CENTRO STUDI SULL’IMPRESA DI FAMIGLIA “DI PADRE IN FIGLIO”
Ricerca sulle imprese di famiglia della provincia di Frosinone
“GENITORI E FIGLI IN AZIENDA: COMPETIZIONI, SFIDE, CONFLITTI E SINERGIE”
Sintesi dei risultati
Aprile 2006
CENTRO STUDI SULL’IMPRESA DI FAMIGLIA “DI PADRE IN FIGLIO”
1.
Le finalità dell’indagine
L’indagine in oggetto, svolta dal Centro Studi sull’impresa di famiglia “Di Padre in Figlio” per conto del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale della Provincia di Frosinone si è prefissa l’obiettivo di riflettere sul complesso tema delle modalità dei processi di continuità generazionale con particolare enfasi sulla comunicazione, organizzazione e strategia in azienda e in famiglia, partendo dalle seguenti considerazioni: •
Impresa di famiglia è valore; le imprese di famiglia costituiscono la spina dorsale del sistema produttivo italiano e apportano un patrimonio di valori organizzativi, strategici e d’innovazione; patrimonio che è oggi scarsamente valorizzato.
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Fare sistema: il vero problema; i limiti delle imprese di famiglia sono l’eccessivo individualismo, la scarsa propensione all’aggregazione, all’apertura del capitale (“sindrome del 51%”) ed ai manager esterni. Fare sistema consente, invece, di trarre indubbi vantaggi in termini di economie di scala, pur conservando la flessibilità sui mercati e l’autonomia della proprietà.
•
Le fasi di crisi o di cambiamento enfatizzano i limiti delle imprese di famiglia; solo il 14% delle imprese di famiglia europee giunge alla terza generazione, il 20% negli Usa, il 13% in Asia. La transizione imprenditoriale rappresenta, dunque, un momento particolarmente critico nella vita dell’impresa, suscettibile di trasformarsi in una iniezione di nuove energie come di costituire un nefasto fattore destabilizzante.
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Ruoli, regole, informazione e comunicazione: elementi sottovalutati; spesso questi aspetti aziendali non sono vissuti dagli imprenditori come strategici, né vengono orientati alla creazione di valore dell'impresa, mentre la chiara definizione e rispetto dei ruoli, la regolamentazione dell’ingresso e del trattamento dei familiari in azienda, la comunicazione strategica, organizzata e formalizzata sono fattori imprescindibili per una governance di qualità, divenendo strumento di continuità aziendale e di competitività.
•
“Sinergia” generazionale è processo, da progettare; il passaggio tra generazioni va sfruttato come occasione per ripensare e modificare l’assetto proprietario, di governo, organizzativo e strategico dell’impresa.
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2.
La metodologia dell’indagine
La ricerca si è articolata su due livelli complementari. Un campione di aziende familiari della provincia di Frosinone è stato esaminato sotto un duplice aspetto, quantitativo e qualitativo. Una rilevazione statistica condotta sui 650 associati all’Unione Industriale della Provincia di Frosinone attraverso un questionario postale e telefonico di tipo strutturato, che richiedeva interviste autocompilate, ha consentito di misurare con precisione la vastità delle problematiche in gioco e di cogliere l’importanza relativa di ciascuna di esse. A complemento di ciò ed al fine di esaminare più in profondità i vissuti, le motivazioni e gli atteggiamenti – anche non verbali – che caratterizzano genitori e figli in azienda, si sono svolti una serie di colloqui individuali e di coppia (senior/junior) di tipo motivazionale che hanno permesso di arricchire sul piano qualitativo molte delle informazioni quantitative disponibili, ottenendo così un quadro più accurato sulle tematiche oggetto di indagine.
3.
Il profilo delle imprese intervistate
La morfologia settoriale non appare marcatamente differenziata. Trattasi in larga misura di aziende di piccole dimensioni, l’80% delle quali non arriva a superare le 50 unità in termini di addetti. Marcata è inoltre la presenza di microimprese: quasi una su tre. Tre quarti delle aziende coinvolte registrano un fatturato inferiore ai 10 milioni di Euro, operano nel settore terziario ed hanno carattere “recente” (ossia sono state fondate posteriormente agli anni Settanta), a conferma della precisa identità socio-economica del territorio frusinate. Fortissimo è il grado di controllo esercitato dalle famiglie sul capitale sociale: ben quattro aziende su cinque sono infatti di proprietà esclusiva di soggetti legati da vincoli familiari (l’85,7% delle aziende con oltre 50 addetti ed il 56% di quelle fondate dopo gli anni Settanta). Un’impresa su due è attualmente gestita da un senior (over 50) e non si avvale di alcun manager esterno alla famiglia; il 32% del campione risulta guidato da un leader appartenente alla giovane generazione (under 40), sebbene in un terzo dei casi questi sia affiancato nella conduzione aziendale da un esponente senior. Il 23% delle imprese hanno già affrontato il ricambio generazionale nella proprietà e/o negli organi di gestione; metà di esse sono attualmente gestite dalla generazione successiva a quella del fondatore; solo l’8% del campione, tuttavia, risulta aver varcato indenne la soglia del quinto passaggio generazionale, a riprova della criticità del processo di transizione per questa categoria di aziende. Nella pressoché totalità dei casi vi sono un certo numero di familiari dell’imprenditore che prestano la loro attività nell’azienda; in media si oscilla intorno alle tre unità. Il 62% dei familiari attivamente coinvolti in azienda sono anche soci della stessa. 3
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4.
La struttura proprietaria e gestionale
I timonieri delle innumerevoli aziende di famiglia che sostengono il made in Italy corrispondono realmente
al
ritratto
dell’imprenditore
influente,
accentratore
ed
autoritario
che
viene
tradizionalmente proposto, oppure sono facilmente influenzabili? Già nel 2001 i dati di una ricerca condotta dal nostro Centro Studi avevano evidenziato che solo nel 36% dei casi è l’imprenditore in prima persona a prendere le decisioni più importanti. Abbiamo dunque cercato di andare oltre, per capire chi effettivamente assiste l’imprenditore, su quali temi e con che peso. Le scelte relative all’internazionalizzazione produttiva e commerciale emergono come gli ambiti aziendali in cui l’imprenditore appare relativamente più debole e tende a lasciarsi consigliare tanto dai familiari che lo circondano, specie dalle figure genitoriali (la cui scelta si spiega in ragione dell’età media dei rispondenti inferiore ai 40 anni), quanto da eventuali manager esterni presenti in azienda. Prevedibile è il ruolo giocato dai professionisti, registi di molte imprese di famiglia, che ad essi affidano la gestione di tutte le questioni legate alla pianificazione fiscale-societaria (nel 66% dei casi) ed agli eventi straordinari (nel 45% dei casi). E’ naturale, del resto, che l’imprenditore, a fronte di circostanze eccezionali che minacciano la sopravvivenza dell’azienda o ne modificano gli uomini e la cultura, scelga di condividere il bastone del comando con altri soggetti deputati a sostenerlo affettivamente (genitori) oppure tecnicamente e professionalmente (professionisti). Su queste stesse tematiche non del tutto scontato, invece, ma in linea con quanto emerso dalla fase qualitativa della presente indagine, è il ruolo giocato dalle figure non familiari ma interne all’azienda, vissute come assimilabili al nucleo familiare in ragione del lungo rapporto di collaborazione e della condivisione di valori ed atteggiamenti comuni verso il lavoro. C’è da chiedersi se si premia la fedeltà o la professionalità. Interessante, invece, è notare come la definizione della governance aziendale (nomina del Cda, passaggio generazionale) sia e resti saldamente in mano alla cerchia familiare, che sarebbe assai poco condizionabile su questa materia. Queste le considerazioni sull’azienda, ma family business è anche famiglia e patrimonio. Trend similare nei risultati concernenti le questioni patrimoniali: l’imprenditore tende a gestire in modo pressoché esclusivo il proprio patrimonio immobiliare, ma si appoggia tanto all’esperienza maturata dai capi famiglia (padre/madre) quanto al sostegno affettivo del coniuge per le decisioni relative a polizze assicurative, titoli, liquidità e soprattutto valori mobiliari. Da notare altresì che la gestione della sfera ereditaria e del luxury è delegata all’esclusiva competenza dei senior e che i consulenti non incidono particolarmente sulle problematiche patrimoniali.
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5.
I meccanismi di relazione aziendale-familiare
Fattori spesso sottovalutati nelle aziende familiari sono la formazione e lo sviluppo della cultura aziendale. Infatti, il contesto in cui si sviluppa la cultura aziendale di un’azienda familiare è tipicamente quello della famiglia, non quello dell’azienda. La cultura dell’azienda coincide, dunque, con la cultura della famiglia e il sistema umano chiamato a recepire e gestire lo sviluppo aziendale è quello della famiglia, non già quello dell’azienda. Almeno per un certo arco temporale, non esiste nelle aziende familiari una “cultura aziendale” avulsa da quella della famiglia proprietaria. La cosa è di non poco conto e si riflette in modo significativo su tutti gli aspetti gestionali dell’azienda familiare. Se la famiglia non riesce a darsi delle regole suscettibili di creare valore in termini di benessere per la famiglia e di economicità per l’azienda, qualsiasi iniziativa finalizzata al rafforzamento delle condizioni di esistenza e al miglioramento delle manifestazioni di vita dell’impresa risulterà vana. Strettamente connesse alla questione culturale sono dunque le modalità di gestione della comunicazione in azienda e al suo esterno. L’eccessiva informalità di tale comunicazione caratterizza tuttora molte aziende familiari italiane, dal nord al sud, indistintamente, come confermano anche i dati della nostra ricerca: nel 65.6% delle aziende del frusinate interpellate i familiari comunicano tra loro prevalentemente nell’ambito di incontri informali; circa 1 imprenditore su 2 è incline a ritenere che una comunicazione più strutturata e formalizzata sarebbe di ostacolo alla rapidità del processo decisionale, fautrice di rigidità, portatrice di ulteriori oneri; il 39.7% del campione si dice concorde con l’affermazione secondo cui “non occorre fare tante riunioni, soprattutto quando si comunica tra padri e figli…ci si capisce così…a pelle…”. Non da ultimo, un buon 30% di famiglie imprenditoriali dichiara di non aver mai proceduto alla elaborazione di alcuna norma che disciplini i rapporti tra famiglia e azienda, mentre un ulteriore 30% afferma di aver stipulato degli accordi chiari e condivisi tra familiari sebbene di natura puramente verbale, con gli evidenti rischi che ciò comporta. Sembra dunque non essere assai diffusa nel campione sondato la consapevolezza delle possibili ripercussioni negative che simili prassi sono suscettibili di comportare: le debolezze sul piano della governance facenti seguito ad una comunicazione inefficiente e alla assenza di una cultura aziendale che sancisca regole, abitudini, valori e stili si riflettono negativamente, infatti, tanto sulla strategia quanto sull’organizzazione aziendale, da sempre cardini di ogni realtà imprenditoriale e determinanti fondamentali del suo valore. In linea con i più recenti sviluppi della letteratura, è proprio questa la fondamentale ipotesi che la presente ricerca si propone di testare, nella convinzione che il graduale emergere di sinergie generazionali dovute alla compresenza di genitori e figli in azienda possa fungere da occasione per ripensare l’assetto proprietario, gestionale, organizzativo e strategico dell’impresa nel senso di una maggiore attenzione alla governance di 5
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qualità, con ovvi benefici sulla competitività aziendale. Forse ripensare alla comunicazione interna prendendo spunto dal modello delle big family business consentirebbe una qualche crescita interna di valore anche per le persone.
6.
La formazione e i percorsi di carriera
A fronte di un dato nazionale secondo cui in Italia la percentuale della popolazione in possesso di un titolo di studio universitario sarebbe pari all’11.5%, non può non rimarcarsi il grado di acculturazione del campione di indagine, in cui ben il 43.4% dei soggetti risulta laureato e/o in possesso di una specializzazione post-laurea. Conseguentemente, la gran parte degli intervistati ha fatto il proprio ingresso nell’azienda di famiglia dopo i 25 anni e, nel 53% dei casi, a seguito di un’esperienza di lavoro presso terzi, in controtendenza con recenti dati nazionali. Tuttavia, il quadro che emerge dall’indagine si caratterizza per una forte leadership dei padri in azienda; leadership che per oltre 1 giovane imprenditore su 2 implica la necessità di profondere un considerevole impegno nel tentativo di individuare un giusto ed equilibrato ruolo per sé all’interno dell’impresa. La definizione di compiti, mansioni e responsabilità spettanti ai junior permane, infatti, scarsa o generica il larga parte delle aziende del frusinate: quasi sempre, il potenziale erede viene infatti inserito in azienda con un ruolo indeterminato, è spesso relegato in posizioni di secondo piano, subalterne rispetto ad altri dipendenti e svolge prevalentemente compiti amministrativi o di supporto tecnico. Analogamente, il 68% degli intervistati segnala rapporti gerarchici, sistemi retributivi e di carriera non esplicitamente individuati, una crescita delle responsabilità non definita da una chiara programmazione temporale e non accompagnata dalla predisposizione di atti formali. Alla luce di tale senso di disorientamento vanno dunque interpretate le risposte alla domanda “come si percepisce lei oggi in azienda?”, che vede il 41.5% degli intervistati optare per una figura ibrida, dai contorni indefiniti, metà manager e metà padrone (“mandrone”). Significativo, comunque, è il fatto che oltre il 50% si dica soddisfatto della propria scelta professionale e non aspiri né a cambiare attività né a cedere le proprie quote/azioni nell’azienda di famiglia.
7.
Genitori e figli in azienda: la continuità generazionale
Un’impresa frusinate su due sta attualmente sperimentando un processo di transizione al vertice, mentre un ulteriore 26.4% lo sta programmando. Nel 53% dei casi la successione riguarderà tanto la cura degli interessi della proprietà quanto la gestione operativa e la figura designata al comando sarà di emanazione del nucleo familiare in tre imprese su quattro.
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Solo il 3.8% degli imprenditori intervistati manifesta la ferma intenzione di aprire il capitale dell’impresa a nuovi soci imprenditori non familiari, confermando quanto emerso in sede qualitativa. L’ipotetico ingresso di un soggetto esterno all’azienda è visto come uno strumento suscettibile di rivelarsi utile e rassicurante solo nell’eventualità di un figlio che non si dimostri all’altezza del compito riservatogli, oppure nel caso non vi siano eredi nell’ambito della cerchia familiare o ancora – più remotamente - qualora ciò possa essere funzionale ad una crescita dell’impresa. Nondimeno, va rilevato come, allorquando il discorso si fa più possibilistico, un buon 40% degli intervistati si dica tendenzialmente in disaccordo con il perfetto mantenimento della struttura familiare dell’impresa. Resta comunque il fatto che la difficoltà psicologica e culturale cui l’imprenditore si trova in generale confrontato nel separare l’azienda da se stesso e dalla propria famiglia, nel rinunciare a porzioni di controllo, quantomeno nelle sfere gestionali, nel promuovere la crescita professionale dei suoi collaboratori, gioca un ruolo preponderante e finisce con il precludere all’impresa familiare tanto la crescita che fa leva sulla finanza, quanto quella che fa leva sull’assetto organizzativo. La prima si sostanzia, appunto, nell’apporto di capitale da parte di soci esterni, in fusioni, acquisizioni, alleanze con scambio di quote proprietarie, ecc., ed è intimamente connessa alla seconda.
Conditio sine qua non per il successo di tali operazioni finanziarie è, innanzitutto, che l’azienda abbia dapprima “fatto ordine” al suo interno. Se i compiti assegnati a ciascuno sono chiari, se la struttura di corporate governance distingue nettamente la famiglia dall’impresa, se l’intento strategico che si vuole raggiungere è ben delineato, allora l’apertura a soci esterni può effettivamente diventare condizione per un salto di qualità dell’azienda. Anche l’autonomia del patrimonio familiare da quello aziendale dovrà essere perseguita. Gli imprenditori del frusinate, tuttavia, non paiono esserne troppo convinti. Sebbene il 66% degli intervistati convengano sulla eccessiva informalità con cui vengono gestite le comunicazioni tra familiari in azienda, solo tre imprenditori su sette avallano l’idea che in assenza di una disciplina della comunicazione rigida e formale gli organi che dirigono e controllano l’azienda (Cda, assemblee e collegi sindacali) finiscano per non funzionare adeguatamente o per funzionare solo “sulla carta”, così come l’idea che una governance inefficace, a sua volta, impedisca poi sia all’esterno (banche, clienti, fornitori, dipendenti e tutti gli altri stakeholder) che all’interno (membri della
famiglia
proprietaria,
eventuali
manager)
di
percepire
la
strategia
aziendale
e,
conseguentemente, di credere nell’impresa. O ancora, l’idea che una governance poco efficace costituisca un fattore di rischio anche in quanto suscettibile di tradursi nell’impossibilità di costruire un organigramma aziendale, che definisca con precisione compiti e responsabilità individuali e possa rappresentare il punto di partenza per una maggiore attenzione alla crescita e all’investimento nella cultura aziendale e nella formazione del personale. 7
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In altri termini, la maggioranza del campione non pare aver raggiunto la consapevolezza che una strategia approssimata ed una organizzazione indefinita concorrono alla diminuzione del valore economico della propria azienda e, di riflesso (poiché le imprese familiari in Italia sono oltre 5 milioni), dell’intero sistema imprenditoriale. In presenza di questi due limiti, le nostre imprese avranno sempre modesto valore e difficilmente troveranno soggetti disposti ad investirvi dei fondi. Responsabilità dell’imprenditore, specie del giovane imprenditore destinato a traghettare l’azienda nel futuro, è anche fermarsi a riflettere su questi temi ed agire di conseguenza. Ciò richiederà del tempo, ma soprattutto esigerà una formazione particolare e ben programmata, nonché una educazione alla pratica della comunicazione scritta tra familiari ed una severa disciplina della comunicazione tra familiari in azienda e loro collaboratori e dipendenti. Auspicabile, infine, anche l’inserimento di chiare regole per la proprietà e per la gestione dell’azienda e del patrimonio personale. Chiara deve essere la distinzione tra azionista, amministratore e dipendente, con debita consapevolezza delle relative responsabilità e diritti. Si eviterebbero in tal modo tanti conflitti familiari-aziendali-patrimoniali, oggi purtroppo sempre più all’ordine del giorno. Dunque, la ricerca condotta ha consentito di evidenziare il prevalere nell’area analizzata di un modello di capitalismo familiare essenzialmente fondato su processi generazionali sinergici; modello la cui continuità, tuttavia, può essere assicurata – scongiurando il rischio che si tramuti in un modello competitivo, di sfida o di conflittualità familiare-aziendale-patrimoniale - solo perseverando nel promuovere la crescita del capitale umano aziendale e familiare attraverso la trasmissione della cultura e conoscenza della materia del family business. Ricerca, diffusione dei risultati, confronto e corsi di formazione sono senz’altro il primo passo per colmare questo gap di conoscenza. L’intervento delle associazioni di categoria è dunque di fondamentale importanza, specie nell’ambito della formazione, dell’aggiornamento professionale e dello scambio di informazioni volto ad allargare i propri orizzonti, rispondendo quindi ad un bisogno di tipo culturale più che gestionale. Studiare per conoscere, conoscere per deliberare.
Walter Zocchi, Presidente Sara Lelli, Direttore
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