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CAPITOLO I

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INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

Mi chiamo Alessia, ho 51 anni, sono sposata da 24 anni con un marito fantastico, Massimo, anche lui mio coetaneo. Ci siamo sposati dopo un anno di fidanzamento perché tutti e due volevamo creare una famiglia. Dopo 3 mesi dal nostro matrimonio, parlando con mio marito, gli chiesi se fosse felice di provare ad avere un figlio, lui sorrise e mi disse “Certo amore mio è quello che vogliamo, ti ricordi eravamo ancora fidanzati e già ne parlavamo”. Eravamo al settimo cielo, per alcuni era troppo presto ma per noi no, era il momento perfetto. Nel frattempo io e Massimo eravamo impegnati a finire la casa dove saremmo andati a vivere, visto che per il momento eravamo accomodati in una deliziosa mansarda di proprietà miei suoceri. I giorni passavano e ogni mese diventava sempre più una sofferenza: il mio ciclo non è mai stato regolare, quindi ad ogni minimo ritardo pensavamo sempre che fosse la volta buona, ma niente, era il solito falso allarme.

Passarono due anni e le mie amiche che si erano sposate nel mio stesso periodo erano già in attesa del loro primo figlio. Intendiamoci, io ero molto contenta per loro, parlavamo se fosse stato un maschietto o una femminuccia, del corredino e di come li avrebbero chiamati e loro mi chiedevano quando avrei fatto un figlio anch’io. Pensavo al tempo che passava e mi chiedevo il perché non rimanessi incinta. Una sera parlando con Massimo gli feci una proposta: “Senti una cosa amore, facciamo il test per vedere se tutto è a posto? Lo faccio io e poi lo fai anche tu”. Accettò l’idea e la settimana dopo presi appuntamento per una visita ginecologica. Qualche giorno dopo andai a fare la visita ginecologica, e la dottoressa, mi visitò accuratamente e dopo aver finito mi disse molto carinamente “Alessia, non hai nulla, sei perfetta e non c’è nessun problema, stai tranquilla che prima o poi riuscirai ad avere un figlio”. Uscì dallo studio contenta, pensando che da lì a poco quello che aveva detto la dottoressa si sarebbe avverato. La settimana successiva mio marito aveva l’appuntamento per il classico esame del seme, lo accompagnai ovviamente, non lo avrei mai mandato da solo, conoscendolo, non ama l’odore degli ospedali, e si agita un pò. Entrando in ospedale la struttura era molto datata e la pulizia lasciava a desiderare le infermiere mi sembravano fredde, come se non avessero un’anima. Arrivati allo sportello per pagare il ticket, la signorina con modi sbrigativi diede un contenitore a mio marito e disse “Vada al primo bagno libero,

riempia il contenitore e poi lo dia all’infermiera del reparto… vuole qualche giornalino?” Ci guardammo un po' stupiti e Massimo le rispose: “No, grazie”. Ci incamminammo verso il bagno, aprimmo la porta ma ci accorgemmo che non c’era la chiave per chiudere, quindi dovetti stare fuori appoggiata alla porta ed a ogni persona che passava gli dicevo che era occupato. Un’esperienza a dir poco assurda, non vedevamo l’ora di uscire da quell’ospedale. La settimana passò velocemente e ci ritrovammo di nuovo in quell’ospedale a prendere le risposte. Non avevamo il coraggio di aprire la busta, ma dopo un momento di esitazione, presi la busta e l’aprì, cominciai a leggere e andai a vedere subito i risultati, rimanendo basita. Massimo mi chiese subito “Cosa dice?”, io a malincuore gli risposi “Amore qui c'è scritto azoospermia, cioè che ci sono pochi e deboli spermatozoi”. Prese il foglio e se lo rilesse attentamente, vidi il suo viso incupirsi. Mentre tornavamo verso la macchina lo abbracciai forte e gli dissi “Magari hanno sbagliato il risultato, hai visto come fanno le analisi, sono a dir poco catastrofiche e poco igieniche, aspettiamo e le ripetiamo, che dici?”. Ma la giornata non era finita lì. Tornati a casa ne parlammo con mia suocera, vedevo Massimo un po' giù, così quella sera decisi di fargli una sorpresa e prenotare il nostro ristorante preferito a Grottaferrata. Infatti feci la cosa giusta, la serata andò bene, Massimo si era rilassato e rividi il suo bel sorriso.

Passò un mese circa e ci trovammo di nuovo in un altro ospedale, in migliori condizioni. Fecero accomodare Massimo in una stanza con delle riviste e io aspettai fuori. Quando lo vidi uscire gli dissi “È andata meglio della volta scorsa?” e lui, ricomponendosi, rispose “Sì così è molto meglio”. Uscimmo da lì un po' più tranquilli, e con la speranza che questa volta era la volta buona. Passò un’altra settimana con un po' di ansia perché venivamo già da una prima delusione. Questa volta la busta con le risposte non l’ aprimmo subito, tornammo a casa, volevamo leggere le risposte lontano da tutti, senza nessuno, solo io e lui. L’aprì Massimo, lo lasciai fare, era giusto che fosse il primo a leggere. Lo vidi intento a leggere e ad un tratto mi guardò, il suo viso è un libro aperto per me, e capì subito che non erano buone notizie. Mi disse: “Amore i risultati sono uguali a quelli dell'altra volta: in poche parole ho pochissimi spermatozoi in circolazione e pure pigri… Andiamo bene!”. Accennai un sorriso per la battuta ma dentro di me ero triste e dispiaciuta per lui, lo abbracciai forte forte e gli sussurrai: “Non ti preoccupare, troveremo una soluzione, ti prometto che avremo un figlio”. La notizia si diffuse ai nostri familiari e la sera stessa ci fu una riunione a casa dei miei suoceri per parlare di quanto ci stava accadendo. Immaginate la scena di mia suocera seduta con davanti le risposte dell'esame che continuava a dire: “Forse hanno sbagliato, non è possibile… Si sono sbagliati di grosso”.

Mentre parlava scuoteva la testa per rafforzare tutti quei no che le uscivano dalla bocca… Avevamo capito che lei non lo poteva accettare. Per qualche settimana non parlammo più della questione, fino a quando un giorno mia suocera ebbe un’ “idea”. Venne su da noi una sera dopo cena, si sedette sul divano e cominciò a parlare: “Sono venuta a prendermi un caffè e poi vi volevo dire una cosa… Perché non andate da quel dottore che si trova qui vicino, è endocrinologo e ginecologo, dicono tutti che è bravissimo… Che ne pensate?”. Io e mio marito ci guardammo senza parlare, poi Massimo si avvicinò a mia suocera e con fare molto tranquillo le disse “Ma spiegami una cosa, perché devo andare a farmi visitare quando i risultati sono chiari?”. Si guardarono per alcuni secondi, vedevo gli occhi di mia suocera un po lucidi come se lei chiedesse al figlio di provare a fare un tentativo per lei, solo per lei. Massimo mi guardò, poi guardò la madre e le disse ancora “Ok, proviamo anche questo, ma sappi che se devo fare analisi strane e operazioni, non faccio niente, intesi?”. Mi avvicinai a lui, gli misi una mano sulla spalla dicendogli “Stai tranquillo, proviamo anche questa e se non va bene si trova un'altra soluzione”. Mi rivolsi poi a mia suocera, mi guardò e mi accennò un sorriso e se ne andò, ma prima di uscire si voltò di scatto e disse “Allora prendo l’appuntamento dal medico, ci penso io”. Uscita mia suocera, Massimo si sedette e si accese una siga-

retta e mi disse “Siediti un attimo”. Mi sedetti, mi accesi una sigaretta e dissi “Dimmi, che dubbi hai?” “Il dubbio è che non sai cosa ti fanno, io non voglio che magari aggiustano da una parte e rompono da un'altra”. Mi alzai dalla sedia e mentre andavo in cucina gli risposi: “È solo una visita, se ti propone delle cose che a te non piacciono non sei obbligato a farle”. Massimo, ha paura di affrontare qualsiasi operazione, perché all’età di tredici anni ebbe un operazione al cuore, e da allora ha la fobia degli ospedali e degli interventi in generale. Capivo il suo stato d’animo, e cercavo in tutti i modi di non fargli pesare la situazione. Passato qualche giorno ci ritrovammo nella sala di attesa del famoso medico, mentre aspettavamo di entrare io leggevo tutti i piccoli manifesti che parlavano di inseminazione artificiale, fecondazione assistita e tanti altri modi per avere un figlio. Massimo leggeva una rivista normale, come al solito. Ad un tratto si spalancò la porta e davanti a noi apparve un omone grande, un po' sudaticcio, avrà avuto tra i sessanta e i sessantacinque anni, un camice bianco e con una voce un po' roca e affannata, da brivido, Iniziò dicendo “Buonasera, il signor Massimo suppongo?”, rivolgendosi a mio marito alquanto sorpreso, “Prego, accomodatevi” e ci fece strada verso il suo studio. Ci sedemmo, Massimo gli mostrò gli esami che aveva fatto, l’omone le guardò attentamente in un silenzio tombale e ad un tratto si alzò e disse a Massimo: “Si tolga i pantaloni e si metta dietro a quel paravento” vidi il viso di mio marito

sbiancare, come se volesse che lo aiutassi. Io rimasi seduta, mentre Massimo veniva visitato. Dopo qualche minuto uscirono tutti e due il dottore per primo e Massimo con il viso un pò sconvolto. Lo guardai e chiesi: “Amore tutto bene?” “Dopo ti racconto”. Il dottore cominciò a parlare: “Allora ragazzi miei, qui bisogna intervenire al più presto”. “In che senso dobbiamo sbrigarci, non capisco” risposi io alquanto irritata. Continuò a parlare tranquillamente: “Siccome i pochi spermatozoi che ci sono sono deboli si fa una biopsia, dopo di che si estrae uno spermatozoo e si fa subito un’inseminazione artificiale, ovviamente sua moglie dovrà fornire degli ovuli. Questo intervento lo dobbiamo fare privatamente, il costo dell’ operazione e di circa quindici milioni di lire con una riuscita pari al trenta per cento”. Massimo lo fermò subito: “Senta io ho il problema, non mia moglie, se va male qualcosa?”. Il dottore ci guardò e con aria di un “so tutto io” e ci rispose “Guardate che di casi come i vostri ne ho trattati molti e tutti con successo, ma dovete decidere voi”. Presi la mano di Massimo e gli dissi: “Amore se vuoi io sono disposta a tutto, ma devi essere convinto tu per primo”. Il dottore ci guardava, mi faceva un po' paura con quel faccione sudaticcio, quegli occhi a palla… Mi è sembrato molto viscido come persona, non mi dava molta fiducia. Tutto ad un tratto Massimo sì alzò e rivolgendosi al dottore: “Sinceramente non me la sento di affrontare

una biopsia e poi coinvolgere mia moglie a un pesante stress... Per il momento la ringrazio”. Il dottore ci guardò con sufficienza e mentre ci ridava le cartelle cliniche, disse poche e fredde parole: “Io vi ho esposto tutto quello che potete fare se veramente volete un figlio, leggete questo opuscolo, così vi potete fare un’idea. Buona fortuna, arrivederci”. e si congedò con una stretta di mano molto sudata e moscia. Usciti dallo studio nessuno dei due voleva cominciare un discorso. Presi l’iniziativa e, siccome ci pensavo da un po' di tempo, ma a lui non avevo detto nulla perché aspettavo l’esito di questa visita conclusa negativamente, dissi: “Ma se invece di andare in giro da dottori che ti spillano solo soldi e ti danno solo false speranze, perché non ci informiamo per fare la domanda per l'adozione? Ci sono tanti bambini che hanno bisogno dell’amore di un papà e una mamma. Ci vogliamo provare?”. Lo guardai, mi abbracciò e con una voce tranquilla mi disse. “Lo sai che ci stavo pensando qualche giorno fà, mi sono dimenticato di dirtelo, mentre ero in fila al semaforo ha attraversato una coppia con tre bambini di colore uno era su un passeggino, erano adottati sicuramente, mi ha fatto un bell’effetto. Se ci fossi stata tu te li saresti portati subito a casa. Comunque, tornando a noi, se vogliamo avere una famiglia proviamo a fare la domanda di adozione, dopo la visita che mi ha fatto, non mi farò più toccare da nessuno!” “Perché cosa ti ha fatto?” “È meglio che non te lo dica, diciamo che non è stato delicato.”

Tornammo a casa contenti della decisione che avevamo preso… Ma prima dovevamo passare da mia suocera, per darle tutti i dettagli per spiegarle quello che ci aveva detto il dottore e quello che avevamo deciso noi. Era un’impresa molto ardua, ma con Massimo vicino magari sarebbe stata più tranquilla. Arrivammo a casa e lei era pronta davanti alla porta di casa. “Allora, che ha detto il dottore? Entrate e ditemi cosa dovete fare!”. Massimo cominciò a raccontare e ogni tanto mia suocera scuoteva la testa e lo interrompeva con frasi del tipo “Se non provi come fai a sapere che non andrà a buon fine”. Era un tira e molla tra loro due, io non parlavo e anche mio suocero non si azzardava ad intromettersi, fino a quando Massimo disse una frase che se fosse stata un arma avrebbe ucciso mia suocera: “Io e Alessia abbiamo deciso di fare la domanda di adozione”. Per un attimo stette zitta e presi la parola io dicendole chiaro e tondo: “Sulle analisi c'è scritto che c'è una percentuale zero o quasi che Massimo possa avere un figlio e Massimo non vuole sottoporsi a nessun tipo di operazione”. La vidi incupirsi e riuscì a dirci solo un'altra breve frase che a noi fece un po' male: “Fate come vi pare”. Massimo cambiò espressione, io rimasi basita, mio suocero non fiatò. La serata finì male, ma l’idea dell'adozione non l’avremmo mai abbandonata tanto che dissi a Massimo che il giorno dopo avrei cominciato a darmi da fare.

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