A mici di Gesù Crocifisso La sequela di Gesù modello: Imparate da me Aprile 2006
Rivista del Movimento Laicale Passionista “Amici di Gesù Crocifisso”
Marzo - Aprile 2006 Anno VII n°2
Sommario
H. HOFMANN
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Pierangioli: La Sequela di Gesù
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Cingolani: Eucaristia passionista
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Giorgini: Spiritualità Passionista
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Buioni: Gesù e il mistero pasquale
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Valori: Ven. Gerardo Sagarduy
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Rocchetta: Rinnamorarsi del coniuge
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Pierangioli: Amici Aggregati
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Pasquali: Un’oasi di silenzio a Milano
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Testimonianze
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Bentornato Gabriele
Amici di Gesù Crocifisso
La sequela di Gesù Maestro Marzo 2006
Uno solo è il vostro Maestro La storia della salvezza, scrive Bruno Forte, si può compendiare in tre termini: «giardino», «deserto» e «parola». Nella creazione, Dio prepara un giardino per l’uomo; il peccato trasforma il giardino in deserto; la Parola trasformerà di nuovo il deserto in giardino. La Parola è il Verbo fatto carne che trasformerà la terra resa arida dal peccato in giardino di Dio. Oggi abbiamo bisogno di questa Parola più dell’aria che respiriamo, dopo il crollo di tanti miti che hanno riproposto tragicamente il dramma del primo peccato. Nella notte del mondo attuale, nel tempo della crisi delle utopie moderne, il mondo ha più che mai bisogno della luce di Cristo Maestro e anche noi siamo chiamati a essere in Cristo la luce del mondo, testimoni coraggiosi della Parola che sola è in grado di far rifiorire il deserto del cuore umano per farne il nuovo giardino di Dio. Questa Parola è Gesù Maestro, luce del mondo. “Maestro” è il titolo con il quale i discepoli chiamano più spesso Gesù. Gesù stesso conferma: “Uno solo è il vostro maestro, il Cristo” (Mt 23,10). “Voi mi chiamate Maestro e dite bene, perché lo sono” (Gv 13,13). Il mondo ha sempre ricercato e trovato altri maestri, che lo hanno portato nella situazione di barbarie fisiche e morali in cui ci troviamo. Oggi si chiama bianco ciò che è nero e nero ciò che è bianco; si chiama tenebroso il giorno pieno di sole, si chiama luminosa la notte più tenebrosa.
Gesù maestro, luce del mondo
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Quando pensiamo al maestro noi immaginiamo subito una scuola, una cattedra, con degli alunni e tanto di registro, interrogazioni e voti. Ma Gesù non insegna una verità scolastica, non spiega delle nozioni astratte. Non ha detto: «Io insegno la verità», ma «Io sono la verità» (Gv 14,6). Non chiede l’adesione a una dottrina, ma l’adesione alla sua persona e al suo messaggio. Gesù parla di se stesso con la testimonianza della sua vita; parla di Dio come Padre e parla in nome di Dio perché Egli è la “Parola” del Padre: “La parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Solo da Gesù vengono le risposte ai grandi problemi dell’uomo moderno, ai suoi dubbi e interrogativi sul significato della vita e della morte. Tutti lo chiamano Maestro. E quanta luce emana dalla dottrina del divino Maestro! Ogni vero discepolo deve cercare Gesù e stare con
Lui, per imparare a conoscerlo e ad accogliere la sua parola, come Andrea e Giovanni (Cfr.Gv.1,38-39). Mentre il materialismo e l’ateismo devastano l’umanità, è più che mai urgente la conoscenza di Gesù: c’è di mezzo la riuscita o il fallimento della vita. Senza Cristo, che senso ha la vita, a che serve? I due discepoli sfiduciati di Emmaus si rianimano e riconoscono Gesù per l’effetto mirabile che le parole del pellegrino sconosciuto provocavano nel loro cuore: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo la via e spiegava le Scritture?» (Lc 24, 32). Davvero «Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce» (Mt 4, 16) Gesù parlava “con autorità”, da Figlio di Dio, affascinava le folle e «tutto il popolo pendeva dalle sue parole» (Lc 19, 48). Persino le guardie, inviate per arrestarlo, se ne tornano a mani vuote, dicendo: «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!» (Gv 7, 46). Il Padre stesso conferma: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5). Questo invito del Padre è rivolto anche a noi. Dopo duemila anni la parola del divino Maestro non è invecchiata, la troviamo sempre viva. Dobbiamo trovare ogni giorno il tempo necessario per meditarla, viverla, annunziarla. Dobbiamo avere il coraggio di ricuperare il tempo speso dietro a cose inutili e a volte dannose; dobbiamo lasciare altri “maestri”, che possono ammaliare ma danno solo surrogati della verità. Dobbiamo esaminare ogni altro maestro alla luce di Gesù, che ci dice: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12). Gesù è la luce di cui il mondo ha bisogno per uscire dalle tenebre che lo avvolgono. Chi accoglie Gesù trova la luce e può dire con Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Andare da Gesù, ascoltarlo, conoscerlo, amarlo e seguirlo è lo scopo della vera sequela che vogliamo fare come laici passionisti, Amici di Gesù crocifisso e risorto. Dobbiamo seguire Gesù anche quando ci chiama a seguirlo sulla via del Calvario, sicuri che sulla cima del Calvario c’è già l’alba della Pasqua. Illuminati e trasfigurati dalla luce di Gesù, dai suoi divini insegnamenti, anche noi diventeremo “la luce del mondo, il sale della terra” (Mt 5,13-16). P. Alberto Pierangioli
Amici di Gesù Crocifisso
La sequela di Gesù modello: Imparate da me Aprile 2006
Cristo modello Gesù non è solo un maestro che ci dà degli ottimi insegnamenti; è anche un modello perfetto, che ci ripete: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). Si è fatto uomo perché ogni uomo trovasse in Lui il modello del cammino verso Dio: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). È il modello delle Beatitudini e della Legge nuova: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). L’amore è l’essenza della santità e della sequela. Gesù, dicendo “Amatevi come io ho amato voi”, propone se stesso come modello della sequela. Egli vive ciò che insegna e può dire a tutti: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Per questo ogni sequela di Gesù deve iniziare dalla conoscenza del divino Maestro.
Conoscenza e intimita’ con Cristo Il Vangelo è il luogo privilegiato e sicuro del nostro incontro con Gesù. È il nostro libro. Nel Vangelo non troviamo solo il Gesù storico, ma anche il Gesù della fede, Gesù dei primi cristiani, che hanno interpretato e tramandato il Vangelo. Noi conosciamo poco e male il Signore. A volte ci fermiamo a considerare solo il suo essere Dio e dimentichiamo che Egli è anche nostro fratello, uomo come noi, che ben conosce il patire e la debolezza umana. Alle volte lo consideriamo come uomo e dimentichiamo che Egli è anche il nostro creatore. A volte lo contempliamo Crocifisso e dimentichiamo che Egli è il Risorto. Dobbiamo tornare alla fonte primaria e genuina, che sono i Vangeli, lasciando ogni annacquamento! Cristo è lo stesso ieri, oggi, sempre. La vera “sequela” di Cristo è una sola, quella proposta dai Vangeli. Si può rifiutare, ma se si accetta, deve essere come è stata proposta da Gesù. Altrimenti si è discepoli di altri, non di Cristo; ma chi segue altri maestri “non può essere suo discepolo”. La conoscenza profonda e genuina di Gesù ci deve portare alla intimità con Lui. Gesù non è un grande personaggio da ammirare da lontano, ma un Dio e un amico da amare e un modello da seguire. Siamo chiamati a fare esperienza intima di Cristo, secondo l’esperienza di S. Paolo della Croce. Il nostro Fondatore ha sperimentato e insegnato una intimità così profonda con l’Amore Crocifisso, da trovarne difficilmente una uguale in altri santi.
Imitazione L’amore vero esige l’uguaglianza: se seguiamo Gesù, se lo amiamo, dobbiamo cercare di imitarlo. Egli è sempre un modello sublime per noi, soprattutto nel rapporto con il Padre e con gli uomini.
Nel rapporto con il Padre, è modello di amore totale, di comunione profonda, di accettazione piena della volontà del Padre, fino al “Consummatum est” del Calvario! (Gv 19, 30). Nell’ultima cena, avviandosi verso il Getsemani, dice ai discepoli: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo…” (Gv 14, 31). Nel rapporto con gli uomini mostra una armoniosa fusione tra esigenza e comprensione: molto esigente e tanto comprensivo. Intransigenza per il peccato e amore grande per i peccatori. Con gli apostoli è amoroso e premuroso come una madre, ma anche educatore esigente. È disponibile con tutti: con i sani e con i malati, con i buoni e con i peccatori, con gli anziani e con i bambini, con la Maddalena e con il figlio prodigo, con la vedova che piange il figlio morto e con l’amico Lazzaro che giace nel sepolcro. Ecco il Maestro che dobbiamo seguire e fare rivivere in noi. Tutti i problemi personali, familiari, comunitari sono ri- Maria Elena vuole seguire Gesù solti da un ottimo rapporto con Cristo. Pensate alla vita di famiglia: se Cristo è presente in casa, se c’è nei membri questo impegno di intimità e di rassomiglianza a Cristo, tutta la vita della famiglia viene trasformata. In ogni scelta, dobbiamo sempre chiederci: “Gesù che cosa farebbe al posto mio?”. Noi rivitalizziamo il cammino di santità, se rivitalizziamo il rapporto con Gesù. Se Cristo non è il “mio Signore”, riemerge l’egoismo, il nostro “signor io”; allora tutto diventa difficile. Da questo le difficoltà, gli scoraggiamenti, le depressioni, le crisi, gli abbandoni. Se invece Gesù è il modello, se “Cristo vive in me”, se per me “vivere è Cristo”, tutto si risolve, anche la croce diventa gioia e “il morire è un guadagno”. Viviamo la vita nuova in Cristo, come anticipo della vita del cielo. P. Alberto Pierangioli
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Amici di Gesù Crocifisso EUCARISTIA PASSIONISTA Marzo - Aprile 2006
Siamo tutti nell Eucaristia
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n questo periodo della storia, la dottrina e la pastorale della chiesa circa l’Eucaristia sono concentrate sull’assemblea e sulla partecipazione. Come in passato dominò l’interesse per la presenza reale o per la dimensione sacrificale, così oggi lo Spirito Santo ci guida a comprendere l’importanza della partecipazione. Nella liturgia, il cui centro è l’Eucaristia, “Cristo sempre associa a sé la Chiesa sua diletta sposa”. La liturgia è “opera di Cristo Sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa”, SC 7. “I fedeli si uniscono all’offerta eucaristica in virtù del loro regale sacerdozio” LG 10. “Le azioni liturgiche appartengono all’intero corpo della chiesa, lo manifestano e lo implicano. I singoli membri vi sono interessati in modi diversi”, SC 26. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume: “È tutta la comunità che celebra, Corpo di Cristo unito al suo Capo. Tutta l’assemblea è liturgica”, 1140 e 1144.
Siamo nell’Eucaristia come partecipi del sacerdozio di Cristo
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Per essere inclusi nell’Eucaristia bisogna essere sacerdoti. L’Eucaristia è un sacrificio. Non si può concorrere all’offerta di esso senza averne l’abilitazione che si chiama sacerdozio. Gesù Cristo è l’unico sacerdote, sul Calvario e per sempre. Ma avendo scelto di ripresentare il suo sacrificio sull’altare per coinvolgere in esso tutti noi, doveva metterci in condizione di poterlo fare. Affidandoci il suo sacrificio, doveva affidarci anche il suo sacerdozio. Per portare sull’altare il suo sacrificio, Cristo ha scelto i segni del pane e del vino. Per realizzare lui stesso il suo sacrificio insieme a noi ci ha comunicato il suo sacerdozio. Lo ha fatto in due modi, diversi di essenza e di grado ma ambedue necessari: il sacerdozio comune, partecipato nel battesimo e nella cresima, e il sacerdozio ordinato, conferito con lo speciale sacramento dell’ordine sacro. Lo chiamiamo anche sacerdozio ministeriale, ma è meno esatto perché tutta la chiesa è ministeriale, a diversi titoli. Anche il sacramento del matrimonio è un’abilitazione a partecipare all’Eucaristia, insieme a un’altra persona con cui si diventa uniti in Cristo. Non ha senso ricevere il battesimo, la cresima, il matrimonio, eppoi non frequentare l’Eucaristia. Significherebbe non consentire a questi sacramenti di realizzare ciò per cui sono fatti. Talvolta si esalta il sacerdozio ordinato a scapito del sacerdozio comune. Diciamo che il ministro ordinato è un altro Cristo, agisce nella persona di Cristo, è sacerdote in eterno. Anche i battezzati e cresimati lo sono in eterno. Tutti i cristiani esprimono la presenza di Cristo nel mondo, specie nella liturgia. Quel che distingue - di essenza e di grado - il sacerdozio ordinato da quello comune è che il sacerdote ordinato rappresenta la persona del Cristo-Capo, mentre i bat-
tezzati e cresimati rappresentano il Cristo nel suo Corpo mistico. Gesù include nel suo sacrificio tutto il corpo mistico a ciò abilitato dal battesimo e dalla cresima, ma l’Eucaristia è prima di tutto il sacrificio personale di Cristo-Capo. Non potendo egli essere tra noi nel modo in cui lo siamo noi, ha bisogno di qualcuno che lo renda presente visibilmente come siamo noi. È il sacerdote ministro abilitato allo scopo, che logicamente dev’essere un uomo ... Il sacerdozio ordinato consente al sacerdozio comune di raggiungere il suo scopo. Il sacerdozio comune consente al sacerdozio ordinato di conseguire la sua pienezza, che è di ripresentare sull’altare non solo il sacrificio del Capo ma dell’intero Corpo.
Siamo nell’Eucaristia come partecipi del sacrificio di Cristo Il sacrificio di Gesù è offerto sul Calvario una volta per tutte. È perfetto, ha valore infinito e rimane in eterno. Non vi si può aggiungere nulla perché è completo. Non si può ripetere perché è sempre in atto. Quel che avviene sull’altare è la ri-presentazione del sacrificio. Ciò che non si può né ripetere né completare, può essere per la potenza divina rifatto presente. Nella potenza del suo Spirito, il Risorto ripresenta il suo sacrificio per applicarne i meriti alle membra del suo corpo in cammino nel tempo e per inserire in esso il loro sacrificio. Nel sacrificio dell’altare Gesù, in quanto nostro Capo, non aggiunge nulla al suo sacrificio, ma vi inserisce il nostro. Questa è l’uguaglianza e differenza tra il Calvario e l’altare. Questa è la corrispondenza voluta da Gesù tra Calvario e altare. Egli non può più soffrire né morire come nostro Capo, ma continua a soffrire e morire in noi membra del suo corpo. Nel battesimo, il Risorto praticamente ci dice: io non posso più vivere e amare e soffrire in questo mondo. Tu mi doni il tuo essere umano, corpo e anima, perché io possa continuare a essere presente nella storia per santificare le realtà e salvare il mondo. Così io sarò un altro te stesso e tu sarai un altro me stesso. L’unione tra noi e Cristo realizzata dai sacramenti è così profonda che vivendo il battesimo e partecipando all’Eucaristia è come se noi stessimo soffrendo e morendo e risorgendo con Gesù, perché questo è quanto egli realizza in noi. Prolungare nella vita il mistero vissuto nei sacramenti significa amare il Padre e l’umanità come Gesù e in lui, o consentire a Gesù di prolungare il suo rapporto umano col Padre e col mondo per mezzo di noi. Significa anche essere la “memoria” di Gesù, cioè la sua presenza reale nel mondo, diversa ma collegata alla presenza eucaristica. Il nostro inserimento nel mistero è bene espresso nei segni, ma bisogna saperli comprendere. Prima della consacrazione il pane e il vino non sono segni del corpo e del sangue di Gesù, ma esprimono la nostra inclusione nel sacrificio di Gesù. Sono doni presentati come “frutto
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della terra o della vite e del lavoro dell’uomo”. Alludono alla nostra vita, corpo e sangue, spesa ogni giorno in memoria di Gesù, come suoi discepoli e testimoni. In quei segni dobbiamo sentirci presenti sull’altare, con tutta la nostra vita e la nostra storia, pronti all’inclusione sacrificale in Gesù nostro Capo. Il culmine della nostra inclusione nel sacrificio di Gesù avviene nella preghiera eucaristica. Immaginando con fede e amore possiamo raffigurarci che il Risorto, presente tra noi nella potenza del suo Spirito e visibile nella sua estensione sacramentale che è il presbitero, prenda tra le sue mani la nostra vita e proclami di farne un tutt’uno con l’offerta di sé per la gloria del Padre e per la nostra salvezza. Dobbiamo percepire la nostra inclusione sia come sacerdoti offerenti che come vittime offerte. Non possiamo dismembrarci dal corpo di Gesù. Il ministro ordinato non può dire: “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, pensando che si tratti solo di Gesù, sono fatti suoi, io non c’entro. Se la vita di un sacerdote non è spesa per la salvezza del popolo, come fece Gesù; se il sacerdote non è un pastore che dà la vita, corpo e sangue, per il gregge, non può non sentire il contrasto bruciante tra quelle parole e il suo stato spirituale. Allo stesso modo, ogni membro dell’assemblea presente e celebrante all’altare, sentendo le parole “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, non può presumere che si stia parlando solo di altri, quindi l’evento non lo interesserebbe. Se siamo inclusi in quel corpo dobbiamo sentirci donati insieme a lui, anche noi corpo spezzato e sangue versato per la gloria del Padre e la salvezza del mondo. Sarebbe una contraddizione e dovrebbe suscitare imbarazzo andare a Messa, ascoltare quelle parole e sentirsene estranei, perché si conduce un’esistenza egoistica e consumistica, alla ricerca solo di se stessi. Per tener vivo e far crescere questo processo di identificazione tra noi e Gesù nostro Capo, può essere fruttuoso ripetere mentalmente le parole della consacrazione insieme al sacerdote, sentirne l’eco nell’intimo e percepire fino a che punto sono vere. Nella misura in cui non lo sono, vuol dire che occorre ancora morire per vivere la vita nuova del Risorto. Nell’Eucaristia bisogna anche morire, sennò è inutile parlare di unione al sacrificio di Gesù. Il nostro quotidiano vivere-morendo per amore è materia della nostra Eucaristia. Che senso avrebbe la nostra vita, che cosa varrebbe il nostro lavoro, il nostro spenderci e logorarci quotidiano per la famiglia e la professione, se tutto questo non diventasse quell’ostia, non entrasse dentro quel calice?
Siamo nell’Eucaristia come partecipi del banchetto di Gesù Cristo Il sacrifico è per la comunione. Diventato tutt’uno col sacrificio di Gesù, il dono della nostra vita ci è restituito in dono di vita. Il rapporto tra sacrificio e comunione è un elemento intrinseco del rapporto tra l’uomo e Dio, in tutte le culture e religioni. Gesù perpetua nell’Eucaristia il suo sacrificio del Calvario. Egli continua a usare il linguaggio del suo popolo e della sua cultura, ma con significati che vanno oltre il senso naturale e culturale delle parole. Nella cultura semitica, spezzare e mangiare il pane insieme significa condividere la vita. Dicendo “prendete e mangiate, questo è il mio corpo”, Gesù non intende che con quel pane nutriamo il nostro corpo (senso naturale delle parole) ma che condividiamo la sua vita divina. Il gesto del mangiare è fisico e naturale, ma il contenuto e significato è spirituale e soprannaturale. Bere il calice significa avere un certo destino. Condividere il calice significa condividere il destino di un altro. Dicendoci “prendete e bevete, questo è il calice del mio sangue”, Gesù ci coinvolge nel suo stesso destino, che è vivere donando la vita nell’amore, per la gloria del Padre che è la salvezza nostra e del mondo. Nel gesto fisico del bere quel calice, noi ci inseriamo e veniamo inclusi da Gesù in quel movimento d’amore in cui egli ha realizzato tale progetto e continua a realizzarlo in noi. Il rito della messa rende più facile percepire la dimensione del banchetto. Al momento della comunione ci si muove dai banchi, ci si mette in fila, si riceve l’ostia, si risponde Amen e si ritorna al posto. È chiaro che si mangia qualcosa. È difficile restare del tutto distratti. Sentirsi personalmente inclusi nel sacrificio di Gesù esige invece una esplicita volontà di partecipazione. Bisogna sentire, volere e dire al Signore che siamo lì, lo accogliamo e vogliamo mettere nel suo sacrificio la nostra vita perché sia dono al Padre e si consumi secondo il suo piano. Senza questa partecipazione interiore, oggettivamente partecipiamo al sacrificio di Gesù perché la comunione è frutto di esso, ma soggettivamente non realizziamo appieno la nostra inclusione eucaristica. Il nostro inserimento come assemblea è l’immensa novità eucaristica del Vaticano II. L’Eucaristia ingloba il mistero della chiesa. Quando nella messa proclamiamo “mistero della fede”, intendiamo nello stesso tempo il Mistero Pasquale di Gesù sul Calvario, il Mistero Eucaristico sull’altare, e il Mistero della Chiesa ivi presente e sparsa nel mondo. Davvero. L’Eucaristia è così importante per noi, e noi così importanti per l’Eucaristia. Gabriele Cingolani cp
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Amici di Gesù Crocifisso
Spiritualità Passionista
“NON PERDA LA PACE ANCHE SE SI ROVINASSE TUTTO IL MONDO”
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Dio;scacci quelle malinconie che le cagiona il demoaolo della Croce raccomandava tannio, non si fissi, ma si sollevi. Canti qualche laude to la pace del cuore perché, diceva, spirituale, faccia spesso degli atti di confidenza in “senza la pace interiore si fa poco Dio, slanci di amore nelle piaghe ss.me di Gesù” (L o niente, oppure si fa strapazzatamente”. Egli si rifeII,608). Anche il timore di offendere Dio, se non porriva alle parole di Gesù: “Non sia turbato il vostro ta pace, è opera diabolica: “Il timore filiale è ottimo, cuore. Abbiate fede in Dio ed abbiate fede anche ma porta con sé umiltà, confidenza in Dio, pace e in me” (Gv 14,1). coraggio di più servire il Signore. Altrimenti è timore Il motivo per cui il cristiano può e deve avere il che cagiona il diavolo e bisogna scacciarlo” (L I, cuore in pace, anche nelle difficoltà, è la certezza che 432). Non bisogna perdere la pace neppure per qualDio Padre lo ama e nessuno può strapparlo dalle sue che difetto in cui si cade. Umiliarsi per il difetto, mani, come Gesù ha detto con forza (Gv 10,26-29). chiedere perdono a Dio e rinnovare il proposito di faLa memoria di questo amore provvidente di Dio Pare meglio, ma conservare la pace: “Non si turbi nei dre e di Gesù salvatore deve aiutarci a valutare gli suoi difetti, ma si umilii assai e procuri di correggereventi come occasioni per riconfermare la certezza si; faccia dolcemente ciò che può” (L I,418). dell’amore di Dio e chiedere a lui la capacità di metNon si deve perdere la pace neppure per le chiacterci nelle sue mani. Paolo ripeteva alle persone che chiere della gente. Suggeriva ad Agnese Grazi di non dirigeva: “Nessuna cosa ci può levare Gesù nostro preoccuparsi per chi aveva da ridire circa bene” (L I,228). Perciò raccomandava: la sua vita cristiana: “Seguiti i suoi “Non tenga il cuore agitato da anesercizi secondo il solito e lasci sie, ma lo tenga sempre pacifidire chi vuole: il silenzio, la cato ed in riposo amoroso nel disinvoltura ed il far conto seno di Dio, non volendo di non intendere, fa chiualtro, che ciò che vuole dere la bocca agli ozioSua Divina Maestà; vensi” (L I, 255). E al giogano avversità di quavane Appiani che venilunque sorte, tanto di va preso in giro perché dentro che di fuori: papensava di farsi sacerce e silenzio, ripetendo dote: “Si rallegri quan“Si compia la tua vodo lo chiamano pazzo. lontà”! E proseguire a Non lasci gli esercizi di dormire sulla croce al calpietà, si faccia muto e sordo do del Cuore amoroso di Gea tutto e seguiti la sua via. Stia sù”(L. Ai laici n. 337). Scriveva di buon cuore, passeranno queste a Teresa Palozzi: “Tenete il cuore M. Rita e Paola trovano burrasche. Verrà il sereno. Oh che tranquillo; appena vi accorgete che si la pace in Gesù pace!”(L I,399). turba, ponete ogni studio per tenerlo tranquillo e contento, perché così vi manterrete I mezzi per mantenere la pace cristiana più raccolta, per riposarvi in Dio in sacro silenzio di fede e di santo amore” (L III,402). Tra i mezzi che aiutano a mantenere la pace del La giovane aveva molto lavoro in casa ed a volte le cuore, Paolo mette al primo posto la memoria dell’arimaneva difficile partecipare ogni giorno alla messa. more di Dio con l’assidua meditazione della vita e Paolo la conforta dicendo che se mantiene la pace, passione di Gesù. Praticare l’umiltà e la prudenza in vive in unione di amore con Dio e in pace con le perfamiglia per favorire la concordia: “Sia dolce e mansone di casa: “Se potete assistere alla messa, fatelo; sueta con la suocera, non le risponda, ma soffra e se poi non potete, state in pace e fate il sacrificio di stia zitta. Fatelo, figlia benedetta, che sarete santa. fede e di amore di tutta voi stessa nel fuoco della diMostrate buon volto e non vi lamentate mai col mavina carità,sull’altare del vostro cuore” (L III,405). rito della suocera, per non contristarlo” (L IV,125). E ancora: “Attenda a se stessa e non s’intrometta in Come si può perdere la pace quello che non le appartiene. Se può rimediare con La pace si può perdere per le tentazioni del diavolo dolcezza, bene, se no se ne stia zitta” (L III, 813). Adeche suscita la paura di non superare le difficoltà e di rire con cuore generoso alla volontà di Dio: “La vera non riuscire a fare bene quanto si sta facendo. Paolo pace consiste nella rassegnazione alla Divina Volontà, suggerisce di rinnovare con prontezza la fiducia in con la parte superiore dello spirito, senza badare ai Dio Padre, che per mezzo di Gesù ci libera dalle borbotti della natura” (L. Ai laici, N. 672). S. Paolo astuzie diaboliche. Scrive ad una mamma perché della Croce ci ottenga il dono della pace del cuore, per conforti la figlia: “Le dica da parte mia che si consopoterla poi donare in casa e a tutti. li, perché ha segni chiari di essere in grazia di P. Fabiano Giorgini
Amici di Gesù Crocifisso
G E S U` E I L M I S T E R O P A S Q U A L E
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l padre Maurizio Buioni, giovane teologo passionista, ci offre un suo studio sul mistero pasquale di Gesù. Lo pubblicheremo a puntate, compendiando in qualche punto lo studio molto ampio. Sono certo che sarà gradito a coloro che vogliono approfondire in modo serio il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Ringraziamo sinceramente padre Maurizio per la preziosa collaborazione. P. Alberto Programma dello studio:
• Prima parte: Passione e Morte Introduzione. I. La previsione della morte. II. La cena di addio con i suoi discepoli. III. Il Getsemani. IV. Il processo pubblico di Gesù. V. L’abbandono della Croce. VI. Punti conclusivi. • Seconda parte: Risurrezione Introduzione. I. Caratteristiche dell’esperienza del Risorto. II. La testimonianza del Risorto nei racconti pasquali. III. L’annuncio del Risorto nei linguaggi del NT. • Prima parte: Passione e Morte Introduzione. Tocchiamo il cuore della “cristologia di Gesù”, che si compie nel Mistero pasquale, e della “cristologia della Chiesa”, che parte dalla Pasqua. La comunità di Gesù è iniziata prima di Pasqua, ma, per arrivare ad una comprensione più adeguata della fe-
Amici di Gesù Crocefisso in ritiro a Morrovalle
de in Cristo, ha dovuto attraversare la morte e risurrezione di Gesù. Questo è il centro della cristologia. L’evento pasquale salda indivisibilmente la “cristologia di Gesù” e la “cristologia della Chiesa”, il “Gesù terreno” e il “Cristo glorificato, vivente nella Chiesa”. In questo Mistero pasquale si compie la “cristologia di Gesù”, perché si rivela pienamente il senso della sua filialità. Nella preghiera di Gesù: l’Abbà risuona nel cuore del Getsemani. Gli interrogativi degli studi attuali su Gesù e la sua morte vertono su: A) Significato della storia della Passione. B) Rapporto fra Croce e Trinità. C) Rapporto fra Croce e salvezza dell’uomo. D) Rapporto fra morte di Cristo e morte dell’uomo. A) Significato della storia della Passione Questa storia è il dato normativo più ampio nel vangelo, definito anche come “storia della Passione con ampia introduzione”, a cui si sono aggiunti i detti di Gesù e altri dati della tradizione. La domanda sul senso di questa storia è importante. Questa storia non è puramente biografica; essa è avara di sentimenti ed aspetti psicologici. L’angoscia, l’abbandono non vanno intesi in chiave psicologica, ma teologica. Qual è il criterio di lettura di questa storia? La risposta ci viene dalla predicazione apostolica: è una storia narrata “secondo le Scritture” (Sal.21 e Is.5253). La storia della passione, specialmente in Mt, è ricchissima di citazioni di Salmi. La Chiesa ha raccontato la Passione pregando e attraverso la preghiera ha compreso dopo il Mistero che avveniva prima. Era una comunità non solo credente, ma orante. Perché è importante il criterio della Scrittura? Perché la Croce è il più grosso scandalo per i Giudei e i pagani; allora la Chiesa ha compreso e superato lo scandalo della Croce proprio vedendo il legame tra Scrittura e Passione di Gesù. La Scrittura è il luogo in cui si rivela la volontà di Dio, perciò era importante vedere che Gesù era morto “secondo le Scritture”, cioè secondo i disegni di Dio. In At.2,23 Pietro dice che Gesù è morto secondo la “prescienza di Dio”; la Croce quindi non si spiega solo con la malvagità degli uomini. La lettura della Passione alla luce delle Scritture non è fatta a senso unico: non si parte dalle aspettative messianiche antiche per arrivare alla Croce. La Chiesa ha fatto un cammino inverso: dal Mistero della risurre-
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Amici di Gesù Crocifisso zione ha illuminato il Mistero della Croce e le Scritture. Attraverso la luce della Pasqua e della Pentecoste ha visto una consonanza tra quanto era accaduto sulla Croce e quanto era detto nella Scrittura. Il criterio allora è la Scrittura, ma alla luce dell’evento pasquale. Riassumendo possiamo dire che il senso della storia della Passione non è biografico, ma “secondo le Scritture”, però a partire dall’esperienza della Risurrezione. B) Rapporto fra Croce e Trinità Quale significato ha dato Gesù a questa morte? Viene scartata l’ipotesi che la morte non fosse già presente nella vita di Gesù. Ma Gesù ha subíto passivamente la morte tragica? No, Gesù è andato liberamente incontro alla morte. Il discorso storico affronta anche questo aspetto sul modo di morire di Gesù; c’è poi un secondo aspetto, teologico: la Passione e la Croce non sono stati solo una “cristodrammatica” di Gesù unico protagonista. Nessuno nega che Gesù sia un protagonista, ma non è un dramma vissuto solo da Gesù nella sua umanità, perché l’aspetto teologico ci fa capire che Gesù realizza nella morte la sua vita filiale. Per questo è proclamato “Figlio di Dio” sulla Croce: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc.15,39). Questo vuol dire che la Croce è un evento supremo di dialogo tra Gesù e il Padre. Nella Croce si compie, da una parte, la duplice consegna di Gesù da parte del Padre (Rm.8,32), e l’autoconsegna di Gesù al Padre; dall’altra, Gesù consegna
anche lo Spirito: “Reclinato il capo, donò lo Spirito”. La Croce è un dramma trinitario e non solo cristologico: la storia della Croce è storia della Trinità. In questa storia appare che l’iniziativa non è di Gesù, ma è del Padre: è un dramma che parte dal Padre, ma Gesù lo affronta liberamente. Come si esprime la libertà di Gesù in un dramma tale? Gesù vive come suo il volere del Padre. Tutta la vita di Gesù è su questa linea: “Faccio sempre la volontà del Padre mio”. La volontà di Gesù è una volontà dialogica: il Figlio vive liberamente la volontà del Padre; è una libertà filiale la vera libertà dell’uomo. C) Rapporto fra Croce e salvezza dell’uomo La morte di Gesù è legata alla remissione dei peccati. L’antico Kerigma testimonia che “Cristo morí per i nostri peccati secondo le Scritture” (1Cor.15,3): c’è il legame “morte di Gesù” e “remissione dei peccati”. Nella tradizione questo legame è stato diversamente espresso: espiazione, sacrificio, soddisfazione, riconciliazione. Perché la Chiesa deve prima di tutto annunziare che la Croce di Cristo è salvezza di tutta l’umanità? La morte di Gesù in Croce è salvezza, perché rivela l’amore universale di Dio, della Trinità: il senso del per-noi del Kerigma è l’amore (come in Rm.8,32 e altri passi paolini). Attraverso la potenza dell’amore di Dio la Croce riconcilia l’uomo con Dio nella forza dell’amore di Padre, Figlio e Spirito Santo. In forza di questo amore salvatore la Croce è anche espiazione, sacrificio, soddisfazione, cioè tutti gli altri linguaggi sono da ricomprendere alla luce dell’amore di Dio, se no cadiamo in un giuridismo della redenzione, quasi che dobbiamo pagare un prezzo al Dio irato. Partiamo sempre dall’azione discendente: Dio dalla Croce ci salva. La Croce è prima di tutto Grazia, opera salvifica di Dio in noi, iniziativa del Padre nel Figlio nella potenza dello Spirito. L’aspetto soteriologico va ricompreso alla luce della teologia trinitaria della Croce. D) Rapporto fra morte di Cristo e morte dell’uomo C’è un rapporto tra morte e vita: è la vita che dà senso alla morte, altrimenti la morte da sola è un non senso, negatività, privazione. Non si può amare la morte come tale, ma è un momento della vita. È anche vero che la morte rivela le intenzioni fondamentali della vita: di fronte alla morte si rivela il significato che abbiamo dato al vivere. Da una parte la vita di Gesù è il luogo dove si comprende la sua morte, dall’altra la morte di Gesù è il luogo dove si comprende la sua vita. Questo è importante per l’uomo e per un’antropologia cristiana. (continua)
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Amici di Fossacesia al ritiro del 05-02-06 a Morrovalle
Maurizio Buioni c.p.
Amici di Gesù Crocifisso
Un basco portinaio santo a Roma Ven. Gerardo Sagarduy
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rancesco Sagarduy, che prenderà il nome di Gerardo, nasce il 15 febbraio 1881 a Zollo, piccolo centro agricolo nei pressi di Bilbao. Papà Antonio è amico dei passionisti del vicino convento di Deusto e li aiuta spesso nel lavoro dei campi. È un sant’uomo; dei suoi sette figli due si fanno passionisti e due suore. In questo clima nasce e cresce Gerardo; in una delle tante missioni predicate dai frati si sente attratto dalla vita religiosa. Gli muore la mamma quando ha quindici anni. A 18 anni lascia la famiglia ed entra in convento, per “salvare, come ripeterà spesso, la propria anima”. La nostalgia della sua casa e della libertà in aperta campagna però lo tormenta, finché, senza dir niente a nessuno, torna a casa. Papà Antonio non ha nulla da ridire in questa decisione però convince il figlio di tornare almeno a salutare in convento. Gerardo capisce, si pente e torna in convento non per salutare ma per rimanerci. Veste l’abito il 26 giugno 1899. Tutti gli vogliono bene e lo apprezzano per la sua umiltà, docilità, affabilità e disponibilità. Il 27 giugno 1900 a diciannove anni emette la professione religiosa come fratello coadiutore e viene inviato al convento di Corrella in Navarra. Qui si occupa della cucina, dell’orto, della lavanderia e dell’accoglienza degli ospiti e di tutto ciò in cui può vedersi utile; non tralascia però l’impegno per la propria formazione ed elevazione spirituale. Dopo due anni di permanenza a Corrella viene trasferito a Roma nella casa generalizia dei Santi Giovani e Paolo, dove resterà fino alla morte. Solo per qualche mese nel 1908, vive a Nettuno per guarire da una tubercolosi polmonare. A Roma è nominato aiutante del sacrista e del portinaio, per prendere pratica; poi diventa responsabile della portineria e in questo servizio spenderà la sua vita. La casa generalizia ha carattere internazionale, la comunità è numerosa e vi giungono persone importanti della chiesa e della congregazione passionista. Il lavoro quindi è molto e richiede sollecitudine, carità, discrezione e riservatezza. Lui fa tutto e con i modi dovuti. Dirà un testimone: “Posso affermare di non averlo mai visto né irritato né impaziente… Nel suo volto si rifletteva la bontà, nel suo parlare c’era l’affabilità personificata”. In un’occasione dove viene ingiustamente rimproverato per un disservizio da un futuro cardinale; Gerardo, mortificato, s’inginocchia davanti al monsignore e chiede umilmente perdono. Poi però è il monsignore stesso, accortosi dell’errore, a inginocchiarsi davanti a lui e scusarsi. La prima guerra mondiale gli offre l’occasione di esercitare la carità verso i poveri, circa 300, che bussano alla porta della casa generalizia per avere una minestra calda. In un locale vicino alla portineria ha creato una cucina, dove prepara i cibi per poi distribuirli ai bisognosi. S’intrattiene anche con loro, li incoraggia e consola; prega con loro. Li chiamano “i poveri di fratel Gerardo”. Ma essi dicono che “fratel Gerardo viene prima di tutti i santi del cielo”. Durante la seconda guerra mondiale, a causa dei bombardamenti degli alleati, gli abitanti del quartiere Celio rimangono
senz’acqua e lui passa molto tempo a ritirare i recipienti, a riempirli e riportarli ai proprietari. Riesce a far tutto. Si alza molto presto e si dedica alla meditazione; partecipa poi alla messa e poi si mette a lavoro. Quando può si reca a pregare dove è morto S. Paolo della Croce, e spesso anche durante il lavoro lo si vede in raccoglimento; infatti di lui si dice che è un “uomo di preghiera e di vita interiore”. Tutti chiedono le sue preghiere, anche cardinali e vescovi. Il cardinale Pietro Gasparri chiese preghiere per il buon esito del trattato dei patti lateranensi, conclusi dopo difficili trattative tra Mussolini e il Vaticano. Nella sua attività non sempre facile e senza orari era sempre sorridente. Un sorriso definito come “un misto d’innocenza, di pace interiore, di candida soddisfazione per la gioia che sentiva”. La fama della sua santità si diffonde in giro e nella congregazione. Riferendosi a lui qualcuno dice: “Grazie a Dio ancora ci sono santi nella congregazione dei passionisti”. Un cardinale dice: “Qui avete un santo la cui causa di canonizzazione potrebbe essere introdotta fin da ora”. Nel 1950 celebra il cinquantesimo di professione religiosa. Per l’occasione torna in Spagna dopo 48 anni; la fama di santo lo precede ed è accolto con gioia e venerazione. I seminaristi a sua insaputa gli tagliuzzano il mantello per conservare qualche reliquia. Ritornato a Roma ritorna al suo lavoro, ma al termine della sua vita è affitto da disturbi fisici e prove interiori. Nell’aprile del 1962 viene ricoverato per una frattura del femore e muore il 29 maggio dello stesso anno. È sepolto nel cimitero del Verano. Nel 1975 le sue spoglie sono state portate nel monastero delle Passioniste di Bilbao. È stato dichiarato venerabile il 21 dicembre 1991. Francesco Valori
Ven. Gerardo Sagarduy, il portinaio santo
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Amici di Gesù Crocifisso
Rinnamorarsi del coniuge Come tenere alto e rinnovare l’amore coniugale? Perché, dopo la luna di miele e l'entusiasmo dei primi tempi, l'amore degli sposi sembra diminuire e perdere la sua freschezza iniziale? Hanno forse ragione coloro che vedono il matrimonio come «la tomba dell'amore? È possibile tenere alto il livello dell'affetto coniugale e, anzi, rinnovarsi in esso di stagione in stagione? Dalla risposta che si è in grado di dare a queste domande dipende, in buona misura, la felicità della coppia e la stessa riuscita della comunità familiare. Ho incontrato in treno un signore che, dopo aver saputo che mi occupavo di pastorale familiare, mi ha raccontato la sua vicenda.
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Perché dopo il matrimonio l’amore sembra diminuire?
Non entrerò nei dettagli della situazione di questo signore che, tra l'altro, mi spiegò di essersi risposato una seconda volta e di essersi nuovamente separato. I motivi quando avviene una separazione sono sempre complessi e le responsabilità, di norma, sono da suddividere a metà. Inoltre, per un'analisi oggettiva, bisognerebbe sentire l'altra parte. Quanto ci interessa rilevare che il caso esaminato è comune alla grande maggioranza delle coppie sposate, al di là dei diversi motivi che le conducono ai loro stati di crisi. Dopo il matrimonio, l'amore sembra diminuire e si verifica un calo nel desiderio dell'altro/a. Perché succede tutto questo? Che cosa avviene all'amore dopo che ci si è sposati? La storia di un fallimento Il problema risiede in gran parte in un dato di cui non si tiene sufficientemente conto: il passaggio dall'innamo«Mi sono sposato dieci anni fa, ma dopo appena tre ramento all'amore. Sta in questo dato il nodo cruciale: anni mi sono separato. Durante il fidanzamento, tutse la coppia riesce a realizzare questo passaggio, si to era meraviglioso. Dopo il matrimonio, niente rende capace di superare i problemi che le era più come prima. Eppure non mi si presentano e vive un'esperienza sembrava di aver modificato di amore che non conosce fine qualcosa nel mio compore anzi rinasce di stagione tamento. Continuavo a in stagione; viceversa, dire a mia moglie che se questo passaggio le volevo bene, a non avviene, finita non farle mancare la novità degli ininiente, a dirle zi, la coppia si che apprezzavo adagerà nella moquanto faceva notonia del quotiper il bambino e diano, e la stessa lei, all'inizio, mi sessualità coniugasembrava soddile perderà il suo alsfatta. Ma, fin dal bore gioioso, fino a secondo anno, ho condurre gli sposi vercominciato ad avverso una crisi sempre più tire che qualcosa era grave e perfino irreversibile. cambiato: mia moglie si Amici di Recanati si A complicare tutto questo, si lamentava per ogni più piccola consacrano con gioia aggiungerà il fatto che, uno dei due, inezia (se non portavo fuori la spaza Gesu Crocefisso a un certo punto, comunicherà di essersi zatura, se non appendevo i vestti nel moinnamorato di un'altra persona, con la quale do giusto, se lasciavo lo spazzolino fuori poha scoperto il "vero amore", che rappresenta per sto ...) ed era sempre più insofferente. Molto presto lui/lei come una rinascita. E si butterà in questa nuoha cominciato a criticare il mio carattere, a dire che va avventura, lasciando perdere tutto quello che avenon aveva più fiducia in me, manifestando atteggiava costruito fino a quel momento, compresi i figli! Il menti di gelosia senza motivo, accusandomi di non nuovo innamoramento si presenterà più come l'effetamarla più come prima! Prima di sposarci non era to di una situazione di crisi già in atto che la causa di così. Gianna era una delle persone più positive che una situazione già critica, che la coppia non ha sapuio avessi mai incontrato. Dopo il matrimonio, inveto affrontare, accettando la fatica di passare dall'ince, sembrava che io non facessi più nulla di buono; namoramento romantico all'amore reale. mai una parola di apprezzamento. Tentai qualche L’innamoramento è uno stato particolare di grazia chiarimento, ma senza grandi risultati, anzi ina(un "delirio divino", lo definiva Platone) che entra sprendo ulteriormente i nostri rapporti. Giorno dopo nel cuore dell'uomo e della donna all'improvviso, cogiorno mi convinsi che il nostro amore stava finendo me una luce abbagliante, investendolo totalmente; ese ben presto cominciai anch'io a rifiutarla e perfino a so fa sperimentare uno stato emozionale forte, un'edetestarla. Alla fine ci siamo decisi, di comune acsperienza di ebbrezza e beatitudine, come se si vivescordo, di separarci. La cosa più assurda è che, a se in un nuovo Eden, in uno stato paradisiaco dove tutt'oggi, io non ho ancora capito come abbiamo fattutto è perfetto, unico, "eterno". L’innamoramento è to a distruggere il nostro amore».
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uno stato emozionale forte, dunque, ma è temporaneo, in quanto non dura in media più di un anno o due. Non può permanere per sempre.
Dall’innamoramento all’amore L’idea che sia possibile amare il proprio coniuge con la stessa intensità degli inizi rappresenta un'illusione e non corrisponde alla realtà: va messo in preventivo che non è possibile, per la coppia, conservare il trasporto tipico dell'innamoramento per tutta la vita, sempre, allo stesso modo e con la stessa intensità. Il problema è verificare se l'innamoramento sia in grado di evolversi in un autentico vissuto di amore: - vissuto di amore come capacità di accettare l'altro/a per quello che è e non per quello che vorremmo fosse, accogliendolo anche con i suoi limiti e operando per valorizzarne le qualità, non mortificandole; - vissuto di amore come capacità di promuovere la persona del coniuge e creare relazioni positive di scambio e di comunicazione affettiva, dove ognuno si senta amato e apprezzato nelle sue aspirazioni; - amore come amicizia spirituale dove entrambi gli sposi imparino a sostenere le loro deboli esistenze e a crescere insieme, in una tenerezza colma di stupore e di incanto. Non risiede forse in questo passaggio (dall'innamoramento all'amore) la ragione per cui tanti matrimoni, nati con le più belle promesse, falliscono dopo uno o due anni, se non addirittura pochi mesi? L'innamoramento è essenziale all'inizio, ma è solo l'amore, un amore consapevole e maturo che consente di sostenere il "tutto" e il "per sempre" di una nuzialità pienamente realizzata; un amore consapevole e maturo dove ognuno si percepisca dono accogliente per l'altro, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia per tutti i giorni della vita, come si promette il giorno del matrimonio. Solo l'amore è in grado di edificare la coppia e di mantenerla giovane, fedele fino alla sera dell'esistenza umana. La storia di tante coppie che, dopo trenta, cinquant'anni, dicono di volersi più bene di quando erano giovani, attesta che questa meta è possibile. Il problema è di imparare l'alfabeto di un amore maturo e responsabile, di un'affettività adulta. Qualcuno potrebbe obiettare: ma se l'innamoramento esiste solo prima e, dopo esiste solo l'amore, si può parlare di un ri innamorarsi del proprio coniuge? È chiaro che, in tal caso, il lemma "ri innamorarsi" assume un significato ulteriore: non si riferisce più all'infatuazione spontanea dei primi tempi, ma all'accettazione matura della persona amata, riscoperta nelle sue dimensioni più profonde, e alla capacità quindi di vivere il "noi" coniugale, come un accadimento che si rinnova di giorno in giorno. E tale è la sfida che si prospetta a ogni coppia: l'amore, come fase successiva allo stato nascente, può essere vissuto come un "ri innamorarsi" continuo, nella concretezza della vita quotidiana. Può conservare una freschezza tale che niente e nessuno possono far invecchiare o morire? È dalla risposta che si dà a questa sfida che
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dipende, in gran parte, la realizzazione o meno di un matrimonio riuscito. Perché è tanto decisiva questa sfida? Riprendiamo l'esempio dell'uomo incontrato in treno che si trova a scontrarsi con la realtà di un cambiamento della moglie e di un calo progressivo dell'amore reciproco e probabilmente dello stesso desiderio sessuale. Egli ha davanti a sé tre alternative: - fuggire dalla realtà, interrompendo il rapporto di vita coniugale e riprovando con un'altra persona, nella convinzione di poter vivere con la seconda quanto non è riuscito a realizzare con la prima (separazione/secondo matrimoni/ (probabile) seconda separazione); - adagiarsi in un modus vivendi che accetta la monotonia del quotidiano, senza entusiasmo, tra un litigio e l'altro, ma che non accontenta nessuno dei due e sfocia in compensazioni di ogni genere; - accettare la realtà, ri scegliendo la persona in modo nuovo e consapevole, e imparando ad amarla nella sua concreta identità, compresi i suoi difetti per rinnovarsi in un rapporto di coppia connotato da profonda e sincera tenerezza (ri innamorarsi). Solo la terza alternativa conduce a realizzare un matrimonio riuscito, che renda felici entrambi e crei le condizioni per una crescita sana dei figli. Il problema è di riscegliere la persona amata, o meglio riscegliersi a vicenda e re imparare che cosa significa amarsi l'un l'altro come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei. E tale è la grazia del sacramento nuziale e la possibilità che offre: è una grazia sanante, confermante ed elevante. Il desiderio di amare e di essere amati è profondamente radicato nella psiche di ogni uomo e di ogni donna. E di fatto, quando un uomo e una donna si sposano pensano di realizzare questo tipo di amore. La stessa delusione che sperimentano, dopo il primo momento, non fa che manifestare questo bisogno. Il problema è di esserne coscienti e di divenire capaci di imparare l'alfabeto nell'amore e attuarlo nella propria concreta realtà, fidandosi della grazia dello Spirito Santo. (Sunto da Rinnovamento n. S. , marzo 2004). Carlo Rocchetta
Rita festeggia la sua consacrazione con il marito Giuseppe e la figlia Chiara
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Amici di Gesù Crocifisso
AMICI AGGREGATI
Una grande opportunità per gli Amici lontani
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olte volte mi sono arrivate domande da iscritti che vivono in luoghi dove non vi sono Fraternità o Gruppi degli Amici, per chiedere come vivere da lontano il cammino degli Amici e non essere semplicemente degli ausiliari. Ho incominciato a suggerire, tra l’altro, di unirsi spiritualmente agli incontri di una Fraternità degli Amici. È nata così una nuova realtà degli Amici di Gesù Crocifisso: sono gli “Amici Aggregati”, iscritti che vivono in zone dove non vi sono Gruppi di Amici, ma che desiderano vivamente partecipare al nostro cammino. Gli Amici lontani possono fare domanda all’Assistente nazionale di essere aggregati a una Fraternità; tenendo presente l’elenco delle Fraternità e gli orari dei loro incontri, (Vedi rivista di novembre - dicembre 2005), possono scegliere la Fraternità più adatta alla loro situazione. G l i A m i c i A g g r e g a t i: Si impegnano ad avere un rapporto particolare con la Fraternità di adesione. Si uniscono spiritualmente alla Fraternità nei giorni e nell’ora degli incontri della Fraternità, facendo da lontano lo stesso cammino di preghiera e di approfondimento della spiritualità Passionista, tenendo presente il programma formativo 2006 degli Amici (Vedi rivista Nov. dic. 2005 e Gennaio 2006). Riceveranno le catechesi che l’assistente spirituale fa negli incontri di Fraternità e nei ritiri mensili. Chi ne ha la possibilità, s’impegna a partecipare a qualche incontro a livello generale, a qualche ritiro mensile, agli esercizi spirituali di agosto al Santuario di S. Gabriele. Chi desidera fare la consacrazione solenne a Gesù Crocifisso, propria degli Amici, si sentirà con l’Assistente nazionale, per vedere in che modo si potrà fare. Il responsabile della Fraternità, d’accordo con l’assistente, può includere nell’elenco degli Amici Aggregati un iscritto della propria Fraternità che per gravi motivi di salute o di età non può più frequentare gli incontri della Fraternità. Ogni Fraternità ha un Amico/a incaricato del rapporto con gli Amici Aggregati. È una iniziativa che sta facendo i primi passi, ma già ci sono reazioni molto positive. Ne riporto alcune. Da Signa FI. “Caro padre, grazie per averci mandato le riflessioni dei ritiri di questo anno. Mi domandavo come partecipare spiritualmente da lontano al cammino passionista ed in particolare alle catechesi, un po’ come se fossi con voi. Ho pensato di mandarle delle brevissime riflessioni su quanto mi suscitano le meditazioni che fate, con l’unica pretesa di essere partecipe dei vostri incontri. Essere chiamata “Amica” è davvero meraviglioso. Ho risposto a Graziella, che mi ha mandato gli auguri a nome della Fraternità di Morrovalle. Trovo che sia stato un pensiero davvero gentile e molto accogliente per tutti gli Aggregati”. Maria Laura Siniscola NU. “Ho ricevuto con grande sorpresa una cartolina di auguri di Natale da Olga a nome della Fra-
ternità di Civitanova. Mi ha promesso che mi manderà una e-mail; se hai modo di sentirla dille che aspetto la sua lettera come un grande dono”. Isabella Brescia. “Ho ricevuto la tua lettera, che ho divorato con gioia. Ora mi è chiaro il cammino da percorrere. Sarò fedele agli impegni assunti; la mia giornata è fatta di preghiera, nella forma da lei descritta. Mi pare quindi di essere in sintonia con i Passionisti. Questo per me è motivo di gioia e di conforto. Mi considera “effettiva”. Anche lontana, sarò spiritualmente unita a voi. Sono contenta che mi abbia aggregata alla Fraternità di Morrovalle: sarò presente spiritualmente accanto a voi il secondo e ultimo martedì del mese, all’ora stabilita. Sento di avere in lei un padre spirituale e ne sono felice”. Isabella Brescia. “Non può immaginare con quanta gioia ho ricevuto la lettera con la quale mi comunicava che mi considera “passionista effettiva”, aggregata alla Fraternità di Morrovalle. Che grande dono di Dio! La luce che ha letto sul mio volto la mia mamma novantenne, che custodisco, deve essere stata così viva che mi ha detto: “Sembri di essere in Paradiso”! Sì, mi sentivo abbracciata al Crocifisso e nello stesso tempo mi sentivo amata da tanti fratelli che non conosco”. Anna Maria Nel prossimo numero della rivista pubblicheremo il primo elenco degli Amici Aggregati e degli incaricati da ogni fraternità a coltivare il rapporto con loro. Attendo adesioni da tanti amici che vivono in tutte le regioni d’Italia e anche all’estero, che desiderano vivere più intensamente il cammino degli Amici di Gesù Crocifisso. P. Alberto Pierangioli
Consacrazione di Olga, responsabile degli Amici Aggregati di Civitanova
Amici di Gesù Crocifisso
Un’oasi di silenzio nel cuore della grande metropoli
Manifesto dell’incontro europeo dei giovani a Milano con Taizè
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n’oasi di silenzio nel cuore della grande metropoli “Nella misura in cui la nostra comunità crea nella famiglia umana delle possibilità per allargare…” questa frase incompiuta segna il termine della lettera che frère Roger, fondatore della comunità ecumenica di Taizè, stava scrivendo pochi minuti prima che una donna mentalmente disturbata ponesse termine al suo pellegrinaggio terreno. Ma il suo messaggio di fiducia e speranza continua ad “allargarsi” tra i giovani di tutto il mondo, perché lo spirito di comunione, che la sua comunità vuole incarnare, si concretizza “nell’allargare il proprio cuore, come segno di profonda benevolenza”. Questo anno è stato il primo anno che “il pellegrinaggio di fiducia sulla terra” si è svolto, nella sua ventottesima edizione, senza il suo fondatore. In una Milano coperta da una coltre di neve, oltre 50.000 giovani da tutta Europa si sono radunati nell’ultima settimana dell’anno, sotto la guida di frère Alois, primo successore di frère Roger. L’incontro è iniziato con le parole commosse del priore: “La morte violenta di frère Roger è stata una grande prova per la nostra comunità. Questa morte tragica resta per noi un mistero. Nel corso della sua vita frère Roger ha spesso posto questa domanda: Perché la sofferenza degli innocenti? Ed ecco che lui stesso si è aggiunto al numero di coloro la cui prova resta senza spiegazione Come è accaduto al profeta Isaia, che in un momento storico estremamente difficile, sente che Dio dice al suo popolo: «Io vi porterò». Anche questo, noi l’abbiamo vissuto. Noi siamo stati come portati da Dio durante questa difficile situazione. Così ora la nostra comunità è come spinta a continuare, con voi e molti altri, sulla strada che frère Roger ha aperto. È un cammino di fiducia; è un invito: accogliere semplicemente l’amore che Dio ha per ciascuno di noi, vivere di questo amore, e assumere i rischi che questo comporta. Anche se il mondo è spesso ferito dalle violenze e dai conflitti, noi possiamo guardarlo con gli occhi della speranza”. Fiducia e speranza risuonavano con una straordinaria intensità tra i padiglioni della fiera di Milano, nonostante il non-senso dell’assenza dell’autore della “Lettera incompiuta”; questa missiva è stata oggetto,
ogni giorno, di meditazione e contemplazione, ed attraverso di essa frère Roger era presente con la sua spiritualità ricca di quel silenzio carico della presenza di Dio. La preghiera era viva attraverso l’esperienza della “preghiera del cuore” che veniva ripetuta ad ogni incontro attraverso i canti tipici di questa comunità: si tratta di una semplice frase, presa dal Vangelo o a questo ispirata, che viene cantata molte volte con una musica delicata. Questa ripetizione, che dà pace e scende gradatamente nel cuore, viene vissuta in una prospettiva liturgica, non soltanto personale ma anche comunitaria, in una preghiera comune. Così molti giovani che ancora non sanno quasi nulla del mistero hanno cominciato a conoscere e ad apprendere la preghiera. All’interno di quella comunione che si realizzava attraverso la preghiera, fatta di musica e silenzio, risuonava spesso la parola “speranza”: “eccoci collocati su un cammino di speranza. Dio non ci lascia soli. Ci permette di avanzare verso una comunione, questa comunione d’amore che è la Chiesa”, scrive frère Roger, “Nella misura in cui la Chiesa diventa capace di portare la guarigione del cuore comunicando il perdono, essa rende più accessibile una pienezza di comunione con Cristo. Per essere portatori di comunione, avanzeremo, ciascuno nella propria vita, sulla strada della fiducia e di una bontà del cuore sempre rinnovata. Su questo cammino ci saranno talvolta degli insuccessi. Allora ricordiamoci che la sorgente della pace e della comunione è in Dio. Lungi dallo scoraggiarci, invocheremo il suo Spirito Santo sulle nostre fragilità”. Ma il “luogo” intorno a cui si sono radunati, sempre più spesso, i giovani è stato il Crocifisso: il centro della comunione era proprio quello, perché per realizzare un autentico cammino di condivisione della fede non si può che passare dal Golgota. Al termine di ogni giornata veniva posto il Crocifisso al centro del padiglione e compiendo un piccolo pellegrinaggio in ginocchio ciascuno posava la propria fronte sul legno, per affidargli le proprie preoccupazioni, le persone care, le situazioni difficili, il proprio cammino di fede. Quanti ragazzi si alzavano il lacrime dopo aver pregato così ! Vivere quei giorni è stato sperimentare la presenza dello Spirito in un modo particolare: ha significato “accogliere la consolazione dello Spirito Santo, e così cercare, nel silenzio e nella pace, di abbandonarsi in lui”, ma non perché questo resti una mera esperienza personale; come dicevamo all’inizio, questa famiglia riunita in comunità attorno alla croce deve poi allargarsi per essere segno di speranza per tutto il mondo. Da quei giorni intensi è iniziato il vero pellegrinaggio per portare la speranza nelle strade di città grigie, ma con fiducia perché sappiamo che “in tutta la nostra vita, lo Spirito Santo ci permetterà di riprendere il cammino e di andare, da un inizio ad un nuovo inizio, verso un avvenire di pace”. Marco Pasquali CP
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Amici di Gesù Crocifisso
TESTIMONIANZE Il Signore mi darà il coraggio di portare la mia croce
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“È risorto”!
Carissimo padre, dal mio cuore ti giunga un vivo ringraziamento per quanto amore hai saputo riversare Carissimo padre, ho apprezzato molto il tuo ricorsulla mia famiglia. La malattia di mio padre è stata do, la tua vicinanza, le tue preghiere. le tue parole una immensa Grazia che ha rigenerato nel dolore e sempre incoraggianti e rassicuranti sono state per me nella sofferenza il mio cuore e la mia anima. Momendi grande conforto: un vero dono del Signore! to buio, faticoso, difficile ma grazie all’Amore miseriDa molti mesi ormai sto facendo la chemio, ma la concordioso della Madre Santa, momento di vita vera dodizione delle mie ossa rimane precaria. Devo usare le ve il senso profondo della croce si è svelato alle emostampelle e, a volte, la sedia a rotelle. La mia vita ha zioni e si è trasformato in offerta al Padre. Non so cosubìto una autentica metamorfosi (ero molto attiva sia a sa mi sarebbe accaduto se avessi vissuto questo dramcasa che a scuola!) e non mi è certo facile affrontare tanma senza la forza della fede e soprattutto senza le tue te e tali difficoltà e sopportare sacrifici di ogni genere. catechesi, gli insegnamenti, i consigli. Eppure, anche in questa situazione molto condizionante, Mio padre durante la malattia pregava spesso ed in nella piena consapevolezza di ciò che ho e dei rischi che ospedale guardando la Croce ripeteva: «Nonostante la corro, riesco a cogliere degli aspetti positivi, ad essere medicina, siamo nelle Tue mani, pensaci Tu». serena, a non aver paura, a sentire in me una forza e una Queste parole mi hanno sempre accompagnata ma pace che mi possono venire solo da Dio. Se la notte mi non riuscivo a pregare con lui, a parlargli dell’Amore sveglio, prego e nell’abbandono fiducioso dico: “Gesù di Dio, ero come paralizzata; poi un giorno ho preso pensaci Tu”! Spesso ripeto la preghiera di Gesù nell’orcon me il tuo libro delle meditazioni e lui mi ha chieto degli ulivi! Sono necessariamente nelle mani dei mesto di leggerlo. Sono cadute le resistenze, gli imbarazzi. Dio Padre ci ha avvolti con il suo Amore senza confini in un abbraccio eterno lasciando che il libro si aprisse alla meditazione 61, “È risorto”. A lui piaceva che gli rileggessi: “La risurrezione di Gesù ci deve colmare di gioia al pensiero che dove è ora il Cristo saremo anche noi. Il pensiero della morte non deve far paura ma deve portare a guardare alla nuova vita. La morte non è la fine, ma l’inizio di una vita senza fine.” Mio padre ancora lucido ma straziato dal dolore ha chiesto di appartenere agli Amici di Gesù Crocifisso. Voglio infatti farti dono della sua iscrizione firmata, prima di morire, con una fatica fisica immane così come puoi vedere dalla calligrafia. A lui è seguita l’adesione di mia madre. Amici nella casa di riposo di Montecosaro: Messa, canti e festa È stato per me come se avessi assistito al loro vero incontro, quello del cuore e dell’anima, alla unione per l’eternità. Soltanto il silenzio, la lode ed dici, ma mi sento sostanzialmente nelle mani di Dio. il ringraziamento possono completare questa Grazia viLe telefonate, le visite, i gesti di parenti ed amici mi va, generatrice di amore e di pace. Dopo poco tempo lui sono di grande aiuto, ma la vera consolazione è la cerci ha chiesto di chiamarti per gli ultimi sacramenti. tezza che Dio non mi abbandonerà e mi darà il coraggio Avrebbe voluto parlarti ancora ma poco dopo la Maper portare la mia croce. Sono convinta, come dice Giodonna lo ha preso con sé teneramente. vanni Paolo II, che l’amore di Dio non ci carica di pesi Patrizia. che non siamo in grado di portare…. e mentre Egli chiede, offre anche l’aiuto necessario. Prego molto; ogni giorno rinnovo la promessa di amore a Gesù Crocifis Sarei contenta di unirmi agli Amici so….. Ringrazio Dio per il dono della vita e della feCaro Padre, mi chiamo Annamaria, ho 35 anni e risiede. Gli offro le mie gioie, le mie sofferenze, le mie do in una cittadina in provincia di Salerno: Cava dè Tirorazioni. Mi è stato d’aiuto anche pensare a te, al tuo reni. Sono un insegnante. Nel 1991 ho conosciuto i Pamodo dolce ed umile di parlare e di proclamare la dri Passionisti grazie ad una missione tenuta nella mia Parola di Dio, alle tue catechesi sempre molto signiparrocchia e da allora sono sempre stata molto legata alficative ed illuminanti, capaci di far riflettere e di lala spiritualità di San Paolo della Croce, anche con l’aiusciare un segno, al tuo modo garbato e rispettoso di to concreto collaborando nella pastorale giovanile. Laesprimerti sulla sofferenza e sul suo senso cristiano. voro attivamente nella mia parrocchia: mi occupo degli Amica di Gesù Crocifisso ammalati e della catechesi ai giovani. Ho avuto modo di
Amici di Gesù Crocifisso
leggere lo statuto degli amici di Gesù Crocifisso, grazie al Padre Enzo del Brocco, e sarei contenta di potermi unire a loro e continuare il mio cammino di crescita spirituale. Spero tenga in considerazione la mia richiesta, anche perché mi rendo conto che sarei l’unica nella mia zona geografica. Annamaria Aucello
La grazia di aver conosciuto gli Amici
Carissimo padre, grazie per gli auguri pieni di affetto, li ho davvero sentiti come le parole di un padre che pensa ad ognuno dei suoi figli singolarmente. Il tempo di avvento ed il Natale mi sembrano più che mai adatti per ringraziare per i doni del Signore. Quest’anno io ho la gioia di dire il mio “grazie” per aver conosciuto gli Amici di Gesù Crocifisso ed aver così iniziato a condividere il carisma della Famiglia Passionista. Per me è davvero la spiritualità più grande che si possa trovare tra le tante stupende che arricchiscono la Chiesa e ne sono davvero innamorata. Certamente non me ne sento degna ma so che tanti fratelli Amici, tanto più avanti nella vita di fede, pregano anche per me, sento la forza della loro preghiera e faccio del mio meglio. In modo particolare vorrei ringraziare te, per aver accolto i laici in questo modo ed averci offerto questa vocazione. Il Signore te ne renda merito e moltiplichi tutte le grazie a te necessarie. Come scriveva S. Faustina Kowalska, conoscere Dio è amarlo, quindi bisogna aumentare la sua conoscenza. Voglio augurare a te ed a tutti gli Amici, soprattutto quelli di Morrovalle a cui sono aggregata, che questo Natale porti davvero un aumento della conoscenza di questo Dio di misericordia fattosi bimbo per noi. Maria Laura
Che impressione forte davanti a tanti “crocifissi”!
Carissimo padre, sto lavorando e proprio in questo momento ho aperto la posta elettronica. Leggendo l’articolo sulla Sequela del mese di gennaio, ho ripensato al giorno dell’Epifania quando, anche quest’anno, ho partecipato insieme a Luigi, Roberto e altri Amici di Gesù Crocifisso alla messa da te celebrata presso la casa di riposto per anziani a Montecosaro. Ho provato una impressione molto forte nel vedere quanti vecchietti soffrono e qualcuno non é più cosciente. Ho riflettuto sulla mia situazione: va tutto bene e magari lo do quasi per scontato e non sempre penso che non potrebbe essere così. Oggi sono pienamente indipendente, non mi fermo mai, ma un giorno potrebbe non essere più così. Vedere chi non é più autosufficiente mi mette tanta tristezza, ma dobbiamo mettere tutto nelle mani del Signore. Pina
Una giovanissima di 88 anni!
Otto gennaio 2006. A Morrovalle, nel convento dei Passionisti, c’è la giornata di ritiro per gli Amici di Gesù Crocifisso. Vi partecipo con tanto interesse ed entusiasmo fin dall’inizio del Movimento, facendo parte degli Amici fin dal 1990, quando per la prima volta partecipai agli esercizi spirituali alla Madonna della Stella. Da quell’anno il Signore mi ha chiamata a far parte della famiglia passionista. È stato un dono veramente grande di cui devo essere grata a P. Alberto, che ha ideato, formato e guidato questo gruppo, che è in continuo aumento per il numero degli iscritti e per la profondità del cammino spirituale. Oggi è il giorno del mio ottantottesimo compleanno. Gli anni sono tanti, ma ringrazio il Signore, che mi dona ancora la salute, la forza e l’entusiasmo per partecipare assiduamente agli incontri di fraternità, che mi procurano serenità e grande fiducia nella misericordia di Dio. Al mattino, alle 9,30 c’è stato l’incontro affettuoso con gli Amici, poi le Lodi e la catechesi, “La sequela: una chiamata d’amore”, che P. Alberto ha magistralmente spiegato e ho seguito con vivo interesse, facendo mie tante riflessioni sull’amore che Gesù ci dona, invitando ognuno di noi a seguire la sua strada. Spesso le difficoltà mi spaventano, ma con l’aiuto di Dio e la preghiera diventano facili da superare. È l’ora del pranzo: all’unisono mi giungono gli auguri degli Amici rimasti per il pranzo comuitario. Quanta commozione e gioia nello stesso tempo! Mi chiedo: merito tanto affetto e simpatia, io così schiva di queste manifestazioni e così vecchia col peso dei miei anni? Mi riprendo e ringrazio di cuore tutti per la loro partecipazione, per la stima che hanno di me, per il dono di un libro con il commento del vangelo di Marco veramente interessante, con la dedica carica di auguri, perché Gesù sia sempre la mia luce e la mia gioia. Grazie di cuore a P. Alberto e a tutti i miei Amici di Gesù Crocifisso. Maria Morlacco
Maria giovanissima Amica, festeggia i suoi 88 anni durante il ritiro
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Amici di Gesù Crocifisso
Bentornato Gabriele (1856 - 2006) Il 9 settembre 1856 un giovane elegante bussa alla porta del convento passionista di Morrovalle: è Francesco Possenti di Spoleto. Porta con sé una lettera del Provinciale che lo accoglie come novizio. Lo accompagna il fratello domenicano, P. Luigi. Doveva essere una semplice visita, per prendere contatto con la comunità e poi ripartire e ritornare definitivamente nei giorni seguenti. Ma appena entrato in convento, il giovane dice al P. Luigi: “Da qui non esco più”. Il 21 settembre 1856 qual giovane cambia nome e vestito: diventa Gabriele dell’Addolorata. Il 12 settembre 1857, al termine dell’anno di noviziato, Gabriele si consacra definitivamente a Gesù Crocifisso con i voti religiosi. Rimane a Morrovalle fino al 20 giugno 1858, quando parte per Pievetorina MC e di lì, nel 1959, va a Isola del Gran Sasso TE, per completare il cammino di santità iniziato a Morrovalle. A Morrovalle San Gabriele tornò, da santo, nel 1956, per festeggiare il primo centenario del suo ingresso a Morrovalle.
A Morrovalle tornerà di nuovo dall’8 all’11 giugno 2006 per celebrare i 150 della prima venuta. Questa volta non vi tornerà da incognito, ma troverà ad accoglierlo una fiorente comunità passionista e migliaia di fedeli di Civitanova, di Morrovalle e delle Marche che lo porteranno in trionfo, per dargli il “Bentornato”, come a un santo concittadino, non solo perché la mamma era di Civitanova, ma soprattutto perché a Morrovalle aveva iniziato quel cammino rapido e generoso che lo portò, in pochi anni, alle vette della santità, con una inconfondibile caratteristica mariana, attinta ai piedi della Madonna della Quercia. Anche tutti gli Amici di G. C. si stringeranno con gioia intorno a lui. P. Alberto CP
IX Convegno N. del Movimento Laicale Passionista 22-24 aprile 2006 Mascalucia (Catania) Per informazioni: Piera Iucci Via IV Novembre 44- 62012 Civitanova M. Tel. 0733 814071 Cell. 339 1626796 - e-mail pieraiucci@tele2.it
Calendario Amici 2006 05 marzo 12 marzo 02 aprile 14 aprile 7 maggio
Ritiro mensile a Morrovalle Ritiro e consacrazioni a Fossacesia CH Ritiro mensile a Morrovalle Venerdì Santo: ore 21,00: Adorazione della Croce (Civitanova) Ritiro mensile e consacrazioni a Morrovalle
Ricordiamo al Signore i nostri defunti: Prof. Modigliani Umberto: Firenze 07-12-2005. Mandolesi M. Teresa: S. Elpidio a M. AP: 03-01-2006. Trifirò Concetta Maria, res. Motecosaro: 05-02-06. Un grazie sincero a coloro che hanno inviato offerte per le spese di stampa Marzo - Aprile 2006 - Anno VII n. 2 Autor. Trib. di MC n. 438\99 del 17-12-1999 Sped. Ab. Post. D.353/2003 (L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 2, DCB Macerata. Tecnostampa - Recanati - C. c. p. 11558624 Dir. Tonino Taccone - Red. P.A. Giuseppe Pierangioli Piazzale S. Gabriele 2 - 62010 Morrovalle Mc T. 0733/221273 - C. 349.8057073 - Fax 0733/222394 E-mail albertopier@tiscalinet.it http://www.passionisti.org/mlp/amici