06 16 lettera circolare di auguri per pasqua

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PROVINCIA DI MARIA PRESENTATA AL TEMPIO REGIONE PIET il Superiore regionale

Prot. DGD 06/2016

Recanati 18/03/2016

Oggetto: Lettera circolare di auguri per una santa Pasqua: Contemplate.

Carissimi confratelli, carissime sorelle e amici laici della famiglia passionista, spero abbiate trascorso una buona quaresima e che la prossima celebrazione della Pasqua vi colga ben preparati e generosi nel servizio ai fratelli più bisognosi. Al termine dell’Anno per la vita consacrata abbiamo avuto in dono la terza lettera della Congregazione IVC-SVA dal titolo Contemplate. Meditando la medesima ho potuto fare il ritiro mensile in alcune delle nostre comunità e con le nostre consorelle monache di Loreto. Il testo è ricco della tradizione contemplativa di tutta chiesa e offre spunti importanti per la spiritualità passionista. Qui ve ne ripropongo alcuni, proprio mentre la Pasqua ci fa rivivere il Mistero dell’amore di Dio. Contemplate è una lettera tutta dedicata alla contemplazione. Lo scopo che ci propone è quello di: «interrogare la dimensione contemplativa dei nostri giorni, per riconoscere il mistero di grazia che ci sostanzia, ci appassiona, ci trasfigura» (7). Le parole di papa Francesco accompagnano il testo e invitano «a rivolgere lo sguardo della nostra vita a Gesù ma anche a lasciarci guardare da Lui per riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Ci invita ad allenare lo sguardo del cuore perché l’amore autentico è sempre contemplativo» (8). Mirabilmente è richiamato anche il valore testimoniale della contemplazione. «È questo il compito affidato alla vita consacrata: testimoniare – in questo nostro tempo – che Dio è la felicità. Fissare in Lui lo sguardo e il cuore ci permette di vivere in pienezza» (22). Il testo si riferisce sempre ai consacrati in quanto dediti totalmente a Dio ma, per estensione, certamente comprende pure ogni persona veramente abitata da Dio per la consacrazione battesimale. Così infatti conclude con riferimento al nostro tempo: «La grande sfida è la capacità di continuare a vedere Dio con gli occhi della fede, in un mondo che ne ignora la presenza» (26). È il compito di ogni cristiano.

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Seguendo i temi del Cantico dei Cantici, interpretati nella chiave allegorica tradizionale dell’amore di Dio per Israele, di Cristo per la Chiesa, la via della contemplazione passa per la dimensione del cercare: «Per le strade e per le piazze voglio cercare l’amato del mio cuore. Avete visto l’amore dell’anima mia?» (Ct 3, 2-3). È la notte che ostacola la visibilità e l’incontro. È una notte che è metafora dell’impedimento degli uomini e delle donne del nostro tempo di entrare nel mistero, ciò innanzitutto a causa della cultura edonista e consumista imperante. Perciò la ricerca è in primo luogo purificazione: «La vita cristiana esige e comporta una trasformazione, una purificazione, un’elevazione morale e spirituale dell’uomo; esige cioè la ricerca, lo sforzo verso una condizione personale, uno stato interiore di sentimenti, di pensieri, di mentalità ed esteriore di condotta, e una ricchezza di grazia e di doni che chiamiamo perfezione» (41). L’estraneità dal divino, che caratterizza la vita secolarizzata della società, può toccare talvolta anche la vita consacrata e la vita dei fedeli laici. Pensiamoci e purifichiamoci. È necessario esaminarsi nelle motivazioni per verificare se veramente si cerca Dio. Molte altre motivazioni possono infatti offuscare questa prima essenziale verità. Dio per primo ci ha cercati ma può accadere a noialtri che «la rinuncia a cercare faccia tacere in noi la voce che chiama a compimento. Può accadere di fermarsi a godere di splendori che abbagliano, appagati del pane che sazia la fame di un giorno. […] Può accadere che l’orizzonte si restringa, mentre il cuore non attende più colui che viene» (46). Dio però non rinuncia. Continua a cercarci fino alla fine. Altre dimensioni della notte, dell’assenza di Dio, sono comunque possibili. «L’amore, esperienza che trasforma e non incontro effimero e breve, chiama a vivere la possibilità dell’assenza dell’amato e a volte l’esilio, la rottura, la separazione» (47). Lo stesso può accadere in relazione al desiderio di Dio. «Dio è invisibile, è sempre al di là di tutto, la nostra ricerca di lui non è mai compiuta, la sua è una presenza elusiva» (48). Di fronte al Dio che dunque non si lascia mai afferrare completamente: «La nostra ricerca è chiamata all’umiltà poiché riconosciamo in noi stessi degli “atei potenziali”, sperimentiamo la difficoltà di credere, riconosciamo in noi quella superbia autosufficiente e, a volte, arrogante che ci separa dagli altri e ci condanna. Ricercare Dio chiede di di fede che sappia fermarsi davanti all’oscurità del dubbio, senza la pretesa di offrire soluzioni ad ogni costo. La fede vissuta ci permetterà di testimoniare Cristo con il linguaggio umile di chi ha imparato ad abitare la notte e a viverne le domande» (49).

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attraversare la notte e anche di permanervi a lungo. Di scoprire la forza e la bellezza di un cammino


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Data questa permanenza, ecco che numerosi sono i frutti della notte. Innanzitutto «la vita acquista direzione, senso, mentre giorno dopo giorno, preghiera dopo preghiera, prova dopo prova, si compie il pellegrinaggio verso la risposta definitiva, verso il riposo e la quiete, verso la pace dell’anima» (50). In un mondo senza senso averne uno può significare molto per molti. Non manca poi un frutto della notte anche nel confronto con le mode odierne, in particolare con il buddismo. «Nel nostro tempo, segnato da fragilità e insicurezze, la contemplazione potrebbe essere ricercata senza radicamenti nella fede, unicamente come “luogo” di quiete, di riposo, come spazio emotivo, come appagamento di una ricerca di sé che elude impegno e sofferenza. La Parola di Dio, la lettura di alcune esperienze di santità, attraversate dal dolore e dalla “notte della fede”, ci aiutano ad evitare la tentazione di evadere dalla durezza del cammino umano» (50). Ultimo. Non poteva mancare il frutto della speranza. «La notte, simbolo oscuro e cupo, diventa immagine carica di speranza all’interno della spiritualità biblica e cristiana. La storia dello Spirito è impastata nella notte che prepara il giorno radioso e splendido, il giorno della luce» (51). Un tema certamente pasquale di morte e risurrezione, tenebre e luce. Ci è indicata l’esperienza della notte oscura dei mistici, san Giovanni della Croce e anche la nostra santa Gemma Galgani, per i quali camminando e ricercando «la tenebra diventa il luogo dell’amore provato, della fedeltà e della misteriosa vicinanza di Dio» (52). Chiediamo dunque al Signore di poter essere anche noi dei contemplativi che non si stancano di cercare, contemplativi che sanno vivere la prova, sanno riconoscerla e amarla con umiltà. Altra dimensione evidenziata è quella del dimorare nella contemplazione. Un dimorare, permanere, che assume diversi significati e innanzitutto quello della lode. Dopo la ricerca, il Cantico dei Cantici celebra infatti l’incontro con l’amato e da esso fa scaturire la lode. «L’amore diventa un dialogo continuo e vivace che coglie la bellezza e la celebra. La lode dello sposo: quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! (Ct 1,15) è seguita da quella della sposa: Come sei bello, amato mio, quanto grazioso! (Ct 1,16)» (59). «All’amato non si può resistere, perché l’amore è una realtà ineluttabile e forte da potersi paragonare alla morte (Ct 8,6), è una realtà dall’incredibile forza attrattiva che porta i due ad essere uno» (61). Questo vale sia per l’amore umano sia per l’amore biblici della Settimana santa, in cui si contrappone l’immagine di Cristo quale il più bello tra i figli dell’uomo sulle tue labbra è diffusa la grazia (Sal 44), con il testo di Isaia che profetizza la Passione di Gesù: Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere (Is 53,2). Già sant’Agostino tuttavia così giustificava: «Un Gesù brutto e deforme?

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verso Dio. Rispetto alla lode per la bellezza dello sposo emerge però la contraddizione dei testi


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Un Gesù bello e grazioso più di ogni altro uomo? Sì, lo dicono due trombe che suonano in modo diverso, ma con uno stesso Spirito soffiato dentro […] Non rinunciare a sentirle entrambe» (65). Compare a questo punto l’aspetto a noi famigliare della contemplazione: la bellezza della Passione. «Chi crede nel Dio che si è manifestato come amore sino alla fine (Gv 13,1) nel corpo martoriato di Cristo crocifisso, sa che la bellezza è verità e la verità è bellezza. Nel Cristo sofferente, tuttavia, egli apprende che la bellezza della verità comprende offesa, dolore fino all’oscuro mistero della morte. Nell’accettazione del dolore, non nell’ignorarlo può avvenire il nostro incontro con la Bellezza, anche quando gli occhi deboli o il cuore ferito dal male sono incapaci di coglierne la trama misteriosa e feconda» (65-66). Questa bellezza attrae perché è la bellezza dell’amore di Dio in Cristo crocifisso. Essa trasforma il cuore e lo rende capace di riamare allo stesso modo. «La bellezza è estatica. Non la raggiunge se non chi si perde, chi accetta di compiere un viaggio interiore che paradossalmente conduce fuori dal proprio io nel movimento d’amore: Il mio amato è mio e io sono sua (Ct 2,16); Io sono del mio amato e il mio amato è mio (Ct 6,3)» (68). Altro significato del dimorare contemplativo è quello del dimorare nella conversione. Come qualsiasi cambiamento, la conversione inizia dal prendere atto della possibilità di una fuga ambigua verso sicurezze e abitudini da cui i consacrati sono tentati in molti momenti. La contemplazione apre perciò le porte allo Spirito. «La luce dello Spirito viene a toccarci in infiniti modi e la sua visita apre in noi una ferita, situandoci in stato di passaggio. Ci sollecita a fare nostri le esigenze e i modi dell’Amato. Essa sgretola le nostre sicurezze» (70-71). Da ciò proviene poi l’insicurezza e la sensazione di precarietà spirituale, per cui dimorare diviene capacità di accettare i cambiamenti, poiché di fatto: «Non è facile dimorare tra i detriti di ciò che la grazia ha demolito. La tentazione ci spinge a ricostruire, ad operare» (71). Ecco perché nella contemplazione c’è l’affidamento all’amato, il dimorare in Lui. «Dimorare nella conversione è attitudine contemplativa, sorpresa che si rinnova ogni giorno e non conosce fine in Gesù Cristo. Estranei alla conversione diventiamo estranei all’amore. Risuona l’invito per noi consacrati e consacrate all’umiltà che riconosce che da soli non potremmo dimorare nella conversione. Esso non è frutto di buoni propositi, è il primo altri riferimenti e necessità, diverse dalla conformazione a Cristo. Classico è l’esempio dei figli di Zebedeo, i quali seguivano il Signore ma le loro intenzioni erano mondane, il loro cuore era indurito. «Formalmente fedeli, riemergono in noi interessi, ragionamenti, valutazioni mondane. Si spegne la contemplazione, ingrigisce la bellezza» (72).

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passo dell’amore: Una voce! L’amato mio! (Ct 2,8)» (71). Diversamente subentrano nei consacrati


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Occorre dunque dimorare nella preghiera. «Le preghiera si situa tra la nostra debolezza e lo Spirito. Sgorga dal profondo dell’umano – anelito, ricerca, esercizio, cammino – come da una ferita data per grazia. Come sorgente di acqua viva trasporta, spinge, scava, sgorga (cf. Gv 4,10), fa fiorire. L’orazione è una nascita interiore: diventiamo consapevoli di una vita presente in noi, che germina e cresce nel silenzio» (75). La grazia di questa continua rinascita richiede il dimorare nella preghiera seguendo il tradizionale atteggiamento della passività. Farsi nulla di fronte al Tutto avrebbe detto san Paolo della Croce. «La contemplazione orante è sigillo dell’Amato: pura grazia in noi. L’unico atteggiamento è l’attesa come grido. Il linguaggio biblico e quello dei padri utilizzava il verbo Hypoménein e il sostantivo hypomoné: stare sotto, rannicchiarsi e stare fermi, aspettando che ci capiti qualcosa» (76). In questo raccoglimento interiore si gode la gioia dell’incontro con Lui e la ricchezza dei doni per il cammino. La contemplazione deve però un dimorare anche nella storia. «Per intuire l’ineffabile e coglierne l’essenza è necessario che il nostro cuore dimori nel mistero, e nel medesimo tempo dimori nella storia con stile contemplativo» (79). Si tratta infondo di incarnare la vita di fede, la preghiera, nella quotidianità e di far sì che la quotidianità interroghi la preghiera e la fede. «La nostra vita consacrata infatti esprime uno stile, un modo di abitare il mondo: ha un compito insieme euristico (trova, scopre, rende visibile) ed ermeneutico (interpreta, spiega, fa capire)» (79). Questo compito è più ampiamente di tutta la vita cristiana. «La tradizione cristiana prende coscienza della sua particolarità – del suo stile, della sua forma – scoprendo in se la capacità di assumere le condizioni imposte dalla storia e dalle culture, nell’intelligenza della fede che la origina» (79). Come in continuità con lo stile di Cristo, si deve giungere alla capacità di dimorare nel Padre e al contempo in ogni situazione. Per questo la contemplazione dimora anche nella Parola. «La persona consacrata trova nell’ascolto della parola di Dio il luogo in cui si pone sotto lo sguardo del Signore e da Lui impara a guardare se stessa, gli altri e il mondo» (81). È quindi necessario anche andare controcorrente alla cultura odierna, facendo in modo che il dimorare abbia tempo e spazio e non soccomba a logiche di consumismo. «La cultura del presente non crede nei processi di vita e di avviene rapidamente, inizia immediatamente, si muove velocemente. Non si valuta l’epilogo: ogni dinamica brilla e si consuma nell’attimo presente» (85). Tempo e spazio devono essere abitati con stile cristiano quali occasioni del Dio che si rivela qui e ora. Si devono perciò favorire momenti adeguati, come luoghi da abitare senza fretta e vivere la contemplazione che tutto rinnova.

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cambiamento, anche se scientificamente li pone alla base della propria visione. Ha valore ciò che


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Tutte le esigenze del dimorare nella contemplazione trovano infine compimento nell’Eucarestia. «La via della Parola è la prima strada sulla quale il Signore stesso ci viene incontro e ci raduna per la santa cena; come ai discepoli di Emmaus ci svela il senso delle Scritture e spezza il pane per noi» (87). Non meraviglia dunque che tra le esigenze della formazione alla contemplazione il primo punto formativo sia proprio quello della mistagogia. Mediante la mistagogia infatti il Mistero celebrato è scoperto e interiorizzato mentre la vita spirituale è guidata in esso introducendosi alla contemplazione. Formare e formarsi alla contemplazione, percorso mai compiuto fino in fondo. Procede attraverso diversi punti. Uno certamente a noi caro è quello di plasmare nell’esperienza pasquale. «L’attitudine contemplativa si alimenta alla bellezza velata della croce. Il Verbo era presso Dio, appeso ai rami dell’albero posto a legare i cieli e la terra, diventa lo scandalo per eccellenza davanti al quale ci si vela il volto. Dalle croci del mondo, oggi altre vittime della violenza, quasi altri cristi, pendono umiliati, mentre il sole si oscura, il mare diventa amaro e i frutti della terra maturati per la fame di tutti si spartiscono per l’avidità di pochi. Risuona l’invito a purificare lo sguardo per contemplare l’enigma pasquale della salvezza vivo ed operante nel mondo e nei nostri contesti quotidiani» (104-105). Conosciamo molto bene la memoria della Passione nei crocifissi di oggi. Affinché la celebrazione della Pasqua non sia un vuoto rituale, non deve mai mancare la consapevolezza del suo valore per gli ultimi della terra. Dobbiamo fare attenzione poiché la mentalità consumista può farci perdere la capacità di riconoscere il mistero pasquale nel volto dei fratelli che incontriamo. Altro punto pedagogico alla contemplazione è il valore conoscitivo e formativo del bello. Si intende la formazione al valore contemplativo della bellezza artistica, su cui però si fa notare un nodo problematico contemporaneo. «La riflessione contemporanea, spesso in bilico tra spiritualizzazione della natura ed estetizzazione del sentire, ha finito per trascurare il valore conoscitivo e formativo del bello, il suo significato di verità, confinandolo in un’ambigua zona d’ombra o relegandolo nell’effimero. Occorre ricucire il nesso vitale con il significato antico e sempre nuovo della bellezza quale luogo visibile e sensibile dell’infinito mistero dell’Invisibile»

«Nel nostro cammino di cristiani e consacrati abbiamo bisogno di riconoscere le tracce della Bellezza, una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio, proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’infinito» (110). Regione di Maria SS. della Pietà – PIET Viale dei passionisti 54, 62019 Recanati (MC) Tel. 071.9792069. Fax 071.7574405

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(108). Il valore del bello perciò deve essere ricercato e allo stesso tempo promosso nella cultura.


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Ulteriore punto educativo e la pedagogia del pensiero. «Le persone consacrate sono chiamate ad esercitarsi nel “pensiero aperto”: il confronto con le culture e i valori di cui siamo portatori allena la nostra vita ad accogliere la diversità e a leggere in esse i segni di Dio. La sapienza intelligente e amorosa della contemplazione allena a una visione che sa valutare, ospitare, riferire ogni realtà all’Amore» (113). Si vuole richiamare alla necessità di formarsi ad una cultura dell’umano da condurre alla pienezza cristiana e ciò attraverso la maturazione di uno sguardo sapienziale, attento e amoroso, sulla vita delle persone. Uno sguardo che può cominciare da se stessi agevolando una lettura introspettiva positiva. È con la propria persona infatti che si entra in dialogo. «Sollecitare uno sguardo contemplativo significa altresì sollecitare la persona consacrata affinché con riflessione opportuna si appropri dell’identità profonda, leggendo e narrando la propria esistenza come storia “buona”, pensiero positivo, relazione di salvezza, esperienza umana ricapitolata in Gesù Cristo» (116). Le delusioni a volte ci fanno diventare lamentosi e ci fanno dimenticare il buono che c’è in noi. Contemplare positivamente se stessi e lasciarsi contemplare, senza vanagloria ma anche senza troppe paure, vuol dire saper narrare la propria storia buona. Di fatto alla contemplazione ci si forma con attenzione alla prossimità. «È il cammino dell’incontro in cui i volti si cercano e si riconoscono. Ogni volto umano è unico e irripetibile» (118). «Se la qualità della convivenza collettiva “ricomincia dal tu”, cioè dal dare valore al volto dell’altro e al rapporto di prossimità, il cristianesimo si rivela come la religione del volto, cioè della vicinanza e della prossimità» (118). «Solo l’amore è in grado di scorgere ciò che è nascosto: siamo invitati a tale sapienza del cuore che non separa mai l’amore di Dio dall’amore verso gli altri particolarmente verso i poveri, gli ultimi, “carne di Cristo”, volto del Signore crocifisso» (120). Lo sguardo contemplativo occorre formarlo infine nella contemplazione del creato. «Il Signore gioca nel giardino della sua creazione. Possiamo cogliere gli echi di quel gioco quando siamo soli in una notte stellata, quando vediamo i bambini in un momento in cui sono davvero bambini; quando sentiamo l’amore del nostro cuore. In questi momenti il risveglio, la “novità”, il vuoto e la purezza della visione si fanno evidenti, ci lasciano intravedere un barlume della danza cosmica al ritmo del silenzio, musica e festa nuziale» (123). In questa danza del creato noi siamo

occasione per contemplare. Non evasione, non fuga dai problemi ma momento forte di incontro con il Creatore che ci invita ad amare tutte le creature. Contemplare veramente la natura è contemplare anche la vita delle persone così come farebbe Dio stesso, con la sua bontà e capacità di accogliere. L’uomo, è vero, inquina la creazione. E tuttavia la creazione senza l’uomo sarebbe un nulla. Regione di Maria SS. della Pietà – PIET Viale dei passionisti 54, 62019 Recanati (MC) Tel. 071.9792069. Fax 071.7574405

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cantori e custodi. Le nostre passeggiate all’aperto, in montagna o al mare, devono essere questa


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«Mettimi come sigillo sul tuo cuore (Ct 8,6) chiede la sposa del Cantico, quasi a fermare in un vincolo di fedeltà l’amore. Si evidenzia la necessaria cura di accompagnare la fedeltà alla sequela Christi nella nostra speciale consacrazione in un tempo in cui spesso essa è minata dalla fragilità della nostra vita nello Spirito» (127). Molte cose possono rappresentare un vero e proprio ostacolo al cammino di realizzazione della nostra vocazione di cristiani e di consacrati. Molti ne abbiamo visti arrendersi, impantanarsi, distruggersi. L’amore non è sempre estasi, non è sempre successo. Un amore contemplativo sa essere umile, sa chiedere scusa, sa attendere. «L’amore è un evento che trasfigura il tempo infondendo un’energia che mentre si spende si rigenera. È proprio dell’amore vivere la dimensione dell’attesa, imparare ad attendere» (133). Esempio di questa capacità di attesa è l’amore di Giacobbe per la sua Rachele. Sette più sette anni egli lavorò e attese per poterne godere l’amore e la compagnia per la vita (cf. Gn 29). Una speciale forma di attesa e testimonianza è anche quella della comunità monastica interamente fondata sulla contemplazione. «La vita delle persona contemplative si pone come figura dell’amore, uomini e donne che vivono nascosti con Cristo in Dio (cf. Col 3,3), abitano i solchi della storia umana e collocati nel cuore stesso della Chiesa e del mondo restano “davanti a Dio per tutti”» (136). Meno sono le consolazioni terrene più sembra autentico l’amore, la dedizione a Dio e al prossimo anche solo attraverso la preghiera. Uguale radicalità però è possibile sulla strada, come insegna la beata Teresa di Calcutta: «La ricerca del volto di Dio in ogni cosa, in ciascuno, dovunque, in ogni momento, scorgendo la sua mano in ogni cosa che avviene: questa è la contemplazione nel cuore del mondo» (142). La vita contemplativa illumina il cammino, così la vita cristiana e tutte le forme di vita consacrata sono chiamate ad essere «luogo dove accade l’abbraccio» (143). L’abbraccio di Dio con l’umanità e dell’umanità con Dio. Abbraccio fatto di preghiera e azione, di contemplazione e compassione. «Una contemplazione autenticamente cristiana non può prescindere dal movimento verso l’esterno, da uno sguardo che dal mistero di Dio si volge al mondo e si traduce in compassione attiva» (143). Davanti al Cristo crocifisso lasciamoci dunque inondare dall’amore di Dio per noi. Lasciamoci provocare positivamente dal cambio di prospettiva che papa Francesco ci propone con la domanda: Qual è oggi lo sguardo di Gesù su di me? Lasciamo che la contemplazione ci cambi, cambi le nostre idee, apra la nostra mente alle sorprese, al lavoro che fa lo Spirito Santo in noi.

P. Dario Di Giosia Superiore regionale

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Buona Pasqua!


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