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Igiene pubblica e lotta programmata ai vettori di malattie o semplici molesti, ratti, zanzare, chironomidi, cimici dei letti, ecc… Giuseppe Ceretti, Federico Grim, Gianluigi Dalla Pozza

Nella presente relazione vengono descritte le attività di ricerca volute e sostenute dal dottor Franco D’Andrea nel campo del controllo di specie vettrici di malattia o semplici molesti. Il primo rapporto di collaborazione scientifica, con ampia esperienza su campo, nasce nel 1983 come risposta al «fenomeno invasivo di chironomidi» nella città di Venezia, con un’azione multidisciplinare tra Comune di Venezia, Sanità pubblica, Istituto superiore di sanità e Università della Florida – per la mappatura e il monitoraggio finalizzato al controllo di Chironomus salinarius K. (Diptera: Chironomidae)1 durante gli anni 1983-1992. Nel 1986 la Regione Veneto conferisce l’incarico per una ricerca sanitaria finalizzata: «proposta finalizzata e di piano progetto operativo per interventi contro artropodi vettori» (zanzare). Nel 1987 inizia un progetto biennale, in sinergia con il Comune di Venezia, di «Mappatura e censimento delle popolazioni murine a Venezia», Mappa di rischio nurino ancora attuale2. 1

I chironomidi (Ditteri) sono insetti di dimensioni piccole, simili alla zanzare, ma non dotati di apparato pungitore. La maggior parte della loro vita viene generalmente passata in acqua come larva: raggiungono lo stadio adulto attraverso una metamorfosi completa che si compie all’interno di una pupa. Ampiamente diffusi, possono raggiungere densità ragguardevoli in condizioni favorevoli al loro sviluppo, potendo creare problemi economici e sanitari (possibili allergie) nel caso il fenomeno si prolunghi nel tempo. Sono una componente importante della comunità bentonica e la loro presenza viene utilizzata negli indici di qualità biologica delle acque (ad es. nell’Extended Biological Index). 2 Si cita il Regolamento ce 528/2012 e la successiva modifica 334 del 2014, che sostanzialmente riducono il numero di biocidi commerciabili e utilizzabili nella Comunità europea. . 1


Come responsabile del Settore igiene pubblica ulss 12 veneziana, all’attività scientifica di ricerca finalizzata al controllo delle specie target, il dottor Franco D’Andrea ha sempre affiancato corsi di formazione e aggiornamento professionale periodici del personale disinfestatore, per ottimizzare e rendere moderno il servizio di Disinfestazione e derattizzazione, e fare sì che il personale fosse in grado – e nelle condizioni di massima sicurezza – di dare risposte operative alla popolazione su problematiche indotte da specie come: pidocchi, zecche, vespidi ecc. e non ultima la cimice dei letti, ricomparsa a Venezia alla fine degli anni novanta. Queste attività di ricerca sostenute dal dottor Franco D’Andrea si sono rivelate strumenti base, ancora oggi utilizzati, per impostare su basi scientifiche tutte le attività di controllo e verifica dell’efficacia della lotta e sono state successivamente esportate anche in altre regioni italiane (Umbria e Sardegna). I chironomidi in laguna di Venezia

Molto è stato scritto sui chironomidi a Venezia, sui danni economici, sui rischi sanitari causati da questi insetti e sulle soluzioni man mano adottate per tentare di contenerli (si veda in bibliografia). Per quanto a nostra conoscenza, occorre ricordare che prima degli anni ottanta e fino a oggi in Italia non si sono mai verificate invasioni di chironomidi così gravi e soprattutto durature nel tempo come a Venezia (il periodo 1985-1989 segnò il culmine del problema): alcune delle soluzioni proposte o adottate in quel periodo, furono quindi scelte in estrema emergenza e non sarebbero oggi più attuabili alla luce di una nuova sensibilità ecologica o in seguito a recenti legislazioni comunitarie. Il fatto che siano citate in questa relazione è solo per dovere di storicità degli eventi. Fino a oggi sono stati pubblicati due lavori che complessivamente forniscono la cronistoria di quanto fatto fino al 1990 (Ceretti et al. 1985; D’Andrea-Marchese 1990), comprendendo anche gli aspetti sanitari del problema chironomidi, come la comparsa di allergie (Giacomin-Tassi 1988; Marcer et al. 1989, 1990). Successivamente a questo periodo esistono solo pubblicazioni sparse riguardanti particolari aspetti della ricerca condotta (Ali et al. 1992, 1994; Fabbri et al. 1991; Ferrarese-Ceretti 1989). 2

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Grazie all’ampia divulgazione data alla ricerca sui chironomidi a Venezia presso Università e medici igienisti dei Settori igiene pubblica, fortemente voluta dal dottor D’Andrea, e in particolare agli atti del convegno «Chironomidi, culicidi e simulidi: aspetti sanitari ed ecologici» (D’Andrea-Marchese 1990), il Dipartimento prevenzione della ulss di Venezia alla fine degli anni ottanta diventò un punto di riferimento per i casi di presenza molesta dei chironomidi. Cominciarono a giungere richieste di intervento da zone al di fuori della laguna di Venezia: anche di queste attività esistono pubblicazioni dedicate, spesso presentate a convegni (Ceretti et al. 1991; Di Brizio et al. 1993; Addis et al. 1998; Ceretti et al. 1994, 1996, 1997; Grim et al. 1997) o solo relazioni finali consegnate al committente nell’ambito di specifici contratti. Vorremmo cercare, con questo scritto, di riprendere la cronistoria della ricerca in laguna sotto la direzione del dottor D’Andrea, prima e dopo il 1990, e accennare alle attività svolte in altre aree dove venne successivamente richiesta la collaborazione del ‘gruppo di ricerca chironomidi’. 1982-1984 Le possibili cause dell’abnorme sviluppo dei chironomidi in laguna e le prime ricerche

Eventi climatici, eutrofici e antropici (il canale dei Petroli era stato completato nel 1969) giocarono probabilmente un ruolo importante nella crescita della popolazione dei chironomidi in laguna. Nelle figure 1 e 2 è riportato l’andamento della media delle temperature massime e minime mensili e quello della piovosità totale mensile per il periodo 1960-1990. Tra la prima e la terza decade del periodo di riferimento si osserva la tendenza a un generale aumento delle temperature e della piovosità, che risulta più sensibile tra gennaio e marzo (inverni più miti) e tra giugno e settembre (estati più calde). Nel particolare occorre rilevare il comportamento dei parametri climatici durante la seconda decade (precedente all’invasione dei chironomidi), caratterizzato da un deciso aumento delle medie della temperatura minima e della piovosità totale durante i mesi invernali. L’andamento della piovosità osservato nella terza decade 3

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Figg. 1, 2. Media delle temperature mensili massime e minime, piovosità totale mensile per il periodo 1960-1990, suddivise per decadi (dati Annali idrologici del Magistrato alle acque)

(il periodo dei chironomidi a Venezia) indica una forte piovosità a luglio e un allungamento del periodo piovoso durante il periodo agosto-settembre, non riscontrata nelle decadi precedenti. Con il termine eutrofizzazione si indica una serie di processi che vengono innescati dalla presenza continua, o dall’apporto massiccio di sostanze che facilitano la crescita algale (Marchetti 1987). Molteplici sono le conseguenze dell’eutrofizzazione, alcune macroscopicamente evidenti, altre meno ma non per questo meno importanti. Nel caso specifico della laguna veneta possiamo ricordare, tra le prime, le colorazioni delle acque dovute a fioriture algali, gli odori spesso sgradevoli e la presenza sui fondali di estese praterie di ulvacee (Ulva ed Enteromorpha), alghe generalmente favorite dai processi di eutrofizzazione. Un altro segno macroscopico è la moria di pesci e inverte4

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brati spesso dovuta al consumo di ossigeno nelle acque in seguito alla decomposizione delle abnormi masse di macroalghe. Tra gli effetti macroscopicamente meno evidenti vanno citate le modificazioni che avvengono nelle comunità biologiche dove, in seguito alle mutate condizioni ambientali, vengono selezionate le specie più resistenti a scapito di quelle più delicate e spesso economicamente più importanti. In questo contesto generale si può inquadrare il fenomeno dei chironomidi. Favoriti dalle temperature invernali più miti, dalla capacità delle larve di resistere a periodi di anossia e dalla minor presenza di predatori/competitori per il cibo, i chironomidi avevano trovato un ambiente ottimale per la loro crescita in alcune aree della laguna di Venezia, raggiungendo densità larvali particolarmente elevate. Le prime notizie di questa invasione sono datate agosto 1971: da questa data seguiranno limitate segnalazioni fino al 1982, quando il fenomeno cominciò a diventare preoccupante. Nuvole di questi ditteri adulti invasero dapprima le isole e poi crearono seri intralci al traffico automobilistico e ferroviario sul ponte che unisce Venezia e Mestre, andando a posarsi sui fari e sui parabrezza delle automobili, dei mezzi di linea e dei treni. Il fenomeno interessò anche i collegamenti acquei tra Venezia, le isole e il Lido: in questa fase i chironomidi causarono forti disagi ai passeggeri dei mezzi di navigazione pubblica andando a posarsi all’interno dei pontili e dei battelli. Durante il periodo estivo, quando l’invasione dei chironomidi raggiunse l’apice, gli insetti entrarono nelle case prospicienti alla laguna, andando a tappezzare il soffitto e le pareti delle stanze. Allarmato dal procedere delle cose, il Comune di Venezia, Assessorato all’ambiente settore ecologia, istituì un gruppo di ricerca a cui il dottor Franco D’Andrea offrì subito il suo sostegno e i necessari apporti logistici, come la disponibilità di un motoscafo per le uscite e un locale, presso la sede dell’allora ulss 16 veneziana, dove allestire un primo laboratorio chironomidi, vista la difficoltà di reperire mezzi e locali presso altre sedi. Le prime ricerche promosse dal Comune di Venezia in laguna erano articolate in due fasi: 5

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Fig. 3. Indagine preliminare 1983. Localizzazione delle stazioni di campionamento e distribuzione delle densità larvali (Ceretti et al. 1985)

- una fase di indagine preliminare, svolta nel periodo maggio-ottobre 1983, aveva lo scopo di determinare la composizione e la distribuzione specifica dei chironomidi attraverso una serie di campionamenti random nei bacini centrale e settentrionale della laguna di Venezia – maggiormente interessati dalla presenza molesta dei chironomidi – e di localizzare nel contempo le aree di maggiore densità larvale; - una seconda fase di approfondimento dell’eco-etologia della/e specie di chironomidi molesta/e, iniziata a novembre 1983 e conclusa a fine 1984, finalizzata a ricavare informazioni utili per pianificare il successivo controllo dei chironomidi. La ricerca permise di riconoscere la presenza in laguna di quattro specie di chironomidi: solo una, Chironomus salinarius K., era però presente nella stragrande maggioranza delle stazioni campionate e in densità tali da poter essere considerata l’unica specie responsabile delle molestie recentemente avvenute. La densità di questo chironomide risultò elevata in due aree (fig. 3), una a sud-est della città di Venezia, con una superficie di circa 11 km2 (zona Lido-Giudecca), e una a nord-est, con una superficie di circa 21 km2 (zona Tessera). La zona Giudecca-Lido coincideva a grandi linee con quella del partiacque tra il bacino meridionale e quello centrale, dove l’effetto delle correnti di marea è ridotto e maggiore è la deposizione di sedimenti e nutrienti; la 6

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zona Tessera era situata in un’area di maggiore confinamento (Guelorget-Perthuisot 1983; Piano per la gestione delle risorse alieutiche 2000), dove lo scarso ricambio delle acque favoriva processi di ipossia. Una ricerca bibliografica su Chironomus salinarius o specie consimili permise di risalire ad alcune prime informazioni utili per pianificarne il controllo. Specie eurialina, in grado di sopportare bene periodi di ipossia, letali per altre specie di predatori o competitori, Chironomus salinarius sfarfalla dall’acqua nelle ore subito dopo il tramonto (Koskinen 1968): la fase adulta vola poi verso aree vicine al sito di sfarfallamento (Syriämäki 1964; Syriämäki-Ulmanen 1970). L’accoppiamento avviene all’interno di sciami che si formano all’alba e al tramonto, raggiungendo spesso altezze e dimensioni ragguardevoli. In questa fase, e nelle ore immediatamente successive, il vento e la luce giocano un ruolo importante nello spostare gli insetti verso le zone abitate, favorendone il trasporto passivo nel primo caso o attraendo gli insetti verso la luce nel secondo caso. Terminata questa prima fase di indagine preliminare, fu concordato di proseguire la ricerca per: - risalire al ciclo biologico di Chironomus salinarius nelle due zone a maggiore densità lavale; - individuare e delimitare, all’interno delle due aree di Giudecca-Lido e di Tessera, le sacche di maggiore produzione larvale (zone focolaio), meglio definendo le condizioni ambientali di queste aree. L’intenzione era quella di indirizzare la ricerca verso studi che potessero fornire ulteriori dati utilizzabili per il controllo di questi insetti nel breve periodo e risalire alle condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo di Chironomus salinarius. Dal ciclo biologico era infatti possibile risalire al periodo di inizio degli sfarfallamenti e iniziare quindi il monitoraggio degli adulti (a scopo di preallarme) in prossimità delle zone focolaio (meglio definite con l’apposita indagine); alla prima presenza degli adulti nelle aree verdi prossime ai focolai (es. le isole abbandonate) si potevano predisporre, e successivamente valutare nel corso della stagione, idonei sistemi di abbattimento. L’attività di controllo dei chironomidi molesti al di fuori dei centri abitati permetteva di lavorare in aree di ridotta dimensione con un elevato numero di insetti da poco 7

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sfarfallati (più sensibili ai trattamenti con eventuali pesticidi) e meno problematiche, data l’assenza di abitanti, per la corretta tempistica degli interventi. Si seguiva pertanto uno dei principi fondamentali della lotta integrata: colpire l’organismo bersaglio in aree limitate nel momento della sua maggior densità, ottenendo il massimo dei risultati con il minimo sforzo necessario e il minore impatto ambientale possibile. Lo svolgimento di questa seconda fase della ricerca prevedeva campionamenti programmati su un nuovo reticolo di campionamento (fig. 4, 5), con cadenza mensile durante il periodo invernale e quindicinale nel periodo estivo, quando l’aumento della temperatura rendeva più veloce lo sviluppo delle larve.

Figg. 4, 5. Indagine novembre 19831984. Localizzazione delle nuove stazioni di campionamento e ciclo biologico di Chironomus salinarius (Ceretti et al. 1985) 8

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Il quadro che è risultato da questi ultimi dati ha mostrato una situazione diversa per quanto riguarda le densità larvali nei due focolai. Innanzitutto le densità medie riscontrate per data di campionamento nella zona 1 (Giudecca-Lido) risultavano nettamente inferiori a quelle della zona 2 (Tessera). Infatti nella zona 1 i valori medi della densità variavano tra 600-5700 larve/m2 mentre nella zona 2 oscillavano in media tra 3400-14900 individui/ m2 (fig. 6, 7). Questi dati configuravano una consistenza nettamente superiore del focolaio di Tessera rispetto a quella di Lido-Giudecca. Anche i valori massimi di densità riscontrati nella zona di Tessera (50000 larve/m2)

Figg. 6, 7. Indagine novembre 19831984. Distribuzione primaverile (preallarme, sopra) e invernale (sotto) delle densità larvali (Ceretti et al. 1985) 9

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superavano i valori massimi della zona di Lido-Giudecca (34800 larve/m2). Nei primi anni ’80, quasi contemporaneamente alle prime ricerche nella laguna veneta, erano stati pubblicati i risultati di una indagine svolta nella laguna di Orbetello. La ricerca, condotta da parte di ricercatori dell’Istituto superiore di sanità in collaborazione con il professor Arshad Ali dell’Università della Florida, esperto nel controllo dei chironomidi, era stata effettuata in risposta alla massiccia presenza proprio di Chironomus salinarius nella laguna toscana. Di fronte all’evidente progressivo incremento dei problemi causati dai chironomidi a Venezia e nelle isole abitate, il dottor Franco D’Andrea cercò subito una collaborazione tra questi ricercatori e il gruppo costituito dal Comune di Venezia. Un primo arrivo dei ricercatori dell’Istituto superiore di sanità e dell’Università della Florida, nell’estate 1984, produsse uno studio di laboratorio sulla sensibilità delle larve di Chironomus salinarius verso diversi prodotti larvicidi (Ali et al. 1985) e un documento nel quale si proponeva una serie di studi a breve e lungo termine e si fornivano suggerimenti per contenere il problema, prodotto dal professor Ali in base alla propria esperienza nel controllo dei chironomidi e tarato sulla realtà veneziana. L’occasione di un convegno di igienisti ambientali, tenutosi a San Vito al Tagliamento nel 1984, fu subito sfruttata dal dottor D’Andrea per far illustrare al professor Ali il problema e le possibilità di controllo dei chironomidi (Ali 1984), iniziando così a far conoscere alla comunità degli igienisti del Settore igiene e sanità pubblica delle ulss del Veneto, e non solo, questo particolare problema. 1985-1990 Il culmine dell’invasione dei chironomidi a Venezia

Si era intanto arrivati all’inizio della primavera del 1985. Un inizio gennaio rigido (valore minimo mensile pari -3,4° C) provocò la parziale gelatura di una parte della laguna prossima alla terraferma, dove era maggiore l’apporto di acqua dolce, interessando anche alcune aree di riproduzione di Chironomus salinarius. Questo evento, e il 10

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verificarsi di alcuni episodi di anossia avvenuti nella tarda primavera di quell’anno, con moria anche di pesci considerati resistenti come le anguille, convinse molte persone della completa risoluzione del problema chironomidi, o almeno di un’annata con disagi molto contenuti. Effettivamente la comparsa dei primi chironomidi avvenne in ritardo rispetto agli anni precedenti, ma fu subito importante, con massicce e durature invasioni di insetti in centro storico e, in particolare, lungo il ponte della Libertà e nell’area dell’aeroporto Marco Polo. A sottolineare la gravità della situazione accaddero, durante quell’anno, degli eventi significativi che accelerarono la richiesta di massicci interventi per risolvere il problema della presenza dei chironomidi: lo slittamento di un treno in arrivo alla stazione di Venezia Santa Lucia e di alcuni bus dell’actv sul ponte della Libertà a causa dello strato di insetti sui binari e sulla sede stradale (D’Andrea et al. 1986), e la chiusura – nelle ore serali e notturne – dell’aeroporto Marco Polo per alcuni giorni. In quest’ultimo caso gli aerei in arrivo nelle ore serali impattavano nella zona di testata pista con i chironomidi, concentrati negli alti sciami di riproduzione: gli insetti imbrattavano i vetri della cabina di pilotaggio e ostruivano parzialmente i sensori di assetto del volo posti sul muso dell’aereo, rendendo così rischioso l’atterraggio. A seguito di queste situazioni venne data precedenza agli interventi di lotta integrata ai chironomidi, e all’esecuzione delle sole ricerche che potevano dare informazioni immediatamente utilizzabili per migliorare i risultati degli interventi. Il monitoraggio delle densità larvali a fini predittivi fu condotto su un’area più estesa rispetto a quella finora considerata, aggiungendo la zona di Burano e di Sant’Erasmo a quelle di Lido-Giudecca e Tessera. La nuova area di monitoraggio fu successivamente suddivisa in nove sottozone (zolle), delimitate dai principali canali lagunari (figg. 8-10). All’interno di ogni zolla, le stazioni di campionamento furono uniformemente disposte lungo un reticolo a maglie triangolari, con lati uguali di circa un chilometro: complessivamente furono individuate ottantuno stazioni di raccolta, un numero di compromesso accettabile in 11

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Figg. 8-10. Anni 1985-1988. Reticolo adottato per il monitoraggio larvale primaverile (preallarme) e invernale.

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base allo sforzo richiesto e al numero effettivo di ricercatori sul campo e in laboratorio (figg. 8-10). Il monitoraggio della presenza degli adulti fu subito attivato, registrando su schede appositamente predisposte i risultati dei sopralluoghi condotti nelle aree abitate maggiormente colpite e successivamente nelle isole abbandonate situate in prossimità dei focolai larvali, affiancate da indagini telefoniche (fig. 11). Il monitoraggio, continuato fino al 1988, produsse una massa di dati che confermarono l’importanza delle isole abbandonate e delle barene come luogo di primo accumulo dei chironomidi: nel periodo estivo, la presenza di Chironomus salinarius in queste aree diventava molto rilevante mediamente unodue giorni prima della loro comparsa nei centri abitati.

Fig. 11. Indagine 1985-1988. Scheda di rilevamento per il monitoraggio della presenza degli adulti (D’Andrea-Marchese 1990) 13

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Fig. 12. Indagine 1985-1988. Andamento stagionale degli eventi di molestia nelle zone NE e SWE della laguna di Venezia (D’AndreaMarchese 1990)

Venne inoltre quantizzata in circa quindici-venti giorni la differenza d’inizio della presenza molesta dei chironomidi tra la zona di Tessera e quella di Giudecca-Lido (fig. 12). Un metodo per la raccolta degli insetti, ben noto a chi esegue ricerche entomologiche, prevede l’uso di teli illuminati (Zangheri 1976). Questo metodo di cattura venne sperimentato nella zona aeroportuale, utilizzando una serie di pannelli di telo bianco di un metro d’altezza per cinque di lunghezza, messi a protezione di una parte della riva dell’aeroporto immediatamente prospiciente alla laguna. Per circa un’ora dopo il tramonto, in coincidenza con il periodo di maggiore attività dei chironomidi adulti, i pannelli vennero illuminati con dei fari di 200W di potenza e periodicamente trattati con pesticidi. Con questo sistema di controllo si ottenne: - un primo effetto meccanico di barriera per contrastare lo spostamento dei chironomidi verso le piste dell’aeroporto, attratti dalle luci della stazione aeroportuale. Va infatti ricordato che, per motivi di sicurezza, l’area attorno alle piste era tenuta a prato e che nel caso specifico dell’aeroporto di Venezia-Tessera tale prato confina direttamente con le acque lagunari: non esisteva pertanto alcuna barriera che ostacolasse il movimento dei chironomidi verso le piste e la retrostante stazione aeroportuale, portati dalle brezze o attratti dalle luci; 14

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- un secondo effetto meccanico, dovuto alla forte illuminazione dei teli, che attraeva e manteneva gli insetti nell’area attrezzata con i pannelli (fototropismo); - un sensibile abbattimento degli insetti con ridotti consumi di prodotto. Gli interventi con prodotti insetticidi furono assicurati dapprima da una ditta privata e successivamente dai disinfestatori della ulss 36 terraferma veneziana. L’esito del monitoraggio larvale primaverile per il 1986 lasciava intendere che anche per quell’anno l’intensità e la frequenza delle molestie non fosse dissimile da quella del 1985, come di fatto avvenne. Già la società che gestiva l’aeroporto internazionale di Tessera si era attivata per ampliare il sistema dei teli sperimentato, posizionando settanta pannelli a coprire tutta la riva dell’aeroporto prospiciente la laguna. A rafforzare l’operato dei disinfestatori, subito dopo i primi massicci sfarfallamenti del 1986, venne inoltre richiesta la presenza di un elicottero dotato di barre irroratrici, che intervenne nel periodo estivo per abbattere gli sciami di riproduzione presenti sopra l’erba e le piste di atterraggio, immediatamente prima dell’arrivo degli aerei previsti nelle tarde ore serali. In conseguenza di questi interventi non si verificarono più interruzioni del traffico aereo. Successivamente, con la partecipazione delle ffss, anche il ponte ferroviario che unisce Venezia alla terraferma fu attrezzato con lo stesso tipo di pannelli posizionati in aeroporto. Il sistema dei teli illuminati fu poi allestito, nel 1987, anche sull’isola abbandonata di Campalto, situata tra il focolaio di Tessera e la zona di Venezia compresa tra Sacca San Girolamo e Fondamenta Nove, fortemente colpita dalla presenza molesta dei chironomidi, e poi sull’isola di Sacca Sessola, posta di fronte alla Giudecca. L’illuminazione dei teli sull’isola di Campalto fu ottenuta con dei fari smontabili, alimentati con un gruppo elettrogeno, montati dalla ditta di disinfestazione che si occupava anche del trattamento dei teli durante le prime ore serali. Terminato il periodo di intervento, la ditta smontava le luci per evitare furti del materiale. Le stesse procedure operative sono state successivamente adottate, nel 1989, per allestire e trattare una serie di pannelli montati su un barcone, dapprima ormeggiato nella palude di 15

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Figg. 13, 14. Anni 1985-1988. Barcone allestito con i pannelli a protezione di Burano (sopra) e sistema di pannelli a protezione dell’isola di Campalto (sotto; D’Andrea-Marchese 1990)

Santa Caterina per proteggere l’abitato di Burano e poi vicino all’isola di Campalto (figg. 13, 14). Al fine di permettere un’efficienza ottimale di queste zone illuminate venne provvista, con un’ordinanza del sindaco di Venezia, la sostituzione delle luci bianche della pubblica illuminazione con altre di colore rosso o giallo, aventi minor effetto attrattivo. Questo intervento ha interessato le isole di Burano e Murano e, nel 1989, la zona di Sacca San Girolamo, a Venezia. Per motivi di lotta contro i chironomidi si adottò quindi una illuminazione con luci più soffuse e calde, anticipando di vent’anni quanto verrà fatto nelle città storiche italiane per motivi paesaggistici. Trovandosi in un momento di elevata criticità, fu per16

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messo in via eccezionale il trattamento delle isole abbandonate nei soli momenti di massima presenza degli insetti dapprima con l’elicottero e poi incaricando una ditta di disinfestazione. Intervenendo su queste zone, aumentava la possibilità che del prodotto insetticida arrivasse nelle acque lagunari: fu pertanto svolta una valutazione dell’impatto ambientale prodotto dall’utilizzo di pesticidi in prossimità delle acque lagunari, con una ricerca mirata svolta in collaborazione con l’allora Presidio multizonale di prevenzione (ex Laboratorio di igiene e profilassi). Lo studio della biologia dei chironomidi venne ripreso solo negli anni successivi, con la valutazione del ciclo giornaliero (Ferrarese-Ceretti, 1989) e stagionale degli sfarfallamenti di Chironomus salinarius. La seconda metà degli anni ’80 segnò anche un incremento della produzione di macroalghe, che in estate marcirono causando deficit di ossigeno nelle acque e parziale produzione, da parte di batteri solfo riduttori, di H2S nell’aria, un gas tossico anche per l’uomo, dal caratteristico odore di uova marce. La concentrazione di questo gas nell’aria raggiunse livelli tali che si cominciò a pensare di evacuare alcune zone di Venezia, evento che per fortuna fu scongiurato. Per contrastare il problema, il Comune di Venezia incrementò la raccolta meccanica delle alghe utilizzando dei natanti che, navigando sui bassi fondali, raccoglievano le alghe con dei nastri raccoglitori larghi circa 1,5 metri, fatti strisciare a pochi centimetri dal fondo lagunare. Risultò pertanto inevitabile il sommovimento dei primi centimetri di sedimento, lo strato dove la presenza dei chironomidi era maggiore: questo provocò la movimentazione delle larve dai fondali e il loro asporto, imprigionate insieme alle alghe, facilmente osservabile seguendo i mezzi durante il loro lavoro. La decorticazione dei primi centimetri di sedimento era un metodo di lotta fisico ai chironomidi riportato nel protocollo del professor Ali, utilizzato in America per risolvere il problema della massiccia presenza dei chironomidi nei canali di drenaggio, ambienti artificiali dove questo metodo di controllo poteva essere economicamente applicabile. La raccolta delle alghe poté quindi servire come metodo di controllo anche dei chironomidi: i costi della raccolta furono parzialmente coperti dalla 17

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trasformazione della alghe raccolte, previa analisi chimica per valutare la presenza di eventuali sostanze inquinanti pericolose. Continuava intanto la collaborazione con il professor Ali, frequentemente invitato a sovraintendere alla ricerca che si stava svolgendo a Venezia e a relazionare sullo stato dell’arte del controllo dei chironomidi. In questi anni maturò nel dottor D’Andrea l’idea di chiedere al professor Ali di svolgere un periodo sabbatico a Venezia, per condurre alcuni studi presenti nel suo protocollo prodotto nel 1984, idea che si realizzò tra aprile e dicembre 1991 e, per un periodo più limitato, nel 2002, quando oltre ai chironomidi il professor Ali si occupò di alcuni aspetti del controllo della zanzara tigre, come verrà descritto in seguito. 1991-1992. L’anno sabbatico del prof. Arshad Ali

L’arrivo del professor Ali a Venezia richiese un notevole sforzo organizzativo, anche da parte del dottor D’Andrea: fu richiesta la collaborazione di altri enti interessati, come ad esempio la società che gestiva il parcheggio dell’isola del Tronchetto, oltre alle Ferrovie dello Stato e alla save che gestiva l’aeroporto internazionale Marco Polo di Tessera; furono acquistati i materiali necessari alle ricerche e fu ampliato il numero delle persone che, a tempo pieno, svolgevano le attività sul campo. Le ricerche svolte dal professor Ali durante il suo anno sabbatico furono: - la valutazione sul campo dell’efficacia e persistenza di alcuni larvicidi nel controllo delle larve di Chironomus salinarius e la valutazione dell’impatto di questi prodotti verso le specie non bersaglio del trattamento; - la valutazione dell’effetto attrattivo delle luci; - la partecipazione nella ricerca «Relazioni tra Cs 137 e parametri chimici, geologici e biologici nel sedimenti della laguna di Venezia». Per quanto riguarda la valutazione sul campo di alcuni larvicidi, furono delimitate in laguna quindici parcelle di 50 x 50 metri ciascuna con dei pali infissi nei fondali di un’area prescelta per facilità di arrivo e presenza medio-alta di larve di chironomidi. In una prima indagine, condotta verso la fine di giugno, 18

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venne valutata l’efficacia di due diverse formulazioni di Temephos, Tambro compresse e Abathion granulare, a due dosaggi differenti (200 grammi e 400 grammi di principio attivo per ettaro), nel controllo dei chironomidi. Il test venne effettuato in triplicato: ciascun prodotto e formulazione furono applicati a tre parcelle scelte in modo casuale, tenendo le restanti tre parcelle non trattate come controllo (Ali et al. 1992). La quantità di prodotto richiesta per il trattamento venne uniformemente distribuita nella parcella fino a coprire l’intera superficie da trattare. La densità dei chironomidi e degli altri più importanti gruppi di invertebrati presenti insieme ai chironomidi fu valutata raccogliendo, in modo casuale, cinque campioni di sedimento con una benna Eckmann, subito prima dei trattamenti e al 3°, 7°, 14°, 21°, 28° e 35° giorno successivo al trattamento. I campioni raccolti furono successivamente filtrati attraverso un setaccio di 325 micrometri di luce e le larve presenti contate. Alle stesse date di raccolta venne campionato anche lo zooplancton, utilizzando un retino da plancton con maglie di 125 micrometri di luce, e valutati alcuni parametri chimico-fisici (temperatura, ph, ossigeno disciolto, salinità e profondità). Per calcolare la percentuale di riduzione della popolazione larvale dei chironomidi e degli organismi non bersaglio in seguito al trattamento fu utilizzata la formula: % riduzione = 100 - (Ct0/Tt0 × Ttn/Ctn )×100 Con: Ct0 = densità della popolazione nelle parcelle di controllo prima dei trattamento; Ctn = densità della popolazione nelle parcelle di controllo al tempo tn, dopo il trattamento; T t0 = densità della popolazione nelle parcelle trattate prima del trattamento; Ttn = densità della popolazione nelle parcelle trattate al tempo tn, dopo il trattamento.

La stessa procedura e metodica di raccolta fu utilizzata nell’agosto dello stesso anno per testare, a due diversi dosaggi, dei prodotti a base di regolatori della crescita, il diflubenzuron (Diflox compresse 1% e Dimilin granulare 0,5%: dosaggio 100 e 200 grammi di principio attivo per ettaro) e il methoprene (Altosid pellets 4%, dosaggio 200 e 400 grammi di principio attivo per ettaro). A settembre fu eseguita una successiva prova, su solo sei parcelle (tre trattate e tre controllo), utilizzando il Diflox compresse 19

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a un dosaggio superiore, 400 grammi di principio attivo per ettaro. Dato che diflubenzuron e methoprene agiscono, anche se in modo diverso, inibendo lo sfarfallamento degli adulti, l’efficacia dei trattamenti fu valutata utilizzando cinque trappole di sfarfallamento con base 50 x 50 cm, appoggiate sul sedimento e controllate con la stessa periodicità utilizzata nel test con il Temephos. I risultati ottenuti indicarono Tambro compresse 1% in grado di fornire una riduzione delle larve di chironomidi attorno all’80% rispetto al controllo, per ventuno giorni al dosaggio di 200 grammi di principio attivo per ettaro e per ventotto giorni al dosaggio di 400 grammi di principio attivo per ettaro. L’efficacia degli altri prodotti testati è risultata inferiore sia come percentuale di riduzione sia come persistenza del controllo. Durante le prove, le popolazioni di vermi (policheti), molluschi e crostacei (anfipodi, isopodi, copepodi naupli compresi, decapodi) presenti insieme ai chironomidi, risultarono sufficientemente numerose per determinare gli effetti sfavorevoli del trattamento: al dosaggio maggiore, Tambro compresse produsse una temporanea riduzione dei popolamenti di anfipodi e delle forme immature di decapodi (Ali et al. 1992). L’effetto attrattivo della luce diversamente colorata venne valutato utilizzando quattordici trappole ad aspirazione per la cattura degli adulti del tipo cdc, posizionate sull’isola di San Francesco del Deserto, vicino a Burano, scelta in quanto fornita di energia elettrica, custodita (ospita tuttora una comunità di frati francescani) e situata in prossimità di un’area considerata focolaio. Per la ricerca vennero utilizzate due file di sette trappole cdc, ciascuna dotata di lampadine di colore differente (viola, blu, verde, rosso, arancione, giallo e bianco), le cui intensità luminose vennero precedentemente misurate in laboratorio. Le prove consistettero in sette ripetizioni delle osservazioni, ciascuna della durata di circa un’ora subito dopo il tramonto, congegnate in modo tale che ogni trappola, e relativa lampadina, occupasse almeno una volta ognuna delle posizione fisse della fila (Ali et al. 1994). L’analisi della regressione della percentuale media di adulti di chironomidi catturati per trappola con la corrispon20

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dente intensità luminosa mostrò una correlazione positiva altamente significativa tra percentuale delle catture e intensità luminosa, mentre la qualità della luce (colore o lunghezza d’onda) risultò avere scarsa influenza. Questi dati supportarono l’efficacia dei pannelli fortemente illuminati utilizzati in aeroporto, sull’isola di Campalto e sul pontone mobile allestito di teli localizzato a Burano, e confermarono l’utilità di ridurre l’intensità luminosa dei lampioni prospicienti la laguna nelle zone maggiormente esposte all’arrivo massiccio dei chironomidi. Nel periodo in cui il professor Ali era a Venezia, erano in corso delle ricerche per valutare l’accumulo di Cs 137 nella catena alimentare in seguito al disastro della centrale nucleare di Âernobyl, avvenuto in Ucraina nel 1986. Dato che le larve dei chironomidi sono un anello importante della dieta di alcuni pesci di cui l’uomo si alimenta, un pool di larve fu analizzato per la presenza di questo radionuclide, insieme a pool di pesci e molluschi (Fabbri et al. 1991). 1992. Il calo della presenza dei chironomidi in laguna

Successivamente all’anno 1991, il ‘gruppo chironomidi’ continuò la sua attività in laguna fino al 1992, svolgendo altre ricerche presenti nel protocollo del professor Ali: - ricerca sui possibili predatori di chironomidi; - studio sul regime alimentare dei chironomidi; - correlazione tra macroalghe e chironomidi e valutazione dell’effetto dei mezzi raccogli alghe nel controllo dei chironomidi. Queste attività furono svolte con una certa difficoltà, causata da un sensibile calo delle densità larvali dei chironomidi. La ricerca sulle dieta dei chironomidi e sui loro possibili predatori furono condotte dissezionando un certo numero di larve e di pesci catturati in laguna in diversi periodi dell’anno ed esaminando il loro contenuto stomacale. Accanto a una discreta quantità di detrito organico, le diatomee e i dinoflagellati risultarono avere un ruolo importante nella dieta dei chironomidi: la presenza di fitoplancton, che la larva poteva assumere dalla colonna d’acqua o forse come individui morti sedimentati sul fondale, portò a suggerire la relazione tra fioriture di que21

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ste alghe e aumento della popolazione di chironomidi. Tra le numerose specie di pesci presenti in laguna, i chironomidi comparvero nella dieta delle anguille, dei latterini, dei cefali e dei passerini: potendo rendere le condizioni ambientali delle aree a maggior riproduzione dei chironomidi favorevoli alla presenza di questi pesci, si potrebbe realizzare il controllo biologico di Chironomus salinarius. Per valutare una possibile correlazione tra copertura algale e densità dei chironomidi nei sedimenti, sono state individuate diverse aree lagunari completamente coperte da macroalghe. Nelle loro immediate vicinanze venivano poi cercate zone con profondità simile ma prive di vegetazione sul fondo. In ciascuno di questi ambienti venivano effettuati una serie di campionamenti random e i campioni analizzati per il conteggio delle larve secondo procedure standardizzate. La ricerca è stata condotta nel 1991 su diciassette aree e solo in quattro aree nel 1992, quando la densità larvale dei chironomidi era ulteriormente calata in tutta la laguna. I risultati sembrarono indicare una maggiore presenza di larve di chironomidi nelle aree coperte da alghe, ma questo dato non risultò significativo al t-test (P=0.05). La valutazione dell’intervento dei mezzi per raccogliere le macroalghe sulla densità dei chironomidi e la quantificazione degli effetti prevedeva raccolte in zone prima del passaggio dei mezzi e a tempi scadenzati dopo il loro passaggio, con una metodologia molto simile a quella utilizzata per la valutazione dell’effetto e della persistenza dei prodotti larvicidi. Purtroppo i mezzi rimanevano per lungo tempo sulla zona da trattare, ripassando più volte sulla stessa zona; questo e difficoltà di coordinamento tra esigenze della ricerca e della raccolta produsse purtroppo solo un numero scarso di dati, difficilmente valutabili. Successivamente al 1992 non si verificarono più problemi legati all’eccessiva presenza dei chironomidi. Altri eventi, legati all’attività dei vongolari, contribuirono alla movimentazione e modificazione della morfologia dei fondali nelle principali aree di riproduzione dei chironomidi: solo successivamente al 2010 si noterà una leggera ripresa della presenza di questi ditteri in aree molto limitate della laguna di Venezia. 22

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Le attività di ricerca sui chironomidi svolte sul lago di Garda, Verona e lago Trasimeno

Fig. 15. Lago di Garda. Stazioni di campionamento. 1988-1989

Parallelamente all’attività veneziana, il gruppo chironomidi svolse attività anche al di fuori dell’ambiente lagunare. Venne sempre mantenuta la linea d’indagine che prevedeva il riconoscimento della/e specie responsabile delle molestie, l’individuazione dei luoghi preferenziali di riposo (per individuare le zone dove concentrare i primi interventi) e, quando possibile, indagare le cause responsabili della presenza dei chironomidi. Nel periodo 1988-1989 venne condotta una ricerca sul lago di Garda. Dopo una breve indagine preliminare, furono individuate sei stazioni di campionamento, situate in prossimità delle zone da cui erano pervenute lagnanze per la presenza dei chironomidi (fig. 15). Contemporaneamente alle raccolte furono misurati i principali parametri chimico-fisici (temperatura, profondità, ossigeno disciolto) e valutata la tipologia dei sedimenti e la copertura e composizione della vegetazione presente sul fondale. La ricerca venne completata con delle valutazioni visive degli adulti presenti sui diversi tipi di vegetazione delle rive (prato, fragmiteto ecc.). In ciascuna stazione furono eseguiti due campionamenti con una benna Eckmann, lungo un transetto perpendicolare alla riva. Le profondità delle raccolte dipesero dalla batimetria dei fondali delle stazioni di campionamento prescelte (abbastanza scoscesa tra Garda e Lazise e più dolce nella zona tra Pacengo e Maraschina), pur rimanendo nei range di 1-2 metri, 4-5 metri e 8 metri (zona litorale). I campioni raccolti vennero lavati sul posto con un retino con maglie di 325 µm e poi portati in laboratorio a Venezia per l’analisi. Nelle singole date di raccolta la trasparenza delle acque si mostrò sempre elevata, permettendo di osservare la morfologia dei fondali, anche alle profondità più elevate. I valori superficiali della conducibilità variarono di poco attorno a un valore di 220 µS. La percentuale di saturazione delle acque a un metro di profondità risultò attorno al 100%. Nel tratto Garda-Pacengo i valori delle densità larvali risultarono generalmente modeste, con un massimo di 2500 larve/m2 nel transetto in località Spiaggia d’oro. Se 23

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osservate rispetto alla profondità, le densità larvali risultarono leggermente maggiori alla profondità 4 metri rispetto a quelle 2 e 8 metri. La presenza di adulti lungo questo tratto di costa risultò molto scarsa. La densità di questi insetti aumentò sensibilmente nella zona del campeggio Spiaggia d’oro, con formazione di sciami di circa 100-200 individui ben distribuiti lungo tutta la zona arginata messa a protezione della spiaggia, diventando poi abbastanza elevata nella zona del campeggio Ideal, con sciami di circa un migliaio di individui localizzati dietro alla piante sulla riva o sopra la zona di confine tra il prato e la sabbia della spiaggia. Le densità larvali aumentarono nel tratto Pacengo-Maraschina. Le densità maggiori vennero osservate in prossimità delle rive (1-2 metri di profondità), con un valore massimo di 10000 larve/m2 nella zona del canneto di Maraschina. Le densità mostrarono di calare rapidamente con l’aumentare della profondità. La presenza degli adulti risultò elevata nella zona del campeggio in località Gasparina, con gli sciami localizzati tra i massi frangiflutti, ma specialmente tra le piante, dove gli sciami risultarono composti da alcune migliaia di individui. Passato il Mincio, in prossimità del fragmiteto, la presenza degli adulti risultò sostenuta in località Bergamini-Papa (campeggio Bell’Italia) ma soprattutto a Maraschina, con evidenti sciami composti da migliaia di individui. Nel 1990 venne indagata la presenza dei chironomidi nel tratto veronese del fiume Adige, su richiesta della Settore igiene pubblica della ulss di Verona (Ceretti et al. 1991). Vennero individuate quattordici stazioni di campionamento, tredici nel tratto cittadini del fiume e una presso Borgo San Pancrazio, scelte in base alle segnalazioni di molestie pervenute ed ai possibili accessi al fiume (fig. 16). Per ogni stazione i campionamenti furono eseguiti con un retino Surber, secondo modalità standardizzata, distinguendo preventivamente i principali microambienti presenti nel tratto di fiume in esame (granulometria del fondali e velocità della corrente). In analogia con quanto effettuato sul lago di Garda, venne valutata la presenza degli adulti nei possibili siti di riposo, campionando con un retino entomologico in quat24

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Fig. 16. Tratto veronese del fiume Adige. Posizione delle stazioni di campionamento larvale (cerchi) e degli adulti (triangoli) e relative densità riscontrate (Ceretti et al. 1991)

tro tipologie (ove presenti): sassi ed erba in prossimità dell’acqua, fascia erbosa del primo entroterra, muro del lungadige e alberature stradali del lungadige. Vennero complessivamente identificati 42 taxa di chironomidi, presenti con densità relativamente elevate (comprese tra 400 e 1400 larve) in almeno il 50% di tutte le stazioni di raccolta. Il substrato più colonizzato risultò quello composto da ciottoli in ambienti lotico, presso le rive, dove era presente una comunità prevalentemente composta da specie appartenenti alla tribù tanytarsini, se25

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guito dalla tipologia ‘massicciata lentico’ e ‘ciottoli lotico’. Lungo le rive, le aree di riposo preferite dai chironomidi risultarono essere le zone sassose ed erbose prossime all’acqua (66% di tutte le catture), seguite dalla fascia erbosa del primo entroterra (19%). La maggior parte dei chironomidi catturati in questi siti di riposo risultarono appartenenti alla specie Micropsectra atrofasciata K. Nel 1992 il gruppo chironomidi fu chiamato dal Settore igiene pubblica della ulss di Panicale (pg) per impostare una ricerca sull’eccessiva presenza di chironomidi sul lago Trasimeno (Di Brizio et al. 1993). Alla ricerca partecipò anche il professor Ali, durante uno dei suoi passaggi a Venezia. Una prima indagine venne svolta a giugno 1992, davanti a Castiglione del Lago, campionando alle profondità di 1, 2, 3 e 4 metri su 5 transetti perpendicolari alla linea di costa, per un totale di venti stazioni. Successivamente, ad agosto dello stesso anno, vennero individuate quaranta stazioni di campionamento, omogeneamente distribuite lungo gli assi maggiori del bacino e altrettante furono identificate e campionate a settembre, lungo tutto il perimetro del lago (fig. 9). I campionamenti furono effettuati con una benna Ekmann, prelevando nel contempo i principali parametri chimico-fisici (profondità, trasparenza, ph, conducibilità, ossigeno disciolto) ed alcuni campioni d’acqua per effettuare l’analisi dei nutrienti (fosforo, nitrati e ammoniaca) e della domanda chimica d’ossigeno (cod). I campioni di sedimento raccolti vennero lavati in un setaccio di 325 micrometri di luce e subito analizzati per il prelievo e il conteggio delle larve di chironomidi presenti. Nella zone costiera la comunità si presentò abbastanza articolata, ma con densità non particolarmente elevate, mentre le aree più fonde e limose risultarono colonizzate prevalentemente da Chironomus gr. plumosus, presente con densità ragguardevoli. Le ricerche sui chironomidi nella Regione Sardegna: primi campionamenti nel Cagliaritano

Il problema della molestia causata dagli sciami di chironomidi, inizialmente percepita in alcune aree densamente abitate della pianura Padana e della laguna di Venezia in particolare, si estese anche ad altre zone umide dell’Italia, 26

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Figg. 17-19. Stazioni di campionamento nel lago Trasimeno (pg). Giugno, agosto e settembre 1992 (Di Brizio et al. 1993)

seppure in ambienti piuttosto diversi. Un episodio eclatante, quale un fuori pista del primo aereo postale in arrivo all’alba da Roma, portò l’amministrazione regionale sarda a cercare di risolvere il problema dei chironomidi nelle zone prossime all’aeroporto di Cagliari, che sorge a pochi chilometri dalla città, in un’area costruita sullo stagno di Cagliari: Santa Gilla. Grazie alla pubblicità che venne fatta ai precedenti studi e lavori sui chironomidi effettuati a Venezia, e alla disponibilità del dottor D’Andrea, si instaurò una collaborazione tra Assessorato difesa dell’ambiente della Regione Sardegna e l’allora ulss 16 di Venezia - Settore igiene pubblica, con la collaborazione del dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Trieste. Nello specifico si attuò una collaborazione con il rinomato Centro anti insetti gestito dalla Provincia di Cagliari, che mise a disposizione laboratori, mezzi e personale tecnico. Il Centro regionale anti insetti (crai) era sorto nel 1946, grazie al finanziamento della Fondazione Rockfeller, per debellare la malaria dall’isola. La presenza di «numerose zanzare che non pungevano» e di «moscerini che di notte si addensavano attorno alle luci delle lampare» era già stata notata da alcuni pescatori durante la seconda metà degli anni ’70 lungo le rive dello stagno di Cagliari, nelle zone tra Elmas, Assemini e le foci dei torrenti Cixerri e Riu Fluminimannu. Il disturbo si estese dal 1985 in poi anche in alcuni quartieri del capoluogo, soprattutto in quelli prospicienti lo stagno del Molentargius, subito a ovest della città, espandendosi poi ancora più a ovest, lungo le Saline di Quartu, fino alle case del Comune di Quartu Sant’Elena. Dall’altra parte della città i disturbi si estesero nel quartiere di Sant’Avendrace, prospiciente lo stagno di Cagliari. I primi lavori effettuati dalla squadra di ricercatori provenienti dall’esperienza veneziana si concentrarono sugli stagni di Molentargius e saline di Quartu, posti a oriente della città, e sullo stagno di Cagliari, posto a ovest (fig. 20). Emerse da subito la differenza strutturale di queste aree lagunari rispetto a quelle venete: l’escursione di marea è qui molto ridotta rispetto all’alto Adriatico e le variabili piovosità, temperatura e ventosità, unite alla scarsa profondità dei bacini, fa sì che quelli sardi debbano essere 27

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Fig. 20. Lagune, stagni e saline attorno a Cagliari

definiti bacini evaporitici, piuttosto che vere e proprie lagune. La densità e frequenza di saline, sia storiche che più recenti, ad uso industriale, conferma tale osservazione. Accanto a questi bacini iperalini, che potremmo definire storici, in quanto citati già dal tempo dei romani, una più recente urbanizzazione ha portato alla creazione di canali scolmatori e bacini accessori alla depurazione delle acque. L’esigenza di non modificare i vicini stagni e saline portarono a delle canalizzazioni, spesso contigue al bacino evaporitico, che convogliano le acque dolci fino al mare. Lo studio ebbe inizio a maggio 1993 e si rivolse sia all’analisi delle larve presenti nei fondali degli stagni, sia alla popolazione degli adulti. Nello stagno di Cagliari vennero effettuati campionamenti quantitativi su ventitre stazioni e qualitativi su quattordici. A est vennero individuate ventitre stazioni per i campionamenti quantitativi e trentaquattro per i qualitativi, estendendosi dallo stagno del Molentargius alle vecchie 28

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peschiere di Perda Bianca, a un tratto del rio Terramaini, alle vasche del Bellarosa Minore, fino alle saline di Quartu. Nelle saline di Quartu i campioni vennero suddivisi per diversa salinità delle acque. I campionamenti vennero effettuati grazie all’uso di una benna Eckman, di 225 cm2, di una benna Van Veen da 280 cm2, di un retino immanicato da macrobenthos con bocca da 40 x 15 cm e di alcuni retini da drift con bocca da 15 x 30 cm. I retini avevano maglie da 250 μm. Contemporaneamente ai campionamenti venivano rilevati alcuni parametri chimico-fisici: Temperatura delle acque e dell’aria, ossigeno disciolto, salinità. Nei sedimenti di fondo venivano rilevate la Temperatura, il ph e l’eh. L’elevata diversità dei corpi idrici analizzati portò a usare diversi tipi di sonde e strumenti, compresi salinometri a misura integrata di conduzione e temperatura e, per misure di salinità ben superiori ai 200‰, di specifici rifrattometri. Vennero anche effettuati carotaggi al fine di misurare la quantità di acqua nel sedimento e le quantità di sostanza organica (calcinazione a 400° C). I campioni di benthos venivano filtrati su un setaccio di 500 μm di luce. Per i campionamenti qualitativi venivano usati retini da macrobenthos con strisciate da 1,5 metri o retini da drift collocati in apposite sedi e lasciati per ventiquattr’ore in favore di corrente. Il campionamento degli adulti venne invece effettuato grazie a trappole con appositi collanti per catture entomologiche, disposte su quindici diverse stazioni a Molentargius, Quartu e Santa Gilla. Venne studiata anche l’attrazione verso diverse fonti di luce, attraverso l’uso di trappole a luce tipo cdc, con sette diversi tipi di colorazione e intensità luminosa. I campionamenti di adulti si protrassero per dieci settimane e contemporaneamente vennero rilevati alcuni parametri climatici, quali direzione e intensità dei venti, temperature e umidità relativa dell’aria di mattina e sera (medie nell’arco di tre ore)

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La notevole quantità di dati raccolti portò all’identificazione di diciassette diverse entità sistematiche: Stagno di Cagliari, Canale Scol-

Molentargius, Saline di Quartu,

matore

Perda Bianca

Tanypodinae:

Procladius sp; Tanypus kraatzi

Orthocladiinae

Halocladius varians

Halocladius varians, Psectrocladius gr. sordidellus, Isocladius gr. sylvestris

Chironominae

Chironomus gr. plumosus; C. gr.

Chironomus gr. plumosus; C. gr.

thummi; C. gr. salinarius; Glypto-

thummi; C. gr. salinarius; Glypto-

tendipes f.l. 1; Glyptotendipes f.l.

tendipes f.l. 1; Glyptotendipes f.l.

2; Polypedilum gr. nubeculosum;

2; Polypedilum gr. nubeculosum;

Polypedium (?) nubifer; Micro-

Polypedium (?) nubifer; Tanytar-

chironomus

sus f.l. 1; Paratanytarsus f.l. 1; Camptochironomus; Baeotendipes; Microchironomus

L’esame delle densità larvali portò a quantità di 4756 larve/m2 in zona foce del rio Sestu, mentre nello stagno di Cagliari si arrivava a 800 larve/m2 nel 1993. Le specie più numerose risultavano essere Chironomus gr. plumosus e Chironomus gr. salinarius. Nel 1994 vennero effettuati dei campioni lungo il canale scolmatore delle acque dolci posto a sud dell’aeroporto di Cagliari-Elmas, che portarono a densità di 2429-8250 larve/m2. Nel percorso dall’aeroporto verso il mare le acque si arricchivano in Salinità e le specie maggiormente rappresentate passavano da Tanypus kraatzi a Chironomus gr. plumosus e Chironomus gr. salinarius. Sull’altro lato della città le specie numericamente più rappresentate erano Chironomus gr. plumosus, Chironomus gr. thummi e Baeotendipes. Inaspettatamente poco rappresentato il Chironomus salinarius. La densità larvale nella zona orientale di Cagliari arriva a 3636 larve/m2 nell’area del Bellarosa e tanto Baeotendipes nello stagno di Quartu (11865 larve/m2) e nelle vasche di Perda Bianca (17820 larve/m2) La raccolta degli adulti si estese dal 26 luglio al 22 ottobre del 1993, con più di 6000 esemplari raccolti nell’area a ovest di Cagliari e 7000 in quella orientale. Con le trappole a collante si raggiungevano circa mille adulti per trappola in un periodo di sei giorni. Le trappole luminose riuscivano a operare solo con venti inferiori ai 5 m/s. Ciononostante si è riusciti a dimostra30

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re differenze attrattive statisticamente significative per le sette tipologie di colore utilizzato. Un dato interessante raccolto durante lo studio fu un episodio di sviluppo di acido solfidrico, conseguente a un’anossia importante e prolungata, osservato nel 1994. A seguito di ciò si passò dalle 4000 larve/m2 a nessuna larva raccolta. Altro dato rilevante fu l’evidenza di aree relativamente piccole, prevalentemente ad acque dolci, presenti nell’area di perimetro aeroportuale, capaci di produrre disturbi economicamente elevati, quali l’oscuramento dei vetri degli aeromobili nella fase di atterraggio, quando la guida diventa totalmente manuale. Le grandi aree antistanti dello stagno di Cagliari, inizialmente principali indiziate di questi disagi, risultarono godere di sistemi ecologicamente equilibrati, nelle quali i chironomidi non riuscivano a sfuggire ai loro predatori. Nella parte opposta della città i disagi erano invece attribuibili a grandi aree, segregate dalla circolazione e dal ricambio delle acque, con condizioni di salinità particolari. Nello stagno di Bellarosa inoltre venivano sversate acque derivanti dall’impianto di depurazione, con alto carico di nutriento e – talvolta – di Salmonelle (Contu et al. 1990). Lo studio si concluse con una relazione dedicata ai più moderni mezzi di controllo antilarvale e adulticida. La pubblicazione finale dei risultati avvenne a metà luglio del 1994. Le ricerche sui chironomidi nella Regione Sardegna: da Cagliari all’Oristanese

L’interesse suscitato dal primo studio effettuato in provincia di Cagliari portò la Regione Sardegna a un nuovo incarico, a pochi mesi dalla conclusione del primo, esteso alle zone umide di Oristano, firmato nel dicembre 1994 «Individuazione dei focolai larvali di chironomidi in Provincia di Cagliari e Oristano». Questa nuova ricerca era estesa tra gli attori anche al Dipartimento di biologia dell’Università di Cagliari, mentre l’estensione spaziale derivava dall’individuazione di alcune aree dell’oristanese quali potenziali zone di focolai larvali, quali ad esempio gli stagni di Is Benas e Cabras, la laguna di Mistras, gli stagni di Santa Giusta e di S’Ena Arrubia, le lagune di 31

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Fig. 21. Lagune, stagni e saline attorno a Oristano e Cabras. 19941996.

Corru s’Ittiri e di Marceddì e lo stagno di San Giovanni (fig. 21). Per quanto riguarda lo stagno di Cabras, nell’arco del primo periodo di studi (1995-1996) furono individuate dieci stazioni di raccolta situate a una profondità variabile tra 0,80 e 1,50 metri (zona di massima produzione dei chironomidi), quattro delle quali collocate in prossimità della città di Cabras. I risultati indicarono che i popolamenti dei chironomidi presenti nello stagno erano essenzialmente formati dal genere Halocladius (Orthocladiinae) e soprattutto da Chironomus gr. salinarius (Chironomiinae) con elevate densità larvali, che andavano a classificare l’ambiente come «macrofocolaio d’infestazione». Come era già stato fatto in provincia di Cagliari dal 1993 al 1994, contemporaneamente alle raccolte per determinare la composizione specifica e la densità dei popolamenti dei chironomidi, furono analizzate, per ogni stazione, alcune variabili chimiche e fisiche (profondità, temperatura, salinità, ossigeno disciolto, ph delle acque; e temperatura, ph, eh e percentuale di sostanza organica nei sedimenti). Per ottenere i nuovi scopi, la ricerca venne pianificata in tre fasi. Durante la prima, durata da aprile a luglio 1995, venne svolta un’indagine preliminare che interessò i bacini della 32

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provincia di Oristano e gli stagni precedentemente considerati in provincia Cagliari. Tale fase fu indispensabile per individuare la posizione ottimale di nuove stazioni e per valutare il numero di bennate necessarie a ottenere un campione minimo rappresentativo. La prima fase (indagine preliminare) fu necessariamente lunga negli stagni presenti nell’oristanese, anche per l’elevato numero di zone umide considerate in questa provincia, e si estese a livello conoscitivo fino alle campagne di luglio. Durante questo periodo venne considerato anche lo stagno di Is Benas, successivamente tralasciato in base a una serie di considerazioni, quali il numero esiguo di chironomidi rinvenuti, la morfometria dello stagno, la sua lontananza da qualsiasi centro abitato o strada frequentata dove i chironomidi potessero causare molestie. Nella indagine conoscitiva vennero complessivamente individuate nell’oristanese trentasette stazioni di raccolta. Nelle zone umide prossime a Cagliari, la prima fase (indagine preliminare) venne svolta durante i mesi di aprile e di maggio. Furono presi in considerazione gli stagni già studiati nel corso del periodo 1993-1994 e, in ciascun ambiente, si diede la precedenza alle stazioni che avevano dato i valori massimi della densità larvale nel corso della precedente indagine. In questa fase si considerò anche lo stagno di Molentargius, successivamente tralasciato per l’assenza di chironomidi. Delle raccolte sono state eseguite per la prima volta anche nelle saline Contivecchi, dalle quali i chironomidi potrebbero, con vento favorevole, andare a invadere la zona aeroportuale. Alla fine della fase di indagine preliminare vennero individuate le diciannove stazioni su cui poi fu svolto il controllo della presenza dei chironomidi. Nella seconda fase della ricerca, durata tra luglio 1995 e marzo 1996, le diciannove stazioni precedentemente individuate nel cagliaritano e le trentasette dell’oristanese vennero periodicamente campionate durante i mesi di luglio, settembre, ottobre e marzo. Nella terza e ultima fase, durata da agosto 1995 a luglio 33

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1996, fu intrapreso lo studio particolareggiato di tredici stazioni poste sui focolai larvali precedentemente individuati attorno a Cagliari. Tali focolai sono siti in aree densamente abitate o in zone nelle quali la presenza di sciami di chironomidi poteva causare seri problemi logistici nel campo dei trasporti, quali l’aeroporto di Elmas o le superstrade che escono dal capoluogo. In questi ambienti (stagni Quartu, saline vecchie di Perda Bianca, saline Contivecchi e canale scolmatore orientale dello stagno di Santa Gilla) furono individuate tredici nuove stazioni, evidenziate con dei paletti. Il controllo periodico (quindicinale o circa mensile) delle densità larvali venne svolto con la partecipazione delle dottoresse Gloria Addis ed Elisabetta Pili (Dipartimento di biologia dell’Università di Cagliari). Nel corso della ricerca furono considerati complessivamente quindici stagni costieri (otto in provincia di Oristano e sette in quella di Cagliari), situati nella fertile pianura del Campidano. La maggior parte di essi rientra nell’elenco degli ambienti da tutelare secondo la Convenzione di Ramsar; risultano inoltre protetti dalla legge regionale 31/89 «Legge regionale sui parchi, Regione autonoma Sardegna, 7 giugno 1989». L’origine degli stagni esaminati è comune ed è dovuta all’innalzamento delle acque marine avvenuta durante il Quaternario. Lo stagno di Santa Gilla nel cagliaritano e la Valle di Marceddì nell’oristanese vengono considerate contrapposte valli fluviali, separate da un partiacque, parzialmente invase dal mare e parzialmente colmate da alluvioni recenti; lo stagno di Cabras risulta essere un antico bacino lacustre scavato dal rio Mare e Foghe, attualmente comunicante con il mare. Per quanto riguarda gli altri ambienti considerati durante questa ricerca, lo stagno di Is Benas viene considerato un avvallamento interdunale (o un fondovalle) con risorgenza della falda freatica durante la stagione piovosa. Tutti gli altri si sono formati a causa dello sbarramento di aree allagate da parte di cordoni e/o dune litoranee (Capitta-Porcu-Gaias 1992). Gli stagni sono generalmente alimentati da acque dolci 34

ceretti, grim, dalla pozza


provenienti da piccoli corsi d’acqua o da canali di bonifica appartenenti ai bacini idrografici e idrogeologici del Flumini Mannu (stagno di Santa Gilla e suoi canali scolmatori, stagno di Bellarosa), del Flumini Mannu di Pabillonis (stagni di San Giovanni e di Marceddì) e a quelli relativi a corsi d’acqua minori compresi tra il Flumini Mannu di Pabillonis e il Tirso (bacino di Corru s’Ittiri, stagno di Santa Giusta, stagno di S’Ena Arrubia) e tra il fiume Tirso e il Temo (stagno di Cabras). Non è tuttavia da sottovalutare un’alimentazione dovuta ad affioramenti di acqua dolce al di sotto della superficie degli stagni, dato che la falda acquifera in alcune zone risulta essere abbastanza superficiale (Pietracaprina 1980), particolarmente nel caso dei bacini dell’oristanese. Altri bacini idrologici del cagliaritano, sfruttati da secoli per la produzione di sale, non ricevono, se non accidentalmente, l’apporto di acqua dolce: vengono alimentati da acqua marine e dalle sole acque piovane (saline di Contivecchi e sistema Perda Bianca - Molentargius - Quartu). Data la portata e le dimensioni generalmente contenute degli immissari, le piogge rivestono una certa importanza nell’apporto di acque dolci negli stagni, sia direttamente sia tramite l’alimentazione dei loro eventuali immissari. La media annuale delle precipitazioni, calcolata durante il periodo 1900-1980 è risultata essere di circa 680 mm, con una distribuzione spazio-temporale disomogenea (Giorcelli 1984). Pur non trattandosi ancora di una modificazione climatica, Giorcelli segnala nello stesso studio che i valori medi della piovosità osservati negli ultimi vent’anni si discostano significativamente da quelli misurati durante i sessant’anni precedenti. In particolare è stato osservato un incremento delle precipitazioni nella parte centro-meridionale dell’isola e una loro diminuzione in quella settentrionale; parimenti in tutta l’isola gli autunni si vanno facendo meno piovosi, mentre crescono le precipitazioni estive, pur conservandosi il tipico regime unimodale della piovosità, caratterizzato da un valore massimo invernale e uno minimo estivo. Dai dati riscontrati in bibliografia (Capitta-Porcu-Gaias 1992), lungo l’asse del Campidano è possibile osservare un leggero gradiente della piovosità, con valori medi leg35

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Fig. 22. Lagune, stagni e saline attorno a Cabras, 2010-2011

germente più elevati nella parte settentrionale (Campidano oristanese) rispetto a quella meridionale. Una leggera diversità tra le due zone è stata rilevata anche per i valori medi della temperatura, più marcata per quanto riguarda l’andamento delle isoterme della media del mese di luglio. Per quanto riguarda l’andamento poliennale di questo parametro, Giorcelli segnala la presenza in Sardegna di un ciclo termico della durata di circa vent’anni, caratterizzato da un’improvvisa brusca risalita della temperatura media annuale, a cui fanno seguito una decina d’anni con temperature tendenzialmente decrescenti, ma superiori alla media. Segue quindi un periodo in cui la temperatura scende progressivamente al di sotto della media, che si conclude con un nuovo brusco aumento. I venti predominanti tendono a provenire da nord-ovest (maestrale) e dai quadranti sud (scirocco), raggiungendo talora forza di notevole intensità (> 30 nodi), anche per più giorni consecutivi. Tutti gli stagni studiati sono esposti ai venti dominanti. Nei periodi di elevata ventosità viene pertanto favorito il rimescolamento delle acque e, almeno nei bacini meno profondi, il sommovimento della parte a granulometria più fine dei primi centimetri di sedimento, portandoli a una maggiore ossigenazione. Formano così la parte più reattiva dei sedimenti, in grado di legare, per adsorbimento o attraverso legami chimici più o meno deboli, i nutrienti soluti nell’acqua, trascinandoli e immobilizzandoli sul fondo al cessare della perturbazione (Cottiglia 1984).

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La forza del vento ha spesso ostacolato la raccolta dei campioni, costringendo i ricercatori a continui spostamenti delle uscite programmate nell’attesa che il calo d’intensità del vento permettesse loro di uscire in barca anche nelle stazioni più esposte. Durante il periodo della ricerca le condizioni degli stagni esaminati, e in particolare quelli dell’oristanese, risentivano del perdurare del periodo di siccità già iniziato in autunno-inverno 1994 e protrattosi praticamente per tutto il 1995. Durante questo periodo si è riscontrato un anomalo andamento nel tempo di alcuni parametri fisici, quali ad esempio la salinità. All’inizio del 1996 le condizioni meteorologiche erano ancora tali da far prevedere un ulteriore allungamento del periodo siccitoso. La media della temperatura del mese di gennaio rimaneva infatti di circa due gradi superiore ai valori medi considerati normali per questo mese, nonostante si fosse verificato un periodo di pioggia di una certa intensità, insufficiente tuttavia ad aumentare la portata dei fiumi e a riempire i laghi artificiali utilizzati per alimentare gli acquedotti e i canali di irrigazione. Questo andamento è stato fortunatamente interrotto verso la metà di marzo (durante un periodo di campionamento) dal passaggio di una serie di forti perturbazioni che, oltre a portare a un calo significativo della temperatura (media del mese attorno a 10° C nella zona di Cagliari), ha permesso di riempire d’acqua i bacini di riserva. Durante questo periodo si sono verificati alcuni episodi di piena dei principali fiumi, come ad esempio il Tirso. Le metodiche di raccolta dei campioni quantitativi e qualitativi dei sedimenti e la strumentazione utilizzata per l’analisi delle principali caratteristiche fisiche e chimiche delle acque (profondità, trasparenza, temperatura, %O2, salinità, ph) e dei sedimenti (ph, eh, percentuale di acqua e di sostanza organica) non differiscono da quelle adottate nel corso della precedente ricerca del 1993-1994, eseguita in provincia di Cagliari. La ricerca è stata condotta su quindici stagni costieri, otto dei quali localizzati in provincia di Oristano e sette in quella di Cagliari. I valori minimi e massimi delle densità larvali sono riportati nella seguente tabella: 37

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Provincia di Oristano stagni

larve/m2 min-max

Provincia di Cagliari stagni

larve/m2 min-max

Is Benas

0-3*

Santa Gilla

0-429

Cabras

0-15464

canale scolmatore

0-785

Mistras

711-10000

saline Contivecchi

0-3570

Santa Giusta

0-3422

Perda Bianca

3422-42233

S’Ena Arrubia

0-15911

Molentargius

Corru s’Ittiri

0-756

Bellarosa

0-34161

San Giovanni

0-8768

Quartu

4661-66107

Marceddì

0-133

0-0

* numero di larve osservate durante una raccolta qualitativa su una superficie di circa 1 m2

Nella provincia di Oristano sono stati individuati 5 focolai larvali, localizzati all’interno degli stagni di Cabras, Mistras, S. Giusta, S’Ena Arrubia e S. Giovanni. In questi focolai i taxa di chironomidi meglio rappresentati sono risultati Chironomus gr. salinarius (Cabras, S. Giusta, S’Ena Arrubia e S. Giovanni) e Baeotendipes noctivaga (Mistras). Molestie causate da sciami di Chironomus gr. salinarius erano già state segnalate nella Zona industriale di Oristano e nella città di Santa Giusta, ambedue prospicienti all’omonimo stagno. Vennero registrate specifiche lamentele riguardanti la massiccia presenza di questi chironomidi da parte dei pescatori che effettuavano la guardia notturna alla peschiera dello stagno di San Giovanni. In particolari situazioni meteorologiche, la presenza dell’insetto rimaneva elevata anche durante il giorno, limitando il normale lavoro che i pescatori svolgono all’aperto (pulitura delle reti, preparazione delle grate in canna dei lavorieri ecc.), causando un certo danno economico. Le analisi dei dati non evidenziarono una chiara relazione tra la presenza dei chironomidi e i valori dei principali parametri chimici e fisici misurati in quelle stazioni. Nella provincia di Cagliari gli stagni di Perda Bianca, Quartu e Bellarosa si riconfermarono focolai larvali di primaria importanza. A questi si associarono anche le saline Contivecchi, studiate per la prima volta durante questa ricerca. In questi ambienti, i chironomidi maggiormente respon38

ceretti, grim, dalla pozza


sabili delle molestie sono risultati Chironomus gr. plumosus nelle acque dolci dello stagno di Bellarosa e Baeotendipes noctivaga negli altri ambienti. Benché le densità dei chironomidi nelle saline Contivecchi risultino inferiori a quelli osservati a Quartu e a Perda Bianca, l’estensione di queste saline e la loro posizione, sopravvento all’aeroporto di Cagliari Elmas nel caso di scirocco, consigliarono di non sottovalutare la presenza di Baeotendipes noctivaga in quest’ambiente. I problemi causati dalla presenza di chironomidi nelle zone umide prossime a Cagliari sono ormai ampiamente noti. A partire dal 1985, forse anche in coincidenza con una fase di riscaldamento del clima, secondo il ciclo termico con cadenza circa ventennale evidenziato da Giacomelli (1984), la presenza di questi insetti diventò molesta dapprima in alcune aree di Cagliari e Quartu prospicienti alle saline o prossime al Bellarosa: successivamente i chironomidi hanno interessato la zona del Poetto e le strade a elevata percorrenza che congiungono Cagliari a Quartu e queste due città con la spiaggia del Poetto. La ripresa delle ricerche nell’Oristanese nel 2010

Grazie al lavoro del dottor D’Andrea e alle esperienze sviluppatesi nel corso delle precedenti ricerche, l’acuirsi del problema legato ai chironomidi nell’area dell’oristanese portò la Provincia di Oristano nel giugno 2010 a emettere una nuova determina volta a un nuovo e accurato studio. Sulla base delle esperienze precedentemente sviluppate sul campo, una squadra di ricercatori, costituitasi in studio associato, intraprese lo studio. L’approccio fu diverso dai precedenti studi, essendo rivolto alla possibilità di effettuare rapidi interventi di contenimento del fenomeno attraverso l’uso di marker predittivi e operazioni mirate. Si evidenziò subito che l’individuazione della posizione dei macrofocolai larvali e la possibilità di relazionarli con le caratteristiche biologiche (tempi di sviluppo e bloom ciclici) ed etologiche (caratteristiche del volo autonomo e passivo in relazione ai venti dominanti) potevano permettere di individuare i canali di volo preferenziali per l’avvicinamento degli sciami alla realtà urbana che li attrae con le sue fonti luminose. 39

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Tutte queste conoscenze associate e interpolate ai precedenti studi permisero d’intervenire operativamente in breve tempo e attuare un controllo numerico di questi ditteri. Gli interventi di controllo furono effettuati intervenendo contemporaneamente su due livelli: posizionando schermi illuminati diversivi e/o attivando una lotta biocida mirata sui siti di riposo e accoppiamento. Sulla base degli studi pregressi, si riteneva che lo sviluppo di focolai di chironomidi potesse essere addebitato principalmente allo stagno di Cabras. Per tale motivo l’area di studio presa in esame inizialmente fu quella dello stagno. I primi campionamenti, eseguiti nell’ottobre 2010, dimostrarono però l’assenza di focolai larvali attivi. Questi risultati hanno imposto una rapida revisione del programma iniziale in cui lo stagno era ritenuto fonte prioritaria d’infestazione. La ricerca dei siti target si sviluppò, con andamento centripeto rispetto alla città di Cabras, non solo negli ambienti salmastri, ma anche nelle aree incolte o coltivate periferiche dove erano presenti acque lotiche e lentiche permanenti o temporanee, probabili macrofocolai di sviluppo di chironomidi. I campionamenti di maggio e luglio 2011 hanno confermato l’opportunità della modifica in itinere del progetto: contrariamente a quanto era stato rilevato quindici anni prima, lo sviluppo di questi ditteri infestanti non era più attribuibile ai fondali dello stagno di Cabras, ma erano stati individuati nuovi ambienti, limitrofi allo stagno, occupati dalle stesse specie trovate nel 1995 o da altre specie. I nuovi centri di proliferazione e infestazione furono individuati in macrofocolai posizionati in canali immissari ed emissari del lago stesso, in particolare il Riu Tanui, che peraltro attraversa la città di Cabras, la laguna di Mistras, zone del sistema dei canali scolmatori di Peschiera Pontis e del Riu Bau Mannu. Le caratteristiche biologiche ed ecologiche delle specie di questi ditteri indussero a considerare che la messa in opera di un piano di controllo adulticida corretto richiedesse, oltre alla conoscenza dei parametri meteorologici e chimico-fisici dell’habitat, anche la posizione puntuale dei focolai larvali, specialmente se questi sono in una fase dinamica (estinzione o ricolonizzazione). Infatti le specie 40

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hanno bloom (fioriture) eccezionali di sviluppo con cicli periodici di tre-cinque anni, ma anche una grande capacità di ricolonizzazione spontanea, attiva, da focolai limitrofi, o passiva dovuta a opere idrauliche sugli affluenti (ad esempio l’escavo dei fanghi), che di norma riesce ad avvenire in tempi più brevi (anche entro l’anno). Lo stagno di Cabras infatti era già stata oggetto di studio per la presenza di chironomidi durante il biennio 19951996 (Ceretti et al. 1999; Grim et al. 1999). Questa ricerca aveva permesso di rilevare importanti focolai larvali con densità massime rilevate di ben 15911 larve/m2. Nel mese di ottobre 2010, furono pertanto prioritariamente riconsiderate le zone focolaio già precedentemente individuate nello stagno di Cabras e nella vicina palude di Pauli ’e Sali. Inaspettatamente questi campionamenti mostrarono una sostanziale assenza di larve, con eccezione di un’unica stazione, situata alla foce del rio Mar’e Foghe. Per poter individuare le zone produttive, nel secondo e nel terzo periodo di campionamento, effettuati rispettivamente a maggio e a luglio 2011, furono analizzati per la prima volta i dati di ventosità a terra, in modo da definire il possibile ‘corridoio di volo passivo’ dei chironomidi. Sulla base degli studi effettuati, l’area di studio venne allargata a considerare anche altri corpi idrici situati all’interno della suddetta area di volo. Si andarono a studiare quindi: - lo stagno di Cabras; - la laguna di Mistras; - le zone umide di Mari ’e Pauli e Pauli ’e Sali, immediatamente a est dello stagno di Cabras; - le zone umide di Pauli Trottas e Cuccuru Sperrau, immediatamente a ovest dello stagno; - la zona umida in località Pangarazzu, nella parte meridionale dello stagno; - il Riu Tanui, uno dei due immissari, che nel suo percorso attraversa la città di Cabras, sfociando in prossimità della piazza Santa Maria, dove si svolgono le principali manifestazioni programmate nel periodo estivo; - il sistema di canali emissari dello stagno, confluenti nella zona di Peschiera Pontis; - e, per la zona di Torregrande, la zona umida alla foce del canale Bau Mannu. 41

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All’interno di queste aree vennero individuate, nel corso della ricerca, 38 stazioni geo-referenziate ed effettuati 65 campioni di fango, per la ricerca delle larve, e 8 campioni di adulti, effettuati con retino entomologico e trappole attrattive. Per ogni campione sono state effettuate le seguenti analisi: - fisiche: profondità, trasparenza, temperatura e principali caratteristiche descrittive dei sedimenti; - chimiche: salinità e ossigeno disciolto; - biologiche: identificazione delle specie di chironomidi presenti e calcolo della densità larvale. Nel caso di campionamenti di adulti si è rilevata anche la direzione e velocità del vento presente in prossimità del suolo in quel momento. Nel corso della ricerca sono stati complessivamente identificati sedici taxa di chironomidi, distribuiti in ambienti di acque dolci, salmastre e iperaline. Il numero di taxa generalmente decresce con l’aumentare della salinità media dell’ambiente. La salinità è fattore selettivo nei confronti delle specie, con poche specie che riescono ad adattarsi al singolo bacino, se questo presenta elevate concentrazioni di sali disciolti. Alcune specie di questi gruppi sono spesso presenti, talora in densità particolarmente elevate, nelle località che presentano un elevato grado di trofia o forme di grave inquinamento o nelle aree dove si verificano spesso notevoli diminuzioni del tenore di ossigeno disciolto. Per ognuna di queste specie vennero descritte le caratteristiche di sfarfallamento, riproduzione, volo attivo o passivo, periodi e temperature correlate ai vari cicli vitali. Nel periodo non interessato alla ricerca su campo e di lavoro entomologico di laboratorio, è stata sviluppata una elaborata ricerca sui dati meteorologici, recenti e storici, di una stazione affidabile il più vicino possibile all’area interessata dalla ricerca, cioè Cabras e Oristano. La ricerca è stata complessa e ha portato all’esclusione di siti apparentemente attivi, ma con dati senza continuità, privi di memoria storica o misurazioni effettuate con strumentazione probabilmente non sempre tarata. Alla fine la scelta è ricaduta sui dati forniti dall’Aeronautica militare dalla base di Capo Frasca, che sicuramente offre maggiore sicurezza scientifica. L’elaborazione dei dati ha permesso 42

ceretti, grim, dalla pozza


d’individuare e definire gli attuali canali di volo preferenziali dai centri di proliferazione alle aree urbane di attrazione degli insetti e allestire un sistema prototipo di attrazione luminosa, cattura ed eliminazione dei chironomidi adulti a prevenzione dei fastidi arrecati alle aree urbane. Accettando un valore di rischio/fastidio attorno alle 2500-3000 larve/m2, verificato per il mese di maggio, come possibile situazione di allarme per sfarfallamenti molesti di chironomidi, vennero individuate quattro possibili aree a rischio identificate durante la ricerca. A queste si aggiunsero delle aree di attenzione, dove il fenomeno doveva essere monitorato. Ciò avvenne anche perché dal confronto con i dati raccolti quindici anni prima si notava che le modificate condizioni climatiche, in particolare la quantità di precipitazione, i maggiori controlli sui reflui urbani e agricoli e, quindi, sugli apporti degli affluenti e la diversa regimentazione della bocca di porto verso il mare potevano aver portato lo stagno a condizioni trofiche molto diverse, forse opposte a quelle di trent’anni prima (Sechi 1982). La limitata ossigenazione del bacino, osservata nel corso dei campionamenti, potrebbe essere in tal caso correlata alla scarsa produzione fitoplanctonica. Tali condizioni verrebbero confermate dalla riduzione sensibile dei chironomidi (forti detritivori) e della fauna ittica, in particolare del muggine che, in stadi giovanili si nutre con preferenza di larve di chironomidi. La zona attorno allo stagno è inoltre ricca di ambienti temporanei, la cui vita è legata alla piovosità, alla temperatura e all’evaporazione. La tendenza all’aumento della quantità di pioggia sul territorio nei periodi primaverile ed autunnale, evidenziata dallo studio sulle anomalie climatiche rispetto al clino 1962-1990, permette la prolungata esistenza di queste aree paludose, che una volta si prosciugavano nei primi mesi estivi. Bacini temporanei ospitano solitamente una fauna a chironomidi adattata a questo tipo di regime idrico, capace di resistere in situ a periodi prolungati di prosciugamento. A questa condizione estrema le specie possono rispondere con fenomeni noti come estivazione. In questo caso, le specie sono generalmente caratterizzate da certa autonomia di volo, ampia adattabilità, alta fertilità e ciclo 43

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biologico accorciato, ben adatte a colonizzare qualsiasi ambiente acquatico nelle vicinanze (Frouz et al. 2003), dove possono rapidamente accrescersi in dipendenza alla disponibilità di cibo, stagno di Cabras compreso. Le conclusioni a cui arrivava lo studio erano similari a quanto era già stato visto nell’area della laguna di Venezia: lo sviluppo dei chironomidi è strettamente correlato alle condizioni climatiche delle aree. L’evidente sviluppo di nuovi andamenti, quali ad esempio l’aumento delle piogge nel periodo estivo, sta spostando la composizione tipica dei chironomidi della Sardegna da specie alofile, legate a stagni, saline e lunghe estati calde, ventose e con poche piogge, a nuove specie, più legate alle acque dolci e a grandi quantità di nutrienti, messe a disposizione da una diversa gestione dei reflui, sia urbani che agricoli. LE ZANZARE

Nel 1986 la Regione Veneto conferisce l’incarico per una ricerca sanitaria finalizzata: «Proposta finalizzata e di piano progetto operativo per interventi contro artropodi vettori - zanzare”, alla Società dpm (Dalla Pozza, Piretti e Mola). Il dottor Franco D’Andrea, come responsabile del Settore igiene pubblica della ulss 16 Venezia, viene coinvolto attivamente nel programma, tanto che nel 1992 presenterà i risultati al convegno europeo «Le zanzare nelle aree naturali e di interesse turistico», Comacchio (fe), 6-7 marzo 1992. Il Veneto, e in modo particolare la provincia di Venezia, si colloca in una situazione storico-geografica particolare, e in un certo senso privilegiata, in fatto di lotta alle culicidae. Queste erano infatti zone malariche, oggetto di studio e di intervento da parte di ricercatori di altissimo valore scientifico; l’Istituto interprovinciale per la lotta antimalarica con i dottori Canalis, Dechigi, Ghio, Sepulcri e Zennaro ne ha lasciato ampia testimonianza. L’endemia malarica venne combattuta fin dal 1924 e dal 1927 su base interprovinciale. Vista la scarsa efficacia dei prodotti disinfestanti del tipo dei cresoli, fino ad allora impiegati nella lotta all’anofele, si passò ai petroli distillati arricchiti di sostanze tossiche come il piretro o il rotenone. Il controllo veniva effettuato in due fasi: un ciclo di trattamenti verso le forme larvali nel periodo primaveri44

ceretti, grim, dalla pozza


le-estivo eseguito con nafte o Verde di Parigi (sale doppio di arsenico e acetato di rame), seguito da un secondo ciclo di trattamenti adulticidi nei confronti delle svernanti durante l’inverno. L’azione di bonifica, che stava dando risultati confortanti, dovette subire un arresto e assistere impotente a una ripresa della virulenza con il periodo bellico. Il periodo postbellico fu invece risolutivo per il problema: l’arrivo del ddt, che riduceva la frequenza del vettore malarico al di sotto della densità critica, associato a importanti opere di bonifica idraulica e al proseguire dell’azione medico-profilattica, portò infatti all’eradicazione dell’anofelismo (Sepulcri 1954). Il Centro antimalarico continuò tuttavia a svolgere un’intensa opera di controllo sulla tenuta dell’azione antianofelica, aggiornando al contempo le mappe della presenza culicina, tant’è che nel 1967 veniva pubblicato il censimento delle culicine (vettrici e non) che colonizzavano gli areali veneti (De Chigi 1967), iniziativa sicuramente innovativa rispetto alle metodiche dell’epoca e che anticipava quanto si sarebbe affermato parecchi anni dopo circa l’importanza di questa fase preliminare di conoscenza del territorio. Altre zanzare erano tuttavia pronte a creare disagi; gli anni ’60 portarono il boom economico, e con esso una nuova domanda turistica che esigeva un migliore qualità del soggiorno e, di conseguenza, un minor numero di zanzare moleste; se le anofele non rappresentavano più un problema, altre specie creavano notevole disturbo alla popolazione residente e in modo particolare a quella turistica. Il gruppo di studiosi del Centro decise pertanto di ampliare la portata del proprio impegno (1961), allargando la ricerca zoologica e l’ambito degli interventi alle altre specie di Culicinae. Anche questa volta le finalità erano direttamente operative e l’obiettivo era impostare un serio controllo di tutte le zanzare moleste. Questo è sicuramente il primo censimento delle specie che occupano il litorale veneto ed è probabilmente anche il primo a livello nazionale (De Chigi 1967). Il notevole successo ottenuto nella lotta all’anofele purtroppo non si ripeté con le altre specie; dopo quattro anni di studio e d’intervento, il gruppo scrive: «Le prospettive e la stessa realtà dei risultati dell’azione antinsetti contro le zanzare comuni (Culicinae) non sono però così favo45

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revoli come per la lotta antianofelica» (De Chigi 1967). Sciolto nell’ottobre dello stesso anno, il gruppo non poté completare l’opera iniziata in modo così brillante. L’esito di questi tentativi di controllo rivolti alle zanzare ‘comuni’ - Culex pipiens molestus e modestus, Aedes vexans, caspius e detritus, Culiseta annulata, le più diffuse, non deve stupire. L’azione biocida nei confronti delle anofele e quindi l’eradicazione della malaria era infatti avvantaggiata dalla stessa natura dell’antagonista. Sulla costa veneta, la specie responsabile della malaria era la sola Anopheles sacharovi, la cui caratteristica peculiare, certamente utile ai fini del suo controllo, è la sedentarietà nei luoghi chiusi dopo la tappa obbligata del pasto di sangue. Questo elemento condiziona la sua costante vulnerabilità nei confronti degli insetticidi residuali murali, vulnerabilità che, associata alla lotta antilarvale nei focolai riproduttivi extraurbani, aveva portato a quei risultati. Condizioni più complesse presentano invece le zanzare ‘comuni’ che, pur appartenendo alla stessa famiglia, hanno ecologia ed etologia nettamente diverse non solo rispetto all’anofele, ma anche tra loro stesse: basti pensare alla frequenza e alla variabilità degli ambienti di riproduzione. Le nicchie di sviluppo larvale sono infatti comprese in una gamma di salinità che va da acque salse e salmastre ad acque potabili o al liquame di fogna, all’acquitrino, alla pozzanghera, al fosso, al canale fino alle piccole raccolte d’acqua estemporanee. Si tratta inoltre di specie scarsamente sedentarie (se si esclude la Culex pipiens) preferenzialmente esofile; alcune specie sostano in prossimità dei focolai e si allontanano da essi in misura limitata, mentre altre sono in grado di spostarsi per distanze notevoli; alcune pungono solo di notte o, meglio, in certi periodi della notte (crepuscolo e alba), altre durante tutto l’arco della giornata. Da quanto precede è evidente come le modalità di intervento richiedano soluzioni davvero mirate, e come debbano necessariamente essere condotte da personale realmente qualificato, sia che il servizio venga svolto dal Settore igiene pubblica, sia che venga appaltato. Pertanto i tecnici coordinatori devono possedere una specializzazione appropriata, derivata da corsi universitari brevi o da istituti tecnici specifici; gli operatori invece dovrebbero essere addestrati e istruiti 46

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da personale qualificato ed essere aggiornati periodicamente. Quelle bonifiche hanno certo contribuito in modo sostanziale a eradicare l’anofele riducendone gli habitat di sviluppo, ma l’urbanizzazione ha ripristinato, anche se per specie diverse, un numero infinito di potenziali focolai. Questo vale soprattutto per le aree turistiche, dove la gestione delle acque superficiali non è stata considerata a sufficienza o, quando lo è stata, si è rivolta solo alle acque luride di fogna. Risolto il problema dell’inquinamento organico tramite i depuratori, non si è tenuto conto che le stesse acque reflue scaricate in condotte più o meno protette hanno creato nuovi macrofocolai, habitat di sviluppo per la Culex pipiens. Le strutture di depurazione delle acque dovrebbero soggiacere, in fase progettuale, a normative specifiche finalizzate alla prevenzione dello sviluppo dei culicidi (ad esempio collettamenti con reti fognarie senza angoli vivi, copertura dei tombini ecc.), come già peraltro succede in paesi come la Francia. Lo stesso si dica per le zone extraurbane trasformate in centri residenziali quasi sempre di solo interesse turistico, situate in prossimità di località palustri non adeguatamente bonificate, ricche di acque superficiali spesso stagnanti o a lento deflusso e quindi tipici e naturali habitat di sviluppo di specie di zanzare antropofile particolarmente virulente come la Aedes detritus, caspius, e vexans e come la Culiseta annulata. Le ampie distese di bosco termofilo – in cui predominano il pino e il leccio che popolavano la costiera veneta – lasciano il posto al ‘cemento turistico’, dove il verde protetto che ha resistito viene spesso utilizzato come sedi per campeggi e dove i micro e macrofocolai culicini di acque a vario grado di inquinamento sono infiniti. Poiché sia il controllo biologico che genetico, perlomeno come unico strumento spesso utilizzato su un territorio vasto, non hanno ancora raggiunto un livello accettabile di abbattimento dell’infestazione, è necessario ricorrere allo strumento chimico. La tecnica che potremmo definire, con un termine improprio ma efficace, più ecologica è la lotta antilarvale (lotta guidata), che colpisce l’insetto quando occupa ancora la 47

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sua nicchia di sviluppo ed è alla massima densità ecologica; la lotta biologica può essere utilizzata come sostegno dove le condizioni lo permettono. Ovvio l’impiego di prodotti altamente mirati alla specie target, ma a minima tossicità ambientale: si usano gli ormoni regolatori della crescita (igrs) o, meglio ancora, il Bacillus thuringiensis, che esplica la sua attività quasi esclusivamente contro il genere Aedes e che possiede brevissima persistenza. Si applica in definitiva il concetto di lotta integrata, come insieme di tecniche di controllo, attuata con mezzi biologici e di bonifica del substrato, integrando con interventi chimici mirati l’efficacia delle prime (Casadei 1989). La lotta guidata quindi non è che una fase all’interno di un sistema più complesso di interventi che coinvolge tutto il Settore igiene pubblica. Ritornando al censimento delle specie di culicidi presenti sul territorio, si è evidenziato come l’aumento di antropizzazione abbia modificato il rapporto tra le specie di zanzare nei vent’anni intercorsi tra le due ricerche (D’Andrea 1992). Dal numero di focolai larvali con presenza culicina che si riferiscono al censimento del 1967, risulta infatti che la zanzara prevalente lungo il litorale veneto è senza dubbio la Culex pipiens molestus, reperita nel 61% delle località censite. Fra le altre zanzare d’interesse igienico-sanitario, reperite nel 30% delle località toccate dall’indagine, è la Aedes caspius che predomina come colonizzatrice dei lidi e delle aree agricole retrostanti le località turistiche, mentre la Ae. detritus e vexans presentano distribuzione più ridotta e a macchia. Le altre specie moleste, come la Culex modestus e la Culiseta annulata, sono individuate come specie rare e reperite in scarsa densità. L’indagine condotta nel 1987 conferma il predominio di Culex pipiens come specie colonizzatrice e che ha ampiamente esteso il suo areale; questo vale anche per le specie di Aedes, di cui non si può più parlare di rari reperimenti. Presenze rare, anche se con focolai consistenti si può dire invece di Anopheles maculipennis e claviger (tab. 1).

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Fig. 23. La specie di Aedes piĂš frequente e aggressiva (Sepulcri 1967) Fig. 24. Le specie di Aedes piĂš frequenti e aggressive (Dalla Pozza 1987)

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Tab. 1. Numero di habitat larvali con presenza di Culicidi identificati nel 1967 e 1987

Culex pipiens (complesso)

1967

1987

223

1.114

Culex modestus

112

Aedes caspius

93

Aedes detritus

35

281

Aedes vexans

45

232

Culiseta annulata

256

149

Anopheles maculipennis

18

Anopheles claviger

8

Come esempio per evidenziare queste modifiche si riportano le mappe che si riferiscono al censimento del 1967 e 1987, e che riportano la popolazione culicina di Aedes caspius nella stessa area: in particolare, la specie presente in un numero limitato di zone, oggi occupano il litorale quasi con continuità (figg. 23, 24). La Aedes detritus è reperibile lungo tutta la costa veneta, isole della laguna veneta comprese, e si alterna con la Aedes caspius occupandone gli stessi habitat; la prima è reperibile nelle stagioni con fotoperiodismi brevi (primavera e autunno), mentre la seconda è tipica delle stagioni con fotoperiodismi lunghi, e cioè dell’estate. Altra diffusione importante è quella legata alla Culiseta annulata e alla Culex modestus, specie che oggi non costituiscono più rare presenze zoologiche, ma sono di fatto parte integrante della popolazione di molesti che rende invivibili i litorali veneti. La massiccia e composita presenza di specie antropofile desta seria preoccupazione, anche se non sono stati reperiti macrofocolai di interesse sanitario (anofeli potenziali vettori di plasmodio; Anopheles sacharovi). Infatti, se si può affermare che il potere patogeno della zanzara è relativamente limitato, non è tuttavia possibile tacere il fatto che alcune specie sono, ad esempio, potenziali vettori di virus encefalitogeni (Balducci 1968), mentre altre sono determinanti nello scatenare forme allergiche che interessano individui sensibili, come i bambini, qualora siano sottoposti ad un numero elevato di punture in un breve periodo di tempo. Le responsabili di questo 50

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vero e proprio flagello, almeno per la nostra costa, sono la Aedes caspius e la Culex modestus. Questo significa che, anche in assenza di fenomeni gravi, l’importanza sanitaria della zanzara non può essere sottovalutata e vanno comunque presi seri provvedimenti. La strategia di lotta alle zanzare costituisce anche un momento importante di prevenzione sul piano igienico-sanitario. Una ricerca specifica da noi. condotta sull’impiego di prodotti insetticidi e sulle tecniche di intervento utilizzate nelle varie ulss, e all’interno di ciascuna di esse tra operatori pubblici, privati, consorzi ecc., ha rilevato una tale diversificazione qualitativa da destare serie preoccupazioni per l’irrazionale chimizzazione del territorio con molecole di larvicidi spesso di generazioni tossicologiche ampiamente superate. A queste condizioni si devono inoltre aggiungere quelle di spettanza più squisitamente sanitaria. Intendiamo riferirci al fatto che di molti pesticidi è conosciuta la tossicità acuta ma solo di pochissimi si conoscono gli effetti a lungo termine quali la capacità di mutagenesi, cancerogenesi o di indurre malattie croniche. Inoltre è estremamente difficoltosa la determinazione dei limiti di sicurezza in quanto se da un lato riconoscere l’effetto di una sostanza è cosa facile, dall’altro riconoscere un non effetto è cosa estremamente difficile. Il bagaglio di problemi inerenti la ricaduta sanitaria dell’uso dei pesticidi aumenta ulteriormente se si pensa che tutte le informazioni sulla loro tossicità sono ricavate da sperimentazioni sugli animali e che anche tra ceppi di animali della stessa specie ci possono essere notevoli diversità nella suscettibilità biologica. Nel ristretto ambito dell’uso civile dei pesticidi, a tale situazione si sta cercando di ovviare con la proposta di creare un’autorità di bacino che consenta il governo di tutte le iniziative rendendo così omogenei i criteri di lotta tra le varie ulss e istituendo dei corsi gratuiti e permanenti di formazione del personale che a vario titolo effettua la disinfestazione (consorzi di promozione turistica, campeggi, residence, alberghi, colonie, privati ecc.). Infine un ulteriore elemento da considerare, sulla base della nostra esperienza, è che il controllo delle zanzare nei nostri litorali deve necessariamente essere esteso a 51

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tutto il territorio senza soluzione di continuità, determinate ad esempio da difficoltà organizzative di alcune ulss competenti, poiché ciò vanifica ogni sforzo di disinfestazione nelle zone limitrofe. Per concludere, il controllo delle zanzare nelle aree naturali e di interesse turistico presuppone un adeguamento delle strategie orientate a uno studio accurato del territorio per l’individuazione dei presupposti allo sviluppo delle varie specie di zanzare, una prevenzione primordiale da effettuarsi con una manutenzione periodica del verde ed un contenimento degli interventi adulticidi che si ottiene privilegiando la lotta antilarvale. Una omogenea e corretta applicazione di queste linee guida su tutto l’ambito territoriale, realizzabile con la convergenza di finanziamenti da parte delle strutture a ciò preposte ed anche da quelle interessate a un buon risultato (ad es. assessorati al turismo, apt, camere di commercio ecc.), costituisce l’unico approccio al problema che consenta di coniugare una lotta efficace con il rispetto ecologico e igienico sanitario del territorio e delle popolazioni. Il lavoro, conclusosi nel 1987, ha potuto fissare criteri di intervento omogenei pur mantenendo le specifiche peculiarità delle singole ulss, sia a livello di modalità generali che di strumenti operativi. Le mappe di rischio sono diventate obsolete dopo pochi anni con il rinvenimento di Aedes albopictus (Dalla Pozza-Maiori 1992) e che dal 1994 era già presente sul litorale veneziano. I RATTI

Nel 1987 inizia un progetto biennale, in sinergia con il Comune di Venezia, di «Mappatura e censimento delle popolazioni murine a Venezia» per organizzare il Servizio di derattizzazione in modo preciso e su basi scientifiche, dando il giusto peso alla prevenzione cercando di ridurre il più possibile i due elementi fondamentali per la sopravvivenza del ratto e la sua proliferazione: possibilità di reperire cibo e costruire la tana. È stata realizzata la prima mappa d’infestazione murina e la relativa mappa di rischio, mappa ancora attuale e in continuo aggiornamento. 52

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Il lavoro

Per programmare un intervento di derattizzazione è necessario conoscere almeno il grado di infestazione o l’infestabilità di un ambiente da cui è possibile derivare la capacità biologica specifica (cbs) e i locali che offrono possibilità di acqua, cibo, rifugio, come per esempio fogne fatiscenti, magazzini in disordine, ambienti con scarso rat-proofing in quanto questi hanno una cbs illimitata. Un aspetto della massima importanza sarebbe la conoscenza del numero di individui che costituiscono la popolazione. Un’informazione su questo dato si può ottenere attraverso una campagna di censimento delle popolazioni murine presenti in un territorio. Metodo indiretto, Metodo Chitty: la metodica non fornisce dati sull’effettivo numero di ratti presenti in una determinata area, ma è possibile conseguire dati attendibili sul grado di infestazione, sull’infestabilità nonché dati ambientali importanti sul grado d’igiene urbana (discariche abusive, corretto smaltimento del rifiuto, gestione del verde sia pubblico che privato, ecc.). Si suddivide il territorio in unità di campionamento e si posizionano box (rat-bar, ossia mangiatoia protetta per esche ratticide) contenenti esca pesata di cui si valuta il consumo, oppure si censiscono tutte le tracce connesse con una presenza del roditore. I dati riportati su una cartografia appropriata costituiscono la mappa di rischio, indispensabile strumento in una campagna di derattizzazione (who 1979). La campagna di derattizzazione/censimento è stata eseguita negli anni 1988 e 1989, con l’impiego di diciannove operatori qualificati, e ha interessato 26.473 abitazioni (numeri civici) su 29.150 presenti a Venezia centro storico. Metodologie e strumenti

Il possesso di tutte le informazioni necessarie a dare continuità e valore scientifico agli interventi richiede per forza di cose una conoscenza capillare del territorio interessato; contemporaneamente alla posa delle esche, è stata infatti condotta un’indagine a tappeto basata su criteri omogenei per ogni realtà censita – nonostante le diverse caratteristiche geografiche ed economiche – che ha 53

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permesso la successiva elaborazione statistica dei dati e la valutazione dei risultati emersi. L’indagine-censimento è stata ripetuta in tutte e tre le campagne. Per maggiore chiarezza, ne riprendiamo brevemente gli elementi principali.

Fig. 25. Grado d’infestazione da Rattus norvegicus oggettiva rilevata a Venezia centro storico, 1989

L’unità minima di campionamento e di trattamento è rappresentata dall’immobile, sia che si tratti di edificio monofamiliare o plurifamiliare, oppure di struttura sede di attività produttive. L’unità minima funzionale è rappresentata invece dall’isolato, che costituisce anche l’unità di riferimento. L’isolato comprende un numero variabile di edifici e presenta una configurazione geometrica variabile. Solitamente viene definito dalle strade maestre che lo delimitano; nel caso particolare di Venezia, i confini sono stati invece delineati, dove possibile, dai canali facilmente navigabili; per quanto riguarda le zone esterne, o l’isolato viene considerato alla stregua delle aree di terraferma (per Lido e Pellestrina, ad esempio, il confine viene delimitato dalle strade principali), o viene rappresentato dalla singola isola, 54

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quando non è molto estesa (come Torcello o la Certosa). L’isolato, come unità minima funzionale, è un’unità convenzionale utile a definire lo sviluppo dell’operazione; in tal modo è infatti possibile – e in concreto molto comodo – utilizzare mappe non eccessivamente particolareggiate e a scale contenute. È bene ricordare che un isolato risulta infestato anche quando un solo edificio riporta la presenza di roditori. Le unità funzionali sono raggruppate in undici aree coincidenti, per Venezia, con i vecchi sestieri, e, per le zone esterne, con quartieri o gruppi di isole tradizionalmente accorpati (Lido e Pellestrina, Murano, Treporti e Isole), esempio per Venezia centro storico, fig. 25. Questo per consentire una visione d’insieme con punti di riferimento noti. Le considerazioni relative ai dati di rilevamento vengono infatti più spesso riferite alle undici aree che non a singoli isolati, anche se è necessario mantenere ferma la funzione dell’isolato come unità. Attraverso il censimento di tutta l’area della ulss, gli operatori hanno costantemente ridisegnato e aggiornato, nel corso delle fasi operative, il quadro dell’infestazione, consentendo l’emergere di tutte quelle attività o situazioni che si presuppongono favorevoli al ratto (aree incolte o abbandonate, magazzini chiusi, discariche o comunque carenze igieniche ecc.), e quindi l’individuazione dei diversi livelli di rischio. Questa indagine effettuata casa per casa su tutto il territorio pubblico e privato, costituisce la base per la realizzazione di una banca dati del territorio, strumento che è possibile modificare e aggiornare, e che permette di avere sotto controllo una situazione che subirà cambiamenti, soprattutto – ci auguriamo – sotto il profilo dell’infestazione. Lettura delle tabelle riassuntive

Tutti i dati raccolti sono stati riportati dagli stessi operatori su apposite schede Tab.2 (fig. 26) che, nella fase di elaborazione, sono state da noi analizzate e tradotte in un tabulato riassuntivo per unità funzionale comprendente tutti gli isolati di ogni singola area: la sintesi del lavoro è riportata in Tab. 3 figura 27. Queste tabelle non riportano i dati relativi allo stato del focolaio, ma soltanto quelli relativi all’infestazione – compresa l’individuazione di zone 55

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Tab. 2/Fig. 26. Scheda di rilevamento e controllo Tab. 3/Fig. 27. Risultati della campagna di Derattizzazione/ censimento infestazione di Venezia centro storico, 1988-1989 56

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rischio, con la rilevazione delle tane e dei punti di alimentazione – e alla risposta della popolazione, in quanto sono i più significativi; la condizione degli stabili e delle aree esterne a essi vengono utilizzate per mettere in rilievo situazioni di particolare interesse che si ritrovano poi nelle altre sezioni o nelle segnalazioni di zone a rischio. Grado d’infestazione

Prima di dare valutazioni sulle percentuali rilevate, occorre un’informazione che faccia da riferimento scientifico, per capire quando un valore può essere ritenuto alto, quando medio, e così via. Secondo le metodologie adottate da organizzazioni internazionali scientificamente riconosciute, quali il Centre of desease control (cdc) o l’Organizzazione mondiale della sanità (who), il grado di infestazione dell’unità di campionamento è valutato entro i limiti minimo e massimo (0% - 100%) che indicano rispettivamente, o che nessun fabbricato è infestato o che la totalità dei fabbricati compresi nell’isolato presenta infestazione. I valori di infestazione intermedi sono così rappresentati: fino al 6%

infestazione bassa (colore turchese)

dal 7% al 25%

infestazione media (colore azzurro)

dal 26% al 100%

infestazione alta (colore blu)

Nella fig. 25 sono evidenziati i vari livelli d’infestazione oggettiva (riscontrati) e non il valore di probabile infestazione massima (cbs) perché il valore del rischio e sempre elevato (fig. 27), Tab. 3. I risultati del lavoro sono stati presentati al convegno sull’Igiene pubblica, tenuto a Venezia nel giugno del 1989 presso l’ospedale civile. I risultati del lavoro eseguito costituiscono una banca dati e una mappa di rischio tutt’oggi utilizzata e aggiornata dagli operatori della multi-servizi Veritas, che dal 2005, anno in cui sono diventate esecutive le nuove normative in funzione dei Livelli essenziali di aassistenza (lea), hanno sostituito nel compito di derattizzazione e disinfestazione il personale dell’Azienda ulss.

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LE BLATTE

Dal 1999 al 2001, durante il periodo autunno-inverno, è stato eseguito il monitoraggio sulla presenza di blatte negli edifici scolastici del Comune di Venezia. È ben noto agli igienisti che ambienti adibiti alla conservazione, alla cottura dei cibi e alla ristorazione, sono particolarmente vulnerabili agli artropodi. Questo è in relazione alle risorse alimentari disponibili, le quali fungono da attrattivo/conservativo per l’entomofauna, e soprattutto per la cronica mancanza di misure o strutture preventive, che evitino o quantomeno limitino indesiderate pullulazioni. Il controllo delle infestazioni di artropodi striscianti come la blatta in questi difficili ambienti confinati, esige che i tecnici del settore e gli operatori (disinfestatori) abbiano un’esatta conoscenza di un protocollo di ispezione, nonché delle modalità applicative dei formulati insetticidi, in rapporto alla natura e dimensione dell’infestazione, all’habitat colonizzato, alle apparecchiature da impiegare, ai tempi e alle modalità di somministrazione dei prodotti insetticidi. Questa nota ha lo scopo di illustrare i risultati ottenuti dal monitoraggio e controllo dell’infestazione di Blattella germanica e Blatta orientalis negli ambienti confinati delle scuole elementari, asili e materne, con cucina o solo ristorazione, presenti sul territorio del Comune di Venezia. Il lavoro sul campo è stato eseguito dagli operatori del Servizio di disinfestazione del sisp della Azienda ulss 12 veneziana, che in casi di positività alla specie target, hanno sperimentato anche una nuova tecnica di controllo rappresentata dall’insetticida mirato formulato come esca alimentare. Materiali e metodi

Il monitoraggio è stato eseguito nei periodi autunno-inverno-primaverile di ogni anno. Per i rilevamenti sulla presenza/assenza e densità delle Blatte sono state posizionate e mantenute in loco per una settimana e poi riposizionate delle nuove, circa 500 trappole adesive attivate con ormone di aggregazione e attrattivo alimentare, per controllo. Per gli interventi di deblattizzazione è stato impiegato 58

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il formulato Piretroide (Solfac ew) a media persistenza, alle dosi consigliate in etichetta, irrorato in modo mirato nelle screpolature, fessure, condotte di fili elettrici in disuso, battiscopa ecc. presenti negli ambienti confinati. Consapevoli della presenza di Blatta orientalis, particolare attenzione è stata data agli scarichi dei servizi igienici e alle fosse biologiche. Gli arredi delle cucine e mense sono invece stati trattati con l’esca alimentare per blatte in formulazione gel (Max force gel), applicata in piccolissime dosi (gocce da 0,1 grammi) nei sottosquadri delle stufe, delle cucine economiche, delle cappe aspiranti e delle scatole elettriche, dietro i pensili ecc., irraggiungibili senza l’apposito applicatore. Sono state sottoposte a monitoraggio centocinque strutture, tra scuole elementari e asili-materne, di cui solo dodici con cucina in proprio; tutte le altre usufruiscono di cucine esterne comunali (26) o private (67) per la preparazione dei pasti. L’ipotesi di lavoro prevedeva anche di verificare l’esistenza di una correlazione tra infestazione da blatta nelle scuole e cucine di preparazione, ovvero una diffusione di blatta dalla cucina decentrata alle scuole, attraverso i contenitori dei pasti. Risultati e discussione

In particolare è stato dimostrato che: - Non esiste correlazione tra servizio mensa esterno e infestazione da blatte; - Blatta orientalis è dominante su Blattella germanica (fochista); - Il grado d’infestazione si attesta, complessivamente, attorno al 16 %, è quindi da considerarsi come un’infestazione media ma da non sottovalutarsi. Il numero di esemplari catturati per trappola è contenuto, da 1 a 7 individui, se si esclude l’unico caso in cui sono state rinvenute 28 blatte. Disaggregando questo dato per quartiere emerge però che esistono situazioni locali dove l’infestazione assume una notevole importanza: Nel cdq 10 (Terraglio, San Lorenzo, xxv aprile, Piave 1866) il 27% delle scuole è infestato, nel cdq 12 (Chiri59

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gnago, Gazzera) il 30 % e il 58 % nel cdq 13 (Marghera, Catene, Malcontenta), valori questi che fanno assumere alla blatta importanza sanitaria. In relazione all’ecologia di Blatta orientalis, queste gravi infestazioni sono da collegarsi alle cattive condizioni del sistema fognario (Marghera) o a opere di edilizia e di escavo stradale per messa in opera di nuove utenze. Come responsabile del Settore igiene pubblica ulss 12 veneziana il dottor D’Andrea, all’attività scientifica di ricerca finalizzata al controllo delle specie target, ha sempre affiancato corsi di formazione e aggiornamento professionale periodici del personale disinfestatore, per ottimizzare e rendere moderno il servizio di disinfestazione e derattizzazione, e fare sì che il personale fosse in grado, e nelle condizioni di massima sicurezza, di dare risposte operative alla popolazione su problematiche indotte da specie come: pidocchi, zecche, vespidi ecc. e non ultima la cimice dei letti, comparsa a Venezia alla fine degli anni ’90. GLI IMENOTTERI

Per affrontare correttamente gli interventi nei confronti degli Imenotteri fu concordata una convenzione con il corpo dei Vigili del fuoco della sede provinciale di Venezia. Il personale della squadra operativa specifica fu addestrato da medici (spisal) ed esperti entomologi del Settore igiene pubblica. LA CIMICE DEI LETTI

Per contrastare la diffusione di questo fastidioso insetto si cercò una collaborazione con il Comune di Venezia per attivare interventi di prevenzione e di lotta. Venne sottolineato che: « […] uno degli aspetti particolari della messa in opera, nella città di Venezia, di una prevenzione e di un controllo nei confronti di specie zoologiche moleste o vettori di malattie è spesso rappresentato dall’impossibilità di una quantificazione precisa, e soprattutto stabile nel tempo, degli investimenti da effettuarsi in termini di tempo, strumenti, tecnologie ecc. Come più volte sottolineato, questo fatto è determinato dall’equilibrio instabile in cui versano gli ecosistemi complessi e in particolare quelli lagunari. A fronte di una 60

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crescente richiesta turistica d’uso del territorio accompagnata da quella di fruizioni culturali e scientifiche sempre maggiori, anche in vista del prossimo Giubileo [quello del 2000], corrisponde infatti la imprevedibilità, dal punto di vista naturalistico, di eventi biologici negativi (ratti, zecche, vespe ecc.) che non consente una programmazione a lungo periodo ma che può essere attuata con interventi preventivi a breve/medio periodo e modificabili in funzione del bisogno. Questa nota/proposta è in relazione anche alle recenti individuazioni di microfocolai di Cimex lectularius (cimice umana dei letti, specie che ricorda la carenza d’igiene personale legata agli infausti periodi bellici). Tutti i casi sono stati accertati presso alloggi, case studenti, alberghi che hanno ospitato recentemente ospiti anglofoni. L’aumento previsto dei turisti, la loro provenienza cosmopolita, il loro stupendo grado di adattamento finalizzato al raggiungimento della meta, la rapidità dei trasporti, le modificate condizioni meteo-climatiche fa ipotizzare il rischio di un’importazione e distribuzione di specie, non autoctone, parassite o moleste per l’uomo. Il rischio indica sia la misura del pericolo sia la probabilità del suo verificarsi. Da quanto riportato si ritiene che il livello di rischio accettabile sia molto basso: l’accettabilità del rischio dipende dal contesto, in questo caso essendo il contesto straordinario, l’intervento di prevenzione, come gestione del rischio, deve essere vista come scelta prioritaria. Si suggerisce l’attivazione di opere di disinfestazione e disinfezione programmata degli ambienti confinati, arredi compresi, adibiti a ospitare i pellegrini. Gli interventi dovranno avere una frequenza settimanale poiché il prospetto statistico indica un soggiorno medio per persona di 1,5 giorni».FONTE? Il problema non fu percepito con la dovuta rapidità e la cimice si diffuse a macchia d’olio. Era comunque il periodo in cui si stava elaborando il salto di qualità, particolare per certi settori di prevenzione; nuove normative in funzione dei Livelli essenziali di assistenza (lea), consideravano il controllo di ratti e zanzare come un problema non sanitario, e quindi non di competenza dell’Azienda sanitaria (Dipartimento di prevenzione), ma da delegare ai rispettivi Comuni. 61

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