Madonna della Salute

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Lions Club di Camposampiero anno sociale 2008/2009 Presidente sig. Gabriele Piccolo

Service ‘09 Oratorio della

Madonna della Salute Il restauro delle facciate esterne e del campanile


anno sociale 2008/2009

Lions Club di Camposampiero Presidente Sig. Piccolo Gabriele Segretario dott. Fabio Argenti Presidente del Service Sig. Silvano Carraro

Progetto e Direzione Lavori Architetto Bruno Stocco dott. Giulio Stocco Camposampiero


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Indice Il Service

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Relazione Storico-Descrittiva

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Ricerca Storico-Catastica

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Ricerca Fotografica d’Archivio

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L’oratorio oggi

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Rilievo e Progetto

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Il cantiere

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Il computo metrico

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Gabriele Piccolo

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Il Service Come Presidente in carica, è mio piacere ed onore presentarvi il service del Lions Club di Camposampiero, Distretto TA3. Sin dalla mia elezione ho sempre ritenuto fondamentale che il nostro impegno annuale si dovesse realizzare all’interno del comune di cui il nostro Club ne è una delle espressioni più attive e rinomate, Camposampiero. La scelta dell’Oratorio della Madonna della Salute suggerisce così la volontà di impegnarsi nel nostro territorio sviluppandone attraverso le proprie spontanee bellezze le proprie qualità storiche ed artistiche. La comunità di Camposampiero è sempre stata spontaneamente devota a questo piccolo scrigno di religiosità di cui ne fu attenta custode, la posizione atipica ,se considerate in relazione alle centralità religiose della chiesa

dei SS Pietro e Paolo e di S.marco, offrirono all’oratorio un rapporto più intimamente urbano sviluppandone la sua caratteristiche votive più che cerimoniali; votività alla vergine che fu, in segno di ringraziamento, consegnata dal vescovo attorno al 1836 quando l’oratorio precedentemente devoto a S.Giacomo fu dedicato alla Madonna della Salute in segno di ringraziamento per la debellione della peste. Il service vuole prendersi cura dell’Oratorio della Madonna della Salute riconsegnandolo alla comunità rinvigorito nel proprio spirito religioso quanto nella sua bellezza architettonica, per far questo i soci riunendosi decidesero di Nominare come presidente del Service il Sig. Silvano Carraro, socio fondatore del Club e come unico referente tecnico e artistico l’arch. Bruno Stocco, scelto in base


FINALITA’ DEL SERVICE: Il service si propone di restaurare le facciate esterne dell’oratorio dedicato alla MADONNA DELLA SALUTE sito in Camposampiero (PD) in Piazza Castello, di fronte al Castello medioevale appartenuto alla nobile famiglia dei Camposampiero. La durata del service è di un anno sociale, quello del 2008-2009. Per la realizzazione del progetto è stato nominato un Comitato soci ad hoc composto da 5 soci e presieduto da Silvano Carraro. Per la modalità di reperimento fondi si rinvia alla descrizione più sotto. UTILITA’ SOCIALE: Il restauro dell’Oratorio si inserisce in un contesto sociale di grande visibilità della costruzione, dato il suo grande influsso nel culto popolare quale piccolo santuario a cui la popolazione, non solo di Camposampiero ma anche dei paesi confinanti, accorre per chiedere grazie alla Madonna, in seguito ad evento miracoloso avvenuto nella metà del secolo XIX. L’Oratorio è anche un esempio significativo di arte tardo cinquecentesca legata ad alcune famiglie nobili veneziane, su cui si sta indagando storicamente, e i cui stemmi nobiliari sono presenti all’interno. VISIBILITA’ SUL TERRITORIO: Una volta terminato il restauro si procederà, in accordo con il Comune di

COINVOLGIMENTO DELLE ISTITUZIONI PUBBLICHE E DI PRIVATI: Per la realizzazione del progetto sono state coinvolte le seguenti Istituzioni: la parrocchia proprietaria dell’immobile il Comune di Camposampiero il progettista arch. Bruno Stocco del luogo, attento conoscitore della storia e dell’arte del territorio, che si è offerto di contribuire professionalemte a titolo gratuito dalla stesura del progetto sino alla direzione dei lavori. numerosi sponsor privati e pubblici, che hanno donato il materiale, la tec nologia o del denaro per la buona riuscita della proposta. Tale coinvolgi mento rappresenta una ulteriore prova di sensibilità popolare per il monu mento storico, da sempre visitato dalla popolazione tutti i giorni e non solo nell’annuale ricorrenza della Madonna della Salute (21 novembre) Coinvolgimento a titolo gratuito di alcuni studiosi locali di storia al fine di realizzare una pubblicazione che illustri i lavori di restauro svolti e le ricerche storiche effettuate sulla chiesetta. REPERIMENTO DELLE RISORSE FINANZIARIE: Per il reperimento delle risorse finanziarie, risultate in aumento rispetto alla previsione iniziale trattandosi di edificio storico-artistico, si è ricorsi ai contributi di vari: banche comune di Camposampiero vari privati (aziende, soci del Lions Club, cittadini) il Lions Club di Camposampiero con quota ricavata dal bilancio dell’anno prestatori d’opera gratuita fornitori di materiale a titolo gratuito

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• Progetto Martina • Service Dislessia • Service Cooperativa Sociale “Il Graticolato” • Lions Quest • Service Santuario Madonna della Salute • Service Libro Parlato • Portale Informatico • Poster per la Pace

Camposampiero e con la Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo cui l’Oratorio appartiene, ad organizzare un evento pubblico di grande risonanza e aperto a tutta la cittadinanza, per partecipare la città dell’avvenuto restauro e divulgare una pubblicazione tecnicostorico-artistica alla quale stanno lavorando alcuni studiosi locali. Tale manifestazione sarà resa nota attraverso articoli di giornale, volantini e informazioni televisive.

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alla sua qualficata ed alta professionalità nell’ambito del restauro dei beni architettonici. Durante l’anno sociale il Club si impegnerà anche su altri fronti sviluppando i seguenti Service:


Bruno Stocco

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Relazione Storico - Descrittiva Quando la Repubblica di Venezia estese il suo dominio su Camposampiero nel 1405, il vecchio castello e l’area cintata dalle mura furono confiscate ai Carraresi e dichiarate proprietà nazionale. La nobile famiglia veneziana dei Querini acquistò dallo stato l’anno seguente un appezzamento di terra entro il castello, nella località “Le Grazie” ed eresse un maestoso e amplio edificio, denominato, con il titolo espressivo il palazzon, al quale furono aggiunte adiacenze, orto, giardino, casa per i lavoratori ed un oratorio dedicato a S.Giacomo il Maggiore. Il portale d’ingresso dell’attuale Oratorio si presume sia quello originale del “Palazzon” della famiglia Querini. Per circa tre secoli le relazioni delle

visite vescovili si occuparono della chiesetta che aveva un solo altare, una sagrestia e un piccolo campanile. Così ne parla il Cittadella: “San Giacomo dei Quirini salezzada et tavellada, lunga piedi 24, larga 12 officiata da un padre di S.Giovanni”1 Villa e oratorio, verso la metà del 1600, passarono alla famiglia Civran, ancora adesso l’oratorio mantiene memoria dei passati proprietari, infatti il portale quattrocentesco conserva nell’architrave lo stemma gentilizio dei Quirini (vedi foto n. 1-2), mentre i banchi portano impresso quello dei Civran (vedi foto n. 3). Alla fine del 1700 gli ultimi proprietari, gli Andrighetti, durante il Regno Italico seccati, a quanto si dice, dal


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continuo passaggio di soldati che trasformarono il palazzo in quartiere militare, lo demolirono, mantenendo solo l’oratorio. Scoppiata l’epidemia di colera del 1836, per voto unanime della popolazione di Camposampiero, l’oratorio assunse il titolo della Madonna della Salute, allorché la popolazione si votò alla Vergine e portò nell’Oratorio quella statua della Madonna con il bambino che, contenuta dentro una teca di vetro già oggetto di grande devozione popolare, allora stava sotto la Loggia, in piazza Vittoria. Solenne e memorabile, nella storia del paese resterà il ricordo della funzione espiatrice dell’ultima domenica di luglio di quell’anno, quando autorità e popolo entro la chiesetta compirono l’atto di dedicazione a Maria, supplicandola della liberazione dal contagio. “E la Madonna non fu sorda alle preghiere dei figli, ai quali subito concesse il favore implorato, e mentre nelle vicine parrocchie il contagio continuava a mietere vittime per tutto l’Agosto, nella nostra terminò l’opera distruttrice col luglio di quell’anno”.2 L’Oratorio attualmente è di proprietà della Parrocchia SS.Pietro e Paolo, e la gestione del bene fu seguita da Amelia Maceferri che nel tempo arricchì l’oratorio di tele e oggetti liturgici. L’Oratorio è uno dei luoghi di devozione più cari alla religiosità popolare del camposampierese. Molto frequentato quotidianamente e restaurato più volte, anche dopo l’incendio doloso del 1978, conserva un pregevole altare marmoreo, con lo stemma della famiglia veneziana Civran, l’originario portale e alcuni banchi con impresso lo stemma dei Civran, alcune pregevoli tele del Settecento, colorate decorazioni nel soffitto e nelle volte, una sagrestia e un armonioso campanile. La chiesetta attira quotidianamente numerosi fedeli e passanti di Camposampiero e dei paesi vicini e lo fa in particolare in occasione della festività annuale della Madonna della Salute il 21 novembre, che costituisce di fatto una delle giornate di festività cittadina.


Ricerca Storico Catastica

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Bruno Stocco

Nell’archivio di Stato di Padova il primo documento catastale risale alla costituzione del catasto Austriaco originale di campagna del 1808 aggiornato nel 1830. Il bene era censito al fg. 18 al mapp. F con descrizione “ORATORIO PRIVATO SOTTO IL TITOLO DI SAN GIOVANNI APERTO A PUBBLICO”come da mappa allegata. Nel partitario la ditta di partenza era la seguente:

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ANDRIGHETTI Conte Ottavio qm Andrea usufruttuario Zon nobili Angelo ed Andrea fratelli fu Giovanni proprietari zio e ni poti. Nel 1852, 08 Luglio a segui to della petizione n° 13 si livel ladi e passa a Zon nobili Ange lo ed Andrea fratelli fu Giovan ni proprietazi zio e nipoti. Il 14 Febbraio 1864 per pe tizione n° 5 come da de creto di amministrazione dell’ I.R. Tribunale Provinciale di Venezia 28 Aprile 1856 n° 7373 si leva l’oratorio privato sotto il titolo di San Giacomo, descritto in catasto alla lette ra F e si trasporta a Zon fu no bile Andrea qm Giovanni ere dità giacente amministrata da Carlotti Teodora vedova Zon per beni esclusi dall’estimo come dal catasto alla lettera F al fg. 632. Il 14 Febbraio 1864 per peti zione n° 6 come da decreto di aggiudicazione ereditaria dell dell’ I.R. Tribu nale Provinciale di Venezia 26 Novembre 1863 n° 20930 si leva la contropartita e si tra sporta a Zon nobile Adrianna qm Andrea. Il 23.Febbraio 1874 per voltu ra n° 4 si leva la di contro par tita e si trasporta a Mangitelli Pietro qm Giorgio.

A questo punto si interrompe la ricerca su catasto austro-italiano in quanto viene introdotto il catasto italiano il quale riparte sia con il censimento che con la nuova numerazione degli immobili. L’anno di costituzione del catasto italiano è il 1895 e precisamente il mese di Marzo. La chiesetta viene individuata nei nuovi partitari con la lettera B e viene classificata come fabbricato per il culto di mq. 77 così già attribuita al clero.


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Bruno Stocco

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Ricerca Fotografica d’archivio Dal brolo di casa Valsecchi in secondo piano la sagrestia con la finestrella e il prospetto sud dell’Oratorio della Madonna della Salute a destra si intravede la muratura e recinzione del medesimo brolo. (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)


Ripresa fotografica dal brolo Valsecchi, si evidenzia la mura di cinta su Via Madonna delle Grazie, la torre del castello e il contesto (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)

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Cartolina illustrativa di Piazza Mercerie, in evidenza nella parte centrale l’Oratorio della Madonna della Salute. Si può notare come la mura di cinta del brolo Valsecchi e il relativo pilastro si addossino all’Oratorio nella parte sinistra. Le parti non decorate della facciata principale sono di una unità cromatica più scura, rispetto alle paraste, cornici, portale, (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)


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1948 Piazza Castello vista dall’angolo sud–est del Municipio. La facciata est dell’Oratorio della Madonna della Salute riporta due entità cromatiche anche se la preponderanza è di un bianco spolverato di giallo e il resto un rosa antico. La mura di perimetrazione del brolo Valsecchi è ancora addossata all’angolo sud – est della facciata principale. (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)

Un “corteo nuziale”, in secondo piano la mura e il pilastro d’angolo di chiusura del brolo Valsecchi. In evidenza anche l’angolo sud – est della facciata principale dell’Oratorio e non l’accesso al corti letto antistante la sagrestia questo verrà ricavato in altro tempo. (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)


1955 Piazza Castello, l’angolo della Locanda S. Antonio con il prospetto sud–ovest di lato del prospetto est dell’Oratorio Madonna della Salute, si può notare l’apertura di accesso al cortile antistante l’attuale sagrestia (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)

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1962 Locanda S. Antonio con la facciata est dell’Oratorio della Madonna della Salute. Si evidenzia di lato alla facciata un cancello lanceolato di chiusura dello spazio antistante la sagrestia, la mura di cinta dell’ex brolo Valsecchi e una prima costruzione quale la casa Benozzo (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)


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Foto del prospetto EST dell’Oratorio della Madonna della Salute, solo il prospetto principale EST è intonacato con finitura a marmorino mentre i restanti sono a mattoni a vista. Il prospetto EST della piccola sagrestia ha la porta a destra mentre attualmente la porta è a sinistra. Rispetto alle foto storiche è stato sostituito il cancello lanceolato con quello attuale ed è stato eliminato il pilastro addossato all’Oratorio (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta AgCartolina con in primo piano l’edificio Dalla Costa, in fondo l’Oratorio della Madonna della Salute, ben visibile di retro il Palazzo dei Ferrovieri (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)


Cartolina di saluti da Camposampiero, in alto a sinistra l’Oratorio della Madonna della Salute (foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)

Cartolina con in primo piano l’edificio Dalla Costa, in fondo l’Oratorio della Madonna della Salute, ben visibile di retro il Palazzo dei Ferrovieri

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(foto gentilmente concessa dalla Signora Bertan - Pagetta Agnese)


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Bruno Stocco

L’oratorio oggi


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Lorenzo Bareato - Giulio Stocco

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Il progetto di Rilievo

Nell’archivio di Stato di Padova il primo documento catastale risale alla costituzione del catasto Austriaco originale di campagna del 1808 aggiornato nel 1830. Il bene era censito al fg. 18 al mapp. F con descrizione “ORATORIO PRIVATO SOTTO IL TITOLO DI SAN GIOVANNI APERTO A PUBBLICO”come da mappa allegata. Nel partitario la ditta di partenza era la seguente: Nell’archivio di Stato di Padova il primo documento catastale risale alla costituzione del catasto Austriaco originale di campagna del 1808 aggiornato nel 1830. Il bene era censito al fg. 18 al mapp. F con descrizione “ORATORIO PRIVATO SOTTO IL TITOLO DI SAN GIOVANNI APERTO A PUBBLICO”come da mappa allegata. Nel partitario la ditta di partenza era la seguente: Nell’archivio di Stato di Padova il pri-

mo documento catastale risale alla costituzione del catasto Austriaco originale di campagna del 1808 aggiornato nel 1830. Il bene era censito al fg. 18 al mapp. F con descrizione “ORATORIO PRIVATO SOTTO IL TITOLO DI SAN GIOVANNI APERTO A PUBBLICO”come da mappa allegata. Nel partitario la ditta di partenza era la seguente: Nell’archivio di Stato di Padova il primo documento catastale risale alla costituzione del catasto Austriaco originale di campagna del 1808 aggiornato nel 1830. Il bene era censito al fg. 18 al mapp. F con descrizione “ORATORIO PRIVATO SOTTO IL TITOLO DI SAN GIOVANNI APERTO A PUBBLICO”come da mappa allegata. Nel partitario la ditta di partenza era la seguente:


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Lorenzo Bareato

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Il Cantiere Introduzione Nel 1936, a nome di mons. L.Rostirola, viene stampato a Camposampiero il tradizionale Bollettino Parrocchiale, che, vista l’autorevolezza del redattore, è illuminante per la genesi storica di questo monumento, di cui si ha notizia fin dal sec. XVI° (1). Vi si dice che nel 1406 la famiglia nobile veneziana dei Querini acquista dal Demanio della Serenissima, che era subentrata nei diritti ai Carraresi, un grande appezzamento di terreno a nord-ovest del Castello, ed erige una villa di proporzioni colossali, che venne popolarmente denominata il Palazzon (2). Alla villa, come costume dei patrizi veneziani, venne annesso, in continuazione delle adiacenze, un oratorio gentilizio dedicato all’apostolo Giacomo, con pavimento e travi di sostegno del tetto a vista (3), le cui dimensioni erano : lunghezza ml. 8,56,

larghezza ml. 4,28 (4). Nei primi anni del sec. XVII° alla famiglia Querini subentrò in proprietà quella dei Civran, anch’essi nobili veneziani. Nel 1797, con la caduta della Repubblica Serenissima e la destituzione delle famiglie nobili, il palazzo venne acquistato dalla famiglia Andrighetti, che, viste le precarie condizioni statiche, lo demolì lasciando in piedi soltanto l’oratorio. La proprietà passò nei primi anni del ‘900 ad Annibale Valsecchi. L’arma gentilizia, ovvero il blasone dei Querini, uno scudo con fascia orizzontale fregiata di tre stelle, lo si può vedere nell’architrave del portale lapideo e nei due capitelli; mentre nel timpano dell’altare troneggia quello dei Civran, uno scudo con un cervo nello spaccato. L’anno 1836 risulta cruciale per le sorti di questa chiesetta, perché in


ceva alla devozione dei numerosissimi fedeli che quotidianamente si recavano a pregare, così si addivenne alla decisione di restaurare l’oratorio, che venne innalzato, allungato con una nuova abside e provvisto di campanile. Gran parte di questi lavori vennero pagati dalla signora Amalia Maccaferri, che dotò la chiesetta pure di una ricca e copiosa suppellettile; alla sua morte, nel 1935, la signora costituì erede dell’oratorio la fabbriceria di S.Pietro.

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quell’anno vi fu una pandemia terribile di morbo asiatico o cholera, che solo tra giugno e luglio mietè 44 vittime nelle parrocchie di S.Marco e S.Pietro: il parroco di S.Pietro, don Jacopo Bacchetti, in pieno accordo con i proprietari della chiesetta, col parroco di S.Marco, le autorità civili e la popolazione fece il voto solenne di consacrare il cadente oratorio di S.Giacomo alla Madonna, se essa avesse liberato dal contagio la comunità. L’invocazione andò presto a buon fine, perché già alla fine di luglio, con una solenne processione a cui aderirono le due parrocchie e l’intera popolazione civile, a ringraziamento della grazia ricevuta, venne trasportata l’immagine della Madonna nella chiesetta di S.Giacomo, dove venne «intronizzata» nell’altare. La vetustà dell’edificio non si confa-

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FOTO 01

1936 a sinistra dell’Oratorio è visibile no dei due pilastri della proprietà Valsecchi


Il campanile

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Foto 02 Vista dall’alto del campanile prima del restauro

Foto 03 La prima fase di lavaggio con idropulitrice

La struttura architettonica tipicamente ottocentesca con mattoni a «faccia vista» (5) presentava modesti segni di degrado, dovuti in parte all’erosione delle facce dei mattoni più esposti agli agenti inquinanti atmosferici, ed in parte ad impropri interventi di manutenzione. Le superfici sono state dapprima sottoposte ad una radicale pulitura effettuata attraverso un lavaggio a pressione di acqua modestamente calda (circa 60-70°), per sciogliere i depositi, soprattutto carboniosi, diffusi copiosamente negli orizzontamenti e localizzati, come ovvio, soprattutto nei prospetti nord-ovest, ovvero quelli più soggetti alle precipitazioni meteoriche e quelli dove non è costante un irraggiamento diretto (6). In secondo luogo le superfici sono state sottoposte ad una campagna di eliminazione degli agenti biotederiogeni, quali muschi e licheni, attraverso impacchi a base di soluzioni clorurate, che sono state ripetute più volte fino alla completa eliminazione delle cause del degrado, ed infine sottoposte ad un copioso lavaggio con acqua demineralizzata al fine di scongiurare l’eventuale affioramento di solfatazioni. Una volta ripulite le superfici, queste hanno rivelato la presenza di un’azione manutentiva, probabilmente eseguita negli anni ‘60-’70 del secolo scorso, che mirava a suturare le cadute di parti del laterizio con stuccature esageratamente estese, che alte-


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ravano i rapporti originali tra laterizi e fugature (7). L’operazione successiva è stata quindi l’asportazione delicata delle malte –tra l’altro cementizie- che sbordavano dagli incavi naturali, mettendo nella giusta evidenza proporzionale i mattoni. Gli elementi laterizi assolutamente irrecuperabili, la cui facies era incavata e farinosa, sono stati sostituiti con la tecnica del «cuciscuci», avendo l’accortezza di immettere elementi delle medesime misure dimensionali e dello stesso cromatismo (8). Un discorso a parte meritano le malte di allettamento, tutte impastate naturalmente a mano, ma dotate di un’uniformità compositiva esemplare, segno altrettanto peculiare di maestranze che svolgevano un lavoro con grandissima professionalità. La composizione di questi apparati è risultata essere di sabbie vagliate (quasi sicuramente in cantiere) provenienti da antichi alvei interrati e calce spenta, altrettanto ben vagliata in quanto priva di residui poco carbonati, i cosidetti calcinaroli. Queste sabbie cosidette di cava danno quella inconfondibile colorazione ocra che «riscalda» ed impreziosisce un apparato altrimenti «freddo». La stuccatura, dopo queste analisi morfologiche e petrografiche, si è avvalsa perciò di una sabbia proveniente dalle zone di Monfumo, cromaticamente analoga all’originale (9), miscelata a calce spenta; l’applicazione è avvenuta soltanto nelle zone ove mancava gran parte della struttura di allettamento, con la tecnica della rasatura rispetto al piano dei mattoni, la stessa dei muratori ottocenteschi. I mattoni modestamente degradati sono stati rinforzati con una soluzione di resina acrilica pura ed infine protetti dall’azione del dilavamento con una velatura a base di polisilossani. Il cappello merlato, che costituisce il tetto del campanile – realizzato con un impasto cementizio preformato in casseri lignei di estrema precisione-, è stato a sua volta ripulito da svariati agenti biodeteriogeni e protetto da un apparato (invisibile dal basso) a base di gomma liquida; alcuni elementi della merlatura (mattoni sagomati ad arte) sono stati rifatti secondo gli originali in quanto assolutamente irrecuperabili. Il sistema di intercettazione

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delle scariche elettriche atmosferiche è stato riattivato, con la posa in opera di una corda intrecciata con fili di rame, rispettando gli originali passanti in ferro battuto, che sono stati trattati, così come i tiranti della cella campanaria, con un convertitore di ruggine, un passivante, ed uno smalto ferromicaceo di finitura. Il campanile, eretto in aderenza muraria tra la parete meridionale e l’imposta dell’abside, è dotato di due campane, che vengono sollecitate ancora a mano da un minuscolo vano della sacrestia, che sono inserite in un’incastellatura metallica, probabilmente non originale, rifatta verosimilmente nei primi anni del secolo scorso. Le campane sono poste nell’asse nordsud: quella meridionale ha un diamentro di cm. 33, riporta nella ghiera superiore la scritta «SOLI DEO HONOR ET GLORIA» (Solo a Dio spetta l’onore e la gloria), nei punti cardinali sono presenti due crocifissioni e l’immagine di un santo (S.Giacomo?), il quarto settore riporta il nome del fonditore «Daciano Colbacchini e Figli Fonditori in Padova»; non è presente la data di fusione, ma si può ipotizzare, vista la sua morfologia ed il rimando al fonditore Daciano della famiglia di campanari Colbacchini di Saccolongo, una relalizzazione dei primi anni del Novecento. Ben diversa analisi si può fare della campana settentrionale: la ghiera superiore riporta la dicitura «LAVS DEO SEMPER 1781» (Sempre lodi al Signore), le immagini presenti sono S.Giovanni Battista, S.Pietro e l’Immacolata, ed il fonditore risulta essere sempre la famiglia Colbacchini, ma con la seguente dicitura «OPVS FRATRVM PETRI ET ANTONII COLBACCHINI DE ANGARANO» (10). Le dimensioni sono diametro cm. 34 ed altezza totale cm. 38. La considerazione ovvia è che questa campanella era presente (nell’oratorio ?) prima dei lavori di ampliamento ed innalzamento del 1836; però non vi è traccia cartacea della presenza di un campanile precedentemente a quello realizzato nell’Ottocento, e allora da dove proviene questa campana? Probabilmente la spiegazione non è difficile come vedremo più avanti.


La parete esterna

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Le problematiche affrontate in questo apparato architettonico non sono state dissimili da quelle descritte nel precedente capitolo, accentuate come degrado dalla presenza di un micro clima causato dal cortile angusto e dalla immanente costruzione verso sud., che causano un rilevante grado di umidità stagnante. La parete è un assemblaggio di due momenti costruttivi ben distinti, un primo –verso oriente- riconducibile al sec. XVI°, ed un secondo, inglobante il campanile di omogenea costruzione, della seconda metà dell’Ottocento. L’apparato murario del sec. XIX° si evidenzia per circa 80 cm. Anche nel settore soprastante il setto murario più antico, segno inequivocabile che la chiesetta è stata oggetto di un allungamento e di un innalzamento. I due momenti architettonici sono evidenziati dai diversi laterizi e dalle malte di allettamento. Il settore ottocentesco ha le stesse caratteristiche strutturali ed estetiche del campanile, risultando un unicum costruttivo ben definito (11). Il settore antico rivela una costruzione eseguita con materiale laterizio non omogeneo (12), e soprattutto con una composizione petrografica delle sabbie nettamente diversa, così come è diverso il legante di calce spenta. L’analisi dei cosidetti inerti mostra la mancanza di setacciatura, in quanto sono presenti minerali di svariate granulometrie e di residui di limi, da cui si può evincere che la provenienza di questo materiale è locale, probabilmente da qualche paleoalveo interrato del Muson; il legante a base di calce spenta non è stato setacciato a sufficienza, rivelando la presenza di calcinaroli anche di rilevante dimensione. Il ritrovamento di alcuni lacerti d’intonaco sovrammesso ai mattoni nell’attaccatura delle paraste alle pareti suggerisce che l’antico oratorio non aveva il laterizio a vista (13). Nella pulitura e riqualificazione visiva della parete antica sono riemerse dimensionalmente le due finestrature originali dell’oratorio, ad una quota inferiore rispetto alle attuali, che di contro hanno mantenuto praticamente la stessa tipologia del-

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le antiche ad arco ribassato, e sono state create aprendo dei varchi nel setto murario cinquecentesco. Non è azzardato ipotizzare che la costruzione dell’attuale sistema costituente la cornice perimetrale sottogronda si sia ispirato a quello originale, facendo da trait d’union tra antico e nuovo, riportando una memoria che poteva coesistere con uno stile pur nuovo. Soprastante la finestra attuale più ad ovest della parete, vicino all’attaccatura tra vecchia chiesa ed il suo prolungamento, è emerso un incavo, apparentemente misterioso, causato da uno sfregamento di un oggetto tondeggiante; la spiegazione è data dalla probabile presenza di un piccolo campaniletto a vela presente nella linea parietale di gronda, la cui campana, quella di cui si accennava nel precedente capitolo, veniva suonata dall’interno dell’oratorio con una corda che, in quel punto aderente alla parete, erodeva l’intonaco prima ed i mattoni poi.

I capitelli

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Questi due elementi sono stati presi in lavoro immediatamente, allorquando la costruzione del ponteggio di facciata ha permesso la loro visione ravvicinata, che ha rivelato un grado assolutamente drammatico di degrado, non soltanto estetico ma, soprattutto, materico. La prima operazione è stata quella di un preconsolidamento con iniezioni di una soluzione di estere dell’acido silicico nelle innumerevoli fessurazioni della pietra di Nanto, e di un consolidamento superficiale delle altrettanto numerose zone con superficie polverulenta. Le zone a rischio di crollo o di distacco sono state fissate con «ponti» a base di resina cristallizzante isocianica. La copertura a cappello in cemento è stata asportata gradualmente e con attenzione con micro scalpelli, al fine di non causare ulteriori fratture alla delicata pietra. La seconda operazione ha visto un lavaggio a nebulizzazione di acqua demineralizzata e l’asciugatura con spugne naturali per l’asportazione delle polveri sedimentate e dei piccoli frammenti di materiali incongrui. Con l’azione meccani-


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ca esclusivamente a secco del bisturi sono stati asportati i licheni e i muschi presenti in superficie, escludendo qualsiasi bagnatura onde evitare il riformarsi delle colonie biodeteriogene. La pulitura in profondità della pietra, preventivamente campionata nel grado delle soluzioni di materie attive da applicare, è stata eseguita mediante l’applicazione di una pasta umida a base di carbossilmetilcellulosa imbevuta di una soluzione satura di carbonato d’ammonio e mista ad una soluzione al 30% di carbonato di sodio quaternario, lasciata in sito per circa 45’ e protetta da foglietti di polietilene, al fine di rallentare l’evaporazione dei principi attivi (14); tolto l’impacco i capitelli sono stati sottoposti ad un lavaggio con acqua demineralizzata ed asciugati con spugne naturali. Al fine di debellare in profondità le radicazioni di muschi e licheni, sempre veicolata con polpa di pura cellulosa, è stata applicata una pasta imbevuta di soluzione clorurata, mantenuta in sito per circa 5 ore. Si è passati quindi alla stuccatura delle fessurazioni e alla ricostruzione di minuti particolari dei capitelli con un impasto a base di polvere di marmo giallo Mori, calce bianca asalina Lafarge e resina acrilica tipo Primal ac33, al fine di ottenere una base cromatica molto simile all’originale; infine le stuccature sono state velate con un acquerello a base di terra di Siena naturale, ombra naturale e ombra bruciata al fine di perseguire un cromatismo mimetico più spinto. I capitelli sono stati poi consolidati tessituralmente con un’imbibizione graduale di estere silicico e clorotene, ed infine protetti con un blando idrorepellente a base di polisilossani. I capitelli presentano un disegno stilistico originale, slegato dai canoni estetici trabeativi e pur risolto elegantemente: dal cordoncino inferiore si elevano rametti fitoformi che raggiungono le volute, che a loro volta incorniciano l’egida nobiliare tristellata dei Querini (15). I capitelli sono posizionati ad una quota inferiore di circa 12 centimetri rispetto alla soprastante cornice: questa anomalia farebbe pensare che questi apparati siano stati concepiti per essere inseriti in una struttu-


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ra diversa dall’attuale facciata, ma, come vedremo più avanti, la spiegazione è che i due capitelli in origine non erano stati costruiti per questa chiesetta, ma quasi sicuramente per abbellire qualche vano del palazzo Querini; quando questo è stato demolito vennero riusati incastonandoli al di sopra delle due paraste. Il posizionamento avvenne correttamente a «sostegno» della cornice inferiore del fregio, ma un intervento, attuato tra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, modificò inopinatamente l’altimetria e la conformazione plastica della cornice soprastante, rifacendola erroneamente 12 centimetri più in su.

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Il piano attico

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Andando per ordine, i saggi stratigrafici (16) hanno evidenziato che il piano attico, soprastante il timpano, è stato fatto oggetto di una radicale manutenzione negli anni ‘40-’50 del secolo scorso, probabilmente quando anche la facciata sottostante è stata reintonacata: il laterizio usato e le malte di allettamento rimandavano tutte a questo periodo . Situazione anch’essa strana, in quanto la struttura risale sicuramente alla seconda metà del sec. XIX°, quando l’oratorio venne innalzato, allungato e dotato del campanile. La comparazione tra le due cartoline fornite dalla signora Agnese BertanPagetta, la prima «CamposampieroPiazza Mercerie» verosimilmente degli anni ’20 del secolo scorso, e la seconda «Camposampiero-Piazza Castello 1955» è decisiva al riguardo, dato che si evidenzia, oltre alla finitura leggermente diversa ed impostata su toni bruni, una notevole diversità del piano attico: nel 1920 era più basso e con decorazioni armoniose ed eleganti, nel 1955 questo settore risulta ben più sviluppato in altezza e un po’ tozzo nelle sue linee; segno quindi di una manipolazione non felicemente realizzata (17). La stonacatura parziale dell’attico ha poi confermato le ipotesi dei saggi, ritrovando un laterizio strutturale di chiara fattura degli anni ‘40-‘50, nettamente diverso da quello usato per il preciso e armonico intervento ot-


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tocentesco, come abbiamo visto nel capitolo della parete meridionale. Sovrammessa l’intonaco cementizio è venuta alla luce, in alcuni lacerti lacunosi, una dipintura in grigio-rosso, come si nota in alcune cartoline che ritraggono il monumento degli anni ‘50-’60 del secolo scorso (18); questo cromatismo, così carico di tono, è caratteristica peculiare delle finiture, anche di edifici sacri, dell’Ottocento, per cui non è azzardato supporre che, dopo la radicale trasformazione della seconda metà dell’ ‘800, la facciata abbia assunto proprio queste tonalità cromatiche, che perdurarono fino agli anni ’60 del secolo scorso. La costruzione di questo piano rialzato rispetto alla facciata è una considerevole opera architettonica di mediazione e rispetto tra il nuovo e l’esistente, un escamotage di assoluto rilievo adottato da un tecnico di alto profilo culturale, che ha preso atto del valore formale della facciata cinquecentesca, e l’ha voluta valorizzare e salvaguardare costruendo un piano attico, che contenesse i nuovi volumi della chiesa. Il carattere estemporaneo di questa architettura esigeva un trattamento particolare, avendo perduto irrimediabilmente le peculiarità ottocentesche di uniformità con la facciata sottostante, per cui si è proceduto con una intonacatura di malta a base di calce idraulica e calce idrata, già colorata in pasta, senza alcuna sottolineatura bicromatica, in quanto i caratteri accentuati delle pseudo trabeazioni apportano naturalmenti gli effetti chiaroscurali di diversificazione. La croce sommitale dell’acroterio centrale è, con buona approssimazione, quella originale che coronava l’antica facciata cinquecentesca. A suffragare le tesi evolutive del monumento ho voluto tentare un sopralluogo nella soffitta della chiesa per controllare visivamente il carattere strutturale della sopraelevazione, ma sono stato impedito dalla presenza dell’attuale cupola, che si eleva oltre il piano dei letti delle capriate; allora ho provato inserendo la macchina fotografica entro il rosoncino di facciata, e le foto sono state di assoluto interesse. Le capriate di sostegno

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dell’attuale copertura sono di oggetti di alta carpenteria, con tagli di accoppiamento tra elementi di buonissima precisione, e gli elementi stessi ben levigati e squadrati ad ascia, tradendo così la loro fattura certamente antica. E’ evidente che appartengono all’antico oratorio, e, data la loro eccellente conservazione, sono stati riutilizzati – alzandoli- per la sopraelevazione ottocentesca; non solo, ma data la loro bellezza intrinseca di finitura, è ipotizzabile che questi elementi in antico verosimilmente fossero a vista. L’oratorio quindi in origine non aveva soffitto, ma prima della sopraelevazione sì, perché le foto mostrano i primi settori delle pareti sud e nord con una campitura rosata e un coronamento con una decorazione fitoforme in rosso, limitata verso l’alto da una filettatura nera rettilinea, segno dell’esistenza di un soffitto piano. Nella parete settentrionale si scorge nella lacuna della campitura rosata una sottostante finitura con verde acqua, segno di un palinsesto decorativo, e spiace non poter approfondire questo argomento così interessante, se non ponendolo all’attenzione attraverso le fotografie: avrebbe sicuramente apportato altri elementi utili per la comprensione di questo piccolo ma complesso edificio.

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La facciata

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Il lavoro è iniziato con una campagna radicale di saggi stratigrafici estesa a tutte le superfici, favorita dalla presenza dei ponteggi. Sconcertante è stato ritrovare la medesima situazione in tutte le analisi, ovvero un’unica presenza di un intonaco eminentemente cementizio –anche di elevato spessore-, senza presenza alcuna di sottostanti apparati applicati al laterizio strutturale: situazione assolutamente anomala trattandosi di un monumento con circa cinque secoli di storia ! Va da sé perciò che il marmorino presente nella finitura attuale marmorino non è, in quanto incompatibile con un sottofondo cementizio. Dal momento che i saggi stratigrafici hanno mostrato la presenza brutale di un’intonacatura cementizia generalizzata a tutti i settori della facciata è stato inevitabile passare all’elimi-


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nazione di questa deturpante manutenzione, deleteria non solo sotto il profilo materico, ma soprattutto sotto quello conservativo, dato che è risaputa l’ azione di sottrazione della corretta osmosi che opera una superficie di tal natura nei confronti di una sottostante entità fatta di laterizio e calci naturali. Il fatto subito eclatante che è emerso è stato il constatare che l’intonacatura cementizia aveva alterato le modanature originali delle cornici, facendole ingrossare esageratamente e cancellando i particolari più esili, con perdita quindi dei corretti equilibri trabeativi. L’ispessimento di tutta la superficie paramentale verso l’esterno della facciata, aveva esitato perciò l’obliterazione dei particolari fondamentali delle cornici, quelli di raccordo tra campitura e cornice stessa, rendendo quindi le cornici più piccole rispetto alle originali. Ma il fatto più eclatante dell’intervento degli anni ’50 è stato quello di modificare irreparabilmente lo sviluppo e la posizione altimetrica della cornice sottostante l’architrave del timpano (19), che fino agli anni ’20 era 12 centimetri più in basso, raccordandosi perfettamente con la quota dei due capitelli e dando il corretto spazio all’elemento del fregio, ora evidentemente sotto dimensionato. Altro particolare determinante per la genesi architettonica del monumento è stata l’osservazione delle paraste che hanno rivelato una natura intrinseca diversa rispetto alla cortina muraria della facciata, e la parziale rottura di quest’ultima per il loro inserimento: segno che la facciata originale non prevedeva queste lesene, per cui la si può immaginare in origine fatta semplicemente a capanna, priva dei capitelli e dell’attuale portale, priva del timpano e un po’ più bassa. Andando per ordine cominciamo intanto dall’alto. La cornice del timpano un tempo era protetta verso l’alto da una sottile lastra di marmo rosso di Asiago, ritrovata in più punti dello spiovente, ed inglobata dalla cementificazione; la conservazione di questo elemento era pessima, forse proprio a causa sia della sua natura delicata (20), sia dell’ambiente anaerobico in cui era

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stata affogata. Nei vertici del triangolo del timpano sono stati ritrovati i classici «elementi angolari», che le brave maestranze ponevano a rinforzo di questi delicati elementi costruttivi; gli elementi erano di chiaro riuso, tratti da una cava di Nanto dei Berici, di colore grigiastro, che connota le vene più compatte e resistenti di questo calcare : ritengo questi tre elementi facenti parte di quel lotto comprendente i due capitelli ed il portale, la cui provenienza è indubitabilmente da ascrivere ad una costruzione della famiglia Querini, il cui inserimento in questa costruzione è, per il momento, da individuare temporalmente, ma verosimilmente si può azzardare, per la conformazione delle cornici su cui i tre elementi sono stati inseriti, un periodo attorno al sec. XVIII°. Il timpano è costruzione postuma all’impianto originario, risente, come trattato sopra, di stilemi settecenteschi nello sviluppo delle cornici; non solo, la stonacatura ha messo in luce una muratura di cinque filari di mattoni inclinati che precede gli spioventi del timpano stesso: segno sia della sua costruzione ex novo in una struttura esistente, sia, come abbiamo accennato, di un’altezza originaria più contenuta della facciata. L’analisi effettuata in precedenza nell’intradosso della ghiera del rosoncino aveva evidenziato la presenza di un intonaco ottocentesco con dipintura in rosso e grigio; la successiva stonacatura ha evidenziato che il rosone è parte originale del primo impianto architettonico dal momento che è ricavato «in costruzione», senza alcuno scasso murario. L’eliminazione dell’intonaco cementizio di tutta la zona del timpano ha consentito di rilevare le giuste misure delle cornici, e di formare delle dime corrette per l’applicazione del nuovo intonaco a ripristino di questi fondamentali elementi (21). Come abbiamo visto l’analisi della zona delle paraste ha messo in luce come queste siano state inserite in un secondo momento nella facciata, che ha subito la rottura parziale per le dovute ammorsature di questi elementi ; l’analisi dei laterizi che sono stati usati per questi elementi e la comparazione con quelli del timpano suggerisce


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che le operazioni sono state coeve, per cui viene da supporre che il momento temporale di questa operazione di abbellimento, con la costruzione del timpano, del fregio, delle paraste e l’inserimento dei capitelli e del portale, sia da porre nel sec. XVIII°. La parasta di sinistra mostra, più della destra, una costruzione incerta e piuttosto scomposta, soprattutto nella zona mediana-inferiore; inoltre nel prospetto meridionale di essa è stata rinvenuta una grande pietra calcarea, molto lacunosa e deteriorata. La spiegazione di tutto ciò, ancora una volta, ci viene dall’osservazione di una vecchia fotografia del 1942 (22), dove si vede, a fianco della chiesa, la presenza dell’ingresso alla proprietà Valsecchi, con un pilastro addossato proprio all’oratorio: la pietra ritrovata è quindi parte di questa struttura, e ho condiviso la decisione dell’arch. Bruno Stocco di lasciarla a vista, a memoria di questo limites che caratterizzava urbanisticamente l’antica piazza Castello. Al centro della facciata, soprastante il portale, vi è la lunetta finestrata e la sua strana cornice perimetrale; è indubbia la costruzione postuma anche di questo elemento, dati gli scassi murari evidenti per inserire la ghiera, peraltro risparmiata dalla cementificazione, forse a causa della sua buona conservazione e staticità. Sia i saggi passanti, che quelli limitati alle dipinture, hanno mostrato la tipicità delle malte ottocentesche, a base di sabbie poco vagliate e legante in calce spenta con presenza di abbondanti calcinaroli; e hanno rilevato la finitura originaria ottocentesca, con l’estradosso della cornice esterna colorato in rosso aranciato, e l’intradosso in grigio perlaceo. La stranezza di questa cornice si deve al suo prolungamento, oltre il limite basale della lunetta, per andarsi ad appoggiare alla cimasa del portale; invero la zona sottostante il davanzale ha rivelato una muratura così scomposta e manomessa da escludere qualsiasi ipotesi di ricostruzione storica. Due cose sono però da rilevare: la prima la presenza di laterizi diversi (di risulta?) nelle zone inferiori delle cornici; la seconda, ben più caratterizzante, la sussistenza del prolungamento degli intonaci dell’in-

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tradosso della lunetta fino a 18 centimetri sottostanti l’attuale quota del davanzale. Questo fa pensare che la lunetta in origine aveva un respiro più ampio (e, forse, una diversa disposizione della sua cornice verso il basso); e che la riduzione spaziale si deve alla nuova impaginazione scenografica data all’interno dell’oratorio (23), risolta tra l’altro con l’applicazione di una cornice in gesso a sottolineare l’imposta delle volte, che veniva a posizionarsi proprio all’altezza del davanzale. La precarietà della muratura compresa tra il davanzale e la cimasa del portale ha suggerito di effettuare abbondanti infiltrazioni a base di calce liquida per saturare le lesioni e le discrepanze murarie. La zona inferiore della facciata è stata indagata a fondo per cercare di capire come questa si raccordasse al piano orizzontale del marciapiede, essendo priva attualmente di qualsiasi elemento classico trabeativo, ma la manomissione radicale di questa zona (non ultimo il taglio passante per inserire una barriera anti-umidità) ha cancellato qualsiasi segno che rimandasse a qualche apparato antico. La zoccolatura in pietra d’Istria ideata dall’arch. Stocco sopperisce a questa lacuna, con un lieve accenno di basamento per le paraste che media il corretto appoggio a terra di questo elemento. La riproposizione dei nuovi intonaci ha visto l’applicazione di un sottofondo in coccio-pesto, con una miscela macro porosa nello zoccolo, per scongiurare fenomeni eventuali di umidità di risalita. Grande attenzione è stata data all’individuazione della nuova finitura, mettendo sul tavolo della discussione tutte le risultanze analitiche suesposte, e aggiungendo rispettosamente la memoria cromatica delle gente e la storia recente del monumento: la via più corretta ci è parsa quella che teneva conto dell’aspetto settecentesco delle cornici e del coevo inserimento dei particolari lapidei di pregio, che ben si sposava con l’aspetto ultimo, anche se artificioso, della facciata contestualizzata con la piazza Castello. Si è ricorsi perciò ad una macinatura media di marmo bianco Verona dei Lessini, e ad una di giallo Mori del


Garda, che, dopo vari campioni e mescolanze, il primo è stato usato per le campiture ed il secondo per le cornici, realizzando così un delicato stacco cromatico tra i due elementi.

Il portale lapideo

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E’ un manufatto di grande raffinatezza formale, composto da cinque elementi: due piedritti, l’architrave, il fregio, e la cimasa. Ancor più dei capitelli è evidente il suo riuso, ovvero trattasi di un’opera realizzata per un’altra costruzione e riutilizzata, con qualche aggiustamento, in un altro contesto architettonico (24). L’egida tristellata dei Querini fa bella mostra nell’architrave (25), segno che chi transitava sotto a questa porta doveva avere l’inequivocabile percezione di trovarsi in una proprietà di questa famiglia. I problemi sorti per l’inserimento di questo apparato si esplicitano soprattutto nei piedritti, che fuoriuscivano dalla linea di facciata di quasi 10 centimetri, a cui si è sopperito con l’addossamento di due esili pilastrini in laterizio, che mediavano l’aggetto del portale con la parete (26). La precedente finitura prevedeva una colorazione giallo-ocra per questi elementi, che dava un senso travisante di «espansione» volumetrica a tutto il portale; la stesura del nuovo marmorino in questi particolari è stata eseguita con lo stesso cromatismo della campitura, al fine di ridare il naturale e corretto equilibrio formale al portale. Le parti superiori di questo apparato sono risultate in buono stato conservativo, mentre i due piedritti presentavano segni di scagliatura piuttosto accentuati; problema che si era presentato anche negli anni ’50, in quanto sono presenti dei tasselli , cinque per la precisione, di pietra di S.Germano (la più simile al Nanto per cromatismo), collocati verosimilmente al posto di settori molto degradati. Il consolidamento è avvenuto tramite svariate micro iniezioni di consolidanti acrilici; la pulitura è stata effettuata con la pasta AB57; la stuccatura e la protezione sono avvenute con le stesse tecniche usate per i capitelli. Il forte aggetto della cimasa è stato protetto con una lamina di piombo

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tradosso della lunetta fino a 18 centimetri sottostanti l’attuale quota del davanzale. Questo fa pensare che la lunetta in origine aveva un respiro più ampio (e, forse, una diversa disposizione della sua cornice verso il basso); e che la riduzione spaziale si deve alla nuova impaginazione scenografica data all’interno dell’oratorio (23), risolta tra l’altro con l’applicazione di una cornice in gesso a sottolineare l’imposta delle volte, che veniva a posizionarsi proprio all’altezza del davanzale. La precarietà della muratura compresa tra il davanzale e la cimasa del portale ha suggerito di effettuare abbondanti infiltrazioni a base di calce liquida per saturare le lesioni e le discrepanze murarie. La zona inferiore della facciata è stata indagata a fondo per cercare di capire come questa si raccordasse al piano orizzontale del marciapiede, essendo priva attualmente di qualsiasi elemento classico trabeativo, ma la manomissione radicale di questa zona (non ultimo il taglio passante per inserire una barriera anti-umidità) ha cancellato qualsiasi segno che rimandasse a qualche apparato antico. La zoccolatura in pietra d’Istria ideata dall’arch. Stocco sopperisce a questa lacuna, con un lieve accenno di basamento per le paraste che media il corretto appoggio a terra di questo elemento. La riproposizione dei nuovi intonaci ha visto l’applicazione di un sottofondo in coccio-pesto, con una miscela macro porosa nello zoccolo, per scongiurare fenomeni eventuali di umidità di risalita. Grande attenzione è stata data all’individuazione della nuova finitura, mettendo sul tavolo della discussione tutte le risultanze analitiche suesposte, e aggiungendo rispettosamente la memoria cromatica delle gente e la storia recente del monumento: la via più corretta ci è parsa quella che teneva conto dell’aspetto settecentesco delle cornici e del coevo inserimento dei particolari lapidei di pregio, che ben si sposava con l’aspetto ultimo, anche se artificioso, della facciata contestualizzata con la piazza Castello. Si è ricorsi perciò ad una macinatura media di marmo bianco Verona dei Lessini, e ad una di giallo Mori del

tradosso della lunetta fino a 18 centimetri sottostanti l’attuale quota del davanzale. Questo fa pensare che la lunetta in origine aveva un respiro più ampio (e, forse, una diversa disposizione della sua cornice verso il basso); e che la riduzione spaziale si deve alla nuova impaginazione scenografica data all’interno dell’oratorio (23), risolta tra l’altro con l’applicazione di una cornice in gesso a sottolineare l’imposta delle volte, che veniva a posizionarsi proprio all’altezza del davanzale. La precarietà della muratura compresa tra il davanzale e la cimasa del portale ha suggerito di effettuare abbondanti infiltrazioni a base di calce liquida per saturare le lesioni e le discrepanze murarie. La zona inferiore della facciata è stata indagata a fondo per cercare di capire come questa si raccordasse al piano orizzontale del marciapiede, essendo priva attualmente di qualsiasi elemento classico trabeativo, ma la manomissione radicale di questa zona (non ultimo il taglio passante per inserire una barriera anti-umidità) ha cancellato qualsiasi segno che rimandasse a qualche apparato antico. La zoccolatura in pietra d’Istria ideata dall’arch. Stocco sopperisce a questa lacuna, con un lieve accenno di basamento per le paraste che media il corretto appoggio a terra di questo elemento. La riproposizione dei nuovi intonaci ha visto l’applicazione di un sottofondo in coccio-pesto, con una miscela macro porosa nello zoccolo, per scongiurare fenomeni eventuali di umidità di risalita. Grande attenzione è stata data all’individuazione della nuova finitura, mettendo sul tavolo della discussione tutte le risultanze analitiche suesposte, e aggiungendo rispettosamente la memoria cromatica delle gente e la storia recente del monumento: la via più corretta ci è parsa quella che teneva conto dell’aspetto settecentesco delle cornici e del coevo inserimento dei particolari lapidei di pregio, che ben si sposava con l’aspetto ultimo, anche se artificioso, della facciata contestualizzata con la piazza Castello. Si è ricorsi perciò ad una macinatura media di marmo bianco Verona dei Lessini, e ad una di giallo Mori del



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