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mici di Gesù Crocifisso A Rivista del Movimento Laicale Passionista “Amici di Gesù Crocifisso”

Marzo - Aprile 2008 - Anno IX n.2

SOMMARIO † I Sacramenti dono di Cristo alla Chiesa † La celebrazione sacramentale † Il Crocifisso propulsione d’amore † Un uomo di Dio mangiato da tutti † Il primo santo di Malta † Il triduo pasquale † La dignità del bambino – Un figlio oggi † Nennolina verso gli altari † Amici News † Gli Amici in Sud Africa † Testimonianze Addolorata di Sebastiano Conca, fatta dipingere da S. Paolo della Croce

† Addio a una “Grande Amica” di G. C.


I SACRAMENTI DONO DI CRISTO ALLA CHIESA Marzo (CCC 1113-130)

LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO PASQUALE Aprile (CCC 1135-1162)

di P. Alberto Pierangioli

I

sacramenti sono il capolavoro di Dio nella Nuova Alleanza; dono di Cristo alla Chiesa, sono il cuore della liturgia e della vita cristiana. L’uomo, composto di spirito e di corpo, ha bisogno di segni sensibili per comunicare con Dio e con gli uomini. Per questo anche Dio, per comunicare con l’uomo e donarsi ad esso, si serve di segni sensibili, facilmente percepibili dalle sue creature. Questi sono i sacramenti. La Chiesa, fin dai primi secoli, discerne, tra le sue celebrazioni liturgiche, sette segni sensibili che sono i sette sacramenti istituiti dal Signore.

Battesimo di Gesù I sacramenti di Cristo Gesù Cristo, Uomo-Dio, è il primo sacramento, cioè il segno visibile dell’incontro di amore di Dio con gli uomini e degli uomini con Dio e tra di loro. Tutta la vita di Gesù era annuncio e segno della salvezza che egli era venuto a portare. Le sue azioni, i suoi insegnamenti e “la forza che usciva da Lui e sanava tutti” (Lc 6,19) erano inizio della grazia che oggi egli dona per

mezzo dei sacramenti. S. Tommaso riassume così le diverse dimensioni dei sacramenti: «Ogni sacramento è segno commemorativo del passato, ossia della passione del Signore; è segno dimostrativo del frutto prodotto in noi dalla sua passione, cioè della grazia; è segno profetico, che preannunzia la gloria futura». I sacramenti sono segni sensibili ed efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, per santificarci, per donare o ridonare la grazia, cioè la vita divina e la grazia sacramentale, propria di ciascun sacramento. Sono segni efficaci, non solo simboleggiano la grazia ma la conferiscono realmente, perché in essi agisce Cristo stesso: è lui che battezza, è lui che opera nei suoi sacramenti. Questo significa l’affermazione “i sacramenti agiscono ex opere operato”, cioè “per il fatto stesso che l’azione viene compiuta”, in virtù della salvezza compiuta da Cristo una volta per tutte. Quando un sacramento viene celebrato secondo le l’intenzione della Chiesa, la potenza di Cristo e del suo Spirito agisce in esso indipendentemente dalla santità personale del ministro. Il frutto dei sacramenti è che lo Spirito Santo deifica i fedeli, facendoli figli di Dio e unendoli vitalmente al Salvatore [Cf 2Pt 1,4 ]. Tuttavia il frutto dei sacramenti dipende anche dalle disposizioni di colui che li riceve. Non basta ricevere i sacramenti; bisogna prepararsi a riceverli, conoscerli e approfondirli, custodire la vita di grazia, per non sciupare i doni che essi portano. Questo spiega il fatto che i sacramenti portano tanto frutto in

alcuni e meno frutto o nessun frutto in altri. La Chiesa afferma che per i credenti i sacramenti della Nuova Alleanza sono necessari alla salvezza. Essi santificano i fedeli, edificano il Corpo di Cristo che è la Chiesa e rendono culto a Dio; in quanto segni, hanno anche la funzione di istruire. Non solo suppongono la fede, ma la esprimono e la nutrono con le parole e gli elementi sensibili; perciò vengono chiamati sacramenti della fede. I sacramenti della Chiesa Cristo ha affidato i sacramenti alla Chiesa ed essa li dona a noi. “I sacramenti fanno la Chiesa”, perché manifestano e comunicano agli uomini, soprattutto nell’Eucaristia, il mistero della comunione del Dio Amore, all’interno della Trinità e nella comunione con noi. La Chiesa celebra i sacramenti come comunità sacerdotale mediante il sacerdozio battesimale di tutti i fedeli e quello dei ministri ordinati. Mediante il Battesimo e la Confermazione, il popolo sacerdotale è reso idoneo a celebrare la Liturgia; alcuni fedeli, “insigniti dell’Ordine sacro”, sono posti a pascere la Chiesa, nel nome di Cristo, con la parola e i sacramenti. Il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio battesimale. Esso garantisce che nei sacramenti è proprio Cristo che agisce per mezzo dello Spirito Santo per la santificazione dei fedeli. La salvezza, affidata dal Padre al Figlio incarnato, è da lui affidata agli Apostoli e da essi ai loro successori, che ricevono lo Spirito Santo per operare in suo nome. I sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine conferiscono, oltre la grazia, un “sigillo indelebile”, detto il “carattere”, in forza del quale il cristiano partecipa al sacerdozio di Cristo e fa parte della Chiesa secondo stati e funzioni diverse. Per questo sono ricevuti una volta sola. Il frutto dei sacramenti è personale ed ecclesiale. Aiuta ogni fedele a vivere per Dio in Cristo Gesù e costituisce per la Chiesa una crescita nella carità e nella testimonianza.

di P. Alberto Pierangioli La liturgia celeste La celebrazione liturgica è una celebrazione divina e umana, che si svolge nel cielo e qui sulla terra. Tutti coloro che celebrano la lode del Signore fanno parte, in qualche modo, della Liturgia celeste, dove la celebrazione è totalmente comunione e festa. L’Apocalisse descrive ampiamente la liturgia celeste, con immagini grandiose, secondo un linguaggio apocalittico. Al centro di tutto c’e “l’Agnello immolato” (Ap 5,6), il Cristo crocifisso e risorto, lo stesso “che offre e che viene offerto”. Alla lode perenne a Dio partecipano gli angeli e i santi del cielo, tutta la creazione, il nuovo Popolo di Dio, in particolare i martiri, la Madre di Dio e tutta la Chiesa, “una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Cf. Ap 7,9). A questa Liturgia celeste ci uniamo anche noi quando celebriamo sulla terra il Mistero della salvezza, in particolare con la preghiera liturgica della Chiesa.. I celebranti della Liturgia sacramentale Su questa terra tutta la Comunità è chiamata a celebrare il Signore, come Corpo mistico di Cristo unito al suo Capo. Le azioni liturgiche non sono mai azioni private, ma sono celebrazioni della Chiesa. Perciò, per quanto è possibile, la celebrazione comunitaria è da preferirsi alla celebrazione individuale e privata. L’assemblea che celebra è la comunità dei battezzati, i quali, per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, vengono consacrati a formare un sacerdozio santo, e così offrire a Dio, con un sacrificio spirituale, tutte le attività umane del cristiano. Questo “sacerdozio comune” è quello che Cristo, unico Sacerdote, partecipa a tutti i battezzati. É necessario che tutti i fedeli vengano guidati a una piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, come popolo di Dio che ne ha diritto e dovere in forza del Battesimo e quale “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto” (1Pt, 2,9). Ma “le membra non hanno tutte la stessa funzione” (Rm 12,4). Alcuni sono chiamati da Dio ad un servizio speciale

Solenne liturgia a S. Gabriele con gli AGC della comunità, sono scelti e consacrati mediante il sacramento dell’Ordine, con il quale lo Spirito Santo li rende idonei ad operare nella persona di Cristo-Capo per il servizio di tutte le membra della Chiesa. Il ministro ordinato è come “l’icona” di Cristo Sacerdote. Per esercitare le funzioni del sacerdozio comune dei fedeli, vi sono inoltre altri ministeri particolari, non consacrati dal sacramento dell’Ordine, la cui funzione è determinata dai vescovi secondo le tradizioni liturgiche e le necessità pastorali. Sono tutti coloro che collaborano nel servizio all’altare, i ministranti, gli accoliti, i lettori, i ministri straordinari dell’Eucaristia, i membri del coro, i catechisti: tutti svolgono un vero ministero liturgico. In questo modo tutta l’assemblea è “liturga”, ciascuno secondo la propria funzione. É importante che ogni ministero sia svolto con competenza, con dignità e con fede. II. Come celebrare? Nella vita umana i segni occupano un posto importante, perché l’uomo percepisce ed esprime le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. L’uomo ha bisogno di segni per comunicare con gli altri e si serve del linguaggio, dei gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio. Ogni celebrazione sacramentale è intessuta di segni e di simboli, che provengono dalla cultura umana di ogni popolo. Dio par-

la all’uomo per mezzo delle cose create. La Liturgia sceglie e santifica alcuni elementi della creazione e della cultura umana, conferendo loro la dignità di segni della grazia, della nuova creazione in Gesù Cristo. Gesù si à servito spesso di segni umani per far conoscere i misteri del Regno di Dio. Lo Spirito Santo santifica mediante i segni sacramentali. I sacramenti non aboliscono, ma purificano e integrano tutta la ricchezza dei segni e dei simboli del cosmo e della vita sociale. Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il Padre e tale incontro diventa un dialogo, con azioni e parole. Ogni sacramento è composto di materia e di forma. La materia sono le azioni, la forma sono le parole. Le azioni simboliche parlano già per se stesse; tuttavia è necessario che siano accompagnate dalla Parola di Dio. Le azioni liturgiche significano ciò che la Parola di Dio esprime. La Liturgia della Parola è parte integrante delle celebrazioni sacramentali: comprende la Parola scritta, l’omelia del ministro e le risposte dell’assemblea. Il canto e la musica sacra costituiscono un tesoro di inestimabile valore e sono una parte necessaria ed integrale della Liturgia solenne; svolgono la loro funzione di segni in una maniera tanto più significativa quanto più sono strettamente uniti all’azione liturgica di tutta l’assemblea.


IL CROCIFISSO PROPULSIONE D’AMORE Pensiero Passionista - Marzo/Aprile 2008

LA CROCE POLITICA DI DIO

di Gabriele Cingolani cp

La

morte e risurrezione di Gesù ha impiantato nell’umanità una propulsione d’amore inesauribile. Se un essere umano si rende disponibile ad accoglierlo può restarne incendiato come la stoppa a una scintilla. Abbiamo bisogno di motivazioni per vivere. Se esse sono le stesse che guidarono Gesù nello spendersi per noi fino alla morte di croce, chi vive così si chiama cristiano. È l’esperienza umana e mistica dei santi famosi o anonimi. Si ripete nei missionari e in tanti cristiani e passionisti, laici e consacrati, che cercano di vivere la loro spiritualità. Fu l’esperienza di san Paolo della Croce, che dall’amore del Crocifisso si sentiva consumare e avrebbe voluto incendiarvi il mondo. Urgenza d’amore incontenibile Dalle lettere di Paolo Apostolo appare evidente che egli era immerso nella stessa esperienza. Nella Seconda Lettera ai Corinzi si trovano alcuni dei passi più infuocati con cui la descrive. “L’amore di Cristo ci spinge (Caritas Christi urget nos) al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Egli è morto per tutti perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro”, 5,14-15. Lo scrive per spiegare la motivazione del suo apostolato a certi componenti della comunità che ne avevano messo in dubbio la coerenza. Qualcuno era rimasto scandalizzato perché Paolo aveva promesso di tornare a visitare quei fedeli, ma poi non gli era stato possibile entro il tempo previsto. Avevano cominciato a spargere discredito su tutto il suo lavoro. Neppure lui è sincero, dicevano. Fa promesse e non le mantiene, dice una cosa e ne fa un’altra. Come si può credere a quello che ci ha insegnato? Se non è affidabile come persona, non lo è neppure come pastore. Non l’avessero mai fatto. Paolo spende due terzi della lettera per motivare il suo ministero con ragioni teologiche e spirituali altissime, radicate nel disegno trinitario e nel mistero pasquale del Cristo morto e risorto. Le parole citate sono tra le più espressive, perché ci rivelano la fonte a cui Paolo attinge le sue energie: l’amore di Cristo per noi

di Gabriele Cingolani cp

nella sua morte di croce. Quell’amore è diventato una spinta irresistibile, come quella dei reattori che lanciano i razzi e i jet nei cieli. L’amore che spinge (urge) vuol dire che muove tutto il vivere e l’agire. Un amore di andata e ritorno, cioè di risposta a un dono ricevuto, perché è l’amore di Cristo che invade e mobilita. Il bisogno di ricambio è incontenibile perché il nostro amore a Cristo dipende sempre dall’amore di Cristo per noi. Si vede che Paolo è immerso nella contemplazione del mistero – come più tardi farà il suo omonimo fondatore dei passionisti – perché solo il Crocifisso può svelare gli abissi e comunicare le fiamme del suo amore. L’amore che Cristo stesso aveva definito il più grande possibile: “Dare la vita per gli amici”, Gv 15,13. Il senso biblico della parola (spingere, urgere) è avvolgere, comprimere, possedere e essere posseduti. Per Paolo significa che l’amore di Cristo è una febbre che divora o una morsa che afferra o una potenza che incatena fino a impedirgli di pensare ad altro. Non esistono espressioni più forti. Com’è possibile vivere per se stessi quando “uno è morto per tutti”. Difatti altrove dice: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”, Gal 2,20. Vivere come morti o morire restando vivi L’immensa lezione d’amore che scaturisce dalla croce è che Cristo è morto perché tutti possano vivere della sua vita. Che cosa può significare che tutti viviamo perché Cristo è morto per noi? Certo non possiamo vivere della vita alla quale egli è morto. Si deve dunque trattare della vita alla quale egli è risorto. Quindi se siamo cristiani non lo siamo per la vita fisica che stiamo vivendo, ma grazie alla vita nuova in Cristo risorto che riceviamo nel battesimo e sviluppiamo nella fede e nei sacramenti. Un cristiano è vivo solo nella misura in cui il Risorto vive in lui, o lui stesso vive nel Cristo risorto. Siccome tra gli oppositori di Corinto ci doveva essere qualcuno che si vantava di aver conosciuto Gesù di persona in qualche fase del suo ministero, Paolo precisa: “Anche se abbiamo conosciuto

Amici di Gesù Crocifisso in Sud Africa Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Se uno è in Cristo è una creatura nuova. Le cose vecchie sono passate”, 5,16-17. Paolo stesso potrebbe aver conosciuto Gesù durante il suo ministero. Più o meno nello stesso tempo, infatti, Paolo stava studiando l’ebraismo alla scuola del rabbino Gamaliele, senza interessarsi al rabbino Gesù. Ma questo eventuale tipo di conoscenza non basta. Se la nostra conoscenza di Gesù è solo “secondo la carne”, cioè biografica, intellettuale, scientifica quanto si voglia, ma non abbraccia il suo mistero, è inutile. Il mistero è la sua morte di croce per me, perché io possa vivere in lui. Paolo scandisce martellando le articolazioni del mistero: è morto – è risorto – per tutti. Finché non capiamo che il mistero di Cristo è anche nostro, cioè

Pensiero Passionista - Gennaio/Febbraio 2008

che la sua morte è anche nostra e che la sua nuova vita di risorto è anche nostra, possiamo anche sapere tutto su di lui, ma la nostra conoscenza è solo carnale, quindi non ci salva. Quel che conta è lasciarsi afferrare dal mistero del mortorisorto, quindi morto-vivo, e lasciarsene rinnovare fin nelle radici dell’essere. “Le cose vecchie sono passate. Ecco ne sono nate di nuove” .Questo annuncio che il Secondo e il Terzo Isaia applicano all’era messianica – 43,18; 65,13 – e che l’Apocalisse applica all’escatologia – 21,1 – Paolo lo applica alla vita nuova in Cristo risorto che inizia fin da quaggiù. Le “cose vecchie” – la vita dominata dal peccato – devono restare in stato di crocifissione e di morte in Cristo perché le “nuove” – la vita dominata dalla santità – prevalgano fin da ora.

Quale differenza tra questa vita e l’altra? Nell’usare simili terminologie – questa vita e l’altra, vita vecchia e vita nuova, vita in Cristo o nella carne – noi non possiamo prescindere dalla realtà del corpo nel quale viviamo quaggiù. Esso non è la prigione dello spirito o la corteccia per proteggerlo. È la nostra identità di essere umani. Noi siamo il nostro corpo allo stesso modo che siamo spirito. Come pensare che il nostro corpo sia morto con Cristo, mentre siamo ancora fisicamente vivi, e il nostro corpo è essenziale all’esistenza dello spirito? Il nostro corpo non è pensabile senza lo spirito, né il nostro spirito senza il corpo. La morte come separazione dell’anima dal corpo è una spiegazione filosofica non chiaramente basata sulla bibbia. Paolo apostolo ha provato a dare una spiegazione dal punto di vista del mistero di Cristo. Parlando del suo apostolato come partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù afferma: “Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti noi che siamo vivi veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifestata nella nostra carne mortale”, 2Cor 4,10-11. Pur sentendo che il suo corpo si logora nelle fatiche apostoliche – viaggi, conflitti, predicazioni, rifiuti, persino arresti e flagellazioni e lapidazioni; in fondo come i nostri corpi nello spenderci quotidiano per i nostri servizi – Paolo sperimenta che il Signore lo sostiene con la prospettiva della risurrezione. Difatti prosegue: “Sappiamo che quando sarà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna non costruita da mani d’uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste”, Ib 5,1-2. “Sia dimorando nel corpo, sia esulando da esso, ci sforziamo di essere a lui graditi”, Ib 5,9. Questa vita e l’altra, questo mondo e l’altro sono ormai uniti a incastro. Questo mondo di incompletezza sta passando, inghiottito nella morte del Crocifisso. Ma l’altro sta arrivando, nella gloria del Risorto. Le tribolazioni della situa-

zione presente ne stanno accelerando l’avanzata. La sofferenza è il varco che il mondo futuro si sta aprendo per entrare in quello presente, come la falla in una diga destinata a crollare. Quanto più soffriamo con amore, tanto più significa che il Crocifisso ci sta attirando perché, distaccandoci da questo mondo, ci abbandoniamo con lui nella morte come scelta libera e come atto d’amore, mettendo così fin da ora un piede sulla soglia della dimora celeste. Il dolore di questa vita, mentre da una parte ci assimila al Crocifisso, dall’altra riverbera la vita che irrompe dal Risorto. Infatti soffrendo per amore ci è possibile conformarci a Colui che nel dolore della morte per amore ha rivelato il massimo dell’amore, preludio della sua risurrezione. Nella visione di Paolo non sembra esistere una condizione umana senza il corpo, né in questo né nell’altro mondo. Egli parla di “questo corpo nostra abitazione sulla terra”, che si sta logorando mentre va verso la fine, e di “una dimora eterna nei cieli”, cioè un nuovo corpo per vivere in Dio. Dovrà essere come il corpo del Risorto, dallo Spirito e nello Spirito. Che questo avvenga al momento della morte o alla risurrezione finale, e in che modo questo avvenga per i salvati e per gli eventuali dannati noi non lo sappiamo, ma la speranza ci assicura che il nostro essere, pur finendo nella sua attuale condizione, non scomparirà nell’annientamento che la morte sembra produrre. Paolo non desidera morire ma solo essere “liberato da questo corpo di morte”, cf. Rm 7,24, per passare all’abitazione non fatta da mani d’uomo. L’inizio e la caparra di questa situazione futura è già in noi nel dono dello Spirito. La vita eterna già palpita in noi. Lo Spirito che ci abita sarà la nostra abitazione. Lui – o IN LUI? – sarà il nostro nuovo corpo, com’è già per il Signore Risorto. Questa aspirazione del nostro essere non può essere un’illusione, perché la sua attuazione è già in corso in noi ed è attuata in pienezza in Cristo e nella sua madre la Vergine Maria.


UN UOMO DI DIO MANGIATO DA TUTTI

IL PRIMO SANTO DI MALTA di Francesco Valori

M

olti di noi, specie i più anziani, hanno avuto il piacere di conoscerlo. Una bella figura, affabile, sempre sorridente, con quella umiltà che non scopre e si può chiamare naturalezza. P. Pietro Paolo, al secolo Felice Maurizi, nasce a Scoppito, un paese a 12 Km dall’Aquila, il 6 settembre 1913, da Maria Angela e Paolo Maurizi. La mamma è molto religiosa, se lo porta in chiesa con sé e gli insegna le cose di Dio. Felice cresce sano e molto vivace; spesso ama-

va ricordare sorridendo le birichinate da fanciullo. Per questo forse pochi si aspettavano che Felice potesse scegliere la vita religiosa. Ma le vie del Signore sono imperscrutabili. Dice il nipote Silvio: “Fu il giorno della sua prima comu-

nione che avvertì la presenza di Gesù nella sua vita. La sua scelta cadde per i Passionisti ed ancora oggi sembra di sentire la sua voce: “Le cose o si fanno complete o non si fanno per niente”. Rimase sempre importante il rapporto con la madre, che lo ha accompagnato in tutto il suo percorso spirituale. Alla partenza per il seminario passionista di S. Angelo in Pontano Mc, il 4 novembre 1927, a 14 anni, lei piangeva per il distacco e lui l’incoraggiò con parole sagge: “Mamma, su, coraggio, non vado alla morte, ma con Gesù!”. Nonostante i suoi impegni in congregazione visse con partecipazione e presenza tutti gli avvenimenti belli e tristi della sua famiglia. Nel 1929 passa l’anno di noviziato a Recanati, dove emette i voti religiosi nel 1930. Dopo gli studi teologici, è ordinato sacerdote il 10 luglio 1938 dal servo di Dio Mons. Battistelli nel santuario di s. Gabriele. In uno scritto di quel giorno il P. Pietro Paolo si dà un programma di vita pieno di buoni propositi per essere un bravo sacerdote passionista, chiedendo con fiducia l’aiuto a Gesù e Maria. È inutile dire che li osservò tutti e bene. Svolse con solerzia ministeri vari, missioni, confessioni, suscitando intorno a sé stima e simpatia. Il P. Paolo M. Tortaro descrive così la caratteristica di P. Pietro Paolo: “Aveva uno stile semplice, chiaro e ben accetto al pubblico, anche perché offerto con serena grazia umana e apostolica”. Fu subito impiegato come economo e superiore in varie case della congregazione. Per 17 anni, dal 1960 al 1977 lavorò a S. Gabriele come direttore amministratore dell’Eco di S. Gabriele e poi come direttore della tipografia, che portò ad un ottimo livello di efficienza. Era un uomo molto colto, dotato di un’ottima memoria, leggeva molto. Aveva una buona parola per tutti sia per i giovani passionisti che per i laici e ripeteva spesso ai dubbiosi: “Coraggio, coraggio, che vai bene!”. Nel 1977 viene trasferito a Morrovalle, sede del noviziato nazionale, perché fosse di esempio ai novizi e disponibile per le confessioni. Per 14 anni il P. Pietro Paolo si è dedicato con molto impegno alla direzione spirituale di religiosi e fedeli. Fu confessore di diverse comunità religiose femminili delle Marche e dell’Abruzzo. Ha consolato, ha aiutato,

S. GIORGIOS PRECA (1880 - 1962)

P. Pietro Paolo Maurizi

ha confessato; molti l’hanno incontrato nella chiesa di S. Filippo a Macerata. É stato una guida spirituale impareggiabile per vicini e lontani. La sera dopo cena, il telefono della comunità era spesso riservato alle tante telefonate che gli arrivano da tante parti. A queste persone arrivano poi le sue lettere di direzione spirituale, dense di spiritualità, piene di consigli forti e sempre incoraggianti. Queste le caratteristiche della sua direzione spirituale: disponibilità, amore, distacco, trasparenza. Scriveva: “Morire lavorando per il Signore. Che tutti possano prendere un brandello della nostra vita! Farsi mangiare come Gesù: lo mangia il buono e il cattivo, chi lo ama e chi lo tradisce, chi lo segue e chi gli volta le spalle”. É consapevole che la paternità si deve pagare: “Il bene fatto alle anime con tanta gioia, si deve pagare a caro prezzo, come hai fatto tu per me, Signore, su quel legno. Anche tua Madre le gioie della maternità le pagò a carissimo prezzo sotto la croce. Ma tu sarai sempre la mia gioia, la mia pace, o Signore!”. Una suora sintetizza così il ministero del P. Pietro Paolo: “Mi sento segnata dall’opera del P. Pietro Paolo. Al di là della disponibilità totale, della pace che sapeva sempre darmi, con la sola presenza, con la facilità con cui coglieva le mie situazioni, al di là della delicatezza rara con cui si accostava alla coscienza della persona, io l’ho sentito sempre compromesso con la storia del penitente, fino a farsene carico con generosità commovente. L’ho sentito davvero padre e davvero confidente”. Al ritorno di una di queste fatiche a Macerata, il 3 aprile del 1991, accusa un malessere improvviso e alle ore 16:30 rende l’anima a Dio, “lasciando dietro di sé - come aveva scritto lui stesso ad una suora - un posto pulito e profumato, quando i nostri vasi di alabastro, pieni di unguento prezioso, saranno infranti dalla morte”. Al suo funerale furono viste piangere tante persone e una esclamava: “Oggi ho perso la seconda volta mio padre”. Qualcuno può obiettare che la famiglia passionista è piena di religiosi come P. Pietro Paolo. È vero, ma con ciò possiamo dire solo che ci sono tanti santi passionisti ma non che lui non lo fosse.

di Victor Degiorgio

S.

Giorgios Preca, primo santo maltese, è stato un vero precursore dell’apostolato dei laici cristiani. Nacque il 12 febbraio 1880 alla Valletta, capoluogo dell’ Isola di Malta. Anche se di salute cagionevole, crebbe normalmente in una famiglia numerosa e profondamente cristiana. Entrò nel Seminario Maggiore dopo avere frequentato la scuola secondaria statale. Ordinato diacono si ammalò seriamente e, a parere dei medici, non c’era per lui speranza di guarire. Tuttavia superò la crisi attribuendo la guarigione all’intercessione di S. Giuseppe e fu ordinato sacerdote il 22 dicembre 1906. Prima ancora della ordinazione sacerdotale, Don Giorgio intuì una chiamata a istruire il popolo di Dio che ne aveva tanto bisogno. Già da seminarista ideò una Società di diaconi permanenti che potessero aiutare i vescovi nell’istruzione e nella formazione cristiana del Popolo di Dio. Aveva, di fatto, abbozzato una regola di vita in latino che voleva inviare al Papa San Pio X. Quell’idea primigenia doveva realizzarsi nel formare un primo nucleo di giovani che potessero anch’essi insegnare agli altri. Don Giorgio prese con sé uno di loro, il Servo di Dio Eugenio Borg, un operaio all’Arsenale, lo ammaestrò nella parola di Dio e si soffermò con lui particolarmente sulla Passione di Gesù secondo il Vangelo di S. Giovanni. Eugenio fu poi il primo Superiore Generale della Società fondata da Don Preca. Fu nella cittadina di Hamrun, in un ambiente povero ma pieno di carità e di passione per l’insegnamento della parola di Dio, che nei primi mesi del 1907 ebbe gli inizi la Società della Dottrina Cristiana. Nei primi anni Don Preca fu mal interpretato da non pochi, ai quali sembrava troppo ardito consegnare la Bibbia e la teologia in mano a laici, e, per di più, semplici operai. Fu poi intollerabile vedere laici che proclamavano la parola di Dio. Ma dopo le difficoltà dei primi venticinque anni, la nuova

Associazione fu approvata dal vescovo di Malta il 12 aprile 1932. Si aprirono nuovi centri di dottrina cristiana in tutte le parrocchie. La gente in genere aveva bisogno di una formazione religiosa vera e propria. La vita cristiana di tanti consisteva poco più che nel ricevere i sacramenti e coltivare le devozioni popolari. Non era una vita radicata nei solidi insegnamenti della Chiesa. I ragazzi incominciavano a frequentare i centri di Don Giorgio quotidianamente. Trovavano non solo l’istruzione ma una formazione umana e religiosa completa. Sin dall’inizio Don Preca cercò di insegnare sia agli adulti che ai piccoli, ma soprattutto insistette sulla formazione dei membri stessi della Società, che voleva che fossero celibi e completamente dediti all’opera dell’insegnamento religioso. Insegnò anche con la parola scritta. Anche se a Malta infuriava allora la lotta tra l’inglese e l’italiano, Don Giorgio insegnò e scrisse in maltese, la lingua del popolo. A lui si attribuiscono circa 150 pubblicazioni tra libri e opuscoli. Le preghiere che compose sono

molteplici. Rivelano un’anima mistica. Dio solo fu l’oggetto del suo pensiero e della sua attenzione. Si nutriva della frequente meditazione della Passione di Gesù, specialmente il venerdì. Viveva con grande intensità la settimana santa. Aveva una devozione particolare per S. Gabriele dell’Addolorata e S. Gemma Galgani. Fu un confessore che moltissimi cercarono per i suoi consigli e pare che con alcuni Don Giorgio fosse uno strumento del Signore per delle guarigioni straordinarie. Sono numerose le vocazioni allo stile di vita della Società da lui fondata. Egli stesso mandò sei membri della Società ad evangelizzare in Australia. Successivamente la società ha aperto centri nel Sudan, nel Kenya, a Londra ed in Albania. Don Giorgio Preca morì il 26 luglio 1962, nella parrocchia di Santa Venera dove aveva passato gli ultimi mesi della sua vita. É sepolto nella chiesa della Casa Generalizia della Società a Malta. Don Giorgio Preca è stato dichiarato beato nel 2001 ed è stato dichiarato Santo il 3 giugno del 2007, insieme al santo passionista San Carlo Houben. Benedetto XVI, nel proclamarlo santo, ha detto di lui: “É un amico di Gesù e testimone della santità che viene da Lui, un sacerdote tutto dedito all’evangelizzazione: con la predicazione, con gli scritti, con la guida spirituale e l’amministrazione dei Sacramenti e prima di tutto con l’esempio della sua vita. Il Signore ha potuto servirsi di lui per dar vita ad un’opera benemerita, la “Società della Dottrina Cristiana”, che mira ad assicurare alle parrocchie il servizio qualificato di catechisti ben preparati e generosi. Anima profondamente sacerdotale e mistica, egli si effondeva in slanci d’amore verso Dio, verso Gesù, la Vergine Maria e i Santi. Amava ripetere: “Signore Dio, quanto ti sono obbligato! Grazie, Signore Dio, e perdonami, Signore Dio!”.


TRIDUO PASQUALENovembre

Consacrazioni

Novembre

Sintesi da A. Bergamini Origine della festa di Pasqua La festa della Pasqua risale certamente agli Apostoli e alla pratica liturgica delle prime comunità cristiane. Alla fine del II sec. le chiese dell’Asia Minore e limitrofe celebravano la Pasqua e terminavano il digiuno il 14 di nisan, anniversario della morte di Cristo. Roma e altre chiese non interrompevano il digiuno il 14 di nisan, ma lo proseguivano perché celebravano la Pasqua la domenica successiva. Ci fu una controversia molto viva se celebrare la Pasqua nel giorno della morte o della risurrezione. La vertenza fu chiusa dal decreto del concilio di Nicea (325) che deliberò che «i fratelli orientali adottassero la stessa prassi dei romani e degli alessandrini e di tutti gli altri». La celebrazione liturgica della Pasqua si è sviluppata a partire dalla veglia pasquale. In questa notte, dopo le letture, si celebrava anche il battesimo e la veglia si concludeva verso il mattino con l’eucaristia. La veglia era preceduta dal digiuno, che iniziava col venerdì santo e si protraeva fino all’eucaristia della notte pasquale. Il triduo pasquale del Cristo morto, sepolto e risorto, si è sviluppato sul terreno della pasqua domenicale, celebrata la domenica successiva al 14 di nisan e comprendeva venerdì-sabato-domenica. Quando nel IV sec. si è iniziato a storicizzare i racconti del vangelo, si è voluto celebrare al giovedì anche l’istituzione dell’eucaristia. Il venerdì santo, poi, soprattutto nel medioevo, è stato sopraffatto dalla devozione popolare. Pian piano la veglia pasquale scomparve e i suoi riti venivano celebrati nel mattino del sabato. Pio XII nel 1951 ripristinò la veglia. Nel 1955 l’intero triduo pasquale riebbe la sua autentica unità. Il concilio Vat. II ha ridato all’intera celebrazione maggiore unità e ricchezza di contenuti. Significato del Triduo Pasquale La liturgia del triduo è fondata sull’unità del mistero pasquale che comprende la morte e risurrezione di Cristo. Ogni giorno del triduo richiama l’altro e si apre sull’altro, come l’idea di risurrezione suppone quella della morte. Il centro dei tre giorni è la veglia pa-

sacerdote celebrante. Nel 1955, con la riforma della settimana santa compiuta da Pio XII, è stata ripristinata anche la comunione dei fedeli. Il venerdì santo con la sua liturgia esprime una teologia della croce ispirata a s. Giovanni. Non è il giorno del lutto della chiesa, ma il giorno di un’amorosa contemplazione del sacrificio cruento, fonte della nostra salvezza. L’aspetto dell’umiliazione e della morte è sempre inscindibilmente congiunto all’altro della risurrezione e della glorificazione di Cristo. In questo senso è tipica l’espressione liturgica di «beata passione». Questa teologia della croce salvifica emerge soprattutto dai testi biblici che costituiscono la liturgia della Parola: il quarto carme del servo di Jahve (Is 52,13-15; 53,1-12); il testo sacerdotale della lettera agli Ebrei (4,1416; 5,7-9); il racconto della passione secondo Giovanni (capp. 18 e 19). Nel venerdì della passione e morte del Signore va religiosamente osservato il digiuno chiamato significativamente con l’appellativo di “pasquale”. Tale digiuno è consigliato protrarlo, se possibile, fino all’eucaristia della notte pasquale. Il digiuno del venerdì santo è segno sacramentale della partecipazione al sacrificio di Cristo; infatti «sono giunti i giorni nei quali lo sposo è tolto», perciò, secondo l’indicazione di Gesù, i discepoli digiuneranno (cfr. Lc 5,33-35).

squale con la sua celebrazione eucaristica. In sintesi si deve dire che il triduo è la “Pasqua celebrata in tre giorni”. Le Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario precisano che, avendo Cristo compiuto «l’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio... specialmente per mezzo del suo mistero pasquale, col quale, morendo, ha distrutto la nostra morte, e risorgendo, ha ridato a noi la vita, il triduo della passione e della risurrezione del Signore risplende al vertice dell’anno liturgico». Quindi «la preminenza di cui gode la domenica nella settimana, la gode la Pasqua nell’anno liturgico». «Il triduo pasquale della passione e della risurrezione del Signore ha inizio dalla messa «in coena Domini», ha il suo fulcro nella veglia pasquale e termina con i vespri della domenica di risurrezione». Inizio con la Messa Vespertina «In coena Domini» Fino al IV sec. nella liturgia romana non si trova traccia di una commemorazione della cena. L’unica liturgia eucaristica dei tre giorni era quella della veglia pasquale. Dal sec. VII si giunge a celebrare tre messe, una al mattino per la riconciliazione dei penitenti; una verso mezzogiorno per la consacrazione degli oli; una alla sera, per lo più senza la liturgia della Parola, a commemorazione della cena. La riforma del Messale e dell’anno liturgico voluta dal Vat. II, ha posto la messa «in coena Domini» come apertura del triduo pasquale, ristabilendo in tal modo l’unità dei tre giorni ‘venerdì, sabato e domenica’. Così «mentre il triduo ci presenta la realtà del mistero pasquale unico e unitario nella sua dimensione storica, il “giovedì santo” ce lo trasmette nella sua dimensione rituale. La celebrazione della messa «in coena Domini» viene fatta alla sera ed ha tono festivo. I testi pongono in risalto che Cristo ci ha dato la sua pasqua nel rito della cena che esige il legame inscindibile, sul piano della vita, del servizio e della carità fraterna, come condivisione del mistero della passione del Signore. In questo contesto va visto il rito della lavanda dei piedi, praticata fin dai

tempi di s. Agostino, in seguito riservata alla sola chiesa cattedrale poi, con la riforma di Pio XII del 1955, permessa in tutte le chiese. Al termine della celebrazione eucaristica, le sacre specie vengono solennemente portate ad un luogo debitamente preparato perché siano adorate fino alla mezzanotte e conservate per la comunione nell’azione liturgica del venerdì santo. In tal modo viene significato tutto il culto che si deve al mistero eucaristico nella e fuori della messa. Non si tratta quindi di un ‘sepolcro’, bensì di una solenne ostensione del tabernacolo che contiene le sacre specie.

Venerdì Santo, primo giorno del Triduo La chiesa celebra la morte di Cristo nel primo giorno del Triduo Pasquale con una solenne liturgia della Parola. Come giorno di digiuno pieno, fin dalle origini, il venerdì santo non ha mai compreso la celebrazione eucaristica. Alle letture seguono le orazioni solenni o «preghiera universale ». Al posto della parte eucaristica, si compie il rito dell’adorazione della croce, di origine gerosolimitana; infatti già esisteva a Gerusalemme fin dal IV secolo. La celebrazione si conclude con la comunione, che anticamente era riservata al solo

Sabato Santo Il sabato santo, almeno fin dal II sec., è sempre stato giorno di rigoroso digiuno e senza celebrazione eucaristica. Non ci si riuniva neppure in assemblea, per rinunciare alla gioia del ritrovarsi insieme. Dopo il lungo periodo in cui si era perduto il significato del sabato santo con l’anticipo della veglia al mattino del sabato, Pio XII ha restituito al sabato il suo carattere “aliturgico”. La chiesa in questo giorno si raccoglie soltanto per la celebrazione della liturgia delle ore. Con la preghiera viene celebrato il riposo di Cristo nella tomba dopo il vittorioso combattimento della croce; viene meditato il mistero salvifico della discesa di Cristo nel mondo della morte dove «andò ad annunciare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (I Pt 3,19); si attende l’avverarsi della parola del Signore: «Il Figlio dell’uomo...

deve... esser messo a morte e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22). Questo giorno, perciò, è caratterizzato dalla penitenza, espressione della fede e della speranza. Domenica di Risurrezione Il sabato santo fin dall’inizio era concluso da una celebrazione vigiliare, che sfociava nell’alba della domenica con l’offerta dell’eucaristia. Inizialmente il rito non aveva nulla di diverso da quello di tutti i sabati; la prima celebrazione liturgica cristiana, infatti, fu la vigilia domenicale. In questo senso va interpretata l’espressione di s. Agostino che chiamava la notte pasquale «madre di tutte le vigilie». Il rito romano si è andato arricchendo lungo i secoli di altri elementi, come il rito del fuoco e quello del cero. Dal II sec. la notte pasquale è caratterizzata anche dalla celebrazione del battesimo come parte integrante della veglia; le stesse letture bibliche enunziavano figurativamente i misteri pasquali attuati per mezzo del battesimo nell’acqua e nello Spirito. Tutto poi si completava nell’offerta del sacrificio eucaristico al quale partecipavano per la prima volta i neofiti. Attualmente è caratterizzata in senso battesimale, per cui si esige che tale indole sia rispettata non soltanto con la rinnovazione delle promesse battesimali degli adulti, ma anche con un’effettiva celebrazione del battesimo. La celebrazione si svolge interamente nella gioia della pasqua. Dopo i riti introduttivi della benedizione del fuoco e del cero con il canto del preconio pasquale, si celebra la liturgia della Parola; fa seguito la liturgia battesimale e quindi la liturgia eucaristica. I diversi momenti della celebrazione vanno considerati come un tutto unitario che esplicita il mistero pasquale. Il simbolismo fondamentale della celebrazione della veglia pasquale è di essere una «notte illuminata», anzi una «notte vinta dal giorno», dimostrando mediante i segni che la vita della grazia è scaturita dalla morte di Cristo. Per questo la veglia, in quanto pasquale, è notturna per sua natura. Il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla notte al giorno, col suo vivo simbolismo, esprime la realtà del mistero della pasqua in Cristo e in noi.


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1 - LA DIGNITÀ ED IL VALORE DEL BAMBINO (Mc 10,13-16)Novembre

Testimonianza 2 - UN FIGLIO eOGGI martirio nella famiglia Novembre

Dott.ssa Adele Caramico Stenta

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ai Vangeli si nota come Gesù avesse un’alta considerazione della vita familiare e ciò viene sottolineato anche dalla scena della benedizione dei figli. Egli prendeva l’infanzia come esempio e si serviva dell’immagine del bambino per far “passare” alcuni messaggi. A quel tempo i bambini, non essendo trasgressori della legge, erano tenuti in un certo riguardo. Detti di rabbì su di loro ne mettono proprio in risalto la purezza. Per la Chiesa primitiva la scena che leggiamo in Mc 10,1316 (e pericopi parallele), in cui Gesù abbraccia e benedice dei bambini, era più che un semplice episodio casuale. I “piccoli” ottennero un posto incontrastato nell’ambito della vita di comunità. Secondo la narrazione marciana, gli infanti vengono presentati a Gesù, dai loro parenti, affinché li benedica e li tocchi. Tale tipo di iniziativa era in uso presso il popolo ebraico: si vuole approfittare della presenza di un maestro e taumaturgo, come Gesù, per far avere su quei fanciulli una particolare protezione divina. Ma, alla richiesta dei genitori, segue il rimprovero dei discepoli. Secondo alcuni autori tale rimprovero era dovuto al fatto di non volere che Gesù venisse trattato come un semplice scriba. Il rimprovero, comunque, non denota disprezzo verso i bambini, ma stima e sollecitudine per la quiete ed il rispetto che si deve al maestro. Evidentemente

per i suoi discepoli Gesù non è un rabbì che perde tempo con i fanciulli, in quanto il suo compito è piuttosto quello di istruire gli adulti. La reazione di Gesù fa pensare però che in gioco ci fosse qualche principio importante. Infatti, ciò che dice dopo, che cioè bisogna lasciare che quei bambini vadano a Lui perché è di chi è come loro il Regno dei Cieli, è effettivamente molto significativo. Non soltanto i bambini, in quanto tali, possono andare da Gesù, ma anche coloro che come età non lo sono più, purché però “ridiventino” fanciulli. Il Maestro capovolge qui quella che era la convinzione dei discepoli, secondo i quali solo chi si trovasse nella condizione di adulto potesse accedere a Lui. Egli così sottolinea agli adulti la necessità di ridiventare come bambini per andare a Lui. Il fanciullo acquista un valore ancora più grande in questo modo: egli diventa “simbolo” di colui che vuol seguire Cristo. L’innocenza infantile, la purezza d’animo di questa età, l’ingenuità ed il completo abbandono fiducioso da parte del fanciullo nei genitori, e soprattutto nella madre, diventano il prototipo del cristiano autentico: come l’infante si lascia guidare fiduciosamente dalla mamma, così l’adulto deve lasciarsi prendere per mano dal Padre Celeste che vuole solo il bene per la sua creatura. Il “farsi come un bambino”, con tutto

il suo essere, diventa la “condizione” per accedere al Regno dei Cieli. Il bambino viene preso come esempio proprio perché non è ancora adulto, c’è indeterminatezza nel suo futuro e c’è, soprattutto, la disponibilità ad essere educato e cresciuto in un certo modo, per arrivare ad essere quello che ancora non è. Il piccolo rappresenta l’apertura, che è condizione fondamentale, alla conversione umana. Quest’ultima non deve essere vista come una conquista dell’uomo, bensì come la ricezione di un dono e come l’apertura interiore ad “obbedire” a Colui che ci fa da guida. L’atteggiamento amorevole di Gesù verso i bambini, oltre a mettere in risalto la sua posizione nei riguardi di chi è più debole ed indifeso, ci sottolinea che per accogliere con fede il suo messaggio bisogna che l’adulto abbia quell’indole semplice e fiduciosa dell’infante. La dignità ed il valore dell’adulto, che voglia seguire il Maestro, deve quindi “abbassarsi” a quella di un bambino, ed è proprio in questo “abbassarsi” che l’uomo si “alza” verso Cristo. (Da: www.bioeticaefamiglia.it)

Piccoli Amici sul Gran Sasso

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entiamo parlare di nascita di figli, di adozioni, di figli voluti ad ogni costo. Come sentiamo pure parlare di figli mai nati, figli abortiti, figli ‘rifiutati’. Viene da chiedersi: come un figlio viene considerato dalla coppia genitoriale? - In che modo c’è un rapporto almeno madre/figlio, nell’attuale contesto storico nel quale viviamo? Una volta il rapporto che si creava fra un bambino ed i suoi genitori, era un rapporto esteso ad un contesto familiare ben più ampio di quello attuale. Le famiglie vivevano ‘allargate’, comprendendo spesso più generazioni. Oggi abbiamo la famiglia nucleare, in cui ci sono i genitori (quando il matrimonio va bene) ed i figli, spesso un figlio solo.

Lasciando da parte, per parlarne successivamente, i casi di figli di coppie separate, separate e risposate, o di ragazze madri, prendiamo ora in esame il caso di figli che vivono con entrambi i genitori, sotto lo stesso tetto. Il figlio, perché si possa sentire tale, deve essere trattato ed amato quale ‘figlio’. Cosa significa ciò? Significa innanzitutto che il figlio deve sentirsi accettato dai suoi genitori, rispettato come membro della famiglia di cui fa parte, lasciato essere se stesso. Quante volte, come genitori, si cerca di imporre la propria volontà ai figli! Quante volte i genitori proiettano sui figli i loro desideri non soddisfatti, le loro frustrazioni, le loro incertezze! Ecco, fare tutto questo significa non rispettare i propri figli come persone, lasciando loro sviluppare se stessi. Un figlio non è la copia o la fotocopia di uno dei genitori: questa è una cosa che bisogna tener presente sempre! La cosa più bella da farsi, anche se non è la più semplice, sarebbe di lasciare che ogni figlio sviluppi le sue potenzialità. Bisogna cercare di comprendere quali siano, e farle scoprire anche a lui stesso, in modo da farle emergere e crescere nel tempo. La persona umana si sviluppa bene se cresce per come è stata progettata: il bambino cresce bene se cresce sviluppando ciò che egli potenzialmente è. Si è mai visto un albero

di mele crescere e poi diventare un albero di banane? Bisogna permettere alla pianta di crescere e di diventare ciò che essa è. Rispettare un figlio significa proprio questo: far sì che crescendo possa essere ciò che già, fin dalla nascita, ha dentro se stesso, le sue qualità, i suoi talenti, le sue particolarità. E’ vero che ci saranno pure i difetti ma, lo sappiamo bene, è solo potenziando ciò che di positivo c’è in ogni uomo, che si possono far emergere sempre di meno i lati negativi della propria personalità. Certo essere genitori, oggi, non è facile, forse non lo è stato neppure ieri! Ma lo sviluppo sociale, tecnologico, ecc..., ha portato tante situazioni nuove nella quali ci si trova a vivere. Bisogna sapere aiutare i propri figli ad orientarsi in questo mondo che, sempre più, sta diventando un villaggio globale, dove tutto sembra raggiungibile in un attimo tramite un pc. Ma bisogna anche saper far sviluppare il senso di rispetto verso non solo se stessi, ma pure verso i propri simili. E’ necessario insegnare che tutto, all’uomo, non è possibile e che, oltre ai genitori che ci hanno generato, c’è un PADRE che ci ama di Amore infinito e che deve essere la ‘bussola’ perenne della nostra esistenza. (Da: www.bioeticaefamiglia.it)

Verso gli altari a sei anni e mezzo Antonietta Meo, detta familiarmente “Nennolina” , scomparsa a 6 anni e mezzo, potrebbe diventare la più giovane beata, non martire, della storia della Chiesa. Il 17 dicembre 2007 Benedetto XVI ha fatto promulgare il Decreto delle virtù eroiche della piccola “Nennolina”, che potrà in questo modo essere elevata agli onori degli altari. Era nata a Roma il 15 dicembre 1930, in una famiglia di solidi principi morali e religiosi, dove si recita il Rosario ogni giorno. E’ una bambina molto vispa, sempre allegra, che ama cantare. Un giorno cade sbattendo il ginocchio su un sasso. Ma il dolore sembra non voler passare. I medici inizialmente non capiscono la natu-

ra del suo male; alla fine le viene diagnosticato un tumore alle ossa. Le viene quindi amputata la gamba. Nennolina, che ha poco più di cinque anni, mette allora una pesante protesi ortopedica, ma la vivacità è quella di sempre. Anzi, si moltiplicano le preghiere e ogni sera prende l’abitudine di riporre ai piedi del crocefisso una letterina, che dapprima detta alla madre e poi scrive di proprio pugno. In questo modo ha lasciato, insieme a un diario, più di cento letterine rivolte a Gesù, Maria, a Dio Padre e allo Spirito Santo, che svelano una profonda vita spirituale e una fede impensabili in una bambina della sua età.

Nennolina, nonostante i pochi anni, capisce che sul Calvario Maria ha sofferto con Gesù e per Gesù e scrive: “Caro Gesù, Tu che hai sofferto tanto sulla croce, io voglio fare tanti fioretti e voglio restare sempre sul Calvario vicino a Te e alla Tua Mammina”. “Caro Gesù – scrive in un’altra occasione –, io ti amo tanto, io mi voglio abbandonare nelle tue braccia e fa’ di me di quello che tu vuoi”. Le letterine alla Madonna sono piene di affetto: “Cara Madonnina, tu sei tanto buona, prendi il mio cuore e portalo a Gesù. Oh Madonnina, voglio ricevere Gesù dalla tue mani per essere più degna”. Durante i frequenti ricoveri in ospedale si fa condurre in carrozzella tutti i giorni davanti all’edicola della Madonna per recitare delle preghiere e deporre ai suoi piedi

dei fiori campestri raccolti dalla madre. Consumata dal tumore, dopo lunghe sofferenze, Nennolina si spegne il 3 luglio 1937, a sette anni non ancora compiuti. Alla morte di Nennolina seguono conversioni e grazie e la sua fama di santità si diffonde ovunque. Dopo due anni le sue biografie cominciano a circolare anche fuori dall’Italia. La Gioventù Femminile di Azione Cattolica, promuove subito la causa di beatificazione, che, dopo un lungo cammino ha portato al riconoscimento della eroicità delle sue virtù. Il corpo di Antonietta riposa ora in una piccola cappella adiacente a quella che conserva le reliquie della passione di Gesù, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Pia

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AMICI NEWS

AMICI DI G. C. IN SUD AFRICA

Mons. Martino Elorza

di Francesco Valori Gruppo delle Famiglie L’incontro del Gruppo Famiglie di Civitanova è stato animato il 9 dicembre 2007 da Don Vincenzo Marcucci, direttore del consultorio familiare “Famiglia Nuova” e dal consulente avv. Stefano Maggini. É stato trattato il tema: “I problemi della famiglia oggi”. Il Consultorio familiare della diocesi, gestito da volontari qualificati, si mette a disposizione delle famiglie in difficoltà, che oggi non sono poche. Don Vincenzo ha presentato la famiglia nel piano di Dio come unione di amore di un uomo e di una donna, che è immagine dell’amore di Dio per noi. I figli sono il frutto di questa unione; Dio ci dà la possibilità di partecipare alla creazione di un essere nuovo. Per sostenere la famiglia, Dio ha istituito il sacramento del matrimonio, come fonte di grazia per superare tutte le difficoltà. Le coppie di fatto che non sono unite dalla grazia del sacramento, non hanno l’aiuto per affrontare tutti i problemi della vita moderna. Dio ama e protegge tutte le coppie che si amano, ma la forza per seguire i suoi insegnamenti la dobbiamo ricercare in Lui. Oggi le separazioni sono in grande aumento; è necessario che le famiglie in difficoltà conoscano come altre famiglie che camminano con Gesù riescono a rimanere fedeli e unite. L’avvocato Maggini, da competente e credente, ha trattato e chiarito, sotto l’aspetto giuridico, i tanti problemi che oggi affliggono le famiglie e le mettono in crisi. Olga Costanzo

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segnato loro i doni della “befana Amica”; il P. Sandro passionista ha celebrato l’Eucaristia con brio e vivacità. É seguito un rinfresco per tutti e un momento di festa. AGC Festa della Passione e Peregrinatio Il primo febbraio 2008 si è celebrata la solennità della Passione del Signore, la festa del nostro carisma, voluta da san Paolo della Croce nel tempo del carnevale, per ricordare l’Amore Crocifisso e prepararci a vivere la Quaresima da veri passionisti. La festa, come da anni, è stata celebrata da tutti gli Amici delle Marche nella chiesa di S. Gabriele a Civitanova Marche. Ha presieduto la solenne concelebrazione il P. Roberto Cecconi passionista. Spiegando il brano del Vangelo di Giovanni (19,17-30), il sacerdote ci ha aiutato a comprenderne la profonda ricchezza. L’evangelista ci prende per mano e ci presenta la croce come un trono dove è scritto: “Il re dei Giudei”, un re diverso da tutti i re della terra, un re che si dona, che condivide tutto ciò che fa parte della storia dell’uomo; è l’agnello di Dio che ci libera da ogni male, soprattutto dalla divisione che è il primo male che ci affligge. Dobbiamo imparare da Maria a stare ai piedi della croce, per stare uniti a Dio e uniti con fratelli. Dobbiamo essere portatori di unità, per essere testimoni credibili dell’amore infinito di Gesù per ogni uomo. Al termine dell’Eucaristia sono stati benedetti una cinquantina di crocifissi che visiteranno le famiglie che vorranno accoglierli durante la Quaresima. É come una missione, una mobilitazione generale, che il Signore affida da otto anni agli Amici di Gesù Crocifisso. Siamo lieti e fieri di essere portatori dell’amore di Gesù in tante famiglie, che si ritrovano intorno alla sua Croce. Olga Costanzo

Don Vincenzo parla alle famiglie degli Amici Ultimo dell’anno con il Signore Come facciamo da tanti anni, abbiamo terminato il 2007 con il Signore. Con diversi Amici e altri fedeli ci siamo ritrovati nella chiesa dei Passionisti a Morrovalle alle ore 22,00, per un’ora di adorazione davanti al Santissimo esposto, a cui ha seguito la solenne Concelebrazione, presieduta dal P. Alberto. Abbiamo lasciato nelle mani del Signore e della Madonna il 2007 e abbiamo affidato a loro il muovo anno. Abbiamo pregato per tutti gli Amici. Ci siamo poi ritrovati nella grande sala per scambiarci gli auguri e fare un momento di festa. Pia Epifania: Festa con i “crocifissi” Come da tanti anni, nel pomeriggio dell’Epifania, molti Amici delle Marche si sono ritrovati presso la casa di riposo di Montecosaro per fare festa con gli ospiti della casa. Maria Grazia ha con-

Una foto della festa della Passione

Dott.ssa Adele Caramico Stenta

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ella città di Pretoria, in Sud Africa, esiste un piccolo gruppo degli AGC da una quindicina di anni. Nella mia recente visita in Sud Africa, ho avuto la gioia di incontrare il piccolo gruppo, il 14 e il 22 gennaio. Nel secondo incontro, dopo una catechesi sul significato della consacrazione a Gesù Crocifisso, ho celebrato la Messa, nella quale tre sorelle, Anna, Vittorina e Angelina hanno fatto, con grande commozione, la consacrazione perpetua a Gesù Crocifisso. Mario e Antonietta, che accolgono in casa il gruppo, avevano fatto la loro consacrazione a Roma nell’anno santo del 2000. Non è facile formare un gruppo di preghiera di lingua italiana in questi luoghi. Gl’Italiani non sono numerosi, i giovani parlano oramai la lingua inglese. Pretoria è una città vastissima, non tanto per numero di abitanti, quanto per estensione di territorio. Due persone, pur abitando nella stessa città, possono distare 50 km l’una dall’altra. Non è facile ritrovarsi, specialmente per persone che non guidano. Il gruppo degli Amici è sorto per opera di Mario e Antonietta, che, tornati per una vacanza in Italia, avevano partecipato a un incontro degli Amici e avevano deciso di tentare qualcosa in Sud Africa, dove vivono da 35 anni. Il gruppo va avanti per la loro disponibilità e per l’impegno di Vittorina, che con la sua auto percorre tanti chilometri per raccogliere i partecipanti. Anna, dopo la consacrazione, mi ha rilasciato questa testimonianza. P. A. P.

“E’

molto difficile esprimere Lui. Vorrei che questo amore non avesquello che sento in questi se mai fine, per essere degna Amica di giorni. Senza meno qualcoGesù per tutta la vita. sa è cambiato dentro di me: è sempre Sono stata sempre affascinata dal più grande il desidero di pensare, precuore dei Passionisti e portarne oggi gare e parlare con Gesù Crocifisso. Il 22 gennaio è stato un giorno meraviglioso. Sono iscritta agli Amici di Gesù Crocifisso da molti anni, ma, vivendo così lontana, non avevo mai sperato di poGruppo AGC di Pretoria, Sud Africa termi consacrare solennemente a Gesù Crocifisso. uno al petto, come Amica di Gesù CroOra mi sento privilegiata, perché Gesù cifisso e facente parte della Famiglia stesso mi ha chiamata ad essere sua Passionista, è per me come un sogno! Amica. Spero di esserne sempre degna. Quante volte S. Paolo della Croce, S. La cerimonia è stata molto intima a Gabriele, S. Gemma hanno accarezzato casa di mamma: Gesù era lì in mezzo questo segno, che è immagine del cuore a noi. Quando P. Alberto, mio zio, ha dei Passionisti. Ho detto che qualcosa è iniziato il rito della consacrazione, ho cambiato dentro di me in questi pochi capito che d’ora in poi nulla sarebbe stagiorni in cui tu, o zio, sei rimasto tra to uguale a prima. Una intimità più pronoi. Ho capito molte cose: la preghiera fonda è nata tra me e il Crocifisso. Gesù deve essere gioia del cuore e dell’anima; mi diceva: “Vedi, da ora in poi saremo non bisogna pregare per avere qualcopiù legati”. Sono anni che dormo con il sa di ritorno, ma deve essere un atto mio Crocifisso tra le braccia, ma ora è di amore, una gioia ed è quello che ora differente, ora ho qualcosa in più. Ora accade a me. La Promessa di Amore Gesù è mio vero Amico. Ci sono dei cerco di assaporarla ogni mattina frase momenti in cui vorrei gridare a tutto il per frase ed è per me sempre una gioia mondo “Gesù, ti amo”! E ci sono altri nuova. Cerco di pregare anche quando momenti in cui ho bisogno di rimanere lavoro. Porto con me il libro “Voi siete sola con Lui, per sentirmi rassicurata da miei Amici”; quando in negozio non c’è nessuno, faccio una breve lettura e vi medito sopra; questo mi dà una grande gioia. Sento che Gesù approva e mi fa sentire più serena. Questo è un sogno per me: spero di non svegliarmi mai.

Amici di G.C. in Sud Africa

Pretoria: 10 febbraio. Il gruppo va avanti. Non sai con quanta ansia aspetto il martedì per l’incontro. La preghiera mi sta riempiendo la giornata e la vita. Come ho due minuti di tempo, sento come se Gesù mi chiamasse e mi ritrovo a pregare e il cuore mi si riempie di serenità e tanta gioia. Riesco sempre più a comunicare con Gesù. Non so che cosa è successo, ma mi sento finalmente completa. Anna Salvatori


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TESTIMONIANZE

Testimonianza e martirio nella famiglia

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Il libro “Voi siete miei Amici” è il mio manuale quotidiano. Con l’avvicinarsi del Natale sono immensamente grata a Gesù che si incarna per noi, si è fatto piccolo per entrare in ciascuno di noi e per condividere la nostra quotidianità. Ogni anno comprendo meglio questo grande mistero di amore. É il Signore dei vivi: chi crede in Lui non muore mai, e trova sempre la forza per uscire da ogni situazione. La mia forza è quella della Fede, che mi fa vivere una vita interiore piena di gioia e serenità. Riesco a sorridere anche quando vorrei piangere. Mi fa accettare le persone care anche se mi offendono. Offrire, soffrire per chi non ama Dio, ma nello stesso tempo sperare sempre nel progetto di Dio. La conversione di ognuno dipende dalla buona volontà di collaborare con Dio per la realizzazione del suo progetto su ciascuno di noi; non si può crescere senza confrontarsi con la parola di Dio, senza abbandonarsi totalmente a Lui, fare silenzio per ascoltare Lui, per trovare la strada giusta da seguire... Il nostro libro, “Voi siete miei Amici” è diventato il mio manuale quotidiano. L’ho meditato tutto almeno 10 volte. Cose grandi ha fatto il Signore per suo mezzo! La “meditazione”, uno strumento insostituibile per vedere chiaro in se stessi e misurare il termometro dell’amore verso Dio, noi stessi e gli altri. Bisogna conoscere quanto il Signore ci ama, tutti, così come siamo, ma nessuno ne prende atto, io per prima, altrimenti non esisterebbe alcun genere di croci, perché sarebbero viste sotto un’altra luce. Come per S. Paolo e tutti i Santi la vita è l’amore. Gesù ci ha dato la vera Vita, Dio non poteva amarci di più. “Il cuore aperto di Gesù predica continuamente il suo amore infinito per me”, diceva S. Margherita Alaquoque. Con la gioia nel cuore auguro a te insieme a tutta la mia famiglia, la famiglia di Maria, che a Febbraio avrà un altro bambino (una preghiera per la sua famiglia), un Santo Natale e un proficuo anno nuovo nel Signore. Che Gesù Bambino possa portarti una grande gioia nel cuore, come tu riesci a portarla

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in tutte le persone che incontri. Grazie per tutto quello che hai fatto per me, ti voglio bene e prego per te. Luciana Passionista per sempre Carissimo padre, sono stata molto contenta di ricevere il tuo messaggio e la bella immagine di Gesù Bambino che dorme sulla Croce. Immagine tanto cara a San Paolo della Croce e a noi passionisti. Nella lettera chiedi agli Amici Aggregati di rinnovare l’intenzione di continuare ad appartenere agli Amici di Gesù Crocifissi. Io più che mai desidero continuare ad essere parte della congregazione. Ti riconfermo il mio desiderio di appartenenza agli Amici di Gesù Crocifisso che viene dal più profondo di me, seppur figlia indegna di San Paolo della Croce, permettimi di essere passionista per sempre.

di P. Alberto Pierangioli

di P. Alberto Pierangioli

loro, famiglie comprese, pensano che la Cresima sia solo una cosa che va fatta per non avere pensieri per il futuro, una tradizione da ottemperare. Con l’aiuto di Dio spero di poter aiutarli a rendersi conto che è una cosa importante. É un dono grande e non un pensiero da togliersi. Do una mano nell’animazione liturgica e il parroco mi ha inserito nel consiglio parrocchiale. Tutto ciò rende più reale e concreta la mia consacrazione come laica passionista. Come Aggregata, vorrei trovare un modo migliore per poter coltivare i rapporti con la mia comunità di appartenenza, creare un dialogo e seppur lontana, sentirmi parte viva di essa. I chilometri che ci sono tra noi a volte pesano e mi fanno sentire sola, sento la necessità di dover crescere spiritualmente, di avere una formazione più continua e purtroppo ultimamente anche il mio computer ha fatto le bizze e sono stata diversi mesi senza poter ri-

del P. Fabiano Giorgini sulla spiritualità del Natale in S.Paolo della Croce. Mi ha molto illuminato; da diversi mesi desidero maggiore silenzio per raccogliermi in pace e liberare il mio cuore da troppe prove non accettate con amore. Le letture della rivista mi aiutano tantissimo perché la mia conoscenza di Gesù è troppo limitata e infantile. Nel cammino spirituale, non sono stata educata alla fiducia, alla speranza nella Misericordia Divina, all’offerta delle piccole e grandi cose, come risposta d’amore. Ora quando mi soffermo nel rosario, o vengo attirata da alcune parole di Gesù, la mia considerazione è sempre questa: Non è possibile sondare quanto amore aveva Gesù per il Padre e per la salvezza di tutti noi. É meraviglioso pensare che noi siamo stati “rialzati” a dignità di figli, rigenerati da Cristo e amati dalla presenza materna della Madonna. Cinicola Santoro Nadia

Amici di S. Nicolò a Tordino (TE) La mia lontananza non mi permette di partecipare attivamente, ma la mia consacrazione perpetua mi tiene intimamente legata a voi. Non mi sono arrivati gli ultimi due numeri della rivista e mi spiace tanto. Quest’anno mi sto impegnando anche a dare un maggiore contributo alla mia parrocchia come catechista, mi sono stati affidati i ragazzi che si preparano a ricevere il sacramento della Confermazione. Per me è un grande dono poter stare con i ragazzi e parlare loro di Gesù. Mi accorgo con tristezza che sono pochi i giovani che riescono a coltivare il dono della fede con vero desiderio. Tanti di

cevere comunicazioni. Il 19 ottobre ho avuto la gioia di poter andare a Roma, partecipare alla Messa solenne ai SS. Giovanni e Paolo, poter sostare in preghiera davanti al nostro caro Padre Fondatore e lì ho ricordato tutti, Ho raccomandato tutta la congregazione che è la mia famiglia e sono rientrata a casa più ricca e rassicurata. Ricambio con tutto il cuore ed invio i miei più sinceri e fraterni saluti ed auguri agli Amici della comunità di Morrovalle alla quale sono stata aggregata e a cui spero apparterrò ancora. Antonella Valeriano

Maria Morlacco festeggia i suoi 90 anni La meditazione della Passione mi ha fatto accettare la grave malattia Carissimo padre, sono stata dimessa dall’ospedale, per sette giorni di riposo a casa…. Immaginavo di avere la malattia diagnosticata, per questo ero preparata psicologicamente. La preghiera, la meditazione della Passione di Gesù e la vicinanza della Mamma Celeste mi hanno dato una forza che si manifestava anche esternamente con la gioia e l’allegria, a tal punto che il dottore mi ha fatto i complimenti per la sopportazione del dolore e la gentilezza di carattere. Ma questo lo devo solo a Gesù e alla Mamma Celeste: nei momenti di dolore fisico offrivo tutto per le mani di Maria, in unione alla Passione di Gesù. Proprio il ricordo dei suoi dolori mi faceva sopportare tutto con silenzio e coraggio, a tal punto da meravigliare gli altri e me stessa. Nonostante sia anch’io una “crocifissa”, ho provato tanta gioia nel portare conforto e coraggio agli ammalati che ho incontrato. É bello essere portatori di gioia e di speranza ai malati, dimenticando la propria malattia e mettendosi a servizio di chi ha bisogno. La sofferenza è una grande scuola di amore, se non sfocia nella tristezza, ma nella gioia, per essere testimoni autentici di Gesù. Ho constatato che davvero Maria è maestra di amore e di gioia. Attraverso di lei passano le grazie che Dio vuole donare agli uomini. Tanti sono stati i doni in questi giorni: la possibilità di andare alla messa dei malati lì in ospedale, l’11 febbraio, Madonna di Lourdes; avere evitato di non fare una operazione che temevo tanto! Come mi

avevi consigliato, ho pregato come Gesù nel Getsemani “Padre se è possibile non farmi fare questa operazione, tuttavia sia fatta la tua volontà”. E il buon Dio mi ha concesso di non farla! Come è buono il Signore! Ora mi affido al Signore, per vedere quale vocazione scegliere. Giovane Amica La rivista mi aiuta a conoscere meglio Gesù Carissimo padre, grazie sentite per le catechesi che mi hai inviato e del programma del nuovo anno 2008, basato sul Catechismo della Chiesa Cattolica! Sono felice di comunicarti che anche Mons. Gemma mi ha suggerito la lettura del CCC: è bello vedere come i frutti dello Spirito Santo sono concordi! Le tue e-mail che mi danno “tanto nutrimento”, in questo periodo per me così pieno di prove! Sono stata molto contenta della tua presenza a Fossacesia nell’’incontro di novembre. Ogni volta che vengo al gruppo mi sento come in una bella famiglia, dove posso respirare l’autenticità di chi ha incontrato Cristo e lo segue con “passione” e ritrovo il desiderio di approfondire la mia conoscenza di Gesù. Luigi, mio fidanzato, è tornato cambiato dagli esercizi spirituali a San Gabriele e sono felice di questo. Io e Luigi dobbiamo ancora conoscerci profondamente, perché l’affettività da sola non basta. Confido nell’incontro mensile che abbiamo con un bravo sacerdote, che ci guida con la lettura della bibbia, partendo dalla “carità” (1Cor-13,1-8). Ho letto sulla nostra rivista l’articolo

Avevo una gioia fortissima e una pace profonda Superate le difficoltà personali che tu conosci, rassicurata dalla tua parola, il 25 novembre 2007 ho fatto con serenità e gioia la consacrazione perpetua a Gesù Crocifisso. É stato tutto così straordinario: avevo una gioia fortissima e una pace profonda. Non so come spiegare: pensavo a quanto Gesù ci ama e vuole tenerci stretti a Lui. In cambio non ci chiede l’impossibile, ma di riamarlo con semplicità, come ciascuno è capace di fare; anche se sappiamo fare poco; a Lui quel poco basta, se dato con amore. Questo pensiero mi dà tanta forza proprio perché io so fare poco e quest’anno, con le vicende personali e familiari, me ne sono resa conto. Hai visto quest’anno quanti fratelli di altre comunità sono venuti alla nostra consacrazione? La chiesa era piena. Anche nei loro volti c’era tanta luce; molti avevano le lacrime agli occhi ed erano commossi. Alcuni mi hanno detto che tutto era stato emozionante, di non aver mai assistito a una cerimonia così bella e hanno voluto saperne di più. Anche l’agape fraterna, abbondante e ottima, ha creato un clima di festa e di comunione. Tutto è andato benissimo: ne ringraziamo il Signore. Santina


AUGURI DI BUONA PASQUA A tutti gli Amici e collaboratori

CRESCE LA LISTA DEI “GRANDI AMICI” Il 24 -1-2008, il Signore ha chiamato a sé IOMMI MARIA, di Morrovalle, AGC dal 18-01-1993. Nella rivista di gennaio 2008 abbiamo riportato una sua testimonianza, preparata e stampata quando Maria stava benino e non si poteva supporre la sua morte. E’ stato invece come un testamento. Ora che Maria è in cielo, è entrata per noi nella lista dei “Grandi Amici”. Compendiamo la testimonianza. “Ho 86 anni; dall’età di 2 anni, per la poliomielite, non sono in grado di camminare autonomamente e ciò ha condizionato molto la mia vita. Nel 2002 ho fatto la Consacrazione Perpetua a Gesù Crocifisso. Fu una grande gioia per me, ma anche l’ultimo giorno in cui sono potuta uscire di casa. Ora passo la mia vita tra letto e la carrozzina. Grazie a Nadia, la moglie di mio nipote, ricevo le catechesi dei ritiri e la rivista. Nella mia casa una volta al mese ci riuniamo con alcune sorelle per pregare e meditare; alcune volte P. Alberto celebra la Messa, un momento per me prezioso e raro. Posso testimoniare che il Signore è sempre presente nella mia vita, ancora di più ora che cresce la sofferenza e la solitudine. Il Signore ha avuto cura della mia crescita spirituale, facendomi incontrare prima il Centro Volontari della Sofferenza, l’UNITALSI e infine gli Amici di Gesù Crocifisso, così sono stata aiutata e ho potuto aiutare molte persone a capire e portare la croce senza disperare. Sono stata più volte a Lourdes, dove ho capito che le nostre lacrime sono delle perle da lasciare come dono a Maria. La Consacrazione Solenne è stata il culmine di questo cammino. Ora lavoro con lo spirito, prego, leggo libri santi, offro le mie sofferenze per la salvezza dei peccatori. Ringrazio il Signore perché mi è sempre vicino e perché la mia fede non è mai venuta meno”. Iommi Maria

Iommi Maria con il Papa

CALENDARIO AMICI 2008 02 marzo: Ritiro Mensile 21 marzo: Venerdì Santo: Tutti sul Calvario 13 Aprile: Ritiro Mensile a Morrovalle 20 aprile: Ritiro e consacrazioni a Fossacesia 11 maggio: Ritiro e consacrazioni a Morrovalle 16 maggio: S. Gemma Galgani (Loreto)

Ricordiamo al Signore i nostri defunti: Iommi Maria, Morrovalle: 24-01-08; Cesanelli Ada, Morrovalle: 05-02-08; Romagnoli Fiorina di Morrovalle: 21-2-2008. Un grazie sincero a coloro che hanno inviato la loro offerta per le spese di stampa

Marzo - Aprile 2008 – Anno IX n. 2 Autor. Trib. di MC n. 438\99 del 17-12-1999 Sped. Ab. Post. D.353/2003 (L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 2, DCB Macerata Editoriale ECO srl - C. c. p. 11558624 Dir. Tonino Taccone – Redazione: P. A. Giuseppe Pierangioli Piazzale S. Gabriele 2 – 62010 Morrovalle Mc Tel. 0733.221243 - Fax 0733.222394 - C. 349.8057073 http://www.amicidigesucrocifisso.org


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