il giudizio, con conseguente maggiori probabilità di pervenire ad accordi stragiudiziali e maggiore consapevolezza valutativa delle eventuali proposte formulate dal giudice in corso di causa. Il ruolo dell’avvocato potrebbe anche dispiegarsi (al di fuori delle aule giudiziarie) nella preventiva gestione delle crisi aziendali, che dovrebbero essere monitorate intervenendo tempestivamente, prima cioè del dissesto e del necessario ricorso a procedure concorsuali. In quest’ottica vanno riviste numerose norme della legge professionale e fra queste quelle regolanti gli obblighi formativi, mirati a far conseguire all’avvocato le competenze necessarie all’assolvimento dei vari compiti che questo si propone di assolvere (litigation, gestione crisi aziendali, procedimenti di volontaria giurisdizione). Insomma, i tempi impongono di cessare le lamentazioni e abbandonare vecchi schemi mentali; la Giustizia è come l’acqua , si disse con lungimiranza anni fa: è un bene prezioso, ma non è una risorsa inesauribile. Va valorizzata, aumentata e non dispersa; alla giurisdizione dev’essere restituita autorevolezza; non solo chi agisce in giudizio dev’essere attento, ma anche chi resiste (specie se pubblica amministrazione o grande potentato economico); solo così potremo migliorare le condizioni economiche del Paese e mantenere un livello accettabile di civile convivenza. I tempi sono maturi perchè l’Avvocatura acquisisca consapevolezza dei nuovi compiti che la attendono e che Politica, Società e Magistratura ne riconoscano la fondamentale importanza come co-protagonista del SISTEMA GIUSTIZIA.
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Anche la giustizia penale cambia pagina Ma non si tratta di degiurisdizionalizzazione, la vera spinta consegue alla necessità di uscire realmente dall’emergenza carceraria. di Mario Scialla
Nel maggio del 2010 l’Associazione Nazionale Forense fornì un contributo importante alla redazione del documento “Riflessioni sulla giustizia penale”, unitamente ad OUA e CNF, presentato in occasione del XXX Congresso Nazionale di Genova, divenuto poi un vero e proprio manifesto sullo stato del processo penale. In questo documento programmatico, mirabilmente redatto dal Vice-Presidente dell’ Organismo Unitario dell’Avvocatura dell’epoca, Avv. Luca Saldarelli, che ebbe ad accorpare i vari contributi associativi, tra le priorità di intervento proponemmo una nuova legislazione in tema di contumacia nonché l’adozione di alcuni istituti che avevano dato buona prova di se nel processo penale minorile, vale a dire la messa alla prova e l’irrilevanza del fatto.
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Ebbene, come noto, in questi anni tutto è divenuto realtà e dal 2 aprile 2015 è entrato in vigore anche l’importante D.LGS n. 28 del 16 marzo 2015, quello relativo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto che, pur non rappresentando una vera e propria novità per il nostro ordinamento - essendo già previsti due istituti analoghi quali l’art. 34 DLGS 274/2000, relativo all’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto nei procedimenti penali davanti al Giudice di Pace, nonché il già citato art. 27 D.P.R. 448/1988 che prevede la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto nel processo minorile - conferma un decisivo cambiamento della giustizia penale. Ci si interroga da più parti se la profonda crisi economica e la convinzione che lo Stato non sia più in grado di fornire una risposta in termini di completa amministrazione di giustizia a tutte le domande che gli vengono rivolte dai cittadini per l’affermazione dei propri diritti, sia il vero motivo che sta dietro a questi profondi mutamenti: così come nel civile si assiste al tentativo di una estesa degiurisdizionalizzazione che porterebbe a risolvere le controversie giudiziarie al di fuori delle aule di giustizia anche nel penale si opterebbe per una analoga soluzione. Sicuramente vi può essere una assonanza ma credo che nell’ambito penalistico la vera spinta verso questo radicale cambio di direzione sia da mettersi in relazione alla necessità di uscire realmente dall’emergenza carceraria. Non è un caso infatti che di messa alla prova e di tenuità del fatto si parlava anche nello schema di disegno di legge di recupero di efficienza del processo penale, dell’allora Ministro della Giustizia Severino, presentato unitamente al D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, a contrasto del sovraffollamento carcerario. Si era finalmente cominciato a comprendere come l’emergenza carceraria non si sarebbe definitivamente risolta se non si fosse abbinata ad una riforma coraggiosa del sistema giustizia poiché il carcere è la parte terminale del mal funzionamento della stessa. Inoltre importanti e note sentenze di condanna della Corte Europea dei diritti dell’ Uomo nei confronti dell’Italia, quali la
Sejdovic e la Torreggiani, hanno opportunamente indotto lo Stato ad intervenire con maggiore determinazione, modificando la legge sulla contumacia, riaffermando, nella sospensione del processo a carico degli irreperibili, che ove non si riesca a notificare la citazione del processo personalmente all’imputato o nella sua immediata sfera di vigilanza, non si possa celebrare l’udienza ed introducendo la messa alla prova per gli imputati maggiorenni, nonché la non punibilità per particolare tenuità del fatto. Un altro importante scossone, in grado di accelerare il cambiamento di rotta, è pervenuto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32, del 25 febbraio 2014, in materia di droghe leggere, che ha dichiarato l’incostituzionalità, nella dosimetria della pena, della Legge Fini – Giovanardi, con il recupero sul punto della precedente legislazione.
Anomalia italiana E così sarà più facile in futuro sanare un’altra anomalia italiana che vedeva reclusi, per violazione della legge sugli stupefacenti, circa il 36% della popolazione carceraria, ben oltre cioè quella che è la media europea. Chi pratica le aule di udienza ha già potuto verificare quali profonde e consistenti rideterminazioni della pena siano state sentenziate nei processi già definiti per stupefacenti mediante gli incidenti di esecuzione e quali diverse e più miti sanzioni vengano attualmente comminate con riferimento alle droghe leggere. L’altra anomalia italiana, quella cioè che un numero in percentuale altissimo (oltre il 40%) di persone che popolano le carceri sia rappresentato da detenuti in attesa di giudizio, sta ugualmente per essere, se non del tutto eliminata quantomeno fortemente ridimensionata, in quanto entra in vigore dall’8 maggio la legge n. 47/2015, recante modifiche in materia di misure cautelari, pubblicata sulla G.U. n. 94 del 23 aprile 2015. La custodia cautelare cesserà probabilmente di essere uno strumento che svolge una impropria funzione social – preventiva, riacquistando così un significato più consono in quanto il carcere diverrà extrema ratio e non potrà più essere applicato in maniera automatica e si ricorrerà allo stesso solo se le altre misure coercitive o interdittive vengano ritenute
impraticabili, attraverso una penetrante motivazione che, ove carente, determinerà l’annullamento da parte del Tribunale del riesame. Ed allora viene da pensare che questa volta la giustizia penale cambierà davvero e forse finirà definitivamente l’epoca dei numerosi pacchetti – sicurezza che si sono succeduti negli ultimi anni per venire incontro alle domande di maggiore severità da parte dei cittadini senza aver prodotto nulla di veramente utile ma che, invece, sono serviti ad accrescere l’emergenza carceraria, bloccando la concessione delle misure alternative alla detenzione, violando così il principio costituzionale della flessibilità della pena ed impedendo, di fatto, anche il percorso di diversificazione della pena che si era intrapreso fino alla entrata in vigore della ex Cirielli, allorquando vi era un numero grosso modo pari tra detenuti in carcere e quelli affidati fuori. Il panpenalismo si è rivelato una scelta non vincente, minando addirittura e paradossalmente la certezza della pena, in quanto tra i ritardi dell’amministrazione giudiziaria, per pervenire alla conclusione dei processi e la dilagante prescrizione, buona parte delle sentenze di condanna non vengono scontate, con il rischio così di far girare a vuoto l’intero sistema. Se non altro per questo andrebbero lette positivamente queste innovazioni normative in quanto spostano l’angolo prospettico dalla sicurezza collettiva, vera o presunta, al tentativo di ridurre il sacrificio della libertà personale con una razionalizzazione del sistema. Con il nuovo articolo 131 bis c.p., che prevede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, si comincia a parlare un linguaggio nuovo ed innovativo che è quello della Commissione Fiorella sulla depenalizzazione prima e della Commissione Palazzo poi. Da tempo veniva infatti sottolineata la necessità di contrarre l’intervento del diritto penale a causa della progressiva dilatazione del ricorso alla sanzione penale, con pregiudizio per la sua natura di extrema ratio che determina una riduzione della funzione general – preventiva, propria della pena, ed una incapacità del sistema giudiziario, nel suo complesso, di accertare e reprimere i crimini. Il flusso dei reati in entrata continua a superare di gran lunga le capacità di risposta del sistema penale al punto che si è allar-
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Anche la giustizia penale cambia pagina 18
gato lo iato tra i reati effettivamente perseguiti e non, con il poco commendevole effetto delle punizioni a sorteggio. Verranno così esclusi dalla sanzione penale fatti e condotte che pur sussumibili nella fattispecie penale astratta non comportino, in concreto, un rilevante pregiudizio, al punto che l’intervento della macchina penale, a pieno regime, possa addirittura fornire una risposta soverchiante rispetto all’offesa al bene giuridico tutelato. Le forti ragioni di economia processuale e razionalizzazione delle risorse che sottendono all’istituto si desumono, poi, chiaramente allorquando si stabilisce che l’eventuale accertamento sull’esistenza del reato e sul fatto che sia stato commesso proprio dall’imputato, facciano stato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso e che il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, anche se adottato con decreto di archiviazione, dovrà essere iscritto nel casellario giudiziale. Analoghe ragioni sottendono alla legge n. 67/2014, introducendo la messa alla prova tra gli esiti ordinari dei procedimenti penali per reati “minori”, con l’obiettivo di realizzare la riduzione del sovraffollamento carcerario e di deflazione del carico degli uffici giudiziari. Tale istituto, che ha così ben funzionato nel processo penale minorile, consente altresì di diminuire sensibilmente il rischio della recidiva ed aumenta la possibilità di un reale reinserimento sociale dell’imputato, mediante un suo attento monitoraggio, guidato attraverso un percorso personalizzato. Questo innovativo strumento, affinché non resti una vuota formula, necessita di superare inevitabili resistenze culturali ed abitudini provenienti da chi ha sempre visto nel carcere l’unica possibile risposta alla criminalità.
L’utilità dei protocolli È stata assai opportuna, pertanto, la stesura di protocolli tra Presidenza del Tribunale dei Fori più numerosi e Presidenza dell’Ordine degli Avvocati per affrontare insieme le questioni afferenti la formulazione non sempre univoca del testo normativo e
predisporre percorsi che consentissero di realizzare soluzioni organizzative uniformi, idonee a rendere concreta, accessibile ed operativa la riforma nella pratica quotidiana degli uffici, offrendo indicazioni pratiche anche per favorire il funzionamento delle strutture deputate all’esecuzione dell’istituto della messa alla prova. Tra le modalità operative attuate dal protocollo del Tribunale di Roma, alla cui stesura ho partecipato quale Consigliere delegato, si segnala l’istituzione di un Osservatorio Permanente ove verranno indirizzati dall’Avvocatura, dai Giudici e dall’UEPE, tutte le questioni ed i problemi collegati all’attuazione delle norme sull’istituto della messa alla prova, con una necessaria prima verifica, dopo il primo semestre dal varo del protocollo, della tenuta delle indicazioni prospettate e sulla necessità di modifiche ed integrazioni proprio per consentire una adeguata vigilanza dell’Avvocatura. A ben vedere anche i motivi ispiratori della riforma della legge sulla contumacia si fondano sulla razionalizzazione delle risorse perché al di là dell’evidente e condivisibile recupero di civiltà giuridica che consente all’imputato la sacrosanta, effettiva conoscenza dell’udienza, ci si interroga sull’utilità della celebrazione di un processo nei confronti di chi, essendo irreperibile, non verrebbe mai a scontare la pena. Meglio allora sospendere il rito, monitorarlo ed approntarlo quando l’imputato sarà presente, potrà difendersi ma anche eseguire la pena. All’alba di questo profondo cambiamento ci si interroga su quale sarà l’effettivo impatto delle modifiche citate sul carico di lavoro arretrato e sull’ordinaria gestione dei processi in quanto non tutto depone nel senso del risparmio di tempo ed energie. Basti pensare che a seguito della richiesta del Pubblico Ministero di archiviazione ai sensi dell’art. 131 bic c.p., l’indagato e la persona offesa che abbia chiesto di volerne essere informata può presentare opposizione nei dieci giorni ed ove la stessa non venga ritenuta inammissibile determina la fissazione, da parte del Gip, dell’udienza in camera di consiglio. È chiaro che questa articolazione faciliterà la fase dibattimentale, presumibilmente assai ridotta, ma non certo quella dell’indagine che risulterà anzi più gravata. I veri problemi però, a mio avviso, saranno rappre-
sentati da una inevitabile, eccessiva discrezionalità del giudicante e dalla necessità comunque di avere degli adeguati stanziamenti per sostenere le strutture di supporto, quali ad esempio gli uffici dell’URPE nella messa alla prova. Finché non si formerà una consolidata giurisprudenza è infatti prevedibile una diversa valutazione dell’irrilevanza del fatto da un giudice all’altro o magari tra Tribunali di diverse aree geografiche. Per questo motivo è importante attivare i protocolli che in qualche modo propongono argomentazioni sostanzialmente condivise che facilitano il ricorso all’istituto anche da parte dei difensori. Il tempo sicuramente consoliderà la giurisprudenza interna di ogni Tribunale, facilitando una certa omogeneità decisionale: ad esempio nel corso di questi anni il Tribunale per i Minorenni di Roma è arrivato a considerare tendenzialmente irrilevante e quindi tenue, il furto di un vecchio motorino semiabbandonato ma non certo quello di una autovettura. Preoccupa altresì l’effetto che la crisi economica ha prodotto sugli organici degli assistenti sociali che invece rivestiranno un ruolo sempre più importante e che probabilmente affronteranno questa decisiva sfida in numero non adeguato, rischiando così di vanificare, ad esempio, l’effettiva applicazione di un
istituto importante come quello della messa alla prova, ove la possibilità di seguire i percorsi di recupero ed i programmi di reinserimento sociale dell’imputato rappresentano l’essenza della novella. Per tutti questi motivi l’Avvocatura è comprensibilmente spaesata ed affronterà prevedibilmente con timidezza e qualche ritrosia il cambiamento, temendo forse anche un ridimensionamento del suo ruolo che invece, a ben vedere, diviene ancora più importante, potendo il difensore scegliere tra un numero ancora maggiore di soluzioni possibili, per una difesa che meglio si attagli alla personalità dell’assistito. Anzi all’avvocato penalista si chiederà una maggiore competenza ed una ulteriore specializzazione. Il futuro immediato sarà certamente problematico perché ci vorrà tempo prima che questi istituti entrino a pieno regime e superino, da un lato, le obiettive criticità cui abbiamo fatto cenno e dall’altro vincano le inevitabili resistenze culturali. Sarà però anche nostro compito quello di prodigarci affinché il futuro sia migliore di questo presente che ha ormai certificato l’incapacità del sistema giudiziario, nel suo complesso, di accertare e reprimere una parte dei crimini, soffocato com’è dalla carenza di mezzi e dalla dilagante prescrizione. La difficile vita dei fascicoli in cancelleria... ▲
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L’avvocato fuori dal processo: negoziatore e mediatore “del” diritto di Angelo Santi Le metodologie consensuali: dalla mediazione alla negoziazione assistita
Il diritto resterà un punto di riferimento imprescindibile per l’avvocato, ma talora solo l’attuazione consensuale dello stesso, attraverso un percorso negoziale o mediativo, può assicurare una reale soddisfazione degli interessi delle parti 20
Sono passati cinque anni da quando il nostro legislatore ha emanato il D.Lgs. n. 28/2010, anche in attuazione della Direttiva n.52/2008, introducendo un modello piuttosto complesso ed articolato di procedimento di mediazione ed imponendo una condizione di procedibilità su una serie rilevante di materie. Tale nuovo istituto non ha avuto vita facile, essendo stato inizialmente osteggiato da buona parte dell’avvocatura, finendo poi per essere travolto dalla sentenza della Consulta n. 272/2012, che ha rilevato la sussistenza di un eccesso di delega legislativa, proprio in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto. Con la nuova legislatura si è voluto ripristinare immediatamente un modello obbligatorio di mediazione, che tuttavia tenesse conto dell’esperienza applicativa risultante dalla prima applicazione del D.Lgs. 28/2010, di certo perfettibile, ma anche dell’esigenza di ricercare un modello compatibile con i principi della Costituzione e che, pertanto, non fosse di ostacolo all’accesso alla giustizia. Con il Decreto del Fare (D.L. n. 69/2013, convertito con modifiche dalla L. n. 98/2013) è stata quindi reintrodotta l’obbligatorietà della mediazione in una forma attenuata, prevedendosi la sola imposizione di un primo incontro di fronte al mediatore, valorizzando invece la volontarietà delle parti nella prosecuzione della mediazione. Il nuovo modello di mediazione, peraltro previsto in via sperimentale, sta lentamente trovando i giusti assestamenti, anche attraverso una giurisprudenza sempre più diffusa che esige la partecipazione personale delle parti e l’effettivo svolgimento della mediazione, non ritenendo che la condizione di procedibilità sia soddisfatta da un semplice incontro informativo (magari dei soli avvocati) con il mediatore, come la lettera della norma sembra richiedere. Tutto ciò sta facendo emergere una velata contrapposizione tra la giusta esigenza di favorire una mediazione effettiva tra le parti in lite e l’altrettanto giusta necessità di non imporre un
gravoso passaggio pre-processuale che possa essere di ostacolo all’accesso alla giurisdizione. Un limitato intervento correttivo alla normativa vigente sarebbe forse auspicabile, per chiarire bene i contorni del “primo” incontro di mediazione (obbligatorio), i cui contenuti non sono ancora ben definiti. E proprio nel momento in cui il Tar del Lazio, con la sentenza n. 1351/2015, ha finalmente riconosciuto la compatibilità del nuovo modello di mediazione con i principi della Costituzione, il nostro legislatore ha ben pensato di introdurre un ulteriore filtro obbligatorio rappresentato dalla procedura di negoziazione assistita, imponendola nella materia della responsabilità civile automobilistica ed in tutti i casi di domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro, comunque al di fuori delle materie soggette alla mediazione obbligatoria. La struttura e le caratteristiche di tale procedura sono bene diverse da quelle della mediazione ed è opportuno che si colgano tali differenze, per poter sfruttare al meglio le potenzialità di ciascuna metodologia. La negoziazione assistita, di nuova introduzione nel nostro ordinamento (sulla scia dell’esperienza francese), non è altro che la procedimentalizzazione – probabilmente eccessiva – di un tipico meccanismo negoziale intercorrente tra le parti, con l’assistenza di uno o più avvocati, per la risoluzione di una controversia. Nulla di particolarmente nuovo rispetto alla consueta attività transattiva, già piuttosto diffusa in ambito forense, magari spesso praticata senza una particolare consapevolezza sulle potenzialità di certe dinamiche e tecniche negoziali, sulle quali molti avvocati non sono adeguatamente formati. La novità più rilevante della riforma è certamente rappresentata dalla possibilità di generare un titolo esecutivo con la semplice sottoscrizione dell’accordo negoziato da parte degli avvocati, una vecchia rivendicazione dell’avvocatura finalmente soddisfatta dal legislatore, che peraltro responsabilizza ancora di più il ruolo del professionista forense. Non vi è dubbio che sia opportuno incentivare il ricorso alla metodologia negoziale, rendendola più garantita ed efficace – anche se mancano completamente i promessi incentivi economici – ma l’imposi-
zione della stessa come condizione di procedibilità non sembra essere un filtro così significativo. Il semplice invio alla controparte di una lettera di invito alla negoziazione assistita, già di per sé sufficiente a soddisfare la condizione di procedibilità, finisce per essere una mera formalità che difficilmente responsabilizza le parti. Ben diversa è la struttura e la funzionalità della mediazione, dove c’è comunque la fissazione di un incontro delle parti, c’è un organismo che “pungola” le parti stesse ad intervenire e, soprattutto, c’è un mediatore che rappresenta il vero punto di vista neutrale della controversia, contribuendo a ripristinare una corretta comunicazione tra i contendenti, responsabilizzandoli sulla ricerca di una soluzione concordata.
Dalla soluzione emergenziale all’opportunità professionale Resta una perplessità di fondo sull’approccio del legislatore con riguardo alle metodologie alternative. Il ricorso a tali metodologie viene ossessionatamente imposto in chiave deflattiva, quasi per scoraggiare l’accesso alla giurisdizione, ritenuta oramai una risorsa scarsa e costosa. Ed è qui che il nostro sistema sconta un vizio pressoché genetico, derivante da un’ottica emergenziale nel ricorso alle forme di giustizia alternativa. L’effetto deflattivo dovrebbe essere visto soltanto come una conseguenza di un’efficace induzione alle soluzioni consensuali, che parta da lontano (dalle università e, prima ancora, dalle scuole) e che si fondi su un’adeguata preparazione del professionista mediatore, ma soprattutto dell’avvocato che assiste le parti in una mediazione o in una procedura negoziale. Il passaggio dall’imposizione all’opportunità potrà costituire l’unica chiave di volta per favorire un crescente sviluppo delle soluzioni consensuali, da cogliere anche nell’ottica delle nuove prospettive professionali per l’avvocato.
La difesa del diritto e la “cultura” della mediazione Al di là di certe posizioni talvolta preconcette che si sono manifestate sulla mediazione, non c’è nulla
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che più della mediazione abbia fatto emergere un confronto, all’interno del mondo forense, sul ruolo dell’avvocato nella gestione del contenzioso e sull’adeguatezza di certe metodologie nella risoluzione delle controversie. Troppo spesso la mediazione è stata associata, erroneamente, all’idea della negazione del diritto, come se la risoluzione consensuale di una disputa, ad opera delle stesse parti coinvolte nella lite, debba comportare necessariamente una mercificazione dei diritti. In questa visione scontiamo evidentemente una formazione di tutti i professionisti della legge esclusivamente orientata all’aggiudicazione, come modalità pressoché ordinaria (quasi naturale) di risoluzione della controversia. Il diritto è e resterà un punto di riferimento imprescindibile nell’opera dell’avvocato, ma la scelta sulla migliore modalità di attuazione del diritto richiede una ponderata valutazione che deve essere più mirata alla soddisfazione dell’interesse sostanziale della parte che all’accertamento del diritto. L’attuazione del diritto attraverso l’aggiudicazione coattiva di un terzo è evidentemente una “convenzione” normativa, fondata sul rispetto di regole procedurali, ma nulla può assicurare l’idoneità della decisione alla concreta soddisfazione della pretesa di parte e nemmeno la “giustizia” della soluzione in senso assoluto. E’ una forma di giustizia di carattere convenzionale, che non sempre corrisponde alle esigenze delle parti, talvolta di nessuna delle parti, soprattutto laddove l’accertamento del diritto sconta una rilevante incertezza sulla ricostruzione dei fatti o sull’interpretazione delle norme o delle clausole contrattuali. A maggior ragione in queste casistiche, la decisione del terzo (eteronoma) rischia di corrispondere ad una interpretazione soggettiva, magari più che legittima, ma non costituisce una risposta adeguata al conflitto. Ed allora, in molti casi, soltanto la soluzione consensuale ed autonoma delle parti, attraverso un percorso negoziale o mediativo, può assicurare una reale soddisfazione degli interessi delle parti, le quali ultime sono le migliori interpreti delle proprie necessità. Ma per far questo è necessario che si sviluppi una positiva cultura della mediazione che consenta di cogliere al meglio le potenzialità della ricerca di una soluzione
consensuale, con una disponibilità costruttiva al confronto da parte dei contendenti e dei professionisti che le assistono, in una logica collaborativa, ancor prima che avversariale.
Il ruolo dell’avvocato nell’approccio al negoziato Il percorso evolutivo avviato in tal senso dalla classe forense è probabilmente irreversibile. La giurisdizione – magari più efficiente di quanto non lo sia ora – resterà una sponda fondamentale del sistema giustizia, soprattutto laddove la violazione del diritto è palese e necessita di una pronta risposta, sia essa cautelare, ingiuntiva o di merito. Tuttavia, i costi e i tempi del giudizio, oltre alla richiamata inadeguatezza del meccanismo giudiziale per talune controversie, impongono oggi un’attenta valutazione dell’assetto complessivo degli interessi in gioco, nella prospettiva di una comparazione tra i possibili esiti giudiziali e le soluzioni ottenibili in sede negoziale. Non tutto è mediabile, ma è comunque opportuno che la valutazione di mediabilità della controversia venga sempre effettuata con l’imprescindibile ausilio dell’avvocato. La riforma del Decreto del Fare ha previsto l’obbligatoria assistenza dell’avvocato in sede di mediazione, anche a seguito dell’auspicio formulato in tal senso dalle istituzioni forensi. Al di là di alcuni profili di dubbia legittimità nella previsione di questo obbligo (nelle controversie consumeristiche, la recente Direttiva n. 11/2013 esclude espressamente tale ipotesi), l’assistenza di un avvocato in mediazione rappresenta un sicuro presidio di tutela della parte. Ed invero, la consensualità che caratterizza il metodo conciliativo (ed anche quello negoziale in genere) può finire per penalizzare il soggetto più debole al tavolo negoziale, il quale, in assenza del necessario supporto di consulenza legale, non avrebbe una precisa contezza delle proprie ragioni e non sarebbe di conseguenza in grado di poter negoziare. Ed allora quale dovrebbe essere il giusto ruolo dell’avvocato in un contesto negoziale o mediativo? Al professionista forense compete pur sempre, innanzitutto, l’inquadramento giuridico della fattispecie e
l’individuazione del diritto che il proprio assistito può far valere, così come la valutazione delle concrete possibilità di soddisfazione in sede giudiziale. Ben diverso deve essere poi l’approccio dell’avvocato al tavolo negoziale, laddove il professionista deve comprendere quali siano gli interessi sostanziali e le necessità del cliente da anteporre alla soddisfazione piena – magari talvolta teorica – dello stesso diritto (per esempio: “il mio credito è pari a cento mila euro, ma mi servono subito venti mila euro per pagare gli stipendi e salvare l’azienda”). Non sempre il cliente è in grado di rendersi conto di queste necessità, magari perché accecato dall’emotività della lite o dall’anelito del sentirsi “dare ragione”, ed è qui che l’avvocato è chiamato ad aiutare il cliente in questa attività di comprensione dei propri bisogni, talora con quei “saggi consigli di transazione” invocati tanti anni fa dal Calamandrei. Il migliore punto di caduta di un negoziato (nell’ottica unilaterale di parte) è rappresentato da un equili-
brato contemperamento tra le necessità del proprio assistito e le possibilità di soddisfazione giudiziale del suo diritto, ben tenendo presenti i costi e i tempi, ma soprattutto l’eventuale alea di un accertamento ed anche – non ultime – le difficoltà della messa in esecuzione di un esito giudiziale. In quest’ottica, l’assistenza legale in mediazione deve garantire la piena consapevolezza della parte sulla consistenza della propria posizione giuridica e sui relativi limiti della sua attuazione, il tutto in ragione della corretta valutazione di eventuali ipotesi conciliative. L’obiettivo non è, pertanto, la difesa del diritto nell’ottica del suo accertamento, ma il conseguimento di un proficuo risultato per il cliente. La sussistenza del diritto, che non scompare in mediazione e resta soltanto sullo sfondo, è il bagaglio di partenza di ogni parte, ma l’attuazione del diritto medesimo può ben essere mediata attraverso l’individuazione di una soluzione condivisa – che è una forma legittima di giustizia consensuale – e l’avvocato, adeguatamente preparato, ne è il miglior negoziatore.
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Il futuro dell’avvocatura: l’internazionalizzazione come opportunità L’avvocato di fronte ad una doppia sfida: aggiornarsi, studiando convenzioni internazionali, decisioni UE, e proporsi come un concreto punto di riferimento verso legislazioni di altri stati. di Paola Fiorillo e Giovanni Bertino Per parlare di futuro è necessario partire dal recente passato ed in particolare dall’analisi evolutiva dell’avvocatura, che, da esponente privilegiata della cultura liberale della prima parte del secolo, è stata poi fortemente ridimensionata durante il regime fascista in Italia, ove non c’era spazio né per i diritti individuali né per le libere professioni. Con la nascita dello Stato Repubblicano, in una prima fase, i diritti sono stati assicurati dallo Stato, dalla pubblica amministrazione, dai partiti, dai sindacati e dai patronati. La cultura prevalente è stata statalista e c’è stato poco spazio per chi
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veniva chiamato a difendere individualmente diritti dei singoli. Successivamente, a partire dalla metà degli anni Settanta, gli avvocati hanno progressivamente ripreso a conquistare un ruolo sociale, portando con sé competenza tecnica, capacità di rapporto con i cittadini e solide relazioni sociali, andando poi, pian piano, ad indebolirsi nuovamente, poiché mancava una riflessione riformatrice che li riguardasse. L’intensificazione degli scambi commerciali all’interno dell’Unione Europea, dovuta al progressivo completamento ed al successivo ampliamento del Mercato Unico, ha determinato nel nostro Paese un’avvocatura a due velocità, con conseguente e sensibile differenziazione della condizione economica e della rilevanza sociale degli appartenenti alle due categorie. Da un lato ci sono gli avvocati non specializzati, che esercitano la professione in settori professionali a basso valore aggiunto, dal contenuto seriale e standardizzato, in cui la concorrenza sul prezzo fra professionisti è elevata. Dall’altro vi sono avvocati che operano sia giudizialmente che stragiudizialmente in settori di nicchia, in cui la concorrenza è scarsa, con conseguente aumento della redditività dell’attività professionale. Tale seconda categoria di professionisti molto spesso accresce la propria considerazione nel mercato della professione forense anche grazie alla propria capacità di assistere la clientela non solo in Italia, ma anche nelle attività di consulenza implicate nei processi di internazionalizzazione in corso in questi anni. È, infatti, sempre più frequente ed inevitabile il trasferimento delle attività industriali e, in molti casi, anche del settore terziario al di fuori dell’Italia per usufruire di migliori infrastrutture, minori tasse e un minor costo del lavoro, così come è sempre più frequente che molti hanno legami con persone che non solo hanno cittadinanza straniera ma sono di cultura o religione diversa (matrimoni misti, adozioni ed affidi internazionali ecc): la realtà economica e sociale odierna pone problematiche innovative e complesse. Il processo che ha portato ad una sempre maggiore armonizzazione delle diverse legislazioni, non solo a livello europeo, ha
posto l’avvocato di fronte ad una doppia sfida: quella di aggiornarsi, studiando convenzioni internazionali, decisioni quadro UE, accordi bilaterali ecc. e quella di proporsi come un concreto punto di riferimento per quanti entrino in contatto con le legislazioni di altri stati. Per evitare di perdere posizioni di mercato e anzi per tentare di acquisirne di nuove, l’avvocatura italiana deve quindi inevitabilmente mettersi al passo con i tempi ed essere in grado di assistere la propria clientela nel mutato contesto economico, sia a livello europeo che internazionale e concorrere con i colleghi dei vari paesi membri dell’Unione nell’offerta di servizi legali. Si badi bene, tale processo di innovazione se è indispensabile nei settori professionali ad alta specializzazione lo è anche nei servizi professionali standardizzati. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito all’installazione sul territorio nazionale di diversi studi legali internazionali, che, valendosi di una migliore organizzazione rispetto alla nostra miriade di piccoli studi professionali, spesso mononucleari, e, quindi, di vantaggiose economie di scala, possono offrire consulenza e assistenza giudiziale routinaria a basso costo. Inoltre, anche nelle materie routinarie e ripetitive, quali il recupero crediti e per certi versi la materia fallimentare, anche alla luce della sempre più frequente delocalizzazione delle nostre imprese, assistiamo con maggiore frequenza a profili di interazione fra sistemi giuridici differenti. La professione forense amplia, così, il proprio orizzonte oltre i tradizionali confini regionali e nazionali. L’internazionalizzazione degli avvocati non è più legata solo a quella delle imprese e non riguarda più solo l’avvocato d’affari ed i tradizionali settori dell’arbitrato internazionale e del diritto commerciale e societario ma coinvolge sempre più, oltre che il settore civile in generale, anche quello penale. Tanto premesso, a fronte del contesto economico in evoluzione, qual è la funzione e il ruolo che deve giocare un sindacato moderno e interessato al futuro dei propri iscritti come è l’Associazione Nazionale Forense? La risposta va articolata su più livelli.
Formazione universitaria, accesso e modelli professionali da rivedere In primo luogo siamo chiamati a riflettere sulla nostra formazione universitaria. L’avvocato, infatti, deve essere preparato ad operare anche al di fuori del contesto nazionale e a relazionarsi con il resto del mondo sin dall’inizio del corso di studi in giurisprudenza. Di conseguenza il programma di studi dovrebbe essere modificato eliminando le materie di fatto inutili e implementando non solo l’uso della lingua inglese, ma anche lo studio del diritto dell’Unione Europea e il diritto internazionale, avendo cura di istituire protocolli d’intesa con le università straniere. Si dovrebbe, inoltre, avere maggiore considerazione per le tecniche di negoziazione e mediazione, strumento indispensabile per muoversi con più efficacia e consapevolezza a livello internazionale. È necessaria la formazione di un modello professionale ad hoc e la costituzione di una rete di operatori del diritto specializzati, anche attraverso la conoscenza dei diversi sistemi di diritto, politici, sociali e culturali. Si dovrebbe, quindi, promuovere la formazione di una figura professionale specializzata, volta ad assi-
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stere le imprese nel processo d’internazionalizzazione e la formazione di un giurista specializzato nella risoluzione delle controversie tra i soggetti economici che operano in realtà diverse. In secondo luogo è opportuno riflettere sull’accesso alla professione e sulla pratica forense. In particolare bisognerebbe attribuire maggior valore allo svolgimento della pratica professionale all’estero estendo il periodo riconosciuto dai sei mesi, previsti dall’art. 41 della l. 247/2012, ad almeno 12 mesi. Si dovrebbe, inoltre, consentire lo svolgimento della pratica anche al di fuori dell’Unione Europea. Attualmente, ad esempio, la pratica forense svolta negli Stati Uniti non ha alcun valore in Italia. Sarebbe, infine, opportuno prevedere all’interno dei corsi di formazione per l’accesso alla professione di avvocato, di cui all’art. 43, l. 247/2012, alcuni moduli relativi all’insegnamento dell’inglese giuridico. In terzo luogo il sindacato del futuro deve riflettere sul tema della formazione continua professionale, che deve essere vista non come un proforma, ma come uno strumento di reale aumento delle competenze e delle possibilità di crescita professionale dell’avvocato. In tale ottica la formazione continua gestita dalle associazioni forensi dovrebbe fornire all’avvocato gli strumenti indispensabili per poter operare sul mercato internazionale. Di conseguenza nei programmi formativi bisognerebbe implementare non solo lo studio della lingua inglese e, in particolare dell’inglese giuridico, ma anche del diritto dell’Unione Europea e delle tecniche di negoziazione. In quarto luogo sarebbe opportuna una riflessione sulla governance dell’avvocatura e, in particolare sul ruolo degli ordini forensi nel processo di internazionalizzazione.
Bisognerebbe ad esempio pensare ad implementare le funzioni degli ordini da mero organo di controllo amministrativo a strumento di riferimento per facilitare e garantire la qualità e la serietà delle relazioni professionali fra colleghi di stati diversi. Da ultimo, l’analisi del fenomeno dell’internazionalizzazione non può prescindere da una riflessione sull’organizzazione degli studi legali. A tal proposito bisognerebbe effettuare un’analisi comparata a livello europeo sull’esercizio in forma societaria della professione forense, alla luce dello schema di d.d.l. concorrenza all’esame del Parlamento e della mozione congressuale approvata al Congresso di Venezia, che caldeggiava la possibilità di costituire società di capitali multidisciplinari alle quali possono partecipare anche avvocati. Non si può prescindere, infine, dal trattare il tema dei fondi strutturali europei quale possibilità di finanziamento e sviluppo, anche sotto il profilo dell’internazionalizzazione, degli studi legali. In questo scenario modificato è necessario, quindi, cogliere le occasioni di rinnovamento della professione, che, in primo luogo, derivano dall’accresciuta importanza che i servizi professionali rivestono nelle moderne società avanzate. L’internazionalizzazione dei mercati e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione hanno conferito infatti un rilievo crescente ai servizi professionali in genere, ed a quelli legali in particolare, determinando un’espansione notevole e costante della domanda. Dinanzi a questa realtà, il perseguimento dell’obiettivo dell’uniforme regolamentazione a livello europeo della professione forense si scontra con la recente legge professionale, la 247/12, che, inevitabilmente, ove il legislatore ordinario non intervenisse, verrà travolta dalle liberalizzazioni e dalla concorrenza, che tendono alla creazione di un’attività professionale moderna, basata sulla qualità del servizio reso, sulla trasparenza e sul rigoroso rispetto della deontologia professionale, su un’apertura al mercato garantita dall’adeguatezza delle forme organizzative e delle modalità di esercizio della professione. Un diverso atteggiamento, che comportasse una chiusura del sistema da questo punto di vista, comporterebbe disparità di trattamento e distorsioni della concorrenza fra gli avvocati degli Stati membri.
La formazione dei formatori tra metodo casistico e common law strisciante La formazione attuale ha dato vita ad una generazione di “praticoni” che puntano non all’approfondimento giuridico ma alla ricerca del precedente da citare acriticamente. di Antonino Ciavola La formazione dei formatori Si afferma solitamente che la formazione del giurista di common law è pratica perché basata sullo studio dei casi, mentre quello di civil law si forma sui principi e sugli istituti. Correlato a questo è il criterio di selezione dei giudici di common law fra i migliori barrister (criterio della qualità e dell’esperienza), mentre la selezione dei giudici di civil law è burocratica, mediante concorso (criterio della qualità teorica, senza prove di attitudine). Oggi la formazione dei nostri giovani avvocati si basa prima sul classico percorso universitario, poi su una pratica forense e infine su un esame di Stato concentrato nella ricerca del precedente che consente di risolvere il caso prospettato. Presto arriverà il corso di formazione obbligatorio (che in alcuni Fori è già realtà). Ma chi forma i formatori? Di fatto, frasi ricorrenti tra gli avvocati sono “vediamo se è uscita una nuova sentenza che modifica il quadro normativo” oppure “per risolvere il caso prospettato, vediamo se c’è qualche sentenza su internet”. La sentenza ha quindi la forza di modificare le norme? E i casi si risolvono solo mediante le sentenze? Questo è tipico dei tradizionali sistemi di common law! Abbiamo formato, insomma, grazie alla concreta gestione dell’esame di Stato, una generazione di “praticoni” che puntano non all’approfondimento giuridico, ma alla ricerca del precedente da citare
acriticamente. Per risolvere il problema, che è di impoverimento culturale, occorre superare luoghi comuni e valicare steccati ormai privi di senso. La formazione dei formatori serve a insegnare loro il metodo casistico che, come direbbe Alarico Mariani Marini, non è limitato alla ricerca del precedente ma, partendo dal caso concreto, recupera lo studio e l’approfondimento degli istituti rileggendoli alla luce della più recente interpretazione giurisprudenziale,
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senza mai dimenticare la dottrina. Un compito difficile che pretende la ricerca di giuristi - formatori in modo indipendente dalla loro attività, superando il luogo comune che vede il professore universitario come un semplice teorico e l’avvocato come un semplice pratico. Occorre quindi trovare e formare chi abbia attitudine a fondere entrambe le attività, assicurando che sia in grado di trasferire agli altri le conoscenze che ha (anche questa è una dote non comune). I corsi per formatori organizzati dalla Scuola superiore dell’avvocatura puntano a coniugare tecniche di apprendimento e tecniche di trasferimento, studio del linguaggio giuridico e capacità di attivare il discente in uno scambio culturale con il docente, che superi la classica lezione frontale sul modello “io so e parlo, tu limitati ad ascoltarmi”. Un passaggio di questo percorso è prendere atto che non ha più senso discutere di civil law in base al valore solo persuasivo della sentenza, come vedremo.
La formazione dei formatori
Common law e civil law, ma non da soli
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I sistemi giuridici mondiali sono tradizionalmente classificati in due famiglie principali: civil law e common law. Esiste però un terzo, definito di islamic law, che riguarda circa il 20% della popolazione mondiale e che riguarda anche alcuni Paesi di cultura islamica, come il Pakistan e lo Yemen, che dopo aver adottato - in particolare nel campo penale - una codificazione di tipo occidentale, hanno reintrodotto il diritto islamico nei rispettivi ordinamenti1. Nel sistema di civil law il giudice basa la sua decisione esclusivamente sulle norme di diritto (per l’Italia, ex art. 101 Cost.); egli interpreta la norma da applicare alla fattispecie ed è libero di non adeguarsi alla giurisprudenza prevalente, potendo discostarsene (motivando). Gli ordinamenti di common law si basano invece non su norme raccolte in codici bensì sul vincolo del precedente giudiziario. In tali sistemi le leggi scritte sono in numero ridotto ed hanno carattere di specialità rispetto al diritto di origine giurisprudenziale. Il giudice di common law risolve la questione rifacendosi ad una decisione anteriore nella quale trova la soluzione, decidendo - con ragionamento di tipo
intuitivo nel quale trova largo spazio l’equità - se attribuirle il valore di precedente vincolante, cosa che avviene quando i fatti essenziali delle due controversie sono uguali. In realtà i due sistemi principali si stanno avvicinando poiché anche negli ordinamenti di civil law i precedenti, e soprattutto le pronunce delle giurisdizioni superiori, hanno una maggior forza di persuasione rispetto a quella originaria. Analoghi avvicinamenti si verificano in sistemi anche lontani: in Cina è ormai realtà il modello codicistico che si è ispirato a quelli occidentali (tedesco e italiano su tutti) modificando in parte il modello tradizionale, contrario a leggi e tribunali perché è l’intera società che deve regolare in maniera armoniosa i rapporti, inclusi quelli commerciali. Il terzo polo è quello di islamic law. Qui la sfera giuridica e quella morale si sovrappongono, poiché accanto alle norme scritte dai Legislatori moderni vi sono quelle di natura etica e consuetudinaria che hanno un valore superiore. In particolare una espressione ripresa dall’Autore citato in nota, ci avvicina a questo sistema proprio in quanto avvocati. Si legge infatti che l’educazione, basata su un saldo credo religioso, dà garanzia di stabilità nella società. Nei sistemi di islamic law è infatti diffusa la convinzione che una sana società possa essere costruita solo su valori forti e condivisi, fattori che prima ancora del diritto assicurano la sua coesione. Una corretta educazione degli individui, da effettuare tramite le moschee e le università, consente a questi di interiorizzare questi valori e di comprendere a cosa devono essere orientate le loro azioni. Rileggiamo: educazione, valori forti e condivisi, coesione del gruppo sono le basi della nostra deontologia, cioè del gruppo di norme non generali, ma interne alla categoria professionale. Su questi principi, almeno a parole, tutti gli avvocati concordano; forse non siamo così lontani. Nel mondo islamico, infatti, la norma religiosa ha anche contenuto giuridico e regola la condotta dell’individuo in ogni aspetto della sua vita, esattamente come la deontologia regola i comportamenti degli avvocati anche nella vita privata. Il diritto islamico, comunque, ha qualche analogia con i sistemi di common law, anche se la produzione
non è giurisprudenziale ma dottrinaria, e a queste norme si aggiungono e sovrappongono quelle legislative. Possiamo dunque constatare un avvicinamento tra i tre sistemi giuridici, laddove nei Paesi anglosassoni si fa oggi maggior ricorso alle leggi, nei Paesi continentali le pronunce giurisprudenziali assumono maggior rilievo e nei Paesi di diritto islamico sono recepiti istituti e modelli normativi sia di civil che di common law.
Common law strisciante in Italia Su questo punto occorre distinguere tre aspetti: l’impatto della giurisprudenza che trasforma le proprie decisioni in legge, gli interventi legislativi consapevoli e quelli, sempre legislativi, inconsapevoli. Secondo l’opinione comune e la struttura tradizionale appena accennata il nostro sarebbe un sistema di civil law, nel quale il giudice sarebbe soggetto solo alla legge. Questo orientamento è già superato da una speciale giurisprudenza: quella delle Corti Europee che, esattamente come una legge di rango superiore, prevale sulle norma interne. Per un approfondimento sul punto basta rinviare alla datata, ma sempre attuale, Corte Cost. 5 giugno 1984 n. 170 e ai riferimenti ivi contenuti. Potrebbe replicarsi che questo riferimento sia troppo specifico, e che non riguardi la giurisprudenza interna. Invece, il caso dell’overruling lo conferma. Si tratta di un tipico istituto di common law (sì, un istituto, perché in quegli ordinamenti la giurisprudenza produce il diritto) in forza del quale il precedente vincolante può essere revocato da un giudice superiore o da una Corte Suprema. La revoca produce l’esclusione retroattiva del precedente dalla common law e la sua sostituzione con il nuovo precedente. Anche in Italia, secondo la Suprema Corte, lo strumento processuale mediante cui realizzare la tutela deve essere modulato rispetto alla particolarità della situazione processuale interessata dal mutamento repentino di interpretazione giurisprudenziale. Da ciò deriva che, in virtù della giurisprudenza evolutiva e correttiva, la parte che ha fatto incolpevole affidamento su una solida giurisprudenza non resta vittima
della prescrizione, poiché il relativo termine decorre dalla data della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 15 settembre 2011 n. 18853), che ha modificato l’orientamento sull’argomento. Anche le Sezioni Unite, con la sentenza 11 luglio 2011, n. 15144, affermano che tale overruling, connotato dall’imprevedibilità per il carattere consolidato del pregresso indirizzo, e dal conseguente effetto preclusivo, di fatto, del diritto di azione o di difesa di chi sulla stabilità del precedente abbia ragionevolmente fatto affidamento, fa decorrere il termine di prescrizione non dal fatto, ma dalla sentenza che riconosce il principio di diritto. Inoltre, anche da noi è possibile basare la decisione sui precedenti conformi, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ. Va precisato che nel common law si tende ad assicurare la stabilità della decisione anche evitando il ripetersi di comportamenti deleteri, in particolare nel settore dei risarcimenti, ricorrendo alla misura deterrente dei danni punitivi. Il danneggiato è quindi risarcito non soltanto in base alla perdita sofferta, ma anche con una somma ulteriore che aumenta il suo risarcimento e penalizza, cioè punisce, il responsabile. Quest’ultimo, e tutti coloro che trattano le stesse fattispecie, saranno dunque indotti a non ripetere questi comportamenti sapendo che il precedente sarebbe inesorabilmente utilizzato in loro danno, e il risultato è una società più attenta e probabilmente più giusta. Negli ordinamenti di civil law tutto questo non si verifica e pertanto un comportamento deleterio può essere replicato all’infinito, poiché condurrà al risarcimento del solo danno effettivo al singolo che si rivolgerà al giudice, lasciando la collettività priva di tutela. Il Picardi2 ci ricorda che, al tempo degli antichi romani, il facoltoso Lucio Verazio si divertiva a schiaffeggiare i passanti per strada accompagnato dal proprio servo con una borsa piena di monete. Subito dopo l’atto di violenza il servo pagava alla vittima la somma di 25 assi che era fissata dalla legge come pena pecuniaria per le percosse. Il divertimento dell’uomo facoltoso, secondo una possibile conversione della moneta al valore attuale, gli costava circa 600 euro.
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La formazione dei formatori 30
Pertanto non basta risarcire, ma è più utile accompagnare il risarcimento con misure finalizzate a evitare che il comportamento vietato dalla legge sia reiterato. Queste misure sono state introdotte nel nostro ordinamento, e sono l’art. 614 bis, l’art. 709 ter, il riformato art. 96, tutti del c.p.c., nonché quelle inibitorie in materia di marchi e brevetti. Sembra però che al nostro legislatore sia un po’ scappata la mano, e che alcuni aspetti caratteristici del common law siano stati introdotti inconsapevolmente. - art. 348 bis cod. proc. civ.: il giudice dell’appello valuta se l’impugnazione abbia una ragionevole probabilità di essere accolta ed in caso contrario la dichiara inammissibile. La decisione è presa quando l’appello è stato già proposto e iscritto a ruolo, e l’appellato si è costituito; non si tratta quindi di un filtro finalizzato alla proponibilità dell’impugnazione, bensì di un sistema per liberarsi celermente delle impugnazioni palesemente infondate. Il nostro legislatore, forse inconsapevolmente, non parla di rigetto dell’appello con formula semplificata, ma lo definisce inammissibile. In altre parole l’appello di improbabile accoglimento (ad es. perché la tesi sostenuta contrasta con la giurisprudenza consolidata) è dichiarato inammissibile dopo essere stato proposto ai sensi di legge e con i conseguenti costi. Il successivo art. 348 ter prevede infatti che l’ordinanza sia succintamente motivata anche mediante il riferimento a precedenti conformi, secondo un chiaro meccanismo di common law. - L’art. 374, comma 3, cod. proc. civ. prevede che la sezione semplice della Cassazione non possa discostarsi dal principio di diritto enunciato dalle sezioni unite ma che debba, qualora non lo condivida, rimettere nuovamente la decisione alle stesse sezioni unite. Anche in questo caso il precedente non appare semplicemente persuasivo ma ha una forza di penetrazione più ampia. L’art. 375 cod. proc. civ. evidenzia i profili di incostituzionalità del filtro in appello laddove prevede che la Cassazione si pronunci con ordinanza in camera di consiglio, tra gli altri casi, anche quando intenda
accogliere o rigettare il ricorso per manifesta fondatezza o infondatezza. Questa norma realizza la parità tra le parti processuali perché ammette una definizione più celere non solo al fine di rigettare, ma anche al fine di accogliere. Al contrario il filtro in appello ha l’unico scopo deflattivo di rigettare gli appelli probabilmente infondati ma non vi è alcuna misura analoga per quelli probabilmente o manifestamente fondati. Nella foga di affrettare le decisioni il nostro legislatore introduce uno strisciante common law.
Lo Stare decisis interno al giudizio Con una certa originalità il nostro legislatore cerca di stabilizzare le decisioni non con riferimento alla giurisprudenza dominante, ma tentando di rendere definitiva la statuizione di primo grado. Stare decisis et quieta non movere è il motto latino dal quale deriva la vincolatività del precedente nei sistemi di common law. Abbiamo già detto del filtro in appello; ricordiamo anche che, nella versione originaria, anche le sentenze del Giudice di Pace pronunciate secondo equità erano inappellabili. In quel caso il legislatore si avvicinava inconsapevolmente al modello britannico, immaginando una decisione snella, veloce e di tipo intuitivo; intenzione poi frustrata dalle pronunce della Cassazione e della Corte Costituzionale, con conseguente marcia indietro e appellabilità delle sentenze. Un altro filtro, mascherato da norma fiscale, è costituito dal contributo unificato. Rivediamo, infatti, come nacquero le spese di giustizia. Fino allo scorso millennio, per iscrivere a ruolo una causa si pagava una somma per diritti di cancelleria e dell’ufficiale giudiziario: Lire 21.000, uguale per tutti i gradi. Si pagava poi una somma per imposta di bollo: Lire 90.000 per il giudice di pace, 105.000 per il tribunale, 90.000 per la corte d’appello, 60.000 per la Cassazione. Complessivamente un processo civile in Cassazione costava quanto gli attuali 50 euro. Come si osserva, il costo del processo diminuiva in appello e diminuiva ancora in Cassazione, perché
l’imposta di bollo era sostitutiva dei fogli di carta bollata sui quali, in tempi remoti, si scriveva il verbale, la cui lunghezza si riduce nei gradi successivi. Le parti quindi pagavano (oltre agli onorari di difesa) soltanto i costi di scritturazione e notifica: tutto il resto, cioè il costo dell’apparato giudiziario, era a carico dello Stato. Fu proprio un avvocato, il compianto Ennio Parrelli, a ideare un pagamento unico sostitutivo dei tanti micropagamenti previsti in precedenza. Oggi il contributo unificato è diventato un sistema per impedire surrettiziamente il diritto di accesso del cittadino alla giustizia e precludergli la possibilità di impugnare. Infatti il costo del processo per lo Stato diminuisce nei gradi successivi, ma il contributo aumenta della metà per l’appello e del doppio per i ricorsi in Cassazione diventando così una punizione per chi contesta una sentenza. Gli aumenti per le impugnazioni servono a scoraggiarle, creando così una sorta di stare decisis interno al giudizio, ovviamente all’italiana. Siamo o no la culla del diritto?
NOTE 1 per un approfondimento v. D. DESIDERIO, Sistemi di common, civil ed islamic law a confronto, in dirittosuweb.com 2
N. PICARDI, Manuale del processo civile, ed. Giuffrè, pag. 594.
Mappa dei diversi sistemi giuridici del mondo
Diritto continentale Common law
Sistema misto Diritto consuetudinario
Fiqh
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Internazionalizzazione e mobilità: una possibile risposta alla crisi del mercato “Nel mezzo della difficoltà si cela l'opportunità" Albert Einstein
di Susanna Pisano Crisi economica e crisi delle professioni Sul web ho imparato che l’ideogramma cinese che costituisce la parola “crisi”, “wei-ji”, è composto da due segni: il primo indica un problema o un pericolo mentre il secondo un’opportunità. Quindi per la cultura cinese con il termine “crisi” si rappresenta la possibilità di migliorarsi nei momenti negativi della vita e del lavoro, mentre per gli occidentali “crisi” è una parola carica solo di significati negativi, fin dalla sua etimologia greca, “separare”. Ebbene, credo che dovremmo imparare qualcosa anche dai cinesi. Infatti la crisi economica globale per la prima volta nella storia ha colpito anche aree e soggetti mai toccati prima come l’universo delle libere professioni e dei professionisti, protetto da regimi normativi a volte corporativi e perciò non abituato a procacciarsi la clientela attraverso le dinamiche tipiche dell’economia di mercato, con la concorrenza sui prezzi delle prestazioni, la pubblicità, l’offerta di servizi innovativi etc. La forza delle professioni intellettuali, invero, è sempre stata riposta nell’alta qualificazione e capacità riconosciute nel proprio campo di attività, entro il cui perimetro l’asimmetria informativa era la regola: ciò che un tempo significava di per sé valore aggiunto e che, pian piano, è diventato un requisito scontato, un presupposto necessario ma non sufficiente per reggere l’onda d’urto del cambiamento.
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È ben vero che già agli inizi del secolo, e quindi prima della crisi economica del 2008, diversi interventi normativi sia di matrice europea (si pensi al rapporto Monti sulla concorrenza del 2004) che nazionali, le c.d. lenzuolate Bersani del 2006, avevano proposto alle professioni la necessità di adeguarsi al nuovo mercato dei servizi profondamente in mutazione e condizionato dalla globalizzazione. Ma l’avversione nei confronti di tali iniziative innovative fu decisamente compatta quantomeno da parte del comparto delle regolamentate. Invece la Grande Crisi non ha risparmiato nessuno, un po’ come riflesso, inevitabile, delle difficoltà economiche in cui versa l’intero Paese: se le famiglie si ritrovano un potere di acquisto pari a quello di venti anni fa e le imprese arrivano a tagliare i servizi pur di contenere i costi, è del tutto normale e prevedibile che pure i professionisti ne risentano.
Inoltre ogni singola categoria ha sviluppato criticità specifiche: gli avvocati italiani sono il quadruplo rispetto ai francesi, i dentisti sono aggrediti dalla concorrenza dei centri di odontoiatria dell’Est europeo, i farmacisti e i medici sono vittima della inevitabile riduzione di spesa del Servizio sanitario nazionale. Insomma intraprendere una professione intellettuale al giorno d’oggi è diventata una impresa dura per tutti ma soprattutto per i giovani. E tra gli iscritti agli ordini professionali calano progressivamente e costantemente le forze fresche, come pure tra le immatricolazioni nelle facoltà o corsi di laurea che prevedono uno sbocco libero professionale. In altre parole il comparto sta avviandosi, inesorabilmente se non si interviene con tempismo, ad un invecchiamento crescente e con poca capacità di innovare e conquistare nuovi mercati.
L’internazionalizzazione e la mobilità dei professionisti È dunque necessario mettere in campo con urgenza alcuni rimedi che incrementino la competitività quali la specializzazione, la crescita dimensionale, la sinergia tra competenze e professionalità, il fare rete. Coloro che, prima d’ora con lungimiranza hanno investito e si sono mossi in questa direzione, senza attendere aiuti di alcun genere, oggi sono in grado di resistere e di superare al meglio la crisi . Il respiro internazionale poi è oggi indispensabile non solo per l’assistenza alle imprese, ma anche per i privati. Si pensi ad una delle materie del diritto più tipiche e nazionali per i nostri studi: il diritto di famiglia e delle successioni si è profondamente connaturato di internazionalità sia sul fronte delle controversie, sempre più transfrontaliere, che su quello della normativa ormai segnata da numerosi Regolamenti UE ad efficacia diretta. Lo stesso processo migratorio , l’integrazione multiculturale ed il moltiplicarsi di famiglie miste da vita ad un nuovo mercato professionale che richiede competenze e professionalità diverse che approccino i problemi con una visione multifattoriale e internazionale. La sociologia del lavoro insegna che tra i fattori che sono ritenuti strategici per l’incremento dell’efficienza e della competitività del sistema produttivo, con particolare riferimento alle professioni creative nel cui
ambito si ricomprendono quelle intellettuali/liberali, troviamo “l’elasticità”, ovvero la capacità di recepire il nuovo e propensione all’apprendimento e all’aggiornamento professionale, la “creatività”, cioè la capacità di generare il nuovo, la propensione all’ideazione, alla progettualità e all’innovazione, e la “resilienza” ovvero il saper far fronte in modo positivo e propositivo agli eventi traumatici e agli stress che derivano dalla crisi, riorganizzandosi e ricostruendosi restando sensibili alle opportunità offerte e alle richieste avanzate dal mercato. L’internazionalizzazione richiede la presenza di questi fattori perché costituisce un’opportunità di rilancio economico e anche di ricerca: è un processo ad alto contenuto di conoscenza che sviluppa investimenti nell’istruzione e nella formazione. Per i professionisti riveste un duplice significato: da una parte muta l’habitus professionale richiedendo l’introduzione di competenze e saperi prima non necessari o tipici, compresa l’interdisciplinarietà, e dall’altro apre i confini ad un mercato nazionale asfittico, non competitivo e ormai economicamente irrilevante. Facilitare la mobilità ed aprire nuove prospettive di lavoro in un periodo di estrema difficoltà è una necessità anche per i professionisti italiani. Infatti, quando il mercato interno stagna, la parola d’ordine diventa internazionalizzazione. Allargare le prospettive di uno studio professionale o lavorare per un periodo all’estero, non è, però, sempre facile. Con la Strategia di Lisbona per una società competitiva fondata sulla conoscenza, in Europa la mobilità dei professionisti è diventata una priorità. Infatti la Commissione europea ha posto l’obiettivo della creazione di 16 milioni di nuovi posti di lavoro per personale altamente qualificato entro il 2020. Al momento, la mobilità dei professionisti tra i Paesi Ue è bassa, per cui sono state poste sotto osservazione e valutazione le diverse normative nazionali dei paesi Ue che disciplinano l’accesso alle professioni per semplificare e rimuovere tutte le ingiustificate barriere che possono ostacolare la mobilità di professionisti qualificati in uno Stato membro diverso da quello di provenienza, cui seguirà, con un «esercizio di trasparenza» richiesto agli stati membri, una mappatura delle professioni regolamentate e una valutazione delle barriere di accesso. I soli servizi professionali
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Internazionalizzazione e mobilità 34
rappresentano infatti circa il 9% del Pil della Ue e una normativa più semplice e trasparente ne favorisce la mobilità, con una ricaduta positiva sull’occupazione e sulla crescita economica. In una seconda fase gli Stati membri procederanno ad una valutazione reciproca delle rispettive barriere che limitano l’accesso ad alcune professioni. Nel processo dovranno essere coinvolte le parti interessate, ovviamente quelle che rappresentano i professionisti. Non si tratta di deregolamentare le professioni ma piuttosto di garantire un migliore accesso ai servizi professionali rivedendo quali siano le strutture d’ingresso che promuovono meglio un sistema semplificato, adeguato, sicuro e trasparente. Con la Directive 2013/55/EU che ha modificato e innovato la c.d. Direttiva sulle qualifiche professionali, direttiva 2005/36/Ce, l’Europa ha compiuti notevoli passi avanti per la mobilità dei professionisti introducendo tra gli altri lo strumento della “tessera professionale europea”, uno strumento elettronico per esercitare più facilmente la professione in qualsiasi stato membro dell’Ue. Le tessere saranno fornite dagli Stati d’origine, principalmente per brevi periodi di lavoro all’estero, e dallo Stato membro ospitante, nel caso di stabilimento. L’attenzione delle istituzioni europee per il mondo delle professioni e l’importanza di queste per il futuro dell’Europa, ha poi condotto al loro inserimento e riconoscimento all’interno del Piano d’azione per l’imprenditorialità 2020 della Commissione europea adottato nel 2013. In effetti agli studi professionali vengono richieste sempre nuove competenze e profili innovativi, ma sopratutto un recupero di efficienza nella struttura e nell’organizzazione del lavoro, con la possibilità di creare società di capitali e multidisciplinari, network e contratti di rete in funzione delle nove esigenze del cliente. Come continuare ad ostinarsi nel non riconoscere che la sfida del mercato si può affrontare e vincere solo se i professionisti imparano a gestire in modo imprenditoriale la propria attività?
Linee guida per le libere professioni Il gruppo di lavoro sulle professioni costituito presso la DG Industria della Commissione europea, al quale
partecipa la Confprofessioni in rappresentanza dei liberi professionisti italiani, ha lavorato intensamente per oltre un anno licenziando ad aprile del 2014 le Linee guida per le libere professioni. Cinque gli assi prioritari di intervento: formazione all’imprenditorialità, internazionalizzazione, accesso ai mercati, accesso al credito, Forum europeo delle libere professioni. A livello europeo si è quindi definitivamente chiarito che tutte le risorse destinate dall’Europa alle PMI, per favorirne crescita, sviluppo, ricerca, innovazione e occupazione, devono poter essere fruite senza discriminazione alcuna anche dai professionisti. E ciò non per una sterile equiparazione dei professionisti alle imprese - concetto inviso a sostanziose parti del professionismo italiano, ancora oggi alle prese, non solo e non tanto con norme deontologiche che non riconoscono il valore “europeo” delle professioni, ma soprattutto per la improduttiva polemica sulla natura del reddito prodotto dal professionista – ma perché se il professionista non è e non può essere un imprenditore per la specificità della sua prestazione intellettuale (e mai a livello europeo ciò è stato messo in discussione), la organizzazione del suo lavoro, e quindi lo studio professionale più o meno strutturato, riveste tutti i requisiti per essere considerata una impresa e soprattutto per essere annoverata nel concetto di PMI. Nella lettera ufficiale inviata ad aprile dello scorso anno dall’allora Commissario UE Antonio Tajani all’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, si legge che “I liberi professionisti possono essere beneficiari anche di fondi strutturali e spero quindi che l’Italia sappia riconoscere il loro ruolo nell’ambito della conclusione degli accordi di partenariato per il periodo finanziario 2014-2020“.
La sfida delle risorse europee Per capire l’importanza di questa svolta epocale basta pensare al vantaggio per i professionisti sul fronte dell’accesso al credito e ai mercati, dell’innovazione tecnologica, alla possibilità di accedere ai programmi comunitari come EASI( Programma per l’occupazione ed innovazione sociale), Cosme (Programma Europeo di competitività per le PMI) o Horizon 2020. Inoltre nell’Accordo di partenariato 2014/2020 sono
allocate risorse comunitarie alle quali i professionisti devono potere avere accesso: - nell’OT 3 (promuovere la competitività delle PMI) € 4.017.702.790 del FESR - nell’OT8 (promuovere l’occupazione etc..) € 3.938.680.365 del FSE - nell’OT 10 (investire nell’istruzione e formazione professionale) € 854.217.726 del FESR e € 3.273.321.766 del FSE Se si considera che altrettanti importi devono essere messi a disposizione come cofinanziamento a livello nazionale e regionale si comprende che siamo di fronte ad una sfida senza precedenti per il mondo dei professionisti italiani che deve attrezzarsi per non rimanerne tagliato fuori. Con tali aperture oggi è possibile guardare al futuro con una ritrovata speranza che nasce dalla possibilità di fruire di strumenti per noi nuovi per rendere competitivi e internazionali i professionisti italiani. Tutto dipenderà dalla capacità di rinnovarsi, innovare e investire su se stessi senza paura delle novità. È per esempio impensabile non insistere sulla imprescindibilità di una idonea formazione linguistica, uno dei principali handicap appannaggio dei professionisti (e non solo) italiani. Per l’area giuridica ad esempio il Test of Legal English Skills (TOLES) costituisce, a livello internazionale, una tra le più importanti certificazioni di conoscenza dell’inglese giuridico per avvocati, giuristi in generale, studenti di giurisprudenza e traduttori in materie giuridiche. Le risorse europee finalmente usufruibili anche per i professionisti potranno essere uno strumento di
notevole vantaggio, rispetto al passato, per competere e sperimentare mercati nuovi. Le iniziative dedicate al nostro comparto, che sul territorio cominciano a moltiplicarsi, a seconda della maggior o minore sensibilità degli Enti preposti, devono essere colte con intelligenza e progettualità che non si inventano ma che possono essere veicolate dagli Ordini e dalle Associazioni professionali affinché non solo il singolo ma l’intero sistema se ne avvantaggi. Un esempio per tutti nella concomitanza dell’EXPO 2015 è la Fabbrica delle Professioni organizzata dalla CCIAA di Milano. L’iniziativa vuole creare un luogo per professionisti, appartenenti ad ambiti diversi, che permetta loro di mettere alla prova e/o ampliare il proprio bagaglio di competenze. Un percorso multidisciplinare capace di assicurare un maggiore dialogo tra il mondo imprenditoriale e quello dei giovani professionisti sotto i 35 anni d’età che esercitano la loro attività professionale nei settori ricompresi nelle competenze proprie della Consulta provinciale delle professioni. I beneficiari dell’iniziativa potranno usufruire di un Master interdisciplinare, in collaborazione con gli Ordini professionali,sulle tematiche dell’Accesso al credito, l’Internazionalizzazione dell’attività professionale, l’Ecosistema startup, la Contrattualistica del lavoro, il Diritto commerciale e di impresa, la Contabilità di impresa e la Strategia di mercato per professionisti. Avranno inoltre a disposizione per sei mesi una serie di servizi e attrezzature (rete wifi, una sala riunioni ad uso comune, stampante multifunzione e fotocopiatrice ad uso comune, area break) e, al fine di favorire un interscambio di competenze e di creare opportunità di networking professionale, potranno partecipare ad iniziative e progetti come incontri con esponenti del mondo imprenditoriale della provincia di Milano finalizzati a favorire la creazione di possibili sinergie professionali, l’utilizzo dei canali di comunicazione istituzionali della Camera di Commercio di Milano, la partecipazione ad eventi promozionali organizzati dalla Camera di Commercio di Milano.
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Il fattore organizzazione negli studi legali Mercato, impresa e forme societarie per l’esercizio della professione
di Andrea Zanello
La statistica ci informa che in Europa, nel breve arco di tempo 2008–2012, i liberi professionisti sono passati da 4,6 a 5,2 milioni di unità. Per l’Italia il volume d’affari annuale è stimato in circa 200 miliardi di euro: in pratica il 15,1% del pil. I professionisti attivi sono più di 2 milioni, di cui quasi 500mila operano nell’area economico- sociale- giuridica. La metà di questi ultimi sono avvocati: 240.000 nel 2014. Altri due milioni di lavoratori sono occupati nell’indotto: dipendenti diretti, collaboratori, impiantistica, servizi vari etc. Nell’insieme, un bacino occupazionale di 4 milioni di addetti: il 15% circa del totale della forza lavoro. Una importante realtà economica, quindi, che l’Unione Europea da tempo colloca nell’ambito della piccola e media impresa e per la quale, passando senza scorciatoie
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“dalle parole ai fatti”, ha messo a disposizione risorse importanti (i c.d. “fondi strutturali” per il periodo 2014- 2020). Si può pertanto parlare di un vero e proprio “mercato”, delle cui caratteristiche discuterà il nostro VII Congresso, affrontando il tema della giurisdizione e dello stato di diritto nel terzo millennio. La causa è ancora il mezzo sovrano per riparare, nell’interesse superiore dello Stato, al vulnus inferto dal comportamento illegittimo o si sta trasformando in uno dei tanti mezzi per risolvere un problema particolare e soddisfare così soltanto l’interesse, magari spiccatamente economico, del singolo? Vince l’interesse a che le cose vadano secondo la previsione astratta del diritto o quello del singolo alla soluzione (onorevole e pragmatica) del problema specifico nel più breve tempo possibile? Di certo, gli avvocati sono chiamati a dare una risposta: cosa offriamo a questo mercato? Quali servizi, quali strumenti, quali strutture, quale organizzazione?
Arretratezze culturali e temi scottanti Il nostro paese sconta ancora arretratezze culturali e normative. È di qualche mese fa e fa discutere, anche in giudizio, la pesante sanzione inflitta dall’Autorità per la Concorrenza al CNF in materia di tariffe e pubblicità, mentre, più recentemente, il Consiglio di Stato ha riammesso i professionisti alla cassa integrazione in deroga, dalla quale erano stati in un primo momento esclusi. In entrambi i casi il tema centrale è la affermata/negata equivalenza professionisti/ PMI. È quindi il momento di approcciare senza pregiudizi il tema delle “imprese professionali” e della organizzazione di cui ci si deve dotare per un più alto livello di efficienza e di redditività del servizio, nel rispetto del ruolo costituzionale della difesa e della estrema particolarità e delicatezza della materia che trattiamo. Laicamente e con onesta franchezza, occorre confrontarsi in modo più agile, strutturato e sistematico con concetti quali impresa, progetto, strategia, organizzazione, investimenti, bilancio, pubblicità e marketing, redditività, concorrenza, libe-
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Convenzione Esclusiva ASSITA
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Assicurazione per la R.C. Professionale A) CONDIZIONI ESSENZIALI - Cosa si assicura 1) È una polizza “All Risk”, cioè tutto compreso.
Vale a dire che l’Assicurazione copre tutte le attività che l’ Assicurato – Avvocato,Studio Associato o Società tra professionisti – svolge nella sua qualità di Libero professionista iscritto all’Albo e nel rispetto delle vigenti normative e successive modificazioni legislative e/o regolamenti
2) Sono coperti TUTTI i Danni derivanti da errore professionale La Compagnia si obbliga quindi a tenere indenne l’Assicurato per ogni somma che questi sia tenuto a pagare/rimborsare a terzi, compresi i clienti, a titolo di risarcimento per danni involontariamente cagionati a Terzi dei quali sia civilmente responsabile nell’esercizio delle proprie attività 3) Per Danni si intendono Patrimoniali e NON patrimoniali 4) Nello specifico, a titolo esemplificativo e non limitativo, oltre alla prevista attività civile e penale, sono comprese le seguenti attività: - Processo Telematico - Consulenza Fiscale - Funzioni Pubbliche/Giudiziali – Curatore Fallimentare/Commissario Giudiziale e Liquidatore - Funzioni di Arbitro rituale e irrituale 5) Fatto Colposo e/o Doloso di Collaboratori-Sostituti di concetto - Praticanti e Dipendenti facenti parte dello Studio Professionale e per i quali l’Assicurato sia civilmente responsabile 6) Fatto colposo di Sostituti d’Udienza- Professionisti delegati in base all’ Art. 108 – Professionisti delegati quali procuratori o domiciliatari 7) Costi di difesa Sono a carico della Compagnia secondo il disposto dell’Art. 1917 del codice civile, nei limiti di un quarto del massimale indicato in polizza, in aggiunta al massimale stesso. 8) Documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti La copertura comprende anche la responsabilità civile derivante da: custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti, compresa la perdita, distruzione o danneggiamento a seguito di furto, rapina e incendio
B) DEFINIZIONI – il significato dei termini previsti in polizza
Ai fini di una corretta applicazione delle condizioni contrattuali di polizza in caso di sinistro è indispensabile, oltre che obbligatorio ai fini IVASS, che la polizza contenga le “Definizioni” dei termini usati nelle condizioni contrattuali.
C) ESTENSIONI della COPERTURA (già comprese nelle condizioni e nel premio) - Vincolo di solidarietà - D.Lgs. 30/6/2003 - Privacy - Commissione Tributaria - Mediazione e Conciliazione - Attività di Tributarista - Conduzione dei locali adibiti ad uso ufficio - Responsabilità civile verso i prestatori di lavoro
D) GARANZIE AGGIUNTIVE (con sovrappremio) [Escluso Polizza Young] - Sindaco e Amministratore di Società – Revisore Enti Locali – Organisimi di Vigilanza
E) Regime Temporale e Retroattività qualunque sia l’epoca in cui è stato commesso il fatto
“Claims made” in quanto copre le richieste di risarcimento avanzate per la prima volta dai Terzi nei
confronti dell’Assicurato – Avvocato/Studio Associato/Società tra Professionisti – durante il periodo di validità della Polizza (che comprende anche il periodo di RETROATTIVITÀ, il quale, al fine di garantire idonea copertura è illimitato) purché le stesse non si riferiscano ad atti già denunciati ad altra Compagnia.
F) Garanzia Postuma
In caso di cessazione dell’attività da parte dell’Assicurato o Scioglimento dello Studio Associato o della Società tra Professionisti. Operante a favore dell’Assicurato e/o dai suoi aventi causa per le richieste di risarcimento – riferite ad atti verificatisi durante la vigenza del contratto - avanzate per la prima volta nei confronti dell’assicurato e da questi denunciate alla Compagnia nel periodo temporale stabilito in polizza (che sempre nell’interesse dell’Assicurato è di 5 anni senza alcun costo aggiuntivo) Garanzia a favore degli eredi (altro aspetto della Garanzia Postuma) In caso di decesso dell’Assicurato la Compagnia si obbliga a tenere indenni gli eredi per la resposanbilità professionale incorsa dall’Assicurato (anche questa garanzia è concesso per 5 anni senza costo aggiuntivo)
G) MASSIMALI - Limiti di indennizzo
Il massimale, che rappresenta l’esposizione massima della Compagnia in caso di sinistro, dovrà necessariamente essere adeguato all’entità ed alla tipologia degli incarichi assunti dall’Assicurato, nonché al fatturato annuo da questi realizzato. Massimali disponibili: da € 250.000,00 a 2.500.000,00 e fino a 10.000.000,00 per grandi Studi
Assicurazione contro gli INFORTUNI A) CONDIZIONI ESSENZIALI - Cosa e chi si Assicura 1) Gli eventi morte o invalidità permanente (con supervalutazione) derivanti da infortuni che l’Assicurato
– Avvocato, Studio associato o Società tra professionisti – subisca durante lo svolgimento dell’attività professionale, anche al di fuori dei locali ove viene abitualmente svolta tale attività. 2) Per Assicurati si intendono: a) L’ Avvocato Libero Professionista - In caso di Studio Associato o Società tra Professionisti, gli Avvocati Soci dello Studio o della Società, che svolgono la loro attività in quanto iscritti all’Albo professionale forense. b) Gli Addetti - Ciascun collaboratore, dipendente e/o praticante, anche in qualità di sostituto o di collaboratore esterno occasionale, di cui l’ Assicurato – Avvocato, Studio Associato o Società tra professionisti - si avvale nello svolgimento della propria attività professionale 3) Le attività Oggetto di copertura sono: Avvocato: Rischio Professionale – Rischio Extraprofessionale - Rischio in Itinere Addetti : Rischio Professionale – Rischio in Itinere 4) Limiti di età UNDER 35 75 anni 35 anni
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B) DEFINIZIONI – il significato dei termini previsti in polizza Ai fini di una corretta applicazione delle condizioni contrattuali di polizza in caso di sinistro è indispensabile, oltre che obbligatorio ai fini IVASS, che la polizza contenga le “Definizioni” dei termini usati nelle condizioni contrattuali.
C) ESTENSIONI della COPERTURA (già comprese nel premio) - rischio volo – viaggi aerei - guida di autoveicoli - improvviso malore o incoscienza - imperizia, imprudenza o negligenza anche gravi - punture di insetti, morsi di rettili e animali - lesioni da sforzi - asfissia e annegamento
D) CONDIZIONI AGGIUNTIVE (già comprese nel premio) - Spese funerarie a seguito di decesso per infortunio - Costi di salvataggio e ricerca - Commorienza
E) VALIDITA’ TERRITORIALE MONDO INTERO
F) MASSIMALI Più elevati per l’Avvocato/Soci dello Studio o Società tra Professionisti Più bassi per gli Addetti
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NON APPLICABILE PER POLIZZE
Con riferimento alla normativa per la tutela del trattamento dei dati personali (D.Lgs 193/2003) si precisa che Assita tratterà i dati personali contenuti nel presente modulo in modo riservato ed al solo fine di poter predisporre la proposta assicurativa. Essi non verranno in ogni caso fatti conoscere a terzi. Nel caso di sottoscrizione della polizza, questa sarà accompagnata da specifica informativa e correlata richiesta di manifestazione di consenso al trattamento dei dati.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE
dal
R.C. PROFESSIONALE INFORTUNI
1982
Convenzione Esclusiva ASSITA
MODULO
LAW DIVISION
RICHIESTA
PREVENTIVO
L’Assicurando fornisce i dati necessari solo per la valutazione del rischio e resta in attesa di conoscere le condizioni per la propria copertura assicurativa. LA FIRMA DEL PRESENTE MODULO NON IMPEGNA LE PARTI ALLA STIPULAZIONE DEL CONTRATTO. Qualora il contratto venga sottoscritto, le dichiarazioni rese formeranno parte integrante della polizza di assicurazione ai fini degli artt. 1892, 1893, 1894 del Codice Civile. L’Assicurando dichiara pertanto che i dati forniti rispondono a verità e dichiara altresì di non aver sottaciuto informazioni relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del rischio e conferma che alla data di compilazione del presente modulo NON ha notizia e NON è a conoscenza di circostanze o situazioni che potrebbero determinare nei suoi confronti, ovvero nei confronti dei collaboratori dei quali si avvale, richieste di risarcimento conseguenti allo svolgimento dell’attività professionale.
COMPILARE e INVIARE ad assunzione @ assita.com o FAX 02-48.18.897 1 ASSICURANDO -
UNDER 35
Cognome e Nome Indirizzo cap città tel. Iscritto all’Albo di e-mail Cod. Fiscale
provincia fax dal
cell. PEC P. IVA
2 GARANZIE AGGIUNTIVE
Funzioni di Amministratore - Sindaco -
Amministratore di Condomini
Revisore - O.D.V.
Incarichi n.
Compensi €
3 FATTURATO ANNUO [Al netto di IVA e C.P. esclusi incarichi di Amministratore - Sindaco - Revisore - O.D.V.]
€
€
Esercizio precedente:
4 Scelta MASSIMALI - (Polizza R.C. PROFESSIONALE A
250.000,00 B
500.000,00
C
1.000.000,00 D
1.500.000,00
E
2.000.000,00 F
2.500.000,00
Previsione Esercizio in corso:
solo A, B e C)
INFORTUNI
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MORTE da INFORTUNIO INVALIDITÀ PERMANENTE da INFORTUNIO
AVVOCATO
€
100.000,00
€ 100.000,00
A1
AVVOCATO ADDE TTI
€ €
100.000,00 50.000,00
€ 100.000,00 € 50.000,00
B1
AVVOCATO ADDETTI
€ 200.000,00 € 100.000,00
€ 200.000,00 € 100.000,00
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Art. 12 Legge di Riforma Ordine Forense - Per Addetti si intendono: collaboratori, dipendenti e praticanti in conseguenza dell’attività svolta nell’esercizio della professione anche fuori dai locali dello studio legale, anche in qualità di sostituto o di collaboratore esterno occasionale.
Dichiarazioni dell’Assicurato 5 POLIZZE in CORSO o ANNULLATE Polizze in corso per il medesimo rischio? NO SI Compagnia Massimale Scadenza Sono state annullate/disdettate polizze R.C. Professionale? NO SI Quando? Da quale Compagnia? Per quali motivi?
Ha richiesto altre quotazioni negli ultimi 90 giorni?
NO
SI Compagnia
6 SINISTRI - CIRCOSTANZE / EVENTI - Negli ultimi 5 anni: sono state rivolte all’Assicurando richieste di risarcimento per danni imputabili a una sua responsabilità professionale? oppure è a conoscenza di Circostanze o Eventi che possano dare origine a una richiesta di risarcimento? NO SI LA MANCATA COMPILAZIONE DI OGNI PARTE DEL PRESENTE MODULO, PRECLUDE L’INVIO DEL PREVENTIVO
Data
Firma dell’Assicurando
Ci si chiede, cioè, se la professione debba imboccare un percorso simile a quello dei medici: un servizio di base, diffuso e ramificato sul territorio, attento alle esigenze più ricorrenti e quotidiane, più facilmente accessibile ed economico, ovvero una struttura articolata su diverse competenze, tarate sulle esigenze della fascia di clientela alla quale si è deciso di rivolgersi? O, magari, una “boutique” del diritto, super specializzata, punto di riferimento, non necessariamente nazionale, solo e soltanto per una qualche particolarissima questione? Grandi studi con molti professionisti, tutti super specializzati o ciascuno competente su materie diverse per offrire al cliente un servizio completo? Studi medi organizzati in network? Strutture di base comuni ad una rosa diversificata di professionisti? Quali i modelli più adeguati per le singole “fasce di mercato”?
Con le spalle al muro Ma è la stretta attualità che ci mette, ancora una volta, con le spalle al muro. È di questi giorni, infatti, il disegno di legge sulle liberalizzazioni e sulla concorrenza con il quale il Governo intende mettere mano all’esercizio della professione in forma societaria. Con gli art. 4 e 5 della legge n. 247 del 2012 si era di fatto sottratta l’avvocatura al regime comune delle altre professioni di cui alla l. n. 183/ 2011. L’art. 5 conferiva al Governo la delega ad emanare, entro sei mesi, un decreto legislativo vincolato al rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui al comma 2: in primis, il divieto del socio di capitale e del socio professionista non avvocato. In sostanza, una netta chiusura verso il mondo delle imprese e verso gli altri professionisti. “Tuttavia l’Esecutivo non ha esercitato nei termini tale delega, verosimilmente al fine di non creare una disciplina derogatoria e speciale, rispetto a quella generale dettata per le società tra professionisti, applicabile alle sole società tra avvocati …” che “… avrebbe potuto ingenerare dei dubbi di compatibilità comunitaria …” (così il Sottosegretario dott. Ferri in occasione dell’evento ANF sul tema del 31.01.2014). Nello stesso senso, il Congresso di Venezia, su iniziativa di ANF, ha approvato una mozione (la n. 74), con la quale si è osservato che l’esclusione delle altre
Il fattore organizzazione negli studi legali
ralizzazioni, joint- venture, sinergie, network, business plan e così via. Cassa Forense, in questo senso, ha mosso un primo passo e, nel nuovo regolamento per l’assistenza, ha inserito una specifica sezione dedicata al sostegno della professione. Sull’evidente presupposto che per avviare un’attività professionale ovvero per riorganizzarla e rilanciarla secondo le richieste del mercato occorre un progetto, che a sua volta presuppone una strategia (di fatto) imprenditoriale, l’art. 14 prevede prestazioni in favore di tutti gli iscritti per convenzioni e crediti agevolati, nonché prestazioni specifiche per i giovani in start up, con particolare attenzione alla costituzione di nuovi studi associati o società tra professionisti, compresi quelli multidisciplinari. L’art. 22, inoltre, destina specifiche risorse al cofinanziamento di progetti meritevoli in materia di welfare presentati dai C.O.A. e/o dalle Associazioni Forensi o finalizzati alla partecipazione a bandi comunitari, nazionali o regionali. Il processo civile telematico, a sua volta, stravolge in radice le forme organizzative dello studio. Sfuma la tradizionale figura della segretaria. Si ridimensionano i “giri” in cancelleria (e, con essi, quel tessuto di rapporti con il personale amministrativo che tanto radicava l’avvocato al territorio). Si marginalizza l’attività di domiciliazione. Si impone, viceversa, il tema degli impianti tecnologici e del tecnico-informatico: server, sito, gestionale, redattore, archivio telematico, pec, firma digitale, fatturazione elettronica e quant’altro richiedono strutture (in primis, locali adeguati e predisposti), hardware e programmi software in costante aggiornamento ed implementazione, un controllo ininterrotto “h. 24”, 7 giorni su 7, per 52 settimane e, quindi, personale specializzato, dedicato e ben organizzato. Il cliente lo si “riceve” in videoconferenza ed il pdf è la forma più consueta di atti e documenti, una volta cartacei. Sullo sfondo, la questione, non più eludibile, delle specializzazioni. Ad oltre due anni dalla riforma, il regolamento ministeriale (art. 9) ancora non c’è, ma il dibattito è acceso sia sulle concrete modalità attraverso le quali arrivare al titolo di specialista, sia, più in generale, sulla sorte dell’avvocato generalista con studio individuale.
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Il fattore organizzazione negli studi legali 42
professioni e del capitale non mette di per sé al riparo dal rischio di condizionamenti dell’autonomia e dell’indipendenza necessarie per lo svolgimento della professione; che la società tra soli avvocati finisce per portare avanti discriminazioni inattuali e negative per la categoria, riducendone l’ambito operativo ed escludendola da potenziali sviluppi e sinergie con le altre professioni, le quali, al contrario, possono già interagire nel perseguimento di comuni interessi; che in Europa il professionista è già una “impresa”, qualificata come professionale per contrapporla a quelle commerciali ed industriali. Su tali premesse la mozione ha pertanto chiesto: “CHE all’Avvocatura sia consentito di competere con le altre professioni anche sotto il profilo dei modi di esercizio della professione (in forma singola o in forma associata) e siano consentite forme di aggregazione societaria multidisciplinari, nel presupposto che solo una migliore e più efficace organizzazione del lavoro potrà consentire che la professione forense si evolva verso la modernità e agli avvocati di superare meglio la grave crisi che attraversano; CHE sia stabilito se tale obbiettivo dovrà essere raggiunto riportando la disciplina delle società tra avvocati e multidisciplinari con la partecipazione di avvocati nell’alveo della disciplina comune agli altri professionisti (L. 183/2011 e DM 34/2013), oppure ipotizzando una normativa specifica che, tuttavia, si ponga nell’ottica di superare alcune criticità che, pure, erano presenti nell’art.5, l.247/2012, e che meritano senz’altro di essere rimeditate; CHE vengano approfonditi e definiti - in tale diverso contesto - gli aspetti fiscali, previdenziali e di responsabilità professionale legati allo svolgimento dell’attività professionale in forma societaria; CHE, laddove vi fosse disponibilità in tal senso, sia lo stesso Governo, per il tramite del Ministro della Giustizia, a farsi promotore di un ddl destinato a regolare l’esercizio dell’attività forense in forma societaria, anche multidisciplinare …”. Il disegno di legge di questi giorni prosegue decisamente su questa strada ed apre al socio di capitale ed alle società multiprofessionali, fermi restando il principio della personalità della prestazione e l’obbligo del rispetto del codice deontologico. Riapre, altresì, il dibattito sulle nuove for-
me e sui nuovi strumenti attraverso i quali l’avvocatura si deve riposizionare sul mercato. “Il provvedimento del governo presenta evidenti criticità – ha dichiarato recentemente il Segretario Generale ANF Perifano – che, però, nell’iter parlamentare, ben potranno essere rimosse. Non è più il tempo di arroccarsi, restituendo l’immagine di una categoria chiusa all’evoluzione del mondo che ci circonda …” ma “è ora di cambiare passo, l’Avvocatura deve raccogliere la sfida che la società e l’economia stanno lanciando, partecipare alla politica del Paese, nel segno di quella domanda di cambiamento che attraversa tutti i settori, e da cui non possiamo autoescluderci”. È quello che dobbiamo fare e che faremo a Bergamo, discutendo con serietà ed impegno, “con la prospettiva – cui accenna Perifano – di abbandonare la retorica degli ultimi anni e indicare invece soluzioni concrete per una crescita sociale e culturale dell’Avvocatura”, nell’interesse dell’intera comunità sociale ed economica, italiana ed europea.
Le società professioniali tra passato, presente e futuro La pluralità dei modelli di esercizio collettivo della professione come necessità e opportunità di Barbara Lorenzi Iniziai ad occuparmi di società professionali nel 2003, come coordinatrice della Commissione Ordinamento Professionale dell’OUA, partendo da uno studio degli avvocati Roberto Zazza e Giuseppe Maria Valenti, che evidenziava la polverizzazione della maggior parte dell’avvocatura in decine di migliaia di studi legali di piccole o piccolissime dimensioni, perlopiù mononucleari, in cui l’avvocato, raramente specializzato, lavorava in maniera artigianale all’interno di una struttura che era più o meno attrezzata a seconda del reddito del professionista. Parallelamente si manifestava un trend dei grandi studi legali, nei quali i giovani colleghi venivano inseriti, mal o sotto
pagati, per rimanervi fino al momento in cui il grande studio li metteva da parte per far spazio a nuove leve che consentivano di alleggerire i costi di gestione. Si affacciava inoltre il fenomeno della invasione di studi stranieri che acquisivano i piccoli studi italiani nelle principali città, riducendo i titolari a meri “dipendenti” di queste realtà estere. Iniziammo quindi ad esaminare le varie forme di esercizio della professione forense in Italia ed in Europa e ci accorgemmo che in Italia, oltre quella individuale, erano consentite soltanto le forme dello studio professionale associato, della cooperativa, della STP, modellata sulle società in nome collettivo. Di tali modelli, l’unico ad essere utilizzato con una frequenza significativa era l’associazione professionale, mentre il modello della STP aveva già dimostrato di essere fallimentare, assolutamente sottoutilizzato a causa sia di una sfavorevole normativa fiscale che per sua inadeguatezza a rispondere alle esigenze di organizzazione degli studi legali di grandi dimensioni o a vocazione transnazionale. Invece, negli altri paesi europei i nostri colleghi avevano numerosi modelli organizzativi di esercizio collettivo della professione, e in particolare potevano esercitare anche attraverso società professionali di capitali. La pluralità dei modelli di esercizio collettivo della professione ci era immediatamente apparsa una necessità e un’opportunità. Una necessità in quanto soddisfaceva l’esigenza di rispondere a tutte le diverse situazioni concrete degli studi legali italiani, in relazione le loro dimensioni, alla loro distribuzione territoriale e alla loro struttura, lasciando liberi gli avvocati di scegliere la forma più consona alla propria realtà o progettualità; una opportunità perché era lo strumento per un’aggregazione e concentrazione spontanea e “dal basso” dei piccoli studi legali che potevano, insieme, fare sistema ottimizzando le risorse economiche ed umane e offrendo alla clientela un migliore servizio, diventando competitivi rispetto a quelle situazioni problematiche evidenziate. Cioè ottenendo ciò che in gergo comunitario si definisce “diminuzione della frammentazione del mercato interno”. Parlarne in quegli anni non era facile: alcuni temevano l’attra-
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zione dell’attività professionale in quella d’impresa, soprattutto alla luce della normativa comunitaria che in alcuni casi aveva assimilato il professionista intellettuale all’imprenditore. In realtà tale timore è il frutto di una cattiva traduzione: il concetto europeo di impresa si riferisce, lato sensu, ad ogni esercizio di attività economica, ricomprendente pure l’attività professionale, e per questo tale assimilazione è sempre stata limitata, in Europa, al solo settore della concorrenza.
Le società professioniali tra passato, presente e futuro
Lo studio legale: azienda senza impresa
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Piano piano si è compreso che nell’esercizio dell’attività di avvocato vi sono due aspetti ben distinti tra loro, ossia da un lato la prestazione intellettuale, dall’altro l’organizzazione di mezzi per prestarla, ossia “l’azienda studio legale”, il quale pertanto è “azienda senza impresa”. Dalla forma societaria prescelta non discende alcuna modifica della natura della prestazione intellettuale, mentre certamente ne discende l’applicazione di una serie di regole formali interne relative al funzionamento, alla gestione, ai rapporti tra i soci, proprie delle società e delle aziende. Nel 2005 la IV Conferenza Nazionale dell’Avvocatura riunita a Napoli si esprimeva a favore della utilità e necessità per l’avvocatura di dotarsi di una pluralità di modelli di esercizio positivo della professione, lasciando ai singoli professionisti la scelta degli strumenti di lavoro più adatti e quindi l’opzione tra i vari modelli consentiti, fissando due limiti: l’esclusione del socio di capitale non professionista e l’assoggettamento dei soci al controllo deontologico. E nel 2006 tale posizione veniva confermata dal congresso nazionale. Nel XXI secolo, in cui la prestazione professionale necessita di tecnologie, di mezzi complessi e costosi, di collaborazioni con avvocati specialisti della materia ma anche di collaborazioni interprofessionali, perché sempre maggiore è la richiesta di elevata qualità e interdisciplinarietà del servizio, è assolutamente fondamentale avere strutture con regole certe nella gestione dei rapporti tra professionisti che le compongono, che consentano anche la circolazione delle quote in caso di scorpori, uscite dei soci, ingresso di nuovi soci, agevoli fusioni con altre società.
Senza contare poi che l’aggregazione in società di capitali consentirebbe riduzioni dei costi di gestione dell’attività, ottimizzazione delle risorse umane ed economiche, miglioramento della qualità della prestazione offerta, nonché un’ulteriore garanzia patrimoniale per il cliente. Ma soprattutto strutture di maggior dimensione professionale ed economica possono meglio garantire agli avvocati costituiti in società di capitali un maggior potere contrattuale con i poteri forti e con le lobby più importanti come Confindustria, gruppi assicurativi e bancari, nonché una maggiore tenuta sul mercato anche con riguardo alla concorrenza con i grandi studi stranieri e con terzi soggetti (sedicenti società di consulenza legale, società di recupero crediti, di consulenza infortunistica, tutte costituite in massima parte da soggetti non avvocati che sottraggono grandi fette di mercato che poi in gran parte subappaltano a compensi irrisori), superando così l’attuale limite reddituale e organizzativo costituito dalla eccessiva polverizzazione degli studi italiani. Nell’autunno 2011 abbiamo assistito ad una riforma delle professioni intellettuali estremamente significativa in quanto ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico, la facoltà di costituire società tra professionisti adottando tutti i modelli societari previsti dal codice civile (art. 10 c. 3 e segg L.12.11.2011 n. 183). Tuttavia tale normativa, mentre ha stabilito la assoggettabilità della società al regime disciplinare dell’Ordine al quale risulti iscritta la società stessa, ha disatteso il principio della esclusione del socio di capitale non professionista. L’articolo 10, comma 4 lettera b) prevede infatti la partecipazione alla società tra professionisti di “soggetti non professionisti” la cui presenza viene giustificata “soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento” purché “in ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti” sia “tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisione dei soci”, pena lo scioglimento della società e la cancellazione della stessa dall’albo. La soluzione adottata dal legislatore, analoga a quella vigente in Francia da 23 anni, non è forse quella che l’avvocatura auspicava e pretendeva, ma non è squilibrata, ed è certamente più tranquillizzante di altre proposte legislative che prevedevano la parte-
cipazione tout court del socio di puro capitale non professionista. In attuazione di quanto previsto dalla citata normativa veniva emanato dal Ministro di Giustizia il “Regolamento in materia di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico” (DM 8.2.2013 n. 34), che prevedeva, per le società tra professionisti, l’obbligo di specifiche informazioni, da fornire per iscritto al cliente circa la scelta del professionista, l’esistenza di situazioni di conflitto di interesse, la composizione della compagine societaria, circa l’esistenza di ausiliari ed i sostituti da indicarsi nominativamente, nonché il regime di incompatibilità dei soci ed i requisiti che la persona del socio per finalità di investimento (non professionista) deve avere per poter far parte della compagine societaria (ad esempio onorabilità, assenza di determinate condanne definitive).
In aumento la richiesta di servizi legali integrati Intanto nel 2012 era intervenuta la legge di riforma della professione forense (L.n.247/2012) che prevedeva una delega al Governo per la disciplina di dettaglio dell’esercizio della professione forense in forma societaria, elencando principi e criteri direttivi, come emerso anche durante i lavori del Gruppo per i lavori preparatori al Congresso di Venezia 2014, che scontavano la grave limitazione di precludere agli avvocati la partecipazione alle società multi o interdisciplinari, con ciò escludendoli da una fetta di mercato e da collaborazioni. Infatti sta crescendo la richiesta di servizi integrati, ossia di servizi di consulenza e assistenza in cui l’aspetto giurisdizionale e contenzioso è solo uno degli aspetti considerati, nell’ambito di una più complessiva lettura strategica che richiede la compresenza, compartecipazione e collaborazione costante e pregnante di diverse professionalità. Si pensi alla gestione delle crisi di impresa, ove è indispensabile l’intervento coordinato di avvocati, commercialisti e aziendalisti, oppure alla materia del diritto di famiglia e della mediazione familiare ove importante si sta rivelando la sinergia tra avvocato e psicologo. Il vantaggio di aprirsi a stabili collaborazioni con altre professioni è ravvisabile sia nell’acquisizione di una maggiore qualità del servizio, con generale beneficio
dell’utenza, che nella soluzione dell’annoso problema della riserva di consulenza legale stragiudiziale attraverso le sinergie della condivisione. Sottrarre quindi gli avvocati a tale opportunità di crescita e ampliamento della attività professionale equivale a rinchiuderli in un recinto sempre più stretto che finirà col coincidere con un processo statale ormai asfittico. Insomma quella che in astratto sembrava una salvaguardia della professione forense si sta trasformando in concreto in una perdita di opportunità professionali e di guadagno. Tali argomentazioni venivano esposte alla ultima Conferenza Nazionale dell’Avvocatura tenutasi a Napoli nel gennaio 2014 e venivano successivamente condivise, non senza animate discussioni, dal Gruppo di Lavoro congressuale costituito sul tema in vista del Congresso Nazionale Forense di Venezia. Ivi “tutti i membri della commissione” concordarono “nella necessità di eliminare qualsivoglia divieto per gli avvocati di partecipare a società di capitali multidisciplinari per l’esercizio della professione”. È rimasta invece in quella sede la chiusura di taluni all’interpretazione più ampia e sistematica della legge 247/2012, secondo la quale, stante il mancato esercizio da parte del Governo, la delega di cui all’articolo 5, era possibile costituire società tra avvocati in base alla disciplina generale di cui all’articolo 10 legge n. 138/2011, e relativo decreto ministeriale attuativo. In realtà, piaccia o non piaccia, tale interpretazione è perfettamente coerente con il trend normativo europeo e nazionale. Ne sono esempi le critiche mosse dall’Unione Europea e dalla Autorità Antitrust alla nostra legge professionale forense, e da ultimo l’articolo 26 DDL Concorrenza, che abroga espressamente l’articolo 5 della legge 247/2012. E anche secondo il DEF recentemente presentato dal Governo, si va, per gli avvocati, nella direzione di consentire le società multidisciplinari e l’ingresso di soci di capitali. Orbene di fronte a tali indicatori, consistenti in iniziative normative tutt’altro che sporadiche, isolate, o frutto di una politica cattiva che ci vuole male, dovremmo iniziare a considerare che il legislatore (nazionale ed europeo) sta puntando a una “diminuzione della frammentazione del mercato interno” dei servizi legali attraverso il superamento dei vecchi schemi organizzativi “ottocenteschi” in cui molti di noi sono abituati a ragionare. In questo momento
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subiamo modelli imposti dalla politica a fronte della nostra palese incapacità, come categoria professionale, di autoriformarci in senso postmoderno, più globale, più internazionale, per rispondere meglio ad una domanda di giustizia e di prestazione professionale che sono cambiate in maniera inimmaginabile sino ad una decina di anni fa. Siamo cittadini europei, viviamo e lavoriamo in un territorio che non coincide più con il nostro Stato Nazionale, in cui la domanda di giustizia viene soddisfatta da molteplici soggetti di giurisdizione, non più necessariamente solo dal Giudice Statale, e in cui viene chiesto all’avvocato di essere problem solver, più che di radicare contenziosi giudiziali. Un universo in cui la negoziazione assistita, le procedure arbitrali, di mediazione e conciliazione sono incentivate dall’Unione Europea e dallo stesso Stato Italiano che si è reso conto di aver fallito nella propria funzione di erogazione di un Servizio Giustizia efficiente ed efficace. Di fronte a tutto questo davvero riteniamo sia opportuno, conveniente e fruttuoso chiudersi a riccio e fare un’altra battaglia di retroguardia, perdendo opportunità e collezionando un’altra sconfitta annunciata? O non è invece il caso di accettare la sfida portando proposte emendative e migliorative traendone il massimo beneficio? Sono personalmente convinta che è necessario trasformare il problema in una opportunità. Il cambiamento va governato altrimenti siamo destinati a subirlo. In questo senso vanno gli emendamenti Valenti-Lorenzi del 5.3.2015 all’articolo 26 DDL Concorrenza, in questo senso va anche il DEF recentemente presentato dal Governo italiano.
Relazioni di studio richiamate: 1. Le società tra professionisti, Collesalvetti, 2008 (relatore Barbara Lorenzi, Giunta OUA) 2. Documento finale Conferenza OUA Napoli 2005 (relatore Barbara Lorenzi) 3. Tavola rotonda “Post fata resurgo. Le liberalizzazioni, da handicap ad opportunità. L’avvocatura raccoglie la sfida”, atti del convegno, Rovereto, aprile 2012; 4. Le società tra professionisti: lo stato dell’arte, maggio 2013 (relatore Barbara Lorenzi, Ufficio studi Triveneto) 5. Scheda introduttiva Gruppo di Lavoro “Ordinamento Professionale”, Conferenza Nazionale di Napoli, gennaio 2014 (corelatore Barbara Lorenzi); documento finale della commissione di lavoro; 6. Scheda del Gruppo di Lavoro “L’Organizzazione della Professione” per il Congresso Nazionale Forense di Venezia, ottobre 2014 (contributo Barbara Lorenzi); 7. Emendamenti Valenti-Lorenzi all’articolo 26 DDL Concorrenza, marzo 2015.
Le società di capitali tra professionisti, un’opportunità incompresa Occorre realizzare strutture multidisciplinari in cui gli avvocati siedano, nel board, a fianco di altri specialisti per fornire un servizio completo al cliente di Paola Parigi Nel dibattito che riguarda le società di capitali tra avvocati e l’eventuale ingresso di soci di puro capitale o di soci non avvocati, non è facile formarsi un’opinione chiara. Le ragioni sono fondamentalmente due: negli ultimi decenni le leggi in Italia sono state scritte molto male e la cosiddetta avvocatura (ovvero la sua rappresentanza istituzionale), si è sempre scagliata aprioristicamente contro ogni tentativo di apertura a nuovi modelli, invece di contribuire, forte delle proprie competenze giuridiche, alla tecnica legislativa e disciplinare per introdurre correttamente nuove forme di esercizio della professione e adeguarsi a una cultura internazionale comune e più moderna.
In Inghilterra, Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania, Spagna, Olanda e Danimarca, sin dagli anni ‘90 del secolo scorso, esistono le società di capitali tra avvocati che, con sfumature che variano da paese a paese, si applicano tanto all’esercizio collettivo tra soli soci professionisti, tanto ai loro limiti e alle prescrizioni disciplinari etiche e di responsabilità e consentono in taluni casi (non in Belgio e Lussemburgo), anche amministratori e soci non professionisti o di puro capitale. Non è questa la sede per addentrarsi nelle diverse nuances che distinguono le Limited liability partnership dalle Sociétés civiles professionnelles francesi, dalle Sociedades profesionales spagnole, dalle impronunciabili Partnerschaftsgesellschaft tedesche, basti sapere che, come anche negli altri paesi menzionati, si tratta di società tra avvocati con la forma di società di capitali. Quei paesi che si sono spinti più avanti, ammettendo anche l’ingresso tra gli stakeholder di soci non avvocati o di puro capitale, hanno affrontato un dibattito su questo tema, incentrato sul peso da dare alle partecipazioni ultronee, dibattito che, in tutti i casi, si è risolto consentendole e regolandone principi contabili, profili di responsabilità, norme deontologiche. In taluni casi sono state create strutture societarie ad hoc e addirittura entità di vigilanza opportunamente preposte, come è accaduto in Inghilterra con l’introduzione delle Alternative Business Structures, operative dal 2009 grazie al Legal Services Act 2007 noto anche come Clementi Bill. In nessun caso, però, si è deciso di limitare la libertà di esercitare la libera (sic!) professione in una forma che consentisse di approvigionarsi di capitale di rischio anche sul mercato dei non avvocati o coinvolgendo altri professionisti in attività di consulenza multidisciplinare e integrata.
Granitica resistenza alle liberalizzazioni Questo divieto è teoricamente caduto anche in Italia, per effetto del DDL concorrenza, ma la levata di scudi, come lo è stata davanti ad ogni altro tentativo di “liberalizzazione” della professione, è sistematica, granitica e, per molti versi, inspiegabile.
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Le società di capitali tra professionisti, un’opportunità incompresa 48
Quel che colpisce del dibattito italiano, è principalmente la scarsa disponibilità ad ammettere che non tutti gli studi legali hanno le stesse esigenze, gli stessi mercati e la stessa cultura, oltre, purtroppo a una certa ipocrisia. Nel paese delle mafie, capitali e di provincia, dei difensori/deputati, dei difensori VIP che si insinuano nei processi mediatici, della giustizia lumaca e (fin’ora) irresponsabile, delle copie di cortesia e delle più che tardive radiazioni dei corruttori di magistrati, le obiezioni prevalenti sollevate contro la forma societaria alternativa a quella di persone sono, in estrema sintesi: una società di capitali tra avvocati svilisce la “nobiltà” della professione riducendola a pura attività di profitto e l’ingresso di un socio di capitale farà entrare i “poteri forti” negli studi legali. Le domande da porsi dovrebbero essere invece diverse e più pertinenti, quali ad esempio: - che impatto potrebbe avere un socio/amministratore della società professionale, che non fosse avvocato, sulla cultura dello studio? - come il cambiamento modificherebbe i progetti e i piani finanziari dello studio e quali benefici concreti potrebbe apportare il suo ingresso? - fino a che punto possono i non avvocati comprendere la mentalità e i doveri degli avvocati? - modificare l’assetto societario avrebbe impatto sul profilo percepito del rischio ai fini della copertura assicurativa professionale (a tutela del cliente per errori professionali)? Questi i quesiti suggeriti, tanto per capirci, nella sezione Frequent Asked Questions sul sito della Law Society of England and Wales1 in tema di Alternative Business Structure, nel quale, con ampia e articolata risposta, si spiega ogni cosa riguardo la costituzione, il funzionamento e i limiti della stessa. Le risposte fornite sono molto interessanti. Tra i potenziali benefici a favore dell’entrata in società di soci di capitale non avvocati vengono elencati i seguenti: il capitale di rischio può essere raccolto da una base più ampia di potenziali soci, membri o amministratori, come, ad esempio, da altri professionisti o dipendenti dello studio non avvocati; i dipendenti non avvocati potranno essere promossi a soci e a membri del comitato direttivo con una partecipazione diretta nello studio, il che consentirà allo
studio di trattenere, motivandolo, personale con alte performance anche se non abilitato come avvocato o di attrarre questo genere di talenti; allo studio sarà consentito di ampliare il raggio dei servizi offerti, diventando, a seconda della scelta, uno studio multidisciplinare (che offre un “servizio completo”), o uno studio altamente e verticalmente specializzato per materia; i capitali di rischio potranno essere raccolti anche fuori dal settore legale senza necessità di coinvolgere i non avvocati a un livello gestionale. Questo aspetto potenzialmente consente allo studio di attrarre investimenti da altri mercati2.
Da noi un rischio, altrove un’opportunità Quel che da noi è considerato un “rischio”, in sostanza, nel Regno Unito3 è visto come una grande opportunità. Affiancando come consulente, in questi ultimi quindici anni, numerosi studi legali piccoli e medi che hanno tentato di cambiare pelle, mutuando modelli di efficienza che provenivano dalle strutture commerciali, il problema che inevitabilmente si è posto riguardava proprio la mancanza di una figura societaria adatta allo scopo. Uno dei tasti più dolenti, quello della motivazione e crescita dei collaboratori, ad esempio, è una questione potenzialmente perniciosa per uno studio che investa tempo e denaro dei seniores per la formazione degli juniores. Buoni mentori sanno quale sia il costo per la formazione di un giovane di studio e sanno pure che una volta cresciuto e formato, nell’impossibilità di premiarlo adeguatamente, motivandolo a rimanere, senza violare gli equilibri di governance e potere nello studio, quello se ne andrà portando con sé il patrimonio formativo elargito a così caro prezzo. Un’altra questione è il reperimento di capitali da investire nella modernizzazione, sviluppo e crescita dello studio, magari cedendone una parte (in quote). Gli aspetti fiscali sono penalizzanti per le associazioni professionali, il carico contributivo è veramente gravoso, il che rende difficile, soprattutto per le giovani realtà, trovare risorse in fase di start-up o di crescita dopo pochi anni dalla fondazione per investimenti in attrezzature e marketing in grado di rendere la
struttura competitiva. Allo stesso modo avrebbe senso far crescere, all’interno dello studio anche figure professionali non legali eppure essenziali alla competitività di uno studio moderno, quali ad esempio il general o financial manager. Alcuni studi hanno strutturato al proprio interno una funzione finanziaria/contabile che consente di tenere i conti sempre sotto controllo, di predisporre i budget preventivi e consuntivi, di pianificare le attività finanziarie dello studio (fatturazione, incassi, gestione insoluti, spese, ammortamenti, etc.), e di aiutare i soci a prendere decisioni strategiche altrimenti difficili. Queste persone, se relegate a un ruolo di dipendente, per quanto qualificato, presto si sentiranno frustrate dall’impossibilità di crescere e avere voce in capitolo, pur dedicando la propria attività interamente alla salute economico - finanziaria dello studio. Poter cedere quote e attribuire ruoli amministrativi al proprio general manager riequilibrerebbe anche il peso delle sue valutazioni e del suo apporto all’interno della società. Per non parlare della opportunità di realizzare strutture veramente multidisciplinari in cui gli avvocati siedano, nel board, a fianco di altri specialisti per fornire un servizio completo al cliente, in certe materie delicate e complesse che richiedano l’apporto di più punti di vista. Lo strumento sarebbe, infine, utile al reperimento di finanziatori motivati dal possesso di stake che potrebbero essere trovati, come si prefigura nello scenario delineato dalla Law Society of England and Wales (citato sopra), anche in altri mondi o tra gli investitori. Non ci sarebbe nulla di male se un padre ingegnere o imprenditore fosse socio di capitale dello studio del figlio avvocato, ad esempio, o se un avvocato potesse vendere il 30% delle quote del suo studio a un incubator che si occupa di tecnologie. Di esempi del genere se ne potrebbero fare a decine. In Inghilterra, per citarne uno decisamente interessante, lo scorso 13 marzo 2015 una Università, la Nottingham Trent, ha chiesto di poter costituire una ABS per riformare il proprio studio legale interno. Quest’ultimo, utilizzato come “palestra giuridica” per i giovani, con oltre 200 casi l’anno condotti da studenti di legge con la supervisione dei propri insegnanti, segue veri e propri casi concreti nelle aule, e
potrà, una volta dotatosi dello strumento societario flessibile, diventare una vera e propria teaching law firm e reperire sul mercato risorse da investire sui propri giovani e, per usare le parole del direttore Nick Johnson: «espandere e sviluppare ulteriormente l’eccellente lavoro che gli studenti già svolgono». Nel Regno Unito le Università si collocano a pieno titolo tra gli studi legali. Il fenomeno, per noi ignoto (per non dire fantascientifico), ha portato, ad esempio, l’ufficio legale in seno alla Cardiff University lo scorso dicembre a ottenere l’asilo in UK per un cittadino afgano perseguitato per ateismo, caso che ha avuto anche riscontri mediatici. Questi esempi potrebbero ampliare la visione di tutti coloro i quali, ancora ristretti nell’angusto andito ricavato tra professione artigianale e corporazione esclusiva ancora agitano gli animi evocando i soliti poteri forti mentre la professione continua la sua inesorabile scivolata verso il basso, autoescludendosi dai tavoli che contano, senza sviluppare alcuna competenza adatta al mondo globale che viviamo e frustrando ogni legittimo afflato di modernità.
NOTE 1. La Law Society of England and Wales è una sorta di Ordine degli avvocati nazionale di Inghilterra e Galles, ne esiste naturalmente uno anche per la Scozia, a differenza del nostro CNF non è un ente pubblico, ma una associazione privata costituita a garanzia della qualità dei professionisti che vi appartengono e cui viene riconosciuta la massima reputazione. Queste FAQ sono pubblicate sul sito all’indirizzo: https://www.lawsociety.org.uk/support-services/advice/practice-notes/alternative-business-structures/ 2. https://www.lawsociety.org.uk/support-services/advice/practice-notes/alternative-business-structures/ 3. Anche la Scozia ha infatti adottato, seppur due anni dopo, una legislazione analoga: http://www.lawscot.org.uk/members/legal-reform-and-policy/abslicensed-provider-updates/abs-faqs/
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Web marketing: le opportunità che non percepiamo Esistere in rete, una decisione non più rimandabile. Un bacino di utenti, potenziali clienti, di cui è saggio tener conto. di Cristina Montaruli Accade in periodi di quiete lavorativa, ma soprattutto in fasi professionali critiche, che gli avvocati vengano colti dalla ispirazione di riorganizzare lo Studio: a partire dall’aspetto puramente gestionale (come mi organizzo meglio?), alla cura del brand (come miglioro la mia immagine?) delle pubbliche relazioni, della comunicazione e in generale delle attività collettrici di potenziale clientela (come aumento/ miglioro il mio lavoro?). Marketing, una parola ancora pronunciata con spaesamento, che oggi per gli esperti è anche, e soprattutto, web-marketing. Il tasto duole e non poco, in parte perché storicamente gli avvocati associano il marketing professionale ad una pratica deontologicamente in bilico, se non proprio vietata, in parte perché la sottocategoria del web-marketing risente, in aggiunta, della scarsa propensione all’uso del digitale. Vero, qualche passo avanti è stato compiuto, ma obtorto collo e per disposizione di legge (processo telematico, fatturazione elettronica verso la P.A., etc.) e non senza intoppi, ma da qui a comprendere le potenzialità del web come mercato per gli avvocati la strada è ancora lunga. La più recente statistica digitale mondiale ci parla di 3 miliardi di utilizzatori attivi di Internet, 2 miliardi attivi sui social media e in particolare 1,5 miliardi che usano i propri account sui social network (Facebook, Twitter e simili), dai dispositivi mobili come smartphones e tablet. In Italia (dati Audiweb di Settembre 2014), 21 milioni di utenti al giorno sono collegati per 2 ore ciascuno.
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Si tratta di un bacino di utenti, ergo di potenziali clienti, di cui è saggio tener conto, perché è su questa piazza virtuale che oggi corre il passaparola. Il web è uno strumento potente e democratico: il nostro nome e la buona qualità dei nostri servizi, se opportunamente comunicati, possono raggiungere potenzialmente tutti (anche senza essere particolarmente blasonati e strutturati). Per cominciare, consideriamolo non più come uno strumento ma come una dimensione del vivere e del lavorare. Il primo passo è necessariamente avere un sito. Non una mera riproduzione della brochure cartacea, ma uno strumento pensato e gestito come un luogo deputato alla comunicazione, dove fare informazione sui temi giuridici che ci stanno a cuore, dare notizia dei nostri successi, ma soprattutto fornire il nostro contributo per quel che sappiamo fare meglio: gli avvocati. La diffidenza (“non arrivano clienti dal sito”, “non ho tempo per curare l’area news e in ogni caso chi la leggerà?”) è infondata, soprattutto di fronte a numeri che dicono l’esatto contrario. Non solo. La dimensione web è quella dove le persone cercano, oltre probabilmente alle nostre coordinate, la conferma di quello che hanno sentito dire di noi come professionisti ed è importante che trovino contenuti che confermano la nostra esistenza (1) e le nostre qualità (2). Impariamo a tenere il passo. Il mondo digitale evolve in fretta come dimostra il “Mobilegeddon” una fresca novità da Google, che dal 21 aprile ha cambiato algoritmo e non indicizza più i siti che non sono ottimizzati per dispositivi mobile, smartphone e tablet, ovvero manda in cantina (nel senso letterale di far scendere di posizione nelle pagine di ricerca), almeno un paio di generazioni di “vecchi” siti con conseguenze infelici che per ora possiamo solo immaginare. Gli avvocati che un sito già ce l’hanno dovranno dunque preoccuparsi di rinnovarlo, e in fretta, se non vorranno che la loro ottima posizione nel principale motore di ricerca svanisca in un batter d’occhio solo perché il sito non è “mobile responsive”, ovvero pensato per essere navigato da smartphone. Quelli che ancora non ce l’anno, dovrebbero approfittare del rimescolamento delle carte e prendere una decisione non più rimandabile: esistere in rete.
Prospettive di riforma dell’ordinamento forense per l’Avvocatura del futuro di Luigi Pansini
Le spinte al cambiamento e ad una rivisitazione della legge professionale muovono non solo dall’interno della categoria ma anche dal mondo esterno. C’è bisogno di chiarezza, di progettualità e di un messaggio di incoraggiamento. La nuova legge ordinamentale forense è del 31 dicembre 2012. “Una scatola vuota”: questa la più comune delle definizioni data sia prima che dopo la sua approvazione; “una legge ordinaria per noi Avvocati”, la ratio per giustificare il superamento dell’obsoleta legislazione del ’33 e sfuggire alla portata del riordino delle professioni operato con il DPR 137/12. Il tutto consumatosi tra il Congresso Nazionale di Bari del novembre 2012 e la notte di S. Silvestro dello stesso anno. Oggi come allora non c’è bisogno di ricordarsi che “il tempo è galantuomo” circa le criticità e le contraddizioni che la nuova legge professionale aveva al suo interno. Allora volutamente ignorate per una legge “purché fosse legge” e oggi altrettanto ignorate per incapacità di farvi fronte. Questo preambolo per non dire, in termini crudi, che la legge n. 247/12, a più di
due anni dalla sua approvazione, è ancora “una scatola vuota”. La legge c’è, ce la dobbiamo tenere, ma è ora di mettervi mano perché possa rivelarsi in qualche modo utile. L’esigenza di mirate ma profonde modifiche nasce proprio a novembre del 2012, quando il Congresso che a Bari si pronunciò a favore della sua approvazione chiese al Parlamento e al Governo, con una mozione immediatamente successiva, di procedere, nella legislatura a venire, ad incisivi interventi sui temi della governance, della formazione professionale continua, delle specializzazioni e dell’accesso alla professione. Chiamiamolo pure destino beffardo, ma proprio su questi temi il confronto di questi due anni è stato ed è assai serrato. Sul metodo e nel merito. Il metodo ha sicuramente influito negativamente sulla capacità di affrontare le questioni di merito, la cui trattazione si è spostata da un piano dialettico e di confronto ad uno piano squisitamente giudiziario. L’iter procedimentale previsto dall’art. 1, comma 3, della L. 247/12 per l’adozione dei regolamenti ministeriali di attuazione, infatti, è stata la causa dell’assoluta mancanza di dialogo tra il Consiglio Nazionale Forense, chiamato ad esprimere il suo parere sulle bozze di regolamento, e gli ordini territoriali e le associazioni, che devono essere “sentiti” sulla medesima bozza. Un questionario elettronico, senza alcuna possibilità di interagire, inviato dal CNF agli ordini circondariali e alle associazioni ha sancito l’interruzione di qualsiasi comunicazione in termini di confronto e sintesi. E ovviamente, il momento del confronto si sta consumando nelle aule giudiziarie, a seguito di ricorsi da parte di singoli Avvocati e da parte delle associazioni forensi. Il regolamento sulle modalità elettive dei consiglieri degli ordini circondariali (DM 170/14) è stato discusso nel merito pochi giorni fa dinanzi al TAR Lazio di Roma, dopo pronunce cautelari di segno opposto del TAR Lazio e del Consiglio di Stato e nel pieno delle competizioni elettorali appena concluse e di altre che si apprestano ad essere indette; quello sulla formazione e l’aggiornamento professionale sarà a breve discusso sempre dinanzi ai
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giudici amministrativi romani; i regolamenti sulle specializzazioni, sull’accesso e sul tirocinio, dovrebbero essere licenziati a breve dal Ministero di Giustizia, salvo sempre il ricorso all’autorità amministrativa per far valere vizi e denunciare criticità per cui non vi è stata alcuna possibilità di dialogo. Dinanzi al Consiglio di Stato, infine, sarà prossimamente discusso il ricorso avverso il regolamento del CNF (n. 5 del 16.7.2014) sui corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. Nel mezzo, sono stati approvati i regolamenti sulle associazioni specialistiche maggiormente rappresentative, sull’istituzione delle scuole forensi, sullo sportello del cittadino, sul procedimento disciplinare e sui consigli distrettuali di disciplina, sull’osservatorio permanente sull’esercizio della giurisdizione, sulla riscossione dei contributi, sulle associazioni maggiormente rappresentative. E ancora, il codice deontologico, il DM 55/14 sui nuovi parametri per la determinazione del compenso, il decreto legislativo sul riordini della difesa d’ufficio in ambio penale.
Prospettive di riforma dell’ordinamento forense
Necessità di cambiamento
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Le spinte al cambiamento o, comunque, in termini più generali, ad una rivisitazione della legge professionale muovono non solo dall’interno del mondo dell’Avvocatura ma anche dall’esterno. È di questi giorni la discussione sul DDL in materia di concorrenza le cui finalità espressamente enunciate sono quelle di “rimuovere ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza”. A parte la querelle con i notai per l’ampliamento delle competenze in favore degli avvocati, scalpore sembra suscitare la volontà di introdurre una norma ad hoc nel corpo della L. 247/12 (l’art. 4 bis) per regolare l’esercizio della professione forense in forma societaria. E lo scalpore stupisce perché alcune considerazioni, per quanto ovvie, ci sfuggono o, forse, preferiamo lasciarle sfuggire: le società tra avvocati (o che vedono la partecipazione di avvocati) nella realtà esistono
già; la disciplina della professione in forma societaria è prevista - sotto forma di delega al Governo (anche se non esercitata nel termine previsto) - in quella stessa legge che gli Avvocati, a Bari, hanno fortemente voluto; nel corso del Congresso di Venezia di sei mesi fa sono state addirittura approvate - dagli Avvocati mozioni in favore di una disciplina in forma societaria della professione. Oggi, però, tutti sulle barricate: no, no, ancora e sempre no. Un no invece di essere noi a proporre un modello societario che tenga conto delle specificità e delle peculiarità della professione, delle ricadute sul piano fiscale e previdenziale. Un modello che non ci venga imposto ma che sia da noi suggerito, meditato, governato. Rendiamoci credibili presso gli interlocutori istituzionali, politici e legislativi, e portiamo loro la nostra idea. Questa è una delle tante sfide che l’Avvocatura deve raccogliere. Due ultime riflessioni sul tema dell’ordinamento forense a quasi tre anni dall’entrata in vigore della legge. Le giovani generazioni e l’Avvocatura. La L. 247/12 “favorisce l’ingresso alla professione di avvocato e l’accesso alla stessa, in particolare alle giovani generazioni, con criteri di valorizzazione del merito”. Sebbene sia uno dei capisaldi della nuova legge ordinamentale (art. 1, comma 1, lett. d), sono i giovani avvocati che stanno soffrendo maggiormente le poche ma incisive norme che veramente hanno toccato la professione: iscrizione obbligatoria alla Cassa, continuità professionale (il regolamento appare quasi risibile, considerato che rimette unicamente agli oneri previdenziali e al loro assolvimento la permanenza dell’iscrizione all’albo), formazione continua, polizza assicurativa, frequentazione di una scuola per diventare cassazionista. Molti i giovani colleghi che hanno chiesto volontariamente di essere cancellati dall’albo. E i giovani praticanti non stanno certamente meglio. Il periodo del tirocinio è sceso a diciotto mesi, la novità può essere valutata positivamente, ma poi sono previsti la frequenza obbligatoria di un corso di formazione (del regolamento attuativo non vi è traccia e anche la disciplina sulle modalità si svolgimento dell’esame senza codici annotati entrerà in vigore tra due anni), il superamento di verifiche intermedie e finali e, infine, l’esame di stato.
Vogliamo dire che è inesatto parlare di “lacci e lacciuoli” o di “percorsi ad ostacoli” che imbavagliano i giovani che si affacciano alla professione? È catastrofismo populista o terrorismo psicologico? Il Consiglio Nazionale Forense, è utile saperlo, ha curato - nel triennio 2007-2010 - un’indagine (la prima) dell’Osservatorio Permanente sui Giovani Avvocati poiché convinto dell’assenza “di canali comunicativi verso l’istituzione e delle grandi mutazioni che l’avvocatura e il suo mercato di riferimento hanno subito negli ultimi anni”. Da qui, “l’esigenza di attivare nuove forme di conoscenza reciproca e di scambio di informazioni tra i giovani e la massima istituzione di settore, al fine di favorire una maggiore sensibilità verso le esigenze dei giovani, considerati oggi la fascia più debole della categoria”. Ammettiamo pure che “lacci e lacciuoli” che imbavagliano i giovani non siano presenti nella L. 247/12 ma qualcuno ci illumini e fornisca un esempio limpido e lampante del favor riconosciuto alle giovani generazioni in tema di ingresso ed accesso alla professione e dei criteri di valorizzazione del merito adottati nel corpo della legge e, magari, anche delle esigenze emerse e tutelate all’indomani dell’indagine conoscitiva sui giovani e nuovi avvocati.
La rappresentanza dell’Avvocatura La seconda riflessione verte sulla questione della rappresentanza dell’Avvocatura. Il 31 dicembre 2012 ha segnato la fine dell’esperienza dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura così come l’abbiamo conosciuto. L’art. 39 della L. 247/12 è lapidario: il congresso nazionale è la massima assise dell’avvocatura ed elegge l’organismo chiamato a dare attuazione ai suoi deliberati. Il Congresso di Venezia, il primo dopo la legge di riforma, non ha portato chiarezza sul punto, anzi: bocciate tutte le soluzioni proposte. Non credo che la bocciatura però sia il sinonimo della volontà di mantenere l’OUA così com’è.
La nascita dell’OUA è stata il frutto di una precisa e attenta elaborazione dell’Avvocatura, che muoveva da determinate condizioni sociali, numeriche e politiche del nostro mondo. Oggi le condizioni non sono più le stesse, tutto è cambiato, e, per di più, dall’approvazione della legge al congresso di Venezia del 2014 non si è avuto neanche il tempo (e forse neppure la voglia), prima, di metabolizzare l’idea di un organismo che nel corso di questi ultimi anni ha perso il senso della sua esistenza e delle finalità per le quali era nato e, poi, di ragionare in termini nuovi e di modelli che tenessero conto delle mutate condizioni. Una cosa è certa: “l’organismo” è previsto dalla legge professionale. Il nome forse ce l’ha o forse ancora no, manca l’idea o forse no. O, più semplicemente, mancano le persone su cui far camminare l’idea, il nome, l’organismo. La questione va affrontata, senza pregiudizi, e va risolta. Insomma, tirando le fila del discorso sull’ordinamento forense, la confusione regna sovrana. Ma la qualità della confusione è quella di permettere in ogni caso di agire, muoversi, dare un ordine a ciò che oggi ordine non ha. Rimanere impantanati non si può e non si deve. C’è bisogno di chiarezza, di progettualità e di un messaggio di incoraggiamento. E l’ottimismo, poi, non può e non deve mancare.
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L’Avvocatura di Calamandrei è morta 20 anni fa, oggi ci sono molte avvocature Di fronte al mantra delle liberalizzazioni la categoria è in trincea, incapace di preservare la natura del proprio lavoro e la capacità reddituale. di Mirella Casiello L’avvocatura di poche decine di migliaia di professionisti, con dei redditi medio alti, non esiste più. L’Avvocatura di Calamandrei è morta 20 anni fa, ne restano solo i valori: è un dato scontato, ma che viene spesso dimenticato, anche quando si parla di rappresentanza forense. Sono nate invece molte avvocature: del sud e del nord, delle città o della provincia, dei piccoli, dei medi o dei grandi studi, delle donne e dei giovani, con una presenza “rosa” sempre più massiccia. Ma anche delle imprese, della famiglia e del lavoro, dei penalisti e dei civilisti o degli amministrativisti, dello stragiudiziale o dei circuiti della magistratura laica. La storia degli avvocati italiani è il simbolo stesso della traiettoria di una classe media impoverita. Ma non basta: gli avvocati non sono più un riferimento delle nostre comunità, non sono più gli opinion leader dei principali mezzi di comunicazione. Sono un esercito, 230 mila unità, in costante crescita. Solo i medici hanno numeri simili, ma protetti, in qualche modo, dal numero chiuso e dall’ombrello del maggiore datore di lavoro italiano: il servizio sanitario pubblico. Direttive europee, libero mercato, università di massa, scarsa competitività del sistema-Italia, tardiva, e parziale, legge forense, ripetuti interventi spot sulla giustizia. In questo contesto, l’avvocatura è in un guado, da cui non riesce più ad uscire. E alla base di tutto ciò, l’irrisolto nodo sulla natura della professione forense: sogget-
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to costituzionale, con un ruolo fondamentale per la tenuta stessa del sistema di tutele dei diritti dei cittadini e delle imprese. Ma anche attività libero professionale sempre più equiparabile, almeno per le direttive europee, a una normale impresa. Questo il terreno che vede gli avvocati oggetto, da anni, e con governi di diverse estrazioni, di continui interventi di deregulation. Il mantra tanto dell’opinione pubblica, tanto dell’università, tanto del Parlamento è stato quello delle liberalizzazioni, e l’avvocatura…in trincea, con l’elmetto. Incapace di preservare la natura del proprio lavoro e la capacità reddituale. Ma è anche una categoria che assiste e subisce, in modo apatico, da anni, a un’esplosione della disillusione e dell’individualismo. Gli stessi elementi che alimentano l’antipolitica in Italia e in Europa. I numeri di partecipazione alle elezioni per i delegati alla Cassa
Forense o le percentuali di astensione a quelle degli ordini territoriali, sono il sintomo di questa crisi. In alcuni casi sono cifre da totocalcio o da riunione di condominio. Un altro parametro: molti avvocati in Parlamento, mediocre capacità di lobby. La relazione è quasi inversamente proporzionale. Infatti: governi di centrosinistra o di centrodestra o tecnici, il segno delle politiche degli Esecutivi in questi trenta anni sono sempre stati pregiudizialmente poco favorevoli o, addirittura, contro gli avvocati. Inutile fare la lista dei provvedimenti negativi e contrastati, con alterni risultati, fino ad oggi, ultimo in ordine di arrivo: il ddl Concorrenza, che ha un solo merito, non essere un decreto legge, come avveniva in casi analoghi in passato. In questo mandato e in questo contesto l’Oua vuole riuscire a contribuire a una seria riflessione sulla salute democratica e politica della categoria. Il Cnf, gli Ordini, l’Oua, la Cassa Forense, le Associazioni, scusate l’ironia, sono sembrate tante volte quasi “un’armata Brancaleone”. Come dimostra l’ultima vicenda, grottesca, del regolamento delle elezioni forensi. L’Oua, se consentite la semplificazione, è da un lato il “parlamento” dell’avvocatura dall’altro, in certi frangenti, il suo braccio esecutivo. Ha al suo interno diverse sensibilità, proprio quanto ne sono presenti nella stessa categoria. Questa è la ricchezza dell’Oua: non è il megafono di una o più persone, ma un soggetto collettivo che nel confronto cerca, se è possibile, momenti di sintesi, partendo sempre dalle mozioni approvate dalla massima assise della categoria: il Congresso nazionale Forense. Questo Organismo Unitario, che ha mosso i primi passi sospinto dalle idee di Colleghi che hanno dato lustro ad ANF, come il mio compianto concittadino Lucio Tomassini, ha intenzione di aumentare il dialogo e la partecipazione, coinvolgendo le associazioni e tutti i soggetti istituzionali, ma anche ascoltando le nuove istanze della professione, da quelle che emergono dai social network a quelle più tradizionali che scelgono il modello sindacale-associativo. Faremo, stiamo facendo, di questo biennio un esercizio costante di inclusività e democrazia. L’Organismo di rappresentanza politica dell’Av-
vocatura dovrà, appunto, partire dal recupero del rapporto con il territorio, caratterizzato da una forte differenziazione per reddito e per struttura organizzativa degli studi professionali. Dovrà curare i rapporti con le istituzioni forensi, nel reciproco rispetto dei differenti ruoli, e consolidare quelli con le associazioni che rappresentato l’avvocatura “di base” e le singole specificità professionali. In questi primi mesi si sono messi in campo diversi piani di proposte anche con un taglio “sindacale”, usando questo termine senza complessi di inferiorità, perché i colleghi chiedono risposte concrete su temi puntuali per la tutela del lavoro, affinché possano poi liberamente difendere i cittadini. In attuazione delle mozioni approvate al recente Congresso, si terrà in massimo conto la necessità di perseguire, con particolare tenacia, questi obiettivi: - dialogo con l’Avvocatura militante nei Tribunali di provincia, sia rafforzando il rapporto delegato/ territorio di appartenenza, sia prevedendo assemblee itineranti che favoriscano il confronto sulle specifiche problematiche dei territori, avendo cura tuttavia di non incidere sui costi; - scioglimento dei nodi in tema di società tra Avvocati e società multidisciplinari e specializzazioni; - tutela della maternità; - riconoscimento del diritto al giusto compenso per l’attività prestata in difesa nei non abbienti e nella difesa d’ufficio Ma si perseguiranno anche altre battaglie per il rilancio della professione forense, tra queste la richiesta di una: ● presenza degli avvocati negli Uffici legislativi; ● costante interlocuzione con il ministero di Giustizia su tutti i tavoli di riforma. ● tutela dei giovani in tema di accesso alla professione e di requisiti di permanenza negli albi, tenendo conto di una Italia variegata per numeri, strutture e reddito Crediamo quindi che l’impegno per il riconoscimento effettivo del ruolo costituzionale dell’avvocatura, in continuità con quanto fatto negli anni scorsi, non deve essere abbandonato. Rimane un obiettivo dell’Oua e degli avvocati italiani. Infine, una grande proposta di futuro: serve un serio patto intergenerazionale. Questa la sfida di un’avvocatura moderna che non si preoccupa solo
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L’Avvocatura di Calamandrei è morta 20 anni fa 56
di resistere alla crisi economica e ai cambiamenti della modernità ma che ha la volontà di governare il presente e costruire le basi per il futuro di una professione da anni in una situazione di stallo, se non di vera e propria decadenza. La categoria è lacerata e “balcanizzata”. Da un lato abbiamo un segmento di avvocatura che riesce a produrre qualità del lavoro e ricevere compensi brillanti, dall’altro un’enorme e crescente massa di avvocati con redditi bassi, anzi infimi. In mezzo una zona grigia di professionisti che vedono erodere sempre di più garanzie e spazi di mercato. Lo stato di salute e le difficoltà della stessa Cassa Forense testimoniano questa realtà, così come il proliferarsi di movimenti di base che contestano lo status quo, sfociando, talvolta, anche nelle semplificazioni populiste. Tutti assieme si esce da questa situazione, chi si separa e pensa di poter coltivare “il piccolo orticello” è perduto. È giunto il momento di trovare le basi di un grande accordo tra generazioni. Di cercare gli strumenti culturali e normativi per rilanciare e rendere il lavoro del “difensore” di nuovo centrale nella giurisdizione e fuori di essa, anche nei nuovi sistemi stragiudiziali, ma anche nella vita politica ed economica del Paese. La legge forense è sicuramente uno degli obiettivi di questa onda riformatrice, sono necessarie modifiche (già previste in sede congressuale contestualmente all’approvazione) che consentano di affrontare in modo agile nodi irrisolti come le società tra professionisti e la conquista di nuovi spazi di mercato. Ma anche che permettano di entrare nel circuito dei fondi strutturali europei per il sostegno alla professione. Quindi politiche di start up e sgravi fiscali o incentivi per chi costruisce percorsi intergenerazionali e per le pari opportunità nella nascita di nuovi studi legali. Un esempio: un avvocato affermato avrebbe tutto l’interesse, anche economico, a mettersi in società con i più giovani e le più giovani. Da verificare, inoltre, l’impatto di un “contratto di dipendenza”, con lo schema delle tutele crescenti, in un nuovo job acts declinato alle libere professioni. Tutti spunti che, con il sostegno della Cassa previdenziale, possono portare a una nuova avvocatura, coesa e meno precaria. Ma è necessario riprendere anche i temi più squisi-
tamente politici, che sono anche stati oggetto degli interventi in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario. C’è molto da fare sia sul penale che sul civile. Ddl Concorrenza, già più volte citato, responsabilità civile dei magistrati, prescrizione, corruzione, falso in bilancio, delega sul civile, carcere, sicurezza: solo per fare alcuni esempi. Ma anche su questioni di grande respiro come la tutela dei diritti umani anche sul fronte stesso dei fenomeni migratori. In Italia pare sempre più flebile la voce degli avvocati italiani; rimbocchiamoci le maniche, mettiamoci al lavoro e lasciatemi concludere con una delle ultime considerazioni di Lucio Tomassini : “..all’Organismo Unitario resta affidato il compito prioritario di tutelare e perseguire le scelte politiche operate dalla Avvocatura italiana. Alle Associazioni incombe il relativo onere di contribuire a tale tutela, supportando l’azione dell’Organismo Unitario ed operando con sagacia per il raggiungimento degli obiettivi fissati” Da soli, forse, si vince; ma insieme si va lontano !
Avvocati in tempi di crisi Cosa resterà dell’avvocatura italiana o meglio, chi sopravvivrà “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”
di Carmela Milena Liuzzi È di qualche giorno fa (24.03.2015) la dichiarazione del Direttore Generale per le politiche previdenziali e assicurative del Ministero del Lavoro, Dott.ssa Concetta Ferrari, che durante un’audizione dinanzi ai membri della Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza, nell’ambito di un’indagine conoscitiva sulla gestione del risparmio previdenziale da parte dei Fondi pensione e delle Casse professionali ha riferito che una fetta di Casse previdenziali private “non ha saputo rinnovarsi, nonostante la platea degli iscritti consenta un apporto notevole in termini di contribuzione” e, in parte, ciò è dovuto al fatto che, nell’attuale fase di crisi economica, “il mondo delle libere professioni, come il mercato del lavoro in generale, soffre dell’incapacità di creare opportunità occupazionali”. Ha concluso citando tra tali enti “storici” quello degli avvocati, la Cassa forense, che “ha un numero di iscritti (circa 200.000, ndr) così superiore alle possibili capacità, in questo momento, di erogare prestazioni pensionistiche adeguate nel futuro prossimo”. La dichiarazione ha destato più di qualche perplessità, soprattutto alla luce del fatto che, nel corso di un'intervista rilasciata ad ANF TV il Presidente di Cassa Forense, Avv. Nunzio Luciano, aveva definito la stabilità cinquantennale un’utopia, concetto che più volte era stato introdotto dai detrattori del sistema, con sommo disappunto da parte degli organi e dei tecnici dell’Ente
e che, per la prima volta, viene affermato invece dalla massima espressione dell’Ente previdenziale degli avvocati. Il tutto in un momento di grandi cambiamenti e di importanti riforme sul tappeto che si inseriscono tutte in un panorama più ampio in cui tutto… ma proprio tutto si tiene.
Il panorama normativo All’esito dell’approvazione della Legge 247/2012, Cassa Forense ha dovuto affrontare, in una fase delicatissima, quella del rinnovo del proprio Comitato dei Delegati, l’approvazione del regolamento ai sensi dell'art. 21 commi 8 e 9, che impongono la contestuale iscrizione albo/cassa, tanto che, una prima parte, fu approvata dal precedente Comitato e ripresa dal nuovo che lo ha definitivamente approvato nel gennaio 2015, nella prima seduta utile dopo l’insediamento e nell’ultimo giorno utile di cui alla delega. Tale regolamento si inserisce in un restyling più ampio della regolamentazione previdenziale forense, atteso che, nelle more hanno visto la luce anche: - il nuovo regolamento assistenza; - la modifica al vigente regolamento delle sanzioni (artt. 13 e 14), che ha introdotto la possibilità di regolarizzazione contributiva con modalità rateale, in caso di “regolarizzazione spontanea” o “accertamento per adesione”, fino a tre anni (ovvero cinque per morosità più consistenti) il debito contributivo, con oneri aggiuntivi estremamente ridotti; - il nuovo regolamento per il riscatto. Cerchiamo di esaminare le dette discipline, con un ottica di coordinamento delle stesse nel panorama economico-sociale in cui si muove l’avvocatura, in un momento particolarmente grave dal punto di vista reddituale e particolarmente acceso, dal punto di vista dello scontro generazionale. Il tutto nell’attesa di conoscere quali potranno essere le ricadute sul sistema dell’approvazione di un altro regolamento, previsto dalla Legge 247/2012, quello della continuità professionale, ai sensi del comma 1 dell’art. 21. Non è indifferente, infatti, la circostanza che la previsione della
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regolarità contributiva quale causa di cancellazione automatica dall’albo venga confermata, alla luce del consistente debito contributivo dei colleghi che, da quanto emerge dallo Stato Patrimoniale di Cassa Forense disponibile (al 31.12.2013), alla Voce Crediti Verso iscritti e concessionari, reca un ammontare di € 728.756.709,00.
Il Regolamento assistenza
Avvocati in tempi di crisi
Cassa Forense, da tempo però, aveva annunciato che il disagio dell’avvocatura italiana sarebbe stato in parte mitigato da nuove e importanti misure di welfare. Ed infatti, all’esito dell’approvazione da parte del Comitato dei Delegati, nella seduta del 9 gennaio 2015, l’Ente si è speso nell’annuncio che 60 milioni saranno a disposizione dei colleghi in difficoltà economiche, così come prestazioni a sostegno della famiglia, della salute e della professione. Certamente, il nuovo regolamento costituisce un passo in avanti nel tentativo di sovvertire il concetto
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di assistenza passiva e, cd. “a pioggia”, passando ad un welfare attivo. Quattro sono le macroaree di intervento: 1. in caso di bisogno 2. a sostegno della famiglia 3. a sostegno della salute 4. a sostegno della professione La vera novità appare proprio quest’ultima categoria che, per indicazione della Cassa va suddivisa in tre sottogruppi: • iniziative in favore di tutti gli iscritti • iniziative in favore dei giovani • iniziative in favore degli avvocati iscritti attivi alla Cassa, percettori di pensione di invalidità. Si tratterà di convenzioni stipulate al fine di ridurre i costi e agevolare l’esercizio della professione; di agevolazioni per accesso al credito, anche mediante la cessione del quinto della pensione; di agevolazioni per la concessione di mutui; di contributi o convenzioni per la fruizione di asili nido e scuole materne e ogni altra iniziativa finalizzata a conciliare al meglio
l’attività lavorativa con gli impegni familiari. E, per quanto riguarda gli interventi in favore dei giovani, avrà ad oggetto agevolazioni per l’accesso al credito finalizzato all’avviamento dello studio professionale o per la costituzione di nuovi studi associati o società tra professionisti; corsi di formazione; borse di studio per l’acquisizione di specifiche competenze professionali, del titolo di specialista e di cassazionista. Certamente quanto contenuto in questa normativa può essere d’aiuto ad avvicinare l’Ente all’iscritto. Molta strada, però, deve essere ancora fatta affinchè Cassa Forense possa davvero considerarsi sul cammino del Welfare attivo, anche in considerazione del fatto che, forse è davvero arrivato il momento della riflessione su un tema molto acceso ed importante: quello dei diritti acquisiti e della difficoltà di coloro che devono acquisirli e che, al contempo hanno il carico degli altri.
I minimi contributivi Un tema molto dibattuto, infatti, è quello dei minimi contributivi slegati dal reddito effettivo che determina in tanti giovani e meno giovani, non poco disagio. E, se è vero che le agevolazioni come previste dal nuovo regolamento per i contributi, consentono di avvicinarsi alla propria previdenza con un versamento annuale minimale, è altrettanto vero che per coloro che non possano usufruire di alcuna agevolazione e che rappresentano anche i diversi modi di esercitare la professione, gli attuali minimi rappresentano una posta importante del budget professionale. Senza scadere nel facile populismo di ritenere che i vecchi abbiano rendite di posizione a scapito dei giovani, i dati reali ed oggettivi del sistema previdenziale, per come si è evoluto, consegnano una problematica reale sul calcolo della contribuzione minima. E, sebbene il versamento alla gestione separata INPS era commisurato in percentuale tale da essere molto simile alla percentuale che il minimo rappresenta rispetto al reddito medio di € 10.000,00, è altrettanto vero che nel sistema della gestione separata, non esistendo un minimo, la percezione del professionista iscritto era del tutto differente. I minimi attuali, è noto, sicuramente hanno la ratio di copertura quasi integrale della pensione minima,
ma non può sottacersi che, nella loro entità, hanno necessariamente risentito del fatto che gli introiti dovessero altresì garantire quelle pensioni già maturate, con un sistema tale per cui l’iscritto versava più o meno il 50% di quello che avrebbe percepito e la restante parte era a totale carico della solidarietà. V’è di più! Il meccanismo che è stato creato dal nuovo regolamento ex art. 21 commi 8 e 9 ha determinato, ovvero certamente determinerà, la trasformazione di un istituto residuale come quello della pensione contributiva, in un istituto che riguarderà tanti, ad esempio, coloro che non recupereranno la metà dell’anno, ovvero i famosi 56.000 di cui tanti avanti negli anni, con la conseguenza che la tanto sbandierata volontà di non creare un “doppio sistema”, neppure su base volontaria, è smentito da quanto si andrà a verificare nei fatti. Forse, meglio, sarebbe stato prevedere quel doppio sistema, su base volontaria, con possibilità di transito dall’uno all’altro in corsa, per garantire ad ognuno la pensione sperata, nell’ambito del sistema prescelto, con una precisa manifestazione di volontà. E naturalmente, questa problematica diviene ancora più pregnante, laddove, come nella premessa iniziale, qualcuno, particolarmente competente affermi che taluni Enti Previdenziali, tra cui il nostro, “hanno un numero di iscritti (circa 200.000, ndr) così superiore alle possibili capacità, in questo momento, di erogare prestazioni pensionistiche adeguate nel futuro prossimo”.
Il regolamento per il riscatto Il quadro normativo si completa, poi, con una normativa di assoluto favore, che però, a tanti è apparsa l’ennesima regolamentazione finalizzata a tutelare gli avvocati ricchi, a scapito di quelli poveri. È di qualche giorno fa, infatti, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo Regolamento per il riscatto deliberato nel dicembre scorso dal Comitato dei Delegati di Cassa Forense. Le novità introdotte riguardano soprattutto le modalità di pagamento dell’onere del riscatto: i richiedenti potranno rateizzare l’importo residuo per il riscatto di annualità di iscrizione fino ad un massimo di dieci anni, (in passato tale termine fino a cinque anni). L’ulteriore novità è il favorevole tasso di interesse ridotto dall’originario 4% al 2,75%. Va aggiunto, altresì, che
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gli anni per i quali è stato esercitato il riscatto comporteranno un aumento di anzianità di iscrizione e contribuzione pari al numero degli anni riscattati. Inoltre, sarà possibile riscattare gli anni relativi al corso di laurea, al praticantato con o senza abilitazione e all’eventuale servizio militare prestato. Infine le nuove norme saranno applicabili, a richiesta dell’interessato, anche alle domande di riscatto già presentate, per le quali non sia ancora scaduto il termine per il pagamento della prima rata. Seppure sia indubbio la portata dell’istituto, la normativa interviene in un momento particolarmente gravoso per l’avvocatura e presta il fianco ad ulteriori polemiche, sull’impossibilità di accedervi se non per una parte di coloro che già hanno goduto di altri benefici. La sterilità delle argomentazioni è evidente, non potendo bocciarsi una misura, perché in questo momento storico l’avvocatura italiana sta vivendo un momento drammatico. Momento ben chiaro a Cassa Forense che, nella seduta del 17 aprile, ha annunciato di voler adottare delle misure anti-crisi economica che potrebbero interessare una larghissima platea di legali, attualmente chiusi da una inarrestabile contrazione dei ricavi. La misura al vaglio dovrebbe essere quella di estendere, a tutti gli iscritti, che dimostreranno di essere percettori di redditi al di sotto dei parametri e per gli iscritti tenuti al solo pagamento dei contributi minimi, a prescindere dall’età e dalla anzianità di iscrizione, le agevolazioni previste dal regolamento di attuazione della legge forense, quindi: – Contributo soggettivo minimo al 50% nei primi 6 anni di iscrizione alla Cassa se la stessa decorre da prima dei 35 anni di età; – Contributo integrativo minimo non dovuto per i primi 5 anni di iscrizione all’Albo più contributo integrativo minimo ridotto al 50% per ulteriori 4 anni se l’iscrizione alla Cassa decorre da prima del 35° anno di età. Non è dato ancora sapere se la misura avrà una portata “contingente”, limitata pertanto a un periodo circoscritto di anni, ma è indubbio che sotteso a questo progetto ci sia, da un lato la presa d’atto di Cassa Forense, del grave disagio economico che patisce l’avvocatura italiana e dall’altro il tentativo di dare una boccata di ossigeno in tempi di crisi economica,
in attesa – e nella speranza – che le cose possano presto cambiare, anche nell’ottica di scongiurare la portata deflattiva, insita nel regolamento sulla continuità professionale, in materia di cancellazione automatica dall’albo per tutti quei professionisti che non riusciranno a far fronte agli impegni contributivi.
Ma, avremo la pensione? All’esito di questa rassegna regolamentare, il lettore potrebbe chiedersi se abbiamo risposto alla domanda iniziale, cioè se il sistema garantisce la nostra pensione. In realtà, tutto, o molto, passa da un giudizio prognostico, fondato su dei numeri oggi più che mai in evoluzione. La platea dei protagonisti è già cambiata e sta cambiando di ora in ora e i numeri dell’avvocatura, sia come densità di iscritti, sia come volume reddituale complessivo è un dato troppo in divenire, rispetto alla portata rivoluzionaria dell’art. 21 L.247/2012 sull’intero sistema. Oggi, o meglio al 31.12.2013, gli iscritti alla Cassa erano circa 177.000. Dei 53.000 avvocati iscritti all’Albo, ma non iscritti all’Ente solo circa 5.000 si sarebbe già cancellato. Se tale dato fosse confermato, gli avvocati italiani, presto si assesteranno in 220.000 circa. Siamo tanti? Siamo troppi? Guadagniamo poco? Ovvero la concentrazione reddituale è nelle mani di pochi? Ed infine, che portata, avrà poi la regolamentazione delle STP, una volta che la normativa entrerà in vigore? Volutamente questa lunga riflessione e questo intersecarsi di temi, si conclude con una serie di domande, senza risposta. Il Congresso che ANF si appresta a celebrare tenterà di riflettere su questi temi, con l’auspicio di individuare efficaci percorsi di crescita della professione. Occorrerà pertanto farsi carico di quelle sfide che possano condurre all’uscita dalla crisi profonda dell’avvocatura italiana, con la consapevolezza che, solo con un cambio di passo, si può trasformare la battaglia della sopravvivenza nella riaffermazione della dignità professionale forense. Facendo un bagno di verità e senza nascondere nulla di quanto è a nostra conoscenza.
Antitrust e professioni: strabismo o cecità vera e propria? Il rischio di un vero e proprio corto circuito tra amministrazione e giurisdizione di Giuseppe Colavitti Pochi giorni or sono, il Governo ha presentato il documento di economia e finanza (DEF) per il 2015. Nella Sez. III del DEF, recante il Programma nazionale di Riforma si fa menzione, alla voce “Altre misure settoriali a tutela della concorrenza” (pp. 200-203) della sanzione irrogata dall’AGCM al Consiglio Nazionale Forense, assunta come (fulgido) esempio di “particolare rilievo” delle attività di enforcement della disciplina di protezione della concorrenza, portate avanti dall’AGCM. Siamo proprio sicuri che la salatissima sanzione (quasi un milione di euro) vada ricordata tra le pagine migliori scritte dall’Authority? Chi scrive pensa di no. Pensa anzi che si sia trattato di un passo falso. Vediamo perché. Il provvedimento sanziona due presunte violazioni: la presenza delle vecchie tariffe (ormai superate dai parametri, funzionalmente identici, ma dal nome evidentemente più rassicurante) su una banca dati di un editore giuridico linkabile dall’home page del sito CNF; un parere rilasciato su richiesta di un ordine forense locale e dedicato a forme di acquisizione della clientela mediante terzi retribuiti, nella specie di piattaforme digitali. Quale sia la lesività concreta di questi due atti per gli iscritti negli albi è arduo comprendere: a) le banche dati corrette devono riportare le vecchie tariffe perché, come insegna la Cassazione, le stesse sono ancora applicabili per le prestazioni (qualificate come diritti) rese nel periodo di vigenza (Cass.
Civ., sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17406); b) un parere è un atto ontologicamente non vincolante, e nel caso di specie nessuna sanzione disciplinare è seguita al parere. Il contenuto dell’atto non fa altro che riepilogare sul punto la giurisprudenza disciplinare formatasi al riguardo, e composta sia da pronunzie del CNF (com'è noto, giudice speciale), sia da numerose pronunzie della Corte di cassazione a sezioni unite. Forse l’AGCM vuole sindacare anche l’operato dei giudici? È impossibile, dirà il lettore. E invece no, è possibile: qualche anno fa, l'AGCM chiese un parere al Consiglio di Stato, assumendo di poter qualificare come atti restrittivi della concorrenza anche le sentenze del CNF, che giova ricordare, sono ricorribili in Cassazione. Forse senza troppo riflettere sulle conseguenze in ordine all’autonomia della giurisdizione da altri poteri (compresi quelli delle Authority). E il Consiglio di Stato ha risposto ovviamente di no: i poteri cognitivi e sanzionatori dell’AGCM dovrebbero arrestarsi di fronte alla giurisdizione (Consiglio di Stato, sez. I, parere 27 dicembre 2010, n. 5679).
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Antitrust e professioni
Lo strabismo più clamoroso: l’apprezzamento per il DPR 137/2012 e gli strali dedicati al nuovo ordinamento forense
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Poco comprensibile è peraltro anche quello che scrive l’AGCM nella relazione annuale al Parlamento, atto che ha costituito la base del disegno di legge governativo annuale in materia di concorrenza, con poca accortezza, evidentemente, per il regime di separatezza ed indipendenza che dovrebbe invero segnare i rapporti tra Autorità e Governo. I 4/5 delle pagine sui servizi professionali sono dedicati alla professione forense ed al nuovo ordinamento forense. Quasi che, battuta una prima volta in Parlamento, l’AGCM abbia ora voglia di rivincita. Ma soprattutto suona paradossale che l’AGCM nulla abbia da eccepire, sotto il profilo concorrenziale, a proposito del DPR 137/2012, la riforma delle professioni operata dal Governo Monti, e definita dall’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà, una “riforma epocale”. Par di capire, anzi, leggendo la relazione, che quella riforma piaccia alla Autorità. Nonostante il fatto che, in forza di quella normativa, tutti i soggetti che vogliano erogare formazione continua (pubblici o privati, si badi, comprese le Università!) debbano farsi autorizzare dal Consiglio nazionale della categoria, previo parere vincolante del Ministro vigilante. Ebbene sì, avete letto bene: chi vuole organizzare ad esempio un evento formativo per gli assistenti sociali deve essere autorizzato dal Ministro della giustizia. Altrimenti chi frequenta il corso non matura crediti spendibili come adempimento dell'obbligo di formazione permanente. Che questa sia una liberalizzazione è invero arduo da comprendere. Del resto il DPR 137/2012 è ricco di norme analoghe. Tutti gli spazi di autonomia normativa concessi alle professioni dalla
legge che autorizzava la delegificazione sono stati infatti oggetto di una vera e propria torsione autoritaria: i regolamenti dei CN sono soggetti al parere vincolante del Ministro vigilante; un CN che ha la sfortuna di essere soggetto a due ministeri vigilanti ha avuto per mesi un regolamento fermo, perché non si trovava la richiesta di parere, e non si capiva quale dei due ministri dovesse rilasciarlo (un vero incubo burocratico!). Ecco, su tutto questo neanche una parola. Sulla legge professionale degli avvocati, invece, un diluvio di strali.
Il cortocircuito tra giurisdizione, ministero vigilante e autorità antitrust L'impressione dell'osservatore documentato è che la questione delle questioni sia appunto l’autonomia normativa e deontologica delle categorie, e degli avvocati in particolare. Quello che l’AGCM sembra non riuscire a comprendere è che esiste una tradizione giuridica italiana “antica e prestigiosa” (G. Alpa) ma anche una vera e propria tradizione costituzionale comune europea, radicata soprattutto nei Paesi di tradizione continentale, per cui sono le comunità professionali, nel rispetto della legge, ad elaborare i codici di condotta, perché sono loro – e non lo Stato, od una sua articolazione più o meno indipendente – ad essere depositarie dell'identità culturale e professionale delle categorie. Se così non fosse risulterebbe pregiudicata la libertà professionale, che ha una dimensione individuale, riferibile al singolo iscritto nell'albo, ed una collettiva, riferibile a quella comunità ordinata secondo diritto che è appunto l'ordine professionale. L'ordinamento italiano tutela ancora questa autonomia? Può o non può la categoria (rectius, il suo ente esponenziale) ritenere che un certo modo di acquisire clienti - ad esempio farlo attraverso terzi mediatori e procacciatori retribuiti, in carne e ossa o virtuali che siano - sia deontologicamente corretto o meno? Per l’AGCM, non può farlo. Per l'AGCM pagare un terzo per portare clienti va bene, anche se è probabile che alteri, drogandola, la domanda di servizi professionali, con evidenti ricadute sui volumi del contenzioso, che in Italia, notoriamente, non sono piccoli. Chissà cosa ne pensa il Ministro della Giustizia. Chissà cosa ne pensa il Parlamento. Qualche mese fa un parla-
mentare ha rivolto un’interrogazione ai ministri della salute e della giustizia, per sapere quali iniziative loro e gli ordini interessati intendessero assumere rispetto a pubblicità professionali estremamente aggressive e di stampo commerciale, volte ad attirare potenziali clienti con promesse più o meno fondate di facili e lucrosi risarcimenti. E il Ministero della Giustizia ha giustamente rivolto la domanda al CNF. Prudentemente (la sanzione non era ancora stata comminata, ma il procedimento era in corso) il CNF ha girato la domanda all’AGCM, che, com'è noto, ha competenze anche in materia di pubblicità commerciale. Per l’AGCM la pubblicità va ovviamente benissimo. A questo punto, se il CNF o la Federazione dei medici si esprimessero diversamente in base alla propria autonomia deontologica, sarebbero certamente esposti agli strali conseguenti, e, visti gli ultimi eventi, a sanzioni milionarie! Un vero e proprio strabismo dell’ordinamento: il CNF e gli ordini forensi sono già sottoposti alla vigilanza (esclusiva, dice l’art. 24, ord. for.) del Ministero della Giustizia; le decisioni disciplinari che assumono sono sottoposte alla verifica delle sezioni unite della Corte di Cassazione. Cosa accade se le valutazioni divergono, e talune linee di indirizzo giurisprudenziale, pur consolidate al massimo livello della espressione nomofilattica, divergono da quelle proprie dell’AGCM? Non coglie l’AGCM il rischio di un vero e proprio corto circuito tra amministrazione e giurisdizione? E, restando sul terreno amministrativo, quale amministrazione deve prevalere, tra quella (indipendente) preposta alla tutela dell’interesse concorrenziale, e quella (governativa, e quindi politicamente responsabile) preposta alla cura degli interessi pubblici ad una efficiente amministrazione della giustizia ed al corretto esercizio della professione forense?
▲ Anche Google deve fare i conti con l'antitrust
Avvocati e consumatori: chi paga veramente la sanzione antitrust Un cenno ulteriore merita l’abnorme sanzione comminata. Al di là della misura - viene il sospetto che l’AGCM abbia scambiato il CNF per una multinazionale, tanto è vero che la decisione richiama paradossalmente il “fatturato”, e il CNF, ente pubblico, non emette fatture! - vi è un problema di fondo che l'AGCM evidentemente non riesce a vedere. Quando l’AGCM sanziona il comportamento anticoncorrenziale di un’impresa, protegge l’interesse dei consumatori ad acquistare un bene e/o un servizio in un mercato libero ed in concorrenza: l’impresa risponde del vulnus causato ai consumatori e all’interesse generale attraverso la sanzione subita. Ma chi dovrà pagare la multa del CNF? Di chi sono i soldi del CNF? Sono degli avvocati italiani. Colpendo il CNF, l’AGCM colpisce gli stessi soggetti che assume essere stati lesi dal comportamento del CNF. Diversamente dall’AGCM, che grava sulla fiscalità generale, il Consiglio nazionale forense non è finanziato dallo Stato, ma solo dagli iscritti negli albi forensi: sono i soldi degli avvocati quelli che l’AGCM chiede di pagare. Avvocati colpiti due volte, dunque: una prima volta dal proprio ordine, una seconda volta dalla multa antitrust. Se il CNF fosse costretto ad un assestamento di bilancio per pagare la sanzione, potrebbe dover aumentare la contribuzione gravante sui singoli avvocati. Un'altra controprova dell'assurdità della pretesa di applicare alle professioni, senza alcuna proporzionata modulazione, la logica e gli strumenti antitrust elaborati per le imprese.
Il nodo cruciale: autonomia deontologica e libertà professionale Gli strabismi descritti impediscono evidentemente all’AGCM di comprendere la questione dell’autonomia deontologica. Eppure l’autonomia deontologica è stata segnalata da tempo come uno dei frutti più preziosi del pluralismo giuridico. È un tema caro alla dottrina giuridica italiana, anzi, a ben vedere, è un elemento proprio dell'esperienza giuridica italiana ed europea. Già Sandulli riconosceva negli ordini professionali i fenomeni giuridici dell'autarchia, dell'autonomia e dell'autocrinia. “L'autonomia (…) ha forse la più squisita e gelosa espressione nella cre-
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azione spontanea e nella elaborazione dei precetti di deontologia professionale, che la partecipazione attiva dei singoli professionisti alla vita di relazione viene foggiando di giorno in giorno per l'intera categoria, e questa, a propria volta, ricerca, enuclea e proclama in occasione delle pronunce dei propri organi sui ricorsi che è chiamata a decidere, sì da dare ai precetti stessi, attraverso il formarsi della casistica, la consacrazione di vero e proprio codice deontologico”. Sicché, proseguiva Sandulli, se quello in esame “è, senza dubbio, uno dei campi in cui con maggior compiutezza e spontaneità si è realizzato il fenomeno del decentramento istituzionale”, il merito di ciò va ascritto alle risorse degli “ordinamenti democratici” così come “al vigore delle tradizioni e all'elevatezza della sensibilità sociale degli appartenenti ai gruppi professionali”. Sarebbe difficile trovare parole più appropriate per indicare la sicura collocazione dell'autonomia deontologica tra le prerogative di libertà di gruppo più coerenti con l'impianto plurale e democratico della forma di Stato disegnata dalla Costituzione (P. Ridola). Più di recente, in uno dei suoi ultimi scritti, Francesco Galgano ha valorizzato l'elaborazione deontologica in collegamento con la migliore tradizione giuridica italiana in tema di comunità intermedie e pluralità degli ordinamenti giuridici, da preservare rispetto ad una “visione statalistica del diritto, che è un portato del positivismo giuridico, la quale non concepisce altro diritto che non sia il diritto dello Stato, e non sa immaginare altra comunità organizzata che non sia lo Stato-comunità”. E l'autonomia deontologica è a ben vedere garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia del singolo avvocato, valore giuridico necessario ad una società democratica, presupposto per un pieno esercizio del diritto di difesa, e precondizione per la libera interpretazione del diritto (E. Lupo). Lo ha detto la Corte di Giustizia, non l’ordine degli avvocati, solo due anni or sono (Corte di Giustizia, VIII sez., 6 settembre 2012, in cause riunite C-422/11 P e C-423/11 P). La decisione concerneva i “consulenti giuridici”, che per la legge polacca possono rappresentare di fronte al giudice l’ente del quale sono dipendenti. Il custode dei Trattati ha invece escluso che tali soggetti possano assumere il patrocinio del proprio datore di lavoro di fronte ai giudici dell'Unione, perché privi di sufficienti autonomia ed indipendenza; dare loro il patrocinio contrasterebbe con la “concezione del
ruolo dell’avvocato” propria delle tradizioni giuridiche comuni ai Paesi membri dell’Unione, e recepite dalle fonti comunitarie per cui “costui (l’avvocato, ndr) è chiamato a collaborare con la giustizia e a fornire, in tutta indipendenza e nell'interesse superiore di quest'ultima, l'assistenza legale di cui il cliente ha bisogno”. Chi può ricevere istruzioni dal datore di lavoro ed è a questi legato da un vincolo giuridico di subordinazione non gode della libertà professionale nella misura in cui deve goderne un vero e proprio avvocato che, se non è libero - ci dice la Corte di Giustizia - appunto avvocato non è. È questo in fondo il nucleo portante di quel diritto di libertà professionale proclamato dall'art. 15 della Carta dei diritti, ma del tutto ignorato dalla strabica AGCM. Vi è un collegamento evidente tra dimensione individuale della libertà professionale e dimensione collettiva di essa. Un avvocato non può essere autenticamente libero ed indipendente dai poteri pubblici e privati e dunque anche dal cliente, se l'ordine degli avvocati non ha un certo grado di autonomia, pur se soggetto alla vigilanza del Ministro della Giustizia. Colpire l’autonomia (deontologica e non solo) dell'ordine forense significa colpire l'indipendenza del singolo avvocato. L'indipendenza, questo è il problema centrale. Certo, se si vogliono avvocati dipendenti (di grandi imprese, di clienti ricchi, di altri avvocati, di soci di capitale e così via) il discorso può essere diverso . Decidere però se lo statuto normativo dell'avvocato debba salvaguardarne l’indipendenza è affare troppo importante per lasciarlo all’AGCM: è questione che riguarda il Parlamento. Nel quadro giuridico e valoriale fornito dalla Costituzione.
Gli Avvocati raccolgono la sfida Un Congresso non si improvvisa, soprattutto quando giunge in momenti del tutto significativi quali quelli che la giustizia italiana sta vivendo e con essa l’avvocatura. L’appuntamento di Bergamo è stato preceduto da tre eventi di grande qualità ed interesse nei quali l’ANF ha affrontato ed approfondito, con qualificati interlocutori, alcuni dei temi più rilevanti del momento e sui quali più acceso è il dibattito.
Quale effettivo stato di diritto Da Strasburgo1 a Strasburgo 2, alla ricerca del tempo perduto Un quadro analitico e rispondente, e per certi versi anche sconfortante, dello stato della giustizia nel nostro Paese è quello emerso dall’incontro tenuto il 26 febbraio a Roma, su iniziativa dell’Associazione Nazionale Forense. In sala, oltre ad Ester Perifano (Segretario Generale ANF), personaggi di spicco del mondo della giustizia: Mario Barbuto, capo del dipartimento dell’Organizzazione della Giustizia al Ministero di Giustizia, Claudio Castelli, responsabile dei processi di innovazione del Tribunale di Milano, Mauro Bove, Ordinario di diritto processuale civile all’Università di Perugia, Luigi Pannarale, Ordinario di sociologia del diritto all’Università di Bari ed Angelo Santi, responsabile del Coordinamento degli Organismi di Conciliazione forense, con Andrea Noccesi, del Direttivo Nazionale ANF, in veste di moderatore. Mario Barbuto, ideatore nel 2001, quando era alla guida del tribunale di Torino, del cd. “progetto Strasburgo”, diretto, con buoni risultati, allo smaltimento dei processi arretrati, ha illustrato i risultati i dati del cd. “progetto Strasburgo 2”, un censimento speciale sulla giustizia civile, finalizzato a superare il tradizionale approccio al volume complessivo delle
pendenze, con un’analisi di tipo selettivo con l’utilizzazione di 23 parametri di misurazione. Ed i dati snocciolati dall’attuale Direttore del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, se da una parte hanno reso possibile avere un quadro chiaro della situazione, dall’altra hanno lasciato chiaramente intendere le ragioni per cui le recenti riforme del processo civile sono state caratterizzate tutte dal criteri deflattivi e nulla più. Un pessimismo ancora maggiore sul fronte dello smaltimento dell’arretrato lo ha manifestato Claudio Castelli, che se ne era occupato in precedenza e che ora è responsabile del settore innovazione al Tribunale di Milano. Anche il PCT, per tutte le criticità che va evidenziando, ha lasciato capire Castelli, non servirà a molto, occorrono anche e soprattutto investimenti indispensabili quanto a risorse umane e finanziarie. Ha calcato la mano il vulcanico Prof. Bove, invitando il legislatore a “lasciare in pace” il codice di procedura civile e fare in modo che lo spirito Chiovenda non debba continuare a rivoltarsi contro riforme disorganiche che non possono in alcun modo risolvere da sole i problemi del mostruoso arretrato. Le soluzioni al dissesto vanno cercate altrove, inutile sperare di poter risolvere i problemi con riforme a costo zero. Angelo Santi ha risposto adeguatamente alle provocazioni sulla validità ed opportunità delle procedure alternative di risoluzione delle controversie, ossia mediazione e negoziazione. Il diritto, ha precisato, è e resterà un punto di riferimento imprescindibile per l’avvocato, ma talora solo la sua attuazione attraverso un percorso negoziale o mediativo può assicurare una reale soddisfazione degli interessi delle parti. Il sociologo Pannarale ha da parte sua fornito spiegazioni a significative dinamiche nel rapporto tra giustizia, politica e diritti del cittadino. MP
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Avvocati pronti alla sfida delle liberalizzazioni
Gli Avvocati raccolgono la sfida
C’è da ripensare a ruolo e funzioni del professionista in una logica di propositività
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Un confronto interessante, vivace e ricco di spunti forieri di aperture e sviluppi, è stato quello del 25 marzo a Roma all’auditorium di Cassa Forense, con la partecipazione di Daniela Paradisi del MISE (Uff. promozione della concorrenza e semplificazioni per le imprese), Luca Venditto (Uff. legislativo del Ministero della Giustizia), Walter Militi (Cassa Forense), Nicoletta Giorgi (Presidente AIGA), Ester Perifano (Segretario Generale ANF) e Paolo Cassinis (Direzione Affari Giuridici dell’AGCM). Sul tavolo il disegno di legge sulle liberalizzazioni, con una nuova attenzione alle società tra professionisti, un modello che potrebbe cambiare il modo di intendere la professione nel prossimo futuro, argomento che vede l’avvocatura divisa in due fronti. Da una parte il CNF, drasticamente contrario a questa eventualità, contrastata da sempre e senza alcuna possibilità di apertura sia relativamente alla multidisciplinarietà che alla presenza di soci di capitali negli studi professionali. In mezzo l’OUA, avverso alla previsione dell’articolo 4 bis così come formulata (che introdurrebbe la possibilità dell’esercizio nella forma di una società di capitali pura e semplice). E ciò per il rischio di un totale assoggettamento degli avvocati operanti all’interno della nuova forma societaria ai cosiddetti poteri economici forti, con conseguente spersonalizzazione e/o massificazione dell’attività professionale forense, nonché con potenziale o concreta moltiplicazione dei conflitti d’interesse palesi e occulti. Dall’altra parte l’ANF e l’AIGA, che hanno evidenziato posizioni caratterizzate da maggiore apertura, come ha fatto presente Ester Perifano, che pur scartando l’idea di una deregulation spinta del settore, non ha escluso l’ipotesi che possano esserci soci anche di capitale, purché la loro partecipazione sia accurata-
mente regolamentata in modo da lasciare la gestione e le scelte sociali interamente nelle mani dei soci professionisti. Ma su questo ed altri aspetti del ddl concorrenza Perifano ha sottolineato l’importanza di aprire immediatamente un’interlocuzione approfondita sia con il Ministero dello Sviluppo economico che con quello della Giustizia, per arrivare a uno statuto autonomo dell’avvocatura che disegni un sistema moderno e affidabile, ma rispettoso delle specificità che la professione forense richiede per il suo rango costituzionale. Nicoletta Giorgi, per l’AIGA, ha da parte sua sottolineato che l’avvocatura oggi non può permettersi di arrivare in ritardo su certi temi, lasciando che siano altre mani a tenere il timone e la rotta del cammino dell’avvocatura, come pure non può chiudersi di fronte alle nuove esigenze della società. C’è da ripensare al ruolo ed alle funzioni del professionista. Alle questioni sollevate da ANF e AIGA hanno prestato molta attenzione sia il referente del Ministero della Giustizia, Venditto, che forse da questo confronto, nel quale ha evidenziato gli intendimenti, la posizione e le finalità del Dicastero nel portare avanti il disegno di legge, ha tratto interessanti elementi, frutto una volta tanto di un atteggiamento più dialogante che di aprioristica rispettiva chiusura come troppo spesso è avvenuto in passato. Ha però ribadito a chiare lettere la necessità di essere propositivi, capire se ed in che modo questo ddl può incidere sulla professione e mettersi anche dalla parte di chi riceve il servizio, ossia il cittadino. MP
I Fondi Strutturali Europei scoprono i professionisti Da corporazione a bacino occupazionale Nel sottotitolo la sintesi di quanto emerso il 17 aprile al convegno organizzato a Roma per illustrare “Le
I protagonisti della tavola rotonda su "Quale effettivo stato di diritto" ▲
versità/lavoro, l’uguaglianza di genere, l’eliminazione delle discriminazioni, le pari opportunità. L’interlocuzione con le Regioni è dunque il punto strategico di concertazione per l’utilizzo dei Fondi. Sebbene l’Avvocato italiano sia restio a definirsi “imprenditore”, scontando pregiudizi culturali e la pigrizia di una classe dirigente miope e abbarbicata a una figura retorica del legale, l’Europa oggi riconosce gli Avvocati nella categoria delle P.M.I. con l’unico avvertimento che i Fondi programmati per il 2014/2020 non saranno ripetibili per il comparto. Occorre quindi un’informazione capillare sui F.S.E., come suggerito dalla Dott. Ottavia Trifirò della Segreteria Tecnica Adepp, che ha illustrato i requisiti per l’accesso sgombrando il campo dall’idea che possa farlo direttamente il singolo Professionista. L’Europa ha deciso di evitare elargizione incontrollate dei Fondi ai singoli e impone un accreditamento ai soggetti richiedenti che devono dimostrare di saper “fare rete” tra i destinatari delle risorse europee. Sul punto sono intervenuti il Dott. Andrea Dili, Presidente di ConfProfessioni Lazio e l’Avv. Palma Balsamo, Presidente di ConfProfessioni Sicilia e Consigliere Nazionale ANF. Ricordando che ConfProfessioni partecipa dal 2013, quale parte sociale, al livello nazionale di concertazione per i FSE, avviata dal Ministero per la coesione territoriale del governo Monti con la guida del Ministro Fabrizio Barca che per primo monitorò la programmazione interna per la distribuzione dei fondi europei. L’Italia è però ancora in grave ritardo nell’erogazione dei FSE che risultano utilizzati solo per 60%. Come sintetizzato da Palma Balsamo, occorre educare all’imprenditorialità i liberi professionisti e, in particolare, gli Avvocati italiani che nel contesto europeo rischiano di scontare il grave gap di arretratezza strutturale rispetto ai Colleghi europei che hanno da tempo scelto forme di aggregazione professionale più rispondenti alle esigenze del mercato dei servizi legali. Se i F.S.E. hanno scoperto i Professionisti tocca ora agli Avvocati imparare ad essere imprenditori di se stessi e a non subire solo steccati. Brunella Brunetti
modalità per poter accedere ai programmi tematici a gestione diretta comunitaria dell’Unione europea nel periodo di programmazione 2014/2020”. Hanno introdotto i lavori Luigi Pansini e Andrea Zanello del Direttivo ANF offrendo una sintesi dei dati relativi il settore occupazionale delle libere professioni che attesta in Europa una crescita dei Professionisti da 4,6 milioni del 2008 a 5,2 milioni nel 2012, con un P.I.L dell’11,1% nonostante un calo dei redditi del 30%. In Italia i liberi professionisti costituiscono il 15% degli occupati con uno sviluppo di circa 4 milioni di posti di lavoro oggi a rischio di forte contrazione. I Professionisti solo di recente sono soggetti individuati e individuabili nei progetti per lo sviluppo occupazionale in Europa che nelle politiche di coesione e di imprenditorialità ha posto attenzione ai nuovi bisogni delle professioni ordinistiche. Mai come ora i FSE sono da considerarsi una risorsa per i Professionisti, se non addirittura l’unica utilizzabile nel breve periodo quale volano per la ripresa del comparto occupazionale che vede gli Avvocati italiani contare 240 mila unità, di cui il 47% è costituito da donne in prevalenza nella difficile fase di start up professionale al pari dei giovani Avvocati. Ma come funzionano i F.S.E.? Chi decide la loro programmazione? Per quali obiettivi si possono usare? Chi può richiederli e come? Alle domande degli interessati partecipanti ha risposto la Dott. Tiziana Lang, ricercatrice ISFOL, della Segreteria Tecnica del Ministero del Lavoro. È infatti il Ministero del Lavoro l’autorità che rappresenta in Italia il F.S.E. con il compito di concertare con le Regioni l’utilizzo delle risorse nello Stato membro. Alle Regioni, in piena autonomia, spetta scegliere gli obiettivi di intervento per lo sviluppo occupazionale tra quelli delineati dall’U.E. con il Regolamento n. 1304 del 17/12/2013. Linee guida che prevedono di conseguire con i F.S.E. 2014/2010, ad esempio: lo sviluppo della mobilità occupazionale in europa e nei singoli stati membri, l’adattamento ai cambiamenti, l’incoraggiamento al raggiungimento di elevati livelli di istruzione e formazione dei giovani e dei lavoratori in genere, la facilitazione del travaso scuola/lavoro e uni▲ …quelli dell'incontro sulla liberalizzazione delle professioni ▲
... e quelli della tavola rotonda sui fondi strutturali europei
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Bergamo e l’Associazione Provinciale Forense APF di Franco Uggetti Bergamo Stendhal, durante il suo soggiorno a Bergamo Alta quale giovane ufficiale delle truppe napoleoniche scrisse nei suoi diari che “i colli di Bergamo sono tra i luoghi più belli che io abbia mai visto”, e certamente Stendhal di bellezza se ne intendeva. Bergamo sorge ai piedi delle Prealpi e la città è divisa tra la parte vecchia, alta sul colle e cinta da mura, e la parte più moderna, ai suoi piedi. Il cuore ed il centro di Città Alta è Piazza Vecchia (lì si terrà la cena di gala della sera di sabato 23 maggio) La piazza è bellissima. Si possono osservare la fontana, donata dal podestà veneto Contarini, la Torre Civica del XII secolo, la facciata in marmo del palazzo della secentesca biblioteca civica ed il Palazzo della Ragione, della seconda metà del XII secolo. Adiacente a Piazza Vecchia, la splendida piazza del Duomo, sulla quale si affacciano la Cattedrale, il Battistero, la Cappella dove è sepolto Bartolomeo Colleoni, famoso condottiero che Venezia ha voluto onorare con la statua equestre del Verrocchio in campo S. Zanipolo, la Basilica romanica di Santa Maria Maggiore, il cui interno barocco raccoglie un gran numero di opere d’arte: gli affreschi trecenteschi, le splendide tarsie del coro eseguite su disegni di Lorenzo Lotto, gli arazzi fiamminghi e fiorentini e la tomba di Gaetano Donizetti. Non si può poi non perdersi con piacere, girando a zonzo nelle strade e nei vicoli
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medievali di Città Alta. Da non mancare, soprattutto in una bella giornata, il giro delle Mura Venete. I lavori di edificazione si svolsero dal 1561 al 1588 e sono testimonianza della grande importanza che aveva per Venezia, cui Bergamo appartenne fino al 1797, la difesa della città, divenuta fondamentale snodo dei commerci dall’Italia verso la Valtellina ed il Centro Europa, preoccupata dalle mire del Ducato di Milano e dei Francesi. Al giorno d’oggi il perimetro delle mura è la più classica delle passeggiate sia per i Bergamaschi che per i turisti, con una vista spesso mozzafiato sulla pianura ed uno sguardo che può spaziare ad ovest dallo skyline di Milano sino alla cerchia delle Alpi e alle propaggini degli Appennini, e a est sino a Brescia. Anche Città Bassa merita di essere visitata, passeggiando per il centro lungo il Sentierone, dove si trova il Teatro dedicato a Donizetti ed il Palazzo del Comune, via XX settembre, centro dello shopping e Viale Papa Giovanni XXIII. Da non perdere la visita ai musei, soprattutto l’importantissima Accademia Carrara, riaperta, dopo molti anni, il 23 aprile , ed il Museo di Arte Moderna: Gamec. Per maggiori informazioni vi posso consigliare di accedere all’ottimo portale http://www.turismo.bergamo.it; potrete trovare molte notizie utili. Non potevamo parlare della nostra sede senza dedicare qualche parola alla città che ospiterà i Congressisti ed i loro accompagnatori.
L’Associazione Provinciale Forense (APF) La nostra Associazione nasce negli anni ‘60 su iniziativa dell’avv. Mario Giannetta (che sarà poi eletto Presidente del Collegio dei Probiviri di ANF), come Sezione di Bergamo del Sindacato Avvocati e Procuratori di Milano e della Lombardia, con lo scopo di rappresentare e difendere le istanze dell’avvocatura di base, in contrapposizione alle iniziative di natura censoria attuate dal Consiglio dell’Ordine verso colleghi meridionali, per poi sciogliersi nel 1973 anche a causa dei forti contrasti politici insorti tra Colleghi di diverso orientamento politico .
Nel 1975 tuttavia il Sindacato Provinciale Forense rinasce ed inizia a svolgere con regolarità la sua attività di rappresentante generale della categoria a livello locale quale unica associazione forense presente sul territorio bergamasco. È dalla fine degli anni ‘80 che il Sindacato di Bergamo inizia una crescita particolarmente importante e ciò avviene soprattutto grazie ai numerosi servizi prestati in favore dei Colleghi: ad esempio il servizio fotocopie, che ci ha permesso di avere la fondamentale presenza di un nostro front office all’interno del Palazzo di Giustizia, l’organizzazione di numerosi e molto qualificati Convegni di aggiornamento professionale e delle “prove d’esame simulate” per i praticanti o ancora l’offerta di molti altri vantaggi e convenzioni per i nostri associati. Successivamente alla nascita di ANF (giugno 1997), il
Sindacato Provinciale Forense decise di adeguare la propria denominazione in Associazione Provinciale Forense, aderente all’ANF. Attualmente la nostra Associazione conta oltre 600 associati su una platea di iscritti all’Ordine di circa 2000 tra Avvocati e Praticanti, il che fa di noi non solo la più importante ed influente Associazione Forense bergamasca, ma una delle più rilevanti anche a livello nazionale. Di particolare importanza è stata la costituzione di Sezioni specialistiche, ciascuna affidata alla responsabilità di un collega esperto in materia, in Diritto della Famiglia e dei minori, in Diritto Societario e dell’Economia, in Diritto Fallimentare e, recentemente, anche in Diritto e Procedura Civile ed in Diritto Amministrativo e la creazione di una Sezione Giovani, cui sono iscritti gli Avvocati e i Praticanti al di sotto
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dei quaranta anni, che ha dimostrato di poter essere un vivaio ed una fondamentale fucina per i prossimi Dirigenti della nostra Associazione. Dell’Associazione Provinciale Forense hanno fatto e fanno tuttora parte, militando con grandissimo impegno e dedizione, tanti colleghi che hanno avuto ruoli molto importanti in ANF o nell’ OUA , per la cui affermazione APF si è sempre battuta. L’elenco è molto lungo ed il rischio inevitabile è di dimenticare qualcuno, ma si ritiene opportuno ricordare, oltre all’avv. Giannetta, già citato, i colleghi Pier Enzo Baruffi e Antonio Maria Galli, entrambi Presidenti di APF, del CNF di ANF e delegati OUA, Carlo Dolci, a lungo delegato alla Cassa e componente del Consiglio di Amministrazione della stessa, Ennio Bucci, Presidente di APF, membro di giunta di Confprofessioni e delegato OUA, Ernesto Tucci, Tesoriere APF e di ANF, Ermanno Baldassarre, attuale Presidente dell’Ordine. Attualmente il Consiglio Direttivo è composto da nove Colleghi ed in particolare dagli Avvocati Barbara Carsana, Vice Presidente, Ernesto Tucci, Tesoriere, Valentina Dolci, Segretario, Pier Enzo Baruffi, Michele Torri, Giulio Fustinoni, Neugel Percassi, Patrizia D’Arcangelo e dal sottoscritto che ha l’onore di esserne Presidente.
Revisori dei Conti sono i Colleghi Franco Bertacchi (Presidente), Massimo Gelpi e Dario Pellegrino. Probiviri sono Carlo Dolci (Presidente), Emilio Tanfulla e Rocco Lombardo. La Sezione Giovani ha anch’essa un suo direttivo composto da Daniela Marchiori (portavoce) e da Luca Di Nardo, Carlo Pressiani, Margherita Gemma Tucci, Giada Gasperini, Stefania Bonetalli, Mirko Brignoli, Alessandra Perletti e Martina Callioni. Non possiamo da ultimo non citare i “nostri” tre delegati OUA, ovvero Ennio Bucci, Ernesto Nicola Tucci ed Anna Lisa Bocci ed i numerosi Consiglieri Nazionali. Aldilà dei nomi dei singoli, tuttavia, quello che caratterizza la nostra Associazione è che, nel rigoroso rispetto della regola fondamentale della turnazione degli incarichi, rimane sempre fermo ed indiscusso il nostro DNA fondamentale che è quello di operare insieme, in spirito di squadra e lealtà reciproca, giovani ed “esperti”, titolari di studi avviati e colleghi alle prime armi, in vero spirito di amicizia e di collaborazione e ciò anche quando, inevitabilmente e giustamente, ci si contrappone su singoli temi, realizzando davvero, nel nostro piccolo, quell’ideale di unità dell’avvocatura al quale, purtroppo vanamente, tendiamo a livello generale.
Un breve ricordo di ANTONIO MARIA GALLI Proprio in chiusura di numero abbiamo appreso della scomparsa di Antonio Maria Galli, deceduto a Bergamo domenica 3 maggio. Per capire cosa rappresentasse per lui l’ANF basti il fatto che al momento di accomiatarsi dalla vita terrena ha voluto con se lo stemma di ANF sulla giacca e la cravatta. A tirarmi dentro l’ANF è stato proprio lui, che avevo conosciuto, in tutta la sua simpatica irruenza, poco più di una decina d’anni or sono nell’ASTAF, l’Associazione Nazionale della Stampa Forense che insieme frequentavamo, lui per Diritto & Rovescio, io per PQM. A conclusione di un marcamento stretto, a uomo per dirla in gergo calcistico, riuscì a convincermi a darmi da fare per costituire una sede ANF a Pescara, città che ricordava per vari eventi dell’avvocatura cui aveva preso parte. Mi seguì passo passo fino a veder nascere il Sindacato Avvocati di Pescara e battezzarlo con soddisfazione al congresso di Rimini, per trovarlo poi emancipato nel 2010 al Congresso straordinario tenuto dall’ANF nella città dannunziana. Abbiamo mantenuto, anzi accresciuto negli anni un rapporto di stima ed amicizia non comune e che rende questa luttuosa notizia ancora più triste. Non potevamo non ricordarlo alla vigilia del Congresso organizzato nella sua Bergamo. il D.R.
Antonio Maria Galli, classe 1939, nativo di Laveno Mombello e presto trasferitosi a Bergamo, si è iscritto all’Albo dei procuratori legali presso l’Ordine di Bergamo il 10.2.1966. Ed è stato Consigliere del COA Bergamo per diversi mandati. Impegnato da subito e poi da sempre nella politica forense, è entrato a far parte dell’allora Sindacato Provinciale Forense di Bergamo nel 1976 ed ha fatto parte del Consiglio Direttivo sino ad assumere la carica di Presidente dal 1997 al 2001, per assumere poi l’incarico di Direttore editoriale della rivista APF “Diritto e Rovescio”. Protagonista in ANF sin dal Congresso di fondazione di Chianciano 1997, è stato componente del Consiglio Nazionale ininterrottamente sino ad oggi, assumendo la carica di Presidente dal 2003 al 2006. Delegato Assemblea OUA dal 1999 al 2003. Con lui se ne va una parte significativa della storia dell’ANF.
A Verona… facciamo Sindacato! di Marzia Meneghello Il Sindacato degli Avvocati di Verona, oggi A.N.F. Verona, è nato negli anni ’70 recependo e facendosi portavoce delle nuove idee che cominciavano a circolare: un nuovo modello di avvocato, professionalmente preparato e fedele fiscalmente; un rapporto non subalterno coi giudici; un ruolo diverso dei Consigli degli Ordini degli Avvocati, organi allora fortemente corporativi, che esercitavano di fatto, pur non avendone diritto, la rappresentanza dell’avvocatura ed ai quali si accedeva solo in caso di decesso o rinuncia di uno dei componenti. Il Sindacato è nato, quindi, per contrastare un “accentramento ordinistico”, in un momento in cui si votava per la composizione del Consiglio dell’Ordine sulla base di una scheda precompilata, ove, anziché esprimere la propria preferenza (come per noi è oggi normale), si poteva solamente manifestare il proprio dissenso, cancellando il nominativo non scelto. L’obiettivo principale del Sindacato, quindi, è stato quello di una “democratizzazione” dell’accesso al COA di Verona, obiettivo che ancora oggi A.N.F. Verona si prefigge, assumendo come principio base, in sede di rinnovo dei componenti del Consiglio dell’Ordine, quello del ricambio (la regola, per noi e per i candidati sostenuti, è sempre stata quella di impegnarsi al massimo per due mandati). Il ruolo di A.N.F. Verona si è negli anni ampliato. Il Sindacato ha cercato, infatti, d’intervenire anche in altri settori, al fine di garantire servizi che fossero utili per
l’esercizio quotidiano della professione, dimostrando in tal modo una grande capacità di adattarsi ai cambiamenti, talvolta profondi, dell’avvocatura. Attualmente A.N.F. Verona, che ama ancora chiamarsi “il Sindacato”, costituisce anzitutto il “filo conduttore” tra la realtà associativa Nazionale e quella locale, veicolando iniziative e deliberati e sensibilizzando i colleghi rispetto alle tematiche discusse ai Consigli Nazionali. A.N.F. Verona, raccogliendo la preziosa eredità lasciata da chi, con coraggio e dedizione, ha poi voluto creare questa realtà associativa locale, offre servizi utili per svolgere - secondo i principi dettati dalla legge e dallo Statuto - la professione forense.
Sito internet e mailing list L’Associazione dispone di un proprio sito Internet, che conta oggi ben 160.000 accessi. Con la pubblicazione sul sito, promuoviamo l’attività associativa e diffondiamo le iniziative organizzate. Al web affianchiamo anche una periodica newsletter, in grado di raggiungere tutti i colleghi iscritti all’Albo degli Avvocati e dei Praticanti. Oltre a ciò, A.N.F. Verona utilizza una mailing-list ristretta, “amici-ANF Verona”, che raggiunge associati e simpatizzanti, ed i social network (facebook e twitter). La pagina facebook è seguita da circa 900 account.
Formazione Il Sindacato si è sempre occupato della formazione e dell’informazione dei colleghi, gestendo in un primo tempo (con grande successo) la scuola dei praticanti, organizzando una serie di incontri sulla tormentata riforma del processo civile degli anni ’90 e su tematiche previdenziali, per le quali era dedicato uno specifico sportello. Ancora oggi A.N.F. Verona, che crede molto nella preparazione dei professionisti, organizza costantemente convegni e seminari di aggiornamento (ed ha iniziato a farlo ben prima dell’obbligatorietà della cosiddetta “formazione continua”). Le iniziative formative più recenti sono state il convegno in
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A Verona… facciamo Sindacato!
tema di “degiurisdizionalizzazione” (organizzato in concomitanza con l’entrata in vigore della legge n. 162/2014, di conversione del d.l. 132/2014) e tre appuntamenti sul nuovo Codice Deontologico (anche questi organizzati in concomitanza con la sua entrata in vigore). A.N.F. Verona, inoltre, grazie al contributo di ASSITA S.p.a., partner storico dell’Associazione Nazionale Forense, ha stampato e distribuito (nelle sedi congressuali e in Tribunale) circa 3000 copie del nuovo Codice Deontologico, molto apprezzate dai colleghi. È stato poi ideato un nuovo ciclo d’incontri, previsto in orario serale, per coinvolgere giovani colleghi (che durante il pomeriggio sono impegnati negli Studi legali coi quali collaborano) e per stimolare anche il profilo conviviale. Il ciclo d’incontri si chiama “giurispritzando” proprio per richiamare lo scopo che si prefigge: quello cioè di unire la discussione su tematiche giuridiche (con un taglio pratico), alla convivialità dell’aperitivo. I temi trattati ai primi appuntamenti sono stati la “negoziazione assistita”, con particolare riguardo all’area dei sinistri stradali e “l’opinamento delle parcelle”, tenuto conto del Regolamento recentemente approvato dal Consiglio dell’Ordine. È in fase di definizione, inoltre, un convegno dedicato al confronto tra giurisdizione, imprese e banche sulla
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crisi economica italiana, con la partnership de “Il sole 24 ore”. È in cantiere anche un convegno sul danno tanatologico in previsione della pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione. Il Direttivo di A.N.F. Verona sta lavorando altresì ad un seminario (composto da 5 incontri) su “questioni pratiche e casi concreti di diritto commerciale”. In cantiere, per il 2015, un ciclo di incontri “Under 35”, composto da una decina di appuntamenti e dedicato ai giovani colleghi. Le tematiche affrontate saranno le seguenti: i rapporti con l’UNEP, gli errori più comuni all’esame di Stato, aspetti fiscali e contabili di praticanti e neo-avvocati, la preparazione di una parcella (civilista, penalista e amministrativista), gli avvocati “sans papier”, i rapporti con cliente e parte assistita, coi colleghi e coi magistrati, la responsabilità professionale, la professione nella normativa europea.
Gruppo giovani Una novità di quest’anno, con l’auspicio che possa costituire un punto di riferimento per il futuro, è il neo costituito “gruppo giovani”. Si tratta di un gruppo composto da una decina di giovanissimi colleghi, che hanno manifestato il desiderio di essere coinvolti maggiormente nella vita associativa, anche in sede di programmazione dell’attività,
insieme al Direttivo. Il gruppo giovani sta lavorando all’organizzazione del ciclo “Under 35” e alla rivista locale di A.N.F. Verona, denominata “Usobollo”, che dopo essere stata per qualche anno accantonata per far fronte alla preparazione di altre iniziative, tornerà – con la medesima veste tipografica, ma con un taglio e contenuti diversi – ad occupare le scrivanie dei nostri colleghi.
Rappresentanza negli Osservatori A.N.F. Verona ha sempre partecipato attivamente ai lavori degli Osservatori presso il Tribunale: l’Osservatorio “Valore Prassi” volto alla formazione di protocolli processuali e l’Osservatorio “Giustizia Civile”, volto al confronto, tra Presidente del Tribunale, Presidente del Consiglio dell’Ordine, cancellerie e interessati, sulle segnalazioni pervenute in merito a problemi riscontrati nello svolgimento dell’attività quotidiana presso gli uffici giudiziari. Nell’ambito dell’Osservatorio “Valore Prassi”, A.N.F. Verona partecipa alla composizione del Direttivo ed alla formazione dei gruppi di lavoro. Nell’ambito dell’Osservatorio “Giustizia Civile”, il Sindacato interviene costantemente alle riunioni convocate, discutendo insieme agli altri referenti i diversi problemi segnalati. In relazione a ciò, da quest’anno, il Direttivo di A.N.F. Verona ha deciso di creare un servizio chiamato “dilloanf”, ristretto ai soli associati e volto alla raccolta delle segnalazioni da sottoporre e discutere nell’Osservatorio Giustizia Civile. A.N.F. Verona ha contribuito attivamente anche alla formazione del Comitato Pari Opportunità, nel quale hanno prestato e prestano ancora oggi la propria attività componenti del Direttivo e associati.
Convenzioni A.N.F. Verona dedica ai propri iscritti alcune importanti convenzioni. Attualmente gli associati possono beneficiare di una convenzione con Wolters Kluwer per prodotti di editoria e software di ricerca, Positive S.r.l. per siti internet e, ultimo ma non meno importante, ASSITA S.p.a. per polizze professionali, in relazione alle quali A.N.F. ha cercato sempre di sensibilizzare i colleghi, ben prima che l’argomento della copertura assicura-
ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE SEDE di VERONA
Presidente: Carmine Rossi Segretario Dirigente: Marzia Meneghello Tesoriere: Marta Bussola Consiglio Direttivo: Gessica Todeschi | Giuliano Maffi Sara Trabucchi | Elena Beltramini Ingrid Righetti | Gabriele Tomezzoli Paolo Pezzo | Stefania Migliori Nicola Sordi Consiglieri Nazionali: Laura Pernigo | Simone Curi Carmine Rossi | Elena Beltramini
Sede:
Via C. Scalzi, 20 - 37122, Verona
tel. 045.8445567 - fax 045.5112536
www.anfverona.it – info@anfverona.it C.F. 93036130230 - P.Iva 03396720231
tiva dell’avvocato venisse trattato dal d.l. 138/2011 e dalla nuova legge professionale. Sono, inoltre, all’esame del Direttivo altre convenzioni da dedicare agli associati. In particolare, il Direttivo A.N.F. Verona sta verificando la fattibilità di un servizio di assistenza nei depositi telematici, offrendo un soggetto specializzato a tariffe convenzionate. *** Lo spirito che ci muove è quello di rafforzare “la solidarietà professionale e la coscienza associativa”, proprio come recita il nostro Statuto. Come scrisse un illustre maestro “l’avvocato è, più degli altri, figlio del suo tempo e deve anticipare, interpretare, mediare, rispondere insomma alle esigenze, in gran parte di carattere economico, della società nella quale vive ed opera”. Per l’avvocato che fa associazione - aggiungiamo noi - le esigenze della società si uniscono, costituendo un tutt’uno, con quelle della propria categoria professionale, oggi – e mai come prima – sottoposta ad attacchi anche mediatici che tentano di svilirne il ruolo, di rilievo Costituzionale, nel quale noi ci ostiniamo, a ragione, a credere.
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Sindacato Avvocati ANF Pescara, nel segno dei padri fondatori
A dieci anni dalla sua rifondazione, superate fasi adolescenziali e giovanili, la sede ANF di Pescara – ufficialmente Sindacato degli Avvocati di Pescara - è entrata nell’età della maturità, attestandosi tra le realtà più attive del Foro adriatico. L’Associazione ha raccolto, a distanza di un ventennio, l’eredità del Sindacato Avvocati e Procuratori di Pescara istituito nel 1966 per iniziativa di Giuseppe Ciancarelli, affiancato da valenti colleghi quali Giovanni Di Biase, Antonio Artese, Bruno Sulli, Luigi Barbara ed Eberto Durante. A succedere a Ciancarelli nella carica di Segretario, nel 1970, Ettore Tentarelli, e poi ancora negli anni ’80 Luigi Mazza, con un Direttivo che ha visto impegnati colleghi di primo piano nel panorama dell’avvocatura locale, quali Vittorio Paolini, Ettore Pellecchia, Carlo Magno, Giulio Filiberti, Massimo Di Michele e Giovanni Mongelli. Gli ultimi documenti rintracciati del Sindacato Avvocati e Procuratori Pescara risalgono agli 1986-87, trasmessi da Guido Alberto Scoponi, altro insigne protagonista dell’avvocatura cittadina, artefice di mille iniziative meritorie, tra cui la nascita di PQM, la ormai ultraventicinquennale Rivista di Giurisprudenza e Vita Forense abruzzese. A distanza di vent’anni e poco più a riproporre nel Foro pescarese il nome del Sindacato è stato Marcello Pacifico, contaminato in una occasionale frequentazione al verbo associativo dell’ANF e fattosi promotore della ricostituzione dell’associazione, supportato da un nutri-
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to e qualificato gruppo di colleghi tra cui Pierluigi De Nardis, Vincenzo Di Girolamo, Lorenzo Del Federico, ed ancora i saggi Guido Alberto Scoponi e Franco Sabatini, solo per citarne alcuni. Non è stato un avvio, o meglio una ripartenza semplice ed agevole, vuoi perché nel frattempo le problematiche dell’avvocatura erano molto cambiate, vuoi per una qual certa diffidenza da parte della componente ordinistica verso un’associazione che cercava di affermare principi di tipo mutualistico e sindacale in un ambiente tendenzialmente conservatore. Ma la bontà del progetto, e soprattutto delle intenzioni dei promotori, era indiscutibile e da allora, parliamo del 2004, superate iniziali difficoltà legate alla necessità di far conoscere ideali e principi ispiratori dell’impegno associativo, di strada il Sindacato Avvocati di Pescara ne ha fatta davvero tanta, diventando nell’attualità uno dei centri di interesse e riferimento non solo dell’avvocatura pescarese ma anche abruzzese. La politica forense era e rimane il collante dell’impegno del Sindacato, che si accinge peraltro a cambiar pelle ed a trasformarsi in associazione, pur lasciando inalterate le finalità statutarie sue proprie fin dalla costituzione, avute come detto in eredità dai predecessori degli anni 70-80, già impegnati in un’ottica di tutela degli interessi della categoria, del corretto rapporto con i magistrati, dell’efficienza degli uffici giudiziari, temi rimasti di straordinaria attualità e costituenti punti cruciali anche per l’avvocatura contemporanea. Altri ovviamente se ne sono aggiunti nel corso degli ultimi anni, ed hanno visto l’associazione sempre in prima linea, ad esempio nella costituzione dell’Osservatorio sulla Giustizia presso il Tribunale di Pescara, diventato col tempo un punto di riferimento importante non solo per la formazione dei protocolli sulle cosiddette prassi virtuose, quanto anche e soprattutto una sorta di camera di compensazione rivelatasi essenziale nel talora problematico rapporto tra le varie componenti del mondo della giustizia. Superata la diffidenza iniziale, è migliorato anche il rapporto con l’Ordine forense, ispirato a collaborazione e disponibilità nel comune interesse della difesa, pur se su aspetti diversi, dei
diritti e degli interessi dell’avvocatura. L’attività organizzativa è cresciuta di pari passo, ed oggi costituisce aspetto essenziale della vita del Sindacato, la cui sede è per varie ragioni sempre più luogo di incontro e servizi essenziali. La crescita del Sindacato Avvocati di Pescara ha trovato riconoscimento anche da parte della stessa Associazione Nazionale Forense, con la elezione dei primi consiglieri nazionali, prima Pierluigi De Nardis e poi Marco Sanvitale, e con l'affidamento dell'organizzazione del Congresso straordinario dell'ANF nel 2010 e poi con l'ascesa di Marcello Pacifico, Segretario di sede, nel Direttivo Nazionale tre anni or sono. Il seme trapiantato a Pescara ha peraltro germogliato nelle vicinanze, portando alla costituzione di sedi ANF a Teramo e Vasto, da poco unite ancor più solidamente in un coordinamento regionale. Nel futuro sono riposte speranze di ulteriore crescita, non solo quanto a servizi operativi, quanto nella diffusione di principi di solidarietà, nella tutela degli interessi morali ed economici e delle condizioni di lavoro degli avvocati, nonché dei giovani che intendono avviarsi alla professione, che oggi vivono momenti di grande precarietà, e nella sensibilizzazione purtroppo ancora assai carente, verso i grandi temi della giustizia, raramente tenuti della dovuta considerazione nonostante la loro incidenza sull’attività professionale.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE SINDACATO AVVOCATI PESCARA
Segretario: Marcello Pacifico Vicesegretario: Pierluigi De Nardis Vicesegretario: Vincenzo Di Girolamo Tesoriere: Maurizio Leone Consiglio Direttivo Lola Aristone | Giulio Cerceo Lorenzo Cirillo | Antonietta Cocco Fabrizio D’Ambrosio | Elena De Angelis Lorenzo Del Federico | Paola Di Lorito Marco Sanvitale Collegio Sindacale Mario D’Angelo (Presidente) Giovanna Russomanno | Renata Sulli Collegio Probiviri Claudio Angelone (Presidente) Franco Sabatini Consiglieri Nazionali Pierluigi De Nardis - Marco Sanvitale
Sede:
Via Lo Feudo - Palazzo di Giustizia 65100, Pescara tel./fax 085.4511073
www.anfpescara.it - info@anfpescara.it
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Sindacato Avvocati ANF Pescara
ANF Pescara formazione, servizi e comunicazione di qualità
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Formazione, servizi e comunicazione, oltreché naturalmente politica forense, sono i maggiori fronti di impegno del Sindacato Avvocati di Pescara. Sul fronte della formazione i responsabili della sede ANF adriatica hanno da qualche anno cambiato modalità di approccio: di fronte alle innumerevoli incursioni del legislatore sul codice di rito, all’innovazione tecnologica ed ai cambiamenti che ne sono conseguiti soprattutto nel processo civile, si è preferito mutare rotta e implementare l’aggiornamento di tipo tradizionale, quello dei convegni a tema sul diritto, con un ulteriore aspetto, quello degli aspetti pratici della professione, mirati ad agevolare l’attività forense nella sua estrinsecazione quotidiana. E dunque, maggiore attenzione è stata dedicata ad argomenti di attualità, quali l’alfabetizzazione informatica, le notifiche in proprio ed a mezzo pec, il processo civile telematico nei suoi vari aspetti, le procedure alternative nella soluzione delle controversie, mediazione, negoziazione ed arbitrato. E il consenso ricevuto è stato davvero rilevante, anche perché un altro criterio che ha caratterizzato l’impegno del Sindacato in materia di formazione è stata la qualità degli eventi, grazie all’attenzione posta verso il livello dei relatori e all’effettivo interesse dei partecipanti. Insomma, al bando la formazione finalizzata ai crediti a tutto vantaggio di quella riservata a chi è particolarmente interessato ad approfondire argomenti e questioni rilevanti ai fini dell’attività forense.
In materia di mediazione e negoziazione, ad esempio, sono stati raccolti risultati assai soddisfacenti, creando attorno agli eventi organizzati dall’ANF Pescara una grande partecipazione, andata oltre l’esito dei corsi e proseguita con la costituzione di gruppi di interesse frutto della fidelizzazione degli iscritti. L’altro considerevole fronte di impegno del Sindacato Avvocati di Pescara è quello dei servizi agli associati ed all’avvocatura in genere. Partita con una sede virtuale, l’Associazione si è data da fare per acquisire una location stabile all’interno del nuovo tribunale, ottenendo prima uno spazio al piano sopraelevato dell’ala penale del Palazzo di Giustizia, per poi trasferirsi in quella che è la sua più spaziosa sistemazione attuale al piano terra dell’ala civile, di fatto nell’atrio, in posizione di buona visibilità. E con la nuova sede sono decollate varie attività che vedono oggi la ANF operare anche come una buona centrale di servizi per l’avvocatura, a cominciare da quello di copisteria. Proprio in questi giorni è in fase di sperimentazione anche una postazione “pubblica” per il deposito telematico degli atti e la fatturazione elettronica, col potenziamento della rete wifi, finora riservata ai soli iscritti e che si intende invece mettere a disposizione dell’intero Foro. L’impulso costantemente dato alla comunicazione è una delle ragioni della crescita della sede ANF non solo a Pescara ma in tutta la regione. All’inizio l’attività sindacale è stata promossa con un notiziario realizzato in pdf e inviato in modo quasi artigianale agli iscritti e ad avvocati locali. Poi, grazie anche a opportune sinergie realizzate con operatori del settore, la comunicazione dell’ANF è migliorata notevolmente sia attraverso la realizzazione di un sito Internet che va registrando una continua crescita di accessi, sia con una newsletter in formato html che raggiunge, grazie ad un servizio di invio di posta massiva, tutti gli avvocati abruzzesi. La newsletter costituisce oggi il modo più celere, diretto ed immediato per fare informazione sui temi della politica forense, sull’aggiornamento professionale sulla vita forense.
Polizza R.C. professionale
questa sconosciuta Tutti gli Avvocati iscritti all’Albo “dovrebbero” essere assicurati, ma quanti conosco le clausole, le esclusioni ed i limiti di indennizzo della propria polizza R.C.? In genere il loro “focus” è sul “prezzo”: molti ricordano che è basso perché invariato da anni, alcuni ritengono sia comunque vantaggioso perché praticato dall’amico assicuratore, altri ancora in quanto risultato di una contrattazione collettiva. Naturalmente la componente costo è importante, ma non quanto la salvaguardia del proprio patrimonio ed il rispetto delle norme dettate dall’Obbligatorieta Assicurativa (Art. 12-Riforma Forense). Quindi perché non dedicare il tempo necessario a capire se la polizza in essere è adeguata, aggiornata e, perché no?, anche conveniente dal punto di vista economico?
Da dove cominciare a valutare la completezza delle garanzie? Accertare che sia una polizza All-Risk (tutto compreso) in tal modo ogni attività prevista dall’Ordinamento Professionale sarà compresa senza necessità di alcuna precisazione. Pertanto l’elencazione di determinate attività, incarichi conferiti dall’Autorità giudiziaria per esempio, sarà solo “a titolo esemplificativo e non limitativo” Alla polizza All-Risk andranno eventualmente aggiunti, con apposita appendice e versamento di un premio
aggiuntivo, gli incarichi di Sindaco, Revisore Contabile e/o Enti Locali, Amministratore e OdV. Essere affiancata da una Polizza Infortuni intestata allo Studio, in quanto obbligatoria secondo il disposto dell’art. 12, e dovrà coprire gli eventi Morte ed Invalidità Permanente da Infortuni dell’Assicurato - inteso come Avvocato,Studio Associato o Società tra professionisti – e tutti gli Addetti – Collaboratori, Dipendenti e/o Praticanti anche in qualità di sostituti o di Collaboratori esterni occasionali, di cui l’assicurato di avvale nello svolgimento della propria attività professionale svolta anche al di fuori dei locali dello studio Dovranno essere coperti sia il Rischio professionale che quello in itinere e, solo per l’Assicurato, anche quello Extra-professionale Potrebbe risultare onerosa solo se quotata dalla Compagnia come rischio “individuale per ogni soggetto assicurato, quando in realtà l’entità del premio dovrebbe essere parametrato al volume d’affari dello Studio. Ogni altra formulazione di polizza a livello individuale non è consona all’ Art. 12.
E l’ampiezza della copertura? “Claims Made” è la formula assicurativa che si traduce in “a richiesta fatta”. Ciò vuol dire che “l’assicuratore sarà obbligato a rispondere delle richieste di risarcimento avanzate per la prima volta nei confronti dell’Assicurato durante il periodo di validità del contratto”. Ma il distinguo tra una polizza e l’altra sarà in funzione della retroattività temporale indicata in polizza: la migliore è sempre illimitata, vale a dire qualunque sia l’epoca in cui è stato commesso il fatto. Altra voce importante che non può assolutamente mancare è la Garanzia Postuma operante in caso di cessazione dell’attività o premorienza dell’Assicurato. Saranno coperte le richieste danni pervenute all’Assicurato od ai suoi eredi ed inerenti ad errori commessi in vigenza
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di contratto: importante la temporalità ed il costo. Preferibilmente dovrà essere minimo di 5 anni con possibilità di aggiungerne altri 5 ed il pagamento dovrebbe riguardare solo il secondo periodo in quanto i primi 5 anni dovrebbero essere gratis
Come districarsi con i limiti di indennizzo? Il MASSIMALE, che rappresenta l’esposizione massima della Compagnia in caso di sinistro, dovrà necessariamente essere adeguato all’entità ed alla tipologia degli incarichi assunti dall’Assicurato, nonché del fatturato annuo realizzato. Così come gli scoperti (percentuale) e le franchigie (importo fisso), che sono quanto rimane a carico dell’Assicurato all’atto della liquidazione del danno, dovranno essere sempre in ragione del proprio profilo di rischio. Per esempio lo Studio piccolo avrà un massimale contenuto ed una franchigia bassa (€ 500), mentre lo Studio medio-grande dovrà considerare un massimale ed una franchigia elevata, anche per contenere il premio. E’ comunque sempre consigliabile la franchigia fissa in luogo dello scoperto, anche se alcune polizze li contemplano entrambi. L’importante è “individuarli”in modo che siano ben noti gli importi a carico dell’Assicurato al momento della liquidazione del danno.
Polizza R.C. professionale
Danno Non Patrimoniale e perdita documenti sono compresi?
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Oggi l’Avvocato ne è obbligatoriamente responsabile, ma sono garanzie esplicitamente escluse in tutte le polizze contratte prima della Riforma Forense E’ pertanto necessaria una specifica estensione in polizza, altrimenti l’Avvocato ne deve rispondere, ma l’assicuratore no!
Nuova coscienza assicurativa per la propria tutela È quello che ogni Avvocato, Senior o Young, dovrebbe acquisire per delineare un proprio profilo assicurativo che gli consenta di esigere una “polizza su misura” in funzione della attività svolta, singolarmente od in forma associativa o societaria.
Ed infine, prima di scegliere la Compagnia e tramite chi stipulare, cosa occorre considerare? Per quanto concerne la Compagnia: che sia patrimonialmente solida e che abbia il Centro Liquidazione Danni sul territorio italiano, al fine di evitare problemi anche in caso di chiamata in causa dell’ente assicurativo. Relativamente all’Intermediario Assicurativo dovrebbe essere specializzato nella R.C.Professionale /Infortuni dell’Avvocato e disporre di appositi Accordi/Convenzioni con Enti che, nell’interesse della categoria, hanno già vagliato le migliori condizioni contrattuali e tariffarie.
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La RASSEGNA degli AVVOCATI ITALIANI VII C
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ringrazia per la collaborazione:
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Giovanni BERTINO Avvocato dal 2008, svolge la professione forense prevalentemente nel settore della responsabilità penale del medico, del diritto penale e civile del lavoro e dei reati contro la Pubblica Amministrazione. Dal 2012 fa parte del Direttivo Nazionale dell'Associazione Nazionale Forense. Mirella CASIELLO Avvocato civilista, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari, iscritta all'Ordine degli Avvocati di Taranto dal 1995 ed abilitata alla difesa dinanzi alle Magistrature superiori dal 2008. Componente del Direttivo ANF di Taranto dal 2008 al 2010, nell'ottobre 2012 è stata eletta Delegato dell’OUA per il Distretto di Lecce, confermata nel 2014 e successivamente eletta Presidente dell'Organismo Unitario dell’Avvocatura. Antonino CIAVOLA Avvocato del Foro di Catania, titolare di Studio associato, si occupa di diritto civile e amministrativo. Da sempre attivo nel campo dell'avvocatura associata, è stato consigliere nazionale AIGA, Vice presidente dell'Unione regionale siciliana e componente dell'Organismo Unitario dell'avvocatura. Esperto di formazione forense, per sette anni è stato direttore della Scuola Forense di Catania. Giuseppe COLAVITTI avvocato in Roma, docente di diritto pubblico dell’economia e diritto della concorrenza nell’Università degli Teramo, ordinamento e deontologia forensi nella Scuola di spec. per le prof. legali dell'Univ. La Sapienza di Roma. È componente del consiglio direttivo della Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università europea di Roma. È coordinatore responsabile dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense. Paola FIORILLO Avvocato cassazionista del Foro di Salerno, svolge la professione prevalentemente in ambito societario e delle successioni. Responsabile del Sindacato Avvocati di Salerno dal 2010, è attualmente componente del Comitato Pari Opportunità del Foro salernitano e del Direttivo Nazionale dell’Associazione Nazionale Forense
Carmela Milena LIUZZI Avvocato civilista in Taranto, opera nel settore fallimentare ed espropriativo. Dal 1997 dirigente dell'associazione forense “Lucio Tomassini” ANF Taranto, di cui è stata Segretario nel biennio 2008-2010. Componente del direttivo nazionale ANF dal 2006 al 2012, responsabile della comunicazione e dell’area previdenza forense. Componente del Comitato di redazione della Rassegna degli Avvocati Italiani. Barbara LORENZI Avvocato in Rovereto, si occupa prevalentemente di diritto civile, in particolare societario, commerciale, fallimentare e contrattualistica. Attiva all’interno dell’OUA, prima come Coordinatore della Commissione Ordinamento Professionale dal 2003 al 2006, poi membro di Giunta nel 2008-10 Dal gennaio 2013 Coordinatrice dell’Ufficio Studi dell’Unione Triveneta. Presidente in carica del Consiglio Comunale di Rovereto.
Susanna PISANO Avvocata civilista, Presidente Confprofessioni Sardegna e Coordinatrice Desk Europeo Confprofessioni Docente di diritto e Politiche europee Master I livello dell’Università di Cagliari in Progettazione europea Si interessa di assistenza e consulenza giudiziale e stragiudiziale anche in materia di finanziamenti alle imprese, e per la realizzazione di progetti a valere su fondi e programmi comunitari con società specializzate Angelo SANTI Avvocato in Perugia. Formatore ed esperto in mediazione, arbitrato e risoluzione alternativa delle controversie e docente alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università di Perugia. e’ stato fondatore e responsabile nazionale del Coordinamento della Conciliazione Forense. Socio fondatore di Resolutia ed autore di numerose pubblicazioni in materia di ADR.
Andrea NOCCESI Iscritto nell’albo degli avvocati di Firenze dal 1994, cassazionista dal 2007. Civilista, già docente in diritto civile alla Scuola Forense del Sindacato degli Avvocati di Firenze e Toscana, del cui Consiglio Direttivo è membro dal 2009. Attualmente è componente del Direttivo Nazionale dell’ANF e Segretario del Sindacato Avviocati di Firenze e Toscana.
Bruno SAZZINI Avvocato civilista in Bologna, iscritto all’albo delle magistrature superiori, ha svolto il proprio cursus honorum in ANF prima nel Direttivo locale e poi in quello Nazionale. Ha ricoperto la carica di Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense nel periodo 2006-2009, attualmente Consigliere Nazionale ANF.
Luigi PANSINI Avvocato in Bari, con attività prioritaria rivolta al diritto fallimentare, collabora con scuole di formazione e riviste per problematiche inerenti le procedure concorsuali. E’ Segretario del Sindacato Avvocati di Bari e attuale componente del Direttivo Nazionale di ANF.
Mario SCIALLA Avvocato penalista, iscritto al Foro di Roma. Consigliere dell'Ordine degli Avvocati di Roma dal 20012, Responsabile dei dipartimenti della Disciplina, Difese di Ufficio e Patrocinio a spese dello Stato. Presidente della sede di Roma dell’ANF dal 2007 al 2009 nonché componente del Direttivo Nazionale dal 2009 al 2012. Attualmente è Consigliere Nazionale dell'ANF.
Paola PARIGI Avvocato dal 1994, iscritta prima al Foro di Modena e dal 2000 a quello di Milano. Consulente per Studi legali e istituzioni forensi in tema di comunicazione, organizzazione e marketing. Già docente a contratto nella Facolta di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova ( Il Diritto di Internet), collabora con varie riviste e pubblicazioni nello specifico settore (Il Sole 24 Ore, Italia Oggi, Guida al Diritto, etc).
Andrea ZANELLO Avvocato in Roma dal 1982, civilista, mediatore presso ADR Center dal 2010. Già membro della Commissione Media Conciliazione D. Lgs. 28/ 2010, partecipa al Progetto Lavoro del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Segretario dell’ATA - ANF Roma. Attualmente componente del Direttivo Nazionale di ANF.
● numero chiuso il 10 maggio 2015
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15 ORTO BOTANICO “LORENZO ROTA”
In questo nuovo museo si possono ammirare la riscoperta dell’antica Cattedrale di San Vincenzo, gli scavi archeologici di epoca romana e il tesoro del Duomo di Bergamo. This new museum includes the rediscovered ancient Cathedral of San Vincenzo, roman excavations and Bergamo Cathedral treasure.
L’Orto Botanico di Bergamo è un istituto museale dove sono ricercate, studiate, coltivate ed esposte collezioni vegetali che rappresentano testimonianze sia del regno vegetale sia dell’uomo, del suo sapere e del suo agire in relazione alla natura. The Bergamo botanical gardens is a research institution where plant collections are studied, grown and exhibited 7 EX CONVENTO DI SAN FRANCESCO/ MUSEO STORICO SEZ. MOSTRE to the public. The collections represent the history of the Esempio pregevole di architettura conventuale plant kingdom and mankind, showcasing what people medievale, nell’ex Convento di San Francesco si have learned about plants and their interaction with possono ancora visitare i chiostri, la sala capitolare nature over the centuries. e i numerosi affreschi databili a partire al Trecento. Attualmente ospita mostre temporanee, gli uffici, gli archivi, la biblioteca del Museo storico di Bergamo. Visitors to the former Monastery of St. Francis, a fine example of medieval monastic architecture, can still see the cloisters, chapter house, and numerous frescos dating back to the fourteenth century. The complex currently houses temporary exhibitions, offices, archives and the library of Bergamo’s History Museum.
Nella Rocca di Bergamo, la sezione ottocentesca del Museo storico è dedicata alla storia della città e del territorio in età risorgimentale. In the Rocca (fortress), the nineteenth-century section of the museum, tells the story of the town and its territory during the Risorgimento.
6 ROCCA/MUSEO STORICO SEZ. ‘800
Il Museo riunisce in un’unica collezione cimeli e testimonianze inerenti la vita e l’attività artistica di Gaetano Donizetti (1797-1848). The museum houses a unique collection of memorabilia and exhibits from the life and musical career of Gaetano Donizetti (1797-1848).
5 MUSEO DONIZETTIANO
Nelle sale Palazzo del Podestà in piazza Vecchia, la storia di Bergamo veneziana prende vita nella narrazione multimediale, mescolando conoscenza e gioco, intelletto ed emozioni. A multi-media exhibition brings to life the Venetian period of Bergamo’s history, combining information 2 GAMeC and entertainment, stimulating the intellect and the La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di emotions. Bergamo propone una varietà di eventi e di piattaforme espositive: grandi mostre monografiche e collettive di 9 CIVICO MUSEO ARCHEOLOGICO artisti internazionali, progetti inediti di emergenti, Qui si possono ammirare, tra le altre cose, i resti di una collezioni permanenti, attività didattiche, visite guidate domus romana venuta alle luce poco più in là, in via gratuite alle mostre, progetti dedicati alla disabilità, Arena. conferenze, performance ed eventi collaterali. Exhibits include the remains of a domus romana (roman GAMeC offers a variety of events and exibition platforms: house) discovered a little bit further along in Arena street. major monographic and collective exhibitions dedicated to international artists, special projects dedicated to 10 MUSEO SCIENZE NATURALI “ENRICO CAFFI” emerging artists, permanent collections, educational activities, free guided tours, projects for the disabled, Museo noto per la presenza di antichissimi fossili, tra i quali il cervo scoperto nel 2001 in Val Borlezza. conferences, performances and related events. Museum renowned for the presence of ancient fossils, including “Cervus Elaphus” found in Borlezza Valley in 3 CAMPANONE 2001. Affacciata su piazza Vecchia, la torre civica trecentesca (detta Campanone) offre dall’alto dei suoi 54 metri un 11 TORRE DI GOMBITO panorama mozzafiato sulla città. TERRAZZA PANORAMICA Overlooking Piazza Vecchia, the 54-metre fourteenthcentury city bell tower offers a breathtaking view of the city. Terrazza panoramica che offre una splendida vista. Ingresso su prenotazione allo IAT presso la Torre. The terrace offers a stunning view. Visits to the tower can 4 PALAZZO DELLA RAGIONE be booked at the IAT tourism office at the tower. S EDE TEMPORANEA DELL’ACCADEMIA CARRARA 14 La sede storica dell’Accademia in via San Tomaso 82 12 CASA NATALE DI GAETANO DONIZETTI è chiusa per restauri. Una selezione del patrimonio Al civico 14 dell’antico Borgo Canale, nello storico e delle mostre di approfondimento è ospitata presso palazzo, monumento nazionale, Gaetano Donizetti Palazzo della Ragione. nacque nel 1797. Palazzo della Ragione is currently the temporary seat of Gaetano Donizetti was born in 1797 in the historic Accademia Carrara (closed for renovation works). palace located at number 14 of the ancient Borgo Canale, now a national monument.
Museo diocesano che ospita una straordinaria testimonianza dell’arte sacra e della storia della Chiesa bergamasca. Diocesan Museum hosting an outstanding collection of holy artworks and the history of bergamasque Church.
1 MUSEO ADRIANO BERNAREGGI
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VII CONGRESSO
ANF
21-24 MAGGIO ‘15
BERGAMO
WWW.CONGRESSOANFBG2015.IT
#società GLI AVVOCATI RACCOLGONO LA SFIDA #economia #diritto
PROGRAMMA 3° GIORNO - sabato 23 maggio 2015 Sala Mosaico - Ex Borsa delle Merci ORE 9.00 - 13.00 L’organizzazione degli studi legali: gestione manageriale, marketing e nuove forme, anche societarie, per l’esercizio della professione. Le società e le associazioni, professionali e interprofessionali. Il rapporto con le altre professioni. Il ruolo, fondamentale, del marketing professionale. Il welfare attivo a sostegno degli avvocati, giovani e meno giovani.
ORE 15.00 - 19.00 Prospettive di riforma dell’ordinamento forense per l’Avvocatura del futuro. La riforma della riforma: ambiti e prospettive. Criticità dell’ordinamento vigente. Le lacune da colmare, le previsioni da modificare.
Tavola rotonda:
avv. Mirella CASIELLO
avv. Nunzio LUCIANO
Presidente Cassa Forense
dott. Gaetano STELLA
Presidente ConfProfessioni
avv. Paola PARIGI
Consulente di marketing legale
dott. Mauro IENGO
Ufficio Legislativo Lega Cooperative
Tavola rotonda:
avv. Andrea PASQUALIN
Consigliere Nazionale Forense Presidente OUA
avv. Nunzio LUCIANO
Presidente Cassa Forense
avv. Sergio PAPARO
Presidente Ordine Avvocati di Firenze
avv. Alessandro DE NICOLA Presidente Adam Smith Society
Coordinano:
Coordina:
Direttivo Nazionale ANF
Segretario Generale ANF
avv. Andrea ZANELLO e avv. Francesco MAZZELLA Interventi dei congressisti
avv. Ester PERIFANO
Interventi dei congressisti
4° GIORNO - domenica 24 maggio 2015 Sala Mosaico - Ex Borsa delle Merci ORE 9.00 - 10.00 Approvazione delle mozioni politiche
ORE 10.00 - 13.00
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Via L. Galvani, 24 - 20124 Milano (MI) T. +39 02.84342711 – 714 - F. +39 035.19968729
APF BERGAMO Associazione Provinciale Forense Via Borfuro, 11/b - 24122 Bergamo (BG) T. +39 035.24.53.51 - F. +39 035.24.34.97 E: apf@apieffe.it - Web: www.apieffe.it
E: segreteria@congressoanfbg2015.it
Illustrazione e votazione delle proposte di modifiche statutarie
The Specialist in Professional Insurance Assicurazioni Professionali LAW DIVISION
dal
1982
Convenzione Esclusiva ASSITA ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE
www.associazionenazionaleforense.it
R.C. PROFESSIONALE INFORTUNI
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UNDER 35
le Nuove Polizze per ● Avvocati/Studi Associati/Società tra Professionisti, sia Civilisti che Penalisti che Amministrativisti ● Giovani Avvocati UNDER 35 conformi all’ Art. 12 della Riforma Ordinamento Forense
Sezioni
Convenzionate
20123 MILANO - Via E. Toti, 4 (Piazza Conciliazione) 00192 ROMA - Via Paolo Emilio, 7 (zona Prati) RUI A000012675 (www.ivass.it) Capitale Sociale € 120.000 int. versato - Reg. Imprese Milano 203066 - REA 1066853 - CF/P.Iva 04937580159 PEC assita@pec.assita.it - Telefono 02 48.00.95.10 r.a. FAX 02 48.01.22.95 - 48.18.897
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