Rassegna degli Avvocati Italiani

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ASSITA EDITORE

2018

RASSEGNA

degli AVVOCATI

ITALIANI

ORGANO UFFICIALE ANF ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE


VIII

CONGRESSO NAZIONALE

UN PROFESSIONISTA INDISPENSABILE PER IL CITTADINO, L’IMPRESA, LA SOCIETÀ, IL PAESE

PALERMO 24-27 MAGGIO 2018

REAL TEATRO SANTA CECILIA

Via Piccola del Teatro S. Cecilia, 5

W W W.CO N G R E S S OA N F 2 01 8 .CO M

Il congresso è realizzato con il patrocinio di

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Aderente a

L’AUTONOLEGGIO


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PALERMO 24-27 maggio 2018

2018

ORGANO UFFICIALE

ANF

ASSOCIAZIONE

NAZIONALE FORENSE

Direttore responsabile

Marcello Pacifico Direttore editoriale

Daniela Bernuzzi Bassi Editore Assita S.p.A. 20123 Milano Via E. Toti, 4 tel. 02 48009510 - fax 02 48012295 e-mail: assita@assita.com www.assita.com Comitato di redazione Pier Enzo Baruffi Carmela Milena Liuzzi Francesco Maione Mario Scialla Fotografie Archivio ANF Indirizzo Internet dell’ANF www.associazionenazionaleforense.it

Marcello Pacifico AAA Avvocato moderno cercasi Luigi Pansini Il Congresso di Palermo, l'ANF e le sue idee Cesare Piazza Passato ingombrante e futuro scorrevole

SOMMARIO

RASSEGNA degli A V V O C AT I I TA L I A N I

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Bruno Sazzini Sulla domanda di giustizia

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Paola Fiorillo L’Avvocato al tempo di internet e del web

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Palma Balsamo Professione e innovazione, la rivoluzione digitale dell'avvocato

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Marina Cafferata Professioni Legali: “Ritorno al futuro”

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I nuovi parametri forensi e Maurizio Reale i collegamenti ipertestuali negli atti difensivi

Andrea Noccesi C'era una volta il processo civile Ester Perifano Accesso alla professione, un percorso in salita Andrea Zanello L’Avvocato specialista, come l’araba fenice Il concetto di solidarietà del sistema Milena Liuzzi previdenziale forense e …

Donata Giorgia La riforma del processo penale Cappelluto ha tradito la sua mission Mariaflora Di Giovanni Magistratura onoraria: un riforma contestata

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Giuseppe Amicarelli La vita difficile dei GOP sotto tutela

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ATA AGIUS Palermo saluto presidente ATA Palermo

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AGIUS, essere avvocati a Palermo

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Un calcetto contro la mafia

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Casella di posta del Direttore pacifico@iternet.it Periodico quadrimestrale Anno XLIII Registrazione n. 237 del 26-6-78 del Tribunale di Taranto Realizzazione e stampa Still Grafix - Cernobbio

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EDITORIALE

AAA Avvocato moderno

cercasi di Marcello Pacifico

Non sappiamo cosa sarà il mercato del diritto nei prossimi cinque anni, le tecnologie rivoluzioneranno ancora la nostra attività Christiane Féral-Schuhl 1 A tre anni di distanza dalla convention di Bergamo l’ANF si ritrova in conclave a Palermo a ragionare delle cose proprie e dell’avvocatura. E lo fa dando seguito all’impegno assunto nell’assise orobica di sviluppare ulteriormente i ragionamenti già avviati sulla giurisdizione, sull’internazionalizzazione della professione, sull’organizzazione degli studi legali, sull’innovazione tecnologica, etc. “L’Avvocato in evoluzione” è il titolo del Congresso di Palermo 2018, a conferma che in casa ANF l’attenzione è più che mai incentrata sul futuro della professione, sull’individuazione e approfondimento di quei paradigmi che potranno caratterizzarne ruolo e funzioni, osservando i fattori ipoteticamente in grado di influenzarne i cambiamenti. A Palermo si parlerà certamente di giurisdizione, tema più che mai caro all’ANF, ma anche di aggregazioni professionali e società di capitali con avvocati, di specializzazioni, di start up legal tech e di intelligenze artificiali. Di qui, si diceva, la continuità rispetto alla discussione avviata in quel di Bergamo su temi che, con la velocità della luce, vanno modifi-

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cando il mondo delle professioni e ovviamente la figura ed il ruolo dell’avvocato. La società odierna registra continue, traumatiche mutazioni, l’innovazione tecnologica detta nuove regole e ben diverse sono le esigenze e le abitudini delle nuove generazioni, quelle nate con l’euro e con lo smartphone. Nei prossimi anni, predicono i guru della comunicazione, molte professioni spariranno perché la società non ne avverte più la necessità o l’utilità, ne nasceranno altre, originate appunto dalle trasformazioni in atto. Sui siti specializzati si legge che quelle più richieste saranno le figure high skills (professioni specialistiche e tecniche), contraddistinte da saperi hi-tech e che le migliori opportunità di lavoro riguarderanno la cosiddetta ICT - Information & Communication Technology (secondo recenti stime della Commissione Europea nel 2020 ci saranno circa 1 milione di posti di lavoro in più nell'ICT). La digital revolution interessa ogni settore della vita sociale, e dunque economia, istruzione, cultura, ma anche e soprattutto il mondo del lavoro, influenzato anzi più di altri ambiti da questi cambiamenti: la digitalizzazione ha messo le imprese in condizione di doversi avvalere di professionisti in grado di soddisfare nuove esigenze e per rispondere a queste necessità occorre che anche gli avvocati ragionino da imprenditori. La funzione che gli avvocati hanno fin qui conosciuto e svolto va dunque adeguata alla figura di un professionista specialista in una o più materie, che conosca le lingue straniere perché il diritto comunitario e la contrattualistica internazionale saranno pane quotidiano, che offra ai clienti una struttura organizzativa in grado di dare risposte qualificate ed in tempo reale, che sappia avvalersi delle nuove tecnologie che il legal tech mette a sua disposizione, che sia pronto a seguire il cliente laddove necessita, e dunque predisposto alla mobilità, insomma che sappia affrontare idoneamente la sua rivoluzione digitale. E per rispondere alle obiezioni di chi dirà che nei centri medio-piccoli questo non è possibile, occorrerà tirare in ballo anche la geolocalizzazione, ossia la tecnica dinamica per far uscire lo studio, attraverso il web, dal confine della provincia ed avere un bacino di clienti potenzialmente infinito. Basterebbero già queste argomentazioni a far comprendere


quanto problematico possa rivelarsi l’approccio ad un diverso modo di essere avvocato, se non fosse che altre ancora, di natura per così dire endogena, se ne aggiungono a completare la visione di un futuro che si presenta incerto se non precario, e che va dunque affrontato con razionalità, lungimiranza, propositività e, perché no, fantasia. È un dato oggettivo quello che vede il ricorso dei cittadini alla giustizia ordinaria innegabilmente in calo e non certo, almeno non solo, per la sfiducia nel sistema giudiziario, quanto anche perché oggi andare in giudizio non è più un diritto garantito bensì un lusso che non tutti possono permettersi. Sono in tanti, infatti, quelli che rinunciano a rivolgersi all’autorità giudiziaria perché non ne hanno la possibilità economica. Conferma evidente ne è l’impietoso calo del 37% nel numero delle iscrizioni a ruolo negli ultimi 7 anni. Anche le procedure di ADR, mediazione in primis, sono scese nel corso del 2017, registrando un calo percentuale del 9,23% rispetto all’anno precedente. E dunque la speranza che il minor numero di procedimenti civili sia dovuto ad un maggior ricorso alla mediazione è andata delusa. Qualcosa nel sistema evidentemente non va, sia per la collettività che per l’avvocato. Occorre allora trovare il modo per venirne fuori, individuando cause e trovando rimedi per guardare non solo al domani ma anche al presente con maggiore fiducia. A Palermo, tra giurisdizione e legal tech Al Congresso di Palermo l’ANF mette al centro del dibattito aspetti salienti della professione forense, che più di altri possono condizionarne il futuro. Tra questi, certamente, la giurisdizione, le specializzazioni, l’organizzazione degli studi professionali, le nuove tecnologie. La difesa della giurisdizione è un punto fondamentale, irrinunciabile per l’avvocatura. Bruno Sazzini acutamente la definisce come “ il perimetro principale entro cui si (ri)definiscono, per sottrazione o addizione, le funzioni e il ruolo dell’Avvocato come soggetto necessario (o meno) nella risposta alla domanda di giustizia e nella risoluzione delle controversie”. È realmente un bene primario sia per il cittadino, che deve trovarvi riscontri idonei a quelle aspettative teoricamente garantite dalla carta costituzionale, quanto per l’avvocato, figura professionalmente preposta a farne valere i diritti e quindi essere garante della legalità.

Specializzazioni, organizzazione degli studi, nuove tecnologie, sono gli altri temi dell’ottavo Congresso dell’ANF. Su alcuni di essi, ad es. le specializzazioni, l’Associazione dovrà operare scelte importanti e individuare conseguenti linee d’azione per non restare esclusa da contesti di assoluta rilevanza per il futuro della professione. In tema di organizzazione degli studi e di aggregazioni professionali l’ANF è invece già molto avanti, le sue intuizioni di qualche anno fa hanno finalmente trovato riscontro in conformi, rilevanti provvedimenti legislativi. Che il futuro dell’avvocatura molto si giocherà anche sulla capacità di fare rete con altre professioni, oltreché con le settorializzazioni proprie dell’ambito forense, è del resto un dato ormai ineludibile, il lavoro in team ed in rete è già una realtà in molti settori. Infine l’informatica, il legal tech, le intelligenze artificiali, fronti di nuovo inevitabile impegno per una professione che deve necessariamente adeguare i propri modelli formativi ed organizzativi alle trasformazioni epocali che la società va conoscendo. A Palermo l’ANF non mancherà di dedicare attenzione ad aspetti legati alla propria realtà associativa perché pensare di affrontare le grandi mutazioni in atto nella società e nel mondo della giustizia senza creare al proprio interno le necessarie condizioni renderebbe l’elaborazione un mero, sterile esercizio dialettico. L’Associazione avverte indubbiamente l’esigenza di migliorare il proprio assetto organizzativo per rispondere adeguatamente a impegni sempre maggiori e deve ragionare sul come sviluppare una politica del territorio che le consenta di crescere ulteriormente, di rispondere alle aspettative delle sue sedi e dei suoi iscritti. Non sarà cosa da poco, anche perché quella attuale è per l’ANF una fase di importante successione generazionale, sia nelle sue tante sedi (ormai 53, con una crescita di 13 ATA nel triennio), sia nel Consiglio Nazionale, dove ai saggi ed ai personaggi storici del sindacato vanno affiancandosi forze nuove portatrici di culture diverse. Sarà importante ed anzi vitale che esperienza ed entusiasmo vadano a fondersi generando quel mixing giusto perché l’Associazione continui a volare alto come ha fatto nei suoi primi venti anni. NOTE 1. Christiane Féral-Schuhl, presidente del Conseil National des Barreaux di Parigi

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Il Congresso di Palermo,

l’ANF e le sue idee di Luigi Pansini

I numeri dell’Avvocatura non devono spaventare; deve preoccupare, invece, la loro strumentalizzazione perché penalizza i colleghi più giovani L’Avvocatura ha le sue statistiche e i suoi censimenti. E dunque, per prima cosa, i numeri: al 31 dicembre 2017 gli avvocati complessivamente iscritti agli albi sono 245.631, di cui 72.813 iscritti in quello speciale dei cassazionisti. In percentuale, uomini (52,36%) e donne (47,64%) sono quasi alla pari e 234.747 sono i colleghi iscritti nell’albo ordinario (con esclusione quindi degli avvocati degli enti pubblici, di quelli stabiliti e dei professori universitari). I praticanti sono 66.984, con una netta prevalenza del genere femminile (60,59%) e le domande per sostenere l’esame di abilitazione sono state 27.031, in calo rispetto alle 29.990 del 2016, alle 31.279 del 2015 e alle 34.883 del 2014 1. Secondo una statistica di Cassa Forense2, gli Avvocati iscritti al 31.12.2017 sono 242.796. Poi, i redditi: recentemente un quotidiano economico, con un articolo dal

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titolo ideale per chi fa del lamento la sua ragion d’essere, ha ricordato che, con riferimento all’anno 2016, 46.220 colleghi hanno dichiarato redditi tra 10.300,00 e 20.107,00 euro (con un reddito medio di € 14.947,00), 59.965 tra 1,00 e 10.300,00 euro (con un reddito medio di € 5.162,00), 14.604 hanno dichiarato reddito zero e 20.423 non hanno inviato alcuna comunicazione reddituale. Il reddito medio degli avvocati per il 2016 è stato pari a € 38.437,00, in linea con i 38.385,00 euro riferiti al 2015. Infine, le prospettive: è imminente la pubblicazione del terzo rapporto CENSIS sullo stato dell’Avvocatura. Di quello dell’anno scorso, con un campione di 10.425 avvocati, conosciamo unicamente le considerazioni finali che fotografano il perdurante prestigio della professione, il ruolo attivo dell’avvocato per il buon funzionamento del Paese, la sfiducia dei cittadini nella giustizia, la rinuncia a far valere i propri diritti (soprattutto da parte dei più istru-


iti) per il costo eccessivo d’accesso e per i tempi lunghi per la definizione della lite. La composizione dello studio, nel 39% dei casi, è incentrata sul titolare, mentre, per il 29,6%, è strutturata tra i quattro e i nove professionisti. Da ultimo, il 34,1% dei 1.425 colleghi intervistati ha dichiarato di “sopravvivere” nonostante una condizione abbastanza critica; a questi si associa il 33% che definisce molto critica e incerta la propria situazione professionale, mentre il 21% la definisce stabile, l’11% migliorata e lo 0,7% molto migliorata. Aumenta il numero dei pessimisti sul futuro della professione, con una percentuale del 24,6% del 2016 che arriva nel 2017 al 33,6%. Quindi, il confronto con i numeri del 31.12.2012: gli avvocati iscritti (secondo Cassa Forense) erano 226.734, sedicimila in meno rispetto ai 242.796 del 31.12.2017. Non ho rinvenuto i dati del Consiglio Nazionale Forense sul numero degli iscritti a fine dicembre 2012, ma sicuramente la conclusione non cambia: in cinque anni, il numero degli avvocati, sia pure in percentuali minori rispetto al passato, è aumentato. Ovviamente, ogni statistica offre anche una lettura geografica, molto importante, dei numeri che la compongono. Tuttavia, le battute a disposizione per questo articolo non consentono il relativo approfondimento. Questa, ad oggi, è la fredda fotografia numerica dell’Avvocatura in Italia. I numeri, sia ben chiaro, non devono spaventare, deve invece allarmare la loro strumentalizzazione. Gli anni della legislatura appena conclusa sono stati caratterizzati dall’uso distorto dei dati e delle statistiche sui numeri delle cause pendenti per giustificare interventi a pioggia e a macchia di leopardo sul processo civile e quello penale, da tutti stigmatizzati e criticati. E, poi, rivelatisi quasi inutili. Un’analoga strumentalizzazione involge anche i numeri dell’avvocatura, con cure e rimedi che penalizzano soprattutto i colleghi più giovani, che invece necessitano di una maggiore atten-

zione e rispetto ai quali la legge professionale del 2012 aveva ed ha, tra i suoi obiettivi, quello di favorirne l’ingresso alla professione e l’accesso alla stessa, con criteri di valorizzazione del merito.

Una legge ordinamentale pressoché fallimentare Ora, prima di formulare qualche considerazione, c’è una data da tenere sempre a mente, quella del 31 dicembre 2012, in precedenza presa come data di riferimento per un paragone sui numeri dell’Avvocatura rispetto al 31 dicembre 2017. La scelta non è casuale: è la data spartiacque per l’Avvocatura italiana, consacrata - quel giorno - con l’approvazione della legge professionale n. 247, in un momento del Paese dominato dalla crisi economica, dall’impoverimento della società e dalla precarizzazione del lavoro, e in una fase di fortissimo appannamento delle libere professioni e del ceto medio della società che esse hanno sempre rappresentato in Italia. A distanza di cinque anni, deve ritenersi superato il periodo di naturale assestamento alla nuova legge professionale. Quasi tutti i regolamenti di attuazione, anche se alcuni sono stati annullati e altri sono tuttora sub iudice, sono stati adottati dal Ministero della Giustizia, dal Consiglio Nazionale Forense e da Cassa Forense. Tutto ciò osservato, la prima considerazione: l’Avvocatura ha sicuramente superato il nodo più delicato della riforma della legge professionale, quello dell’iscrizione obbligatoria all’ente di previdenza. Cinquantaseimila circa erano i colleghi iscritti agli albi ma non a Cassa Forense, che, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 247/12 e fatta eccezione per una minima percentuale fisiologica, hanno regolarizzato la loro posizione previdenziale. Cassa Forense, dal canto suo, in questi anni ha approntato misure con una serie di agevolazioni in relazione all’età, agli anni di professione, alla possibilità di rateazione dei contributi, e per il quadriennio 2018-2022 ha ottenuto dalle 5


Il Congresso di Palermo, l’ANF e le sue idee 6

autorità vigilanti la temporanea abrogazione del contributo minimo integrativo sino ad oggi corrisposto nei mesi di febbraio, aprile, giugno e settembre di ogni anno. Una misura che tutti aspettano è legata alla possibilità, oggi non prevista, di compensare i crediti maturati con il patrocinio a spese dello Stato con i contributi previdenziali. Quasi d’inerzia, poi, l’Avvocatura sembra aver superato anche l’obbligo di stipula dell’assicurazione per la responsabilità professionale. Diritto alla pensione e RC professionale, due pilastri irrinunciabili anche della nostra professione. Ma, considerato che l’onere a carico dell’avvocato, soprattutto quello economico, è l’argomento che fa maggiormente - e negativamente - presa nelle discussioni tra gli appassionati di politica forense, le statistiche evidenziano che, nonostante l’obbligatorietà dell’iscrizione previdenziale e dell’assicurazione professionale, i numeri dell’Avvocatura sono rimasti gli stessi; anzi, sono aumentati e tutti sono uguali dinanzi a Cassa Forense e alla RC professionale. La seconda considerazione: la legge ordinamentale del 2012, lo abbiamo detto più volte, si è rivelata pressoché fallimentare. Rispetto a cinque anni fa le attività di formazione e di aggiornamento professionale hanno assunto connotazioni e applicazioni farsesche, le materie nelle quali ci si potrà specializzare devono essere ancora individuate dopo le pronunce del TAR e del Consiglio di Stato che hanno annullato il regolamento ministeriale, i consigli di disciplina sono in forte difficoltà. Le giovani generazioni, come anticipato in precedenza, sono le più penalizzate: il tirocinio di diciotto mesi può aver inizio anche prima del termine del corso di laurea; è sufficiente la frequenza per solo sei mesi dello studio di un avvocato; è obbligatoria la frequenza per diciotto mesi di corsi di formazione con un numero programmato per l’accesso; l’esame di abilitazione va superato senza codici annotati; per diventare cassazionisti occorre frequentare una scuola con

prova selettiva d’accesso, pagare un contributo e superare una verifica finale di idoneità. Insomma, un vero disastro, concepito e realizzato con il seguente piglio: “meglio una cattiva legge che nessuna legge, lavoreremo dal giorno successivo alla sua approvazione per migliorarla”. La terza considerazione: sopravvissuta agli smottamenti naturali dovuti al nuovo assetto ordinamentale, l’Avvocatura, in questi cinque anni, è profondamente cambiata e non per effetto della legge n. 247/12. Le parole d’ordine oggi sono tante, alcune più condivisibili di altre: specializzazione, giurisdizione forense, innovazione, aggregazione, multidisciplinarietà, meno processo e più sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, equo compenso, deontologia.

L’Avvocatura della “terra di mezzo” Ma, a chi sono rivolte queste parole d’ordine? A quale Avvocato ci si rivolge quando parliamo di futuro della professione, di specializzazione, d’innovazione, di giurisdizione e di equo compenso? Chi sono gli avvocati pessimisti che figurano nel rapporto CENSIS dell’Avvocatura? Quale Avvocatura è sopravvissuta agli smottamenti di questi ultimi cinque anni? Ci rivolgiamo a tutti i 245.631 colleghi censiti dal CNF al 31 dicembre 2017 o a parte di essi? Sicuramente, su questi temi i nostri interlocutori non sono gli avvocati dei grandi studi legali. Loro sono fuori dal perimetro spazio-temporale rappresentato dalla legge ordinamentale del 2012, hanno (sempre avuto) una loro formazione e specializzazione, si dotano di budget ad hoc per l’innovazione e l’organizzazione del lavoro, si muovono in un circuito giurisdizionale nazionale e sovranazionale, hanno un magazine e un’associazione con cui operano in piena sintonia, sono disinteressati alle vicende della politica forense quale noi la conosciamo, hanno sofferto la crisi generale che ha toccato la nostra società ma sono già pronti per affrontare i prossimi venti anni di professione.


l’essere genitore o l’essere professore in una scuola superiore oppure perché sono in attesa di altra sistemazione, tutti consapevoli che la loro libera e legittima decisione influisce anche sui redditi prodotti, che, da un lato, fanno media con quelli di chi esercita la professione in modo esclusivo e prevalente e, dall’altro, non tengono conto di quelli non dichiarati. Per coloro che tendono al lamento e che magari si scandalizzano pure dinanzi a fenomeni di start up forensi che mirano ad assicurare prestazioni di qualità a prezzi contenuti, vige il principio secondo cui semel Avvocato semper Avvocato, al quale consegue il corollario in forza del quale, in caso di incapacità o difficoltà, non si può e non si deve cambiare vita e professione. Ovviamente, nemmeno gli Avvocati dal lamento facile e quelli che hanno deciso liberamente e consapevolmente (rispetto agli oneri che comunque ne derivano) di esercitare la professione in modo non esclusivo e non prevalente possono

Il Congresso di Palermo, l’ANF e le sue idee

Al loro estremo opposto, ci sono coloro che rivendicano orgogliosamente (sigh!) l’idea di un’Avvocatura proletarizzata, da assimilare al lavoratore dipendente e alla quale riconoscere una retribuzione rispettosa del precetto contenuto nell’art. 36 della Costituzione. Sono i colleghi, fortunatamente una minoranza, che ritengono che il superamento dell’esame di abilitazione attribuisca il diritto al cliente e al reddito, che dimenticano che la nostra è pur sempre una professione dagli esiti incerti e dalle fortune altalenanti, che reclamano assistenzialismo e attenzione a vita per il sol fatto di “essere diventati” Avvocati, che non riconoscono in capo a sé stessi alcun onere e dovere. Insomma, sono coloro che gongolano nel leggere dei bassi redditi dell’Avvocatura senza preoccuparsi di dover e voler accettare l’idea che, oltre agli avvocati dei grandi studi legali, ci sono colleghi che hanno deciso di esercitare la professione in maniera saltuaria oppure privilegiando

Il Consiglio Direttivo ANF ▲

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Il Congresso di Palermo, l’ANF e le sue idee

essere annoverati tra gli interlocutori con i quali discutere delle opportunità e delle prospettive dell’Avvocatura nei prossimi venti anni. I nostri interlocutori sono i colleghi che esercitano nella “terra di mezzo”, tra i due estremi opposti. A loro è dedicato il nostro impegno, la nostra idea di professione. A loro noi ci rivolgiamo quando proviamo ad immaginare l’Avvocatura dei prossimi vent’anni.

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A Palermo, alla ricerca del professionista indispensabile L’impegno e le idee sono quelle dell’A.N.F. – l’Associazione Nazionale Forense, che a Palermo, nel mese di maggio 2018, celebra il suo ottavo Congresso nazionale. Un triennio di segreteria che si conclude e che conclude un lungo periodo che ha visto l’Associazione spendersi e battersi principalmente sulla legge professionale: la legge n. 113 del 2017 sulle regole per elezioni dei componenti dei consigli degli ordini circondariali reca la nostra firma, dopo un lungo contenzioso dinanzi al TAR e al Consiglio di Stato; su specializzazioni, cassazionisti, formazione, giornale dell’Avvocatura (Il Dubbio), gettoni in favore del CNF, siamo stati gli unici a prendere posizione e ad assumere iniziative concrete, anche giudiziarie; nostro il sostegno per l’approvazione della legge per la concorrenza e il mercato con le società di capitali tra avvocati; nostre sono le perplessità sul mancato assetto democratico della governance dell’Avvocatura e la mancata separazione dei poteri del Consiglio Nazionale Forense e sulla contraddizione rappresentata dal progetto sul riconoscimento dell’Avvocatura nella Carta Costituzionale (!). E ancora: il Congresso Nazionale Forense di Rimini del 2016, la scomparsa dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura e la nascita dell’Organismo Congressuale Forense; l’introduzione delle società di capitali tra avvocati; il primo dibattito pubblico sugli avvocati dipendenti di altri avvo-

cati; la legge sul lavoro autonomo del 2017; l’equo compenso con le nostre perplessità al riguardo; la scongiurata introduzione del rito semplificato di cognizione; le statistiche sullo stato della giustizia civile in Italia. L’Associazione Nazionale Forense è sempre stata presente su tutti questi temi. Una navigazione spesso in solitaria, “in direzione ostinata e contraria” che, indipendentemente dai molti risultati ottenuti, ne ha confermato il ruolo di Associazione autorevole e punto di riferimento per i colleghi. Cinquantatré sedi sul territorio, una piattaforma per la formazione in streaming e a distanza, una TV, la partecipazione al programma europeo Horizon 2020 sulla giustizia e sulla carta europea dei diritti fondamentali, i progetti realizzati con i bandi di Cassa Forense, la solida e duratura partnership con Assita, l’adesione convinta e propositiva a Confprofessioni. Non mancano e non mancheranno i momenti di difficoltà e scoramento, ma non verrà meno l’impegno del Consiglio Direttivo, del Presidente, del Consiglio nazionale, dei Dirigenti di sede, degli Associati. Questa è l’Associazione Nazionale Forense che si presenta al Congresso di Palermo. Questa è l’Associazione che dal Congresso vuole venir fuori con un’idea e una proposta di professione che, dentro e fuori dalla giurisdizione, possano rendere l’Avvocato indispensabile per il cittadino, le imprese, la società, il Paese.

NOTE 1.

fonte: Consiglio Nazionale Forense, dati aggiornati al 18.1.2018

2.

newsletter Cassa Forense del 17.3.2018


Passato Ingombrante

e Futuro Scorrevole di Cesare Piazza

All’avvocato in costituzione preferisco l’avvocato in evoluzione Secondo le risultanze del Rapporto annuale sull’avvocatura italiana (CENSIS, marzo 2016) una sia pur lieve maggioranza degli attuali esercenti la professione forense, e quindi comunque più di centoventiseimila soggetti, ha dichiarato di aver scelto la carriera forense animato da pura passione per il diritto e per la sua applicazione pratica. Questo, al netto delle altre variegate e minoritarie motivazioni, conferma che ancor oggi le attenzioni e le dedizioni degli avvocati sono generalmente indirizzate a realizzare gli scopi della tutela dei diritti, della difesa degli accusati, e del mantenimento della legalità. Per converso, è dallo stesso rapporto Censis che emerge la difficoltà – per non dire l’attuale improprietà sociale – del mantenimento degli scopi che abbiamo detto. Sono indubbiamente scopi di tutto rispetto, anzi di prestigio, di altissimo valore sociale e morale: ma ad influenzare negativamente l’immagine dell’avvocato fra la gente comune (il 60% circa degli italiani) è il cattivo funzionamento del sistema

giudiziario del paese, in concomitanza del quale si addebita agli avvocati di non aver interesse alla semplificazione delle procedure, di essere eccessivamente orientati al profitto sulla pelle dei bisognosi di difesa, di essere troppo coinvolti negli ambienti politici, e di essere comunque troppi per garantire un livello di eccellente qualità professionale. Se, facendo omaggio all’onestà intellettuale, si mette per un momento da parte la tendenza a una sussiegosa autoreferenzialità, che serpeggia nell’ambito di tutte le storiche professioni ordinistiche e segnatamente anche nella nostra, e si cerca di rendersi più esattamente conto dell’indispensabile rapporto che si deve creare fra la società in generale e l’offerente di servizi intellettuali, non si possono non cogliere preoccupanti sintomi di scivolamento verso

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che non ha un’incisiva valenza collettiva perché il prestigio ognuno se lo può personalmente conquistare e mantenere con una costante formazione di eccellenza, ma dedichiamo le nostre riflessioni alla questione della scarsa utilità della prestazione fornita. Questione che, per i fruitori significa disincanto, sfiducia e distacco; ma che per gli offerenti significa gravi conseguenze economiche: quelle conseguenze che fanno sentire al 79,7 per cento degli avvocati il morso di una forte crisi professionale ed economica, tanto da indurre (penso con sofferta riluttanza) un avvocato su cinque al ripensamento del proprio ruolo e della propria identità.

La giurisdizione, pilastro della cultura civile di un popolo e garanzia di tenuta per la democrazia

Passato Ingombrante e Futuro Scorrevole

un’emarginazione degli avvocati nelle classifiche di prestigiosità e di concreta utilità. I dati raccolti dal Censis dicono che quanto a prestigio l’avvocato viene per ottavo, dopo magistrato, professore, notaio, ingegnere, dirigente industriale, e imprenditore; e quanto all’utilità .. è ovvio che la scadente, disordinata e ritardataria resa di giustizia riverbera il proprio effetto negativo sull’immagine e sull’efficacia della sua opera. Dunque, il punto è questo: l’offrire prestazioni per la tutela dei diritti, per la difesa degli accusati e per il mantenimento della legalità, nonostante un grande e onorato passato della professione, non porta più a ritenere tali prestazioni prestigiose o utili. Pur con tutte le riserve e i distinguo che possono essere del caso, questa è l’opinione del 60 per cento circa dei cittadini intervistati. E lasciamo pure stare la questione del prestigio,

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▲ Riunione del Consiglio Nazionale ANF a Bologna, febbraio 2018


diritto, pian piano, si è fatto “liquido”. Non è un’impressione mia: con l’autorità che gli spetta, l’allora presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi (non è un giovane baldanzoso e sovversivo, ci siamo conosciuti, lui ed io, come matricole nella facoltà di giurisprudenza…) nel presentare la relazione annuale del 2017 si è inoltrato nella previsione che la stessa Corte sia chiamata a “convogliare nell’alveo della legislazione le istanze di nuovi valori, o interessi o bisogni, perfino ancora inespresse” addirittura “anticipando soluzioni destinate a risultare in seguito scontate”. Se questa non è la previsione di una legalità “liquida”, ditemi voi che cos’è. E del resto, di esempi di diritto liquido già abbonda la nostra esperienza. Basterà rammentare le innovazioni di fatto in materia di decozioni di imprese, in materia di insolvenze sistematiche, in materia di rispetto della proprietà, in materia di illeciti tributari ed edilizi (condoni), in materia di irrilevanza sociale di certi reati, in materia di licenza di diffamazione letale tramite web, eccetera. E, se guardiamo alle regole più propriamente attinenti l’esercizio della nostra professione, che dire dei continui contrasti e verdetti contraddittori fra sezioni della suprema corte, dell’imperscrutabilità bizzarra delle decisioni delle commissioni tributarie, delle libertà di forme e di estensione degli atti processuali compressa da disposizioni autoritarie e prassi obbligatorie, dei diritti delle parti nei processi civili e penali compressi o annullati da protocolli regolatori, dell’obbligo sistematicamente evaso di dare prevedibilità ai tempi mediante la formazione del calendario del processo, dell’uso arbitrario e strumentale nelle pronunce di inammissibilità delle impugnazioni? Ma nell’ambito sociale c’è anche di più: addirittura l’invalso andazzo di incalzare da presso la giustizia penale, mediante un circo mediatico colpevolista fatto di programmi televisivi, di articoli di giornale, di presidi pubblici di comitati, associazioni, o gruppi di opinione alle porte dei tribunali; o l’invalso andazzo di osteggiare

Passato Ingombrante e Futuro Scorrevole

Non è da ora che, anche nell’ambito della nostra Associazione, si va riflettendo sul da farsi per rilanciare, e così salvare, questa antica e nobile professione, e già si è sostenuto con passione e con forza (vds. IV Congresso Nazionale ANF, Rimini marzo 2006) che la vera e corretta soluzione del problema sta nel rilanciare e potenziare la giurisdizione, come pilastro della cultura civile di un popolo e come garanzia di tenuta per la democrazia. In un contesto così glorificato, la figura dell’avvocato sarebbe stata collocata in posizione centrale, oggetto di prestigio e di remunerazione morale oltre che economica. Sennonché, bisogna prendere atto che queste giuste e lodevoli aspirazioni derivavano (e derivano, se ancor oggi c’è qualcuno che si dichiara animato principalmente dalla tutela dei diritti e dal mantenimento della legalità) da un passato, plurisecolare, di stabilità sociale e di stabilità di regole. Consentitemi di rammentare che fino a tempi abbastanza recenti gli avvocati (come tutti i giuristi) provenivano soltanto da studi classici e umanistici, e venivano cooptati nel ceto forense per ragioni di notabilato cittadino o di tradizione familiare; e che negli studi legali i testi sacri fondamentali erano solo due: i quattro codici di Franchi & Feroci – ediz. Hoepli – rilegati blu in pelle salpa e carta india, e i tre volumi Cedam anch’essi blu delle “leggi usuali d’Italia”. E non sto parlando di cento anni fa, ma dei tempi in cui io stesso ho cominciato. Stabilità, dunque, fermezza, solidità, tradizione, affidabilità delle istituzioni. Di questa cultura, di questo diritto, della sua applicazione pratica, di questa custodia di regole veramente ci si poteva anche dichiarare appassionati, tanto da farne motivazioni e scelte di vita. Ma col passare del tempo tutta questa solidità e concretezza è venuta meno, l’intera società pian piano è divenuta duttile, poi malleabile, infine – a dire del filosofo Baumann – addirittura liquida. La caratteristica dei liquidi per l’appunto è quella di non avere forma propria, ma di assumerne via via quella dell’occasionale contenitore. E anche il

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Passato Ingombrante e Futuro Scorrevole 12

o impedire opere pubbliche sgradite a qualche minoranza mediante occupazioni, resistenze o violenze; o infine l’invalso andazzo di predicare l’abolizione della disciplina scolastica in quanto oppressiva della spontaneità. Ci si può appassionare più a questo tipo di società e di diritto? Aggiungo, per conseguenza: si può essere entusiasti di una figura tradizionale di avvocato – come la tratteggia e la vuole l’ordinamento professionale della legge 247/2012 – che non ha alcuna possibilità di conservare prestigio, autorevolezza e giusta remunerazione in una società liquida, che ogni giorno muta i suoi apprezzamenti e i suoi valori, e si fa via via le sue regole? Io, che invece quanto meno per anzianità dovrei essere un conservatore, non vedo come questa legge di ordinamento professionale sia in grado di garantire un futuro all’avvocato della società liquida; e auspico che i giovani professionisti alle prese con le gravi difficoltà di identificazione del loro ruolo siano capaci di avviare un forte movimento di opinione per ottenere che siano riformate le disposizioni ordinamentali soprattutto in materia di incompatibilità (che problema c’è a consentire a un avvocato di amministrare una società? che problema c’è a consentire a un avvocato di essere dipendente di uno studio legale? che problema c’è a consentire a un avvocato di esercitare la professione in maniera imprenditoriale, libero di proporsi sul mercato con congrua pubblicità e libero di associarsi con altre figure professionali?) e in materia di accesso (che problema c’è a consentire più agevolmente a chi compiuto comunque un percorso formativo di diciotto mesi di presentarsi all’esame di stato?). Ho detto “soprattutto”, ma l’elenco dei punti in cui apportare modificazioni alla legge è lungo: e se ne parlerà a tempo e a luogo. Ma figuratevi che c’è chi pensa (speriamo che lo creda davvero, in buona fede) che la strada per ovviare a tutte le difficoltà sia quella di inserire la figura dell’avvocato nella costituzione

della Repubblica. Sarà, ma io la penso come il Segretario Generale Gigi Pansini: all’avvocato in costituzione, preferisco l’avvocato in evoluzione, cioè libero di evolvere la sua collocazione in una società liquida che non gli dà più gli appoggi di un passato – imponente sì, ma ingombrante –, mediante scelte ponderate ed equilibrate fra giurisdizione e assistenza agli affari, fra deontologia e agilità di movimento, fra diritto ed economia, fra cautela di specialista e coraggio di innovatore. Insomma libero di trasferirsi da un personaggio con un paludamento da scena disegnato da una legge passatista a un personaggio con abito curiale, sì perché anche l’abito fa il monaco, ma di varia foggia come scelta da lui per un futuro scorrevole e appassionante.


Sulla domanda di giustizia di Bruno Sazzini

“Quando la rappresentanza sa porsi questione di sistema poi è anche più capace di tutelare la sua parte” 1 Il punto centrale. L’VIII Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Forense sarà l’occasione per ripensare il ruolo e la funzione dell’Avvocato nella giurisdizione e nella società nel terzo mil-

lennio, ennesima declinazione di un tema già sviluppato nell’elaborazione storica dell’Associazione, ma in continuo divenire nel mutare delle circostanze sociali, politiche e storiche. La giurisdizione, piaccia o meno, rimane il perimetro principale entro cui si (ri)definiscono, per sottrazione o addizione, le funzioni e il ruolo dell’Avvocato come soggetto necessario (o meno) nella risposta alla domanda di giustizia e nella risoluzione delle controversie. Il primo passaggio è, come detto in epigrafe, cercare di cogliere in breve sintesi l’evoluzione delle risposte alla domanda di giustizia, delle nuove tecnologie e, più in generale, del sistema Paese per capire dove si potrà collocare l’Avvocatura nel futuro prossimo e individuare una corretta rappresentazione dell’interesse generale e particolare (della categoria). L’approccio, in questi anni, nello studio della domanda di giustizia è stato prevalentemente empirico, più attento all’aspetto organizzativo che al contenuto della tutela dei diritti, sviliti, spesso, nell’importanza sociale, privilegiandosi scelte di celerità nell’espletamento della giurisdizione rispetto alla qualità (e stabilità) dei contenuti: infatti, non sempre ciò che è efficiente è efficace, così come ciò che è efficiente ed efficace, non sempre è giusto.

Zenit e Azimut La distanza tra i due approcci, e dello spostamento del punto di vista sulla giurisdizione e la sua attuazione pratica, lo si nota dall’incremento delle professionalità che analizzano il mondo della giustizia: non più solo giuristi o processualisti, ma, in maggior misura, studiosi di organizzazioni complesse, sociologi ed economisti. Questa molteplicità di punti di vista è da, da un lato, una ricchezza, ma, dall’altro, alimenta l’impressione che si 13


Sulla domanda di giustizia

descrivano mondi diversi non sempre comunicanti: entrambi parte del sistema del solare ma spesso collocati allo Zenit e all’Azimut. Riflettere sulla domanda di giustizia è anche analizzare lo stato di un Paese e il suo livello di democrazia, perché i limiti all’accesso, la degiurisdizionalizzazione e le nuove tecnologie si traducono “nella valutazione della qualità della giustizia, intesa come qualità del sistema che attua le norme formali dei diritti”.2 Una associazione che tuteli gli interessi degli avvocati deve essere capace di coniugare questi due estremi 3 e 4 calandoli nell’attualità, ma, ancor più, nel futuro.

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Le molte giurisdizioni Negli anni 90 si ipotizzava l’esistenza di una società senza Stato, la business community, normata dalla lex mercatoria, insieme di trattati e contratti sovranazionali, e regolata, nella risoluzione dei conflitti, da camere arbitrali internazionali, in una dimensione diversa dalla giurisdizione di ogni singolo Stato e ad essa alternativa. Si configuravano, a grandi linee, due modi di risoluzione delle controversie definiti dal merito della materia: il primo prevedeva il ricorso ad un sistema extrastatuale collegato ai trattati internazionali di libero scambio o a contratti che, con l’inserimento di clausole compromissorie, escludevano la giurisdizione del singolo Stato a favore di quella scelta dai contraenti (il cd forum shopping) ed era caratterizzato da una giustizia costosa ma rapida ed efficace, affidata a giudici scelti dalle parti per la loro professionalità. Il secondo, invece, era affidato alla giustizia statale, sostanzialmente gratuita, lenta e disorganizzata, senza specializzazione5. La distinzione oggi non è più attuale perché la differenziazione nella risoluzione dei conflitti nelle due società, che possiamo definire, echeggiando il dualismo di Galgano, quella degli affari e quella della quotidianità, è stato ripreso nel modello di giurisdizione pubblica come dise-

gnato in Italia dal susseguirsi delle riforme. La società degli affari può risolvere le controversie nella giurisdizione con il ricorso a sezioni specializzate e a tutele privilegiate (es. il potere degli istituti di credito di vendere direttamente gli immobili), con una attenzione diversa e maggiore (sia come legislazione che come destinazione di risorse) rispetto a quella dedicata alla società della quotidianità. I comuni cittadini, infatti, vengono dissuasi al ricorso alla giurisdizione pubblica con costi di accesso sempre più elevati, mentre la risoluzione delle controversie è affidata in maggior misura alla magistratura onoraria, con riti semplificati dove si riscontra uno scarso rispetto all’effettività del contraddittorio (e quindi del controllo di legalità) e una preponderanza del ruolo e dei poteri del Giudice. La scelta della politica, però, non può definirsi neutra, se anche inconsapevole: la debolezza della risposta alla domanda di giustizia si riflette integralmente sul tessuto socio economico di un Paese perché “la giustizia è trasversale, superiore a tutte le altre, e meta funzionale, necessaria a tutte le altre attività della vita pubblica e privata” 6.

Fuga alla giurisdizione I nuovi modelli alternativi di risoluzione delle controversie (ADR, Mediaconciliazione, ecc.) sono stati introdotti dal legislatore in logica meramente deflattiva e inidonei, per caratteristiche proprie, a vincere il cd. paradosso della domanda di giustizia: i meccanismi sociali sono talmente indeboliti che l’unico modo di risoluzione risiede nella domanda giudiziale7, che, a sua volta, tende a deprimere questo eccesso di domanda, mantenendo, di fatto, la difettosa regolazione sociale8. Per cogliere la completa decontestualizzazione di questi strumenti pensiamo che la cultura originaria delle A.D.R. era una risposta all’ipertrofia giudiziaria in chiave prevalentemente controculturale, ispirata dai movimenti giovanili americani


Conclusioni Il breve, e assai incompleto, excursus sulla domanda di giustizia vuole suggerire come la giurisdizione resti la pietra di paragone del ruolo e della funzione dell’avvocato tanto che si ponga al suo interno quanto all’esterno. È necessario recuperare, all’interno della giurisdizione, non tanto la funzione di tutela degli interessi e dei diritti del suo Cliente, quanto il ruolo di interlocutore necessario nella dialettica processuale della funzione giurisdizionale. Questo, però, non basta: l’avvocato deve diventare protagonista anche oltre la giurisdizione, ricercatore delle soluzioni più idonee nella risposta alla domanda di giustizia (ADR; negoziazione; arbitrato; etc), con attenzione alle nuove tecnologie, dove potrebbe presentarsi come garante della legalità nei sistemi di transazioni certificate. Gli spazi, pertanto, ci sono e l’Avvocatura non deve rinnegare sé stessa, il proprio D.N.A., ma adattarlo ai tempi con spirito critico e umiltà, “analizzando il mondo come è oggi, non come era,

o si vorrebbe che fosse, o come si sarebbe voluto che fosse stato” (T. Blair).

NOTE 1. D. Di Vico “Nel paese dei diseguali”. Egea, pag. 27. 2. D. Piana, prefazione a “A quoi nous sert le droit” di J. Commaille. 3. “All’Avvocato si chiede di riflettere su quanto debba ancora molto essere fatto per capire come si struttura la domanda di giustizia e la domanda di diritti propri perché solo la analisi empirica permette di apportare migliori politiche pubbliche, a partire dal reclutamento della professione forense a quelle di specializzazione ed aggiornamento”. D. Piana, op. cit. 4. “Si può parlare se si vuole di democrazia nell’amministrazione della giustizia; ma la democrazia è, in questo ambito, la democrazia sul processo, e il contraddittorio processuale”. F. Galgano “La globalizzazione nello specchio del diritto” Il Mulino. 5. F. Galgano, op. cit., distingueva tra una societas divitum contrapposta ad una societas pauperum. 6. D. Piana, La giustizia e i suoi saperi, LUISS, che continua: “le debolezze del sistema giustizia non si limitano ad avere un impatto deterrente sul finanziatore o sull’investitore internazionale. Esse hanno un immediato effetto negativo sulle risorse e sulle disponibilità dei cittadini e delle famiglie, delle imprese che hanno un raggio di azione interno ma che sono spesso il nerbo portante dell’economia del Paese”. 7. D. Piana “Uguale per tutti’” Il Mulino. 8. “Una società in cui i cittadini non si comportano secondo l’idea per cui le norme valgono super partes è una società in cui lo stato di diritto, anche sostenuto da meccanismi forti e rigorosi di rule enforcement e di sanzioni a violazioni delle regole sarà facilmente vittima della resistenza” D. Piana, Uguale per tutti’ 9. “Da qui l’idea di creare e diffondere modi alternativi della risoluzione delle controversie per sfuggire alla gerarchia delle relazioni tra clienti e avvocati, giudice e parte, ma soprattutto per incentivare strumenti, quali la mediazione, in grado di rendere la società meno egoista e favorire i rapporti tra gli individui, allo scopo, quindi, di trasformare il carattere sia dei singoli individui che della società nel suo complesso”. T.E. Frosini, “Un diverso paragidma di giustizia”, in Rassegna Forense 2/11, pag. 329. 10. È una tecnologia che si assume trasparente e decentralizzata, registrazione di tutte le transazioni relative ad un bene, materiale o immateriale. La transazione non è certificata da una autorità centralizzata, ma tramite la scoperta dell’algoritmo - su cui si basa il blocco delle transazioni - da parte di un nodo (miner) che congela la transazione apponendo un hash (impronta digitale). Un insieme di blocchi di transazione forma la catena (blockchain) che mantiene per sempre traccia di ogni transazione in un sistema riconosciuto legittimo da tutti gli appartenenti alla catena. 11. Si tratta di “software un sillogismo giuridico eseguito in maniera automatica” esemplificazione di A. Palombo in “Blockchain e smart contract, qualcosa è cambiato anche dal per gli avvocati” Altalex 9.1.2017 articolo di C. Morelli. 12. ”Ti lascio una canzone ma non la blockchain” Altalex 1.6.2017, articolo di C. Morelli.

Sulla domanda di giustizia

degli anni 60, ostili e diffidenti verso il sistema di risoluzione delle controversie affidato alle corti, percepito come intrusione statale nella sfera privata dei cittadini9. L’humus del controculturalismo, poi, si ritrova anche in molte delle nuove tecnologie: tutto il sistema della blockchain è volto alla disintermediazione, si basa sulla fiducia dei partecipanti ed è autonoma e autoregolatoria10. Superati i problemi di sicurezza e di controllo effettivo sulla gestione si aprono orizzonti sempre più ampi per le nuove applicazioni nella risoluzione delle controversie (e la tutela dei diritti) fuori dalla giurisdizione: già ora gli smart contract11, se pure pongono complessi problemi giuridici (responsabilità in caso di mal funzionamento; foro competente; ecc.), offrono già modelli di risoluzione con blockchain che costituiscono un protocollo di transazione computerizzata che garantisce l’esecuzione del contratto12.

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L’ Avvocato al tempo di internet e del web di Paola Fiorillo

trasformazioni profonde stanno caratterizzando e modificando la cultura dei liberi professionisti Quando in ambito scientifico si parla di precognizione e premonizione si corre il serio rischio di vedersi scherniti, perché “prevedere il futuro” è ritenuto dalla scienza materia per ciarlatani e chiromanti. Ma ANF in questi anni ha dimostrato che invece è possibile e, senza voler peccare di autoreferenzialità, piace ricordare, tra le tante intuizioni, quella di aver compreso ben prima di altri l’importanza di fare rete con le altre professioni. Ne è conferma il fatto che risale al 1997 l’adesione a Confprofessioni, organizzazione di rappresentanza di secondo livello dei liberi professionisti in Italia, riconosciuta parte sociale nel 2001, firmataria del CCNL dei dipendenti degli Studi professionali e parte del Cnel dal 2010. Ed ancora, già nel 2010 ANF cominciava a porre il problema degli avvocati “sans papier”, ovvero gli avvocati, per lo più giovani, che operano in regime di mono-committenza, di fatto lavoratori subordinati, senza avere però le garanzie dei lavoratori subordinati. E sempre in quegli anni

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ANF intuiva la gravità dell’esclusione per gli avvocati dalla disciplina prevista dalla legge 183/2011, comprendendo invece anzitempo le grandi opportunità di lavoro che le società multidisciplinari ed in generale l’organizzazione societaria avrebbero portato all’avvocatura. Da qui l’organizzazione di eventi importanti per far comprendere ai colleghi la necessità di avere uno slancio in avanti, abbandonando pregiudizi e ripensando completamente interi settori lavorativi. Già alla fine degli anni ’90 ANF ha acquisito consapevolezza di quanto sia fondamentale avere una visione e una


strategia capace di indirizzare e trasformare le competenze, gli skills ed i modelli organizzativi. Invero, il mondo dell’avvocatura, al di là dei numeri e dei dati statistici che periodicamente vengono pubblicati, non è mai stato studiato a fondo, o quantomeno in modo adeguato, nelle sue molteplici sfaccettature e diversità, e mai con l’attenzione che un settore dinamico, in continuo cambiamento, soggetto alle numerose sfide di un mercato sempre più aperto, competitivo e globalizzato, avrebbe meritato. Lo sguardo prospettico, e perché no la Weltanschauung (sia consentito l’utilizzo di questo termine poiché esprime perfettamente la filosofia di ANF, da sempre associazione all’avanguardia ed innovativa per il crescente numero di avvocati che volontariamente scelgono di aderirvi), l’ha portata, in questi anni, non solo a tutelare gli interessi attuali - senza mai scivolare verso una deriva populista - ma soprattutto quelli di domani, e quindi a proiettarsi in un arco temporale di medio/lungo periodo. Gli ultimi dati pubblicati da Cassa Forense rappresentano una avvocatura che ha tenuto sotto il profilo numerico, anche se (soprattutto per le nuove generazioni) avviata verso una sorta di “proletarizzazione”, dunque più bisognosa di tutele e di rappresentanza. Di qui nuovi scenari che vedranno negli anni a venire l’ANF impegnata ancora di più nel dare voce e tutelare chi è in difficoltà, fornendo strumenti innovativi per una formazione professionale performante, capace di analizzare i nuovi dati e le informazioni che provengono dal mercato del lavoro, trasformandole in nuove competenze ed occasioni lavorative, evitando ovviamente quelle derive populiste di facile appeal che non le sono mai state proprie. Si riparte sapendo che oggi è in vigore la legge n. 81/2017 (il c.d. Jobs act sul lavoro autonomo) e nella consapevolezza che, nel bene o nel male, questa legge rappresenta un primo concreto tentativo di venire incontro alle libere profes-

sioni, fornendo strumenti innovativi che vanno conosciuti ed attuati.

Strumenti innovativi per le libere professioni Anche il modello di rappresentanza è cambiato, rispetto al modello tradizionale che ha contraddistinto l’esperienza del lavoro libero-professionale nel Novecento. Negli ultimi vent’anni la figura del libero professionista-lavoratore individuale, inserito in un legame pressoché esclusivo con l’ordine di appartenenza, è stata sostituita da una tipologia di libero professionista inserito in una rete di legami molto più fitta e significativa. E questo non solo dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, con l’aumentare di studi associati e collaborazioni trasversali, ma soprattutto grazie alla crescita e al consolidamento della rete associativa sia nelle professioni ordinistiche come pure nelle nuove professioni Non è un caso se tutti i grandi temi dell’innovazione nel lavoro professionale hanno trovato precipuamente nel mondo associativo un interlocutore interessato, a fronte di un sistema ordinistico/istituzionale in buona parte ancora attestato su posizioni di retroguardia. Valga l’esempio delle vicende legate all’introduzione e allo sviluppo dello strumento societario e degli altri strumenti di aggregazione del lavoro nel settore delle libere professioni, ed all’introduzione del socio di capitale nelle società tra avvocati, nonché alla battaglia per le società multidisciplinari. È stata questa una delle questioni che ANF ha sposato sin dall’inizio, in evidente dissenso con le posizioni arroccate di rappresentanze istituzionali che a lungo hanno fatto finta di non vedere il segnale della netta prevalenza della trasversalità e della flessibilità del sapere e delle competenze, della interdisciplinarietà e del co-working, come strumenti di sviluppo. Le società tra professionisti e le reti tra imprese e professionisti sono strumenti che possono rispondere, in modo economicamente vantag17


L’Avvocato al tempo di internet e del web 18

gioso, a queste sollecitazioni. Non è possibile far finta di non sapere che la mobilità dei professionisti a livello europeo è ormai una evidente realtà, consolidata anche dal punto di vista normativo, e non capire che si tratta di una realtà positiva, come testimonia il fatto che molti giovani avvocati italiani siano andati a stabilirsi in altri Paesi europei, diffondendo là la nostra competenza e la qualità della nostra formazione, a conferma della grande vitalità e qualità del nostro sistema di formativo professionale. Trasformazioni profonde stanno caratterizzando e modificando la cultura dei liberi professionisti, la valorizzazione della componente intellettuale del sapere professionale rispetto alla competenza pratica tramandata è un dato assodato. All’avvocato del domani non deve sfuggire la necessità di confrontarsi con mutamenti costanti del diritto ed ancor più della giurisprudenza, interna e comunitaria, con le mutate esigenze dei clienti, delle normative di riferimento, delle forme di collaborazione da intrattenere con colleghi e partner. Il suo lavoro lo obbligherà sempre più all’aggiornamento continuo e allo sviluppo di competenze trasversali, non più concentrate esclusivamente sul fronte tecnico/giuridico, ma su capacità flessibili quali il team-working, l’abilità tecnologica e la comprensione dei dati, il project-management, non per ultime le competenze linguistiche, e ciò anche al fine di intercettare fondi europei e altre risorse di sviluppo. Quel che è certo, senza tema di smentite, è che siamo nel pieno di una profonda metamorfosi, con la rivoluzione digitale sta evolvendo anche la figura dell’avvocato: se da un lato, come detto, il panorama legale diventa sempre più complesso a causa delle nuove problematiche di natura giuridica che tecnologie e web pongono, dall’altra le intelligenze artificiali sembrano minacciare anche campi tradizionali di impegno professionale con gli avvocati-robot, piattaforme di legal advisory spesso assistite da tecnologie chatbot, in grado di fornire consigli e assistenza.

In altri Paesi europei queste idee sono già in fase di realizzazione. In Francia, ad esempio, l’Avv. Christiane Féral-Schuhl, presidente prima della Association pour le développement de l’informatique juridique ed oggi del Conseil National des Barreaux (il corrispondente francese del CNF) si è impegnata nella creazione di un laboratorio di innovazione professionale che permetta la condivisione di know-how e metodi innovativi, invitando soprattutto i giovani avvocati ad assumere uno spirito imprenditoriale, ad acquisire una formazione adeguata alle esigenze del mercato e agli strumenti digitali accessibili a tutti, si da poter offrire servizi efficienti e innovativi in​​ base alle esigenze dei clienti e degli utenti di internet. E su questo percorso gli avvocati hanno potenzialmente notevoli vantaggi competitivi, a cominciare da quell’esperienza giuridica che manca alle tante società di servizi che stanno nascendo anche in questo settore. “L’avvocato in evoluzione”, il titolo dell’VIII Congresso nazionale dell’ANF in programma dal 24 al 27 maggio a Palermo, conferma la propensione di ANF nel cercare di scorgere nel futuro nuovi elementi per vincere la sfida globale in atto nel mondo delle professioni: il passato va conosciuto e compreso ma va poi superato per disegnare il futuro delle grandi sfide.


Professione e innovazione, la rivoluzione digitale dell’avvocato di Palma Balsamo

Chiedersi se un computer possa pensare non è più interessante del chiedersi se un sottomarino possa nuotare. Edsger Dijkstra Nell’ottobre del 2017 CaseCrunch, una start up creata da studenti di legge dell’Università di Cambridge, ha lanciato il primo scontro tra intelligenza artificiale e avvocati in carne ed ossa nella risoluzione di controversie. Si trattava di calcolare le probabilità di vittoria della causa in una materia specifica, quella del contenzioso avanti l’ombudsman finanziario in materia di trasparenza delle informazioni e vendita illegale di polizze in abbinamento a mutui e finanziamenti. Un centinaio di avvocati degli studi più affermati del Regno Unito contrapposti ad un software che calcola le probabilità di vittoria della causa e si può consultare su Messenger, sotto forma di un assistente virtuale esperto di diritto. Il risultato è stato sorprendente, o forse no. Gli avvocati reali hanno predetto l’e-

sito nel 62,3% dei casi, con un costo orario di 300 sterline. Il software ha invece raggiunto una percentuale dell’86,6% ad un costo orario di 17 sterline. Del resto già in precedenza lo stesso sistema di AI era stato utilizzato per predire l’esito di cause pendenti avanti la Corte europea dei diritti dell’Uomo, raggiungendo un livello di precisione del 79%. L’uso della tecnologia ha enormemente facilitato il nostro lavoro, utilizziamo da anni le banche dati per le ricerche, il gestionale per organizzare pratiche e appuntamenti o per i processi di fatturazione e parcellazione .Ma adesso stiamo parlando di un altro livello: non solo lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale appare in continua crescita, tanto

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Professione e innovazione, la rivoluzione digitale dell’avvocato 20

che non si riesce ad intravvederne i limiti, ma è proprio il settore legale che sta divenendo uno dei più prolifici quanto a nuove applicazioni. Gli esempi sono tantissimi. Per limitarci ai più noti, uno dei più risalenti nel tempo è Rocketlawyer, in grado di riconoscere le domande di carattere legale formulate dagli utenti, capace poi di dare alle stesse una risposta tecnico-giuridica. Inoltre, se l’algoritmo non è in grado di rispondere al quesito, il sistema è in grado di riconoscere il proprio limite e indirizzare l’utente verso uno o più legali operanti nella zona di residenza del cliente. Si tratta di una piattaforma informatica basata su algoritmi che in modo automatico è in grado di soddisfare le richieste dei clienti circa la produzione di documenti giuridici di tantissime tipologie (contratti, dichiarazioni, richieste di certificati, proposte di acquisto, accordi, lettere di intenti, transazioni, testamenti, ecc.), in modo rapido ed economico: per ogni consulenza infatti bisogna pagare circa 40 dollari, ma è possibile stipulare anche un abbonamento annuo, con un considerevole taglio del prezzo della consulenza. E la prova per sette giorni è gratuita! Il sistema informatico negli Stati Uniti già conta su sette milioni di clienti, settantamila abbonamenti, quarantamila contratti al mese e fattura oltre 200 milioni di dollari. Stranezze d’oltreoceano che mai arriveranno nel Vecchio Continente? Sbagliato. Il servizio è già operativo in Francia, Spagna e Paesi Bassi. Altrettanto famoso è Ross, creato con il sistema Watson di Ibm, sistema impiegato nella divisione Fallimenti dello studio americano Baker & Hostetler, e specificamente nell’analisi dei documenti di una delle frodi finanziarie più serie della storia Usa, quella messa in atto da Bernie Madoff. L’avvocato-robot di Ibm è in grado di rispondere a quesiti degli avvocati, fornendo loro citazioni e richiami legali e, secondo i suoi creatori, può svolgere da solo il lavoro di cinquanta persone. Ross, peraltro già adottato da sei studi legali milanesi, quindi, è in grado di leggere il linguag-

gio forense, di comprenderlo, ricercare analogie con altri casi, porre ipotesi e arrivare alle conclusioni. Tutto questo con la capacità di migliorare la sua velocità con il trascorrere del tempo. Dal sito ufficiale si legge: «Gli poni le tue domande in inglese semplice, come faresti con un collega, e poi Ross passa in rassegna l’intero corpus legale e ti dà una risposta contenente una citazione e letture a tema a partire dalle leggi, dai precedenti legali e dalle fonti secondarie per metterti velocemente in moto». E anche dopo «Ross monitora la sfera legale senza interruzioni per notificarti di eventuali nuovi verdetti che possono interessare il tuo caso».

In crescita le start up nel settore lawtech Il software progettato in Canada dall’azienda tecnologica Kira Systems, è invece in uso negli uffici di Dla Piper, primo studio legale al mondo per volumi di operazioni di fusione o acquisto tra aziende, con sedi in 30 paesi del mondo, compresa l’ Italia, e può analizzare parola per parola i contratti e individuare le clausole più problematiche o da revisionare. Per il settore in cui opera, ogni giorno gli avvocati del gruppo hanno a che fare con centinaia di pagine di contratti e nelle pieghe di questa mole di documenti si trovano clausole che gli avvocati hanno interesse a modificare per tutelare gli affari dei propri assistiti. Il compito, sino ad oggi appannaggio dei giovani collaboratori, passa alla “competenza” della intelligenza artificiale, che analizza in ogni aspetto i contratti e trova al volo le clausole più ostiche e problematiche, e dall’inizio del 2017 è utilizzato anche presso la sede italiana. Altro esempio è Luminance, applicazione utile per le verifiche dei dati di bilancio, che nel caso di fusioni e acquisizioni possono arrivare a decine di migliaia di pagine. Non meno importante la catalogazione preliminare, per definire le aree di competenza e i fori di riferimento. Oppure la capacità di rilevare anomalie nei documenti e


o riservatezza (NDA) che sono una base delle transazioni commerciali. Certo ogni contratto è diverso e dovrebbe essere controllato in dettaglio dall’inizio alla fine. Tuttavia, ottenere un avvocato per rivedere una NDA richiede molto tempo e può essere molto costoso, così tanti uomini d’affari evitano questo passaggio. Allo stesso tempo, nessuno vuole firmare ciecamente un accordo legale che può creare conseguenze negative. I Lawyerbot come NDA Lynn possono fornire analisi automatizzate con un chiaro consiglio pratico su come andare avanti. L’imprenditore carica un documento in Word o PDF e riceve una panoramica completa delle questioni, compresa un’analisi dell’impatto. NDA Lynn fa solo una domanda: hai intenzione di dare informazioni o di riceverle? Tutto il resto è nel sistema stesso.

L’avvento degli avvocati-robot L’elenco degli esempi potrebbe continuare a lungo, ma, più che passare in rassegna un elenco sempre crescente di startup nel settore lawtech, credo sia importante avviare una riflessione sull’effettiva incidenza del fenomeno sulla professione forense, e sulle strategie per affrontare l’avvento degli avvocati robot. La prima domanda cui rispondere é: cosa differenzia l’era odierna rispetto alle precedenti epoche evolutive? Come osservato dagli studiosi del settore, l’aspetto centrale consiste nel fatto che con le tecnologie dell’informazione la conoscenza umana viene ‘oggettivata’ in sistemi di algoritmi, quindi incorporata in dispositivi che sono in grado di elaborare ulteriore informazione interagendo con informazioni e conoscenze via via possedute dagli agenti umani, in circuiti potenzialmente senza fine di feedback cumulativi. L’ intelligenza computazionale (o ML) è un insieme di metodi (algoritmi + programmi) in base ai quali si cerca di ottimizzare una prestazione alla luce dei dati e dell’esperienza passata. Attra-

Professione e innovazione, la rivoluzione digitale dell’avvocato

segnalarle. Con Luminance questo tipo di analisi viene fatta in 15-30 minuti, e con un livello di precisione elevato: non il 100% di accuratezza, ma sulla base della esperienza degli avvocati che lo utilizzano, circa l’80-90%. Il programma ordina, raggruppa e classifica in breve tempo migliaia di documenti identificando clausole, lingua dei documenti, parti, valute e mercati rilevanti, e presentando l’elaborato in un’interfaccia di visualizzazione estremamente intuitiva che permette a professionisti e clienti di consultare un numero elevato di documenti in maniera organizzata ed efficiente. Luminance può anche individuare le anomalie in documenti creati a partire da uno stesso standard e assicura che anche le minime differenze tra i contratti siano segnalate ai professionisti già nelle fasi iniziali dei processi di review. DoNotPay (https://www.donotpay.com/) è invece un vero e proprio avvocato-robot. Il suo creatore, un diciannovenne inglese, afferma che il robot è stato capace di contestare in piena autonomia addirittura centinaia di migliaia di multe per parcheggio in sosta vietata, impressionando i giudici. Ancora il software realizzato dalla nota società finanziaria americana JP Morgan chiamato Coin, che sta per Contract Intelligence o intelligenza contrattuale. I contratti finanziari spesso sono complicati per via di clausole e postille che bisogna leggere accuratamente prima di decidere se accettare oppure declinare i termini imposti. Coin riesce ad elaborare centinaia di dati contemporaneamente, ed effettua la revisione dei contratti finanziari in tempo record, rendendo possibile stabilire se un contratto è conveniente per un cliente in pochissimi istanti. Tanto che secondo le stime pubblicate la medesima attività richiederebbe circa 360.000 ore di lavoro di avvocati specializzati. Recentemente la compagnia olandese JuriBlox Labs ha lanciato il lawyerbot NDA Lynn. Questo robot analizza gli accordi di non divulgazione

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verso la combinazione di statistica e matematica è possibile costruire modelli previsionali sulla base di campioni, arricchendo così gli strumenti a disposizione dei ricercatori dei numerosi campi disciplinari dove il ML è divenuto strumento fondamentale di lavoro, con le sue tre fasi di funzionamento: 1. description, cioè organizzazione dei dati in database per rappresentare e comprendere il ‘passato’; 2. prediction, nel senso di studio dei dati storici per individuare e predire l’evoluzione di eventi e comportamenti futuri; 3. prescription, ovvero delineare trend di comportamento degli attori, in modo da definire le basi per le proprie azioni strategiche. Insomma l’Algortithm age molto probabilmente innescherà una new automation age, il cui potenziale di cambiamento riguarderà le attività lavorative di ognuno. Per Mauro Lombardi e Marika Macchi (Il lavoro tra intelligenza umana e intelligenza artificiale ) “Non si tratta più, infatti, di automatizzare task esecutivi, faticosi, pericolosi, tradizionalmente trasferiti

▲ Real Teatro Santa Cecilia

a macchine specificamente programmate. Siamo per contro in presenza di dispositivi ed agenti artificiali in possesso di capacità cognitive in progressivo accrescimento, quindi sempre più in grado di svolgere e compiti e funzioni considerate proprie degli umani. La new automation age velocizza, rende più efficienti e meno costose sia attività fisiche di routine manipolative di materiali che attività nell’erogazione di output immateriali. Essa al tempo stesso persegue superiori livelli di qualità e accelera il raggiungimento di obiettivi individuati tramite un’accresciuta capacità di scoprire anomalie e di svolgere funzioni previsionali, anticipando il loro verificarsi”. “L’avvento della robotica e dell’intelligenza artificiale pone a rischio di sostituzione non più soltanto i mestieri di basso contenuto professionale, bensì anche quelli di contenuto elevato. E ciò potrà rendere più lunga e impegnativa la transizione dai vecchi ai nuovi lavori”, così conclude l’indagine conoscitiva svolta nel 2017 dalla 11a Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato


Come impatteranno queste nuove tecnologie sul lavoro degli avvocati? L’avvocato dovrà essere: Più specializzato - La nuova era dell’automazione investirà al tempo stesso attività e professioni a bassa ed elevata qualificazione. Ma mentre le attività standardizzate verranno verosimilmente spiazzate via, le innovazioni tecnologiche forniranno un indispensabile supporto per quelle più specializzate e ad alta qualificazione. Più organizzato - La riorganizzazione tecnologica dell’attività legale, dovrà comportare l’accentramento di molte funzioni di servizio, la qualità della consulenza, l’ampliamento dell’of-

ferta che preveda la specializzazione in nicchie e mercati ben definiti. Tutto ciò porta verso la costituzione di strutture e organizzazioni che superino le singole individualità per puntare sulla valorizzazione del brand e su un servizio di elevata qualità e che sia nelle condizioni, anche economiche, di integrare l’intelligenza artificiale con quella umana in modo da renderla allo stesso tempo il più onnisciente e specialistica possibile. Questo processo evolutivo restringerà sempre più gli spazi agli studi tradizionali meno flessibili e soprattutto dotati di ridotte risorse finanziarie. Più empatico - L’Ai aiuterà a prestare consulenze legali efficienti, rapide e di qualità, lasciando agli avvocati il tempo per svolgere un lavoro più mission-critical per i loro clienti. Difficilmente l’Ai sostituirà l’empatia, il giudizio, l’istinto e la relazione personale che ha un avvocato con i propri clienti. Più comunicativo - Occorrerà sviluppare una forma di comunicazione plastica, flessibile, in grado di adattarsi a contesti e a interlocutori differenti, di suscitare fiducia in chi ascolta, di gestire rapporti di gruppo evitando conflitti e rotture; una comunicazione che stabilisce contatti verbali ed emotivi, in cui possono diventare importanti degli elementi come capacità di ascolto, pazienza, buonumore. Più creativo - L’elemento umano rischia di avere ancora una sua utilità solo se riesce a distinguersi dalle macchine per la capacità di affrontare e risolvere situazioni impreviste ed emotivamente complesse; la cultura generale non è dunque più un modo di compensare i dislivelli prodotti dalla frammentazione di una cultura puramente funzionale, ma diventa indispensabile all’efficacia di quest’ultima. In altri termini, come sostenuto da Francesca Veltri (Dalla piramide alla clessidra. Verso una nuova divisione del lavoro sociale),” chi possiede il cosiddetto expert thinking è in grado, più che di immagazzinare informazioni, di basarsi sulle informazioni acquisite per dedurne altre di cui non è in possesso, attraverso la costruzione di per-

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intitolata “L’impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale”. Un lavoro che parte da una considerazione che non si può non condividere: “Molti si esercitano in una vuota disputa deterministica tra ottimisti e pessimisti nell’operazione complessa e utopica di calcolare i posti di lavoro persi o guadagnati nel contesto di questa nuova rivoluzione. Il tutto a discapito di una riflessione sul che fare…”. Molti obiettano che il fatto che un robot possa eseguire una specifica funzione legale non significa che un sistema di IA sarà presto in tribunale o redigerà un intero accordo legale. In effetti i problemi legati alla fattibilità tecnica perché le soluzioni tecnologiche devono essere inventate e modellate in relazione a specifici contesti, al costo di sviluppo e realizzazione, che influenzano i processi di adozione, al contesto normativo e sociale-culturale, che influenzano il tasso di diffusione - inducono a ritenere che occorrerà tempo per il pieno dispiegamento della dinamica delineata, ma alcuni effetti sono già prevedibili. Ci riferiamo soprattutto alla constatazione che, al contrario che in passato, i sistemi di intelligenza artificiale non incideranno solo sulla efficienza dei servizi offerti dall’avvocato, ma ne modificheranno sensibilmente il modo di lavorare.

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corsi mentali innovativi; di intuire l’efficacia o meno di una strategia, assumendosi la responsabilità di decidere quando è il caso di rinunciare a un progetto che non funziona o di riprovarci con modalità diverse; di fare, insomma, la differenza rispetto a una macchina che può seguire solo percorsi già battuti e standardizzati”. Quindi l’avvocato dovrà usare il proprio tempo per arrivare a soluzioni mai pensate prima, non per un’ulteriore revisione del testo standard. Il Ccbe, la rappresentanza degli Ordini forensi europei, nel suo rapporto E-volving lawyers dell’ottobre 2017, rileva come l’attuale modello della prestazione di servizi legali mostri grande debolezza. Larghi segmenti della popolazione non hanno accesso all’assistenza legale, sia perché non possono sopportarne i costi, sia perché spesso non sono in grado di comprendere come esercitare i propri diritti, sia perché scegliere un avvocato è spesso difficile e scoraggiante, anche per la difficoltà di comprendere quali prestazioni effettivamente offra. Tutti i sistemi c.d. legaltech hanno in comune alcune caratteristiche: servizi accessibili online e indirizzati a clienti inclini a cercare la soluzione dei loro problemi prima di tutto su Internet; facilitazione della comprensione e della partecipazione diretta alla ricerca della soluzione; costi fissati in maniera chiara e generalmente bassi; prodotti che rispondono a necessità basiche, normalmente standardizzati e prodotti automaticamente da sistemi “smart”; spesso assistenza nella scelta di un avvocato per servizi addizionali. Ed allora il Ccbe suggerisce agli avvocati una strategia d’attacco: “È tempo che gli avvocati inventino un nuovo modo di prestare servizi legali, che assicuri l’accesso di tutti alla giustizia, e al contempo garantisca la loro competenza e deontologia….. Gli avvocati cambiano. Le tecnologie messe in campo dai nuovi fornitori di servizi legali non sono riservate a quest’ultimi e possono ben essere realizzate anche dagli Avvocati in carne e ossa”.


Professioni Legali:

ritorno al futuro di Marina Cafferata

Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare. (Winston Churchill)

Anno 2025 d.C. - I robot e l’intelligenza artificiale permeano ogni aspetto della nostra vita. In particolare la loro diffusione coinvolge i settori della salute, dei trasporti, della logistica, dei servizi ai consumatori e della domotica.

Anno 2035 d.C. - Il corpo umano è completamente interfacciato con tecnologia smart: smart whatch, fitness tracker, telemedicina, e-skin, Full Smart Body e IoT, tecnologie indossabili che consentono di annullare le distanze, di stare costantemente collegati, di prevenire e monitorare le più gravi malattie, di rigenerare autonomamente anomalie e patologie. Esistono nuovi valori di scambio al posto delle monete. Le persone non sono costrette a concentrarsi nelle città per avere i migliori servizi o per il lavoro. Anno 2050 d.C. - Le intelligenze artificiali consentono di ripensare completamente il concetto di vita e di professione: i nuovi modelli permettono alle persone di liberare energie, di aumentare il tempo a loro disposizione, ampliando l’evoluzione delle relazioni in modelli più positivi sia nell’ambito lavorativo, sia verso i rapporti interpersonali. In questi scenari la professione legale sopravviverà o verrà stravolta e soppiantata da altri modelli? Gli storici sostengono che nell’evoluzione umana esistono stilemi ciclici ricorrenti, ma la discontinuità epocale che caratterizza i nostri giorni non ha precedenti. Uno degli aspetti più sconvolgenti è il fattore velocità. La storia umana non ha mai conosciuto trasformazioni globali così incalzanti e dinamiche quanto oggi. La rivoluzione in atto, innescata dal progresso tecnologico e dalle reti, condivide molti elementi con quella di Gutenberg: internet, infatti, a ben pensare costituisce un sistema di riduzione drastica di centinaia di volte il costo di elaborazione, acquisizione, gestione, archiviazione e circolazione delle informazioni, esattamente come è accaduto verso il 1455 d.C., quando si è passati dai manoscritti alla stampa. In quel momento preciso, tra l’altro, è iniziato il Rinascimento e si è innescato ed esploso il fenomeno della riforma protestante: Lutero ha contestato la necessità

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dell’intermediazione della Chiesa nelle relazioni tra Dio ed i fedeli. Si incrinano e cedono moltissimi equilibri e le società si trovano costrette a rivedere modelli organizzativi. Proprio un’analoga tendenza alla disintermediazione stimolata da internet costituisce oggi un deflagrante fenomeno che in modo crescente pervade e impatta sulla nostra società. La rivoluzione che stiamo vivendo è però una rivoluzione con la potenza al cubo. Alla trasformazione digitale e alle reti si associa anche una nuova fase di rivoluzione industriale, grazie alle nanotecnologie, alle biotecnologie ed ai nanomateriali (internet of things e internet of beings) che creano attese di qualità della vita ed economiche infinitamente elevate. Ma mentre nella prima rivoluzione industriale ci sono stati filosofi ed economisti del calibro Karl Marx, John Stuart Mill, John Maynard Keynes, che hanno letteralmente rielaborato il modo di interpretare e governare la società, oggi forse manca una massiccia e convergente concentrazione su questo aspetto: c’è una carenza intellettuale di proiezione e ricostruzione verso il futuro, è infatti diventato indispensabile soffermarci con attenzione ad analizzare ed ipotizzare nuove regole e un nuovo governo per la mutata società. Va considerato anche un ulteriore aspetto: nel periodo più dinamico dell’espansione delle tecnologie più avanzate, l’economia mondiale arranca e stenta a risolvere le acute criticità che soffocano la quanto mai auspicata ripresa di sviluppo.

Il paradosso di internet E’ il cd. “paradosso di internet”: pur vivendo in una società definita “dell’informazione”, siamo entrati forse, senza nemmeno tanto accorgercene, in un’età che manifesta un trend ben marcato verso l’”ignoranza”. Come è possibile questo? “Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza? Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?“ (Thomas Stearns Eliot). Una sovraesposizione alle

informazioni non crea necessariamente conoscenza e una conoscenza acquisita se non ben declinata rischia di rimanere concetto del tutto estraneo alla saggezza. Nella frenetica ricerca di accumulare, gestire, archiviare, e tutelare una quantità di informazioni, la capacità critica di elaborarle e di contestualizzare i concetti si è andata via via sfilacciando. Quando crediamo di essere arrivati a padroneggiare una mole inestimabile di informazioni e di poterne trarre il più elevato potere, ci accorgiamo di non essere abbastanza competenti e di essere ancora troppo lontani dal disporre di saggezza e di sapienza. È probabile che ai nostri giorni si sconti un ricordo un po’ troppo distratto ed annebbiato di quanto già certi filosofi dell’antica Grecia avevano intuito. In un contesto come questo, un avvocato può avere un ruolo? E quale ? Le statistiche ci informano che dagli anni ’80 gli avvocati iscritti agli Ordini professionali sono passati da circa 48.000 a 237.000 nel 2017. Il trend in costante crescita testimonia che nonostante le criticità la figura dell’avvocato costituisce un profilo ancora attrattivo. È evidente che non è assolutamente pensabile di poter continuare a trasmettere e ad applicare modelli obsoleti, chi si illude di poter replicare quanto sino ad ora utilizzato non potrà necessariamente godere di ampia prospettiva futura. In realtà mai come nei momenti di intensa e radicale trasformazione sociale c’è e ci sarà sempre in crescente aumento un bisogno di Diritto, di Regole, di Giustizia in tutte le loro declinazioni. La figura dell’avvocato, proprio per sua vocazione naturale è senz’altro uno dei profili professionali più strategici e centrali che vedrà una costante progressione e un significativo sviluppo. Perché questo possa realizzarsi è però necessario revisionare i modelli organizzativi e far riacquistare alla categoria il prestigio sociale ed economico, il rispetto e le funzioni storiche ed istituzionali ad essa riservate.


Le tecnologie digitali agevolano le nuove modalità di relazione sia tra colleghi sia con i propri Clienti migliorando la velocità, la qualità dei servizi, la vicinanza alla clientela, la varietà delle prestazioni, l’elasticità dei tempi e ottenendo una drastica diminuzione dei costi. La possibilità di avvalerci di tecnologie in grado di memorizzare ed analizzare milioni di documenti in breve tempo, operando in continuo aggiornamento, ed esprimendo sintesi probabilistiche, costituiscono strumenti di grandissimo interesse, ma almeno ancora per diverse generazioni non potranno di certo sostituirsi ad un professionista. L’intelligenza, la creatività, la capacità di gestire gli imprevisti e le criticità, l’inventiva, la sensibilità e l’elasticità della mente umana sono elementi che, almeno per il momento, rimangono sconosciuti alle tecnologie.

Professioni Legali: “Ritorno al futuro”

Quando mai più di ora c’è stata la necessità di specialisti di alto profilo, di ampie competenze interprofessionali, di avvocati che con la propria esperienza e sensibilità siano in grado di applicare modelli duttili e rispondenti alle trasformate esigenze? Certo è che l’orientamento alla disintermediazione è agevolato dalla molteplicità delle informazioni che in tempo reale possono essere acquisite ovunque, velocemente e gratuitamente grazie alle tecnologie. Ma questo fenomeno non può far paura ad un professionista, anche se da molti è vissuto come una minaccia capace di erodere una fascia di mercato. Un Avvocato, che ha avuto la possibilità, le capacità e la fortuna di procedere in un percorso formativo di alto livello, ha l’obbligo morale, sociale, deontologico ed etico di elevare costantemente la propria competenza e di migliorare le performance.

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Valorizzare ciò che ci distingue e che ci rende unici E proprio nella capacità di valorizzare ciò che ci distingue e ci rende unici e che costituisce la nostra miglior ricchezza, cioè il nostro patrimonio intellettuale, è là che devono tendere tutte le nostre energie. Per questo è necessario rivedere i percorsi formativi già delle nuove generazioni, orientando gli universitari alla ricerca della miglior qualità: l’avvocato deve poter eccellere sugli altri profili potenzialmente concorrenti, deve poter ottimizzare i tempi della formazione integrando occasioni di apprendimento con un approccio sperimentale in ambiti complementari come quelli economici, sociologici, linguistici e tecnologici. Integrare i corsi per i laureandi, in coordinamento con figure più esperte e con un ruolo attivo anche delle associazioni sindacali, con espe-

rienze pratiche reali, riversando le competenze nel rispetto della funzione sociale del diritto, cioè come strumento di dialogo ed assistenza, magari applicando anche all’ambito legale il modello già altrove efficace del cd. freemium, basato su un’offerta articolata in due versioni di uno stesso servizio: uno più semplice e gratuito ed un altro più articolato e performante ma a pagamento. In concreto gli avvocati adeguatamente formati potranno essere artefici, attuatori, arbitri ed amministratori dei nuovi sistemi di lettura e di governo della società. L’Avvocato nel futuro parteciperà attivamente alla formazione delle nuove regole sociali e potrà essere una figura di riferimento indispensabile alla collettività ritagliandosi un ruolo da protagonista strategico solo che condivida la necessità di elevare costantemente il proprio livello di competenze. La vera rivoluzione infatti è quella culturale e


potrà essere la più varia ed articolata, elastica e mutevole, e forse nemmeno oggi ancora immaginabile, ma senz’altro la professione di avvocato resterà ben salda anche nel futuro perché saremo capaci di valorizzare il nostro core business cioè il nostro patrimonio intellettuale e insieme seguiremo l’assunto del famoso economista e premio Nobel Robert Merton Solow: “La maggior parte delle cose importanti che vengono fatte sono raggiunte dai gruppi, non da individui: sono fatti da un gruppo di persone che sanno lavorare insieme”

Professioni Legali: “Ritorno al futuro”

gli avvocati sono perfettamente in grado di esserne attori principali. Probabilmente la strada corretta è quella di saper meglio valorizzare le caratteristiche intrinseche che da sempre hanno connotato la nostra professione. Gli strumenti tecnologici devono essere conosciuti ed asserviti con capacità nell’interesse dei professionisti e non in funzione di surrogazione della qualità intellettuale. Per questo si impone anche una crescente attenzione all’aspetto etico: chi sceglie la professione legale non deve vivere la deontologia come una odiosa costrizione, ma deve intrinsecamente condividere i più alti valori morali da trasfondere in primo luogo in ogni espressione di vita e quindi solo di conseguenza anche nella professione. Il futuro vedrà avvocati capaci di abbandonare l’atteggiamento di compressione, di individualismo e di sospetto che oggi ancora purtroppo si rilevano, per far posto a nuove forme di aggregazioni anche destrutturate, molto dinamiche, capaci di creare partnership ad hoc per ogni singola necessità e dare risposte di altissima qualità sinergica ai propri clienti, con collaborazioni tra soggetti delocalizzati che interagiscono grazie a strumenti modulabili e che valorizzano le reciproche competenze. Libertà di tempi, di luoghi e il miglioramento della qualità della propria vita, queste saranno le caratteristiche che connoteranno i nostri colleghi del futuro che vestiranno abiti capaci di raccogliere informazioni, che guarderanno attraverso occhiali una realtà aumentata, partecipando alle udienze in modo virtuale e facendo veicolare le informazioni con il massimo grado di sicurezza e riservatezza, senza valigette portadocumenti al seguito, pur potendo accedere liberamente a tutti gli strumenti necessari alla professione, ma che prima di tutto questo dovranno imparare ad elevare al massimo e costantemente la loro preparazione e la capacità di lavorare insieme. Associazioni, società, contratti di rete, la forma

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I nuovi parametri forensi e i collegamenti ipertestuali negli atti difensivi di Maurizio Reale

la liquidazione dei compensi nell’era dell’informatica Sulla Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 aprile 2018 è stato pubblicato il decreto del Ministero della Giustizia n. 37 dell’ 8 marzo 2018, che ha apportato significative modifiche ai parametri per la liquidazione dei compensi degli avvocati. Le modifiche hanno riguardato gli artt. 4, 10, 12, 19 e 20 del decreto 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’art. 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247). Le novità più importanti, oltre quella contenuta nel comma 1 bis dell’art. 4, di cui si dirà appresso, possono essere così riassunte: 1) il comma 10 bis dell’art. 4 dispone che nel caso di giudizi innanzi al Tribunale amministrativo regionale e al Consiglio di Stato il compenso relativo alla fase introduttiva del giudizio è di regola aumentato sino al 50 per cento quando sono proposti motivi aggiunti; 2) il comma 1 dell’art. 10 adesso dispone e precisa che, per i procedimenti arbitrali rituali ed irrituali, a cia-

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scuno degli arbitri è di regola dovuto il compenso previsto sulla base dei parametri numerici di cui alla tabella allegata al decreto; 3) l’art. 12, al primo comma, prevede che, ai fini della liquidazione del compenso spettante per l’attività penale si tiene conto non solo delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della complessità del procedimento, della gravità e del numero delle imputazioni, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, dei contrasti giurisprudenziali, dell’autorità giudiziaria dinanzi cui si svolge la prestazione, della rilevanza patrimoniale, del


numero dei documenti, ma anche degli atti da esaminare mentre, al secondo comma, dispone che se l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione procedimentale o processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento (20% prima della modifica), fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento (5% prima della modifica) per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta (venti prima della modifica). La disposizione del periodo precedente si applica anche quando il numero delle parti ovvero delle imputazioni è incrementato per effetto di riunione di più procedimenti, dal momento della disposta riunione, e anche quando il professionista difende un singolo soggetto contro più soggetti, sempre che la prestazione non comporti l’esame di medesime situazioni di fatto o di diritto. Sicuramente però, oltre a quelle appena indicate e alle altre presenti nel decreto, la novità più rilevante è quella, come anticipavo, inserita nell’articolo 4 dal nuovo comma 1 bis: “il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 è di regola ulteriormente aumentato del 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto [periodo inserito dal Ministero dopo la trasmissione della bozza di decreto alle Camere]. Più volte, nel corso degli ultimi anni, ho tentato di “convincere” anche l’avvocato meno propenso all’utilizzo dell’informatica a far uso della stessa, dimostrando come tante attività, grazie alla tecnologia, adesso possono essere eseguite risparmiando tempo e denaro. I processi telematici oggi in vigore, da tanti professionisti ancora avversati, evitano di doversi recare fisicamente negli uffici giudiziari, di utilizzare l’auto, di fare lunghe e interminabili file dinanzi gli sportelli delle cancellerie e di poter

impiegare il tempo risparmiato in altre attività, consentendo il deposito, a valore legale, di atti processuali, rimanendo comodamente seduti nei propri studi.

Parcelle più alte con i collegamenti ipertestuali Con l’ingresso della nuova disposizione, l’avvocato (telematico) avrà la possibilità di ottenere dal giudice un compenso più alto: una delle novità del provvedimento, infatti, prevede che il compenso liquidato dal giudice alla fine della controversia potrà essere maggiorato del 30% su quello di norma spettante, ove il professionista, in corso di causa, abbia depositato telematicamente i propri scritti difensivi avendo cura di adottare particolari tecniche di redazione tali da agevolare la consultazione e la fruizione al magistrato e alle altre parti del processo; questo dovrebbe essere il contenuto dell’articolo 4, comma 1 bis, del decreto, inserito dal ministero della giustizia. In molti si chiederanno cosa debba intendersi per particolari tecniche di redazione, ed è quindi utile svelarne il significato. Il riferimento è relativo a quelli che vengono chiamati “collegamenti ipertestuali” i quali consentono, una volta realizzati all’interno dell’atto predisposto dal legale con il proprio software di videoscrittura, di poter visualizzare e consultare immediatamente, con un semplice click del mouse, il documento citato nell’atto e allegato nella “busta telematica”. E’ fuor di dubbio che l’utilizzo dei collegamenti ipertestuali facilita la lettura dell’atto in quanto consente di visualizzare i documenti allegati e nell’atto richiamati, senza doverli cercare all’interno del fascicolo informatico; in pratica consentono di poter “navigare” rapidamente, tra la lettura dell’atto e i documenti in quest’ultimo richiamati, con un semplice quanto veloce click del mouse. Il difensore dovrebbe beneficiare dell’incremento del compenso se, depositando telematicamente l’atto e i documenti, farà in modo che questi 31


I nuovi parametri forensi e …

Mala tempora per gli analfabeti informatici

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ultimi siano collegati, sotto il profilo informatico, al proprio scritto difensivo; a rigor di logica il diritto al compenso maggiorato dovrebbe maturare se il difensore, per tutto il procedimento, avrà cura di adottare le particolari tecniche di redazione indicate nel provvedimento. Nel processo di cognizione, ad esempio, dovrà non solo depositare telematicamente anche l’atto introduttivo (pur vigendo la facoltà di deposito telematico per il deposito degli atti con i quali le parti si costituiscono in giudizio), ma anche effettuare, nell’atto, i collegamenti ipertestuali ai documenti citati, circostanza questa che potrà risultare di indubbia utilità anche ai fini di un prossimo fascicolo esclusivamente telematico, mentre ad oggi la maggior parte dei fascicoli in essere nei Tribunali e nelle Corti è ibrido, in parte telematico e in parte cartaceo. Gli atti interessati dai collegamenti ipertestuali saranno tutti quelli nei quali, oltre allo scritto difensivo, dovranno essere allegati anche documenti e quindi, solo per citarne alcuni, atto di citazione – comparsa di costituzione e risposta – memorie 183 c.p.c. – le iscrizioni a ruolo dei pignoramenti, le opposizioni, i reclami e i ricorsi; sarebbe però altresì utile, soprattutto per il magistrato, poter usufruire dei collegamenti ipertestuali anche all’interno delle comparse conclusionali e delle repliche. Le modalità con le quali possono essere creati i collegamenti ipertestuali sono veramente facili e non richiedono particolari conoscenze informatiche posto che si realizzano utilizzando le funzioni già presenti in tutti i software di video scrittura con i quali quotidianamente, da anni, redigiamo i nostri atti. Credo sia doveroso fugare peraltro ogni dubbio sulla legittimità del loro utilizzo posto che potrebbe non ritenersi possibile la presenza di tali collegamenti all’interno dell’atto, in virtù di quanto disposto dall’art. 12 comma 1 del provvedimento DGSIA contenente le specifiche tecniche del processo civile telematico al DM 44/2011; tale disposizione prevede che l’atto principale del deposito sia in formato PDF ottenuto per

La novità introdotta dal co. 1 bis dell’art. 4 del decreto n. 37/18, che prevede l’aumento del 30% del compenso per il difensore che depositi atti in modalità telematica con collegamenti ipertestuali idonei ad agevolare la consultazione di documenti e quant’altro, induce a corroborare ancor più quanto vari Autori in questo numero della Rassegna hanno scritto sulle caratteristiche dell’avvocato “moderno”, nella cui preparazione vanno vieppiù trovando posto le conoscenze informatiche, in grado di incidere direttamente e rilevantemente non solo sulla redazione degli atti ma, come in questo caso, anche sulla determinazione del compenso. Se da una parte la maggiorazione prevista dalla normativa citata non può che far piacere all’avvocatura, che sul fronte dei compensi in questi anni ha dovuto mandar giù bocconi al fiele, per altro verso questa specifica novità desta più d’una perplessità, perché l’aumento delle competenze conseguente a tale modalità di redazione e deposito degli atti andrà a ricadere sulla parte soccombente, che sotto questo specifico aspetto nulla potrà opporre al proprio avversario, nel senso non potrà contrastarlo in alcun modo, trattandosi di fatto di una sorta di automatismo collegato all’accoglimento della domanda ma slegato dal contraddittorio. Sarebbe stato più giusto, logico e coerente limitarsi a modificare in melius i precedenti parametri, senza ricorrere a simili discutibili espedienti. E se davvero si voleva incoraggiare l’uso di tali particolari modalità di “confezionamento” e deposito degli atti giudiziari, potevano individuarsi altre forme di incentivazione, ad esempio riducendo o eliminando il contributo unificato per la parte che deposita i propri atti rendendo visibili le allegazioni ipertestuali, o diminuendo il costo della registrazione dei provvedimenti giudiziari, o altre similari agevolazioni. Certo, in tal modo l’onere sarebbe ricaduto sullo Stato, ma sarebbe stato anche giusto, visto e considerato che a giovarsi di questa novità saranno soprattutto i giudici, che certamente ne trarranno grande utilità e potranno migliorare le loro statistiche. Molto meglio, allora, per l’apparato giudiziario, gravare le solite parti (ed avvocati) soccombenti. E vallo a spiegare poi al cliente, già onerato di costi di accesso alla giustizia cresciuti in dieci anni in modo esponenziale, che in caso di soccombenza le spese legali da rifondere alla parte vittoriosa in giudizio potranno crescere di un terzo per via dei collegamenti ipertestuali. m. p.


caso al magistrato viene inviata una segnalazione di attenzione che non risulta comunque bloccante” Fugato ogni dubbio sulla possibilità di inserire i collegamenti ipertestuali all’interno dei nostri atti da depositare telematicamente, non resta che apprendere le modalità con cui realizzarli e auspicare che il magistrato, al termine del processo, non dimentichi di maggiorare il compenso!

I nuovi parametri forensi e …

trasformazione testuale e sia “privo di elementi attivi”. È la stessa DGSIA, sul punto, a precisare che: “privo di elementi attivi” significa che non è ammessa la presenza di macro o di campi che possano pregiudicare la sicurezza (es. veicolare virus) e alterare valori quando il file viene aperto. Sono ammessi, invece, elementi quali: - figure all’interno del testo - indirizzi mail/pec - link a documenti allegati al deposito: consigliati in quanto migliorano la leggibilità e la fruizione dell’intero deposito. Per inserire un link in un testo: selezionare la parola a cui legare il collegamento e selezionare la funzione “inserisci collegamento ipertestuale”; selezionare, quindi, il file (contenente l’allegato) a cui si vuole creare il link. - link a siti o risorse esterne: in questo

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C’era una volta

il processo civile di Andrea Noccesi

Ho visto cose che voi umani… L’amico Marcello Pacifico mi ha chiesto di scrivere un articolo destabilizzante e provocatorio sul processo civile e la cosa mi ha provocato non poche difficoltà. Come scrivere in tal modo su qualcosa che è stato già totalmente rivoluzionato negli ultimi trent’anni ? Ho quindi deciso di intitolare, in maniera poco rivoluzionaria, questo articolo “C’era una volta il processo

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civile”, intendendo questo come il luogo nel quale le parti, esercitando il proprio diritto di difesa nel rispetto del contraddittorio, chiedevano a un terzo (adeguatamente formato e selezionato, investito dell’autorità di decidere dallo Stato) di stabilire l’esistenza di un diritto e apprestarne la tutela. C’era una volta il processo civile e c’era una volta il rito ordinario del processo civile, ispirato al modello romano, che vedeva, da una parte l’attore (colui che agisce chiedendo il riconoscimento e la tutela di un proprio diritto sostanziale che ritiene leso da altri), il quale notificava a coloro che riteneva stessero ledendo il proprio diritto, un atto col quale li metteva a conoscenza delle proprie pretese e ragioni e li conveniva davanti a un terzo affinché quest’ultimo decidesse con sentenza motivata chi avesse ragione o torto nel merito. Il convenuto poteva costituirsi in giudizio, difendendosi e, se lo riteneva opportuno, chiamando in causa altri sogPer determigetti ai quali riteneva la causa comune. nate fattispecie espressamente codificate erano previsti dei procedimenti speciali (sommari o cautelari) destinati a concludersi con un provvedimento meno articolato e motivato della sentenza (decreto o ordinanza) comunque sempre sottoponibile (in varie forme) a istanze di revisione. La parte che si rivolgeva alla giustizia era tenuta ad anticipare le spese per l’iscrizione a ruolo della causa, onere che avrebbe visto rifuso (in caso di sua vittoria) dalla controparte soccombente. Ogni atto di parte era sottoposto a tassazione in ragione di una marca da bollo per ogni quattro facciate. Il modello sopra descritto aveva una sua logica coerenza, ma, nel dichiarato intento di porre rimedio alla lentezza della giustizia, si è ritenuto, tramite una serie di riforme sempre più parossisticamente succedutesi, di modificarlo


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L’Assicurando fornisce i dati necessari solo per la valutazione del rischio e resta in attesa di conoscere le condizioni per la propria copertura assicurativa. LA FIRMA DEL PRESENTE MODULO NON IMPEGNA LE PARTI ALLA STIPULAZIONE DEL CONTRATTO. Qualora il contratto venga sottoscritto, le dichiarazioni rese formeranno parte integrante della polizza di assicurazione ai fini degli artt. 1892, 1893, 1894 del Codice Civile. L’Assicurando dichiara pertanto che i dati forniti rispondono a verità e dichiara altresì di non aver sottaciuto informazioni relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del rischio e conferma che alla data di compilazione del presente modulo NON ha notizia e NON è a conoscenza di circostanze o situazioni che potrebbero determinare nei suoi confronti, ovvero nei confronti dei collaboratori dei quali si avvale, richieste di risarcimento conseguenti allo svolgimento dell’attività professionale.

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...ma ci sarà pure un giudice a Berlino… recita l’adagio. Ebbene per adìre tale giudice dell’impugnazione, occorre, oltre al pagamento di salati contributi unificati, maggiorati in caso di soccombenza (dimenticavo di dire che, nel dichiarato intento di semplificare la vita e di ripartire i tributi in maniera equa, le vecchie marche da bollo sono state nel frattempo sostituite da un contributo unificato che varia in ragione del valore della domanda, come se chi avesse subito un danno ingente fosse più ricco – e quindi più tassabile – di chi agisca per una somma più contenuta), oltrepassare le forche caudine dell’improponibilità, dell’inammissibilità e dell’improcedibilità, sovente determinata nemmeno da violazioni di

norme scritte, bensì da prassi interpretative e operative (principio dell’autosufficienza coniugato a quello della chiarezza e della sintesi) declinate in protocolli che delimitano financo il numero delle pagine e il formato dei caratteri di stampa. L’ostacolo alle impugnative e la tendenza a ridurre il processo civile un processo a grado unico viene oltremodo aggravata dall’abolizione (ormai risalente nel tempo) della possibilità di reclamare al collegio i provvedimenti interinali e istruttori del giudice monocratico, dall’impiego massiccio di magistrati onorari non sempre adeguatamente formati, dalla sempre più invocata sommarizzazione del rito e, infine, dalla creazione di enclavi processuali, di fatto, sottratte ad avvocati e giudice e assegnate ad altri soggetti (sub-procedimento peritale). Insomma: l’importante è ostacolare l’accesso alla giustizia e, qualora vi si acceda, pervenire a una decisione sollecita, quale essa sia, con buona pace dell’esigenza di stabilire l’eventuale lesione di un diritto. Forse questo profluvio di norme servirà ad evitare condanne in sede europea e a porre un freno alle richieste di equo indennizzo che le parti inoltrano per la lunghezza delle cause (oramai si era giunti alla Pinto al quadrato, essendoci ricorsi ex legge Pinto per ritardi nella definizione di ricorsi ex legge Pinto e si è pensato bene di ostacolare anche tale iniziativa giudiziaria con articoli contenuti nella legge di stabilità), ma v’è da chiedersi se questa congerie di norme sia veramente funzionale all’esigenza di rendere giustizia e addirittura riesca a rendere il nostro Paese maggiormente attrattivo agli investitori stranieri (altro obbiettivo dichiarato del legislatore). A me pare che tutto questo forsennato continuo cambiamento abbia generato più contenzioso di quello che ha eliminato, solo che la maggioranza delle pronunce attiene oramai più alle questioni processuali che a quelle di merito (si dedicano

C’era una volta il processo civile

introducendo una congerie di riti speciali, preclusioni e decadenze che rendono accidentato e periglioso il percorso che il malcapitato (specie l’attore o ricorrente) deve affrontare onde evitare di incorrere nel più temuto degli esiti processuali: la sentenza in rito (inammissibilità o improcedibilità della domanda). Laddove non fossero state sufficienti le insidie processuali codificate, il percorso è stato reso ancor più arduo dal combinato disposto con la normativa inerente le cosiddette A.D.R. (mediaconciliazione e negoziazione assistita in primis) che prevede ulteriori ipotesi di condizioni di procedibilità, anche sopravvenuta, della domanda e regimi sanzionatori punitivi per chi abbia l’ardire di non addivenire, in maniera ritenuta ingiustificata, alla conciliazione della lite (condizioni di procedibilità che talvolta si sommano ad altre previste dalla legge sostanziale, come per l’R.C. Auto e talvolta sono dalla norma sostanziale replicate, come nella responsabilità sanitaria). Il tutto acuìto da interpretazioni giurisprudenziali e protocollari in taluni casi anche travalicanti (sempre per il bene supremo della giustizia, s’intende) l’ambito consentito in un sistema di civil law.

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C’era una volta il processo civile

sempre più pagine a stabilire se la CTU effettuata in “media conciliazione” sia producibile nel giudizio o se a seguito del mancato ottemperamento all’obbligo di tentare la mediazione delegata dal giudice divenga improcedibile l’opposizione o il decreto ingiuntivo).

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Domanda: è questo lo scopo del processo civile? E noi avvocati, quando riceviamo un cliente che ci sottopone una questione, dovremmo presentargli un preventivo scritto che tenga conto di tutte le possibili fasi endo e extra processuali nelle quali potremmo avere la (s)ventura di doverlo accompagnare... Forse anche il mitico investitore straniero (che oramai ha soppiantato nell’immaginario collettivo la mitica casalinga di Voghera) vorrebbe avere qualche certezza in più, che noi non siamo in buona fede, capaci di dargli (così come non saremmo capaci di dire a un qualsiasi cliente che dovesse richiedere il risarcimento di un danno da responsabilità sanitaria, come potremmo convenire in a.t.p. la compagnia assicuratrice della struttura sanitaria dal momento che il decreto ministeriale previsto dalla legge Gelli è ancora nella mente del ministro competente). Forse al mitico investitore straniero interesserebbe conoscere che cosa dice il diritto sostanziale di una certa questione (anche sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale) e interessa meno sapere che, forse, dopo un paio d’anni potrà avere un provvedimento succintamente motivato all’esito di un procedimento sommario nel quale non avrà potuto esplicitare tutte le proprie difese e che (qualora fosse per lui negativo) dovrà guardarsi bene dall’impugnare. A quel punto del preventivo scritto dell’avvocato non saprà che farsene perchè avrà risolto il problema alla radice, evitando di investire in Italia. Forse il famoso Cittadino (quisque de populo) rinuncerà al rischio e al costo di intraprendere una causa contro una grande impresa, perché,

alla fine, il male minore sarà dover ingoiare una conciliazione al ribasso, ma di certo questo non accrescerà di un’oncia il suo senso civico e il suo rispetto nei confronti delle Istituzioni. Qui non si tratta di rimpiangere i bei tempi andati: la crisi ha morso e morde tuttora tutti, le risorse scarseggiano e le papere non galleggiano. Si tratta però di squarciare un velo d’ipocrisia che da tempo ci avvolge: chi chiede giustizia non è uno scocciatore molesto (se veramente lo è, lo si sanzioni pecuniariamente dopo avergli dato torto nel merito) e impedire alle liti di sfogare ed essere decise in un regolare arengo non significa eliminare la litigiosità, ma solo nascondere la polvere sotto il tappeto. Ben vengano allora le riforme, ma quelle vere, pensate per far funzionare meglio la macchina e non per sbandierare grafici e risultati fittizi.

Le possibili direttrici di intervento Lo spazio di questo articolo non consente di addentrarsi in una puntuale disamina delle regole organizzative e procedurali che potrebbero essere adottate, ma solo di indicare alcune grandi direttrici di intervento. La prima di queste direttrici consisterebbe nell’adozione di un unico modello processuale per qualsiasi tipo di controversia, accompagnato dalla creazione di sezioni specializzate all’interno di un circuito giudiziario unificato, composto da magistrati togati e laici. Siffatto rito dovrebbe prevedere la quanto più possibile anticipata discovery del thema decidendum e del thema probandum, e comunque fare sempre salvo il principio di libertà delle forme (con salvezza dell’atto che abbia comunque raggiunto il proprio scopo, nel primario rispetto del principio del contraddittorio). Al fine di ottimizzare le risorse e pervenire a una decisione di primo grado il più possibile giusta (e quindi non meritevole di impugnazione), si dovrebbe prevedere l’utilizzo esclusivo del


richiedere, solo motivatamente, l’assunzione in udienza del teste). Infine, una riforma non di stretta procedura, ma di sicura utilità sarebbe quella di prevedere che un magistrato possa mutare di ruolo e funzioni solo una volta che abbia deciso i procedimenti allo stesso assegnati e per i quali l’istruttoria sia terminata. Ciò eviterebbe l’inconveniente di far decidere la causa a chi non l’ha istruita e limiterebbe i disagi connessi ai tempi di latenza fra la cessazione di un giudice e l’effettiva presa di possesso del ruolo da parte del successivo. Le idee sopra sommariamente esposte sono un modesto contributo al dibattito, ma la stella polare di ogni ragionamento non può che essere la necessità di approntare un efficace sistema di risoluzione delle controversie che non menomi i diritti degli individui. Per parte mia, se col termine rivoluzionario il committente di questo articolo avesse voluto intendere eccezionale, concludo citando i versi del Poeta: “l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.

C’era una volta il processo civile

giudice monocratico, temperato dalla reintroduzione della possibilità di reclamo al collegio su tutte le pronunce interinali (anche istruttorie). La seconda direttrice sarebbe quella di un cambiamento dell’ottica di utilizzo della magistratura onoraria: anziché utilizzare i magistrati onorari come supplenti o assistenti dei togati, ai quali affidare cause di minor valore, si dovrebbe costituire un vero e proprio circuito di magistratura laica, attinta dal ceto forense, specializzata in alcuni settori del diritto (ad es. quello del condominio) e con attribuzione di specifici settori di competenza (ad. es: i procedimenti di istruzione preventiva). La terza direttrice sarebbe quella di potenziare l’utilizzo dei sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (mediazione, negoziazione assistita) non più nell’ottica di ostacoli all’accesso alla giurisdizione (e con l’eliminazione della cd mediazione delegata), ma come valida alternativa ad essa, che comporti significativi benefici fiscali per chi perviene, tramite tale via, alla risoluzione di controversie; analoghi benefici fiscali dovrebbero essere previsti anche per coloro che scelgano di deferire ad arbitri le proprie controversie. Volendo mantenere l’esperimento di un tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità, si dovrebbe prevederne la assoluta fungibilità: qualunque tentativo di conciliazione (mediazione, negoziazione assistita, art. 696 bis c.p.c. e altri previsti per specifiche materie) deve costituire adempimento della condizione di procedibilità. Sempre nell’ottica di valorizzare le competenze degli avvocati e consentire una effettiva discovery anticipata del thema decidendum e del thema probabndum, dovrebbe essere consentita agli avvocati l’assunzione ante causam (anche in contraddittorio fra le parti assistite dai rispettivi legali) delle prove costituende, in analogia alle indagini difensive oggi effettuabili in sede penale (consentendo alla controparte di

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Accesso alla professione,

un percorso in salita di Ester Perifano

Penalizzante per i giovani il nuovo Regolamento recante la disciplina dei corsi di formazione propedeutici all’esame di abilitazione È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale di venerdì 16 marzo 2018 il DM 9 febbraio 2018, n.17, denominato “Regolamento recante la disciplina dei corsi di formazione per l’accesso alla professione di avvocato, ai sensi dell’art.43, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”.

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Un regolamento che si attendeva da tempo, anche perché la sua mancata adozione era stata la motivazione delle continue e ripetute proroghe della entrata in vigore dell’art. 46, co.7, L. 247/2018, che stabilisce che le prove scritte degli esami di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato si svolgono con il solo ausilio dei testi di legge, senza commenti o citazioni giurisprudenziali. In poche parole, nella intenzione del legislatore, la istituzione dei corsi di formazione obbligatori per i praticanti avvocati, prevista anch’essa dalla 247/2012, sarebbe stata la condizione necessaria e sufficiente per una migliore preparazione all’esame degli aspiranti avvocati, i quali, conseguentemente, avrebbero potuto ( e dovuto) fare a meno dei codici commentati nel corso della prova scritta. Non è questa la sede per discutere sulla bontà di una simile ratio, che potrebbe, forse, avere un senso se l’esame di abilitazione fosse diverso, ovvero più simile alle prove che si svolgono per accedere alla magistratura piuttosto che, come attualmente è, prove tendenti ad accertare le conoscenze, soprattutto teorico-pratiche del futuro avvocato. Quel che è certo è che tutti i tirocinanti iscritti nel registro dei praticanti con decorrenza posteriore al centottantesimo giorno successivo alla sua entrata in vigore, e quindi tutti gli iscritti dal 1° ottobre 2018, dovranno, per ottenere il certificato di compiuta pratica, aver frequentato il corso obbligatorio di formazione previsto da questo Regolamento . Ad un primo sommario esame, in attesa di verificarne la applicazione, ma soprattutto la concreta applicabilità, possiamo serenamente affermare che il regolamento si presenta lacunoso in alcune parti, in odore di illegittimità in altre, ma sicuramente, e soprattutto, una vera e propria sfida di tipo logistico-organizzativo per coloro che vorranno cimentarsi nella organizzazione dei corsi.


I soggetti ai quali sarà demandato questo compito sono indicati nell’art. 2 del Regolamento: i Consigli dell’Ordine, le Associazioni Forensi giudicate idonee ( ma da chi, esattamente ? ), nonché altri soggetti previsti dalla legge, incluse le scuole di specializzazione per le professioni legali istituite presso quasi tutte le Facoltà di Giurisprudenza. Un ampio ventaglio di soggetti legittimati, dunque, per i quali tuttavia, immediatamente, si profila una evidentissima ed inspiegabile disparità di trattamento, oggettivamente sfornita di qualunque giustificazione. Secondo il Regolamento, i Consigli dell’Ordine e, eventualmente, il CNF, potranno organizzare liberamente i corsi di formazione, mentre le Associazioni Forensi e gli altri soggetti previsti dalla legge dovranno richiedere, per i loro corsi, apposito accredito. Al Consiglio dell’Ordine competente per territorio, se si tratta di corso avente rilevanza locale, e direttamente al CNF se si tratta di corso avente rilevanza nazionale. Il che richiama immediatamente alla memoria la pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 28/2/2013, resa nel giudizio contraddistinto dal numero C – 1/12 , che vedeva contrapposti l’OTOC (ovvero l’Ordine degli Esperti Contabili del Portogallo) alla Autorità Garante della Concorrenza portoghese, nella quale venne ritenuta illegittima, con motivazioni molto interessanti e alle quali rinvio coloro che desiderano approfondire la fattispecie, una normativa praticamente identica a quella oggi riproposta dal Regolamento in esame. In poche parole la Corte ritenne che la differente disciplina riservata agli eventi formativi organizzati dall’OTOC rispetto a quelli organizzati da soggetti terzi si risolveva in una palese e irrimediabile violazione della libera concorrenza, riservando ad alcuni soggetti ( appunto l’OTOC, omologo al nostro CNF, e a cascata alle sue derivazioni territoriali, omologhe ai nostri Ordini territoriali ) un trattamento enormemente più favorevole rispetto ad altri soggetti che svolgevano le medesime funzioni, dunque del tutto

incompatibile con il superiore interesse della collettività in quella sede invocato.

Il lungo cammino di avvicinamento all’esame: 160 ore in 18 mesi Volendo per il momento tralasciare questo pur rilevante aspetto ( per il quale, però, non possiamo fare a meno di segnalare che mentre per il CNF è previsto un termine preciso entro il quale concedere o negare l’accreditamento, tanto non è replicato anche per i Consigli dell’Ordine), pare invece opportuno concentrarsi su come dovrebbe declinarsi il futuro corso di formazione obbligatorio. Il Regolamento prevede che dovrà avere una durata minima non inferiore a 160 ore (art. 5) distribuite in maniera omogenea nell’arco di 18 mesi, secondo modalità idonee a consentire al praticante avvocato lo svolgimento del tirocinio professionale, la partecipazione alle udienze e la frequenza dello studio professionale ( o della pubblica amministrazione) di riferimento. In questa ottica, vengono previste espressamente scansioni temporali precise : moduli semestrali, novembre – aprile e maggio – ottobre, sui quali distribuire il carico di ore previsto. Orbene, è del tutto evidente che, in una ottica di omogeneizzazione dei periodi formativi, potrà essere caricato un po’ di più il semestre cd. invernale, e un po’ di meno il semestre cd. estivo, se non altro per la parziale coincidenza di quest’ultimo con il periodo feriale, ragion per cui presumibilmente, e ragionevolmente, si potrà assolvere all’obbligo formativo frequentando un corso che preveda almeno una lezione alla settimana, che duri almeno tre ore. Un impegno, dunque, non particolarmente gravoso. Forse, però, sotto il profilo della formazione, nemmeno particolarmente utile, risolvendosi, infine, in una infarinatura generale di nozioni generiche, chissà quanto utili alla formazione specifica e professionalizzante dell’aspirante avvocato. Lo stesso dubbio mi assale se penso 43


Accesso alla professione, un percorso in salita 44

a quanto un impegno formativo simile potrà essere utile al superamento delle prove scritte di esame, da svolgersi rigorosamente senza codici commentati… Circa i contenuti, il Regolamento è invero piuttosto analitico (art. 3: indica meticolosamente le materie che dovranno essere trattate, non poche, in verità), rinviando la strutturazione del corso alle linee guida che dovrà predisporre il Consiglio Nazionale Forense al fine di garantire l’omogeneità di preparazione e di giudizio sull’intero territorio nazionale. Considerato che la organizzazione di un momento formativo obbligatorio che si sviluppa su tre semestri non si inventa in poco tempo e considerato che tutto dovrà essere pronto a far tempo dal 1° ottobre 2018 (poiché il primo semestre potrà partire al massimo con qualche giorno di ritardo, ma non potrà tardare più di tanto), in effetti i soggetti interessati alla iniziativa dovrebbero poter contare sulle linee guida previste dal Regolamento praticamente da oggi. Ma pare, invece, che nulla trapeli da via del Governo Vecchio, per cui ci vorrà ancora un po’ prima di poter prendere visione degli indirizzi messi a punto.

Notevole l’impegno organizzativo ed economico Un punto assai delicato, che probabilmente preoccupa allo stesso modo, sia pure per motivi

diversi, tanto i Consigli dell’Ordine che i futuri praticanti, è il capitolo relativo ai costi (art. 6) . I Consigli dell’Ordine, infatti, a differenza delle Associazioni Forensi e degli altri soggetti previsti dalla legge (che potranno, solo se vorranno, impegnarsi nella organizzazione dei corsi) dovranno mettere a disposizione dei praticanti il corso obbligatorio e tutto quello che occorre per ottenere, all’esito del tirocinio, il certificato di compiuta pratica, necessario, come tutti sappiamo, per accedere all’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato. I Consigli degli Ordini si troveranno, quindi, di fronte non solo ad un notevole onere organizzativo, ma anche ad un considerevole impegno economico. Che, probabilmente, solo in parte potranno riversare sui praticanti interessati, i quali, dal canto loro, dopo aver già sostenuto la gravosità, sotto tutti i punti di vista, degli studi universitari, si ritroveranno ancora a pesare sui loro genitori non solo per il loro mantenimento, ma anche per i costi di questo ulteriore obbligo, essendo del tutto improbabile che (peraltro privi di autonomo patrocinio, come invece prima di loro i più fortunati aspiranti avvocati ante 247/2012) possano reperire da soli le risorse necessarie per frequentare il corso. Considerato che oggi alla laurea e alla successiva pratica forense si arriva sempre più tardi, quella che si profila non è certamente la condizione ideale per giovani aspiranti avvocati ormai alla soglia dei


Verifiche intermedie e finali Il Regolamento prevede una verifica della preparazione alla fine di ogni semestre intermedio.

Potrà accedervi il tirocinante che abbia frequentato almeno l’80% delle lezioni e si intenderà superato solo se il tirocinante avrà risposto esattamente ad almeno due terzi delle domande (per le verifiche intermedie, sono previste trenta domande). È prevista poi una verifica finale, che si svolgerà alla fine del terzo semestre, alla quale saranno ammessi i tirocinanti che avranno frequentato almeno l’80% delle lezioni e che avranno risposto esattamente ad almeno due terzi delle domande (stavolta 40, trattandosi di una verifica finale). Responsabile della Banca dati dalla quale verranno prelevate le domande sarà una Commissione Nazionale, istituita presso il Ministero della Giustizia, nominata con decreto ministeriale, composta da nove componenti e da un Presidente designato dal CNF. Tutti gli avvocati della Commissione dovranno essere nominati dal CNF, ma accanto a loro ci saranno magistrati e professori universitari. Tuttavia il Regolamento prevede per gli avvocati che faranno parte della Commissione esclusivamente la incompatibilità con la carica di Presidente o Consigliere Nazionale Forense, mentre nessuna incompatibilità è prevista con la carica di Consigliere di Ordini Circondariali. Ovvero degli Enti che, maggiormente, sui territori, gestiranno corsi e verifiche, intermedie e finali. Tutte le verifiche si svolgeranno contemporaneamente sull’intero territorio nazionale e saranno valutate dalle commissioni di valutazione nomi-

Accesso alla professione, un percorso in salita

trenta anni. Non a caso, infatti, il regolamento prevede la possibilità di istituire borse di studio in favore dei tirocinanti più meritevoli da attribuire anche sulla base dei requisiti di reddito. Pur superando l’evidente criticità dei costi, rimane sempre una forte problematica organizzativa: non tutti i praticanti si iscrivono contemporaneamente ma tutti dovranno frequentare i loro tre semestri in tempo utile per conseguire il certificato di compiuta pratica. I Fori con un numero alto di iscritti ( un Foro medio-grande non iscrive meno di 250 praticanti all’anno, ma i più grandi sforano con facilità i 500), saranno probabilmente costretti a prevedere più di un corso di formazione all’anno, trovandosi da una parte nella necessità di rispondere alle richieste dei praticanti che arriveranno in momenti dell’anno diversi e, dall’altra, nella condizione di non poter offrire un corso di formazione obbligatorio ad un numero troppo alto di discenti, poiché ciò andrebbe sicuramente a scapito della qualità dell’offerta formativa, che è invece uno degli obbiettivi che il Regolamento si pone espressamente (art. 6, II co.). In questa ottica è da apprezzare, quindi, l’apertura dell’art. 7 del Regolamento nei confronti di modalità formative telematiche, per un numero di ore non superiore a 50 nell’arco dei 18 mesi di tirocinio, ferma la predisposizione di forme adeguate di controllo, predisposte dal CNF, per assicurare che lo svolgimento a distanza delle attività non pregiudichi l’effettività della formazione. Infine, il capitolo delle verifiche intermedie e della verifica finale. Un capitolo che, mi auguro in casi estremi e limitati, potrebbe costare al tirocinante anche il mancato conseguimento del certificato di compiuta pratica, con tutto quel che ne consegue.

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Accesso alla professione, un percorso in salita 46

nate secondo le previsioni dell’art. 43, co. 2, lett. d) della legge professionale e insediate presso ciascun ordine. In definitiva, il tirocinante avvocato riuscirà ad accedere all’esame di abilitazione solo dopo aver superato, nell’arco dei 18 mesi di pratica, ben tre verifiche. Nel caso in cui, malauguratamente, non dovesse superare una o più delle tre verifiche, dovrà ripetere il semestre formativo e quindi dire addio, per quell’anno, alla prova di abilitazione. Queste, sinteticamente, le previsioni del Regolamento appena approvato, che ha già suscitato grande allarme e numerose contestazioni tra coloro i quali, desiderando accedere alla professione forense, saranno costretti a subirlo, assieme a tante altre norme oggettivamente sfavorevoli contenute nella 247/2012. È un dato acclarato che il numero complessivo dei praticanti negli ultimi 3 anni è diminuito di circa il 25% (cfr. dati diffusi dal Consiglio Nazionale Forense in occasione della inaugurazione dell’Anno Giudiziario) ed è probabile che, grazie anche a normative restrittive come questa, questo numero continuerà a scendere nei prossimi anni.

Per alcuni è l’obbiettivo che il legislatore della L. 247 si era proposto, nella ottica di traghettare anche gli avvocati all’interno della logica del mercato. Per altri, e mi iscrivo volentieri a questo partito, significa soprattutto rinunciare all’ingresso nella professione di forze giovani, fresche e motivate. Le uniche in grado di rinnovare una professione accartocciata su se stessa, incapace di pensare un futuro in un mondo che da anni, ormai, non è più lo stesso.


L’ Avvocato specialista, come l’araba fenice di Andrea Zanello

“che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa” (Metastasio) Qualche lustro fa, in caso di influenza, mi curavo da solo con una bella par­ tita di calcio, intensa e senza risparmio. Quest’anno, invece, c’è voluto il medico di base, che mi ha dato una medicina, ma mi ha anche detto: “Se tutto passa, bene, altrimenti, in caso di com­plicazioni, ti do­vrò mandare dallo pneumologo”. Il figlio di un vicino ha studiato ingegneria, ma ci tiene (giustamente) a spe­cifi­care che si tratta di ingegneria navale: “Se ti serve di costruire una nave, va bene; ma se ti serve un acquedotto, una casa o un impianto, devi andare da qualcun altro”. In quarant’anni di carriera mi sono interessato soprattutto di diritto del lavoro, ma è capitato che qualche cliente avesse problemi penalistici, di diritto amministrativo o altro. Ho spesso (e scherzosamente) risposto: “Beh! Ci vorrebbe un avvocato!” e, di fronte alla meraviglia dell’interessato: “Ma lei si farebbe fare gli oc­chiali da un ortope­dico?”. Solo i lavoristi sanno che la “For­nero” (l. n. 92/ 2012 del 28.06.2012, pubbli-

cata il 03.07.2012) fu ap­provata di corsa nella notte per poterla portare in Europa la mattina dopo e che fu neces­ sario cor­reggere errori e imprecisioni con il primo “vagone legi­sla­tivo” utile e cioè con la legge 07.08.2012 n. 134 di con­versione con modifiche del d.l. 22.06.2012 n. 83, (già) pubblicato sulla G.U. n. 147 del 26.06.2012. Di fatto, una legge modificata … con un provvedi­mento che risulta pubblicato due giorni prima della sua approvazione !!! Sono alcune note di colore che offrono, però, interessanti spunti di rifles­sione sulle specializzazioni. Il medico deve conoscere innanzitutto il corpo umano e, quindi, studia per prima cosa l’anatomia. Segue poi un percorso più settoriale e, dopo la laurea, ancora più speci­fico: car­diologo, ortopedico, oculista etc.. Ed anche il medico di base non è un “generico” poco qualificato, ma è uno specialista, che ha nella conoscenza del paziente e nel rapporto di prossimità il suo va­lore aggiunto. Insomma, una professionalità, quella medica, che non si può esercitare se

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L’Avvocato specialista, come l’araba fenice

non si innesta una “specialità” sulla fondamentale base di una conoscenza generale. Idem per le altre professioni. All’università il futuro ingegnere deve scegliere corsi di laurea diffe­renziati. Dopo, la professione è orientata su tre settori di carattere generale (civile e am­bientale; industriale; dell’informazione), a loro volta suddivisi in comparti (almeno 16), ulteriormente sud­divisi in aree di specializzazione. Il busillis della “Fornero” ricorda quanto vasto, arti­colato e complesso sia il di­ritto, ben oltre la classica di­stinzione tra civile, penale ed amministrativo. Chi tratta “di diritto” ha di fronte una infinita vastità di materie ed oceani di norme sostanziali e processuali, molto spesso assai tempestosi, grazie anche alle tecni­che legislative che, anziché sem­plificare con norme chiare, generali ed astratte, produ­ cono - al contrario - farraginose, confuse e contradditorie disposizioni, troppo spesso atte più a seminare trappole, che a risolvere problemi.

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La specializzazione, un percorso obbligato Non v’è dubbio, quindi, che anche per l’avvocato la specializzazione rappre­senti un percorso obbligato. Il Dizionario Hoepli on line definisce l’avvocato come il profes­sionista “abili­tato ad assistere una parte nel giudizio civile o penale”. Il disallineamento con la realtà è di palese evidenza: dall’equivalenza Avvocato= Solo cause si è passati infatti all’equivalenza Avvo­cato = Pratica legale, nella quale il nuovo binomio contiene una rosa amplissima di possibilità di intervento. Per la legge professionale l’avvocato è più semplicemente quel “libero profes­sionista” che “… svolge le atti­vità di cui ai commi 5 e 6 …” (art. 2, co.1). Il comma 5 sancisce l’esclusività per “… l’assistenza, la rappresentatività e la di­fesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali ri­tuali …”. In pratica non è “avvocato” solo chi “fa le cause”, ma - al contrario - solo

l’avvocato è colui che può “fare le cause”. E’ avvo­cato (art. 2, co. 6) anche chi svolge attività “di consu­lenza legale e di as­sistenza legale stragiudi­ziale”, connessa con l’attività giurisdizio­ nale, che però potrebbe essere con­dotta da un altro collega. E, parimenti, è avvocato anche colui che, in regime di subordinazione o con con­ tratto d’opera continuativa e coordinata, presta attività di “… consulenza e … assistenza legale stragiudiziale, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del sog­getto in fa­vore del quale l’opera viene prestata …”. Al “difensore in giudizio” si affiancano quindi quantomeno il “consulente le­gale” ed il “giuri­sta di impresa”. Non risultano esistere specifiche statistiche ufficiali, ma non sembra esagerato affermare che almeno il 30- 40% dei 245.000 avvocati iscritti agli albi ed alla cassa non frequenta le aule giudiziarie ed esprime le proprie competenze nella consulenza ed assi­stenza stragiudi­ziale. Affari- pratiche legali, che non passano minimamente per i tribunali e che si dipa­nano altrove, come ad esempio accade nei settori assicurativo, bancario, finanziario, immo­ biliare, societario; in contrattualistica e nei rapporti interprivati di ogni genere e tipo, con orizzonti nazio­nali, europei e planetari; in pratiche amministrative presso le mille autorità ed i più di­versi enti sulle innumerevoli rotte dei vasti orizzonti e degli oceani normativi di cui poco sopra si è detto. Con una ramificazione delle competenze tale che l’approfondimento dell’una fi­nisce per esclu­dere per forza la frequentazione delle molte altre che non siano ad essa strettamente vicine ed affini.

Specializzazioni si, ma come ? e quali ?!? Si, quindi, alle specializzazioni: il problema vero, infatti, non è se farle o meno, ma è solo e soltanto il “come” farle. Un primo step riguarda l’università ed occorrerà sollecitare i ministeri com­petenti a fare in modo che lo studente sia meglio indirizzato verso pro­


dotta con l’adozione di para­metri che siano frutto di una scelta di merito, ma che devono rispettare i criteri di effet­tività, congruità e ragio­nevo­lezza”. Con conseguente travolgimento del numero massimo “alla luce della acclarata irragionevolezza della suddivisione relativa che individua ambiti con­ termini e settori affini, tanto da far apparire egualmente irragionevole la limitazione impugnata” e dell’illecito disciplinare, stante la tipizzazione legale degli illeciti non emendabile in sede regolamentare.

Proposte positive cercansi Smantellato così l’irragionevole progetto ministeriale, resta però la necessità di una proposta positiva. Il punto dolente è la lista dei settori: non troppo generica da risultare incongrua; non troppo specifica da risultare esageratamente parcellizzante. Il punto di caduta potrebbe essere l’idea della mozione del Congresso di Vene­zia: una specializzazione di primo livello arti­colata in alcune grandi aree fonda­mentali ed ulteriori indirizzi di specializzazione di se­condo livello più agili e flessibili. Il presupposto è la rimozione definitiva del limite di due specializzazioni, tanto più che l’art. 9, co. 7, L. n. 247/ 2012 sancisce il sacrosanto principio per cui “Il consegui­mento del titolo di specialista non comporta riserva di attività pro­fessionale”. Le aree di specializzazione di primo livello (alle quali ricondurre l’avvocato “generalista” che rimane una professionalità fondamentale per la tutela del cittadino) potrebbero essere quelle più marcatamente caratterizzate da ragioni sostanziali e dalla presenza di spe­cifiche giurisdizioni, competenze e riti: civile; persona, famiglia e mi­nori; lavoro e previdenza; penale; ammini­strativo; tributario; trasporti e naviga­zione. Regolati sulla base dei contenuti concreti dei percorsi formativi e della effettiva e comprovata esperienza professionale, gli indirizzi di secondo li­vello si pongono in­vece come una utile ed agile

L’Avvocato specialista, come l’araba fenice

getti professionali più specifici. La legge professionale ha riconosciuto la possibilità di ottenere e in­dicare il ti­tolo di spe­cialista all’esito di percorsi for­mativi o per comprovata esperienza (art. 9) ed anche il XXXII Congresso Nazionale Forense (Venezia, 2014) si è espresso po­ sitiva­ mente, approvando la mozione promossa da ANF che ha impegnato l’avvocatura ad as­sicurare “che l’individuazione di aree … e degli ambiti … sia formulata ed assunta sulla base di dati esperienziali concreti, frutto di una analisi effettiva e con­creta dei flussi di lavoro in ambito professionale; che siano valorizzate in particolare le competenze trasversali … che settorial­mente attraversano diverse aree; che non debbano operare limitazioni quantitative … che qualsiasi forma di specializzazione non possa essere ottenuta a seguito di un percorso esclusivamente teorico e culturale, ma necessiti sempre di un comprovato supporto esperienziale che attesti una capacità di utilizzo con­creto e professionale delle competenze del settore specialistico di riferimento …”. Il Regolamento ministeriale (DM n. 144/ 2015) ha invece rappresentato un passo indietro. Ed infatti, regolati i percorsi formativi e dettati i criteri per valutare la compro­ vata esperienza (anche attraverso apposito e discusso colloquio), il Regolamento, oltre ad aver li­mitato a due le specializzazioni conseguibili ed aver previsto come illecito disci­plinare la spendita del titolo di specialista senza averlo conseguito, ha indicato una di­scutibile lista di 18 settori di specializzazione (art. 3, comma 1, DM cit.). La reazione dell’avvocatura non si è fatta attendere. ANF in primis ed altre associazioni e Ordini hanno impugnato il Decreto e, all’esito, il Consiglio di Stato, confermando l’orientamento iniziale del Tar, con sen­tenza n. 5575/ 2017 ha sancito la illegittimità del regolamento stante la “intrinseca in­coe­renza” e “l’impossibilità di ri­costruire il criterio ordinatore dei settori di specia­lizza­zione conte­nuti nel regola­mento … tale giudizio negativo im­plica un pro­fondo ri­pensa­mento della disciplina intro-

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indicazione dei campi di effettiva attività. Tarate sulle materie di studio del corso di laurea e sulle richieste del mercato, nonché sulla classifi­ cazione dell’oggetto di causa di cui alle note di iscrizione ed ai regi­stri Sicid e Siecit, le specializzazioni di secondo livello sarebbero molto più numerose, meno impegnative dal punto di vista formale e per questa ragione costantemente rimo­dulabili attraverso la revisione biennale, già ipotizzata nel famoso emendamento alla legge di bilancio 2017, stralciato ed abbandonato in sede di commissione perché non era il caso. Successioni, diritti reali, condominio e locazioni, responsabilità ci­ vile ed assicu­ razioni, agrario, commerciale e societario e così via, com­prese nuove e originali aree quali il diritto internazionale, le tecniche contrattuali, di mediazione e di ADR, am­biente, concorrenza, privacy e trattamento dei dati, informazione ed informatica. In questa prospettiva di apertura, acquista peraltro sempre maggior rilievo lo Studio Legale, come organizzazione (non solo) di avvocati per un servizio legale capace di ri­solvere problemi legali in sede giudiziale e stragiudi­ziale. Un arco infinito di schemi organizzativi possibili, dalla boutique del diritto specia­ lizzata, all’estremo opposto dello iper­ studio multitasking con diversi specialisti pronti a fare fronte alle più varie necessità del cliente. Scelte imprenditoriali che non devono spaven­ tare affinchè la specializza­zione non porti ad una restrizione dell’attività, ma consenta quelle

indispensabili siner­gie che ampliano gli orizzonti di opportu­nità e di la­voro. La ricerca del giusto equilibrio sarà pertanto oggetto del prossimo congresso di ANF: troppo tempo si è perso e solo l’esperienza e la creatività degli avvocati nell’immaginare il proprio futuro potranno portare alla più saggia ed equa delle solu­zioni.


Il concetto di solidarietà del sistema previdenziale forense e la contribuzione obbligatoria:

riflessioni per nuove forme di tutela previdenziale di Milena Liuzzi

Incentivare il reddito, diminuendo il divario esistente tra Nord e Sud, tra giovani e vecchi, tra uomini e donne, piuttosto che su sistemi che tendano a diminuire la contribuzione. La sentenza della Corte Costituzionale n. 67/2018 ha statuito che il principio di ragionevolezza e quello di adeguatezza dei trattamenti previdenziali non risultano in sofferenza, in riferimento alla situazione di un avvocato iscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza ed anche titolare della pensione di vecchiaia INPS, giacché il ridotto grado di probabilità per l’avvocato anziano che si iscrive all’albo, allorché già pensionato, di conseguire i benefici pensionistici, che presuppongono l’esercizio protratto dell’attività, attiene a circostanze fattuali ricollegabili al momento della vita in cui il soggetto sceglie di intraprendere la professione. L’altra faccia della medaglia sono, per converso, le sentenze della Cassazione in materia di avvocati iscritti d’ufficio alla Gestione Separata INPS, colpiti

dalla cd. “Operazione Poseidone”. In questo caso, la Suprema Corte ha statuito, con le sentenze n. 30344 e n. 30345 del 18 dicembre 20171 la sussistenza dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS per i professionisti che svolgono attività autonoma libero-professionale e che non sono tenuti all’iscrizione

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al relativo ente di previdenza, in virtù del contemporaneo svolgimento di attività lavorativa subordinata per la quale godono di altra copertura assicurativa. Dopo la disamina delle premesse e della ratio sottesa alla Legge 335/1995, la Corte, sul punto nodale, l’interpretazione della norma che, ai fini esonerativi, menziona il versamento contributivo, ha precisato che tale deve intendersi solo quel versamento potenzialmente produttivo di effetti pensionistici (perché suscettibile di alimentare una posizione previdenziale, virtualmente destinata a sfociare in una prestazione), e non il versamento cd. sterile, quale quello del contributo integrativo, il 4% per intenderci, che riscuotiamo dai clienti. La Suprema Corte parte sostanzialmente dalla decisione delle Sezioni Unite dal 12 febbraio 2010, n. 3240 e, in particolare, dall’idea che la tutela previdenziale vada intesa, più che in termini soggettivi, in termini oggettivi (perché basata sulla mera percezione di un reddito), cosicché, in realtà, quello che rileva è la generalizzazione dell’obbligo contributivo, cioè di estensione dello stesso a qualunque tipologia di reddito correlato allo svolgimento di un’attività lavorativa, con conseguente proliferazione delle obbligazioni contributive, ogniqualvolta un soggetto risulti percettore di più redditi derivanti da diverse attività assoggettate a regimi previdenziali differenti. Peraltro, precisa la Corte, “all’espletamento di una duplice attività lavorativa, quando per entrambe è prevista una tutela assicurativa, deve corrispondere una duplicità di iscrizione alle diverse gestioni», in ossequio «a quella che può considerarsi una “regola” del nostro ordinamento previdenziale […], secondo la quale il contemporaneo svolgimento di due (o più) attività lavorative, soggette a due (o più) regimi previdenziali distinti, comporta l’assoggettamento pieno alla disciplina (anche) contributiva di ciascuna delle forme assicurative interessate” Ed inoltre che la diversità tra il contributo sogget-

tivo - cui sono tenuti solo gli iscritti agli enti previdenziali privati di riferimento - e il contributo integrativo consiste essenzialmente nella ripetibilità nei confronti del beneficiario della prestazione professionale, ponendosi, in sostanza a carico di terzi estranei alla categoria professionale cui appartiene il professionista, ma che la detta diversità non riverbera i suoi effetti, sulla lettura dell’art. 18, co. 12, d.l. n. 98/2011, posto che il generico riferimento a un versamento contributivo non consente all’interprete di utilizzare promiscuamente, a fini esonerativi, il contributo soggettivo e il contributo integrativo, giacché l’unico versamento contributivo rilevante ai fini dell’esclusione dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale potenzialmente destinata a sfociare nell’erogazione di un trattamento pensionistico.

Conclusioni diametralmente opposte Il dato che emerge dalle due sentenze, che giungono a conclusioni diametralmente opposte, perché da un lato, la Corte Costituzionale sancisce come principio cardine la solidarietà dei sistemi previdenziali privati, svincolando la contribuzione dal concetto di prestazione e dall’altro la Corte di Cassazione sancisce la generalizzazione dell’obbligo contributivo, vincolando il concetto alla prestazione previdenziale, è che la questione previdenziale costituisce un nodo di rivendicazione essenzialmente sindacale e politica. I dati di partenza della riflessione non possono che essere la crisi reddituale che ha visto i redditi degli avvocati in sostanziale discesa negli ultimi 10 anni e con un potere d’acquisto sempre più diminuito, ma soprattutto l’aumento della forbice tra i redditi elevatissimi da € 118.919,00 a € 994.630,00) concentrati in una percentuale del 7,5% del totale degli iscritti (circa 18.000 su 245.000) e la restante parte da 0 a € 66.784,00


del contributo minimo integrativo che, dunque si pagherà nella misura del 4% sull’effettivo volume d’affari prodotto direttamente in sede di autoliquidazione.

L’abrogazione del contributo minimo integrativo È una misura che riguarda moltissimi iscritti che producono un volume d’affari inferiore ad € 17.750,00, al netto di coloro che, per regolamento, ne sono comunque esonerati e certamente costituisce il primo passo verso una revisione del sistema che, però, non può che partire da alcuni elementi indefettibili: in primo luogo, in ogni caso, l’adeguatezza della prestazione previdenziale. In altre occasioni abbiamo già evidenziato come concentrare il dibattito solo ed unicamente sulla scelta tra metodo di calcolo retributivo e metodo di calcolo contributivo non rappresenti sic et simpliciter la risoluzione del problema. Entrambi i metodi di calcolo hanno pregi e difetti, e possono, a determinate condizioni portare allo stesso risultato, privilegiando principi diversi: nel sistema retributivo, infatti il principio ispiratore può considerarsi il “principio previdenziale” , incentrato sul mantenimento dello standard di vita, con violazione però del principio di “equità attuariale”, fondante del sistema contributivo, laddove a fronte di contributi anche diversi del lavoratore, le pensioni saranno comunque calcolate con il medesimo tasso di rendimento. Occorre, dunque, guardare la problematica da un’altra angolazione e osservare la contribuzione previdenziale nell’ottica di giudicarla eccessivamente elevata, solo in rapporto alla sua capacità di rispondere alla funzione previdenziale, assicurando al lavoratore un reddito adeguato, al momento del suo pensionamento. E dunque in presenza di un elevato numero di posizioni di reddito modesto, forse la soluzione del passaggio al metodo di calcolo contributivo non può ritenersi risolutiva, giacché releghe-

Il concetto di solidarietà del sistema previdenziale…

(circa 198.000 iscritti) che costituiscono l’ 81,10%. Nel novero dobbiamo sempre considerare 22.305 posizioni (9,4%) che non inviano neppure il modello 5. Il riflesso di questi dati si è visto nelle graduatorie per la partecipazione ai vari bandi, laddove emerge: 1) bando riservato ai figli al primo anno delle scuole superiori: al n. 294 troviamo il primo ISEE superiore ad € 20.000,00; 2) bando riservato alle famiglie monogenitoriali: al n. 51 il primo ISEE superiore ad € 0, 3) bando riservato ai figli all’asilo nido: al n. 362 il primo ISEE superiore ad € 5.000,00 di cui i primi 108, non superano € 1.000,00. Allora non può e non deve bastare la circostanza dell’aumento generale della media dei redditi nell’ultima rilevazione, giacché non possiamo non evidenziare che il detto dato può, anzi scuramente, ha risentito del progressivo aumento reddituale ad appannaggio della sola fascia più alta, nel mentre nessuna variazione è intervenuta nei redditi più bassi o intermedi. Ma la riflessione non può neppure non riguardare la sostanziale miopia del dibattito sulla crisi reddituale che ha visto concentrare le fasce più deboli in una lotta finalizzata all’abbattimento dei costi di gestione della professione, attraverso una lotta al sistema della cd. casta, più che alla ricerca di strategie per l’aumento dei redditi, in un circolo vizioso di rivendicazione e esacerbazione della frattura tra avvocati ricchi e avvocati poveri. È indubbio, poi, che l’introduzione dell’art. 21 della L. 247/2012, la cui stesura risente della fretta di approvazione della nostra sciagurata Legge Professionale, ha fatto emergere ancora di più quel solco che esisteva e si celava nelle pieghe della non obbligatorietà di iscrizione al ns. Ente Previdenziale per le fasce reddituali più basse. Oggi un ulteriore elemento si inserisce: i Ministeri vigilanti hanno infatti approvato la temporanea abrogazione per gli anni dal 2018 al 2022

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rebbe ancor di più la gran parte dell’avvocatura in difficoltà ad un futuro più drammatico. Ciò in quanto nel sistema previdenziale forense grande rilevanza assume la progressiva diminuzione dei redditi dichiarati, soprattutto, per la particolarità del sistema retributivo, che eroga la pensione, non sulla base di quanto effettivamente versato, ma considerando la media tra i redditi prodotti. È però altrettanto vero che oggi, in concreto, esiste una disparità di trattamento per coloro che dichiarano un reddito inferiore ad € 10.000,00, giacché il minimo soggettivo costituisce per costoro una percentuale maggiore rispetto all’aliquota di un contribuente il cui reddito sia superiore ad € 25.000,00.

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La soluzione di prevedere una aliquota progressiva di contribuzione previdenziale, equiparando il concetto applicato alla fiscalità, sembra però stridere con quanto statuito con la sentenza n. 67/2018 della Corte Costituzionale in materia di criterio solidaristico che prevede che non ci sia “una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione, alla quale è chiamato l’avvocato iscritto, e le prestazioni previdenziali (ed anche assistenziali) della Cassa”. Argomenta la Corte infatti che “l’assicurato, che obbligatoriamente, e da ultimo automaticamente, accede al sistema previdenziale della Cassa (ora fondazione con personalità giuridica di diritto privato), partecipa, nel complesso ed in generale, al sistema delle prestazioni di quest’ultima, il cui intervento, al verificarsi di eventi coperti dall’assicurazione di natura previdenziale, si pone in rapporto causale con l’obbligo contributivo senza che sia necessario alcun più stretto ed individualizzato nesso di corrispettività sinallagmatica tra contribuzione e prestazioni. È questo criterio solidaristico che assicura la corrispondenza al paradigma della tutela previdenziale garantita dall’art. 38, secondo comma, Cost”.

Palermo la Cattedrale (Santa Vergine Maria Assunta) 


chiede un nuovo ruolo più vicino all’economia, sia abbandonando le posizioni di isolamento nei confronti delle altre categorie professionali, sia investendo sulla valorizzazione della professionalità e competenza, svincolata dai meccanismi di formazione ed aggiornamento percepiti come un obbligo e non come un arricchimento. Non è un caso che la problematica previdenziale sia divenuta il problema dei problemi, allorché l’avvocatura ha cominciato la lenta discesa agli inferi del calo reddituale. Appare evidente allora che concentrando la propria azione sulla leva dei redditi, ma anche sulla consapevolezza che fare l’avvocato sia una professione per tanti, ma non per tutti, sia il primo passo verso una evoluzione, anche del sistema previdenziale che ci consenta di non dover scegliere tra l’uovo oggi e la gallina domani. Questo è il progetto che Anf deve proporsi di realizzare per i prossimi anni, preparandosi ad una strada in salita verso un traguardo che è già visibile all’orizzonte, se solo abbiamo la volontà di vederlo. NOTE 1. In realtà le dette sentenze riguardano iscritti INARCASSA, ma i principi generali sono applicabili anche agli altri professionisti coinvolti.

Il concetto di solidarietà del sistema previdenziale…

Cogliere le nuove opportunità Ed allora torniamo a discutere del fatto che occorre sovvertire la prospettiva di discussione e cercare di incidere su sistemi che consentano di incentivare il reddito, che diminuiscano il divario esistente tra Nord e Sud, tra giovani e vecchi, tra uomini e donne, piuttosto che su sistemi che tendano a diminuire la contribuzione. Una nuova visione dell’attività professionale, che cerchi di potenziare e cogliere le opportunità delle nuove forme di organizzazione dello studio, della dematerializzazione delle pratiche, dell’azzeramento delle distanze attraverso l’utilizzo dell’informatica e della telematica, deve rappresentare il punto di partenza del nuovo avvocato che sappia scrollarsi di dosso sia il retaggio di una visione romantica del ruolo della difesa dei diritti, calandola in una realtà sociale in cui il mercato ci

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La riforma del processo penale ha tradito la sua mission di Donata Giorgia Cappelluto

Persa l’occasione di introdurre una riforma radicale e seria della giustizia penale La parte centrale della Riforma Orlando (L. 103/2017), entrata in vigore lo scorso 3 agosto 2017, è dedicata al processo penale e reca il seguente titolo: “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”. Trattasi dell’ennesima novella legislativa introdotta nel nostro codice di rito penale, che modifica l’impianto origi-

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nario del processo c.d. accusatorio (D.P.R. 22 settembre n. 447), rectius misto, entrato in vigore nel lontano 1989. Qualche riflessione sull’impatto che deriva e deriverà sulla giustizia penale, allorquando la Riforma in questione andrà a regime nel suo complesso, pare opportuna. È pacifico che la L.103/2017, lungi dall’essere una riforma organica della giustizia penale, ha tradito la mission, dichiarata in sede di lavori parlamentari, che essa intendeva perseguire: ovvero di attuare definitivamente il “giusto processo” a norma dell’art. 111 Cost. e fornire efficaci risposte alla giurisprudenza europea, soprattutto in tema di ragionevole durata del processo penale e esecuzione della pena “rieducativa”. Ad un primo bilancio pare che il legislatore abbia rinunciato, all’esito del dibattito parlamentare durato alcuni anni e conclusosi peraltro con l’apposizione del voto di fiducia sul disegno di legge, a perseguire l’ambizioso progetto di introdurre una riforma radicale e seria della giustizia penale, di cui invero vi era molto bisogno, limitandosi a perseguire esigenze di semplificazione del rito penale e di efficienza del “servizio giustizia” privilegiando una logica di tipo “manageriale” . Abdicato il disegno originario, il Parlamento si è accontentato di adottare soluzioni contingenti e di mera facciata (rispetto alle reprimende della giurisprudenza europea contro lo Stato Italiano) per realizzare un sistema più efficiente della giustizia penale secondo due direttrici: una squisitamente economica e l’altra di deflazione, più spinta possibile, del numero procedimenti penali pendenti . Secondo la prima direttrice, per un verso la L.103/2013 ha fortemente inasprito gli importi delle ammende che dovranno essere pagate in conseguenza della declaratoria di inammissibità dei gravami proposti dagli interessati avverso le decisioni dei giudici1; e previsto, in aggiunta, un


sistema di adeguamento economico con cadenza biennale degli importi oggetto di ammenda. Per altro verso, in occasione dell’approvazione della Riforma in questione, ha varato la clausola c.d. “ad invarianza zero”, sicchè sarà di fatto impossibile incidere adeguatamente sull’organizzazione del sistema giustizia. Un sano e pratico realismo fanno infatti ritenere che il miglioramento del “servizio giustizia” non può che derivare da un’informatizzazione massiccia anche del rito penale e dall’incremento dell’organico sia presso le segreterie dei P.M. che delle cancellerie dei giudici, oltre che degli Uffici di Esecuzione Esterna della pena.

Ossessiva direttrice deflazionistica Nella direttrice invece, ossessivamente perseguita, di deflazione, il Legislatore ha cercato di rendere più appetibili non solo i riti alternativi, ma anche gli istituti penali volti ad ottenere l’estinzione anticipata del procedimento penale, onde interdire l’accesso dell’imputato alla celebrazione tanto del processo di primo grado quanto e soprattutto dei gradi successivi, di appello e di legittimità. Il legislatore ha preteso altresì di deflazionare indirettamente il carico penale degli uffici giudiziari introducendo chirurgicamente modifiche nel libro IX del codice di rito miranti ad incidere pesantemente sulle impugnazioni, limitandone i casi2 (sotto il profilo della legittimazione e della tassatività dei motivi possibili)3. La medesima ratio deflattiva ha comportato la reintroduzione in grado di appello dell’istituto del “Concordato anche con rinuncia ai motivi di appello4”, seppure non per tutte le tipologie di reato5, essendo in aumento costante il numero delle declaratorie di prescrizione dei reati pronunciate in grado di appello dalle Corti territoriali. Il re-inserimento del Concordato con la Riforma Orlando, ad avviso di chi scrive, è l’indice sintomatico per eccellenza che il diktat del legislatore fosse quello di scoraggiare le impugnazioni a

qualsiasi costo! Come noto, l’istituto era stato infatti soppresso in quanto, oltre a prestarsi ad abusi nella dosimetria in concreto della pena, da cui derivavano evidenti disparità di trattamento dalla sua applicazione nel territorio nazionale, aveva provocato l’effetto indesiderato di non incentivare l’accesso ai riti speciali durante il primo grado mortificando la loro funzione deflattiva; ciononostante il Legislatore è ritornato sui propri passi in modo schizofrenico e contraddittorio. Stante quanto finora premesso e fermo restando il giudizio iniziale circa la non organicità dell’intervento normativo introdotto dalla L.103/2017, trattasi ora di trarne le doverose conclusioni. Il modello di giurisdizione penale attuale, adottato all’esito dell’entrata in vigore della Riforma Orlando, è costituzionalmente compatibile con i principi del “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost.? E poi, ammesso pure che lo sia, è proprio questo il modello ideale di processo penale che si intende adottare per risolvere i problemi endemici e cronici della giustizia penale italiana? La prevenzione e la repressione di fenomeni sociali radicati nel nostro territorio (la criminalità organizzata interna e internazionale o il terrorismo) da una parte, o determinate tipologie di reati (violenza di genere, reati sessuali e reati contro la P.A.) dall’altra, giustificano ancora oggi l’adozione ed il potenziamento del c.d. doppio binario in relazione tanto al rito quanto in relazione alla fase esecutiva della pena! In concreto viene a porsi un problema serio di frizione costituzionale del modello accusatorio di cui all’art. 111 Cost. con il c.d. di doppio binario; esso è in astratto ragionevole fino a quando si tratti di prevenire, contenere e reprimere fenomeni di criminalità di eccezionale gravità (le mafie ed il terrorismo), ma meno ragionevole quando lo scrutinio sulla tipologia del singolo reato sia eseguito dal legislatore sulla scorta di valutazioni discrezionali, legate alla pubblica opinione ovvero a scelte mediatiche o peggio di

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La riforma del processo penale ha tradito la sua mission

consenso elettorale, del tutto estemporanee.

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Restiling del codice di rito L’impressione è che la Riforma, l’ennesima, oltre a non aver completato la realizzazione del “giusto processo”, abbia anzi incrementato il fenomeno del doppio binario6 ed eseguito un mero restiling del codice di rito, in generale, e del sistema delle impugnazioni, in particolare, più per adeguare la normativa nazionale a quella europea che per fronteggiare le istanze sociali di riaffermazione della giustizia e dei diritti violati. Anche la modifica della disciplina della “partecipazione a distanza nel giudizio abbreviato”7 o “al dibattimento”8 ha dato una formidabile accelerazione alla disciplina del “doppio binario! In proposito la nuova previsione normativa impone in modo indiscriminato al detenuto (ancorchè egli non sia tale per la causa/procedimento in cui venga citato a comparire) di partecipare a qualsiasi tipo di udienza (penale come civile) nella veste di imputato o testimone appunto “a distanza” in modo virtuale, dai locali degli istituti di pena, e non personalmente. Ne deriva una manovra improntata a soluzioni contingenti, che mira ad ottenere una mera riduzione dei grandi numeri della giustizia penale italiana (pendenze e prescrizioni), ma rinunciataria e miope; non a caso la Riforma in questione è stata fortemente criticata dalla dottrina più autorevole e dalle associazioni più rappresentative dell’Avvocatura italiana. Come noto il modello accusatorio, tradizionale o misto che sia, può funzionare con tutte le garanzie difensive rafforzate del caso solo se in futuro il legislatore avrà il coraggio di ridurre drasticamente la percentuale dei reati giudicati con il rito ordinario. Le direttrici da percorrere per approdare a questo risultato, ad avviso della scrivente, possono essere realisticamente: una depenalizzazione seria e massiccia, con un ricorso allo strumento penale residuale a fini

repressivi (che certo non può ritenersi attuata con i risultati molto modesti finora prodotti dai decreti legislativi n. 7/201699 e 8/201610) ; l’abrogazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e necessaria modifica dell’art. 112 Cost., principio in astratto di massima garanzia (di fatto eluso mediante l’uso disinvolto, oggi possibile, da parte di talune Procure, peraltro sprovvisto di sanzioni processuali in danno dei P.M.). Si tratta di temi molto tecnici, per addetti ai lavori ed impopolari in relazione ai quali, prima di intervenire sul piano legislativo, occorre iniziare un percorso culturale e epocale che abbia come destinatari i cittadini, serio ed approfondito, che consenta loro di capire che l’attuale sistema, oltre a non essere efficace e “giusto” nel senso dell’art. 111, rischia di far collassare il “servizio giustizia” o di implodere, ed implica altresì l’adozione, in via pressochè permanente, della c.d. “amnistia” occulta e strisciante di fatto della prescrizione, fenomeno che è lungi dall’essere stato debellato anche alla luce della modifica introdotta all’ 159 c.p. in tema di cause di sospensione del processo11. Il tentativo, secondo taluni ancora troppo timido, di intervenire sui tempi e sulla tipologia dell’istituto della prescrizione in Italia, non ci pone al riparo dai suoi effetti estintivi per un verso e, per altro verso, mortifica l’amministrazione della giustizia per i costi e i tempi inutilmente spesi . La lentezza della giustizia penale non si può curare solo con l’allungamento dei tempi di prescrizione, metodica incivile che di per sè non migliora l’efficienza del processo penale; essa può essere affrontata e superata solo se il legislatore deciderà di riservare allo strumento penale esclusivamente la cognizione dei reati che tutelano i diritti fondamentali e inviolabili previsti dalla nostra carta costituzionale; diversamente opinando, lo strumento penale (comprensivo di processo e sanzione) finirà per essere totalmente vanificato!


NOTE 1.

Vedasi art. 616 c.p.p. comma 1 e 2

2. Nella medesima direzione si è mosso anche il decreto legislativo n.11/2018, che ha attuato la delega in tema appunto di impugnazione ed in particolare del gravame dell’appello, entrato in vigore lo scorso 6 marzo 2018. 3.

Art. art.571 e 581 c.p.p per l’imputato e art. 608 c.p.p. per il P.M.

4.

Art. 599 bis c.p.p.

5. Rimanendo interdetto l’accesso a detto istituto per i reati invero più gravi di cui agli art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p. e 660 bis, 600 ter, 600 quater relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico comma 2, 600 quater, 600 quinquies , 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies c.p., imputati delinquenti abituali, professionali o per tendenza 6.

In relazione ai riti alternativi e concordato ad esempio

7.

Art. 134 bis disp.att. c.p.p. come modificato

8.

Art. 146 bis disp.att. c.p.p. come modificato

9. Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili 10. Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti amministrativi 11. I nuovi termini, pur essendo più lunghi dei precedenti, sono invero “irragionevoli” e si applicano secondo un meccanismo complesso ed inidoneo a produrre effetti nel breve periodo non valendo per i reati già pendenti!


Magistratura onoraria:

una riforma contestata di Mariaflora Di Giovanni

Il 60% delle cause di primo grado è affidato alla magistratura onoraria La riforma Orlando ne svilisce la funzione giudiziaria

La riforma della magistratura onoraria è stata predisposta seguendo una “metodologia” a dir poco anomala. In tanti hanno espresso la loro opinione in materia, esercitando un peso determinante sulla c.d. riforma Orlando: dalle associazioni della magistratura di professione alle associazioni della avvocatura, persino l’associazione dei costruttori e degli amministratori di condominio, tranne le associazioni rappresentative della magistratura onoraria, rimaste inascoltate e non più chiamate a partecipare al tavolo tecnico

La vita difficile dei

GOP sotto tutela di Giuseppe Amicarelli

la recente riforma li relega ad una posizione ancillare, fortemente dipendente da quella togata Nonostante il fatto che oggi la magistratura onoraria nel suo complesso

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decida in primo grado un numero di controversie superiore a quello definito dai togati1, la recente riforma la relega ad una posizione ancillare, fortemente dipendente da quella togata. Nata formalmente per rimediare al pluridecennale precariato dei giudici onorari, stigmatizzato dalla Corte di Giustizia UE, essa pone oggi proprio i magistrati onorari di più lungo corso in una condizione di estremo e maggiore disagio sia sul piano professionale che economico.


del Ministero della Giustizia dal 2015. Inaccettabili e contraddittorie sono state le prese di posizione, spesso espresse con superficialità e mal celata superiorità, degli operatori del diritto, compresi gli stessi avvocati e magistrati che sono chiamati a garantire la difesa dei diritti costituzionali riconosciuti a tutti in Italia ed in ogni paese civile (previdenza, assistenza, malattia, equo compenso, ma anche il diritto dei cittadini ad un giusto processo dinanzi a un giudice terzo e imparziale). La ideologica chiusura a elementari istanze, irrinunciabili per tutti i magistrati onorari che hanno superato un concorso per titoli e che lavorano per la giustizia da 15-20 anni ed oltre, in via continuativa ed a tempo pieno, nelle funzioni svolte di GdP, GOT o VPO, muove dal pensiero poi non tanto recondito che nell’immaginario collettivo i

È nei fatti che il provvedimento in questione, rigettando integralmente ogni istanza delle categorie interessate, principalmente quelle dei giudici di pace, di fatto vada a concretizzare l’assoggettamento del giudice onorario al potere direttivo, organizzativo ed economico del presidente del tribunale. I profili che destano perplessità sono diversi, a cominciare dalla filosofia che impronta di sé la riforma laddove sottopone la magistratura onoraria ad una ancor più rigida tutela da parte di quella togata2. E questo è un aspetto che deve interessare gli avvocati siccome attori del processo poiché, infatti, non solo svilisce la professionalità e l’impegno dei giudici onorari, ma soprattutto solleva notevoli dubbi di costituzionalità, rispetto al canone del giudice soggetto solo alla legge. Ed invero, con la riforma il giudice onorario e le parti che a lui si rivolgono non sono soggetti solo alla legge, ma anche alle direttive concordate col giudice professionale titolare del

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Magistratura onoraria: un riforma contestata

magistrati onorari vogliano andare occupare i ruoli della magistratura ordinaria, attraverso una legge di stabilizzazione. Nulla di più infondato! La legge, che tutta la magistratura onoraria unitariamente propone, è assolutamente in linea con la via stretta individuata nel parere tecnico che il Consiglio di Stato ha rilasciato, su richiesta formale, al Ministro Orlando: una legge articolata sulla falsariga della L.217/74 che fu fatta, e poi ripetuta ed estesa nel 1977 e nel 1984, per i vicepretori onorari in servizio e che ha già, in passato, superato tutti i rilievi di costituzionalità. Vi è, anzi, da rimarcare che l’UNAGIPA, nella proposta inoltrata a tutte le istituzioni, circoscrive ulteriormente la funzione solo ed esclusivamente alle competenze assegnate dalla legge, così come delimitata è la richiesta di equo compenso, ancorata a quello del magistrato che abbia superato la prima valutazione di professionalità, senza scatti di anzianità, nonostante la maggior parte di noi sia già alla terza o quarta valutazione di professionalità (riconferma). Sostanzialmente sarà impossibile esercitare funzioni assegnate per legge alla magistratura “togata” o avere retribuzioni equiparabili poiché non sono previsti scatti stipendiali. La magistratura attualmente in servizio, sia come Giudice di Pace che come Giudice Onorario di Tribunale e Vice Procuratore della Repubblica, proviene tutta dalla Avvocatura e dalla aule di Giustizia ed è anacronistico, anche agli occhi dei cittadini, che avvocati prestati alla giustizia siano osteggiati da altri avvocati.

La vita difficile dei GOP sotto tutela

procedimento, al cui cospetto non è previsto che compaiano le parti ed i loro difensori (e qui il pensiero corre all’art. 111 Cost.)3. Di fatto, come qualche attento osservatore ha sottolineato, con questa riforma “l’esercizio della giurisdizione si concretizza attraverso una condizione di sudditanza mai espressa prima d’ora nel dettato Costituzionale”4 Se da una parte c’è ragione di credere che l’idea originaria della stessa ANM non comportasse lo sfruttamento di fatto dei magistrati onorari e dei tirocinanti5, bensì l’assunzione di ausiliari debitamente remunerati, c’è da dire che questa riforma, così come partorita, sembra andare nella direzione contraria, dando la sensazione di vedere nella magistratura ordinaria l’unica legittimata ad esprimere il Diritto. Non a caso non è mancato chi, evidenziando una annosa lontananza dalle aule di giustizia e dunque scarsa conoscenza della situazione attuale degli uffici giudiziari, abbia maltrattato assai maldestramente i giudici onorari dando a credere che siano solo da interessi venali e privi della qualificazione dei giudici ordinari, scaturente dal concorso per esami, fonte sacrale che sarebbe gravemente lesa dalla stabilizzazione di fatto dei vecchi GOT e GdP. 6 Di qui una ritenuta e rimarcata superiorità dei giudici togati rispetto ai giudici onorari e, considerato che ormai questa magistratura “supplente” è composta quasi esclusivamente da avvocati, implicitamente anche nei confronti di questi ultimi, dimenticando però che se i giudici ordinari hanno dovuto superare un concorso per esami, gli avvocati del libero foro devono superare esami quotidiani col

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Occorre una matura presa d’atto da parte della avvocatura, così come della magistratura professionale, che il 60% delle cause di primo grado sono affidate da oltre vent’anni alla magistratura onoraria, costituita attualmente da avvocati, tra i 45 anni ed i 60 anni di età, costretti, nel tempo, a lasciare i propri studi legali a causa della gravosità del lavoro al servizio dello Stato, che li impegna a tempo pieno, ma li tratta come lavoratori in nero senza alcuna tutela (previdenza, assistenza, ferie, maternità, malattia) e con compensi mortificanti. È ormai illogico negare l’esistenza di questo enorme problema, di cui anche l’Europa si è fatta carico nelle sue massime istituzioni, trincerandosi dietro l’alibi, peraltro infondato, dell’effettuazione o meno del concorso in magistratura, unilateralmente inteso come concorso per prove scritte ed orali, così escludendo ogni altra

modalità concorsuale prevista nel nostro ordinamento, a partire dal concorso per titoli, il quale garantisce l’accesso in magistratura onoraria solo a chi abbia positivamente superato l’esame di avvocato ed acquisito un importante esperienza professionale. I magistrati onorari non sono magistrati di carriera, né pretendono di esserlo. Sono fieri di ciò che sono: avvocati investiti della giurisdizione, persone che hanno dedicato la vita alla amministrazione della giustizia di primo grado, talora costrette a tralasciare l’attività professionale di avvocato, di notaio, di insegnamento nelle università. Esercitano le proprie funzioni con efficienza, competenza, professionalità da oltre vent’anni, hanno risolto i problemi della vita quotidiana dei cittadini, hanno permesso la sopravvivenza della vita professionale degli

Magistratura onoraria: un riforma contestata

confronto con i colleghi e con gli stessi giudici. Lo stesso primo presidente Santacroce, nell’ultima sua relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario dinanzi la Cassazione, rimproverò all’Avvocatura di non essere più un filtro efficace: forse questo filtro ha allargato un po’ le maglie, ma ogni avvocato sa quanto vasta e profonda sia la scrematura delle istanze e delle lamentele dei clienti e quanta fatica il loro patrocinio risparmia ai Giudici, che hanno un’idea imprecisa ed assai mediata della prima linea presidiata dalle scrivanie degli studi legali. La posizione di sudditanza emerge anche sotto profili operativi ed economici. La norma (art. 23) stabilisce che l’indennità spettante ai magistrati onorari si compone di una parte fissa e di una parte variabile di risultato. La prima, riconosciuta ai magistrati onorari che esercitano funzioni

giudiziarie ed è corrisposta, con cadenza trimestrale, con un’indennità annuale lorda in misura fissa pari ad euro 16.140,00, comprensiva degli oneri previdenziali ed assistenziali. Di qui la quantificazione netta di 600 euro al mese che ne scaturisce. E considerando l’aumento di competenze di valore e funzionali che lo stesso provvedimento prevede per i giudici onorari, qualche perplessità su cosa potrà accadere a breve nelle aule di giustizia viene spontanea. Un’ultima riflessione: se i giudici togati sentono che il carico di lavoro7 richiede la partecipazione degli avvocati nella funzione giudicante, ma desiderano rimanere gli Happy Few, questo non dovrebbe però comportare il sacrificio della dignità personale e professionale dei giudici onorari. Parrebbe necessario allora riconsiderare la

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Magistratura onoraria: un riforma contestata La vita difficile dei GOP sotto tutela 64

studi legali di media entità. E non è accettabile restare a capo chino mentre vengono giustiziati proprio da coloro che dovrebbero non dico ringraziarli ma perlomeno mostrare rispetto. Non è dignitoso ed ancor meno onorevole per degli operatori della Giustizia accettare la riforma Orlando, che svilisce la funzione giudiziaria assegnandola ad un giudice per caso che lavora due giorni a settimana, che permette ai giudici onorari già in servizio di continuare a lavorare con competenze e carichi raddoppiati, ma con l’abbattimento dei già miseri compensi a 600,00 euro netti al mese, previdenza a proprio carico, nessuna tutela per malattia, gravidanza o altro legittimo impedimento. Non è possibile rimanere inerti difronte allo stato di agitazione permanente proclamato dall’intera magistratura onoraria già a partire dal 2016, con

la partecipazione compatta a 12 astensioni in quindici mesi, trovando la solidarietà di diversi COA e di diversi Consigli Regionali, ma riscuotendo il silenzio assordante degli organismi rappresentativi della avvocatura a livello nazionale. Questa è una riforma aberrante, per la sua evidente anticostituzionalità e dovrebbe far arrossire ogni cittadino, ancor più l’uomo che pratichi il diritto.

struttura della magistratura di primo grado, con una più ampia e incisiva partecipazione dell’avvocatura nella scelta dei giudici onorari e nella gestione di un processo che sembra invece voler andare nella direzione opposta, ossia facendo sempre più astrazione dalla figura dell’avvocato, come dimostrano ormai tutte le recenti riforme del processo civile e penale.

date con il giudice professionale titolare del procedimento, anche alla luce dei criteri generali definiti all’esito delle riunioni di cui all’articolo 22. Il Consiglio superiore della magistratura individua le modalità con cui le direttive concordate sono formalmente documentate e trasmesse al capo dell’ufficio.

* Presidente Nazionale Unagipa

3. Si invita il lettore a riflettere sulle ripercussioni dell’organizzazione, all’interno dei medesimi Tribunali, degli Uffici dei Giudici di Pace e dell’ufficio del processo: i GOP ed i Magistrati ordinari seguiranno tutti le stesse direttive, prese ai sensi dei ricordati artt. 10 e 22, cosicché tali direttive informeranno di sé tanto la decisione dei Giudici di Pace in primo grado quanto la decisione del medesimo tribunale in appello. Evidenti le possibili ripercussioni sull’esercizio della nostra Professione 4.

NOTE 1. Ancora negli anni ‘ottanta i giudici onorari rappresentavano un fenomeno quantitativamente marginale: l’Ufficio del Conciliatore aveva competenze inferiori a 50.000 lire, c’erano pochi vice Pretori onorari e non esistevano vice Procuratori onorari. 2. Basta leggere gli artt. 10, commi 11-13, e 22 del D.Lgs. 116-17 per rendersi conto che ai Giudici Onorari di Pace viene affidata in via diretta o delegata la competenza sulla massima parte delle controversie civili, ma che essi sono sottoposti alla tutela dei Togati. Art. 10, comma 13: Il giudice onorario di pace svolge le attività delegate attenendosi alle direttive concor-

Così Renato Amoroso (magistrato) su Altalex 11.05.2016

5. La posizione subalterna del Giudice onorario dopo la riforma emerge anche dal fatto che, pur a fronte dell’aumento delle competenze, la remunerazione dei GOP non solo sarà strutturalmente inferiore a quella odierna, ma sarà anche dipendente dalle determinazioni dei singoli Presidenti dei Tribunali. 6.

Bruno Tinti su “La Verità” del 28 marzo 2018.

7. Le statistiche indicano che i procedimenti civili iscritti in primo grado sono in forte diminuzione (37% in meno negli ultimi 7 anni), mentre i carichi delle magistrature di appello e superiori sono ancora notevoli, anche per l’attribuzione di nuove competenze, come quelle in materia di impiego pubblico o di diritto di asilo; la Cassazione affoga nel contenzioso tributario.


Benvenuti a Palermo Carissimi Colleghi

a nome dell’Associazione dei Giuristi Siciliani – ANF, Vi do il benvenuto nella nostra Palermo! Sono particolarmente contento della scelta di far celebrare l’VIII Congresso nella nostra città perché la ritengo una scelta non banale, che fa emergere il vero DNA dell’Associazione Nazionale Forense. Affidare ad una sede giovane come la nostra l’organizzazione di questo grande evento dimostra quanto ANF - lungi dall’essere una realtà autoreferenziale e chiusa in sé stessa - sia aperta a tutti, abbia voglia di mettersi in gioco, senta l’esigenza di rinnovarsi senza smarrire la propria identità. A testimonianza di ciò posso portare i primi due anni di AGIUS in ANF. Anni nei quali ci avete accolto senza riserve, riempito di consigli, affidato ruoli importanti non lesinando mai un sorriso sincero o un abbraccio caloroso. L’Associazione Nazionale Forense, sin da subito, è diventata casa nostra e, coerentemente con la nostra esperienza, potrà divenire la casa di chiunque abbia voglia di condividere idee, esperienze ed emozioni. E proprio di idee, esperienze ed emozioni ha un gran bisogno l’avvocatura italiana oggi. In un mondo che cambia alla velocità di un click, dove le vecchie professioni cedono il posto alle intelligenze artificiali e la tutela dei diritti conosce nuovi scenari è, infatti, essenziale, per tutti noi, fare una seria riflessione sul nostro futuro, su ciò che saremo tra dieci anni, su quale ruolo incarneremo in una società sempre più globalizzata, veloce e “liquida”. E la nostra riflessione, per essere efficace, dovrà essere scevra da pregiudizi, coraggiosa, inedita… in altre parole, “rivoluzionaria”. Il Congresso rappresenta proprio il luogo fisico e ideale dove tale riflessione dovrà avvenire e il fatto che si svolga a Palermo lo arricchisce di ulteriori significati. La nostra splendida città, infatti, è oggi come non mai il simbolo delle rivoluzioni civili, non violente, quelle che camminano sulle gambe delle persone e cambiano irreversibilmente il futuro di una comunità. Solo vent’anni fa Palermo era accostabile al tritolo di Capaci, allo squarcio in via D’Amelio, alle autoblindo di pattuglia, all’insostenibile oppressione di “cosa nostra” su ogni aspetto della società. A Palermo non si respirava, a Palermo non si sperava, a Palermo si sopravviveva. Ebbene, anche di fronte ad una realtà tanto cupa, i cittadini palermitani non si sono arresi e hanno avuto il coraggio di rimettersi in gioco, di lottare, di sognare. Di ribadire con forza che attraverso le idee, le esperienze e le emozioni una comunità può ritrovare il senso di sé, l’appartenenza ad un progetto comune, ad una visione di futuro migliore. Oggi Palermo, grazie a quell’esperienza di ribellione civile che prese il nome di “primavera siciliana”, è una città libera, tollerante, aperta, nuovo centro strategico del mediterraneo e crocevia di popoli e culture. Palermo oggi è soprattutto consapevolezza e speranza. Bene, ecco perché è importante che da questa città, dal suo teatro più antico – il Santa Cecilia - nasca una nuova visione dell’avvocatura che sappia gettare il proprio sguardo verso le nuove frontiere del diritto, verso i nuovi strumenti di tutela, verso un rinnovato senso d’appartenenza. Per tutte queste ragioni noi dell’ATA di Palermo abbiamo voluto fortemente questo Congresso e abbiamo lavorato senza sosta per realizzarlo nella nostra città. Ringrazio a tal proposito tutto il mio Direttivo, il nostro Segretario Generale, il nostro Presidente, nonché il Comune di Palermo e tutti gli Enti che a vario titolo hanno collaborato alla realizzazione del nostro evento. La nostra intenzione è quella di regalarvi la migliore esperienza congressuale possibile perché, come diceva Giovanni Falcone, “se poni una questione di sostanza, senza dare troppa importanza alla forma, ti fottono nella sostanza e nella forma”. Buon Congresso a tutti!

Avv. Francesco Leone


AGIUS,

essere avvocati a Palermo

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AGIUS è nata nel 2011 dall’idea di otto praticanti che volevano cambiare il modo di vivere l’avvocatura, che si rendevano conto che essere “praticanti avvocati” era come essere “nenti ammiscatu cu nuddu” (un niente in mezzo al nulla). Ad esempio: non avevamo nessuno che ci spiegasse come compilare un libretto di pratica, nessuno che ci dicesse come ottenere l’abilitazione al patrocinio, nessuno che ci suggerisse

cosa studiare per prepararci al meglio all’esame di abilitazione. Dinnanzi a noi si aprivano quindi due alternative: accettare passivamente lo status quo o provare a modificarlo. La scelta fu quasi immediata e il primo passo fu quello di trovare un nome che riuscisse ad identificare quello che sentivamo dentro, quello che avremmo voluto rappresentare. Il dibattito fu ampio: scegliere un acronimo? Un “latinismo”? Qualcosa di moderno? Cosa avrebbe potuto rappresentare al meglio il nostro gruppo di visionari? “Associazione dei Giuristi Siciliani – AGIUS” venne fuori quasi per caso e piacque immediatamente a tutti. Da un lato, infatti, con la parola “giuristi” desideravamo dialogare con chi, come noi, ancora avvocato non poteva definirsi e, dall’altro, la parola “siciliani” rappresentava un senso d’appartenenza al quale non volevamo e potevamo rinunciare. L’acronimo “AGIUS” poi dava il senso di un’associazione dinamica, in divenire, che “agiva” e “aggiustava” una realtà professionale che non ci piaceva e respingeva i giovani come noi. Non è stato facile all’inizio farsi accettare dalla comunità forense palermitana. In un panorama politico stratificato, fermo e pieno di equilibri, AGIUS rappresentava, infatti, una novità che insospettiva alcuni, ma che per fortuna incuriosiva i molti. Abbiamo iniziato, sin da subito, a camminare sulle nostre gambe: il primo evento formativo, l’apertura dello sportello “trova studio”, la partecipazione al Congresso nazionale forense di Milano. Tutte tappe essenziali che ci hanno entusiasmato e reso consapevoli del ruolo che avremmo potuto e dovuto incarnare. Con il passare del tempo sempre più colleghi si sono uniti a noi, attratti dal nostro entusiasmo e dalla capacità di essere affidabili anche se non omologati al “sistema”. Dal rappresentare solo noi stessi, siamo passati al rappresentare sempre più colleghi. Lo abbiamo fatto, e continuiamo a farlo, con spirito di servizio e voglia di cambiare

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AGIUS, essere avvocati a Palermo

le cose. In tale ottica sono da annoverare i tanti servizi che offriamo quotidianamente ai quasi 6000 colleghi del distretto palermitano. Servizi destinati ad associati e non, avendo ben chiaro che AGIUS non è, né sarà mai, un club “riservato ai soli iscritti”. Oggi tutto questo trova una dimensione ancora più ampia, grazie alla partecipazione ad A.N.F. L’essere diventati una “ATA” territoriale della galassia ANF ci permette infatti di confrontarci con problematiche di respiro nazionale, di avere uno sguardo d’insieme su tutta l’Avvocatura, di riportare a Palermo quanto acquisito altrove. Sì, “riportare” perché la Sicilia è il centro del mediterraneo ma periferia d’Italia. Essere Avvocati a Palermo infatti sembra quasi il titolo di un film o di un libro. La mente vola immediata-

mente all’immigrazione giovanile, ai colleghi che provano qualsiasi concorso pur di andare via, a quello che poco più di 25 anni fa ha dilaniato la nostra città. AGIUS è composta da persone che, nel 1992, erano abbastanza grandi da capire cosa stava succedendo e che sono cresciute nel mito di una giustizia che improvvisamente aveva dei volti, sfigurati dalle stragi di mafia, e di figure che hanno segnato, oltre Palermo e la Sicilia, l’Italia intera. La visione delle cose, per noi, è impregnata per cultura dal mito degli uomini che hanno lottato per l’affermazione della giustizia e del diritto sulla criminalità. Sembrerà un’affermazione pleonastica, di circostanza, poco aderente con lo spirito della nostra Associazione. Sembra, ma non è così. Sembra perché se non si è siciliani si fa fatica a capire. Qui tutto ha due

Un calcetto contro la mafia Sono molte le attività che caratterizzano la vita dell’ATA di Palermo. Una, in particolare, ne rappresenta lo spirito e ne identifica il DNA e non è un’iniziativa tipicamente forense, anzi tutt’altro, perché si tratta, infatti, di un torneo di calcetto. Si tiene ogni anno lo stesso giorno, il 23 maggio, ed ha un titolo particolare “Un calcio alla mafia”. L’idea di organizzare un’iniziativa per ricordare la strage di Capaci, che non fosse una mera passe-

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rella celebrativa, venne circa sei anni fa, proprio all’inizio della storia dell’associazione. Volevamo coinvolgere gli avvocati intorno ad un momento di riflessione che avesse, al contempo, un aspetto non ingessato e riuscisse ad appassionare la cittadinanza. Su questi presupposti, è nata l’idea di organizzare un torneo di calcetto che, simbolicamente, potesse contrapporre all’orrore della morte la gioia dello sport e che riuscisse a spaz-


spieghiamo ai ragazzi “come diventare avvocato” e quali prospettive lavorative li attendono. Teniamo corsi di scrittura giuridica perché, al di là delle nozioni, è la pratica che ti farà diventare un bravo legale. Portiamo i ragazzi ad assistere alle udienze civili, penali, amministrative e tributarie perché mai nessun asettico “orientamento” ti farà respirare l’atmosfera di un Tribunale. Coltiviamo, infine, il sogno di creare un corso di preparazione all’abilitazione professionale tutto nostro, magari gratuito, che consenta a tutti di mettersi in gioco, di inseguire il sogno della toga E tutto questo lo realizziamo autofinanziandoci attraverso un contributo simbolico, 30 euro, che solo gli associati già abilitati annualmente corrispondono. La ricchezza della nostra Associazione, infatti, non è un florido fondo cassa, ma la bellezza delle idee, la forza del gruppo, l’entusia-

zar via – attraverso un “calcio” – quello che ha rappresentato la mafia per la nostra terra.

anche attraverso delle semplici partite di calcetto, è uno strumento che ancora oggi risulta vincente. La nostra ambizione, per il prossimo futuro, è quella di coinvolgere nell’iniziativa anche le sedi ATA di tutta Italia. Sarebbe un buon modo per condividere la nostra storia, quella della nostra terra e dare un motivo d’appartenenza in più alla comunità di ANF. Che altro dire? Allacciatevi le scarpette!

Animate da queste motivazioni, da cinque anni a questa parte tutte le associazioni forensi palermitane aderiscono alla nostra iniziativa sfidandosi, con delle proprie formazioni, in un quadrangolare. Il pubblico che assiste alle amichevoli è sempre più numeroso e l’obiettivo di veicolare un messaggio di pace e di speranza,

AGIUS, essere avvocati a Palermo

sensi, anche il modo in cui decidi di metterti a servizio degli altri. Ad essere etichettati ci vuole un attimo, così come a farsi strumentalizzare dalla politica e da chi vuole essere più furbo di te. Qui pensare al futuro è complicato, specie se sei un avvocato. L’unica cosa certa, per noi, non è il futuro, ma quello che vogliamo diventi il nostro modo di essere avvocati a Palermo: noi di AGIUS vogliamo continuare a essere avvocati senza essere costretti ad andarcene, a cercare compromessi, a rovistare nel torbido per un incarico, un cliente, una consulenza. E per cambiare le cose, per pensare ad un futuro diverso è necessario partire dai più giovani. Proprio per questo collaboriamo da anni con le associazioni studentesche e l’ateneo palermitano. Attraverso iniziative come il “career day”,

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AGIUS, essere avvocati a Palermo

smo dei nostri sogni. Il nostro Congresso Nazionale darà a ciascuno di Voi l’occasione per comprendere la nostra realtà e, speriamo, apprezzarla. Palermo, come tutto il sud, deve essere vissuta e non scrutata attraverso gli occhi del turista. Vi basterà passeggiare per le nostre bellissime strade, ricche di cultura e di storia, parlare con la gente, godere delle nostre specialità, insomma vivere, seppur per poco tempo la nostra Terra per capire quanto particolare, e a suo modo unica sia. È il momento della scoperta. Siamo impazienti di ospitarVi per poterVi mostrare il bello della nostra Associazione, dei nostri colleghi, della nostra Città. Finalmente, Vi porteremo a Palermo.


2018

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CURRICULUM

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A ASSIT RE EDITO

Giuseppe AMICARELLI Avvocato in Pescara, cassazionista dal 1997, si occupa prevalentemente della tutela di pubbliche amministrazioni, funzionari ed imprenditori. Membro attivo della sede pescarese dell’Associazione Nazionale Forense, è Consigliere Nazionale dell’ANF. Palma BALSAMO Avvocato giuslavorista, patrocinante dinanzi alle magistrature superiori, iscritta al Foro di Catania, presidente di Confprofessioni Sicilia. Già direttore della Rassegna degli Avvocati italiani. Marina CAFFERATA Avvocato civilista del Foro di Parma, si interessa prevalentemente di diritto commerciale e societario. Master in europrogettazione. Attualmente è dirigente responsabile della sede ANF di Parma e Consigliere Nazionale dell’Associazione Nazionale Forense. Donata Giorgia CAPPELLUTO Avvocato del Foro di Parma. Docente a contratto presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l’Università degli Studi di Parma da 2001 in diritto processuale penale. Docente di procedura penale alla Scuola di Polizia Penitenziara di Parma dal 1999. Viceprocuratore onorario presso la Procura di Modena dal 2012 al 2016. Componente del Direttivo Nazionale ANF dal 2015. Maria Flora DI GIOVANNI Laureata in giurisprudenza, con master in Criminologia e Politica Criminale, già componente del Consiglio Giudiziario presso la Corte d’Appello dell’Aquila, formatore della Scuola Superiore della Magistratura, collaboratore tecnico della V Commissione Trasporti presso la Camera dei Deputati. Giudice di Pace a Chieti dal 2002, è attualmente Presidente Nazionale dell'Unione Nazionale Giudici di Pace.

Paola FIORILLO Avvocato cassazionista del Foro di Salerno, svolge la professione prevalentemente in ambito societario e delle successioni. Già dirigente della sede ANF di Salerno, è Consigliere nazionale dell’ANF nonché attuale componente del Direttivo Nazionale. Dal 2016 è componente della Giunta nazionale di Confprofessioni. Carmela Milena LIUZZI Avvocato civilista in Taranto, opera nel settore fallimentare e delle espropriazioni. Dal 1997 dirigente dell'associazione forense “Lucio Tomassini” ANF Taranto, di cui è stata Segretario nel biennio 2008-2010. Componente del direttivo nazionale ANF dal 2006 al 2012. Componente del Comitato di redazione della Rassegna degli Avvocati Italiani. Andrea NOCCESI Iscritto nell’albo degli avvocati di Firenze dal 1994, cassazionista dal 2007. Civilista, già docente in diritto civile alla Scuola Forense del Sindacato degli Avvocati di Firenze e Toscana, è stato Segretario della sede ANF di Firenze. Componente del Direttivo nazionale ANF fino al 2015, è attualmente Consigliere nazionale. Luigi PANSINI Avvocato in Bari, con attività prioritaria nel campo del diritto fallimentare. Collabora con scuole di formazione e riviste per problematiche inerenti le procedure concorsuali. Dal 2015 è Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense, dopo essere stato componente del Direttivo. Ester PERIFANO Avvocato civilista del Foro di Benevento, componente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura dal 1995 al 1999, ha fatto parte del Direttivo Nazionale di ANF dal 1999 al 2000 e poi dal 2006 al 2009, per diventarne Segretario Generale di ANF nel 2009, con conferma nel 2012 al Congresso di Alghero. Dal 2015 è Consigliere Nazionale ANF.

Cesare PIAZZA Iscritto nell’albo degli avvocati di Firenze, cassazionista, è stato consigliere dell’Ordine di Firenze e delegato alla Cassa di Previdenza Forense. Già Segretario Generale della Federavvocati, è stato Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura dal 1999 al 2000, vice-presidente dell’ANF dal 2006 al 2009 ed è attualmente Consigliere Nazionale ANF. Maurizio REALE Avvocato del Foro di Teramo, componente della Commissione per l’informatica e il processo telematico del CNF presso il Ministero della Giustizia per il triennio 2010-2013, attuale componente del Gruppo di Lavoro della F.I.I.F. – Fondazione Italiana per l’Innovazione Forense” del CNF. Docente a contratto in “Sicurezza informatica” all’ Università degli Studi di Teramo Bruno SAZZINI Avvocato civilista in Bologna, iscritto all’albo delle magistrature superiori, ha svolto il proprio cursus honorum in ANF prima nel Direttivo locale e poi in quello Nazionale. Ha ricoperto la carica di Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense nel periodo 2008-2009, attualmente Consigliere Nazionale ANF. Andrea ZANELLO Avvocato in Roma dal 1982, civilista, mediatore presso ADR Center dal 2010. Già membro della Commissione Media Conciliazione D. Lgs. 28/ 2010, partecipa al Progetto Lavoro del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Segretario dell’ATA - ANF Roma. Attualmente componente del Direttivo Nazionale di ANF.

numero chiuso il 13 maggio 2018 ●

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Rovereto

Bergamo Monza Busto Arsizio

Verona Padova Rovigo Vicenza

Treviso Venezia

Torino Novara

Parma

Bologna

Genova San Remo Ancona

Firenze

Ascoli Piceno Teramo Pescara Vasto Roma Velletri Cassino Frosinone Latina

Campobasso

Foggia Trani

Bari

Napoli

Sassari

Napoli Nord Torre Annunziata Nocera Inferiore Salerno Benevento

Oristano

Matera Potenza

Lecce Taranto

Castrovillari Cagliari Crotone Catanzaro Lamezia Terme Trapani

Palermo

Messina Reggio Calabria

Catania

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G I O V E D Ì 24 MAGGIO ORE 15:30-19:00

S A B A T O 26 MAGGIO ORE 09:30-11:00

APERTURA DEI LAVORI

TAVOLA ROTONDA

Saluti istituzionali

La professione legal tech: le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale in ambito forense

Avv. Francesco Leone - Presidente AGIUS ANF Palermo Prof. Leoluca Orlando - Sindaco di Palermo Avv. Francesco Greco - Presidente COA Palermo Dibattito e interventi dei congressisti

Relazioni congressuali Avv. Marcello Pacifico - Presidente ANF Avv. Luigi Pansini - Segretario Generale ANF

Dott. Claudio Calveri - Manager Digital Strategy DeRev Avv. Francesco Mazzella - Consigliere Nazionale ANF Avv. Valter Militi - Vice Presidente Cassa Forense Dott. Gualberto Pacchiarotti Dott. Gaetano Stella - Presidente Confprofessioni Dibattito e interventi dei congressisti

V E N E R D Ì 25 MAGGIO

ORE 11:00-19:00 TAVOLA ROTONDA

ORE 09:30-13:00 TAVOLA ROTONDA

L’associazione che cambia e le specializzazioni: ipotesi di modifiche statutarie

La rivisitazione del concetto di giurisdizione e la creazione di nuovi principi fondamentali nel processo civile e nel processo penale

Avv. Marcello Pacifico - Presidente ANF Avv. Giovanni Delucca - Consiglio Direttivo ANF Avv. Andrea Zanello - Consiglio Direttivo ANF

Prof. Antonio Carratta - Ordinario di Diritto Processuale Civile, Università Roma Tre Dott.ssa Daniela Galazzi - Presidente della Sezione Civile del Tribunale di Trapani, componente Comitato Esecutivo Magistratura Democratica Prof. Avv. Giuliano Scarselli - Ordinario di Diritto Processuale Civile, Università di Siena Avv. Andrea Pasqualin - Avvocato in Venezia, componente del Consiglio Nazionale Forense Avv. Donata Giorgia Cappelluto - Avvocato in Parma, Consiglio Direttivo ANF Prof. Avv. Fabio Salvatore Cassibba - Associato di Diritto Processuale Penale, Università di Parma Dott. Riccardo De Vito - Giudice del Tribunale di Sorveglianza di Sassari, Presidente Magistratura Democratica

Dalle 13:00 alle 15:00 sospensione lavori

Modera: Avv. Andrea Noccesi - Consigliere Nazionale ANF Dibattito e interventi dei congressisti

ORE 15:00-19:00 TAVOLA ROTONDA

Le aggregazioni professionali e le società di capitali tra avvocati: criticità e prospettive L’Avvocato in regime di mono-committenza: dipendente di avvocato o di società Avv. Riccardo Bovino - Avvocato in Milano, Responsabile Team Corporate La Scala Società tra Avvocati per Azioni Avv. Ilaria Biagiotti - Avvocato in Firenze, Consiglio Direttivo ANF Avv. Angela La Rosa - Avvocato in Roma, Studio Salvini Escalar & Associati Avv. Vittorio Minervini - Avvocato in Brescia, componente del Comitato dei Delegati di Cassa Forense Avv. Aurora Notarianni - Avvocato in Messina, Vice Presidente AGI Avvocati Giuslavoristi Italiani Prof. Avv. Carmelo Romeo - Ordinario di Diritto del Lavoro, Università di Catania Avv. Antonio Rosa - Coordinatore OCF Organismo Congressuale Forense Modera: Giovanni Bertino - Consiglio Direttivo ANF Dibattito e interventi dei congressisti

Dibattito e interventi dei congressisti

DOMENICA 27 MAGGIO ORE 09:30-13:00 GIORNATA CONCLUSIVA

Votazione dei documenti politici, organizzativi e statutari Elezione dei Consiglieri Nazionali Elezione dei componenti il Collegio dei Probiviri Conclusione del Congresso

Segreteria organizzativa Unlocked srl Via Nino Savarese, 55 90147 Palermo +39 327 560 9558 www.unlockedparty.it Sede ospitante AGIUS Associazione Giuristi Siciliani ANF Via Isidoro La Lumia, 19/C 90139 Palermo www.agius.eu Contatti segreteria@congressoanf2018.com +39 327 560 9558 +39 333 832 7465 www.congressoanf2018.com

ANF Associazione Nazionale Forense Via Paolo Emilio, 7 00192 Roma info@associazionenazionaleforense.it www.associazionenazionaleforense.it


dal

1982

Convenzione Assicurativa Esclusiva

Polizza conforme

D.M. 22/09/2016 - G.U. n. 238 - 11/10/2016 sia nelle Condizioni Contrattuali che nei Massimali

Convenzioni

R.C. Professionale  Copertura All Risks - tutto compreso

Se zi o n i L o c a l i ANF ANF ANF ANF ANF ANF ANF

Responsabilità Civile Professionale per Avvocati/Studi Associati/Società tra Professionisti a copertura della Responsabilità Civile derivante dall’esercizio della professione  compresi tutti gli Incarichi Giudiziali e le Funzioni Pubbliche - già conteggiati nel premio base

B a ri Fi r e n ze L a m e zi a T e r m e Ab r u zo M o lis e S a le r n o Na p o l i V e ro n a

 L’Assicurazione copre i Danni Patrimoniali - NON Patrimoniali - Indiretti - Permanenti – Temporanei e Futuri sia per Colpa Lieve che per Colpa Grave

N.B.

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Retroattività Illimitata Postuma 10 anni

già comprese nel premio

contatto diretto con gli uffici di Assita

www.assita.com

avvocati@assita.com


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