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Leggenda Roubaix, dove la bici è fatica. La prima volta nel giorno di Pasqua del 1896.

Solo i campionissimi hanno domato il pavé

La chiamano Voyage dans l’enfer du Nord, una discesa dantesca nelle viscere del ciclismo. È la Parigi-Roubaix, storia, leggenda e mito dei pedali. Ma piu#osto che “dentro”, ricordando Céline, conviene guardare alla Roubaix come limite “in fondo” al ciclismo, confine sempre valicabile a condizione di bu#arci fiato e coraggio. 280 chilometri - o giù di lì, seconda le annate - dalla Ville Lumière al profondo e aspro se#entrione di Francia. A#raversa2 da vento, pioggia e fango. Al bello da una polvere fine come il carbone, che ingolfa i polmoni e impasta la bocca, il manubrio che ba#e su fino ai den2, rimandando a percussione il ritmo brusco del terreno. È il pavé. Cubi di porfido accidenta2 dai secoli, da quando Napoleone decise di disegnarci il sistema viario dell’Impero. Lastroni diventa2 una specie di patrimonio ar2s2co nazionale, cer2fica2 e prote5 dall’associazione “Amici della Roubaix”. E allora ecco la Foresta di Arenberg, poi il tra#o di Orchies, Mons-en-Pélève, Cysoing, Carrefour de l’Arbre e Gruson: vio#oli e gruppi di case tra cui sfilare il più possibile leggeri e allo stesso tempo poten2, cercando magari il bordo strada più dolce. Nomi, cartelli diventa2 luoghi epici, che segnano il percorso come stazioni di un culto popolare. Perché la Roubaix è anche corsa della gente, festa un po’ pagana degli aman2 del ciclismo. Si corre in periodo pasquale, di domenica. Capita pure che la Resurrezione si sovrapponga al giorno consacrato al pedale. E allora le Chiese rimangono vuote, in questa marca avara e cris2anissima. La leggenda della Roubaix inizia davan2 al bistrot Gillet, vicino a porta Maillot, Parigi. È l’alba del 19 aprile 1896, Pasqua. Sono in 57 a presentarsi all’invito di due imprenditori tessili pa22 di bici, Théodore Vienne e Maurice Pérez. 48 sono professionis2, gli altri amatori e un po’ guasconi, forse incoscien2. Si va verso nord-est, a Roubaix. Un’impresa. Che però deve essere solo preparazione per l’altro appuntamento, l’evento: la BordeauxParigi, che di chilometri ne fa 570. Follia rimasta ingoiata nella nebbia della memoria spor2va. Comunque, quel giorno, a vincere fu un tedesco, Joseph Fischer: 9 ore e 17 minu2 in sella. Al traguardo avrà pensato di essere pronto per Bordeaux. Invece era appena entrato nella storia del ciclismo dal suo arco di trionfo.

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L’anno dopo il primo successo francese. La firma è quella di Maurice Garin, che si ripete anche nel ‘98. A dispe#o della stazza piccola e tracagno#a, niente elegante, è lui “le roi des bicycliste” di quel tempo. Pedalata selvaggia, forte, che gli vale anche un altro allori da leggenda: quelli della prima edizione del Tour, 1903. Dominio transalpino per un decennio buono, qualche belga. E ancora tanta Francia. Qua#ro volte consecu2ve Octave Lapize (’09’10-’11-’12). Poi la Grande Guerra, e la Roubaix si ferma. Nel ’37 il primo successo italiano. È di Jules Rossi, un emigrato che prima di optare per la nazionalità francese ebbe il modo di vincere da “azzurro” anche la Parigi-Tours. Poi ancora cannoni, la Francia occupata. Ma si riprende.

E l’albo d’oro snocciola il gotha. Coppi nel ’50, il Campionissimo vince da solo. Poi Bobet, Van Looy, Gimondi, Merckx. Le 4 volte del belga Roger De Vlaeminck, record che gli vale il 2tolo di “Monsieur Roubaix”. Tra il ’78 e l’80 le tre cavalcate di Moser, il successo di Bernard Hinault nell’81. Il bretone odiava questa corsa. “Bisogna abolirla” diceva. S’incaponì fino a vincerla. Ancora Italia con Franco Ballerini, a segno nel ’95 e nel ’98 e ci#adino onorario di Roubaix. Fino a Tafi e Colbrelli tra gli italiani. Saranno chilometri di fa2ca, con in testa la leggenda, il sogno e l’incubo del trofeo. Un cubo rugoso di pavé.

Franco Ballerini

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