Federpietre Informa - n. 3 - Giugno 2016

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03 GIUGNO 2016

FEDERPIETRE Trimestrale della Federazione Nazionale dei Commercianti in Diamanti, Perle, Pietre Preziose e dei Lapidari

Italiano è bello o no? A lezione dagli chef Lusso, le parole che non ti ho mai detto Antonini: noblesse oblige



SOMMARIO FEDERPIETRE

EDITORIALE DEL PRESIDENTE 05 // E se le “macchine” diventassero creative?

06 Editore

Studio EffeErre Sas Via F. Albani 58 - 20148 Milano Tel. +39 02 33001100 Tel. +39 02 39264512 Fax: +39 02 33001914 info@studioeffeerre.com www.studioeffeerre.it

Direttore Editoriale Annalisa Fontana

Direttore Responsabile Gloria Belloni

Redazione

Sonia Sbolzani

Hanno contribuito a questo numero

IN REDAZIONE 12 // Antonini: noblesse oblige 13 // Italiano è bello o no? 14 // Lusso, le parole che non ti ho mai detto 15 // A lezione dagli chef

Gabriele Aprea Tommaso Mazza Alfonso Vitiello

16

Progetto grafico, impaginazione e coordinamento

Mara Ferrari - Studio EffeErre Milano

Pre-stampa

Grafimar - Milano

Stampa

Jona srl - P. Dugnano, MI

CULTURA 23 // Accessori sacri

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03 GIUGNO 2016

FEDERPIETRE

05 NOTIZIE 06 // Brevi dal mondo

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ECONOMIA 16 // Un mercato da mille e una notte 19 // Gioielli italiani da esportazione 20 // Waiting for TTIP 21 // Crescere si può

23

Trimestrale della Federazione Nazionale dei Commercianti in Diamanti, Perle, Pietre Preziose e dei Lapidari

Italiano è bello o no? A lezione dagli chef Lusso, le parole che non ti ho mai detto Antonini: noblesse oblige

In copertina:

Bracciale “Mari del Sud” di Scavia: diamanti taglio goccia e taglio brillante, tormalina Paraiba.

GEMMOLOGIA 24 // Gemme d’estate 26 // La differenza c’è 27 // Le meraviglie dei micro mosaici 29 // Assemblea dell’IGI 29 // Trasparente come un diamante 29 // L’opale di Cober Pedy

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Periodico di Federpietre - Federazione Nazionale dei Commercianti di Diamanti, Perle, Pietre Preziose e dei Lapidari Trimestrale - Anno XVI - N° 3/Giugno 2016 Federpietre E-mail: federpietre@libero.it Registrazione Tribunale di Milano n. 653 del 17-10-2000 - POSTE ITALIANE SPA - Sped. in Abb. Post. 70% - LO/MI

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IL PUNTO DI VISTA 30 // Maggior dialogo con il dettaglio


I SOCI DI FEDERPIETRE Pubblichiamo qui l’elenco delle aziende associate a Federpietre (non tutte, poiché alcune per motivi personali non hanno dato il loro consenso).

Vuole essere un modo per sottolineare il loro “valore aggiunto” generato dall’appartenenza ad una Federazione coesa e attiva, che da sempre opera per

tutelare e promuovere la professionalità e l’etica dei commercianti di pietre preziose aderenti, sostenendo il settore orafo nel suo complesso.

Bianco Gian Piero Diamanti

Castellini Diamanti

Maino sas

Bidiamond srl

Diamante srl

Petramundi srl

Borsalino Diamanti srl

Enzo Liverino 1894 srl

Storchi Chiara

Boss Diamond Srl

Ideal Diamonds srl

Valentini srl

Brioschi srl

IGI - Istituto Gemmologico Italiano Piazza San Sepolcro 1 - 20123 Milano Telefono: 02 80504992 - Fax: 02 80505765 E-mail: info@igi.it

Z.B.F. snc

Viale Galimberti 12 - 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 924704 - Fax: 0131 942218 E-mail: preziosi2002@libero.it

Corso Garibaldi 138/C - 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 955875 - Fax: 0131 945339 E-mail: info@bidiamond.it

Via Mazzini 15 - 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 941003 - Fax: 0131 946557 E-mail: info@borsalinodiamanti.com

Via Michelangelo, 1 - 15048 Valenza (AL) Telefono e Fax: 0131 947575 E-mail: info@bossdiamond.com

Viale Vicenza 3/A - 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 943029 - Fax: 0131 951602 E-mail: brioval@tiscali.it

Via San Maurilio 13 - 20123 Milano Telefono e Fax: 02 72094241 E-mail: gucaste@tin.it

Via Davide Bertolotti 2 - 10121 Torino Telefono: 011 533532 - Fax: 011 532472 E-mail: diamante1srl@yahoo.it

Via Montedoro 61 - 80059 Torre del Greco (NA) Telefono: 081 8811225 - Fax: 081 8491430 E-mail: info@liverino1894.com

Via Calefati 42 - 70122 Bari Telefono: 080 5230138 - Fax: 080 5230138 E-mail: raffaele.bufi@fastwebnet.it

Via Curtatone 11 - 20122 Milano Telefono: 02 5466375 - Fax: 02 55014924 E-mail: mainodiamanti@mainodiamanti.it

Via Donizetti 14 - 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 946234 - Fax: 0131 971579 E-mail: info@petramundi.com

Viale S. Michele del Carso 3 - 20144 Milano Telefono: 02 40095499 - Fax: 02 48701676 E-mail: chiara.storchi@charmedetahiti.com

Via C. Battisti 3 - 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 941000 - Fax: 0131 951643 E-mail: valentini@valentinipl.191.it

Viale Repubblica 141/A - 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 943481 - Fax: 0131 951675 E-mail: info@zbfpietre.it

Capellaro & C. srl

Via Baiardi 33 - CO.IN.OR. Zona D2 Lotto 2G 15048 Valenza (AL) Telefono: 0131 924809 - Fax: 0131 945689 E-mail: capellaro@libero.it Editore: Studio

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aggiunge valore alla sua impresa.

Chi desideri conoscere meglio o associarsi a Federpietre, non esiti a contattare per qualsiasi informazione e curiosità la segreteria organizzativa di Federpietre: federpietre@libero.it Per la pubblicità su FederpietreInforma preghiamo le aziende interessate di rivolgersi direttamente all’ufficio di segreteria della Federazione per notizie su tariffe e spazi disponibili.


E SE LE “MACCHINE” DIVENTASSERO CREATIVE?

Il filosofo Michael Polanyi ha teorizzato un paradosso secondo cui la conoscenza umana si estende molto più in là di quanto sia comprensibile chiaramente dagli individui: in pratica, facciamo molte cose semplicemente senza pensarci e senza una precisa logica. Quindi anche la più avanzata intelligenza artificiale ha un limite. L’informatizzazione ha comportato il “taglio” di risorse umane in tutti quei compiti basati su procedure specifiche ed azioni ripetibili: figure come il “mitico” ragionier Fantozzi sono destinate alla scomparsa dalla scena professionale (e cinematografica). Esistono tuttavia categorie di compiti che la tecnologia non è stata

ancora in grado di automatizzare e che illustrano efficacemente il paradosso di Polanyi. Ad esempio, ci sono le nozioni astratte, come l’esercizio della fantasia/ immaginazione/astrazione, dell’empatia, dell’autorevolezza, della coordinazione, della flessibilità mentale. In questi casi la tecnologia può solo aiutare il lavoratore, permettendogli di diventare più produttivo. Ma non esistono ancora strumenti in grado di riprodurre gli effetti delle nozioni elencate sopra. Per quanto riguarda il futuro, sappiamo che numerosi scienziati sono impegnati in ricerche finalizzate a superare il paradosso di Polanyi e così spingere la tecnologia oltre l’ultima barriera ancora insormontabile: la capacità di apprendere autonomamente. Già adesso, per esempio, vengono “mostrati” ai computer enormi database di immagini, programmati poi per creare associazioni statistiche sulla base di immagini standard precedentemente classificate. D’altro canto, non dobbiamo dimenticare i limiti delle macchine (pensiamo a quelle impiegate nel settore orafo), che fortunatamente non potranno mai fare tutto. Il mondo di domani non ci è dato conoscerlo, come non ci è dato conoscere le professioni che verranno. In quest’ottica il vero problema non sarà quello della scarsità di lavoro, ma piuttosto quello della distribuzione della ricchezza proveniente dai macchinari stessi. Raffaele Maino 5

L’editoriale del Presidente

Tra le ragioni della modesta crescita in questa fase di ripresa economica vi è certamente il progresso tecnico che cancella posti di lavoro e ne ricrea troppo pochi. Mestieri come l’archivista o l’operaio alla catena di montaggio sembrano in via di estinzione, rimpiazzati da macchine che svolgono (meglio) le loro mansioni. Ma nel nostro settore orafo, sebbene l’automazione e l’informatica siano ormai diffuse quasi ovunque, restano alcune nicchie dove la tecnologia è bene che si astenga dall’entrare o, se lo fa, è bene che lo faccia in punta di piedi, con rispetto. Mi riferisco ai lavori che richiedono creatività e intuizione. Comunque, in generale nel mondo del lavoro, chiedersi se saremo sostituiti da software e macchinari e in quanto tempo avrà luogo questa “eliminazione fisica” non è tanto peregrino.


NOTIZIE DAL MONDO

anticontraffazione. In particolare tocca alle Camere di Commercio fornire alle aziende la modulistica per avviare la pratica di richiesta della chiavetta USB-Token e la relativa abilitazione (in un paio di mesi). Inoltre i laboratori autorizzati possono apporre mediante tecnologia laser ai fini della commercializzazione o esportazione prevista da convenzioni/accordi internazionali di cui l’Italia sia firmataria - un marchio nazionale di conformità, costituito da un cerchio all’interno del quale è inscritto il profilo della testa “Italia Turrita”, che identifica la Repubblica Italiana, e la sigla della provincia in cui ha sede il laboratorio incaricato della certificazione.

Responsabilità

a colori

In occasione di Baselworld 2016 il Responsible Jewellery Council (RJC) ha annunciato che si focalizzerà su una nuova area operativa: le gemme di colore e le loro potenziali inclusioni (sinora infatti l’ente si è occupato prevalentemente di diamanti, oro e platino). Si tratta quindi di un ulteriore passo nella “visione” di una filiera internazionale sostenibile e responsabile nel settore della gioielleria. In quest’ottica è stata costituita una specifica “task force” diretta da Anne-Marie Fleury (RJC Standards and Impact Director), che sovrintenderà ad uno studio di fattibilità tecnica sulle gemme di colore per definire il miglior approccio alla questione. Ai lavori parteciperà in veste di “consulente speciale” anche il Presidente di CIBJO Gaetano Cavalieri (foto). “Tale progetto è in elaborazione da anni” - ha spiegato Andrew Bone, RJC Executive Director - “Ampliare la portata d’azione è fondamentale per il progresso della nostra missione: continueremo ad impegnarci per essere riconosciuti come l’organizzazione di riferimento per gli standard e la certificazione, al servizio dell’integrità della catena di fornitura e della diligenza nell’industria dei preziosi”.

Simbolico serpente

Bulgari ha aperto la primavera romana con una mostra allestita nel neoclassico Museo Palazzo Braschi e costruita intorno ai suoi storici gioielli a forma di serpente, per analizzare le molteplici forme creative che questo animale ha assunto nell’arte e nel design, in un percorso snodato dall’antichità al nostro tempo. “SerpentiForm - Arte, Gioielleria, Design”, curata da Lucia Boscaini, Bulgari Heritage Curator, e promossa da Roma Capitale Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, ha evidenziato come in diverse civiltà ed epoche il serpente abbia assunto valori simbolici di seduzione, rinascita, trasformazione, fertilità e immortalità. La maison romana non è sfuggita al potere incantatore del rettile e non a caso tra le sue icone senza tempo vi sono i flessuosi orologi-bracciale stilizzati o più realistici. Il percorso espositivo della mostra ha incluso gioielli antichi provenienti da Pompei e dal Museo Archeologico di Napoli, opere d’arte contemporanea, foto, abiti vintage, costumi teatrali e cinematografici (indossati da Liz Taylor in “Cleopatra”), oggetti di design, oltre alle creazioni Serpenti dell’Archivio Storico di Bulgari, dai primi modelli realizzati con la tecnica Tubogas a quelli con scaglie in oro rivestite di smalti policromi. Infine, confermando l’impegno in favore del patrimonio artistico dell’Urbe, Bulgari ha finanziato il nuovo allestimento illuminotecnico dello scalone monumentale del Museo Palazzo Braschi, su progetto del celebre direttore della fotografia Luca Bigazzi.

Marcatura laser

ora possibile anche in Italia

È finalmente realtà la marcatura a laser, attesa da tre anni dopo la pubblicazione del relativo decreto presidenziale, ossia la procedura con cui anche le imprese orafe italiane possono apporre ai loro prodotti un marchio nazionale di conformità, assicurando i più elevati standard 6


Federpietre Informa // NOTIZIE

Brand e dettaglio:

La Borsa di Londra

rinnovato invito al dialogo

crederà alla profezia?

La società Shefa Yamim, il primo e unico esploratore di pietre preziose in Israele, sta cercando di raccogliere 20 milioni di dollari per quotarsi alla Borsa di Londra (London’s Alternative Investment Market). Il fatto curioso è che la compagnia è impegnata in ricerche sulle colline a nord del Paese (zona di Haifa) in base ad una profezia lanciata una trentina d’anni fa dal rabbino Menachem Mendel Schneerson (foto), leader del movimento Chabad. Abraham Taub, che ha fondato Shefa Yamim nel 1999, ha dichiarato di aver trovato in quell’area diamanti e altre gemme, tra cui zaffiri, rubini e moissanite, tutti sfruttabili commercialmente. Il rabbino Schneerson, morto 22 anni fa, è tuttora riverito in tutto il mondo da milioni di Ebrei ortodossi che in lui riconoscono il Messia.

È sempre valido da parte dell’Associazione Orafa Lombarda l’invito ad un dialogo intrasettoriale per una maggiore collaborazione commerciale e per una “politica internet” coordinata con la distribuzione al dettaglio, al fine di fornire ai negozi e, indirettamente, alle aziende un quadro sufficientemente completo della situazione, mediante la segnalazione di criticità e correttivi da apportare. Il tutto entro Ottobre 2016, periodo in cui AOL presenterà gli esiti della ricerca. Nel frattempo procede il lavoro dell’Osservatorio dei Brands - nato per il costante monitoraggio dei comportamenti commerciali su internet dei vari marchi e di organizzazioni collaterali che operano sui mercati dei punti vendita - sulla base delle segnalazioni di negozi e consumatori. Chi volesse fissare un incontro con l’Associazione può mettersi in contatto con f.argentiero@orafalombarda.it

Orologiai riparatori: è tempo che il Governo intervenga

Quanti danni

dai falsi

Da tempo gli orologiai riparatori sono impegnati nella protesta contro le manifatture svizzere che si rifiutano di concedere le parti di ricambio, mettendoli in difficoltà con l’imposizione di una sorta di oligopolio che si traduce in condizioni rigidamente fissate per interventi effettuabili solo dalle stesse maison. A rischio sono circa 600 aziende, per non dire dei quasi 300 fra laboratori e magazzini che hanno dichiarato di essere alla soglia della chiusura. Il disagio non è solo italiano, comunque, ma investe l’intera categoria a livello europeo, tanto che gli organismi di rappresentanza di diversi Paesi hanno già tentato ricorsi e controricorsi alle autorità comunitarie, che però procedono a rilento e a volte sfociano in rigetti dei reclami. Da ultimo, per affrontare la drammatica situazione, gli orologiai riparatori italiani rappresentati da Confcommercio Federpreziosi, Associazione Orafa Lombarda (al cui interno è costituito il raggruppamento nazionale degli Orologiai Riparatori) e Confartigianato hanno incontrato i tecnici del Ministero dello Sviluppo Economico in ottica di sensibilizzazione del Governo alla problematica. I funzionari del MISE si sono ripromessi di approfondire la questione ed istituire tavoli di confronto con gli operatori. A partire dallo scorso Maggio questi operatori si sono mobilitati con manifestazioni pubbliche in diverse città italiane per sensibilizzare i consumatori sui disagi e gli svantaggi che una tale politica comporta anche per loro. Nel primo appuntamento a Milano sono state raccolte 500 firme per il documento che verrà presentato nelle opportune sedi istituzionali.

A causa della contraffazione, l’Unione Europea registra un calo delle vendite di gioielleria e orologeria pari al 13,5%. L’Agenzia Europea per la proprietà intellettuale (UAMI) ha calcolato che l’industria europea dei preziosi perde ogni anno 1,9 miliardi per effetto dei falsi che circolano nel mercato comunitario: un danno gravissimo, tanto più che si traduce in quasi 15mila posti di lavoro in meno (in un settore che ne conta in totale 100mila: 80mila nel comparto dei gioielli e 20mila in quello degli orologi). E non finisce qui: contraffazione significa anche mancato gettito. Tra Iva non riscossa, imposte evase su persone fisiche e giuridiche, contributi previdenziali svaniti, il conto finale è decisamente salato per l’Erario: oltre 590 milioni di euro sfumati. Il mondo orafo italiano è quello che soffre di più di tutti, dal momento che il nostro Paese è il maggior produttore di articoli di gioielleria nella UE con 5 miliardi di euro di fatturato annuale (di gran lunga davanti a Francia, Germania e Belgio). In sostanza, per colpa dell’industria del falso, gioielleria e orologeria Made in Italy perdono ogni anno 400 milioni di euro che potrebbero dar vita a 3400 posti di lavoro in più. Il settore dei preziosi è, assieme a quello delle borse e degli articoli di valigeria, tra i più vulnerabili alle frodi, anche perché prevalentemente costituito da micro-imprese con un numero medio di sole tre persone per unità. 7


Federpietre Informa // NOTIZIE

Preghiera indossata

Tutti

in gruppo

Si è svolta in primavera ad Assisi un’originale mostra di gioielli ispirati al “Cantico delle Creature” di San Francesco, intitolata “Inni da indossare”. Si tratta di opere che cercano di unire la forma degli elementi del Creato con le parole del “Giullare di Dio”, sommo cantore della bellezza dell’universo in ogni sua espressione. La collezione, creata nel 2012 dalla designer americana Daniela Allega Fuciarelli per la rassegna “Francesco il Santo”, voluta dalla Soprintendenza ai Beni Artistici del Lazio, era già stata esposta al Museo Civico di Rieti tra i grandi capolavori pittorici di Cimabue, Tiziano, Tiepolo, Norberto, dedicati al “Poverello”. La mostra assisiate, realizzata con il sostegno dei frati Minori Cappuccini, ha centrato l’obiettivo di farsi “preghiera indossata”, inno alla vita che riflette la visione positiva ed intensa di Francesco. Le caratteristiche di questi gioielli sono le linee spezzate, le forme organiche, le citazioni: sono oggetti che provano a raccontare, tra estetica e poesia, il testo poetico più antico (e uno dei più affascinanti) della letteratura italiana, per rinnovare attraverso le creature la lode al Creatore. Nella foto Rosalia Misseri, Testimonial de Il Cantico Indossato.

L’ingresso in piccole e medie aziende orafe d’eccellenza da parte dei big del lusso risponde sempre più alla strategia di acquisire quote di minoranza per poi coinvolgere i fondatori nello sviluppo del business. Il mercato dei gioielli attualmente registra un fatturato complessivo di circa 148 miliardi di euro l’anno; i preziosi dei più celebri brand di moda realizzano “solo” 30 miliardi di euro l’anno, ma secondo gli esperti il settore si espanderà del 30-40% da qui al 2020. In particolare l’alta gioielleria è il comparto che sta crescendo più in fretta e in cui tutti vogliono investire. Ad esempio LVMH, che da ultimo è entrata in Repossi con una partecipazione minoritaria, ha già iniziato da qualche anno a investire nel settore, lanciando le linee di gioielli delle aziende che controlla (come Louis Vuitton e Christian Dior) ed acquisendo nel 2011, per 3,7 miliardi di euro, la maison italiana Bulgari (la quale da allora ha aumentato le vendite del 10%). Gli altri grandi marchi di gioielleria, come Cartier, Van Cleef & Arpels e Montblanc, appartengono invece al gruppo svizzero Richemont, mentre la statunitense Tiffany & Co. per ora è rimasta indipendente. (Nella foto: un’illustrazione di Ertè).

La bellezza

Bolaffi:

crea affari

ora all’incanto anche i gioielli

Riflettere sulla bellezza, farla entrare nel proprio universo mentale e nella propria esperienza personale, è diventato il traguardo già di molti imprenditori italiani, come ha evidenziato il volume “Bellezza”, a cura di Walter Mariotti (foto), edito da arcVision/Italcementi. Gli orafi sanno bene che l’estetica tricolore è apprezzata e desiderata in tutto il mondo, quindi è motore di consumo, dispiegando così tutto il suo potenziale economico e sociale. Paolo Bulgari ha affermato in un’intervista riportata nel libro:“Io ho imparato questo lavoro con esperienza, lentezza, passo dopo passo. La bellezza è una vocazione e un’arte, ma ci vuole molta umiltà a perseguirla”. L’economista di Harvard Gary Pisano è convinto che l’amore per la bellezza sia nel DNA degli Italiani, specialmente degli imprenditori, che in generale “non sono pensatori lineari, ma di certo sanno creare il prodotto più eccitante”. Ecco perché il Made in Italy prevale soprattutto nelle nicchie e nei segmenti sofisticati. Nell’economia globale - ha sentenziato Pisano - “quello che è raro è la capacità di creare vera bellezza. Il mondo vuole quello che l’Italia sa fare al meglio”. I nostri orafi dovrebbero riflettere di più su questi concetti, che non sono puramente “filosofici”.

Anche la casa d’aste Bolaffi ha debuttato nel settore dei preziosi (il primo incanto ha avuto luogo a Milano il 15 Marzo scorso), proponendo marchi prestigiosi come Cartier, Buccellati, Patek Philippe, Tiffany & Co., Repossi, Van Cleef & Arpels, Musy, con gemme di gran classe ed esemplari d’epoca che dal decò arrivavano agli anni ’70, per oltre 400 lotti con base d’asta complessiva di quasi 1 milione di euro, offerti da importanti conferenti privati italiani e stranieri (top lot è stato un anello in platino e superbo diamante taglio smeraldo da 5,29 carati). La storica maison torinese, che dall’iniziale specializzazione nella filatelia e nella numismatica ha compiuto la scelta, negli ultimi anni, di diversificarsi nelle aste della fotografia d’autore, ha quindi deciso ora di affacciarsi su un nuovo “brillante” settore, creando uno specifico dipartimento gioielli in cui - come ha dichiarato l’amministratore delegato Giulio Filippo Bolaffi, intende “diventare punto di riferimento in Italia”. 8


Federpietre Informa // NOTIZIE

Anzivino, Partner di Price Waterhouse Coopers, Enrico Finzi, Presidente di Astraricerche. Il Presidente del Club degli Orafi Italia, Gabriele Aprea, ha dichiarato che tale evento vuole essere il punto di partenza di un progetto più ampio di formazione ad hoc per le piccole-medie imprese del gioiello, attraverso l’organizzazione di incontri e workshop periodici per la crescita della cultura imprenditoriale e manageriale.

Zimbawe: diamanti

verso il monopolio di stato

Lo Zimbabwe, uno dei primi dieci produttori mondiali di diamanti, intende nazionalizzare le miniere di diamanti (oggi controllate da aziende straniere), costituendo un fondo sovrano. Il Presidente Robert Mugabe ha spiegato: “Non abbiamo ricevuto molti soldi dall’industria dei diamanti e abbiamo deciso che questo settore deve essere un monopolio che solo lo Stato è autorizzato a sfruttare”. Ricordiamo che, a causa delle misure adottate dal Kimberley Process contro l’export diamantifero dello Zimbabwe a causa di alcuni traffici illeciti e di reiterate violazioni dei diritti umani, nei primi cinque mesi del 2015 la produzione è scesa da 660mila carati a 420mila. La decisione potrebbe finire col compromettere le storiche relazioni dello Stato africano con la Cina, che possiede i diritti di sfruttamento di una delle più importanti miniere di diamanti nel Paese. L’operazione inoltre colpirebbe alcune delle principali compagnie estrattive al mondo, tra cui Rio Tinto e AngloPlat.

Distretti orafi: cosa è cambiato?

Valentina De Marchi, economista dell’Università di Padova (nella foto), sta portando avanti insieme all’americano Gary Gereffi (Duke University) ed al sud-coreano Joonkoo Lee (Hanyang University Business School) un progetto di ricerca per comprendere le trasformazioni avvenute di recente nella catena del valore della gioielleria a livello globale, con un focus speciale sui distretti orafi italiani. L’obiettivo è capire le sfide e le opportunità per le nostre aziende - un tempo leader mondiali per produzione nonché le implicazioni dell’indagine per lo studio dei legami tra il livello locale e quello globale. In particolare i tre economisti sono interessati ai cambiamenti geografici della domanda e dell’offerta, ed alla funzione sempre più importante di alcuni Paesi nello scacchiere mondiale. Che ruolo hanno gli operatori del trade nel favorire e coordinare le catene del valore di gioielleria e nel mettere in contatto i principali produttori con i consumatori? A questa domanda cercheranno di rispondere perlustrando i distretti orafi italiani.

Resistere alla crisi. Possibile, ma come?

“Sei pronto ad uscire dalla crisi? Resilienti a confronto per la rigenerazione della filiera del gioiello” era l’avvincente titolo del convegno organizzato a Milano dal Club degli Orafi Italia nel Giugno scorso, per stimolare la riflessione sul rilancio di un settore iconico del Made in Italy che è un patrimonio unico di artigianalità e di stile. L’accento è stato posto sulle aziende di piccole-medie dimensioni che, malgrado la crisi dei consumi, si trovano ad affrontare una domanda mondiale di gioielli in continua crescita, la quale tuttavia premia i marchi e limita le imprese che non possono permettersi forti investimenti in politiche di branding. Il convegno ha cercato di spiegare come scoprire soluzioni alternative, innovative e creative per l’intera filiera dalla produzione al dettaglio, grazie alla presenza di vari esperti. Ne hanno discusso infatti Licia Mattioli, Vicepresidente di Confindustria, Gregorio De Felice, Head of Research and Chief Economist di Intesa Sanpaolo, Stefania Trenti, Responsabile Ufficio Industry Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, Armando Branchini, Vicepresidente della Fondazione Altagamma, Laura Milani, Head of Luxury, Retail & Fashion - Facebook Italia, Nicola

Liverino

Maestro d’Arte e Mestiere

Complimenti vivissimi al Socio di Federpietre Vincenzo Liverino per l’importante riconoscimento ricevuto dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte in qualità di “Maestro d’Arte e Mestiere“ per la sezione Gioielleria e Oreficeria. Liverino è stato premiato per l’eccellenza raggiunta nella sua attività imprenditoriale che ha forti radici nell’alto artigianato, tra Torre del Greco e l’Estremo Oriente. Esperto di “gemme del mare”, Liverino è anche Presidente della Commissione Corallo di CIBJO (di cui ha curato il Coral Book), socio del Club degli Orafi Italia, consulente della FAO; inoltre ricopre importanti cariche in ICA e nell’Istituto Gemmologico Italiano nel campo di corallo, cammei, perle. 9



Federpietre Informa // NOTIZIE

sotto-sviluppati, ora godono di un certo benessere. Ce la farà il nostro eroe? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto in casa De Beers si festeggia una nuova iniziativa: l’IIDGR, International Institute of Diamond Grading & Research, che presterà i propri servizi di laboratorio a tutti gli operatori del business (trade) e non più soltanto alle società legate al progetto Forevermark ed ai sightholder del colosso sudafricano. “Ciò che rende diverso il nuovo laboratorio ha dichiarato il portavoce di De Beers, David Johnson - è che si basa fortemente sulla tecnologia, utilizzando strumenti automatizzati per la classificazione di ogni colore. Una macchina misura la purezza da I3 a VS ed è di grande aiuto per gradi superiori”. Ma - la domanda sorge spontanea - che ne sarà dei gemmologi in carne ed ossa (con tanto d’occhi e cervello)? Non sono tagliati fuori, sostiene De Beers, dal momento che ad essi compete il controllo finale: se si verifica una sostanziale discrepanza di valutazione, la gemma viene sottoposta nuovamente a controllo robotizzato. Uno dei maggiori vantaggi di questo sistema è che esso dovrebbe assicurare la stessa classificazione gemmologica tanto a Surat in India quanto ad Anversa in Belgio ed a Maidenhead nel Regno Unito (per ora i laboratori di De Beers sono tre, a cui presto potrebbe aggiungersene uno in USA). Se son rose fioriranno (automaticamente)…

Alla mostra cagliaritana

successo dei preziosi preistorici russi Hanno riscosso un notevole successo i “gioielli preistorici” provenienti dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo esposti a Cagliari sino al 10 Aprile nella mostra “Eurasia, fino alle soglie della Storia. Capolavori dal Museo Ermitage e dai Musei della Sardegna”, appuntamento finale del programma “Cagliari capitale italiana della cultura 2015”. Tra gli oggetti che hanno calamitato l’attenzione del pubblico vanno citati due straordinari corredi funerari appartenenti alla “cultura di Maikop” nota per i suoi impressionanti “kurgan”, tombe a tumulo che hanno restituito parure funerarie ricchissime, dove gli strumenti della vita quotidiana si affiancano a vasellame di prestigio ed a gioielli in oro e pietre preziose. La mostra cagliaritana ha quindi offerto un percorso che, accostando la preistoria alla nostra quotidianità, ha permesso a chiunque di calarsi in un racconto senza tempo e di riconoscersi nei segni di un passato che risale fino al V millennio a.C. L’evento - il cui suggestivo allestimento è stato firmato dallo stilista Angelo Figus, una delle voci più interessanti del panorama internazionale della moda e della cultura - è il primo atto di un Protocollo di collaborazione triennale tra il capoluogo sardo e il Museo russo, con l’obiettivo di sviluppare studi, sinergie e relazioni anche nei prossimi anni.

Gemmologi, il catalogo è questo

Ricercatori della Rockefeller University, della Carnegie Institution of Washington e del Deep Carbon Observatory hanno stilato su American Mineralogist una lista degli oltre 2500 minerali più rari. Chi l’avrebbe detto che, per regalare un gioiello davvero unico, occorre puntare sull’ichinusite sardo (foto), di cui è stato trovato finora un solo esemplare? Tale pietra, di valore inestimabile, è composta da elementi come torio e molibdeno. Quello compiuto dagli scienziati americani è il primo tentativo di catalogare le rarità nel regno minerale per capire a fondo i grandi cambiamenti avvenuti nel corso del tempo e quindi aggiungere informazioni utili anche allo studio di piante ed animali estinti. I luminari d’oltreoceano però si sono anche divertiti a chiarire qualche equivoco legato al mondo dei gioielli, spiegando che le 2500 gemme rarissime si trovano in una o al massimo cinque località nel mondo, ma non tutte sono idonee ad essere montate perché alcune tendono a sciogliersi, altre ad evaporare, altre ancora a disidratarsi o addirittura decomporsi. La ricerca cita tra le super-rarità l’amicite (delicatissima gemma che necessita di precise condizioni termiche e barometriche per apparire), l’ottoite (contenente l’esclusivo tellurio), la cobaltarthurite (composta di cobalto e arsenico: un killer perfetto?).

Novità in casa

De Beers

Stephen Lussier (foto), deus ex-machina del potente marketing department di De Beers da circa 25 anni, è stato nominato al vertice della Diamond Producers Association (DPA), l’esclusivo club di recente costituito dalle principali compagnie diamantifere mondiali per arginare la concorrenza dei beni di lusso che erodono quote di mercato ai diamanti: dagli iPhones alle borse griffate, dai viaggi 5 stelle ai super-trattamenti cosmetici. Il suo primo passo consisterà nel lancio di una campagna di comunicazione su scala globale (a dispetto di un budget che - si dice è piuttosto modesto) per rivitalizzare l’immagine dei diamanti, aumentarne l’appeal commerciale e culturale, accrescere la fiducia dei consumatori e avvicinare il mondo della produzione alla società in senso lato. Dovrà anche informare sull’impegno etico del business e sui vantaggi che l’industria diamantifera reca a milioni di persone in tutto il pianeta, soprattutto in quei Paesi che, una volta

Doverosa la precisazione - La foto di gioielli in corallo di Antonino De Simone apparsa alla pagina 10 sul numero 02/2016 non è in alcun modo associabile alla notizia “Coralli in provetta”. Ce ne scusiamo con gli interessati. 11


IN REDAZIONE

di Sonia Sbolzani

ANTONINI:

noblesse oblige Intervista alla Principessa Marina Borromeo Esponente di una delle dinastie nobili più prestigiose, appassionata di cose belle, la Principessa Marina Borromeo ha intrapreso una brillante avventura manageriale nel settore della gioielleria, suggellata dalla recente apertura di una boutique sull’Isola Bella nella cornice del Lago Maggiore. In effetti la sua famiglia ha acquisito il celebre marchio Antonini di Milano fondato nel lontano 1919, con sede proprio in Piazza Borromeo. La Principessa, che è Vicepresidente Esecutivo e Responsabile Marketing Communications della società, ci ha raccontato la sua esperienza, a partire dalla decisione di entrare nel business orafo: “Mio marito ed io abbiamo deciso di rilevare il brand nel 2009 quando si trovava in un momento di difficoltà, per evitare che scomparisse. Antonini è un marchio molto legato alla città di Milano, come lo siamo noi, e con dei contenuti di valore ed un heritage importantissimo. Crediamo nell’alta qualità artigianale dei prodotti Made in Italy, da qui la nostra volontà di fare in

modo che questa azienda continui a creare i gioielli per i quali è storicamente nota”. Il design comunque è affidato totalmente a Sergio Antonini, che è art director della maison, mentre alla famiglia Borromeo competono ruoli direttivi; di fatto dichiarano che il loro gusto è molto simile e si confrontano costantemente sulle proposte per le nuove collezioni. Come tutti o quasi i gioielli di maison storiche, le creazioni Antonini possiedono alcuni tratti distintivi, che Marina Borromeo sintetizza così: “I gioielli Antonini hanno un elevato valore intrinseco dato dalle pietre, dalla ricerca nelle lavorazioni, dalle

tecniche di produzione. Tale valore si riflette anche nel prezzo che è di fascia elevata. Sono indossati da donne consapevoli di questo valore, che non amano ostentare oggetti appariscenti, bensì un gioiello che possa essere indossato quotidianamente”. Ovviamente la produzione di Antonini si è evoluta sensibilmente dalle origini ad oggi, ma alcuni valori sono rimasti immutati: “Antonini è caratterizzata da una forte ricerca e sperimentazione, valori che emergono in tutte le collezioni. Le collezioni sono molto differenti da un anno all’altro e continuano ad avere un alto contenuto di artigianalità nella produzione” afferma la manager. 12

Per quanto riguarda le nuove collezioni, Sergio Antonini si ispira al mondo dell’arte e della cultura, ma è anche un attento osservatore degli “stili di vita” che talvolta riflettono anche le contingenze economiche del periodo. L’oro e le pietre rimangono gli elementi fondamentali delle collezioni, ma negli anni ’80/’90, ad esempio, era molto richiesto ed apprezzato l’oro giallo rodiato lucido, mentre ora viene proposto nella sua versione naturale, più opaca e meno vistosa, oppure satinato o martellato. Considerando la forte vocazione all’export della gioielleria italiana, è impossibile non chiedere a Marina Borromeo su quali direttrici si stia muovendo la strategia di


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Sergio Antonini

internazionalizzazione del marchio. Ci spiega: “Cerchiamo di valorizzare i nostri mercati principali con i quali lavoriamo da sempre: USA, Russia e Giappone. Ora tramite i nostri export manager intratteniamo relazioni commerciali anche con le repubbliche ex-sovietiche, il Middle East e ci stiamo allargando in Europa”. Comunque i mercati che stanno offrendo ad Antonini le maggiori soddisfazioni sono quelli americano e asiatico. Secondo Marina Borromeo i punti di forza e di debolezza delle aziende di gioielli italiane sono la creatività e di conseguenza il prodotto, da un lato, e dall’altro, l’incapacità di fare sistema nonché le piccole dimensioni che spesso precludono di strutturarsi con figure manageriali ed un’espansione internazionale. Infine, dal momento che i Borromeo aderiscono a varie associazioni e partecipano all’organizzazione di diversi eventi umanitari, la Principessa ci tiene a ricordare il sostegno attribuito all’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), cui viene devoluto ogni anno il ricavato delle vendite di Natale, e che si declina anche attraverso la sponsorizzazione di concerti al Teatro alla Scala ed altre occasioni di fund raising.

ITALIANO

È bello, o no? Il recente matrimonio tra Pirelli, storica azienda emblema del capitalismo tricolore, ed il colosso chimico cinese ChemChina ha sollevato un vasto dibattito sull’italianità, un concetto ben noto a chi opera nel settore orafo. La riflessione che comunque urge, a questo punto, riguarda non tanto la garanzia dell’italianità, quanto piuttosto la competitività italiana. L’accordo siglato da Marco Tronchetti Provera ha una sua logica precisa da un punto di vista industriale: attività manifatturiere con alti costi fissi, in termini di ricerca e sviluppo, commercializzazione, pubblicità e altro, hanno un’inevitabile tendenza a concentrarsi per sfruttare al meglio le economie di scala. Inoltre, per Pirelli l’alleanza con l’impresa cinese spalanca le porte al mercato a maggiore crescita nel mondo. Si aggiunga che l’obbligo di Opa è positivo per la Borsa e per i piccoli azionisti, i quali ricevono lo 13

stesso prezzo per azione dei detentori della quota di controllo. Alcuni giornalisti, con la penna intinta nelle lacrime, hanno scritto che un altro pezzo di industria italiana è stato svenduto agli stranieri e la colpa è tutta della mancanza di un’autentica politica industriale. In realtà le cose non stanno “semplicemente” così. In effetti, si guardi al caso Fiat che, nella partita con Chrysler, ha giocato la parte del predatore. Nonostante sia stata Fiat a comprare Chrysler, la nazionalità italiana non ha impedito di trasferire la sede legale in Olanda e quella fiscale nel Regno Unito. Anche la partita fra Stati Uniti e Italia per le attività di Ricerca&Sviluppo non si gioca certo sul piano del nazionalismo. Se vogliamo che grandi imprese operino in Italia, dobbiamo accettare che siano multinazionali. E le multinazionali localizzano le loro attività in base

all’attrattività del Paese. Quello che conta per il mantenimento di business ad alto valore aggiunto in Italia è la convenienza a farlo. Quindi, è necessario garantire condizioni competitive per fare impresa piuttosto che preoccuparsi di proteggere le proprie aziende dagli stranieri. Vent’anni di declino sono da imputare in gran parte all’incapacità nazionale a tenere il passo con un mondo che evolve in continuazione. Lavorare su questo è la migliore politica industriale che si possa perseguire! Tornando al controllo di ChemChina su Pirelli, concludiamo osservando che nel breve periodo l’“italianità” è garantita (anche se Pirelli già oggi occupa meno del 10 per cento dei dipendenti in Italia), ma nel 2021 dopo l’uscita di scena di Tronchetti Provera, regista dell’operazione, il controllo mandarino si rafforzerà e resterà solo la competitività del Paese a determinare il destino dell’italianità.


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LUSSO,

le parole che non ti ho mai detto Un quarto della spesa in beni di lusso nel pianeta si deve ai cosiddetti “Absolute Luxurer” (come li ha battezzati il True Luxury Global Consumer Insight 2015 curato da Boston Consulting Group e Fondazione Altagamma). Si tratta di Americani, Cinesi, Europei raffinati, attenti all’unicità ed esigenti in fatto di personalizzazione, con una spesa di 30mila euro l’anno in articoli d’alta gamma (escluse auto e barche). Il report identifica in totale 12 profili di consumatori del lusso nei principali mercati (15 milioni di consumatori complessivi), il cui trait d’union è l’apprezzamento del Made in Italy, ritenuto il migliore al mondo in assoluto, tanto più quando si parla di gioielli e accessori. Un quinto di costoro smetterebbe di acquistare un brand se venisse a sapere che non è più prodotto in Italia. Ciò premesso, vogliamo mettere a fuoco alcuni concetti, spesso tabù. I gioielli - a maggior ragione quelli italiani di qualità superiore - sono luxury goods per eccellenza e, come tali, presentano rischi specifici, di cui forse non tutti gli operatori del settore sono consapevoli o, se lo sono, preferiscono non curarsi troppo, in nome di un distorto sentimento “buonista” che indulge al moralismo politically correct. Così facendo, però, si corre il pericolo di perdere di vista la realtà e di compiere scelte dal fiato corto o distorte. Una questione che spesso si sceglie di ignorare è, ad esempio, la diversa

distribuzione del reddito. Tanto più cresce la disuguaglianza, tanto più aumentano le vendite di beni d’alta gamma; se al contrario si va verso una ripartizione più equa della ricchezza, allora il lusso soffre. Per capire in qualche direzione stia andando la spesa per la gioielleria di fascia elevata, basta dunque analizzare come evolve la “forbice” nella distribuzione del reddito. Tutti oggi guardano alla Cina quale massimo mercato per i beni di lusso: in effetti il 10% dei Mandarini più facoltosi detiene quasi il 60% del reddito. Nel Paese asiatico, però, sono sempre più probabili disordini legati a rivendicazioni economiche da parte delle classi meno abbienti, a cui il Governo potrebbe rispondere con provvedimenti populisti suscettibili di raffreddare la domanda di lusso, a partire dall’imposizione fiscale e da maggiori controlli sulle importazioni. In generale, negli ultimi vent’anni la domanda di alta gamma a livello mondiale è cresciuta più che mai, mentre di pari passo i redditi dell’1% della popolazione si incrementavano del 60% (l’aumento del reddito per lo 0.01% è stato addirittura più alto). La crisi finanziaria non ha fatto altro che accelerare questo processo, cosicché il mercato del lusso ha registrato una crescita di cento volte superiore per ogni anno da quando la congiuntura negativa ci ha colpiti. Non è questa la sede per affrontare una discussione etica su ciò e quindi non si mette in dubbio quanto va sostenendo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), ossia che le disuguaglianze sono pericolose perché

potrebbero causare instabilità civili, inefficienze economiche, divisioni politiche, ecc. Ci limitiamo constatare le dinamiche microeconomiche in atto. Altri rischi che può correre il settore della gioielleria vengono ancora dalla Cina, le cui autorità sono sotto pressione per le crescenti tensioni sociali legate alla richiesta di maggiore democrazia: una situazione pericolosa alla quale il Governo pare orientato a rispondere con “più socialismo”. Quali conseguenza avrà ciò sui gioielli e altri oggetti preziosi considerati voluttuari da Marx e compagni? Inoltre, come ha dimostrato il caso delle ultime proteste di piazza a Hong Kong, esiste un’altissima esposizione del lusso nei confronti di certe città: ove si verifichino scontri, si “gela” il commercio, con il vento contrario che soffia soprattutto sull’alta gamma. Poi, preso atto che i nostri produttori di gioielli beneficiano della debolezza dell’euro e del parallelo rafforzamento del dollaro, mentre risentono della caduta dello yen, va ricordato che il lusso prospera con l’aumento delle persone che viaggiano: se si diffonde la minaccia di attacchi terroristici o di epidemie, le conseguenze sono nefande per tutti. Non è pleonastico, ancora, sottolineare due ulteriori fenomeni penalizzanti il settore: le numerose acquisizioni e fusioni di aziende del lusso negli ultimi anni hanno ridotto il valore per gli azionisti (si vedano i casi di LVMH e Kering)

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che hanno sovrastimato le eventuali sinergie future e pagato un prezzo di acquisto/ fusione troppo alto; e resta sempre incombente il rischio della cosiddetta “brand trivialization”, ovvero la banalizzazione del marchio dei luxury goods, che per definizione devono promettere esclusività (internet ha contribuito molto a questo “svilimento” dei valori di unicità distintiva). Non sono passati molti anni da quando il sociologo Gian Paolo Fabris coniava l’espressione “democratizzazione del lusso” per designare quel fenomeno in base al quale un crescente numero di persone, pur non potendosi permettere una vita all’insegna dello sfarzo, si concede tuttavia singole scelte d’alta gamma, dal gioiello griffato all’abito haute couture. In un siffatto contesto il brand ha assunto un ruolo da protagonista ed i grandi marchi si sono sentiti legittimati a diversificare in tutti i comparti dei beni di prestigio (si pensi a Bulgari o Gucci). Così, in Europa soprattutto, il lusso è passato da status symbol a sinonimo di “trattarsi bene”, perdendo la sua tradizionale aura aristocratica e rielaborando stimoli quotidiani. Poi è arrivato Giorgio Armani a sentenziare che “il lusso fa schifo”, gettando nel panico qualche “sciura” e qualche collega dalle idee confuse sul concetto di lusso, ma non i “grandi vecchi” del settore, quelli consapevoli che sono la discrezione, il discernimento, la voglia di eccellenza a dare nerbo a quella parolina “magica”. In questo modo il lusso ha ritrovato nella


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qualità il suo vero fattore premium, delineandosi come un mix di cose che hanno una storia da raccontare e che danno emozioni uniche. Avvicinandoci ai giorni nostri, gli esperti di trend hanno elaborato i nuovi requisiti del prodotto di lusso: è quello che fa sognare, che offre certezze, che dona benessere. E per molti, soprattutto in Oriente, tutto questo si incarna nel gioiello. Ben venga allora la democratizzazione del lusso se non tende a svilire e banalizzare gli oggetti preziosi, ossia a patto che non infranga la “poesia”! In definitiva, ci sembra di poter rilevare che oggi il vero lusso resta quello all’insegna della qualità sublime e dell’esclusività, quello per cui l’industria italiana e segnatamente la gioielleria si sono distinte in ogni tempo. Milioni di opulenti compratori in tutto il mondo sono bramosi di cose preziose e gratificanti per il corpo e lo spirito: per loro contano ancora gli status symbol, mentre noi Occidentali abbiniamo sempre più l’iperuranio del lusso a cultura, raffinatezza, benessere, tempo. Allora ai nostri occhi il quadro appare sufficientemente chiaro: se i nostri produttori di gioielli di fascia altaaltissima terranno in seria considerazione i rischi sopra esposti (ponderandoli lucidamente), l’Italia continuerà a mietere numeri formidabili, rappresentando un quinto della gioielleria di lusso del pianeta.

A lezione dagli CHEF COSA I NOSTRI IMPRENDITORI POSSONO IMPARARE DAI PROTAGONISTI DELL’ALTA CUCINA Il professor Gianmario Verona dell’Università Bocconi di Milano, esperto di Market Innovation, ha scritto di recente un articolo di grande interesse in cui sostiene che gli imprenditori, i manager, insomma i capitani d’industria, farebbero bene oggi a seguire l’insegnamento degli chef stellati per avere successo. In che modo? Innovando continuamente, sviluppando nuovi prodotti e servizi per mercati in grado di apprezzarli economicamente. Un’innovazione è composta da tre ingredienti principali: prodotto, tecnologia e business model. I prodotti e servizi che conquistano le preferenze dei consumatori sono composti da questi tre ingredienti e dalla loro combinazione in una ricetta vincente.

o a quelle dell’Espresso in Italia e Zagat in USA). Ecco allora che il Beef Wellington di Gordon Ramsey, l’Uovo Marinato di Carlo Cracco e il Risotto alla Foglia d’Oro di Gualtiero Marchesi diventano piatti distintivi che contribuiscono alla consacrazione dei rispettivi autori.

L’innovazione, tuttavia, si traduce anche in tecnologia, intesa come l’insieme di strumenti a supporto dell’attività economica che cambiano grazie agli sviluppi della conoscenza. In effetti gli chef non basano la loro tecnica solo su strumenti tradizionali, ma sono costretti a ricercare anche nella scienza alimentare e nella tecnologia di processo ricette e strumentazioni originali. Ad esempio, negli ultimi dieci anni L’alta cucina, oltre a essere la tecnologia che permette la un efficace mezzo simbolico cucina molecolare (finalizzata per parlare di innovazione, è a trasformare la struttura anche un comparto da cui i atomica del cibo) è passata dirigenti di un’azienda possono dall’essere un fenomeno di trarre spunto per comprendere ricerca di nicchia, che ha reso in ottica moderna la logica celebri i suoi pionieri (in primis da attivare in mercati Ferran Adrià del ristorante caratterizzati da costante “El Bulli” in Spagna, Ettore cambiamento. Come nella gran Bocchia del Grand Hotel di parte dei settori, l’innovazione Villa Serbelloni a Bellagio e si manifesta innanzitutto in Massimo Bottura dell’Osteria un prodotto vincente. Per uno Francescana a Modena), ad chef, l’innovazione di prodotto essere invece un vero e proprio è un piatto (detto signature stile di ristorazione, il quale dish), analogo al vestito firmato si è affiancato nel corso degli di uno stilista o al gioiello di anni alla cosiddetta nouvelle una prestigiosa maison, che lo cuisine, dominante negli rende riconoscibile al pubblico anni precedenti nei ristoranti e soprattutto alla critica (è stellati di tutto il mondo. infatti quest’ultima che può esaltarlo nelle classifiche del La terza forma di innovazione, settore: si pensi alla Guida infine, risulta ancora più Michelin a livello internazionale importante. Si tratta del 15

cambiamento di business model, un tema che spesso attanaglia le decisioni di manager trovatisi a ripensare a strategie innovative per affrontare mercati in cambiamento. Da questo punto di vista, gli chef sono maestri di cambiamento. Da qualche tempo, inondano librerie e cataloghi on line con libri di cucina; in televisione format come “Masterchef” ed “Hell’s Kitchen” spopolano ovunque con un successo analogo solo ai format musicali. In tutto il mondo gli chef sono frequenti ospiti in dibattiti e talk show di varia natura. Più recentemente essi si interrogano anche su nuove modalità di erogazione di servizi, come è capitato a Davide Oldani che a partire dal suo “D’O” a Cornaredo (MI), ristorante a una stella Michelin celebre per aver coniugato alta qualità a basso prezzo, ha gemmato una serie di iniziative tra cui l’attivazione di temporary store, “Davide Oldani Café” in aeroporti, specifici sub-brand per design di posate, piatti e bicchieri per degustare i prodotti. In sintesi, innovazioni di prodotto, tecnologia e business model sono ottimi esempi per costringere a riconsiderare il perimetro dell’innovazione nel proprio settore, e gli chef dell’alta cucina possono rappresentare un eccellente spunto creativo e di intuizione per la gestione e per il contenuto dei processi innovativi di un mondo che inesorabilmente è destinato a mutare sempre più rapidamente.


ECONOMIA

di Sonia Sbolzani

UN MERCATO

da mille e una notte Si prevede che da qui al 2017 i Paesi del Golfo Persico diventeranno l’area in assoluto più dinamica per l’export italiano, con vendite in crescita percentuale a due cifre e un mercato sempre più orientato verso i beni di lusso. A trainare la domanda saranno soprattutto gli Emirati Arabi Uniti con performance da boom economico, grazie all’elevato potere d’acquisto dei turisti e dei residenti, compresi i molti stranieri (asiatici, africani e occidentali), in gran parte giovani. Basti pensare che il piccolo Qatar dispone del Pil pro-capite più elevato al mondo (superiore a 100mila dollari) e un’autentica passione per oro e diamanti, ma soprattutto per la gioielleria Made in Italy che tra il 2004 e il 2012 è cresciuta del 141,8%... e scusate se è poco. È comunque Dubai a rappresentare il principale mercato di sbocco per i preziosi italiani, anche in virtù della sua posizione strategica, che ne ha fatto una solida piattaforma commerciale tra Europa, Africa ed Asia, sede di transito cruciale di merci che poi vengono in parte riesportate in tutto il mondo. In effetti Dubai, meno ricco di petrolio dei Paesi vicini,

ma più dinamico in termini di iniziative imprenditoriali, è un bacino di progetti grandiosi ed una manna di opportunità per i prodotti Made in Italy di qualità superiore, dall’abbigliamento alle calzature, dagli accessori al cibo, dagli arredi con elevato contenuto di design ai gioielli appunto. In complesso gli Emirati Arabi sono il nostro primo mercato, assorbendo oltre un quinto dell’export annuale del settore orafo, per un valore che supera abbondantemente il miliardo

una buona conoscenza del mercato locale e in grado di effettuare acquisti in quantità sostanziose. Grazie ad essi i gioielli italiani sono venduti soprattutto in centri di prestigio e presso le boutiques dei grandi hotel, che spuntano come funghi sulla costa. I periodi di maggiore attività sono quelli intorno alle festività religiose, in particolare il Ramadan.

di euro. La distribuzione al dettaglio emiratina risulta assai polverizzata, mentre quella all’ingrosso si presenta piuttosto concentrata; il che fa raccomandare agli operatori italiani che approccino i mercati del Golfo di rivolgersi subito a validi traders con

importante e deve essere ripetuto periodicamente in occasione di eventi fieristici” fanno sapere fonti dell’ICE a Dubai (come noto, l’ICE è l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane).

“Gli Arabi tendono ad essere fedeli ai fornitori. Il contatto personale per loro è molto

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Ogni anno, in effetti, vengono sviluppate iniziative promozionali, coordinate proprio dall’ICE, che vedono protagoniste le imprese italiane del settore orafo… e non a caso dal 2015 Fiera di Vicenza concorre ad organizzare a Dubai un super-evento internazionale dedicato alla gioielleria, dopo aver costituito una joint venture (DV Global Link) con il Dubai World Trade Centre, il cui CEO Helal Saeed Al Marri, che è anche Direttore Generale del Dipartimento del Turismo e Marketing del Commercio di Dubai, ha dichiarato soddisfatto: “Mentre Dubai procede rapidamente con i propri sforzi strategici per raggiungere l’obiettivo del Tourism Vision 2020 sotto la guida di Sua Altezza lo Sceicco Mohammed bin Rashid al Maktoum, Vice Presidente UAE e Primo Ministro e Governatore di Dubai, siamo contentissimi della partnership con Fiera di Vicenza nella costruzione di un hub di sourcing del gioiello veramente globale, dove il turismo d’affari sia un fattore vitale per la Vision. Il nuovo evento offrirà alla comunità del gioiello luxury italiana e internazionale il più ambito canale d’ingresso a uno dei più vitali quartieri del business emergenti in tutto il


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mondo”. Campane a festa per Matteo Marzotto, Presidente di Fiera di Vicenza. Abbiamo chiesto qualche consiglio sulle migliori strategie per affrontare questi mercati e consolidare la presenza in essi, all’esperta Donatella Zappieri, consulente di vari marchi nel mondo del gioiello e docente universitaria a Milano e Ginevra, che ben conosce il tema della “sfida del lusso” negli Emirati Arabi Uniti. “Per i Paesi appartenenti agli EAU si è registrata nel 2015 una crescita economica superiore al 4%” - precisa Zappieri, aggiungendo: “Interessante notare che si tratta di una popolazione giovane (circa il 55% ha meno di trent’anni), con vendite al dettaglio che sono arrivate a fine 2014 a 66 miliardi di dollari, secondo le cifre evidenziate dal Gruppo

Chaloub specializzato nella distribuzione di marchi del lusso negli EAU. Un mercato senz’altro in forte espansione, quindi, con un’enfasi sullo sviluppo del retail e previsioni di ulteriore accelerazione senza pari nel mondo”. Del resto, ci basti pensare che laggiù nel Golfo la spesa media mensile del singolo consumatore per prodotti di bellezza, moda e articoli da regalo è stimata a circa 1800 euro! Zappieri spiega: “Trovo importante segnalare che, se fino a pochi anni fa era la grande griffe a farla da padrone, oggi i consumatori medio-orientali sono diventati più consapevoli e raffinati. Il concetto del Made in Italy è estremamente radicato e riconosciuto, e il valore della nostra tradizione orafa e la nostra capacità di interpretare al meglio

le tendenze restano dei capisaldi. Il consumatore è sempre più alla ricerca di nuove realtà stilistiche, quindi permane non solo la voglia di “spendere per spendere”, ma la consapevolezza che il trend va sempre più verso l’affermazione dello stile personale e di conseguenza di scelte di articoli che in qualche modo incarnino la personalità di chi li indossa. Via libera pertanto a gemme con colori in nuance con le ultime tendenze di moda e anche a linee e silhouette “rubate” alle passerelle”.

il territorio. Avere agenti o referenti in loco permette senz’altro un rapporto continuo con questa nuova clientela che ama il concetto del “fatto a mano”, soprattutto personalizzato. Si fa sempre più strada la tendenza verso una “bespoke jewellery” con la vendita in boutique o corner raffinati ed eleganti adatti alla vendita di oggetti unici”.

Infine è palese quanto sia rilevante in un simile contesto il ruolo dei social network “che influenzano il processo decisionale E conclude con alcune specialmente dei giovani importanti annotazioni che consumatori”. Di forte si traducono in consigli impatto può essere anche per i nostri operatori orafi “l’organizzazione di desiderosi di approcciare al eventi rivolti al retail, meglio quei ricchi mercati: magari con la presenza di “L’ascolto della tradizione del testimonial locali al fine posto resta fondamentale; di movimentare lo spazio essenziali dunque il dialogo vendita e familiarizzare con la e il contatto costante con tradizione e la cultura locali”.

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GIOIELLI ITALIANI da esportazione Negli ultimi anni il mercato orafo in Italia si è ridimensionato drasticamente in termini di volumi e molte aziende, per sopravvivere, hanno deciso di puntare tutto sull’export. Il tema dello sbocco nei mercati esteri, dunque, è quanto mai d’attualità, diventando il “cavallo di battaglia” anche di Confindustria Federorafi, che ad esso ha dedicato diverse iniziative tattiche e strategiche (incluso un ampio sforzo informativo concretizzatosi in progetti come il road show “Esportare la Dolce Vita” presentato nei vari distretti del settore, o come il convegno sull’internazionalizzazione focalizzato sugli aspetti fiscali e contrattuali, organizzato a Vicenza nel Gennaio scorso). In presenza di diversi elementi perturbanti (frammentazione produttiva, concorrenza straniera acerrima, dinamiche di scambio euro/dollaro, impennata del costo delle materie prime, crisi dei consumi a livello mondiale), gli orafi italiani più lungimiranti hanno cercato di parare il colpo con provvedimenti che passano per il rinnovo costante della gamma dei manufatti, la scelta di segmenti di produzione a più alto valore aggiunto e con un forte contenuto creativo o di moda, la spinta verso un continuo aggiornamento tecnologico, l’adozione di intelligenti politiche di marketing basate sul rapporto qualità/prezzo, sull’affidabilità dei servizi al cliente, sull’investimento in canali di distribuzione, sul brand. Ma l’elemento fondamentale

nelle strategie aziendali è la diversificazione dei mercati di sbocco. E ciò appare cruciale anche nelle scelte del sistema di sostegno pubblico. L’ICEAgenzia ha incentrato la programmazione promozionale a favore del settore orafo nella realizzazione di progetti in mercati promettenti, che inglobino iniziative con connotati altamente operativi,

italiane di oreficeria-gioielleria di eccellenza raggiungeranno i 3,7 miliardi di euro nel 2020, con un incremento di 1,4 miliardi rispetto al 2014: il che rappresenta uno sviluppo del 64% in sei anni. Gli Emirati Arabi Uniti manterranno il primato degli acquisti italiani per il settore orafo-gioielliero d’alta gamma, importando ben 2,3 miliardi

tali da corrispondere alle aspettative degli operatori in termini commerciali, quali partecipazioni collettive a fiere internazionali, workshop con incontri B2B, meeting point; e nello stesso tempo ha cercato di veicolare, con la comunicazione di supporto alle iniziative, il valore unico del gioiello Made in Italy. Come ha evidenziato l’ultimo studio “Esportare la Dolce Vita”, realizzato dal Centro Studi Confindustria e Prometeia, entro il 2020 le esportazioni totali di prodotti italiani “belli e ben fatti” (beni di consumo di fascia medio-alta che si differenziano per il design, la cura, la qualità dei materiali e delle lavorazioni) verso i trenta mercati emergenti del mondo aumenteranno dai 152 miliardi del 2014 fino ai 230 miliardi del 2020. In questo contesto, le esportazioni

di euro nel 2020, secondo le previsioni, seguiti dalla Cina, verso cui l’Italia esporterà 532 milioni di euro di prodotti “belli e ben fatti”. “Le esportazioni italiane di tali beni nei nuovi mercati - ha spiegato Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi Confindustria - stanno crescendo grazie all’ampliamento della classe benestante, ossia di quel gruppo sempre più numeroso di persone finanziariamente in grado di acquistare questi manufatti, e grazie all’adozione da parte delle imprese di strategie vincenti per intercettarne i bisogni. E questa tendenza proseguirà. Le produzioni italiane rappresentano per i consumatori uno status symbol, grazie alla forza delle grandi firme, ma anche al fascino esercitato in generale dall’Italia e dal Made in Italy, 19

che costituisce un marchio”. Tuttavia, non mancano i rischi legati ai veloci cambiamenti che stanno investendo il settore orafo, dall’imponente ascesa di alcuni produttori al trattamento penalizzante delle tariffe doganali. “Le sfide che attendono le imprese italiane nei prossimi anni sono importanti - ha commentato Francesco Barberis, Presidente del Gruppo Aziende Orafe Valenzane di Confindustria Alessandria in occasione del convegno confindustriale sull’internazionalizzazione tenutosi in Gennaio a Valenza (“Esportare la Dolce Vita. Strumenti e strategie per il settore orafo”) - occorre muoversi con una visione strategica e attivarsi nel ‘fare sistema’. La qualità del Made in Italy non sarà sufficiente per vincere sui nuovi mercati se non sarà adeguatamente accompagnata da un programma di azioni efficaci dal lato della comunicazione e della distribuzione. L’analisi di “Esportare la Dolce Vita” indica che questi aspetti possono essere rafforzati grazie alla partecipazione alle fiere che, oltre a rappresentare un ottimo veicolo promozionale, si configurano spesso come una valida occasione per incontrare buyer internazionali di rilievo. E questo strumento è stato potenziato con il recente accordo tra le principali fiere del settore che prevede un coordinamento del calendario fieristico italiano e una attività promozionale congiunta per promuovere le rispettive manifestazioni”. Buona internazionalizzazione a tutti!


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di Sonia Sbolzani

WAITING FOR TTIP Oggetto di negoziato dal 2013, il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), ovvero l’Accordo di libero Scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, aprirà importanti opportunità per le aziende italiane, a cominciare da quelle orafe, e per l’economia europea in generale. Tuttavia, alcuni imprenditori ne ignorano o ne sottovalutano i benefici. Quindi cerchiamo di focalizzare meglio il tema e la straordinaria posta in gioco. Gli scambi di merci tra UE e USA costituiscono il flusso più importante del pianeta, con 2 miliardi di euro scambiati al giorno. L’instaurarsi di un’area di libero scambio tra Unione Europea e USA è volto a favorire l’abolizione dei dazi e la riduzione delle barriere non tariffarie. Ulteriori materie incluse nella trattativa sono: regolamentazione, appalti e commesse pubbliche, proprietà intellettuale e sviluppo sostenibile, sussidi, esportazioni in regime di dumping e legislazione antitrust. In tali argomenti si annidano spesso barriere protezionistiche e azioni distorsive dei commerci; e qui si concentrano massicciamente le politiche mercantili degli Stati. Secondo le stime della Commissione europea, si prevede grazie al TTIP un beneficio medio di 545 euro per famiglia europea ed un incremento del PIL comunitario dello 0,5%,

mentre per le imprese è atteso un aumento delle vendite di beni e servizi negli USA per 187 miliardi di euro. I vantaggi dell’intesa per le imprese europee discenderebbero da una barriera protezionistica “differenziale”, data dalla preferenza per i prodotti europei negli Stati Uniti e per quelli americani nell’Unione europea in seguito all’eliminazione dei dazi e degli altri ostacoli al commercio. Tale barriera equivarrebbe ad un dazio (o misura di effetto equivalente) “differenziale” sulle merci degli esportatori dei Paesi esclusi dall’accordo. Questo comporterebbe un minore prezzo per il prodotto scambiato dai membri del TTIP ed un acquisto di maggiori quantità dello stesso. Come ulteriore effetto si avrebbe un più elevato livello di produzione, di acquisti di beni strumentali e maggiori investimenti per sopperire alla maggiore domanda. Ciò, a sua volta, eserciterebbe influssi benefici su occupazione e reddito. L’effetto di compressione sui prezzi di una riduzione del prezzo degli input produttivi di importazione (e quindi anche su quelli di produzione interna) indurrebbe benefici sui redditi reali ed una minore dinamica salariale. Se fossero incluse nell’accordo la politica dei sussidi pubblici, la politica antidumping e la legislazione antitrust, si avrebbe un ulteriore “bonus”, consistente nell’eliminazione dei sussidi e della conseguente distorsione

delle scelte da parte degli operatori economici, non solo delle imprese esportatrici. Se il dazio medio degli Stati sulle importazioni risulta sovente basso, il dazio effettivo (ossia quello sulla tipologia di prodotti importati ponderata per i volumi) è spesso molto più elevato e il prodotto italiano esportato oltreoceano ricade frequentemente in questa descrizione. Inoltre, spesso il bene esportato dall’Italia è colpito da barriere non tariffarie molto importanti. Dato l’elevato peso relativo sull’export verso gli USA di moda, gioielli, meccanica, alimentari e bevande, con produzioni sensibili al prezzo ed esposte alla concorrenza asiatica, il “dazio differenziale” aiuterebbe la produzione italiana più di quanto favorirebbe quella di un Paese con produzione più differenziata o a maggiore valore aggiunto o che esporta beni a domanda più rigida. Inoltre, l’elevata incidenza dell’effetto protezionistico degli standard tecnici e della regolamentazione americana sull’export italiano porterebbe maggiori benefici differenziali per l’Italia rispetto ad altri Paesi. Vista l’elevata incidenza delle voci dell’export italiano nei campi in cui si concentrano i dazi e le barriere non doganali statunitensi, l’apertura dei mercati americani causerebbe per l’Italia maggiori benefici di quelli per altri Paesi e

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comporterebbe una barriera daziaria “differenziale” rilevante nei confronti dei Paesi che esportano negli stessi settori. La barriera protezionistica differenziale risulterebbe relativamente più efficace per la maggiore debolezza dell’Italia verso produttori come Cina e India. In definitiva, questo partenariato tra le due sponde dell’Atlantico mira a facilitare l’ingresso di grandi, piccole e medie imprese nel mercato statunitense e nei mercati extra-europei in generale, permettendo anche di ottenere con più facilità appalti pubblici, fare investimenti e importare/esportare beni dalle due aree. La facilitazione negli scambi commerciali deriverebbe soprattutto da una forte riduzione degli oneri burocratici, che attualmente implicano costi elevati per l’ingresso delle aziende nei rispettivi confini europei e americani. Per esportare merci dall’Europa agli USA, infatti, le aziende e le merci devono adeguarsi agli standard tecnici e procedurali i quali, nonostante siano per la maggior parte dei casi simili o uguali, si distinguono per dettagli rallentanti importazioni ed esportazioni, che diventano pure costose soprattutto per le piccole imprese. Molto rilevante è la possibilità, in particolare per le aziende piccole e medie, di accedere a fonti energetiche e materie prime provenienti dagli USA e dagli Stati


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da LaVoce.info www.lavoce.info/crescere-si-puo

CRESCERE SI PUò

extraeuropei con maggiore facilità rispetto al presente. Non mancano quanti “remano contro” il TTIP. I negoziati commerciali prevedono necessariamente una convergenza tra le norme che regolano l’ingresso di merci: il che ha fatto sollevare da parte di diverse associazioni di attivisti dubbi sulla possibilità che l’accordo possa tendere più ad un avvicinamento delle norme europee a quelle in vigore negli Usa che non il contrario. Persino il Financial Times ha espresso perplessità, dal momento che l’UE è costituita da troppi Stati discordanti e sensibili riguardo a particolari tematiche, in primis quella degli ogm, che rendono l’Unione Europea un interlocutore alquanto inaffidabile. Inoltre il TTIP porterebbe alla nascita di un grande mercato a se stante in contrasto con quelli emergenti di Cina, Brasile, India e Russia, dove le regolamentazioni in materia commerciale e finanziaria verrebbero decise da organismi tecnici (legati soprattutto alle grandi multinazionali con maggior potere economico e finanziario) al di sopra dei governi dei singoli Stati. Speriamo allora che gli effetti positivi dell’intesa, quando entrerà in vigore, facciano ricredere gli scettici della vigilia.

Pubblichiamo un estratto del libro “Crescere si può” in cui l’economista Francesco Daveri, intervistato da Sergio Levi, spiega come l’Italia - Paese ricco, vecchio, densamente popolato e con un sistema industriale fondato sulla piccola impresa - può riprendere la strada dello sviluppo. Il volume, pubblicato da Il Mulino (2012), appartiene alla serie de lavoce.info*

Qual è il motivo principale per cui abbiamo smesso di crescere, e per cui (plausibilmente) non potremo più tornare a crescere come in passato? Con una formula sintetica, si può dire che abbiamo smesso di crescere da quando siamo diventati un paese VERDE, vale a dire, un paese VEcchio, Ricco e DEnsamente popolato. Siamo vecchi perché già oggi 20 Italiani su 100 hanno più di 64 anni; una quota così alta di persone anziane la si trova tra i Paesi ricchi solo in Giappone. In un Paese vecchio si formano maggioranze politiche contrarie al cambiamento e all’innovazione, e senza innovazione non c’è crescita. In secondo luogo, siamo molto più ricchi di una volta: il nostro reddito pro-capite è circa il doppio di mezzo secolo fa. E in un Paese con la pancia piena diminuisce la voglia d’inventarsi (o cercarsi) un lavoro dove c’è, mentre cresce l’aspirazione a trovarselo sotto casa. (…) Infine, con i nostri 206 abitanti per chilometro quadrato, siamo anche un Paese 21

molto più densamente popolato rispetto agli altri Paesi ricchi dell’Ocse, che di abitanti per chilometro quadrato ne hanno solo 35. (…) In un Paese densamente popolato aprire un negozio o una fabbrica e realizzare un’infrastruttura diventa terribilmente complicato e costoso. E con alti costi di produzione e commercializzazione dei prodotti si fa fatica a competere nel mondo globale.

penso, se anche il governo ci desse uno stipendio mensile a titolo gratuito, ognuno di noi sarebbe portato a chiedersi: e domani cosa succede? Questi soldi che lo Stato mi regala, in che senso me li sta regalando? Poniamo che ognuno di noi riceva dallo Stato mille euro al mese per un anno. Chiediamoci che uso potrebbe farne. Difficile che vada a spenderli, sapendo che sono solo per un anno, e che stanno dando a tutti la stessa Ma se i limiti che fanno di cifra. Se penso che i soldi noi un Paese VERDE non si che ricevo oggi li devo lasciano scalfire, perché ridare all’Agenzia delle non cercare di sostenere la Entrate domani, allora crescita riducendo le tasse invece di spenderli, li o aumentando la spesa risparmio. Ma risparmiarli pubblica? In altre parole, significa metterli in perché non dare ascolto banca: in questo caso, il a quanti invocano un governo, erogando quei provvisorio allentamento soldi, starebbe facendo dell’austerità, almeno un favore alle banche e, finché dura la crisi? solo indirettamente, alle Penso che la via fiscale sia imprese. (…) una strada pericolosa, e soprattutto senza sbocchi, Quindi, in un Paese VERDE perché presuppone come il nostro la strada una crescita hard che di una crescita estensiva all’Italia ormai è preclusa. basata sulle opere Inoltre, noi Italiani siamo pubbliche è sbarrata. abituati da troppo tempo Se neanche lo Stato può a convivere con un debito aprire una via fiscale pubblico enorme; e allora alla crescita, riducendo


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se in Italia decidiamo che siamo il parco divertimenti d’Europa, la cosa potrebbe dare buoni risultati. Il nostro scopo diventerebbe costruire eliporti e altre infrastrutture che attirino turisti, i quali arriverebbero dall’America, dalla Russia, dal Qatar per fare i loro tour dei campi da golf e tornare a casa. (…) La seconda parte della risposta è che il «blocco tedesco» è forte in altri settori. E da questo punto di vista bisogna anche tenere conto dei mercati che possono aprirsi negli Stati Uniti: non credo le tasse o aumentando la in modo che i servizi di che gli Americani vorranno spesa, non ci rimane che cui l’industria ha bisogno riempirsi di frigoriferi usare meglio le risorse a costino meno. (…) tedeschi. Ciò che piace agli disposizione. Ma allora è Americani è il made in Italy. vero che le liberalizzazioni Sembra di capire che solo Se pensiamo agli Americani, sono di cruciale «restando in Europa» e solo quali sono i Paesi d’Europa importanza; molto meno contribuendo a far crescere meglio posizionati di fronte chiaro è come si suppone l’Europa potremo tornare a all’ipotesi di una più ampia che debbano funzionare. crescere in Italia. integrazione europea Le liberalizzazioni È così. Mentre la crescita (ed eventualmente euroservono, di solito, a soft (quella delle idee) è americana)? Francia e Italia. favorire l’imprenditorialità, più adatta a noi Italiani, Quali sono i Paesi d’Europa facilitando l’ingresso di che - come sempre si dice - che possono vantare un attori che hanno qualcosa siamo genio e sregolatezza, marchio Paese? Francia e di nuovo da apportare nei la crescita hard può andare Italia; e forse anche Spagna. vari settori. Sono il veicolo bene per i Tedeschi e i Noi Italiani abbiamo l’alta principale dell’innovazione. Cinesi: conviene lasciarla moda, il design, il lusso e Però, se devono far crescere a loro. Quel che possiamo l’alimentare. (…) l’economia, bisogna che sperare è che la crescita siano fatte in modo da hard che la Germania e i È per questo che ha rendere le imprese più suoi satelliti portano avanti cominciato a orientarsi competitive, soprattutto in Europa possa trainare sull’idea dell’integrazione quelle che esportano. In anche la nostra crescita euro-americana? questo contesto (detto soft, nello stesso modo in Sì, perché mi sembra fra parentesi) propongo di cui le aziende emiliane e il modo migliore per guardare all’Italia come a un venete della meccatronica aumentare la dimensione grande Paese industriale, sono trainate dal boom della torta. E noi riusciamo perché lo considero ancora delle vendite cinesi della a farlo se riusciamo ad un buon paradigma. Anche Bmw e della Volkswagen. andare in questi mercati se arranca da diversi che crescono molto, dove anni, la nostra industria Ma se l’Europa si sta però è difficile «muoversi» rappresenta ancora il 19% frammentando sul piano per le piccole aziende del nostro Pil, mentre in industriale, i benefici di italiane. C’è un numero Inghilterra rappresenta solo una maggiore integrazione interessante, che dice il 16% e in Francia il 12%. europea non finiranno per quanto è grande il Pil Non siamo come i Tedeschi, aggiudicarseli i Paesi del della Cina, dell’Europa e che sono al 26%, ma non blocco tedesco? degli Usa. Se si guardano siamo neanche messi così La risposta è in due parti. soltanto i tassi di crescita, male da questo punto di In primo luogo, dipende si trae la conclusione che vista. Ebbene, per cercare da cosa intendiamo con solo andando in Cina si di fare crescere l’industria «integrazione». Ci sono possa crescere, perché la italiana c’è una cosa che settori in cui anche noi crescita della Cina è del bisogna tassativamente possiamo portare a casa 10% l’anno. Però il Pil della fare, ed è cercare di fare qualcosa. Per esempio, Cina al momento è ancora 22

molto inferiore al Pil degli Usa e dell’Europa. Quindi un 2% di crescita in Europa e in America genera più o meno lo stesso incremento che genera un 10% in Cina: e ciò conferma che in realtà non è ancora così scontato che le aziende debbano per forza produrre in Cina, o vendere in Cina. (…) Bisogna dire che i dazi fra Europa e Usa sono già molto bassi, ed esiste un forte flusso di scambi. Pur essendo grandi aree economiche integrate al loro interno e quindi relativamente chiuse al commercio con l’estero, Europa e Usa nel 2010 si scambiavano beni per 410 miliardi di dollari, con l’Ue che esportava in Usa beni per 240 miliardi di dollari e ne importava dall’America per 170. (…) In altre parole, esiste già un commercio di beni e prodotti abbastanza simili fra i Paesi più ricchi d’Europa. Ebbene, potremmo fare lo stesso con gli Stati Uniti se ci fossero meno vincoli, e in particolare se ci fossero meno barriere non tariffarie. Ci sono grandi possibilità d’integrazione, che finora non sono state sfruttate. Le «barriere» da abbassare interessano vari settori, dalle assicurazioni ai servizi alle imprese, dal manifatturiero agli alimentari. Il senso di tutto questo è che possiamo (solo) vincere stando con i vincenti; anche se non siamo noi che trainiamo il carro in prima persona.

Nata nel 2002 come periodico online nell’ambito dell’informazione economica e politica, la testata web lavoce.info mira a proporre analisi indipendenti di fatti e notizie, al servizio di quanti accettano di misurarsi senza pregiudizi su temi riguardanti la vita politica ed economica del Paese.

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CULTURA

di Sonia Sbolzani

ACCESSORI SACRI L’uso di materiali preziosi nel culto divino è attestato dalla Bibbia stessa, che nel libro dell’Esodo narra di come Mosè abbia ordinato agli Israeliti la costruzione del tempio: l’ispirazione gli venne direttamente dal Signore, unitamente a puntuali prescrizioni sull’abbigliamento dei sacerdoti e sull’arredo sacro. Si legge infatti (v. La Sacra Bibbia - Esodo 35, CEI): Mosè disse a tutta la comunità degli Israeliti: “Questo il Signore ha comandato: Prelevate su quanto possedete un contributo per il Signore: oro, argento e rame, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelli di montone tinte di rosso, pelli di tasso e legno di acacia, olio per l’illuminazione, balsami per unguenti e per l’incenso aromatico, pietre di onice e pietre da incastonare nell’efod e nel pettorale” (1).

scolpire il legno e compiere ogni sorta di lavoro ingegnoso. Quindi, gli oggetti preziosi nel tempio tornano a duplice gloria del Signore, sia perché offertigli dal suo popolo in segno di onore sia perché prodotti dagli uomini a cui egli ha attribuito il talento.

brillare splendidamente.

Anche nel Cristianesimo i materiali che denotano rarità e ricchezza, lungi dal simboleggiare vanità e materialismo, hanno potuto caricarsi di un forte significato mistico, come lo scrittore francese Paul Claudel ha efficacemente spiegato in “La mistica delle pietre preziose” (2). Claudel, basandosi sul principio per cui ogni essere vivente ha una sua luce, individua la “grande luce” che ha originato il mondo nella pietra bianca di cui parla l’Apocalisse, incisa dall’alpha e dall’omega. Si tratta del diamante (dal greco adamas, E dinanzi a tutte le generose indomabile), gemma che offerte, Mosè riconosceva rappresenta Dio stesso, in l’abilità e la sapienza del suo grado di soddisfare l’anelito popolo, doni divini (v. La Sacra umano al trascendente, Bibbia - Esodo 35, CEI): elevando ogni cosa verso Vedete, il Signore ha chiamato l’infinità spirituale. Quindi, per nome Bezaleel, figlio di Uri, la luce del diamante è come figlio di Cur, della tribù di Giuda. la luce di Dio nascosta in L’ha riempito dello spirito di interiore homine e Cristo è Dio, perché egli abbia saggezza, il modello di perfezione che intelligenza e scienza in ogni l’uomo deve raggiungere. E genere di lavoro, per concepire come l’uomo necessità di Dio progetti e realizzarli in oro, per migliorarsi, così il diamante argento, rame, per intagliare grezzo ha bisogno dell’uomo le pietre da incastonare, per per essere sfaccettato e

La stessa Gerusalemme Celeste descritta da Giovanni nell’Apocalisse ha per base il diamante e altre undici gemme come bastioni, le stesse citate dal libro dell’Esodo come decorazione del pettorale del Sommo Sacerdote. Secondo la cabala, esse simboleggiavano anche i dodici attributi di Dio: diaspro ossia il Dio Vivente, zaffiro ossia l’Occhio di Dio, rubino ossia l’Onnipotente, smeraldo ossia il Magnifico, sardonica ossia il Re, corniola ossia Colui che Tutto Può, crisolito ossia il Padre, berillo ossia Io Sono Quello Che Sono, topazio ossia il Benefattore, onice ossia il Signore, agata ossia il Forte, ametista ossia il Creatore. Per Claudel, in particolare, l’anima è come la perla, porta d’ingresso alla Gerusalemme celeste dell’Apocalisse, dove la Vergine medesima è definita Porta Orientale (anche nel Cantico dei Cantici la sposa è assimilata ad una perla nera di grande bellezza). Simile alla perla figlia del mare, l’anima non ha altro valore che la sua perfezione intrinseca, derivante dalla purezza e lucentezza. L’uomo, quindi, deve ascoltare il suo io più profondo per aspirare al Regno dei Cieli. Parimenti, i metalli preziosi con i loro bagliori sono il riflesso della luce di Dio:

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questa sacralità si lega al loro essere incorruttibili, quindi sfuggenti alla dimensione terrena, simboli di immortalità e dell’aspirazione umana a sublimarsi. Mircea Eliade in “Arti del metallo e alchimia” ha sottolineato come la lavorazione dei metalli sia proprio il coronamento della fede, rendendo l’uomo fiducioso e orgoglioso di poter collaborare con la natura (dunque con Dio) per mezzo del suo lavoro. Con la desacralizzazione della società, che ha portato alla perdita delle valenze simboliche di gemme e metalli, sono subentrati i meri apprezzamenti delle qualità estetiche e dei valori economici. (1) L’ efod era una sorta di scapolare indossato dal Sommo Sacerdote, sostenuto da una cintura e da bretelle, mentre il pettorale, chiamato anche razionale, era una borsa quadrata pendente sul petto: il Sommo Sacerdote Aronne, fratello di Mosè, nelle occasioni solenni portava un pettorale trapuntato di 12 gemme - tante quante le tribù d’Israele - da cui traeva le risposte alle questioni più importanti mediante tecniche divinatorie dette Urim e Tummin. (2) L’opera (ispirata a Claudel nel 1929 dal conferimento della Legion d’Onore al celebre gioielliere Pierre Cartier) fu concepita analizzando i classici testi del vescovo Marbode (XI secolo), autore del Liber Lapidum seu de gemmis, e del gesuita Cornelio a Lapide (XIV secolo), che redasse i Commentari sulla Sacra Scrittura.


GEMMOLOGIA

GEMME d’estate L’estate porta con sé la voglia irresistibile di colore, “vitamina” per la mente che tonifica il corpo. Così, la bella stagione per eccellenza induce a cercare il sole anche nell’abbigliamento e negli accessori, gioielli compresi. Ecco, allora, il desiderio di riscoprire gemme sorprendenti per ricchezza cromatica e trasparenza,

tanto da evocare la suggestione di un prisma iridato. Possiamo dunque accostarci al mondo fascinoso di due pietre non propriamente considerate preziose (semmai semi-preziose), ma che incontrano sempre più il favore degli estimatori di cose belle. Sono il crisoberillo e la tormalina.

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1. Tormalina rosa | 2. Crisoberillo gatteggiante | 3. Tormalina | 4. Crisoberillo giallo

Anzi, le tormaline. Si tratta, infatti, di un ampio gruppo di specie mineralogiche appartenenti alla classe dei silicati: ricordiamo, fra le tante, le brune buergerite e dravite, la verde scura dravite cromifera, la nera dravite ferrifera, la verde-rosa elbaite, la bruno-verde-rosa liddicoatite, la viola siberite, l’azzurro-verde indicolite, la rosso porpora rubellite, le bruno-nere olenite ed uvite.

di lana, esse da un’estremità attiravano pezzetti di carta, dall’altra li respingevano. Solo più tardi il singolare comportamento delle tormaline venne classificato come piroelettricità, tipico di quei cristalli la cui struttura reticolare si presenti priva di centro di simmetria e disponga di un asse polare.

La tormalina è un minerale accessorio di numerose rocce magmatiche e Sono state rinvenute tormaline metamorfiche, trovandosi di tutti i colori, dovuti sia alla pertanto diffusamente presenza di elementi nella sulla Terra. I giacimenti più formula chimica che a loro consistenti sono comunque semplici tracce, e bisogna ubicati in Afghanistan, rilevare che pietre con tinte Brasile (particolarmente negli pressoché simili possono Stati di Paraiba e di Minas originare da composizioni Gerais), Russia, USA, India, differenti. L’elemento di base Myanmar ed in diversi Paesi comune a tutte è però il boro. africani. Oltre che in qualità L’assenza di sfaldatura e la di apprezzato materiale buona resa del taglio hanno decorativo, la gemma in decretato negli ultimi secoli esame trova ampio utilizzo un crescente successo pure in alcune applicazioni per queste gemme che industriali come la produzione raggiunsero il continente di manometri ad elevata europeo con una propria pressione e di pinzette definita identità solo ai polarizzanti. primi del 1700 a bordo di un vascello olandese carico In gioielleria e nel di tè e spezie proveniente collezionismo il primato da Ceylon. I naturalisti del gradimento se lo dell’epoca appassionati di aggiudicano le tormaline magnetismo si accorsero che, policrome e gatteggianti, riscaldando o strofinando le ma assai richiesti sono nuove pietre con un panno inoltre i rari esemplari dotati 24


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dello straordinario effetto alessandrite (verdi alla luce del Sole o di lampade a fluorescenza e rosse con la luce ad incandescenza). Un’altra proprietà ottica poco nota di queste pietre, sfruttata con sapienza dai tagliatori, è il cosiddetto pleocroismo che si osserva, ad esempio, girando tra le mani una sfera ottenuta da una tormalina colorata: si rileverà così che in una direzione il colore diventa più scuro, in altre più chiaro. Nell’antichità le leggende hanno fatalmente avvolto anche le tormaline, come la spiegazione della sua genesi dall’urina seppellita delle femmine di lince o la sua nomea di afrodisiaco. Il termine tormalina deriva comunque dal singalese “turamali”, che significa “qualcosa di piccolo proveniente dalla terra”.

cambiamento di posizione. Il primo ad intuire questo singolare fenomeno, di cui è responsabile l’inclusione di finissime fibre parallele (che si evidenziano tuttavia anche in qualunque altro minerale che inglobi minuscole fibre con la corretta disposizione), fu nel Settecento il gioielliere francese Antoine CaireMorand.

Il nome di crisoberillo (dal greco chrysos, dorato) venne comunque attribuito ufficialmente a questa pietra, che è un ossido di berillio ed alluminio, dal famoso mineralogista tedesco Abraham Gottlob Werner. Per quanto riguarda in particolare la varietà denominata alessandrite, essa fu scoperta negli Urali nel 1834 dall’ispettore minerario finlandese Nils Nordenskioeld e subito lasciò E dall’isola di Ceylon (odierno tutti stupefatti ed ammaliati Sri Lanka) furono appunto gli per la metamorfosi del colore Olandesi, come visto poco dal verde-smeraldo al rossosopra, ad avviare il fortunato lampone in virtù della luce. commercio in Europa di tali Questa gemma “arcobaleno” gemme. venne così battezzata in onore del futuro zar Passiamo poi alle meraviglie russo Alessandro II. dorate del crisoberillo, la All’origine di questo evento pietra gatteggiante per fenomenico, noto come eccellenza, anch’essa oggi metamerismo o cangianza proveniente per lo più dallo (o, più semplicemente, Sri Lanka nelle sue diverse effetto alessandrite), vi è varietà. Ma si rinviene altresì una modesta percentuale in Brasile, Madagascar, di cromo. Va comunque Zimbabwe, Zambia, Namibia, precisato che il vocabolo Russia, Myanmar. Tra le specie crisoberillo lo si trova già più diffuse menzioniamo: citato dal naturalista e il crisoberillo aureo (di letterato romano Plinio il tonalità gialla intensa), la Vecchio (I secolo d.C.), ma ricercatissima alessandrite egli si riferiva in realtà a di colore cangiante (verde berilli gialli, impiegati a scopo alla luce naturale e porpora ornamentale. A Ceylon, invece, alla luce artificiale ad la gemma veniva di preferenza incandescenza), occhio di usata come amuleto per gatto (giallo o verde con il esorcizzare gli spiriti maligni. celebre effetto ottico). Infine, un particolare curioso: Da sempre a focalizzare su di la più grossa pietra di questa sé l’attenzione è naturalmente specie, verde-giallastra e di l’occhio di gatto che mostra origine singalese, pesa 245 nel mezzo una sottile linea carati; mentre il pezzo più luminosa che ricorda le noto è il magnifico grezzo di pupille del felino domestico, alessandrite con dimensioni gemma impressionante per 25 x 15 centimetri, conservato la sua vivacità, poiché tale presso il Museo Fersman di linea pare spostarsi ad ogni Mosca. 25

Anello con Rubellite (oltre 50 carati)

VIVA IL COLORE In un suo recente bollettino (Top of mind, January 14, 2016), Bill Boyajian, autorevole Presidente del Gemmological Institute of America (GIA) dal 1986 al 2006 ed ora consulente di business, stigmatizza quei gioiellieri che nei loro assortimenti inseriscono poche o nulle pietre di colore. Invece, dovrebbero puntare maggiormente su di esse e ciò fondamentalmente per 8 motivi: Le pietre di colore sono bellissime, attraenti, mistiche e intriganti: in vetrina danno un tocco di glamour. Distinguono i gioiellieri che le propongono rispetto ai rivali. Fanno “brillare” i commercianti, nel senso che richiedono conoscenza e sensibilità da parte loro e quindi li pongono in ottima luce nei confronti dei clienti, che così accrescono la loro fiducia in essi. Strizzano l’occhio alla moda e quindi ai clienti più attenti al fashion, desiderosi di essere sempre “in” anche negli accessori preziosi. Il colore è fruibile 24 h su 24, perché si adatta a qualsiasi occasione sia di giorno sia di sera. Le gemme di colore hanno una storia e una tradizione lunga da raccontare (molto più lunga di quella dei diamanti) e i clienti sono affascinati dal loro mondo favoloso. Tali pietre sono un eccellente complemento dell’abbigliamento, aggiungendo un quid speciale focalizzato sul colore. Infine - stimolo non da poco - possono assicurare ai gioiellieri un buon margine di profitto. Pertanto, le gemme di colore sono un’opportunità che attende di essere sfruttata meglio sia dai gioiellieri sia dai consumatori finali. Fateci un pensierino!


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LA DIFFERENZA C’è

Tommaso Mazza

Tommaso Mazza, Presidente di Assocoral, fa una doverosa distinzione tra i coralli di barriera, fragili e non adatti alla lavorazione, e i coralli di profondità, che vengono utilizzati in gioielleria.

È scorretto porre sullo stesso piano il corallo utilizzato in gioielleria e quello delle formazioni coralline, che in verità non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro. È pur vero comunque che gli zoologi li inseriscono nello stesso gruppo (Cnidari) e nella stessa classe (Antozoi), anche se i coralli delle barriere tropicali sono madreporari e risiedono in acque superficiali, mentre il corallo utilizzato in gioielleria è un gorgonaceo, appartenente alla famiglia delle Gorgonie (pescato su fondi rocciosi a 10-15 m di profondità e oltre). Le 5 specie di corallo utilizzate in gioielleria, perché adatte per le loro caratteristiche di durezza e compattezza, sono: CORALLIUM RUBRUM, JAPONICUM, ELATIUS, SECUNDUM, KONJOI. Nessuna proviene da barrire coralline.

Le immagini sono state gentilmente fornite da Assocoral

come vengono a volte impropriamente indicate le 4 specie provenienti dall’Oceano Pacifico, presenta invece colorazioni che vanno dal rosso intenso del corallo moro giapponese - L’AKA - fino al rosa pallido del famoso pelle d’angelo - IL BOKÈ - passando per l’arancio del CERASUOLO e il bianco rosato del DEEP SEA o del MISSU. Lo si trova anche a profondità notevoli: fino a 1000-1500 metri di profondità; da qui la denominazione di una varietà di questi coralli DEEP SEA CORAL (corallo di mare profondo). Le denominazioni in maiuscolo indicano nomi commerciali comunemente utilizzati dagli addetti ai lavori così come detto per il CORALLO MEDITERRANEO.

Puntualizza Tommaso Mazza, recentemente riconfermato alla presidenza di Assocoral per il triennio 2016-2018: “I coralli utilizzati in gioielleria - sia quello del Mediterraneo Il Corallium rubrum, sia le altre 4 specie presenti è diffuso in tutto il Mar nel Pacifico - non sono coralli Mediterraneo. Comunemente di barriera. Delle circa 1200 noto come Corallo Sardegna o specie esistenti di coralli appunto Corallo Mediterraneo, soltanto 5 sono lavorabili lo si trova fino a 200 metri di e nessuna di esse proviene profondità ed è generalmente dalle barriere coralline. Sono di colore rosso con tonalità più coralli di profondità. o meno chiare a seconda della Del resto i coralli di barriera zona di provenienza. hanno caratteristiche non Il “corallo giapponese”, adatte alla lavorazione. A 26

volte usati come souvenir per turisti, sono troppo friabili e non adatti all’uso in gioielleria, e in più sono protetti da rigidissime norme che ne vietano il prelievo. Questo però non è sempre ben chiaro e anzi viene spesso strumentalizzato. Negli ultimi tempi soprattutto è aumentata l’attenzione e la coscienza per i problemi ambientali e le ripercussioni sul nostro comparto possono essere notevoli se veniamo accomunati a condotte sempre più condannate dalla comunità. Pertanto ribadisco che i coralli di barriera non sono utilizzati e utilizzabili in gioielleria, e per altro ne è vietata completamente la “pesca” e la commercializzazione. Ben altro discorso per i coralli preziosi di profondità, quelli che noi preleviamo e lavoriamo per uso commerciale. Il prelievo di questi ultimi è consentito ed è regolamentato da specifiche norme legislative, esistenti ormai da anni nella nostra regione Sardegna, e diffuse ormai in tutto il Mar Mediterraneo, grazie alle quali il mondo scientifico ha potuto affermare, negli ultimi anni, che queste specie di coralli non sono a rischio di estinzione, perché


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Qui sotto un momento della conferenza tenuta il 17 Maggio presso l’istituto Italiano ad Osaka sugli orafi napoletani dall’800 ad oggi, la famiglia Castellani e i Micromosaici Romani e Fiorentini. Yoriko Iwata, esperta di micromosaici con Alfonso Vitiello.

adeguatamente protette e tutelate. Noi stessi siamo impegnati in prima linea, come Associazione, per assicurarne un uso sostenibile, sotto il controllo di un’agenzia FAO, la GFCM. Intendo per uso sostenibile pratiche di raccolta che assicurino nel tempo la possibilità di avere sempre a disposizione materia prima che alimenti il nostro artigianato. Come si può facilmente intendere, la nostra categoria è prioritariamente interessata a perché ciò avvenga. Pena la scomparsa stessa del settore. Medesimo discorso per i nostri colleghi giapponesi, che nei loro mari in accordo con le norme emanate dalle loro autorità competenti si adoperano per lo stesso fine comune. In definitiva, tutti i coralli utilizzati nella lavorazione, artigianale e non inquinante, sono di profondità, non sono a rischio di estinzione e non vanno confusi con quelli delle barriere coralline che non sono assolutamente utilizzati nelle nostre lavorazioni”.

di Alfonso Vitiello

Le meraviglie dei

micro mosaici Le prime testimonianze di un mosaico a tessere a Roma risalgono alla fine del III secolo A.C. Il mosaico è composto da piccoli frammenti, detti tessere, più o meno regolari; a seconda del loro impiego si utilizzavano svariati materiali quali pietre, terrecotte, vetro, smalto, etc... disposti uno accanto all’altro e fissati da malte e mastici.

è una tecnica che riprende l’antica arte dell’opus sectile. Derivante dal latino committere (mettere, unire), indica le opere d’arte tagliate e sagomate. Nel 1588 grazie a Ferdinando I de’ Medici la tecnica viene perfezionata con l’istituzione dell’Opificio delle Pietre Dure. Le tecniche di lavorazione sono rimaste invariate dalla fine del 1500 ad oggi. Il Micromosaico Romano invece è iniziato nel tardo Nel periodo Imperiale ‘700 ed è considerato una avanzato, il mosaico conobbe forma di arte minore che le sue espressioni più alte, utilizza materiali vitrei e riconoscibili nei ritrovamenti lapidei non preziosi. archeologici. Tra la fine del ‘700 e la Nel 1727 viene istituito metà dell’800 l’Italia viene lo Studio Vaticano del inserita nel GRAND TOUR, Mosaico. I mosaicisti vaticani fenomeno dei viaggiatori, disponevano di circa 28000 che pur di rientrare in varietà di colore. Patria con un pezzo del Il Commesso Fiorentino o nostro Paese, acquistavano meglio il Mosaico Fiorentino e commissionavano 27

micromosaici. I soggetti più richiesti furono monumenti dell’antica Roma: vedute, ricordi di vita di genere, animali, fiori e piante italiane. Queste cose stupivano ed affascinano i viaggiatori per la precisione del disegno, la tonalità dei colori e l’armonia della composizione. Tra gli innumerevoli artigiani di spicco presenti a Roma si contano le opere della famiglia orafa Castellani che si distingue dalla normale produzione. Il fondatore Fortunato Pio Castellani iniziò la sua attività nel cuore dell’urbe dando vita ad un innovativo stile di gioielli. Un nuovo design ecclettico venne ideato con i micromosaici montati in oro puro dalle mani esperte dei Fratelli Castellani.


Come sempre, l’Istituto Gemmologico Italiano è il punto d’ incontro della Gemmologia. La formazione gemmologica, ormai strategica per orafi, è il cuore dell’attività IGI ecco il calendario per i prossimi mesi con numerosi corsi da non perdere!

Corsi SEDE DI MILANO CORSO SULLE PERLE (1 modulo - 30 ore totali) 11 luglio 2016 CORSO SUL DIAMANTE (5 moduli - 150 ore totali) 12 settembre 2016 SEDE FORMATIVA DI ROMA CORSO SUL DIAMANTE (5 moduli - 150 ore totali) 19 settembre 2016 CORSO SULLE GEMME DI COLORE 1° LIVELLO (3 moduli - 90 ore totali) 26 settembre 2016 C/O CENTRO ORAFO IL TARÌ CORSO SUL DIAMANTE (5 moduli - 150 ore totali) 03 ottobre 2016 SEDE FORMATIVA DI VALENZA in programmazione SEDE FORMATIVA A CATANIA in programmazione

Giornate di aggiornamento SEDE DI ROMA NOVITÀ GEMMOLOGICHE - 11 luglio Relatore Prosperi Loredana Partecipazione gratuita rivolta a Diplomati e Gemmologi. Orario 9:30 - 12:30 Queste giornate sono aperte anche ai non soci con un costo di 50,00 euro + IVA ad incontro. Titolo rilasciato Attestato di Partecipazione.

Esercitazioni ed esami FEEG SEDE DI MILANO ESAME TEORIA E PRATICA - 05 luglio ESERCITAZIONI PRATICHE - 26-30 settembre ESAME TEORIA E PRATICA - 11 ottobre Partecipazione rivolta ai Gemmologi Costo esame 300 € Orario 9:00 - 12:30 / 13:30 - 16:00 Titolo rilasciato Diploma FEEG

Per informazioni e prenotazioni chiamaci! Tel. 02 80 50 49 92 | e-mail: info@igi.it | www.igi.it


Federpietre Informa // GEMMOLOGIA

Assemblea dell’Istituto Gemmologico Italiano Si è svolta a Milano il 22 Maggio scorso l’annuale Assemblea dei Soci dell’Istituto Gemmologico Italiano (IGI), che tradizionalmente assume il carattere di una partecipata kermesse con momenti ad alto tasso emotivo.

In questa occasione, in particolare, è stata conferita la qualifica di Socio Onorario alla Signora Rosa Maria Bresciani Buccellati per il legame speciale da lei instaurato con l’Istituto, sulla scia dello storico rapporto avviato con esso

dal compianto Gianmaria Buccellati, che di IGI fu Presidente per molti anni e, da ultimo, ne divenne Presidente Onorario. Nella fattispecie, alla Signora Rosa è stato riconosciuto di avere confermato e valorizzato il sodalizio con

la costituzione del fondo “Progetto Sviluppo e Ricerca Gianmaria Buccellati”, concepito per contribuire sensibilmente al progresso degli studi gemmologici e della ricerca scientifica, all’insegna della missione fondativa dello stesso IGI.

L’opale di Cober Pedy

Nell’affascinante racconto di un reporter a IGI ROMA

“L’unico motivo per cui si veniva e si viene qui, in mezzo al nulla, è l’opale, miraggio ed ossessione per tutti. Il modo migliore per decidere in quale punto scavare? Tirare un cappello in aria e vedere dove atterra...” Federico Geremei, reporter e data scientist per testate italiane ed internazionali, ha vissuto

in diretta l’affascinante mondo della ricerca dell’opale e delle storie avventurose che ruotano attorno a questa gemma e ai luoghi di estrazione. Nello scorso maggio IGI Roma ha organizzato un suo interessante intervento di aggiornamento sull’opale nobile australiano di Coober Pedy, la località storica e

di maggiore estrattività di questa gemma. Coober Pedy è una cittadina di circa 1600 abitanti nello stato dell’Australia Meridionale, situata in un’area desertica a circa 850 chilometri nord di Adelaide, e viene definita “capitale mondiale dell’opale”: il minerale è stato trovato in questa zona nel febbraio del

1915 e da allora continua a fornire, con 70 campi di estrazione, la maggior produzione di opale al mondo. Da 100 anni qui arrivano pionieri e cercatori da tutto il mondo. La particolarità di questa città è che i suoi abitanti vivono per la maggior parte sottoterra per sfuggire al calore del giorno e al freddo della notte.

TRASPARENTE come un diamante Fascino e Business È il titolo dell’incontro in programma per domenica 4 Settembre 2016 in ambito di VICENZAORO September, Sala 7.1.2b., dalle ore15 alle ore 17. La gemma per eccellenza verrà analizzata sotto i punti di vista scientifico, commerciale, economico,

da operatori del settore: Loredana Prosperi e Andrea Zullino dell’Istituto Gemmologico Italiano; Marcello Manna, operatore a Milano e ad Anversa; i gioiellieri Daniele Oldani dell’Associazione Orafa Lombarda, Massimo Cicala di Genova, Fulvio Pertica

di Torino, e dirigenti della Borsa Diamanti. Coordinatore e conduttore Steven Tranquilli, Direttore Federpreziosi Confcommercio. Organizzato da Federpreziosi, IGI e Fiera di Vicenza con il patrocinio di Federpietre, Associazione 29

Italiana Gemmologi e CIBJO, l’incontro sarà occasione per presentate un’analisi appositamente realizzata su un campione significativo di consumatori, che ha come oggetto: conoscenza, opinioni e aspettative in tema di investimenti in diamanti.


Federpietre Informa // IL PUNTO DI VISTA

MAGGIORE DIALOGO CON IL DETTAGLIO

Il punto di vista

Il Club degli Orafi Italia è un think-tank che accoglie alcune tra le aziende italiane più significative del settore, selezionate per i valori imprenditoriali ed etici che le contraddistinguono. Al fine di assicurare un clima di cordialità e informale amicizia, l’ammissione al Club è soggetta all’ approvazione dei soci. La sua “Mission” è di Essere il punto di riferimento dell’Intelligenza Italiana per tutta la filiera orafa, promuovendo la crescita culturale ed economica degli associati, attraverso momenti di incontro, divulgazione e condivisione di ricerche, eventi, idee, strategie.

Ci tengo molto, in particolare, ad allargare il dialogo con il dettaglio che molto ha sofferto in questi anni di difficile congiuntura economica: con la sua grande diffusione territoriale rappresenta un patrimonio da valorizzare per la storia unica di servizio e attenzione al cliente che va preservato e riproposto anche ai giovani come un’occasione di possibile impiego e sviluppo professionale. In effetti il settore orafo ha registrato nel 2015 un miglioramento nel fatturato (+3,8%) rispetto all’anno precedente. La spinta è arrivata, ancora una volta, dai mercati esteri con un incremento dell’8,8%. Il mio obiettivo, come Presidente, Nonostante un contesto molto è continuare il lavoro dei miei complesso, a volte difficilmente predecessori nella comunicazione leggibile e prevedibile, continueremo e affermazione della “Intelligenza a essere resilienti e desideriamo Italiana” del gioiello (stile, cultura, contribuire alla rigenerazione del artigianalità, mestiere). Punto centrale settore. del Club è la valorizzazione del patrimonio culturale in tutta la filiera Siamo ottimisti per il 2016 e sicuri orafa, intervenendo con momenti di della forza della nostra tradizione del incontro quali workshop e sessioni Made in Italy i cui valori di eccellenza formative, utili ai fini di implementare come l’artigianalità, mestiere, stile, la cultura imprenditoriale con quella cultura vanno comunicati. Siamo più manageriale. Partendo dalla fieri del modello manufatturiero e di convinzione che la piccola dimensione, commercializzazione del gioiello che è tipica della maggioranza delle imprese uno dei settori più rappresentativi del orafe italiane, costituisce oggi un Made in Italy nel mondo. elemento di forte vulnerabilità, il Club si propone di supportare i soci Per portare avanti tali progetti il Club nell’individuare nelle P.M.I. quelle best si avvale di un network che comprende practice indispensabili a garantirne osservatori di eccellenza quali quelli la continuità. Il programma del del Politecnico di Milano, il centro Club comprende attività formative studi economici di Banca Intesa trasversali rivolte a tutte le aziende Sanpaolo, testate giornalistiche di per favorire l’incontro nella filiera e settore a cui si aggiungono quelle di alleanze tra i diversi attori unitamente indirizzo economico-finanziario. ad attività mirate a categorie specifiche, quali quelle di interesse dei Gabriele Aprea fabbricanti o dei dettaglianti. Presidente Club degli Orafi Italia 30


MAINO DIAMANTI

MAINO Sas Via Curtatone, 11 - 20122 Milano Tel. +39 02 5466375 - Fax +39 02 55014924 E-mail: mainodiamanti@mainodiamanti.it

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